Legislatura 16º - Aula - Resoconto stenografico della seduta n. 229 del 30/06/2009


SENATO DELLA REPUBBLICA
------ XVI LEGISLATURA ------

229a SEDUTA PUBBLICA

RESOCONTO

SOMMARIO E STENOGRAFICO

MARTEDÌ 30 GIUGNO 2009

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Presidenza del presidente SCHIFANI,

indi della vice presidente MAURO

e del vice presidente CHITI

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N.B. Sigle dei Gruppi parlamentari: Italia dei Valori: IdV; Il Popolo della Libertà: PdL; Lega Nord Padania: LNP; Partito Democratico: PD; UDC, SVP e Autonomie: UDC-SVP-Aut; Misto: Misto; Misto-IO SUD:Misto-IS; Misto-MPA-Movimento per l'Autonomia: Misto-MPA.

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RESOCONTO SOMMARIO

Presidenza del presidente SCHIFANI

La seduta inizia alle ore 16,31.

Il Senato approva il processo verbale della seduta del 25 giugno.

Comunicazioni della Presidenza

PRESIDENTE. L'elenco dei senatori in congedo e assenti per incarico ricevuto dal Senato nonché ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicati nell'allegato B al Resoconto della seduta odierna.

Preannunzio di votazioni mediante procedimento elettronico

PRESIDENTE. Avverte che dalle ore 16,33 decorre il termine regolamentare di preavviso per eventuali votazioni mediante procedimento elettronico.

Sul disastro ferroviario verificatosi alla stazione di Viareggio

PRESIDENTE. (Si leva in piedi e con lui tutta l'Assemblea). Esprime il cordoglio del Senato della Repubblica per le numerose vittime del gravissimo incidente verificatosi nella notte presso la stazione ferroviaria di Viareggio a causa del deragliamento di un convoglio cisterna carico di gas. Esprime, inoltre, un sentito apprezzamento per l'operato dei Vigili del fuoco, della Protezione civile e dei soccorritori, che si sono prodigati per salvare il maggior numero di persone. In questo momento di lutto e di commozione non c'è spazio per le polemiche sulle responsabilità dell'accaduto, che verranno accertate dalla magistratura e dalle istituzioni competenti nelle sedi adeguate, anche per confortare il personale dei trasporti ferroviari circa le condizioni di sicurezza nelle quali quotidianamente opera. Avverte che il Governo ha espresso la disponibilità a riferire sulla vicenda in Parlamento nei prossimi giorni. (L'Assemblea osserva un minuto di raccoglimento).

PISTORIO (Misto-MPA). Il disastro ferroviario verificatosi nella notte a Viareggio è il più grave di una serie di incidenti che, seppur di entità non comparabile a quest'ultimo, destano allarme circa lo stato dei sistemi di sicurezza nel trasporto pubblico, le cui strutture, soprattutto nel Mezzogiorno, appaiono obsolete. Si rendono necessari degli interventi di carattere straordinario ed ordinario, relativi alla sicurezza del trasporto di materiale esplosivo e comunque pericoloso lungo le reti ferroviarie che attraversano zone abitate e al trasporto pubblico che viene utilizzato quotidianamente dai lavoratori pendolari. Alla luce delle consistenti risorse destinate dallo Stato alle Ferrovie, è lecito chiedersi se queste non siano spese male, magari privilegiando in misura eccessiva gli interventi di implementazione tecnologica relativi all'Alta velocità, a scapito del trasporto locale. Auspicando un rapido chiarimento delle cause della tragedia, rivolge un pensiero commosso alle vittime ed alle loro famiglie.

D'ALIA (UDC-SVP-Aut). La terribile tragedia che ha colpito la città di Viareggio nella nottata appena trascorsa suscita sgomento e commozione. A fronte di una tragedia di gravità inedita nel trasporto ferroviario italiano, è imperativo far luce sulle modalità dell'incidente e sulle eventuali responsabilità, anche per evitare che simili disastri abbiano a ripetersi. È opportuno che le Ferrovie dello Stato chiariscano quali misure di sicurezza si adottano, soprattutto per quei convogli che trasportano materiali pericolosi e che occupano la rete locale attraversando i centri urbani. Appare encomiabile lo sforzo compiuto dai Vigili del fuoco e dalla Protezione civile ed è motivo di soddisfazione il fatto che il Governo si sia impegnato a riferire domani in Aula sull'accaduto. Si associa, a nome del Gruppo UDC-SVP-Autonomie, al cordoglio espresso dalla Presidenza nei confronti delle vittime.

DE TONI (IdV). Il Gruppo dell'Italia dei Valori esprime solidarietà e vicinanza ai famigliari delle vittime dell'incidente di Viareggio ed ai feriti, cui augura una rapida guarigione. Occorre stabilire con urgenza quali siano state le cause del tragico evento, che ha fatto calare su Viareggio un velo di tristezza che contrasta con la sua consueta atmosfera gioiosa. L'individuazione delle responsabilità e della eventuale incuria di soggetti preposti a garantire la sicurezza del trasporto pubblico è compito della magistratura: volendo tralasciare le polemiche in questo giorno di lutto, a differenza di quanto fatto in mattinata a Napoli dal Presidente del Consiglio, non si può tuttavia tacere che più volte dall'opposizione si erano levate critiche sui tagli di bilancio operati dall'attuale Governo che hanno inciso sulla sicurezza del trasporto ferroviario. (Applausi dal Gruppo IdV e della senatrice Mariapia Garavaglia).

CAGNIN (LNP). Sebbene non paragonabili al tremendo disastro di Viareggio, altri due incidenti hanno colpito la rete ferroviaria toscana nel mese passato ed insieme a quello della scorsa notte inducono a riflettere seriamente sulla sicurezza del trasporto pubblico. La magistratura e la commissione d'inchiesta della quale il Governo ha annunciato la costituzione chiariranno cause e responsabilità, né quella odierna appare la sede adatta a polemiche, occorre però verificare, anche nei dibattiti futuri, che la sempre maggiore competitività delle tariffe ferroviarie non vada a discapito della sicurezza e discutere dell'opportunità di maggiori investimenti proprio nel campo della sicurezza nei trasporti e sul lavoro. Il Gruppo della Lega Nord Padania esprime cordoglio e solidarietà alle famiglie delle vittime ed ai feriti. (Applausi dal Gruppo LNP).

VIMERCATI (PD). Il bilancio provvisorio del gravissimo incidente avvenuto presso la stazione ferroviaria di Viareggio già è tale da collocare quello di questa notte fra gli eventi più gravi mai verificatisi nel trasporto ferroviario italiano. Si rende indispensabile una riflessione sulle modalità dell'accaduto e sull'eventualità che le Ferrovie dello Stato abbiano investito la gran parte delle risorse sull'Alta velocità trascurando i servizi come il trasporto merci e il trasporto dei pendolari, i cui standard erano del resto già apparsi inadeguati all'indomani di altri incidenti meno gravi. Infatti, proprio la tipicità della dinamica dell'incidente preoccupa circa la effettiva serietà dei controlli espletati sulle strutture. La presenza in Aula del Governo sarà l'occasione per porre interrogativi sul livello di sicurezza del trasporto di merci pericolose, sulle responsabilità dei soggetti preposti a verificare l'idoneità dei veicoli, sullo stato di revisione del carrello che si suppone abbia ceduto, sulle responsabilità della società straniera produttrice del carrello stesso, sul ruolo dell'Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie nella prevenzione di simili incidenti e sui provvedimenti che il Governo intende adottare allo stesso scopo. (Applausi dal Gruppo PD).

GRILLO (PdL). Nell'associarsi alle parole di cordoglio già espresse negli interventi precedenti, sottoscrive l'invito ad evitare le polemiche in questo momento di lutto: sarà la commissione di inchiesta nominata dall'Esecutivo a chiarire, insieme alla magistratura, le cause dell'incidente. Dai primi accertamenti emerge che si è trattato di un cedimento strutturale, un evento anomalo, in quanto tutti i parametri di riferimento (dalla velocità cui viaggiava il convoglio, allo stato di manutenzione dello stesso, al percorso seguito) appaiono regolari. L'8a Commissione del Senato si è da sempre occupata della sicurezza nei trasporti e come Presidente della stessa può confermare che le Ferrovie dello Stato hanno investito molto su questo aspetto. La Commissione lavori pubblici e comunicazioni ed il Parlamento tutto si impegneranno affinché sia fatta chiarezza sulla dinamica dell'incidente e sulle eventuali responsabilità ed in questo un primo fondamentale passo si avrà con l'intervento del Governo nella giornata di domani. (Applausi dal Gruppo PdL).

CASTELLI, vice ministro delle infrastrutture e dei trasporti. Si unisce al cordoglio per le vittime della tragedia. Ribadisce l'impegno del Governo a riferire al Parlamento e a fare luce sulla dinamica dell'incidente.

Sul grave lutto che ha colpito il senatore Franco Marini

PRESIDENTE. Rivolge parole di cordoglio al senatore Franco Marini, colpito da un grave lutto familiare.

Discussione del disegno di legge:

(733-B) Disposizioni in materia di sicurezza pubblica (Approvato dal Senato e modificato dalla Camera dei deputati) (Relazione orale)

PRESIDENTE. Ricorda che, ai sensi dell'articolo 104 del Regolamento, oggetto della discussione e delle deliberazioni saranno soltanto le modificazioni apportate dalla Camera dei deputati, salvo la votazione finale.

VIZZINI, relatore. La Camera dei deputati non ha apportato modifiche sostanziali alle norme per il contrasto della criminalità organizzata licenziate in prima lettura dal Senato: tale circostanza conferma la bontà del lavoro svolto, con il concorso dell'opposizione. Esprime una particolare soddisfazione per le norme che rendono più duro il regime carcerario per i boss mafiosi e per le disposizioni che rafforzano i poteri di accertamento dei prefetti in materia di appalti e rendono più trasparente l'amministrazione degli enti locali.

BERSELLI, relatore. La Camera ha apportato miglioramenti secondari alle norme in materia penale e ha lasciato inalterate le disposizioni relative all'ingresso degli immigrati clandestini. La sicurezza costituisce una priorità nell'azione del Governo: sollecita quindi l'approvazione in via definitiva di un disegno di legge molto atteso dai cittadini. (Applausi del senatore Vizzini).

D'ALIA (UDC-SVP-Aut). Avanza la questione pregiudiziale QP1, poiché il testo licenziato dalla Camera dei deputati non consente di superare i vizi di costituzionalità già segnalati in prima lettura. L'introduzione del reato di ingresso e soggiorno irregolare nel territorio dello Stato e l'adozione di una legislazione processuale speciale violano, infatti, il principio di eguaglianza, affievolendo la tutela di diritti fondamentali, di cui sono titolari le persone, indipendentemente dalla cittadinanza. La nuova figura di reato non è introdotta per perseguire una condotta socialmente pericolosa (tant'è che viene punita con un'ammenda di poco superiore alla sanzione amministrativa già prevista dal testo unico sull'immigrazione), bensì per accelerare le procedure di espulsione, utilizzando il piano giudiziale per attuare una politica di contrasto che non si riesce a far valere sul piano amministrativo. Poiché il codice di procedura penale costringe i pubblici ufficiali o gli incaricati di pubblico servizio a denunciare ogni ipotesi di reato, l'introduzione del reato di immigrazione clandestina spingerà all'invisibilità centinaia di migliaia di persone, aggravando i problemi anziché risolverli. Basti pensare agli effetti che si produrranno ostacolando l'iscrizione all'anagrafe dei figli degli immigrati clandestini, norma che viola anche la Convenzione sui diritti del fanciullo. La previsione delle cosiddette ronde contrasta, inoltre, con l'articolo 117 della Costituzione, che attribuisce alla competenza esclusiva dello Stato la tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica, e con l'articolo 18, che proibisce le associazioni politiche organizzate secondo caratteri militari. (Applausi dai Gruppi UDC-SVP-Aut, PD e IdV).

Saluto al Presidente del Comites della Circoscrizione consolare di Rosario (Argentina)

PRESIDENTE. Rivolge un saluto al Presidente del Comites della Circoscrizione consolare di Rosario, in Argentina, presente in tribuna. (Applausi).

Ripresa della discussione del disegno di legge n. 733-B

PARDI (IdV). Illustrando la questione pregiudiziale QP2, si sofferma sulle norme relative alle ronde e all'immigrazione clandestina per sottolinearne l'irragionevolezza, l'indeterminatezza e l'incostituzionalità. L'istituzionalizzazione di corpi specializzati di carattere paramilitare, di cui possono far parte anche soggetti condannati per atti di violenza o di razzismo e sulla cui attività non è previsto il controllo da parte dei prefetti, contrasta con il principio della responsabilità esclusiva dello Stato in materia di tutela della sicurezza pubblica. Le norme sull'ingresso e il soggiorno illegale nel territorio dello Stato ledono diritti fondamentali, aggravano l'attività giudiziaria - peraltro senza prevedere un'adeguata copertura finanziaria - e sono inefficaci a contrastare la clandestinità. Le disposizioni sui requisiti per il rilascio di licenze, autorizzazioni e altri atti amministrativi, compresi quelli relativi al matrimonio ed alla variazione anagrafica, ed il prolungamento fino a 80 giorni della permanenza nei centri di identificazione violano palesemente i principi di eguaglianza e di dignità della persona sanciti dagli articoli 2 e 3 della Costituzione, impediscono i ricongiungimenti familiari, non tutelano i richiedenti asilo e i rifugiati. (Applausi dal Gruppo IdV).

Sull'ordine dei lavori

PRESIDENTE. Avverte che, considerato l'elevato numero di iscritti a parlare, la votazione delle questioni pregiudiziali avverrà nella seduta antimeridiana di domani.

PORETTI (PD). La comunicazione della Presidenza favorisce una minore partecipazione al dibattito.

PRESIDENTE. E' dovere della Presidenza comunicare le intese intercorse tra i Gruppi sull'andamento dei lavori.

Ripresa della discussione del disegno di legge n. 733-B

LI GOTTI (IdV). La questione pregiudiziale QP3 pone in evidenza la palese violazione dell'articolo 81 della Costituzione, in ordine alla mancata copertura finanziaria della norma contenuta all'articolo 1, comma 2, del provvedimento, con la quale si configura la duplice fattispecie del reato di ingresso illegale di un cittadino non appartenente all'Unione europea o apolide, nonché della sua permanenza illegale, nel territorio italiano. La relazione tecnica del disegno di legge compie una disamina dei costi che deriverebbero dalle spese processuali connesse ai procedimenti di espulsione sulla base di una stima falsa, nettamente inferiore al dato reale, del numero di stranieri irregolari attualmente soggiornanti in Italia, ricavata da un recente rapporto del Ministero dell'interno e artatamente manipolata per giustificare l'inadeguata copertura finanziaria della norma. Per detti profili di incostituzionalità, ai sensi dell'articolo 93 del Regolamento, chiede di non procedere all'esame del provvedimento. (Applausi dai Gruppi IdV e PD).

Presidenza della vice presidente MAURO

CASSON (PD). Richiama l'attenzione dell'Aula su alcune delle norme più contestate del provvedimento, sulle quali anche la maggioranza si è divisa e su cui si preannuncia l'apposizione dell'ennesimo voto di fiducia. Il testo in esame appare come un voto di scambio con il Gruppo della Lega Nord che ha acconsentito all'approvazione dell'iniquo disegno di legge in materia di intercettazioni. Con la questione pregiudiziale QP4 si rileva l'incostituzionalità della norma contenuta all'articolo 3, commi 40 e successivi, con cui si legittimano le ronde dei cittadini a presidio del territorio e dell'ordine pubblico, di fatto attribuendo, senza seri controlli, a privati compiti di gestione della sicurezza e di esercizio della forza a tutela della sicurezza e dell'incolumità dei cittadini che istituzionalmente competono alle Forze dell'ordine, le quali invece vengono lasciate prive delle risorse necessarie e devono occuparsi anche dei nuovi problemi creati dalle ronde stesse. Nonostante sia stato esplicitato nel nuovo testo della norma che tali gruppi di cittadini debbano essere disarmati, le previsioni restano ambigue e non ne sanciscono il carattere non violento. Considerate le critiche rivolte alle norme dagli operatori della sicurezza e a livello amministrativo locale e visti i palesi profili di incostituzionalità, chiede che non si proceda all'esame provvedimento. (Applausi dal Gruppo PD).

CAROFIGLIO (PD). Con la questione pregiudiziale QP5 illustra all'Assemblea i profili di incostituzionalità della norma contenuta all'articolo 1, comma 22, lettera l), del provvedimento, con cui si prevede l'estensione del termine massimo di permanenza degli immigrati nei centri per l'identificazione e l'espulsione da due a sei mesi nei casi di mancata cooperazione al rimpatrio del Paese terzo interessato o per altri ritardi burocratici, violando il diritto fondamentale, sancito all'articolo 3 della Costituzione, dell'eguaglianza e della pari dignità sociale dinanzi alla legge. Tale previsione non è giustificata dalla Direttiva comunitaria n. 115 del 2008, cui ha fatto richiamo il Governo, perché in essa si prevedeva un'adeguata graduazione delle misure da applicare e il ricorso ad altre soluzioni meno coercitive in alternativa alla detenzione. (Applausi dal Gruppo PD. Congratulazioni).

MARITATI (PD). Illustra la questione pregiudiziale QP6 con la quale si rileva l'incostituzionalità della norma, di cui al comma 25 dell'articolo 1, che subordina il rilascio del permesso di soggiorno alla stipula di un «accordo di integrazione» con cui lo straniero si impegna a conseguire obiettivi di integrazione non meglio specificati. Tale previsione appare incompatibile con la riserva di legge, sancita dall'articolo 10 della Costituzione, in materia di disciplina della condizione giuridica dello straniero, rinviando ad un regolamento governativo la determinazione dei criteri sulla base dei quali si dovrà compiere la valutazione dell'amministrazione pubblica in ordine al suddetto grado di integrazione dell'immigrato. Tale valutazione non potrà che essere discrezionale e arbitraria e, oltretutto, in relazione ad un permesso di soggiorno ordinario la previsione non è compatibile con la normativa comunitaria, che prevede procedure di verifica dell'integrazione nella concessione di permessi di soggiorno di lungo periodo. La norma appare in contrasto con la Dichiarazione universale dei diritti umani e con la giurisprudenza della Corte costituzionale che sancisce il diritto soggettivo all'asilo. (Applausi dal Gruppo PD).

INCOSTANTE (PD). Illustra la questione pregiudiziale QP7, con la quale si pone in evidenza l'incostituzionalità della norma contenuta all'articolo 1, comma 22, lettera g), del disegno di legge, recante modifiche alle disposizioni del testo unico sull'immigrazione in materia di accesso agli uffici della pubblica amministrazione, stabilendo l'obbligo per il cittadino straniero di esibire il permesso di soggiorno anche per i provvedimenti inerenti agli atti di stato civile o all'accesso ai pubblici servizi, precedentemente esclusi dalla normativa. Tali norme, lungi dal produrre effetti deterrenti sui flussi migratori o di tutela della sicurezza, determinano di fatto una serie di paradossi e di aberrazioni giuridiche e sociali, violando diritti fondamentali, di cui agli articoli 29, 30 e 31 della Costituzione, come quello di contrarre matrimonio o quello di registrare le nascite. Si tratta di una norma iniqua e inefficace, dal sapore propagandistico e non degna di un Paese civile; una norma che non risolve il problema della sicurezza, bensì aggrava la condizione di precarietà degli immigrati ed aumenterà il numero dei clandestini. (Applausi dal Gruppo PD. Congratulazioni).

Presidenza del vice presidente CHITI

BONINO (PD). Illustra la questione pregiudiziale QP8, stigmatizzando il comportamento del Governo, che si accinge ad apporre la questione di fiducia sul provvedimento verosimilmente al fine di evitare i rischi connessi al voto segreto, e non già in ragione degli emendamenti presentati. Anziché procedere alla regolarizzazione degli immigrati presenti in Italia, con ciò favorendo la legalità e promuovendo i diritti della persona, il Governo ha invece preferito introdurre il reato di clandestinità, il quale comporterà conseguenze estremamente negative in termini di sicurezza pubblica e di tenuta sociale. Con l'approvazione del provvedimento i circa 500.000 immigrati irregolari presenti nel Paese diventeranno infatti colpevoli del reato di clandestinità e saranno inoltre ritenuti colpevoli di connivenza tutti quei cittadini italiani che offrono loro lavoro o ospitalità: l'impatto sociale di tale misura sarà enorme e devastante, senza considerare che il sistema carcerario non sarà in grado di accogliere un così elevato numero di condannati. Il Governo dovrebbe affrontare con maggiore serietà e rigore il problema della sicurezza, evitando di lanciare all'opinione pubblica il messaggio dell'equiparazione dell'immigrazione alla criminalità e alla delinquenza. (Applausi dal Gruppo PD. Congratulazioni).

VITALI (PD). Il provvedimento non è affatto condivisibile, anzitutto laddove introduce il reato di immigrazione clandestina, che comporterà effetti negativi e distorti sulla società e che stravolgerà l'uso degli apparati repressivi, i quali, anziché essere rivolti al contrasto dei grandi traffici di clandestini, saranno utilizzati per dare la caccia alle badanti irregolari che prestano servizio presso le famiglie italiane. Allo stesso modo, non convincono le misure introdotte con riguardo alle cosiddette ronde, posto che nell'ordinamento italiano l'uso legittimo della forza, con possibilità di costrizione personale, è riservato in via esclusiva al personale dello Stato; né possono essere invocate a sostegno della previsione, come invece è stato irresponsabilmente fatto, una legge della Regione Emilia Romagna e iniziative promosse da Comuni della medesima Regione, le quali non assegnano affatto a soggetti diversi dalle Forze dell'ordine il compito di intervenire a tutela dell'ordine pubblico. Nell'illustrare la questione pregiudiziale QP9, dà quindi conto delle ragioni di incostituzionalità legate alla previsione dell'impiego di personale addetto ai servizi di controllo delle attività di intrattenimento o di spettacolo in luoghi aperti al pubblico o in pubblici esercizi, la quale viola apertamente il disposto costituzionale di cui all'articolo 13. (Applausi dal Gruppo PD).

SANNA (PD). Avanza una questione pregiudiziale con riguardo all'allungamento dei termini di permanenza nei centri di identificazione ed espulsione, norma che, bocciata dalla Camera dei deputati a scrutinio segreto, è stata successivamente reintrodotta dal Governo tramite l'apposizione della fiducia, con ciò ledendo le prerogative e la libertà del Parlamento. Il Governo avrebbe fatto bene ad utilizzare le risorse destinate ai CIE per finalità ben più urgenti e importanti e senza considerare che l'allungamento dei tempi di permanenza nei centri comporterà nuovi e maggiori oneri sul piano dell'assistenza sanitaria, psicologica e legale, che il provvedimento invece colpevolmente ignora. Le misure in esame, inoltre, prevedendo un eguale trattamento per tutti i clandestini raccolti nei centri di permanenza, al di là del loro livello di pericolosità, violano apertamente la direttiva comunitaria n. 115 del 2008, la quale prevede che il ricorso al trattenimento ai fini di allontanamento debba essere limitato e comunque subordinato al rispetto del principio di proporzionalità tra mezzi adottati e obiettivi perseguiti. (Applausi dal Gruppo PD. Congratulazioni).

DELLA MONICA (PD). A causa dell'intenzione del Governo di apporre la questione di fiducia, la discussione sulla presunta incostituzionalità del provvedimento, pur importante e ricca di contenuti, avviene in un'Aula disertata dagli esponenti della maggioranza e presieduta dal Vice Presidente di opposizione, quasi a testimonianza del sempre più marginale ruolo assegnato al Parlamento all'interno di un sistema che vive ormai ai margini della legalità costituzionale. L'introduzione del reato di ingresso e soggiorno illegale nel Paese desta sconcerto e perplessità, tanto più tenuto conto di talune modifiche introdotte presso l'altro ramo del Parlamento: in particolare, la previsione per cui l'accesso alle strutture sanitarie da parte dello straniero non in regola non possa comportare alcun tipo di segnalazione all'autorità viene di fatto resa nulla dalla previsione dell'obbligo per i pubblici ufficiali e gli incaricati di pubblico servizio di denunziare reati procedibili d'ufficio, quale è, appunto, quello di clandestinità introdotto con il provvedimento in esame. Allo stesso modo, subordinare la possibilità di perfezionare gli atti di stato civile (come la registrazione della nascita e il riconoscimento del figlio naturale) al possesso di documenti regolari determina un'indebita limitazione dei diritti della persona e rappresenta una violazione degli articoli 2, 3, 29, 30 e 31 della Costituzione, senza considerare che, anche in questo caso, l'ufficiale di stato civile ha l'obbligo di denunciare d'ufficio chi si rende colpevole del reato di clandestinità. Avanza pertanto una pregiudiziale di costituzionalità. (Applausi dal Gruppo PD).

PRESIDENTE. Ricorda alla senatrice Della Monica che l'alternanza alla Presidenza del Senato è basata su turni di rotazione e non sulle tematiche svolte.

D'AMBROSIO (PD). La legge 25 giugno 1999, n. 205, aveva abrogato la fattispecie di reato di oltraggio a pubblico ufficiale, nello spirito della riforma del codice di procedura penale, che mirava a ridurre i procedimenti. Peraltro i pubblici ufficiali continuavano a venire tutelati da fattispecie quali l'ingiuria, nonché dai delitti di violenza o resistenza ai loro danni. La reintroduzione di tale reato all'interno del disegno di legge per la terza volta all'esame del Senato, il cui intento dichiarato sarebbe quello di agire sulla macchina giudiziaria perché questa possa meglio e più rapidamente intervenire a tutela della sicurezza dei cittadini, appare dunque contraddittoria. Oltre a tale aspetto funzionale, stupisce la palese contraddizione incostituzionalità della previsione di un risarcimento economico integrale del danno, quale causa di estinzione del reato di oltraggio. Questa disparità tra cittadini di fronte alla legge in relazione alle disponibilità economiche, oltre ad essere ingiustificata, non alleggerirà il carico della magistratura che dovrà pur sempre pronunciarsi sulla congruità del risarcimento. A ciò si aggiunga che nel determinare l'ammontare di detto risarcimento, la giurisprudenza definirà, per così dire, anche il prezzo della dignità del pubblico ufficiale, circostanza che appare del tutto inaccettabile. Chiede ai sensi dell'articolo 93 del Regolamento che non si proceda all'esame del disegno di legge. (Applausi dal Gruppo PD).

GALPERTI (PD). Nell'illustrare una questione pregiudiziale, evidenzia che le modifiche apportate alla Camera al disegno di legge sulla sicurezza hanno solo in parte risolto il nodo spinoso dell'obbligo di denuncia per i medici degli stranieri sprovvisti di permesso di soggiorno che si presentino loro per ricevere delle cure mediche. Se da un lato, infatti, si è inteso abolire tale obbligo, con l'introduzione del reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato dello straniero e con il relativo obbligo di denuncia per i pubblici ufficiali si crea una contraddizione ed una difficoltà interpretativa per i pubblici ufficiali sanitari. Le norme in esame sono coerenti, del resto, con lo spirito che anima tutti i provvedimenti dell'attuale Esecutivo in materia di sicurezza, considerata come problema da affrontare innanzi tutto debellando tout court l'immigrazione, giudicata dalla destra un valore negativo assoluto, una malattia sociale. L'opposizione, certamente non sorda alle richieste di sicurezza e di rigore contro il crimine che giungono dalla società civile, ha più volte collaborato con il Governo in particolare sulle misure contro la mafia e contro le infrazioni al codice stradale ed anche nel disegno di legge in esame apprezza l'inasprimento delle sanzioni per i reati sessuali e per quelli che coinvolgano dei minori, ma non può non censurare la volontà sistematicamente tradotta in norma di intralciare in ogni modo il processo di integrazione degli stranieri in Italia, creando anzi per essi una giustizia speciale. Per questi motivi chiedeche non si passi all'esame e all'approvazione del disegno di legge in titolo. (Applausi dal Gruppo PD).

MARCENARO (PD). La Camera dei deputati ha ripristinato il comma 5 dell'articolo 35 del Testo unico sull'immigrazione sull'assistenza sanitaria per gli stranieri non iscritti al Servizio sanitario nazionale e con esso il divieto di segnalazione all'autorità dello straniero non in regola con le norme sul soggiorno che si rivolga alle strutture sanitarie. A tale riguardo, diversi settori della società e della Chiesa hanno assunto una ferma posizione di condanna, in particolare gli operatori sanitari posti direttamente di fronte ad una scelta tanto odiosa. Oltre ai motivi di coscienza, da più parti si è evidenziato come tale previsione implicasse anche gravi problemi socio-sanitari, in quanto il cittadino straniero clandestino, per timore di essere denunciato alle autorità, potrebbe rifiutare le cure, con il rischio, oltre che di riportarne conseguenze egli stesso, di propagare eventuali epidemie fra la popolazione. Tale modifica non può che essere salutata come una vittoria della coscienza comune ed un segnale della non invincibilità dell'attuale Governo. L'introduzione, tuttavia, dell'articolo 10-bis nel Testo unico sull'immigrazione, che prevede il reato di ingresso e soggiorno illegale, unita alle previsioni in materia di omesso referto da parte di pubblici ufficiali contenute nel codice penale, rende impossibile una interpretazione univoca della norma relativa agli ufficiali sanitari, i quali saranno così nuovamente posti di fronte a difficoltà, ad incertezze e timori e nel generale clima di ostilità verso gli immigrati si tornerà a perpetrare una lesione patente del loro diritto alla salute. Per tali motivi chiede, ai sensi dell'articolo 93 del Regolamento del Senato, di non procedere alla discussione del disegno di legge n. 733-B. (Applausi dal Gruppo PD).

GARAVAGLIA Mariapia (PD). Illustra una questione pregiudiziale motivata dal carattere contraddittorio che il testo del disegno di legge in esame ha assunto alla luce delle modifiche apportate dalla Camera dei deputati. Se da un lato, infatti, nel nuovo testo si inseriscono le prestazioni scolastiche fra quelle che non richiedono, da parte del cittadino straniero, l'esibizione di un documento identificativo e del permesso di soggiorno, l'introduzione del reato di ingresso e soggiorno illegale nello Stato e gli obblighi di denuncia che ne derivano per i pubblici ufficiali pongono gli operatori scolastici di fronte alla scelta fra una contravvenzione alla legge, che sarebbe in ogni caso condannabile, e la denuncia alle autorità dello straniero irregolare che ha tentato di iscrivere il proprio figlio alla scuola dell'obbligo. È evidente che la prospettiva di una denuncia scoraggerà qualsiasi famiglia straniera irregolarmente presente in Italia dall'iscrivere i propri figli a scuola, luogo primario di qualificazione dell'individuo, e ciò relegherà i minori ad una condizione di non esistenza e, in molti casi, ad un futuro di accattonaggio, di prostituzione e di soprusi. Si mancherà così l'occasione di un'integrazione reale e forte come solo quella iniziata sui banchi di scuola può essere. Per questi motivi, chiede ai sensi dell'articolo 93 del Regolamento del Senato di non procedere all'esame del disegno di legge in titolo. (Applausi dal Gruppo PD e della senatrice Giai).

CECCANTI (PD). Illustra una questione pregiudiziale sul tema delle cosiddette ronde di cittadini. Quello che doveva essere un organo ausiliario con compiti di segnalazione alle autorità, finalizzato a supplire alle carenze di copertura del territorio, rischia di divenire una sorta di milizia alternativa alle Forze dell'ordine dello Stato. Il ruolo delle ronde è stato del tutto mal interpretato e le iniziative autonome da queste assunte rischiano di intralciare le Forze dell'ordine che anzi sono costrette a gestire il pericolo che esse possono costituire. La norma contraddice anche il principio costituzionale che assegna allo Stato la competenza esclusiva in materia di ordine pubblico e sicurezza, così come pure quella che vieta l'associazionismo di stampo militare. Desta preoccupazione, inoltre, che tale delicato problema venga rinviato ad un decreto ministeriale, il quale, fonte secondaria, non potrebbe incidere su un principio stabilito da una fonte primaria come quella costituzionale, che all'articolo 13 stabilisce l'inviolabilità della libertà personale. Per questi motivi, chiede ai sensi dell'articolo 93 del Regolamento del Senato di non procedere all'esame del disegno di legge in titolo.(Applausi dal Gruppo PD e della senatrice Giai).

DE SENA (PD). Ai sensi dell'articolo 93 del Regolamento, chiede di non procedere all'esame di un disegno di legge che all'articolo 1, comma 23, restringe la libertà personale senza adeguate garanzie e viola l'articolo 25 della Costituzione, prevedendo con efficacia retroattiva una restrizione della libertà personale, il prolungamento della permanenza nei centri di identificazione ed espulsione. (Applausi dal Gruppo PD).

PINOTTI (PD). Propone una questione pregiudiziale per sottolineare la gravità di un provvedimento che nasce dalla manipolazione della paura e, puntando a rendere difficile la vita degli immigrati a prescindere da eventuali condotte delittuose, è destinato a compromettere proprio i processi di integrazione che favoriscono la convivenza e la sicurezza. Particolarmente odiosa, perché lesiva dei diritti dei minori, è la disposizione che ostacola il percorso scolastico degli studenti immigrati nel periodo compreso tra i sedici e i diciotto anni. Analogamente vessatoria è la norma che complica la possibilità per il minore di avere il permesso di soggiorno. Chiede pertanto che non si proceda all'esame del provvedimento per contrasto con il dettato costituzionale. (Applausi dal Gruppo PD).

BASTICO (PD). Illustra una questione pregiudiziale con riferimento all'articolo 1, laddove è previsto l'obbligo di esibire il permesso di soggiorno per accedere alle prestazioni scolastiche, un adempimento che rischia di interrompere il percorso formativo degli studenti stranieri e di precludere loro l'iscrizione all'università. La richiesta di non procedere all'esame del disegno di legge non è dettata da intenti ostruzionistici, bensì dal dovere di denunciare il carattere discriminatorio e incostituzionale di una norma che veicola una concezione errata della scuola, come servizio a domanda individuale anziché come istituzione repubblicana di promozione delle opportunità, e contrasta palesemente con gli articoli 3 e 34 della Costituzione, ovvero con il principio di eguaglianza sostanziale e con il diritto dei capaci e meritevoli ad accedere ai gradi più elevati dell'istruzione. E' da segnalare che il ministro Gelmini sta già tentando di applicare la logica discriminatoria del provvedimento, avendo imposto la presentazione di un codice fiscale come requisito per l'ammissione agli esami di maturità. (Applausi dal Gruppo PD. Congratulazioni).

ADAMO (PD). Esprime perplessità sotto il profilo della legittimità costituzionale sull'articolo 1, comma 18, laddove si prevede che l'iscrizione o la richiesta di variazione anagrafica possano dare luogo alla verifica di non meglio precisate condizioni igienico-sanitarie dell'immobile in cui il richiedente intende fissare la residenza. Si tratta di una norma indeterminata, priva di riferimenti oggettivi, che conferisce un enorme potere discrezionale agli uffici comunali, in materia diritti di cittadinanza. Perseguendo l'obiettivo di rendere più precarie e difficili le condizioni di vita degli stranieri, il disegno di legge, più che perseguire la sicurezza, aumenta l'insicurezza perché scoraggia l'immigrazione di qualità, rende ricattabili gli irregolari, consegna i clandestini alla protezione della criminalità organizzata. (Applausi dal Gruppo PD).

MARINO Mauro Maria (PD). Illustra una questione pregiudiziale, ponendo in evidenza l'incostituzionalità della norma di cui all'articolo 1, comma 22, lettera l), del disegno di legge in esame, recante l'estensione del periodo massimo di detenzione degli stranieri irregolari nei centri di identificazione e di espulsione da due a sei mesi. Per ottenere una rapida approvazione di tale norma, contestata anche all'interno della maggioranza assieme a quella che introduce il reato di immigrazione clandestina, reiteratamente bocciata sia al Senato che alla Camera con votazioni a scrutinio segreto, si è abusato ancora una volta dello strumento del voto di fiducia, per soddisfare le pressioni della Lega Nord. Si tratta dell'ennesima norma manifesto, di efficacia fittizia dinanzi alla domanda di sicurezza dei cittadini, legittima ma incentivata dai pericolosi allarmismi lanciati dalla maggioranza e dalla equiparazione della figura del migrante a quella di delinquente. (Applausi dal Gruppo PD).

PRESIDENTE. Rinvia il seguito della discussione del disegno di legge in titolo ad altra seduta.

Per comunicazioni del Ministro dello sviluppo sul futuro dello stabilimento FIAT di Termini Imerese

LUMIA (PD). Chiede alla Presidenza di sollecitare il Governo, nella persona del Ministro dello sviluppo economico, di riferire all'Aula sul futuro dello stabilimento FIAT di Termini Imerese, dal momento che la bozza del nuovo piano industriale dell'azienda ne prefigura la chiusura a partire dal 2011. In considerazione della rilevanza economica della produzione automobilistica nell'attuale fase di crisi, sono necessari investimenti pubblici per tenere in vita tutti gli stabilimenti e per aumentare i livelli di produzione che attualmente sono tra i più scarsi in Europa. Annuncia altresì che il Gruppo del Partito democratico presenterà una mozione specifica sull'argomento. (Applausi dal Gruppo PD).

PRESIDENTE. Condivide la preoccupazione del senatore Lumia sul futuro dello stabilimento FIAT di Termini Imerese e si farà carico di sollecitare il Governo a riferire in Aula.

Sull'intervento delle forze dell'ordine nei confronti di un'iniziativa radicale a Catania

PERDUCA (PD). Denuncia un caso di illegittimo intervento delle Forze dell'ordine, verificatosi a Catania in occasione di una manifestazione organizzata dall'associazione radicale «Certi diritti» per promuovere il Gay pride siciliano, che ha determinato la chiusura dello stand per presunte e infondate accuse di oscenità. Chiede che sia fatta luce sulla regolarità delle procedure e annuncia la presentazione di un'interrogazione parlamentare sulla questione, con lo scopo di richiamare ancora una volta l'attenzione sulla reale emergenza del Paese che, come dimostrano anche recenti fatti di cronaca, è data da una persistente e crescente omofobia.

PRESIDENTE. Prende atto della questione sollevata dal senatore Perduca, in attesa della preannunciata presentazione di uno strumento del sindacato ispettivo.

Dà annunzio degli atti di indirizzo e di sindacato ispettivo pervenuti alla Presidenza (v. Allegato B) e toglie la seduta.

La seduta termina alle ore 20,34.

RESOCONTO STENOGRAFICO

Presidenza del presidente SCHIFANI

PRESIDENTE. La seduta è aperta (ore 16,31).

Si dia lettura del processo verbale.

BUTTI, segretario, dà lettura del processo verbale della seduta del 25 giugno.

PRESIDENTE. Non essendovi osservazioni, il processo verbale è approvato.

Comunicazioni della Presidenza

PRESIDENTE. L'elenco dei senatori in congedo e assenti per incarico ricevuto dal Senato, nonché ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicati nell'allegato B al Resoconto della seduta odierna.

Preannunzio di votazioni mediante procedimento elettronico

PRESIDENTE. Avverto che nel corso della seduta odierna potranno essere effettuate votazioni qualificate mediante il procedimento elettronico.

Pertanto decorre da questo momento il termine di venti minuti dal preavviso previsto dall'articolo 119, comma 1, del Regolamento (ore 16,33).

Sul disastro ferroviario verificatosi alla stazione di Viareggio

PRESIDENTE. (Si leva in piedi e con lui tutta l'Assemblea). Onorevoli colleghi, come vi è ormai tristemente noto, nel cuore di questa notte una violenta esplosione, provocata dal deragliamento di un treno merci carico di gas, ha seminato morte e distruzione intorno alla stazione ferroviaria della città di Viareggio.

Alcuni edifici sono stati investiti dall'esplosione e dalle fiamme che si sono immediatamente propagate, provocando numerose vittime, il cui numero totale, al momento, supera purtroppo di gran lunga la decina.

I Vigili del fuoco e le squadre dei soccorritori, prontamente accorsi anche dalle città vicine e da tutta la Regione, dopo aver lottato tutta la notte contro il fuoco, stanno ora scavando tra le macerie alla ricerca di superstiti.

Sono certo di esprimere il sentimento di tutta l'Assemblea nel rivolgere, ancora una volta, un commosso ringraziamento al Corpo dei Vigili del fuoco e agli uomini e alle donne della Protezione civile, delle forze dell'ordine, dei servizi sanitari, nonché a tutti i privati cittadini che, anche in questa dolorosa occasione, si sono volontariamente messi a disposizione delle autorità per collaborare a salvare il maggior numero possibile di vite.

Non è certamente questo il momento delle polemiche; sarà però necessario, nei prossimi giorni, accertare con rigore tutte le eventuali responsabilità connesse al verificarsi di questo gravissimo incidente, affinché le istituzioni competenti - già da ora operanti - siano in grado di offrire una risposta esauriente e soddisfacente su quanto accaduto.

Lo dobbiamo non soltanto alle tante famiglie così duramente colpite dal lutto e dalla devastazione, ma anche a tutto il personale dei trasporti ferroviari, che chiede di essere rassicurato circa le condizioni di sicurezza nelle quali quotidianamente si svolge il suo delicato e importantissimo lavoro.

Il Governo si è prontamente dichiarato disposto a riferire nell'Aula del Senato fin dalla giornata di domani, non appena in possesso di tutti gli elementi necessari per una prima, informata risposta.

In segno di cordoglio per le vite spezzate da questa immane tragedia, tra le quali si contano purtroppo diversi bambini, e di vicinanza della nostra Istituzione alle sofferenze della popolazione di Viareggio, sentimenti accompagnati naturalmente dal sincero augurio di un pronto ristabilimento per tutti i feriti, invito l'Assemblea ad osservare un minuto di raccoglimento. (L'Assemblea osserva un minuto di raccoglimento).

PISTORIO (Misto-MPA). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PISTORIO (Misto-MPA). Signor Presidente, onorevoli colleghi, il disastro ferroviario di Viareggio ci addolora e ci allarma.

Esprimo, innanzitutto dolore e cordoglio per le vittime e plauso e incoraggiamento per la tempestiva opera di soccorso, non ancora conclusa e così carica di ulteriori drammatici pericoli. Come sempre, Vigili del fuoco e Protezione civile sono prontamente intervenuti contenendo i danni e limitando l'entità di un bilancio di per sé tragico. A loro rivolgo un incoraggiamento, un apprezzamento e un sostegno non rituale.

Questo nostro Paese subisce con fatale regolarità l'accanirsi di drammatici e tragici eventi, spesso imprevedibili, ma che a volte nascondono colpe e trascuratezze inaccettabili per un Paese avanzato. Faccio mia la dichiarazione del presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, quando afferma: "É una tragedia enorme: non è possibile che succedano cose di questo tipo in un Paese civile. (...) Bisogna investire in infrastrutture e sicurezza perché la sicurezza delle persone è elemento che viene prima della crisi, dell'efficienza, viene prima di tutto".

Questi sono momenti da dedicare ad alleviare le sofferenze di chi è stato colpito e a ripristinare, nel più breve tempo possibile e in tutta sicurezza, condizioni di vita, di lavoro e di trasporto nella città di Viareggio. Più avanti dovremmo tutti porci interrogativi seri e, soprattutto, fornire risposte pertinenti e all'altezza dei tempi sul trasporto in Italia e sui livelli di sicurezza del trasporto pubblico.

Se da un lato è giusto sottolineare i risultati raggiunti in alcuni comparti di punta del nostro sistema ferroviario, non è tuttavia tollerabile che il complesso del servizio ferroviario venga trascurato e lasciato deperire, sia in termini di qualità che di sicurezza. Lasciatelo dire ad un uomo del Sud che vive sulla propria pelle l'arretratezza mostruosa dell'apparato infrastrutturale ferroviario del nostro Mezzogiorno e delle Isole.

Risale a poche settimane or sono un altro incidente ferroviario, dovuto sempre alla rottura di un asse di un carrello, che ha bloccato per più di 24 ore la linea Bologna-Firenze, ossia il cuore del trasporto ferroviario nazionale. Certo, un incidente non paragonabile neanche lontanamente a quello di Viareggio per l'entità del disastro, anche in termini di vite umane, e la pericolosità dell'evento. Si tratta, comunque, di un segnale che ci dice che il nostro sistema dei trasporti ferroviari, certamente complesso e articolato, è probabilmente vecchio ed obsoleto ed ha bisogno di profondi interventi di manutenzione sia ordinaria che straordinaria.

Interventi straordinari sono necessari sicuramente nel settore della sicurezza dei trasporti ferroviari. Mi riferisco, in particolare, al materiale esplosivo e altamente pericoloso che attraversa, con una concentrazione così elevata, zone così intensamente abitate sia lungo la linea adriatica, che lungo la dorsale tirrenica. Si parla di 14 vagoni di GPL contenuti in un solo convoglio che subisce un deragliamento, presumibilmente per la rottura di un carrello, in pieno centro di una importante città rivierasca.

Sono poi necessari interventi ordinari per garantire la sicurezza e la regolarità del trasporto pubblico. I cittadini hanno il diritto di prendere il treno sicuri che il servizio sia all'altezza di un Paese civile e naturalmente ciò deve valere per tutti i cittadini, sia per chi si sposta per lavoro o per vacanze, ma a maggior ragione per i lavoratori pendolari che il treno sono costretti a prenderlo sempre, tutti i giorni.

Le risorse messe a disposizione delle Ferrovie da parte dello Stato rappresentano una fetta molto consistente delle risorse pubbliche che annualmente vengono spese per migliorare e garantire servizi ad un grado accettabile di civiltà. Si può discutere se le risorse messe a disposizione siano adeguatamente sufficienti, ma è tuttavia probabile che vengano spese male privilegiando settori da portare come fiore all'occhiello (ad esempio, l'alta velocità) e trascurando settori altrettanto importanti, come il trasporto locale e la sicurezza nel trasporto di merci, specie se pericolose, settori che sono andati sempre più deperendo in termini di qualità, di sicurezza e di manutenzione ordinaria.

A fronte di questi pochi e affrettati spunti, che serviranno poi per l'avvio di una più approfondita discussione sui temi del trasporto e della sicurezza, è ora il momento di rivolgere il nostro pensiero commosso a chi soffre, a chi ha perso la vita e i propri beni in questa tragedia, augurandoci di giungere al più presto a chiarire in modo certo e giusto le cause di quanto è avvenuto.

D'ALIA (UDC-SVP-Aut). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

D'ALIA (UDC-SVP-Aut). Signor Presidente, anche noi ci associamo alle sue parole di cordoglio nei confronti delle famiglie delle vittime e dei feriti della tragedia di Viareggio ed esterniamo la nostra vicinanza alla città di Viareggio, che ha subito questa tragedia immane e profondamente lacerante. Analoga solidarietà, sostegno e ringraziamento va ai Vigili del fuoco e alla Protezione civile. Siamo lieti che il Governo abbia comunicato che già da domani renderà una sua informativa sulla vicenda.

Credo però sia doveroso riflettere su quanto è accaduto: la tragedia è grave, perché si tratta di un convoglio speciale che trasportava materiale altamente infiammabile e che si trovava nel centro della città di Viareggio. (Brusìo).

PRESIDENTE. Colleghi, posso chiedervi una maggiore attenzione su questo tema e, in genere, in Aula? Stiamo discutendo di una tragedia che ha colpito il nostro Paese.

Prego, senatore D'Alia, può continuare.

D'ALIA (UDC-SVP-Aut). Dicevo che si tratta di una tragedia gravissima, mai accaduta nel trasporto ferroviario del nostro Paese: un convoglio speciale è deragliato nel centro della città ed ha provocato vittime tra famiglie inermi, crollo di palazzi e quant'altro. È necessario far luce su questa vicenda - come lei giustamente ha detto, e noi siamo d'accordo - e avviare un'inchiesta amministrativa impietosa, per accertare fino in fondo se e in che misura vi siano responsabilità in ordine a episodi di questa natura.

Questa tragedia, signor Presidente, testimonia peraltro una situazione assai preoccupante circa l'efficienza della nostra rete ferroviaria. Mi riferisco non solo e non tanto a quella che si sta ammodernando con il sistema dell'Alta velocità e dell'Alta capacità, quanto a quella rete ferroviaria che rappresenta la spina dorsale dei trasporti del nostro Paese e che viceversa è abbandonata a se stessa.

Allora, la questione centrale non è solo accertare le responsabilità sulla vicenda di Viareggio, su cui comunque credo che già da domani cominceremo ad avere qualche elemento in più, e la ringraziamo per la sua sensibilità a tale riguardo: dal momento che la rete di trasporto locale attraversa tante città, tanti centri cittadini, dobbiamo capire qual è la politica che Ferrovie dello Stato intende o ha inteso applicare per garantire la sicurezza del trasporto, almeno con riferimento ai convogli speciali, soprattutto quando interessano il trasporto locale e quindi - non solo a Viareggio, ma in molte parti d'Italia - attraversano i centri urbani.

Non vogliamo che queste tragedie si ripetano. Ecco perché ritengo che si debba analizzare quanto accaduto e aprire una discussione ad hoc, non soltanto sulla vicenda di Viareggio, rispetto alla quale ci associamo a quanto da lei detto, Presidente, e manifestiamo la nostra vicinanza alle vittime di stamattina.

DE TONI (IdV). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE TONI (IdV). Signor Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, rappresentanti del Governo, in una notte da poco estiva, in una solare e gioiosa cittadina della Versilia, Viareggio, irrompono la morte, il dolore, la sofferenza. Perché? È davvero colpa dell'imprevedibile o è forse responsabilità dell'incuria, della disattenzione, del pressappochismo?

Questa notte è successa una tragedia immane, che ha colpito 13 vittime innocenti. Questo, almeno finora, è il numero dei morti accertato, cui si aggiungono decine e decine di feriti; tra le vittime vi sono tre bambini. Appena un paio d'ore fa, abbiamo saputo che è stata trovata un'altra bambina, una piccola di quattro anni, e purtroppo il bilancio sembra destinato a crescere, visto che numerose persone risultano ancora disperse. Ci auguriamo che non sia così. Come in ogni tragedia, però, anche in circostanze terribili come questa, dobbiamo cogliere i pochi segni di speranza: così, abbiamo appreso che questa notte, dalle macerie di una palazzina crollata in conseguenza dello scoppio, sono state estratte ancora vive altre persone, altri bambini. Un piccino di tre anni è stato estratto vivo dalle macerie poco fa.

Noi dell'Italia dei Valori, prima di tutto, vogliamo stringerci attorno alle famiglie che hanno perso i propri cari e a quelle che sono in apprensione per i propri parenti in ospedale, alcuni dei quali versano in condizioni gravissime. A questi facciamo i nostri auguri per una guarigione il più possibile rapida. Ma lo dico ancora: una tragedia come questa, ogni tragedia, può essere evitata, cari colleghi del Senato che non prestate molta attenzione alle riflessioni che stiamo svolgendo insieme.

La magistratura, che ha cominciato immediatamente le proprie indagini, ci dirà se anche questa volta esistono particolari responsabilità da addebitare a persone o ad imprese, se vi sono state colpe nella manutenzione delle carrozze, come starebbe emergendo - il condizionale è d'obbligo - dalle prime confuse notizie. Seguiamo con grande rispetto il lavoro degli inquirenti e, come nostro costume, non interferiremo.

Oggi è il giorno del dolore e del lutto, non è il caso di lanciare accuse, che pure avremmo voglia di lanciare, perché di fronte alla rabbia per una tragedia di queste dimensioni vengono in mente tutte le volte in cui, Cassandre inascoltate, abbiamo denunciato i tagli di bilancio, a nostro parere inopportuni proprio perché andavano ad incidere, tra le altre cose, sulla sicurezza delle nostre ferrovie, su cui ogni giorno viaggiano milioni di persone. Non osiamo immaginare le conseguenze di questo incidente se lo scoppio fosse avvenuto in pieno giorno!

Ma oggi, dicevo, è il giorno del lutto. Dunque, le polemiche le lasciamo ad altri: a chi, badate bene, neanche di fronte a tragedie come questa perde il pessimo vizio di criticare la parte politica avversa, come ha fatto questa mattina il presidente del Consiglio Berlusconi a Napoli. L'Italia dei Valori sa che ci sono giorni per riflettere e giorni per denunciare. Oggi abbiamo solo voglia di riflettere su quello che poteva essere e non è stato, su tante persone che soffrono e su cosa possiamo fare perché tragedie di questa portata non accadano mai più. (Applausi dal Gruppo IdV e della senatrice Garavaglia Mariapia).

CAGNIN (LNP). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAGNIN (LNP). Signor Presidente, colleghi, il disastro di oggi a Viareggio è stato preceduto nel mese di giugno da altri due incidenti avvenuti sempre in Toscana, fortunatamente senza vittime. Il bilancio di quest'ultimo incidente è invece, purtroppo, pesante: finora 14 morti e molti altri feriti gravissimi.

In attesa di verificare le cause precise di questa orribile tragedia, verifica affidata alla magistratura e alla Commissione d'inchiesta che il ministro Matteoli intende costituire, alcuni interrogativi cominciano ad affiorare circa i controlli sui mezzi che trasportano materiali pericolosi e i componenti dei medesimi, prodotti spesso da soggetti diversi.

Si discute dell'opportunità di aggiornare alcune norme di sicurezza anche a livello europeo, basandole sul principio dei chilometri percorsi più che sul tempo trascorso tra i successivi controlli. La liberalizzazione nel settore dei trasporti, se può favorire i mercati di fronte alla maggiore competitività delle tariffe, non deve e non può andare a discapito della sicurezza e dei controlli stessi.

Oggi, comunque, non è certo il giorno delle polemiche né quello di invocare colpe a carico di qualcuno, ma neanche di rinunciare a programmi di ammodernamento dell'Alta velocità. Certo è che la dinamica dell'incidente lascia attoniti e ci si chiede se forse non si debbano fare maggiori investimenti in sicurezza ad ogni livello nel nostro Paese, nelle costruzioni, nei trasporti, sui luoghi di lavoro. Una delle emergenze nazionali è certamente la sicurezza.

Come rappresentante della Lega Nord, mi unisco, insieme a tutti i colleghi del Gruppo, al cordoglio dell'Assemblea verso tutte le famiglie colpite da questa immane e incomprensibile tragedia. (Applausi dal Gruppo LNP).

VIMERCATI (PD). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

VIMERCATI (PD). Signor Presidente, onorevoli colleghi, 17 morti, di cui tre bambini, decine di feriti tra cui 15 gravissimi, 1.000 abitanti evacuati: questo il bilancio, purtroppo ancora provvisorio, della sciagura di Viareggio. Si tratta di un bilancio tragico, di uno dei peggiori incidenti ferroviari del nostro Paese. Alle vittime va la solidarietà e l'affetto dei senatori del Partito Democratico; ai soccorritori e ai Vigili del fuoco tutta la nostra riconoscenza per l'applicazione e la professionalità con cui sono intervenuti.

È nostro dovere da subito riflettere sulla tragedia di Viareggio, capire che cosa è avvenuto; dobbiamo subito dissipare un dubbio, che è emerso anche negli interventi dei colleghi che mi hanno preceduto. Il dubbio è che le Ferrovie investano in tecnologie innovative sull'Alta velocità, lasciando a livello di Terzo mondo i servizi per i pendolari ed il trasporto per le merci. Questo il dubbio che dobbiamo dissipare al più presto. Infatti, se l'incidente appena avvenuto è il peggiore della storia recente delle Ferrovie, non è purtroppo un caso isolato. In questi mesi si sono ripetuti altri casi allarmanti, per fortuna senza conseguenze tragiche; casi che ripropongono con forza gli interrogativi in ordine agli standard di sicurezza delle nostre Ferrovie; standard oggetto più volte di interpellanze del Partito Democratico, cui si è sempre risposto negando l'esistenza del problema.

Secondo una prima ricostruzione, la causa andrebbe ricercata nel cedimento strutturale di un carrello. L'amministratore delegato di Ferrovie dello Stato Mauro Moretti ha detto che si è spezzato l'asse. Secondo la denuncia dei delegati dell'assemblea nazionale dei ferrovieri si tratta di un incidente tipico. Questo aggettivo è particolarmente preoccupante nel senso che esso si è ripetuto innumerevoli volte; da ultimo, nei giorni scorsi, sempre in Toscana, a Pisa-San Rossore ed a Prato. Di fronte a queste prime spiegazioni il nostro allarme aumenta perché sono ricostruzioni che pongono in dubbio l'efficienza dei sistemi e dei controlli di sicurezza.

Ringrazio il presidente Schifani dell'invito al Governo a riferire, già domani, su questi fatti, e colgo l'occasione per proporre alcuni quesiti al Governo. Primo: quali sono gli standard di sicurezza dei vagoni che trasportano merci pericolose e, come nel caso in questione, liquidi infiammabili. Secondo: di chi è la responsabilità di verificare l'idoneità all'uso dei vagoni merci. Terzo: se corrisponde al vero quel che ha affermato la direzione delle Ferrovie che la revisione del carro incidentato prevista dalle normative europee era stata svolta regolarmente. Quarto: quali sono le responsabilità della società austriaca GATX, proprietaria del vagone incidentato, che oggi ha già cominciato a fare lo scaricabarile sulle proprie responsabilità. Quinto: cosa fa di norma l'Agenzia nazionale per la sicurezza ferroviaria per prevenire incidenti di questo genere, se è vero che si ripetono di frequente. Credo che un'informativa da parte del presidente dell'Agenzia sia indispensabile. Infine, chiediamo che provvedimenti intenda adottare il Governo per prevenire in futuro incidenti simili.

Chiediamo quindi che il Governo venga in Aula al più presto per rispondere a tali quesiti e per dare una chiara illustrazione delle cause di questa immane tragedia. In un paese civile, ha detto Emma Marcegaglia, queste cose non debbono succedere; lo ripetiamo anche noi: non debbono e non possono succedere. (Applausi dal Gruppo PD).

GRILLO (PdL). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRILLO (PdL). Signor Presidente, anche da parte nostra desideriamo esprimere il più vivo cordoglio per le vittime di questo drammatico incidente e la nostra convinta solidarietà alle loro famiglie ed alla città di Viareggio, così duramente colpita. Intendiamo anche esprimere il nostro apprezzamento per l'opera dei soccorritori, che con tempestività e professionalità si sono adoperati e si stanno adoperando al meglio.

Il Presidente del Senato, molto puntualmente, ha detto che non è tempo di polemica; credo che tale affermazione debba essere convintamente sottoscritta da tutti noi. Le commissioni d'inchiesta che il Governo ha già nominato ritengo avranno modo e tempo per chiarire tutto ciò che c'è da chiarire in questo incidente, che sicuramente, fin d'ora, potremmo definire raro nella sua meccanica. Raro perché, secondo quanto acquisito, il treno procedeva ad una velocità normale, a meno di 90 chilometri all'ora; raro perché nessun lavoratore sui binari è rimasto coinvolto, i macchinisti sono illesi e le verifiche fatte dai tecnici delle Ferrovie (secondo dichiarazioni dei vertici delle Ferrovie) sono risultate, alla partenza, assolutamente regolari.

La locomotiva del convoglio è rimasta in piedi, i carri di coda sono rimasti intatti sui binari, il sistema frenante non sembra sia dovuto scattare perché non ve ne era bisogno (d'altro canto, la parte finale del convoglio è rimasta intatta). Non c'è stata una collisione e la tragedia è avvenuta in un percorso di corretto tracciato, cioè in un punto in cui non ci sono scambi o altre complicazioni ed in cui i binari erano regolari. Sembra, così si dice, ed questa l'ipotesi che sta prendendo piede, che ci sia stato un cedimento strutturale di uno dei 14 carri, in particolare il primo, dopo la locomotiva.

A chi in questo momento sottolinea con forza la necessità di andare a verificare se le manutenzioni vengono effettuate regolarmente e puntualmente e se gli investimenti in tecnologia della sicurezza in questi anni sono stati effettuati in modo adeguato, voglio ricordare che la nostra Commissione si è occupata tante volte di tali problemi. È anche per questo motivo, per via di un'azione che il Parlamento ha svolto, che possiamo ricordare a tutti che soltanto negli ultimi cinque anni le Ferrovie hanno investito non meno di 4,5 miliardi di euro in tecnologia della sicurezza. Vogliamo inoltre ricordare (anche se, in considerazione del momento attuale, non lo diciamo per una sorta di difesa aprioristica ma per significare che questa sensibilità c'è sempre stata sia da parte delle Ferrovie che di chi doveva esercitare un controllo politico) che, se è vero che gli investimenti ci sono stati, il sistema di controlli tecnologicamente più avanzato di Europa è proprio quello di cui dispone la nostra rete ferroviaria.

Tuttavia, in questa espressione di cordoglio intendiamo unirci a tutti coloro che desiderano sia fatta chiarezza al più presto. Ci adopereremo come Commissione di merito e come Parlamento affinché la dinamica dell'incidente sia chiarita nel modo più puntuale e veloce, così come eventuali responsabilità.

In questo senso, anche noi esprimiamo apprezzamento per il fatto che il Governo si è dichiarato disponibile a venire in Aula per riferire entro la giornata di domani. (Applausi dal Gruppo PdL).

CASTELLI, vice ministro delle infrastrutture e dei trasporti. Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CASTELLI, vice ministro delle infrastrutture e dei trasporti. Signor Presidente, anche il Governo vuole unirsi alle sue parole di condoglianze e solidarietà verso tutte le famiglie colpite da questo tragico evento.

Consentitemi di non aggiungere altro perché il ministro Matteoli - che, come sapete, era all'estero - si è attivato immediatamente per costituire una commissione d'inchiesta, è rientrato immediatamente in Italia, si è già recato sul posto e si è impegnato a riferire, nel più breve tempo possibile, al Parlamento. Quindi, egli potrà, molto più compiutamente di quanto non possa fare il sottoscritto ora, riferire circostanze il più possibile oggettive.

Sul grave lutto che ha colpito il senatore Franco Marini

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, sono certo d'interpretare il sentimento di voi tutti rivolgendo parole di commosso cordoglio e di affettuosa vicinanza al presidente Franco Marini, colpito ieri dalla scomparsa della sorella Alide.

Discussione del disegno di legge:

(733-B) Disposizioni in materia di sicurezza pubblica (Approvato dal Senato e modificato dalla Camera dei deputati) (Relazione orale) (ore 17,02)

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge n. 733-B, già approvato dal Senato e modificato dalla Camera dei deputati.

Ricordo che, ai sensi dell'articolo 104 del Regolamento, oggetto della discussione e delle deliberazioni saranno soltanto le modificazioni apportate dalla Camera dei deputati, salvo la votazione finale.

I relatori, senatori Vizzini e Berselli, hanno chiesto l'autorizzazione a svolgere la relazione orale. Non facendosi osservazioni, la richiesta si intende accolta.

Pertanto, ha facoltà di parlare il relatore, senatore Vizzini.

VIZZINI, relatore. Signor Presidente, esprimo molto brevemente la soddisfazione della maggioranza per le disposizioni in materia di lotta alla criminalità organizzata presenti nel disegno di legge in via di approvazione definitiva al Senato. Lo faccio in un momento di particolare amarezza personale, dichiarando la grande soddisfazione che ho nel condurre a termine un impegno cominciato lo scorso anno, che ha visto varare da quest'Assemblea provvedimenti di contrasto alla criminalità organizzata come mai vi erano stati nel Paese.

In questo provvedimento, segnatamente, vi è la norma che rende davvero impenetrabile e duro il carcere sulla base del regime previsto dall'articolo 41-bis: infatti, sono state discusse ed approvate dall'intero Parlamento alcune modifiche nella sua attuazione, che renderanno davvero impossibile continuare a comandare dall'interno delle carceri sui territori in cui le mafie svolgono la loro drammatica attività, la quale rappresenta un cancro della società nella quale viviamo. Inoltre, abbiamo rafforzato i poteri di accesso e di accertamento dei prefetti in materia di appalti; abbiamo previsto norme anche per la trasparenza ed una maggiore penetrazione nelle amministrazioni locali, coinvolgendo nei provvedimenti non soltanto il personale degli eletti, ma anche i dirigenti dei Comuni che spesso sono quelli che restano, essendo radicati nell'habitat mafioso, quando le amministrazioni vengono sciolte.

Credo che, unendo lo sforzo di questo provvedimento con quello compiuto con il decreto-legge approvato lo scorso anno, finalmente raggiungeremo un risultato consapevolmente importante nella lotta alla criminalità organizzata. Lo affermo - come ho sottolineato all'inizio del mio intervento - in un momento di particolare amarezza personale: ho voluto tuttavia illustrare il frutto di un lavoro iniziato nei mesi scorsi, nella convinzione che sia nostro compito liberare il Paese dal cancro della mafia anche quando ci si imbatte nella violenza di chi, anziché sparare, cerca con l'infamia e la calunnia di spegnere la voce e l'impegno di chi lavora per restituire allo Stato i beni dei mafiosi, e soprattutto - lo sottolineo - dei loro eredi, e per assicurare per sempre al carcere duro ed impenetrabile boss che pensano di poter continuare a comandare impunemente le loro organizzazioni.

Ho fatto un'eccezione e forse ho violato il Regolamento, signor Presidente, perché ho parlato di provvedimenti che l'altro ramo del Parlamento non aveva modificato e lo stesso Governo non aveva ritenuto di modificare rispetto alla primitiva approvazione da parte del Senato.

Ciò dimostra, ancora una volta, come in questa materia avevamo operato bene e correttamente, elaborando tutte le norme che era necessario adottare e che tornano in questo ramo del Parlamento per l'approvazione finale nel testo che avevamo licenziato. So che avrei dovuto intervenire solo sulle modifiche apportate, ma ritenevo troppo importante sottolineare che in questa materia il Senato ha predisposto norme apprezzate da tutte le parti politiche, dall'altro ramo del Parlamento e approvate dal Governo.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il relatore, senatore Berselli.

BERSELLI, relatore. Signor Presidente, onorevoli senatori, abbiamo ritenuto opportuno che il senatore Vizzini prendesse la parola per primo, in quanto l'articolo 2 del disegno di legge concerne nel suo insieme disposizioni in materia di contrasto alla criminalità organizzata ed il senatore Vizzini è sempre stato in prima linea - si cominciò con il primo decreto-legge in materia di sicurezza e si continua con il disegno di legge in discussione - in questa battaglia che ha visto assieme maggioranza ed opposizione nell'efficace azione di contrasto alla criminalità organizzata. Era pertanto giusto che prendesse per primo la parola, non essendo stato l'impianto del disegno di legge modificato dalla Camera dei deputati.

Con il senatore Vizzini abbiamo portato avanti, con il supporto e il contributo dell'opposizione in sede di prima lettura, un'importante iniziativa che andava a completare il pacchetto sicurezza approvato dal Governo in Consiglio dei ministri. Si trattava di dare una risposta immediata alle attese del popolo italiano, il quale giustamente aveva posto la questione sicurezza come prioritaria rispetto a tutte le altre questioni, sia pure importanti, che pesavano sui cittadini e sul popolo del nostro Paese.

Il Governo e il Parlamento hanno dato risposte rapide, efficaci e condivise dall'opinione pubblica. Il disegno di legge che stiamo esaminando in terza lettura è stato modificato dalla Camera dei deputati soltanto su questioni marginali. L'impianto licenziato da questo ramo del Parlamento è stato preservato. Sono stati apportati cambiamenti che, a nostro avviso, sono migliorativi per quanto concerne le modifiche relative al codice penale. In sostanza, si è mantenuto l'impianto e si è intervenuti su aspetti obiettivamente secondari, che però hanno finito per dare un contribuito positivo all'impianto stesso del disegno di legge.

Il testo all'esame del Senato non è stato modificato in Commissione: sono stati presentati emendamenti relativi alle modifiche apportate dall'altro ramo del Parlamento, su cui i relatori hanno espresso parere contrario, così come ha fatto anche il Governo.

Signor Presidente, crediamo che sia venuto il momento di approvare finalmente il disegno di legge in esame. È passato circa un anno da quando se ne iniziò l'esame. Vi sono stati ampi confronti fra maggioranza ed opposizione ed un dibattito serrato nelle competenti Commissioni di Senato e Camera, ma anche in Aula, ed oggi siamo alla stretta finale. Credo che risponda a un criterio di responsabilità di questo ramo del Parlamento approvare il testo così come licenziato dalla Camera dei deputati, senza apportare alcuna modifica.

Si è parlato lungamente dell'ingresso clandestino; la fattispecie di cui al comma 16 non è stata modificata dalla Camera dei deputati e quindi gli aspetti più delicati che avevano caratterizzato il disegno di legge sicurezza approvato in Consiglio dei ministri non sono stati in alcun modo toccati dalla Camera dei deputati. È per questo motivo che, come relatore, confido in una rapida approvazione del disegno di legge in discussione, che è particolarmente atteso non dai parlamentari della maggioranza, ma dal popolo italiano. (Applausi del senatore Vizzini).

PRESIDENTE. Comunico che sono state presentate numerose questioni pregiudiziali.

Ha chiesto di intervenire il senatore D'Alia per illustrare la questione pregiudiziale QP1. Ne ha facoltà.

D'ALIA (UDC-SVP-Aut). Signor Presidente, torna all'esame del Senato il cosiddetto pacchetto sicurezza, con una serie di modifiche apportate dalla Camera dei deputati, alcune delle quali correttive, e anche positive, altre in realtà più o meno formali. La cosa che più ci preoccupa e che desta particolari motivi di apprensione è che questo provvedimento torna con gli stessi profili di incostituzionalità con cui era stato, ahinoi, licenziato dal Senato.

Con la questione pregiudiziale QP1 abbiamo voluto sottolineare quelli che evidentemente, dal nostro punto di vista, sono i più importanti aspetti di contrasto di questo complesso di norme con le norme e i principi della nostra Carta costituzionale, a cominciare ovviamente dall'introduzione della nuova figura di reato relativa alla fattispecie di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato, così come disciplinata dal comma 16 dell'articolo 1 del testo approvato dalla Camera dei deputati a seguito dell'opposizione della questione di fiducia.

Le questioni che emergono con riferimento all'introduzione del reato di immigrazione clandestina sono in primo luogo collegate alla violazione dei principi di eguaglianza e di tutela dei diritti fondamentali della persona umana. L'errore di fondo che viene compiuto è quello di distinguere, in questo caso, tra la tutela giurisdizionale accordata ai cittadini e quella accordata a chi cittadino non è. La tutela giurisdizionale, la tutela dei diritti, nella nostra Carta costituzionale è infatti conferita e collegata ai diritti della persona e rientra nell'ambito dei diritti della persona.

Alle persone che si trovano nel territorio del nostro Stato, e che quindi sono soggette all'amministrazione anche giudiziaria del nostro territorio, è infatti conferita una serie di diritti che non possono essere affievoliti da procedure aggravate, speciali e diverse, quelle che vengono introdotte solo ed esclusivamente per questa fattispecie di reato. Il primo aspetto che mettiamo in evidenza è che l'introduzione del reato di soggiorno illegale, di clandestinità, determina sostanzialmente l'adozione di una procedura speciale e diversa rispetto a quella utilizzata per casi analoghi o simili o per categorie di illeciti identici o simili a questi. La conseguenza è evidentemente la violazione di diritti fondamentali.

Anche a voler ragionare sotto un profilo di natura squisitamente ipotetica sulla circostanza che l'eccezionalità del fenomeno della immigrazione clandestina e delle relative irregolarità sia tale da giustificare una legislazione speciale, la legislazione processuale speciale per il reato di clandestinità è però l'unica cosa particolarmente rilevante che troviamo in questo provvedimento. La sanzione prevista a seguito dell'introduzione del reato di soggiorno o di ingresso illegale nel territorio dello Stato consiste infatti in un'ammenda che va da 5.000 a 10.000 euro. Non viene introdotta una sanzione penale di particolare peso perché evidentemente non si ritiene che questa condotta sia tale da contenere quel disvalore sociale da cui deriva, ad esempio, la necessità della reclusione. Ciò comporta la ovvia e illogica conseguenza di introdurre un rito speciale per una sanzione che è di poco superiore rispetto alla sanzione amministrativa prevista dal Testo unico vigente in materia di immigrazione.

Perché, dunque, l'incostituzionalità? Non solo perché viene introdotto un rito speciale senza che ve ne sia la necessità, operando dunque a soli fini discriminatori, ma perché sostanzialmente si utilizza surrettiziamente la classificazione in termini di reato della fattispecie di ingresso e soggiorno illegale per ottenere altri due scopi, che con l'introduzione del reato poco o nulla hanno a che vedere, e cioè rafforzare e accelerare, con affievolimento delle garanzie della tutela dei diritti fondamentali, le procedure di espulsione per gli irregolari e, per altro verso, consentire sostanzialmente per di far avvenire in via giudiziale ciò che in via amministrativa è già previsto, ma non funziona bene.

Quindi, ci troviamo di fronte all'utilizzo improprio di una norma con un ulteriore effetto negativo, quello dettato dall'allineamento conseguente all'introduzione del reato di immigrazione clandestina con l'articolo 331 del codice di procedura penale, che prevede l'obbligo di denunzia, giustamente, per i pubblici ufficiali e per gli incaricati di pubblico servizio per qualsiasi ipotesi di reato di cui vengano a conoscenza. Ciò sta a significare che l'introduzione del reato di immigrazione clandestina non è funzionale a giudicare in termini di maggior disvalore sociale quella condotta, ma serve a fare in modo che cambi il sistema di controllo e che porti sostanzialmente all'esclusione da qualsiasi forma di censimento, di accertamento e di rilievo giuridico per gli stranieri irregolari. Questo non aiuta il contrasto all'immigrazione clandestina, ma lo complica, anzi lo rende ancor più grave.

La circostanza che alla Camera dei deputati sia stata ripristinata la norma che prevede l'obbligo per i medici di non denunciare i clandestini e che lo si estenda, sotto forma di non necessità dell'esibizione del titolo di soggiorno, anche alle scuole, quindi all'accesso alle prestazioni scolastiche, non significa nulla, considerato il mantenimento - se resta così, come rimarrà - del reato di immigrazione clandestina. Infatti è evidente che - ad esempio, per quanto riguarda le dichiarazioni relative agli atti dello stato civile - tutta quell'attività che qualsiasi persona che si trova sul territorio dello Stato è tenuta a fare per poter essere conosciuta dall'ordinamento, ivi comprese quindi le variazioni residenziali, anagrafiche e quant'altro, è assolutamente inibita allo straniero irregolare: è evidente che l'irregolare che si presenta presso l'ufficiale dell'anagrafe per fare un cambio di residenza determina l'obbligo giuridico da parte dello stesso pubblico ufficiale di denunciarne il reato di clandestinità.

Quindi, anche l'iscrizione all'anagrafe dei minori stranieri figli di irregolari è preclusa e tutto questo produce effetti nefasti sotto il profilo della conoscenza del fenomeno della irregolarità da parte dello Stato e degli organi di polizia; d'altro canto, determina altresì l'assoluta invisibilità di centinaia di migliaia di persone e di bambini, in violazione delle convenzioni internazionali che sono a presidio e a tutela dei diritti del fanciullo. Tutto ciò solo per un approccio ideologico che è palesemente in contrasto con i princìpi fondamentali che regolano la nostra Carta costituzionale.

Questo è uno degli aspetti, quello più evidente e - se mi è consentito - anche il più ridicolo e paradossale che noi troviamo nel pacchetto sicurezza. Si introduce infatti una nuova figura di reato non per perseguire quella condotta illecita, ma per accelerare procedure amministrative che non funzionano ai fini dell'espulsione e per marginalizzare categorie di soggetti che vanno invece conosciuti, per quello che è possibile integrati e per quello che è possibile respinti al di fuori del territorio nazionale. È un sistema che non tiene, è un sistema illogico e irrazionale, è un sistema che introduce un'inutile disparità di trattamento e una profonda diseguaglianza e che aiuta il circuito dell'illegalità e dell'irregolarità per quanto riguarda gli stranieri.

I profili che noi evidenziamo non riguardano solo questo aspetto; ve n'è un secondo - vado rapidamente alle conclusioni - che attiene alle cosiddette ronde. Mi limito a fare una considerazione evidente ed altrettanto ovvia. Le norme previste ai commi da 40 a 44 dell'articolo 3 del testo licenziato dalla Camera sono incostituzionali per due ragioni gravi e fondamentali.

La prima è che l'articolo 117 della Costituzione attribuisce allo Stato in via esclusiva la competenza in materia di tutela dell'ordine e della sicurezza pubblici. Sicché, tutti i soggetti che, anche sotto il profilo dell'attività sussidiaria, collaborano con attività che non sono degli enti locali, ma dello Stato (cioè la tutela della sicurezza pubblica), non possono essere oggetto di una disciplina che attribuisce poteri e facoltà ai sindaci. Non possono cioè essere i sindaci a decidere se fare o non fare le ronde e con chi farle, perché deve essere sempre lo Stato, secondo quanto prevede l'articolo 117; i sindaci possono prevederlo solo ed esclusivamente per le attività di supporto legate alla polizia amministrativa locale.

Con riferimento alle attività collegate alle competenze della polizia amministrativa locale, le ronde possono essere pertanto utilizzate; per quanto riguarda, però, l'attività di supporto alle forze dell'ordine, non può essere il sindaco a deciderne l'utilizzo, l'impiego e le finalità - ancorché nell'ambito di criteri stabiliti dal Ministero dell'interno - perché l'articolo 117 della Costituzione attribuisce questa competenza in via esclusiva allo Stato e per esso, ovviamente, all'Esecutivo e al Ministero dell'interno.

Vi è poi però una seconda ragione dell'incostituzionalità dei due suddetti commi: l'articolo 18 della nostra Costituzione prevede espressamente il divieto di autorizzare e costituire associazioni con finalità militari o paramilitari, di carattere più o meno politico. Nel testo al nostro esame, come dimostrano peraltro i fatti di queste ultime settimane, non vi è alcuna disciplina specifica che vieti, in maniera diretta o indiretta, la possibilità che le cosiddette ronde possano essere costituite come strutture paramilitari e politiche di questa o di quella forza. Ci troviamo così di fronte ad una precisa violazione dell'articolo 18 della Costituzione, con tutte le conseguenze che ne discendono.

Da ultimo, concludo sottolineando che queste disposizioni introducono un sistema che esclude la tutela dei minori non accompagnati nel nostro territorio, costituendo una legislazione speciale in violazione dei diritti fondamentali del fanciullo ed escludendo la possibilità che il neonato possa essere iscritto nei registri dell'anagrafe e che sia soggetto alle stesse tutele previste per tutti gli altri minori, indipendentemente da quale sia la parte del mondo in cui abbia avuto la fortuna - o la sfortuna - di nascere.

Signor Presidente, queste sono le ragioni fondamentali per le quali riteniamo che si sia aggravata la situazione di incostituzionalità di questo provvedimento e che ciò non possa essere tollerato oltre. (Applausi dai Gruppi UDC-SVP-Aut, IdV e PD).

Saluto al Presidente del Comites della Circoscrizione consolare di Rosario (Argentina)

PRESIDENTE. Colleghi, rivolgiamo un saluto al cavalier Carloni, presidente del Comites della Circoscrizione consolare di Rosario, in Argentina, il quale è presente in tribuna. (Applausi).

Ripresa della discussione del disegno di legge n. 733-B (ore 17,24)

PRESIDENTE. Ha chiesto di intervenire il senatore Pardi per illustrare la questione pregiudiziale QP2. Ne ha facoltà.

PARDI (IdV). Signor Presidente, onorevoli colleghi, signori membri del Governo, il provvedimento all'esame, anche dal punto di vista del Gruppo dell'Italia dei Valori, presenta molteplici aspetti d'incostituzionalità.

La questione delle ronde - come sono state definite nel linguaggio corrente - è in aperto contrasto con l'articolo 117 della Costituzione: la disposizione è infatti in contrasto con il principio della responsabilità esclusiva dello Stato nella tutela della sicurezza pubblica. Non può costituire argomento giustificativo la previsione della facoltà di arresto da parte di privati, di cui dall'articolo 383 del codice di procedura penale limitata ad alcuni delitti perseguibili d'ufficio, perché è ipotesi eccezionale che non permette di essere allargata.

Vi è una perplessità di ordine generale sull'idea delle ronde come corpo specializzato paramilitare che non può essere giustificato dalla finalità prevista nella norma di «segnalare alle Forze di polizia dello Stato o locali, eventi che possano arrecare danno alla sicurezza urbana ovvero situazioni di disagio sociale». Mi soffermo un attimo sull'uso del termine «disagio sociale» perché introduce un elemento di indeterminatezza che rispecchia la genericità complessiva del provvedimento. Che vuol dire: «disagio sociale»? Questo termine può avere un senso attivo o passivo; se lo si considera sotto i due profili, appare manifestamente diverso e contrastante. L'idea che la ronda possa giudicare, nell'attività che svolgerà in strada, in merito ad un disagio sociale implica un criterio di conoscenza sociologica e di interpretazione della realtà che sfugge all'immaginazione.

Il comma 41 dell'articolo 3 prevede l'iscrizione delle associazioni in questione in un apposito elenco tenuto a cura del prefetto, previa verifica da parte dello stesso, sentito il comitato provinciale per l'ordine e sicurezza pubblica. Tale iscrizione non si configura come un'autorizzazione amministrativa, ma come una verifica della corrispondenza tra i requisiti stabiliti nel decreto ministeriale e quelli posseduti dall'associazione. Non si determina un effettivo controllo sull'attività svolta effettivamente dall'associazione.

Nel presente disegno di legge manca, inoltre, la previsione che le associazioni non debbano avere né natura né finalità di ordine politico, in considerazione del divieto, posto dall'articolo 18, secondo comma, della Costituzione, di costituire associazioni che, anche indirettamente, perseguono scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare. È infatti già in atto la presentazione al pubblico di ronde che si autorappresentano attraverso uniformi. Si profila un'organizzazione di tipo gerarchico, che ha un'analogia con l'organizzazione militare e che è rafforzata dall'uniforme. Si potrebbe persino ironizzare sugli stilisti delle uniformi che si stanno già manifestando sulla scena.

Nel provvedimento manca poi l'indicazione di ogni requisito negativo che proibisca la partecipazione alle ronde a soggetti che sono stati condannati per reati di violenza o compimento di atti di discriminazione per motivi razziali, etnici o religiosi.

La convinzione è che la genericità delle previsioni relative alla configurazione complessiva delle ronde, contenuta in questo disegno di legge, potrà più facilmente incrementare il rischio di incidenti, piuttosto che sollevare il compito delle forze dell'ordine. Molto più prevedibilmente costituirà un aggravio del lavoro delle forze dell'ordine perché le distoglierà dai compiti effettivamente loro attribuiti, inevitabilmente aggravando anche il carico di lavoro della magistratura.

Il secondo punto di forte criticità relativo a questo provvedimento riguarda la questione dell'ingresso e del soggiorno illegale nel territorio dello Stato. Con la disposizione di cui al comma 16 dell'articolo 1 diventa reato non solo l'ingresso illegale, ma anche la permanenza sul territorio. Tale misura è incompatibile con l'articolo 24 della Costituzione.

La norma si presta ad una pluralità di osservazioni critiche che hanno, come punto di partenza, la constatazione dell'eccezionale aggravio che la sua introduzione comporterebbe per l'attività giudiziaria in generale. Una contravvenzione punita con una pena pecuniaria non appare prevedibilmente efficace per chi è spinto ad emigrare da condizioni disperate. Quindi, da questo punto di vista, la misura non dà alcuna garanzia di efficace soluzione del problema. Né il provvedimento appare idoneo a conseguire l'intento di evitare la circolazione nel nostro Paese di stranieri entrati irregolarmente, poiché già la normativa vigente, in base al combinato disposto degli articoli 13 e 14 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, consente alle autorità amministrative competenti di disporre l'immediata espulsione. Di fronte a questo, pare ragionevole la previsione di un aggravio per l'amministrazione della giustizia.

Sul terzo punto di criticità, quello relativo alla inidonea e incongrua copertura finanziaria, interverrà il collega Li Gotti. Comunque, anche in questo caso, la norma è in forte contrasto con la Costituzione, in particolare con l'articolo 81.

L'articolo 1, comma 15 del provvedimento - quarto punto di criticità - impone la presentazione di un documento che attesti la validità del soggiorno da parte dello straniero che chiede di contrarre matrimonio in Italia. Si preclude direttamente la possibilità di creare una famiglia e quindi si rende più difficile la possibilità dell'integrazione, in palese violazione dell'articolo 29 della Costituzione.

L'articolo 1, comma 18 - quinto punto di criticità - subordina l'iscrizione e le eventuali variazioni anagrafiche alla verifica, da parte dei competenti uffici comunali, delle condizioni igienico-sanitarie degli immobili abitati da soggetti richiedenti. La residenza è il fondamento di numerose e irrinunciabili prerogative e diritti riconosciuti. Il dispositivo proposto contrasta pertanto con gli articoli 2 e 3 della Costituzione.

L'articolo 1, comma 22, lettera g), del disegno di legge - sesto punto di criticità - interviene sull'impianto dell'articolo 6 del Testo unico sull'immigrazione, rendendo obbligatoria l'esibizione del permesso di soggiorno per ottenere il rilascio di licenze, autorizzazioni e iscrizioni ed altri atti amministrativi. Tra questi anche l'iscrizione all'anagrafe per i bambini figli di extracomunitari non in possesso di regolare permesso di soggiorno. Tale disposizione appare lesiva dei diritti di soggetti particolarmente deboli come i minori e contrasta in maniera evidente e palese con l'articolo 3 della Costituzione e con la Convenzione dell'ONU sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza.

L'articolo 1, comma 22, lettera l) - settimo punto di criticità - dispone di estendere a 180 giorni il periodo massimo di trattenimento nei centri di identificazione ed espulsione. Tale estensione è vincolata anche alla collaborazione ed alla effettiva capacità collaborativa del Paese di origine dello straniero. Ne discende un'aporia logica, perché il comportamento dell'immigrato potrebbe essere vincolato sia alla propria volontà di mantenersi nella sua condizione sia all'incapacità dello Stato di provenienza di documentare la sua situazione. Ma secondo la direttiva 2008/115/CE del 16 dicembre 2008 la resistenza all'identificazione legittima il trattenimento, i ritardi nell'ottenimento della documentazione legittimano solo il prolungamento della permanenza.

Inoltre, l'attribuzione al giudice di pace della competenza relativa alla proroga del trattenimento appare anomala perché si tratta di provvedimento che è inerente alla materia della privazione della libertà personale e appare fuori luogo attribuire il carico di un argomento di così vitale importanza ad un magistrato che non ha la stessa configurazione giuridica del giudice professionale.

Ci sono altri elementi di irragionevolezza e indeterminatezza e questi contrastano con il criterio di ragionevolezza delineato dall'articolo 3 della Costituzione. Ad esempio, il riferimento al rimpatrio non è univoco, confondendosi il rimpatrio dei rifugiati e vittime della tratta, l'espulsione e il respingimento alla frontiera. La lettera t) del comma 22 dell'articolo 1 sembra arrivare ad impedire il ricongiungimento del genitore naturale con il minore, nel caso in cui l'altro genitore sia deceduto o sconosciuto.

Tutti questi elementi concorrono a determinare un quadro in cui appare fondamentale, nella logica del provvedimento, l'impostazione lesiva della dignità umana e dei diritti e delle libertà civili che contrasta con lo spirito proclamato dalla Costituzione repubblicana e quindi, in base a questo, il Gruppo dell'Italia dei Valori oppone il suo più fermo giudizio contrario. (Applausi dal Gruppo IdV).

Sull'ordine dei lavori

PRESIDENTE. Prima di procedere, informo l'Aula che la Presidenza ritiene che, alla luce degli iscritti a parlare in tema di illustrazione delle questioni pregiudiziali, non possa essere effettuata alcuna operazione di voto sulle questioni stesse. Tale voto avverrà nella seduta antimeridiana di domani.

Dico questo per l'organizzazione dei lavori di ogni singolo senatore.

In serata, quindi, atteso il numero degli iscritti a parlare, non vi sarà alcun voto sulle questioni pregiudiziali.

PORETTI (PD). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PORETTI (PD). Mi scusi. Lei prevede i tempi di intervento di ciascun senatore? Cioè, lei sa già che tutti intervengono per dieci minuti?

PRESIDENTE. Questa è la presunzione. Ci sono state anche delle informali consultazioni con i Gruppi; quindi, non è la semplice volontà del Presidente, ma è volontà condivisa.

PORETTI (PD). È la volontà di mandare tranquillamente a casa i senatori della maggioranza. Mi sembra abbastanza evidente.

PRESIDENTE. No, senatrice, non nasce da questa esigenza.

PORETTI (PD). Lo sappiamo tutti.

PRESIDENTE. La Presidenza non si sarebbe concessa questa gratuità per accontentare la maggioranza e liberare l'Aula.

La Presidenza si è fatta carico di realizzare le opportune intese con tutti i Gruppi, senatrice Poretti.

MARITATI (PD). Questa è la conseguenza.

Ripresa della discussione del disegno di legge n. 733-B (ore 17,39)

PRESIDENTE. Ha chiesto di intervenire il senatore Li Gotti per illustrare la questione pregiudiziale QP3. Ne ha facoltà.

LI GOTTI (IdV). Signor Presidente, l'articolo 1, comma 16, del disegno di legge che noi ci apprestiamo ad approvare introduce nell'ordinamento il reato di immigrazione clandestina e permanenza illegale, a titolo di reato contravvenzionale, ossia è punito non solo l'ingresso irregolare ma anche il soggiorno illegale nel territorio dello Stato.

I commi da 30 a 32 dell'articolo 1, si preoccupano di quantificare gli oneri recati dall'introduzione del nuovo duplice reato. (Brusìo).

PRESIDENTE. Colleghi, coloro i quali non sono interessati possono lasciare l'Aula.

LI GOTTI (IdV). Ovviamente, la quantificazione dei costi e quindi la necessaria copertura finanziaria per questa duplice fattispecie di reato deve essere rapportata alla platea dei destinatari della norma.

Originariamente, come lei, signor Presidente, e gli altri colleghi ricorderanno, l'ipotesi di reato era quella di ingresso illegale e si quantificavano in 54.000 gli ingressi illegali annui nel nostro Paese, sulla base dei dati statistici degli anni precedenti. Si assumeva che l'effetto dissuasivo della norma - ma la sanzione all'epoca era quella della reclusione da sei mesi a quattro anni, ora invece è quella dell'ammenda da 5.000 a 10.000 euro - avrebbe avuto un'incidenza del 10 per cento, ossia i 54.000 autori della condotta di ingresso illegale, per l'effetto dissuasivo della sanzione, si sarebbero ridotti a 49.050 unità.

Presidenza della vice presidente MAURO (ore 17,41)

(Segue LI GOTTI). Sulla base di questo numero, è stata approntata la copertura finanziaria, dal momento che il Governo, nella relazione tecnica, ha stimato che ogni processo avrebbe avuto un costo di 650 euro, determinato dal gratuito patrocinio, dall'interprete e accessori vari. Quindi, moltiplicando 650 euro per 49.050, ossia il numero dei destinatari della norma, si arrivava alla copertura di 33 milioni di euro.

Poi, però, si è deciso che il reato comprendesse, oltre all'ingresso illegale (di cui si sarebbero rese responsabili, secondo le stime statistiche, 49.050 unità), anche il soggiorno illegale. Tuttavia, la copertura è rimasta la medesima, pur essendo cambiata la platea dei destinatari della norma, cioè dei soggetti processabili. (Brusìo).

I dati forniti dal Ministero dell'interno per assumere la congruità della copertura finanziaria indicano...

RUSSO (IdV). Presidente, Presidente, richiami all'ordine l'Aula! (Commenti dal Gruppo PdL).

PRESIDENTE. Calma, non mi sembra che sia la prima volta che si verifica una situazione di questo tipo. Comunque, sono contenta che vi autodiscipliniate, anche perché la campanella non la sentite. Prego, senatore Li Gotti, continui pure.

LI GOTTI (IdV). Allora, la relazione tecnica assume... (Brusio).

PRESIDENTE. Colleghi, però non si deve perseverare! Per cortesia, consentite al senatore Li Gotti di svolgere il suo intervento.

LI GOTTI (IdV). Sto per denunziare un fatto gravissimo, ossia un falso ideologico commesso dal Ministero dell'interno! E allora state a sentire, perché ve lo dimostro carte alla mano! (Applausi dal Gruppo IdV).

Il Ministero dell'interno ha stimato e ha dichiarato nella relazione tecnica che il numero degli ingressi illegali, in base ai dati statistici, è di 54.000 unità, e questo lo sappiamo; ma ha altresì dichiarato che il numero dei soggiornanti illegalmente nel nostro Paese è di 3.660 persone, e questo è un falso! È un falso perché il documento redatto dal Ministero dell'interno, intitolato «1° Rapporto sugli immigrati in Italia», assume che gli stranieri irregolari nel nostro Paese sono 760.000. In base a quale documento il Ministero dell'interno ha potuto fornire il dato falso, secondo cui gli irregolari nel nostro Paese sono 3.660, visto che un documento ufficiale, cioè il Rapporto del Ministero dell'interno sull'immigrazione, alla pagina 325 parla di 760.000?

Questa relazione tecnica, contenente un dato falso, è stata fornita alla Ragioneria generale dello Stato. In essa si dice altresì che la norma comporta oneri connessi al patrocinio a spese dello Stato quantificabili in relazione alla platea degli imputati astrattamente interessati, cioè 51.894 soggetti (54.000 ingressi illegali più 3.660 soggiorni illegali, per un totale di 57.660 casi su cui scontare un effetto dissuasivo pari al 10 per cento: appunto, 51.894).

I dati relativi al numero di ingressi illegali, nonché quelli relativi al numero di soggiorni irregolari sono stati comunicati dal Ministero dell'interno-Dipartimento della pubblica sicurezza; la relazione presentata alla Ragioneria è redatta dal Ministero dell'interno e fa riferimento al documento del Dipartimento della pubblica sicurezza, ma tale documento parla di 760.000 unità. Come fa il Ministero dell'interno a parlare di 3.660?

Si è detto un falso per giustificare una inadeguatissima copertura finanziaria, stimata in 33 milioni di euro, mentre ci vogliono 600 milioni di euro, ossia 650 euro, quanto secondo il Ministero viene a costare ogni singolo processo, moltiplicati per la platea dei processabili.

Rispondete allora con chiarezza su questo punto. L'ho sollevato in Commissione, e il sottosegretario Mantovano non ha voluto rispondere. Ho reiterato la richiesta in Commissione: silenzio assoluto. Lo pongo in quest'Aula, perché vi è il presidio dell'articolo 81 della Costituzione, per cui ogni disegno di legge deve avere la copertura finanziaria. (Applausi dal Gruppo IdV). E non essendovi la copertura finanziaria sulla base dei dati che lo stesso Ministero dell'interno ha fornito, chiedo che il Senato, ai sensi dell'articolo 93 del Regolamento, non proceda all'esame dell'Atto Senato n. 733-B. (Applausi dai Gruppi IdV e PD).

PRESIDENTE. Ha chiesto di intervenire il senatore Casson per illustrare la questione pregiudiziale QP4. Ne ha facoltà.

CASSON (PD). Signora Presidente, signori del Governo, signori senatori, sono diverse le disposizioni di questo provvedimento che generano rilevanti perplessità, sia di ordine costituzionale, sia di ordine politico. Non è un caso che in prima lettura in quest'Aula il Governo sia stato battuto per ben tre volte: questo è stato un segno dei forti contrasti all'interno della maggioranza sulle norme che riguardano le cosiddette ronde, i centri di identificazione e di espulsione e le norme in materia di immigrazione.

È un segno, questo, della pericolosità di alcune norme che sono state approvate alla Camera dei deputati e che ci vengono riproposte in quest'Aula. Non è un caso che, proprio per superare questi forti contrasti all'interno della maggioranza, presso la Camera dei deputati siano stati imposti - sottolineo: imposti - tre voti di fiducia, così come si parla anche quest'oggi della imposizione del voto di fiducia in Senato, anche per l'ulteriore passaggio di questo disegno di legge, esclusivamente per problemi vostri, per problemi di questa maggioranza.

Viene quasi da parlare di voti di scambio, proprio per questo scambio di voti di fiducia. La Lega Nord che cede sulle intercettazioni telefoniche e da parte sua, il PdL, per non essere da meno, che cede in tema di sicurezza.

Ma di quale sicurezza state parlando? Qual è davvero la vostra priorità? Mentre voi parlate teoricamente di lotta alla criminalità, presentate in Commissione giustizia di questo Senato - e ne stiamo discutendo da oggi - di un disegno di legge in materia di intercettazioni telefoniche che è un disegno di legge criminale, perché favorisce i delinquenti, i criminali (Applausi dal Gruppo PD) ed è un disegno di legge liberticida nei confronti della libertà di stampa.

E ora decidetevi, signori del Governo e della maggioranza: chi volete tutelare? I delinquenti o i cittadini? E ora ci venite a proporre con questo disegno di legge l'istituzione delle cosiddette ronde. Propaganda. È soltanto propaganda. Credo che qualcuno, dai banchi del Governo e della maggioranza, non si sia reso conto, non si renda conto a che cosa si sia data la stura. Basta leggere le cronache di queste ultime settimane: si è parlato di "ronde nere" a proposito di quell'associazione milanese che aveva dotato i propri associati di materiale e di divise di stampo militaresco e di emblemi nazifascisti; si è temuta la costituzione, in certe zone dell'Italia del Sud, di gruppi di cittadini assoldati dalla criminalità organizzata; ci sono stati scontri a Padova tra ronde padane ed esponenti dei centri sociali; abbiamo assistito, in questi ultimi giorni, a ex militanti della Lega, appartenenti alla LIFE, con divise paramilitari e cani poliziotto al guinzaglio.

È successo, sempre in questi giorni, addirittura che si siano verificati scontri e accuse pesanti tra due Ministri di questo Governo e assessori della Giunta regionale friulana, di destra, della stessa maggioranza, in materia di polizia locale, di presidio di territorio e di ronde; con l'aggravante, per di più, che abbiamo i poliziotti, sempre più spesso chiamati a far da guardia, anche nottetempo, alle ronde, per evitare che queste combinino guai o creino disordini: poliziotti che vengono così distolti dai loro compiti istituzionali. Ma invece di far perdere tempo alla Polizia e ai Carabinieri, signori del Governo, pensate piuttosto di dotarli di mezzi e strumenti per operare al meglio! Stanziate risorse finanziarie pari almeno alle tante vostre parole! (Applausi dal Gruppo PD).

Guardate, signori del Governo e della maggioranza, che in fase di prima lettura abbiamo già evitato un grosso rischio. Ricordo che inizialmente il testo del vostro disegno di legge parlava sic et simpliciter di ronde, senza vietare l'uso di armi e con compiti anche di presidio del territorio. Di fronte alla nostra preoccupata segnalazione di pericolo sociale ed istituzionale che ciò comportava, in Commissioni 1a e 2a riunite, Governo e maggioranza ci hanno risposto picche: hanno approvato ronde tacitamente armate con compiti di presidio del territorio. Una cosa istituzionalmente da pazzi, perché venivano così legittimate bande armate paramilitari sul territorio, dell'uno o dell'altro partito, dell'una o dell'altra organizzazione criminale, in spregio anche all'articolo 18 della Costituzione. Per buona sorte, in occasione del primo passaggio in Aula del Senato, per resipiscenza del Governo e per lucida tenacia dell'opposizione, il peggio veniva scongiurato.

Ora però la cronaca, i duri fatti ci danno ragione anche sulla parte restante delle nostre critiche. I duri fatti vengono a confermare tutte le nostre preoccupazioni. E badate bene che a legislazione vigente i sindaci e le varie amministrazioni locali sarebbero e sono benissimo in grado di intervenire a tutela dei cittadini: l'esperienza dei Comuni di Milano, Bologna, Padova ed altri Comuni del Veneto lo sta a confermare. Invece, le norme sulle cosiddette ronde che si dovrebbero approvare stravolgono il tessuto istituzionale e costituzionale e, non a caso, sono fortemente contestate anche dagli operatori della sicurezza, proprio per la loro pericolosità. Le norme odierne rischiano di assegnare a privati la titolarità di funzioni in un ambito, quale quello della gestione dell'ordine pubblico e della tutela della pubblica sicurezza, che costituisce un'attribuzione tipica ed esclusiva dell'istituzione statuale, proprio perché tali delicatissime funzioni a garanzia dell'incolumità e della libertà di tutti devono essere esercitate nel pieno rispetto della legge e con il massimo grado di imparzialità, professionalità, proporzionalità ed adeguatezza e nel rispetto dei diritti dei cittadini che solo l'autorità di pubblica sicurezza può pienamente garantire.

Le norme oggi in esame sono chiaramente incompatibili con il principio del nostro ordinamento che assegna allo Stato il monopolio della forza, affinché questa venga esercitata nelle forme previste dalla Costituzione e dalla legge, a tutela dell'incolumità e della sicurezza delle persone e nel rispetto della dignità della persona, dell'uguaglianza dei diritti e delle libertà di tutti. Si tratta di un principio generale dell'ordinamento che trova esplicito riconoscimento nel testo costituzionale, che autorizza soltanto la pubblica autorità all'utilizzo legittimo di ogni forza di coercizione fisica.

Infine, ricordo come le norme di cui ai commi 40 e seguenti dell'articolo 3 non sanciscano espressamente il carattere non violento di tali associazioni ma solo il fatto che quanti ne fanno parte non siano armati. Nulla esclude perciò, come in qualche caso è già successo, che le cosiddette ronde, magari perché ispirate ad opposte ideologie politiche, possano venire alle mani o che talune di esse possano compiere atti squadristi di aggressione o di mortificazione nei confronti di soggetti ad esse invisi, come, per esempio, gli immigrati, e che la loro stessa esistenza possa essere interpretata come un segno di debolezza delle forze di polizia e finisca per generare sfiducia nelle istituzioni; che insomma queste cosiddette ronde si trasformino in fattori di insicurezza e disordine pubblico, alla faccia della da voi tanto conclamata esigenza di sicurezza.

Per queste considerazioni, chiediamo che il Senato deliberi di non procedere all'esame delle norme del disegno di legge n. 733-B. (Applausi dal Gruppo PD).

PRESIDENTE. Ha chiesto di intervenire il senatore Carofiglio per illustrare la questione pregiudiziale QP5. Ne ha facoltà.

CAROFIGLIO (PD). Signora Presidente, il suggerimento che la coscienza fornirebbe sarebbe quello di manifestare ancora una volta indignazione per molte delle norme contenute nel testo di legge sul quale alcune voci, non so se fondate, riferiscono che andremo domani ancora una volta a votare la fiducia. Credo però che proprio in un momento come questo, anche per via dell'uditorio "molto numeroso", ci si debba attenere alle questioni tecniche di cui la tematica in discorso è costellata. In particolare, mi occuperò di una questione pregiudiziale di costituzionalità dell'articolo 1, comma 22, lettera l), del testo di cui parliamo.

Tale norma dispone l'estensione del termine massimo del trattenimento dello straniero nei centri per l'identificazione e l'espulsione da due a sei mesi (sia detto per inciso che si tratta di una durata di detenzione sostanziale comminata, nella sostanza dei fatti, anche per reati di cospicua gravità, come ad esempio il furto aggravato) per i casi di mancata cooperazione al rimpatrio del Paese terzo interessato o ritardi nell'ottenimento della necessaria documentazione dai Paesi terzi.

In proposito, è stata evocata a sostegno di tale impostazione la direttiva comunitaria 2008/115/CE, ma si tratta di un'evocazione impropria perché la disposizione in questione sancisce il carattere di extrema ratio della detenzione e la colloca all'esito di una sequenza di ipotesi di riduzione della libertà personale caratterizzate dal principio di proporzionalità. Il punto 16 dei considerando della direttiva in discorso afferma infatti testualmente che «il ricorso al trattenimento ai fini dell'allontanamento dovrebbe essere limitato e subordinato al principio di proporzionalità con riguardo ai mezzi adottati e agli obiettivi perseguiti. Il trattenimento è giustificato soltanto per preparare il rimpatrio o effettuare l'allontanamento e se l'uso di misure meno coercitive è insufficiente». In maniera implicita, ma fortissima, tale disposizione allude alla necessità di una graduazione di misure e alla predisposizione anche di misure meno coercitive, di cui non vi è traccia nel provvedimento oggi in esame.

L'articolo 15 della direttiva in questione dispone inoltre il ricorso al trattenimento solo nei casi in cui non possono «essere efficacemente applicate altre misure sufficienti ma meno coercitive» e precisa altresì che questa forma di detenzione - di questo si tratta - può essere praticabile solo se «il cittadino del Paese terzo evita od ostacola la preparazione del rimpatrio o dell'allontanamento» (che è un concetto ben diverso da quello di mancata cooperazione, come sa bene chiunque abbia una qualche dimestichezza con le norme).

La norma in esame non prevede alcuna misura alternativa alla detenzione, la quale resta di fatto l'unica misura prevista, senza che sia possibile valutare l'efficacia e la sufficienza di misure meno coercitive.

Infine, questa norma, disponendo la possibile estensione a centottanta giorni del periodo di trattenimento, determina, in violazione dell'articolo 3 della Costituzione (questo è il punto tecnico della questione pregiudiziale), una irragionevole discriminazione fra stranieri di provenienza diversa, poiché stabilisce che la durata maggiore o minore della detenzione sia di fatto condizionata arbitrariamente dalla maggiore o minore efficienza burocratica dei diversi Paesi di origine. Pertanto, un cittadino di Stato terzo proveniente da un Paese maggiormente arretrato potrebbe subire, solo a causa di questa condizione, una detenzione pari ad un tempo superiore del doppio ed in alcuni casi addirittura del triplo rispetto a quello ordinariamente stabilito.

È per tali motivi, e per il chiaro contrasto con la disposizione dell'articolo 3 della Costituzione, che noi chiediamo che il Senato non proceda all'esame del disegno di legge n. 733-B. (Applausi dal Gruppo PD. Congratulazioni).

PRESIDENTE. Ha chiesto di intervenire il senatore Maritati per illustrare la questione pregiudiziale QP6. Ne ha facoltà.

MARITATI (PD). Signora Presidente, prima di illustrare la questione pregiudiziale QP6, credo sia opportuno ricordare, ancora una volta, il modo di lavorare di questa Assemblea. L'annuncio effettuato dal presidente Schifani, che poi si è allontanato, è del tutto legittimo; in sostanza, però, esso determina lo svuotamento dell'Aula: anche questo è legittimo, ma è evidentemente un piccolo ulteriore passo verso lo svuotamento dell'attività democratica dell'Assemblea. Lei pure, signora Presidente, è poco interessata a quanto sto dicendo: almeno lei, signora Presidente, mi segua.

La questione pregiudiziale QP6 al disegno di legge in esame si riferisce in particolare all'articolo 1, comma 25. Esso subordina il rilascio (e il rinnovo) del permesso di soggiorno alla stipula di un "accordo di integrazione" tra straniero e Stato, in cui il primo si impegna a conseguire obiettivi di integrazione non meglio specificati. All'interno dell'articolo, infatti, non viene detto in modo particolareggiato cosa debba intendersi per avvenuta integrazione, nel rispetto e nel perseguimento degli obiettivi di cui all'accordo. Tale imprescindibile prescrizione dovrà essere definita da un regolamento. Vedremo appresso quali saranno gli effetti normativi del ricorso a questo strumento.

Lo stesso articolo 1 dispone che la perdita integrale dei crediti determina l'espulsione immediata dello straniero, peraltro non sospendibile neppure qualora egli ricorra in giudizio avverso il provvedimento espulsivo. Al comma 25 dell'articolo in discussione leggiamo testualmente: «Ai fini di cui al presente testo unico, si intende con integrazione quel processo finalizzato a promuovere la convivenza dei cittadini italiani e di quelli stranieri, nel rispetto dei valori sanciti dalla Costituzione italiana, con il reciproco impegno a partecipare alla vita economica, sociale e culturale della società».

Ebbene, colleghi (mi rivolgo a quelli interessati), vi sembra logico che il perseguimento di tali obiettivi sia posto a carico del povero straniero che stipula l'accordo e si impegna a rispettare gli obiettivi stessi? In caso di mancato rispetto o mancata realizzazione di questi alti obiettivi, da ogni punto di vista, ne consegue l'espulsione e non è neppure dato sapere se l'espulsione seguirà per fatto colpevole o incolpevole.

Sotto il profilo della legittimità comunitaria, il comma in questione si mostra incompatibile con l'articolo 5 della direttiva 2003/109/CE della Comunità europea, nella misura in cui esso limita la facoltà (giammai l'obbligo) degli Stati di subordinare alla verifica dell'integrazione dello straniero la sola concessione del permesso di soggiorno per lungo periodo. Nel periodo lungo ha un senso parlare di integrazione, e infatti esso comporta uno stato di maggior favore rispetto al permesso di soggiorno ordinario, verso il quale il richiamo del concetto di integrazione a me sembra fuori luogo. Al contrario, si evince che, in relazione alla concessione del permesso di soggiorno ordinario, non è in facoltà degli Stati subordinare tale diritto soggettivo ad una situazione come quella dell'avvenuta integrazione, tanto più che tale situazione non dipende, se non in minima parte, dalla volontà e dal comportamento del soggetto istante. Ciò sfugge al legislatore o alla maggioranza.

E, che si tratti di un diritto soggettivo dell'istante, lo si evince dalla incontestabile circostanza che la legittima aspettativa dell'immigrato a poter soggiornare in uno Stato trova la sua più forte e profonda legittimazione nel diritto naturale, che riconosce ad ogni persona il diritto a trasferirsi, per ragioni non certo illecite, ma addirittura in ragione di un'impellente necessità (quale può essere la fame o la guerra, che generalmente caratterizzano le motivazioni di un'onda così immane dal punto di vista storico della migrazione che stiamo vivendo), da un territorio all'altro e da uno Stato ad un altro.

Tale assunto sembra trovare conforto, nel nostro sistema, anche nelle decisioni della Corte costituzionale, che in alcuni provvedimenti in materia propende infatti per la qualificazione di diritto soggettivo e non per quella di interesse legittimo tout court, con la conseguenza di una impossibilità, per l'autorità amministrativa, a condizionare il riconoscimento di tale diritto alla sussistenza della dimostrazione dell'avvenuta integrazione del migrante, con la necessità - insisto sul punto - di dover definire cosa intendiamo, in rapporto a simili contesti, con il termine «integrazione» nell'ambito sociale.

Inoltre, appare incompatibile, con il diritto internazionale, e in particolare con la Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU), nonché con la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, subordinare il rilascio del permesso di soggiorno (e quindi condizionare il diritto all'emigrazione) alla valutazione (necessariamente discrezionale), da parte dell'autorità amministrativa, del grado di integrazione del soggetto. È infatti evidente che l'integrazione costituisce un percorso complesso, che nessuna autorità amministrativa potrebbe giudicare con precisione se non fornendo pareri del tutto arbitrari e quindi inevitabilmente discriminatori.

A ciò si aggiunga che la legge non stabilisce né il criterio sulla cui base tale valutazione deve condursi, né quali fatti determineranno la perdita dei crediti, ma rinvia tutto ad un regolamento governativo: lascia dunque che sia una fonte secondaria a normare un diritto soggettivo. Ciò comporta una palese violazione dell'articolo 10, secondo comma, della Costituzione, che sancisce una riserva di legge (peraltro rinforzata) in materia di disciplina della condizione giuridica dello straniero. Ed è evidente che tale riserva non è soddisfatta se la disciplina effettiva della condizione dello straniero (gli atti che determinano la perdita dei crediti, i criteri di valutazione dell'integrazione e così via) è rimessa integralmente alla fonte regolamentare.

Infine, la norma appare contrastare con il diritto internazionale e con la protezione accordata dall'articolo 10 della Costituzione agli asilanti, nella misura in cui non esclude - questo è un aspetto importantissimo - dalla possibilità di espulsione i titolari di protezione umanitaria, i rifugiati e gli asilanti. Del tutto irrilevante appare la circostanza che attiene alla persistente mancanza nel nostro Paese di una normativa precisa, completa ed adeguata in merito al diritto di asilo. Resta infatti indiscutibile la natura del diritto soggettivo all'asilo, come riconosciuto dalla Costituzione, così che l'entrata in vigore della norma in discussione comporterebbe, e comporterà, una evidente violazione dell'articolo 10 della nostra Costituzione, impedendo in questi casi completamente - come si sta ampiamente verificando: è sufficiente pensare al respingimento dei barconi in Libia - 1'esercizio del diritto di asilo a coloro che ne potrebbero beneficiare.

Per queste ragioni, ai sensi dell'articolo 93 del Regolamento, chiediamo di non procedere all'esame del disegno di legge n. 733-B in esame. (Applausi dal Gruppo PD).

PRESIDENTE. Ha chiesto di intervenire la senatrice Incostante per illustrare la questione pregiudiziale QP7. Ne ha facoltà.

INCOSTANTE (PD). Signora Presidente, membri del Governo, nell'illustrare - anche se in quest'Aula semideserta - le questioni pregiudiziali, e in particolare quella relativa alla modifica dell'articolo 6, comma 2, del testo unico sull'immigrazione, voglio soffermarmi su alcuni elementi che, a nostro avviso, sono non solo incostituzionali, ma direi anche gravi dal punto di vista della civiltà, non solo giuridica, ma dei comportamenti di un Paese e di una Nazione civile.

In particolare, il citato articolo 6, comma 2, nel precedente testo, prevedeva che, per quanto concerne i provvedimenti riguardanti attività sportive e ricreative a carattere temporaneo e gli atti di stato civile o l'accesso ai pubblici servizi, i cittadini erano esonerati dall'esibizione del permesso o della carta di soggiorno agli uffici della pubblica amministrazione e che soltanto per quanto riguarda il rilascio di licenze, autorizzazioni ed altri provvedimenti di loro interesse dovevano esibire questo premesso.

Questo comma è stato modificato: il risultato è che per rivolgersi agli uffici dello stato civile, e quindi per avere i servizi relativi, o per accedere ai pubblici servizi bisogna avere ed esibire il permesso di soggiorno, fatte salve, si dice, le prestazioni sanitarie - sappiamo anche quante polemiche sono state fatte in proposito, con vari cambiamenti - e le prestazioni scolastiche obbligatorie. È evidente che questo tipo di previsione contrasta con la nostra Costituzione in molti suoi aspetti e con le convenzioni internazionali, in particolare con quella dell'ONU per quanto riguarda i diritti dell'adolescenza.

Ci troviamo di fronte ad alcuni paradossi, giuridici e civili: la violazione degli articoli 29, 30 e 31 della Costituzione, relativi ad esempio al diritto di contrarre matrimonio, al dovere dei genitori di mantenere i figli e al diritto di essere registrati immediatamente al momento della nascita.

Presidenza del vice presidente CHITI (ore 18,14)

(Segue INCOSTANTE). Le disposizioni si pongono in contrasto con la costante giurisprudenza della Corte costituzionale e con tutte le previsioni che ho citato, nonché, appunto, con molte convenzioni internazionali. Ma io mi domando: se la sicurezza è - e lo è davvero - una delle preoccupazioni nella testa dei nostri cittadini, se è una questione di rilevanza nazionale e internazionale sulla quale è giusto intervenire e dare risposte adeguate alla complessità dei fenomeni, e se questi fenomeni hanno una dimensione sociale, politica e geopolitica molto complessa, la risposta può davvero essere questa? Può essere quella di vietare ad una donna, in realtà in modo molto chiaro e netto, anche se non dal punto di vista della previsione giuridica, di partorire in un ospedale perché non sa quale fine farà il proprio figlio, perché non può dichiararlo, perché probabilmente verrà strappato ai genitori, alla madre e al padre, perché suo figlio sarà - come è stato detto - un figlio invisibile? Che c'entra questo con il contrasto ai fenomeni della clandestinità? Che c'entra questo con il governo dei flussi migratori? Quale Paese civile pensa di arrivare a queste aberrazioni giuridiche e sociali?

Credo che dovremmo riflettere molto approfonditamente, perché la complessità di questi fenomeni non ha mai trovato il Partito Democratico in un atteggiamento minimalista o riduttivo nel voler affrontare, governare e anche contrastare alcuni aspetti degli stessi. Ma noi non possiamo trovarci di fronte a questi paradossi. L'impossibilità di contrarre matrimonio, come tutti sanno, è un elemento non relativo alla cittadinanza ma che riguarda i diritti fondamentali; non possiamo trovarci di fronte a questa violazione che riguarda le persone, gli esseri umani, al di là di ogni politica di contrasto sulla quale pure abbiamo espresso, con i nostri emendamenti, delle posizioni molto ferme, dando un contributo anche in questa direzione.

Su questi temi un Paese civile trova la strada per unire sicurezza e diritti; trova la strada per governare fenomeni complessi. La prima strada avrebbe dovuto essere quella di rivedere la legge Bossi-Fini, per la quale migliaia e migliaia di questi bambini, di queste donne, di questi uomini possono trovarsi esposti continuamente alla precarietà della loro vita e del loro futuro, perché da un momento all'altro, con la scadenza del permesso di soggiorno, diventano clandestini.

Immaginate quale sicurezza potranno avere questi bambini, quale prospettiva per il futuro della loro vita, della loro salute; pensate quali pregiudizi possiamo creare ad esseri umani verso i quali un Paese civile è obbligato a dare risposte, pur se deve affrontare con una mano ferma, dal punto di vista dei temi che riguardano la clandestinità, i fenomeni connessi criminali: sicuramente con una mano ferma, dando un aiuto alle forze dell'ordine. Ma voi non avete fatto altro che sbandierare paure e mettere in campo ricette che sono inefficaci, addirittura inutili e molto spesso dannose; dannose dal punto di vista giuridico per l'ambiguità e la violazione dei diritti.

Pensate che questa nuova formulazione è così ambigua che non si capisce per esempio nemmeno, quando si muore, se si potrà andare a dichiarare la morte presso lo stato civile se non si ha il permesso di soggiorno; pensate a quale aberrazione giuridica e della vita reale state portando molti territori che sono pieni di queste presenze, e pensate cosa state facendo a tanti bambini, a tante donne, a tante famiglie. Questo è davvero molto grave.

L'Italia è un Paese civile. Oggi nel mondo 50 milioni di bambini non sono registrati: fanno parte dei Paesi sottosviluppati. Cosa vogliamo fare come Paese civile? Metterci sulla stessa strada? Credo che, per le ragioni che ho esposto, per i motivi e le complessità che sono legati a questi fenomeni, la strada avrebbe dovuto essere tutt'altra: quella di rivedere la legge, quella, sicuramente, di soffermarsi sul governo di questi fenomeni, ma non quella di cercare scorciatoie aberranti dal punto di vista sociale e giuridico. A nulla sono valsi gli appelli e i documenti di tantissime associazioni, dai salesiani alle ACLI, alle associazioni giuridiche, così tante che non si possono nemmeno qui elencare per ragioni di tempo; non sono valsi a niente. Questo Governo non ha fatto altro che sbandierare paure e trovare soluzioni ancora più misere di queste stesse paure. È per questo che siamo nettamente contrari al provvedimento in esame. (Applausi dal Gruppo PD. Congratulazioni).

PRESIDENTE. Ha chiesto di intervenire la senatrice Bonino per illustrare la questione pregiudiziale QP8. Ne ha facoltà.

BONINO (PD). Signor Presidente, signori del Governo, colleghi, molti punti sono già stati approfonditi e altri lo saranno nel corso del dibattito sulle questioni pregiudiziali. Vorrei aprirne uno nuovo, un fronte di riflessione che non potrà essere discusso, ma forse può essere l'inizio di una riflessione comune, per l'inopinata decisione del Governo - ormai risulta - di porre la fiducia; porre la fiducia, peraltro (va detto), non tanto perché gli emendamenti fossero molti o perché ci fosse chissà quale problema, ma più modestamente - si fa per dire - perché la possibilità di voti segreti, a norma di Regolamento, per quanto riguarda articoli ed emendamenti di aderenza costituzionale, evidentemente non rassicurava abbastanza la maggioranza.

In ogni caso, volevo soffermarmi su un aspetto che forse è sfuggito: la conseguenza dell'introduzione del reato di clandestinità, e non solo per quanto riguarda gli irregolari o gli immigrati, ma i cittadini italiani. Mi riferisco ai circa 500.000 immigrati nel nostro Paese, irregolari perché non in possesso di tutti i documenti, che però, in base alla legge Bossi-Fini, hanno fatto «la coda» per depositare tutti i documenti richiesti. Questo significa che le nostre autorità possiedono l'elenco di tutti questi lavoratori e dei nomi, dei cognomi e dell'indirizzo dei loro datori di lavoro. Quella coda, come si suole chiamare, vide schierati 740.000 non italiani: il flusso ne ha autorizzati 140.000 e 70.000 richieste sono state respinte; rimangono quindi nel limbo totale, presenti sul nostro territorio - anzi, nelle nostre case - circa 500.000 fra badanti, colf o, nelle piccole e medie imprese, lavoratori dell'edilizia o dell'agricoltura, che al passaggio di questa legge, oltre che essere irregolari, saranno evidentemente oggetto e vittime del reato di clandestinità. Ma c'è più di questo: il problema è che anche 500.000 italiani (famiglie o datori di lavoro) saranno passibili di criminalizzazione per aiuto o connivenza in un reato.

Allora, la situazione è questa: centinaia di migliaia di famiglie nel nostro Paese ospitano a casa babysitter o badanti; questebabysitter o badanti non sono in regola, per le ragioni che ho appena detto. Succede pertanto che ormai queste persone non osano più uscire di casa: certo non portano i ragazzi a scuola con la macchina, fosse mai che succeda qualcosa, perché non hanno né l'assicurazione né i documenti in ordine; non portano più l'anziano a fare le analisi all'ospedale, per lo stesso motivo; e non vanno a fare la spesa; insomma, vivono chiuse in casa.

Come si dice, e diversamente da quello che pensate, io ritengo che legalizzare alcuni fenomeni, con diritti e doveri rigorosi, quindi chiariti per tutti, sia un modo per diminuire anche l'insicurezza e la criminalità, ma mi metto nella vostra ottica, anche se personalmente non penso che quello dell'immigrazione sia un problema che si può affrontare solo con gli strumenti repressivi o della sicurezza, e mi chiedo se spingere all'illegalità perlomeno un milione di persone sul nostro territorio aumenti veramente la sicurezza o non piuttosto la fragilizzazione di italiani e non, che voi criminalizzate ed obbligate ad essere violatori di legge.

Che senso ha tutto questo? Al di là delle opinioni diverse che possiamo avere sul provvedimento in esame, non converrebbe per lo meno affrontare come strumento e misura urgentissima la regolarizzazione di coloro che vivono nelle nostre case e lavorano nelle nostre fabbriche, regolarizzando così anche coloro che con passaporto italiano danno loro lavoro? Che senso ha creare questo enorme grumo? Stiamo parlando nel complesso di più di un milione di persone, totalmente fuori legge. E dove li dobbiamo mettere, quando la popolazione carceraria, a quanto risulta dai vostri dati, ammonta a 63.000 unità, mentre il nostro sistema carcerario ne può ospitare 46.000? È una legge manifesto? È una legge che implica un'applicazione discrezionale; il problema, però, è cosa accadrebbe mettendo fuorilegge una tale massa di persone, peraltro utili. Immaginate se tutta questa gente decidesse di non lavorare più: si fermerebbe il Paese. Ma cosa pensate di dire alle centinaia e alle migliaia di famiglie, i cui figli da ora in poi non verranno più accompagnati a scuola, o a coloro che hanno, ad esempio, il suocero in ospedale e che quindi necessitano di questo personale? Cosa possono fare? Un abbonamento al taxi?

Le conseguenze della violazione costituzionale - quella che ritengo sia insita nell'introduzione del reato di clandestinità - hanno un impatto tale per cui una grandissima parte di cittadini italiani da ora in poi verserà in una situazione di illegalità. E allora tutto questo evidentemente non è accettabile se compiuto da un Governo e da una maggioranza che, invece, si muovono nell'ottica di rafforzare lo Stato di diritto, convinta come sono - e come penso molti di voi - che l'affermazione della legalità sia uno degli strumenti più potenti per rafforzare la sicurezza dei cittadini italiani. Rendere illegali evidentemente aggiunge alla fragilità insicurezza. Questo però è un altro degli elementi che contribuisce al messaggio dato in tutti questi mesi all'immaginario collettivo, che è il seguente: immigrato uguale crimine, uguale insicurezza, uguale delinquenza.

E allora mi chiedo, quale sia il messaggio dell'immigrazione buona ed utile, anche economicamente, quella dei 165.000 imprenditori con passaporto non italiano senza i quali grandi settori del nostro Paese affronterebbero sicuramente una condizione economica piuttosto grave; purtroppo, il messaggio è unidimensionale. Badate bene che il problema è quello di mettersi nell'ottica di una impostazione rigorosa e, al contempo, chiara e limpida per tutti. Ma in questa furia di criminalizzare tutti, finite per criminalizzare per lo meno anche 500.000 italiani; mi chiedo davvero che senso abbia tutto questo. Conosco e conoscete decine e decine di famiglie che fanno lavorare colf e badanti irregolari, in attesa di essere messe in regola dalla famosa coda, e che per ora lavorano in nero e in modo irregolare; ma con l'approvazione di questo disegno di legge si determinerà un aggravio di criminalizzazione.

E poiché porrete la fiducia sul provvedimento, questo discorso probabilmente non potrà essere affrontato; ma penso che a questo punto sarebbe opportuna una seria misura di governo del fenomeno, anche per affrontare il problema della sicurezza; pertanto, Governo e maggioranza non possono esimersi dall'affrontare con estrema urgenza tale problematica. Avremmo voluto mettere in votazione un ordine del giorno sull'argomento: non sarà possibile se porrete la fiducia, ma mi auguro che il Governo individui d'urgenza qualche strumento per non negare la possibilità ai cittadini italiani di essere dei buoni cittadini, assieme a quei lavoratori che non hanno passaporto italiano. (Applausi dal Gruppo PD. Congratulazioni).

PRESIDENTE. Ha chiesto di intervenire il senatore Vitali per illustrare la questione pregiudiziale QP9. Ne ha facoltà.

VITALI (PD). Signor Presidente, il mio compito è quello di illustrare una questione specifica che si riferisce all'impiego di personale addetto ai servizi di controllo delle attività di intrattenimento o di spettacolo in luoghi aperti al pubblico o in pubblici esercizi, presente nei commi da 7 a 13 dell'articolo 3 del disegno di legge.

Prima però di arrivare all'illustrazione di questa specifica ragione di incostituzionalità, voglio riprendere alcuni degli argomenti che sono stati anche di recente sollevati dalle colleghe Incostante e Bonino, che riguardano, più in generale, il tema di questo disegno di legge, perché mi paiono particolarmente rilevanti.

Entrambe le colleghe hanno fatto riferimento alla abnormità dell'introduzione del reato di immigrazione clandestina. La collega Bonino ora si riferiva agli effetti perversi che questo produce, in modo particolare per quelle famiglie che hanno presso di sé delle persone addette alla cura della famiglia stessa in condizioni di irregolarità. Se vogliamo dirla tutta, la ragione di fondo di questa situazione - lo ricordava la collega Incostante - è proprio la legge Bossi-Fini che, a differenza della precedente (la legge Turco-Napolitano), richiede una chiamata nominativa per venire in Italia a svolgere un lavoro. Ora è evidente a tutti che non è possibile, né in famiglia, tanto meno in un'azienda, immettere persone non conosciute. Pertanto, il sistema in uso è quello di venire in Italia con un permesso per turismo, che dopo un po' scade; nel frattempo si conosce il datore di lavoro, sia esso impresa o famiglia, ovviamente in condizione di irregolarità; poi si fa la fila per cercare di essere regolarizzati. Questa è la situazione attuale, voluta da una legge ipocrita, che vuole nascondere l'esistenza di un fenomeno che ormai è costitutivo di tutte le società avanzate, compresa la nostra, fenomeno aggravato, tanto da farne un vero e proprio reato, da questo disegno di legge.

Il provvedimento ha degli aspetti davvero paradossali e fortemente incostituzionali, perché, come è stato ricordato, produce una serie di effetti a cascata dai quali deriva una disparità di trattamento per le diverse persone che risiedono nel nostro Paese (si pensi ai figli degli immigrati), nonché un uso distorto degli apparati repressivi, che anziché essere rivolti alla repressione del grande traffico di braccia umane, quindi alla vera causa della clandestinità che produce poi essa stessa criminalità, vengono destinati alla caccia della badante irregolare per verificare se essa abbia o meno le caratteristiche per stare in Italia regolarmente e quindi eventualmente essere incriminata e multata perché irregolare e clandestina.

Pertanto, gli effetti di questo disegno di legge saranno esattamente opposti a quelli che vengono annunciati: anziché produrre maggiore sicurezza, si produrrà maggiore insicurezza; anziché curare la paura delle persone, perché questo è quel che deve fare una Repubblica democratica, andando alle sua origine, la si alimenta e la si lascia com'è.

Il collega Casson si è riferito ad un altro aspetto molto evidente di incostituzionalità di questo provvedimento, quello relativo alle cosiddette ronde. Non c'è dubbio alcuno che c'è un principio generale del nostro ordinamento in base al quale l'uso legittimo della forza, con possibilità di costrizione personale, è riservato al personale dello Stato. Nel momento in cui si deroga a questo principio e si ammette che possano essere altri soggetti privati a svolgere funzioni di questo genere, siamo di fronte ad un provvedimento contrario ai principi generali dell'ordinamento e, in modo particolare, all'articolo 13 della Costituzione, che stabilisce per l'appunto il principio secondo il quale l'utilizzo legittimo di ogni forma di coercizione fisica è dello Stato e solo dello Stato.

Sulla materia sono state richiamate una legge della regione Emilia-Romagna e una forma di collaborazione adottata in alcuni comuni della mia regione, compreso quello di Bologna, che prevede che cittadini volontari possano partecipare all'azione di sicurezza collettiva. Ma si è voluto fare confusione ed equivocare, perché in alcun modo né la legge della regione Emilia-Romagna né le esperienze di questi comuni assegnano a soggetti diversi dalle forze dell'ordine il compito di intervenire in materia di tutela dell'ordine pubblico. Invece con questo provvedimento si estende questa possibilità e si viola quindi un principio costituzionale.

Concludo illustrando specificamente la ragione della pregiudiziale di incostituzionalità. Ho fatto riferimento ad una declinazione apparentemente minore ma ugualmente molto pericolosa del principio delle ronde, tanto è vero che è stato chiamato in gergo "delle rondìne". Cioè, il fatto che sia possibile nei locali pubblici o aperti al pubblico assegnare, per l'appunto, ad un determinato personale il compito di tutelare l'incolumità dei presenti.

Apparentemente si tratta di una norma di buon senso, ma anche in questo caso bisogna ricordare che tale funzione non viene svolta neanche dalle guardie giurate, che si limitano ad altro tipo di funzione; inoltre, quando in questi locali si rendono necessari i cosiddetti buttafuori, questi evidentemente svolgono funzioni di regolazione dell'attività che si svolge in quei luoghi, che è cosa del tutto diversa dalla tutela dell'ordine pubblico e della incolumità dei presenti.

Con i commi da 7 a 13 dell'articolo 3 si viola, invece, un principio generale dell'ordinamento, assegnando a queste persone un compito che è chiaramente di sicurezza pubblica, andando in aperto e chiaro contrasto con l'articolo 13 della Costituzione. Pensate, signori del Governo e signori della maggioranza, che questo produrrà maggior tutela della sicurezza, maggiore tutela della quiete pubblica con riferimento a tutte quelle attività, che comunque debbono essere sicuramente normate perché possono essere fonte di disturbo della convivenza civile? Noi pensiamo di no, perché pensiamo che gli effetti perversi di questa norma e di questo provvedimento saranno tali da violare un principio generale di legalità, che andrebbe invece rigorosamente salvaguardato.

Questa è la ragione per cui chiediamo di non procedere all'esame del provvedimento oggi al nostro esame, perché ci sono ragioni evidenti di incostituzionalità, tra le quali quelle che ho appena cercato di illustrare. (Applausi dal Gruppo PD).

PRESIDENTE. Ha chiesto di intervenire il senatore Sanna per illustrare una questione pregiudiziale. Ne ha facoltà.

SANNA (PD). Signor Presidente, colleghi, la questione pregiudiziale che illustro riguarda l'articolo 1, comma 22, lettera l) del provvedimento che stiamo portando a lettura definitiva, cioè il prolungamento dei termini di permanenza nei CIE, che dai due mesi attuali viene portato a 180 giorni con motivi sottesi del tutto inaccettabili, sia ad una lettura di merito, sia ad una lettura costituzionale del sistema di accertamento della identificazione dello straniero che arriva in maniera irregolare nel nostro Paese.

Vi è però da sottolineare che dietro alcune motivazioni tecniche, che mi appresto ad accennare e che sono a base della pregiudiziale, dietro la volontà del Governo di ritornare sul tema vi è una concezione del Parlamento che ci permettiamo di sottoporvi come una concezione negativa e che cancella alcune delle prerogative di libertà del Parlamento.

Quando il Governo ha proposto l'allungamento dei termini di permanenza nei CIE e la loro trasformazione da sistemi di identificazione a sistemi di identificazione ed espulsione, in cui particolarmente recrudescente è lo stato di detenzione, il Parlamento ha detto no. Ha detto un no a voto segreto, ritenendo che la condizione di questi stranieri fosse una condizione che atteneva lo stato di persona e, quindi, profili di libertà della persona umana che debbono essere tutelati non solo ai cittadini ma alla persona, secondo una particolare lettura della nostra Costituzione che in queste Aule è la versione corrente.

E quando anche la maggioranza ha avuto una resipiscenza ed ha bocciato tale norma - ripeto, a voto segreto - vi è stata come risposta politica (che registriamo e che siamo costretti a contestare, anche sotto il profilo del ruolo del Parlamento e della libertà del parlamentare) la sottoposizione della norma a voto di fiducia nell'altro ramo del Parlamento. E come ormai aleggia notizia, che deve vedere semplicemente una consacrazione formale, il provvedimento verrà sottoposto a voto di fiducia anche al Senato.

Dobbiamo rifiutare questa modalità del Governo di gestione della sua maggioranza e del suo rapporto con il Parlamento. Bisognava saper cogliere, in quel momento, il significato di un voto parlamentare, senza rinnegare nulla rispetto alla questione che il disegno di legge sicurezza affronta, cioè come trattare lo straniero, di cui dobbiamo accertare l'identità, la nazionalità, lo status, per cercare di capire se vuole entrare clandestinamente nel nostro Paese oppure se, molto diversamente, può accampare i diritti che le norme internazionali accordano a tutte le persone umane. Ebbene, la maggioranza ed il Governo, con responsabilità diverse, hanno preteso di conculcare quel voto parlamentare. La maggioranza, ponendo sulla bilancia la propria libertà e la disciplina che il Governo le impone, si appresta a far prevalere questa seconda e a far cadere la prima.

Ma vediamo cosa intende fare il Governo rispetto ai CIE. Il Governo vuole moltiplicare i centri di identificazione e di espulsione, finanziandoli con somme - che andrebbero invece meglio destinate ad altre finalità - rilevanti ma insufficienti rispetto a questo orizzonte, diciamo così, concentrazionario della gestione del fenomeno. Si vogliono realizzare dieci nuovi CIE (un nuovo CIE in ogni Regione) e passare dai 1.219 posti di oggi a 4.640 posti. Dietro questo ragionamento, c'è la violazione dell'articolo 81 della Costituzione. Se si realizzano tanti nuovi posti nei centri di identificazione e di espulsione e contestualmente si allunga il periodo di permanenza/detenzione delle persone, ci saranno anche nuovi oneri, che la legge continua in maniera ideologica a non considerare, a meno di non immaginare che nei centri di identificazione e di espulsione si continui a non garantire certi standard di servizi alle persone, mantenendoli assolutamente insufficienti. Mi riferisco in particolare all'assistenza sanitaria e psicologica, al servizio di orientamento e di assistenza legale - laddove la domanda dello straniero serve a verificare, per esempio, il suo status di rifugiato - alla qualità e al numero degli interpreti mediatori, alla qualità, insufficiente, dello standard logistico offerto (si vogliono creare 3.400 posti in più, con circa 30 milioni di euro).

Dietro a tutto questo c'è una filosofia del Governo, che definirei della comunicazione punitiva: l'instaurazione di quello che viene chiamato dai tecnici diritto penale dello straniero. Secondo noi, tutto ciò è oltre la previsione della nostra Costituzione, è oltre il dettato della direttiva comunitaria n. 115 del 2008, nella quale si prevede che il ricorso al trattenimento ai fini di allontanamento dovrebbe essere limitato e comunque subordinato al rispetto del principio di proporzionalità tra mezzi adottati e obiettivi perseguiti. Nel testo al nostro esame, invece, il trattamento è sempre uguale. Secondo la direttiva comunitaria che ho richiamato (e, se non la applichiamo bene, commettiamo sicuramente una violazione, per norma interposta, della nostra Costituzione), il trattenimento è giustificato solo per preparare il rimpatrio o effettuare l'allontanamento e se l'uso di misure meno coercitive è insufficiente. Nel provvedimento l'uso di misure meno coercitive non è assolutamente previsto; è prevista semplicemente una sorta di livella, che equipara donne e bambini, minori e persone inoffensive con persone che invece, anche ad una valutazione delle forze di polizia, potrebbero necessitare un diverso trattamento.

Facciamo poi dipendere quella che sostanzialmente è una detenzione - e qui in violazione dell'articolo 3 della Costituzione - semplicemente dall'efficienza dei sistemi amministrativi dei Paesi di provenienza: se il sistema amministrativo è buono e identifica il soggetto rapidamente, egli viene espulso prima, ma anche liberato prima; mentre si commina una detenzione (o quella che viene definita, in maniera del tutto inopinata e ipocrita, ospitalità nei centri, e che in realtà è una detenzione), più lunga se il sistema amministrativo del Paese di provenienza del soggetto è inefficiente. Noi, che combattiamo contro l'inefficienza della nostra pubblica amministrazione, garantiamo alle persone straniere in Italia un sistema che se fosse applicato a noi in altri campi (come le certificazioni o le concessioni, nei quali si misura l'efficienza del sistema amministrativo) vedrebbe il cittadino italiano esposto al peggiore dei trattamenti.

Per tutti questi motivi, ai sensi dell'articolo 93 del Regolamento del Senato chiediamo di non procedere all'esame dell'Atto Senato n. 733-B. (Applausi dal Gruppo PD. Congratulazioni).

PRESIDENTE. Ha chiesto di intervenire la senatrice Della Monica per illustrare una questione pregiudiziale. Ne ha facoltà.

DELLA MONICA (PD). Signor Presidente, devo dire che vorrei agganciarmi al discorso fatto da altri colleghi e innanzitutto prendere atto, ancora una volta, dell'inutilità del Parlamento: in questo il Presidente del Consiglio ha perfettamente ragione. Abbiamo oggi il Presidente del Senato rappresentato dal Vice Presidente di opposizione e sono, per carità di Patria, presenti in Aula pochissime persone, tra cui il Sottosegretario alla giustizia, mio collega, vincolato al suo posto, e uno dei relatori.

Chiaramente, l'annunzio dato dal Presidente del Senato che non si votava ha determinato la possibilità di lasciare immediatamente l'Aula, per cui tutte le questioni di costituzionalità che possiamo sollevare sono assolutamente inutili, sono un discorso tra pochi eletti che condividono soprattutto una conoscenza giuridica più che una conoscenza sociale, che a quanto pare non interessa ad alcuno. Anzi, mi pare di capire che in una situazione di questo genere la maggioranza, se dovrà votare la fiducia e la voterà ciecamente, non ha alcun interesse a sentire, perché non lo vuole, se ci sono argomenti per cui il provvedimento che si accinge ad approvare è incostituzionale.

Noi peraltro siamo qui non soltanto perché siamo opposizione, ma perché crediamo seriamente che questo provvedimento, passato già all'esame del Senato e della Camera, sia incostituzionale e lo dobbiamo dire perché non possiamo ingannare i cittadini italiani in merito alla sicurezza. Esso è incostituzionale sotto vari aspetti e mi colpisce sinceramente che ormai questo nostro sistema politico, come esattamente dice Stefano Rodotà, viva quotidianamente ai margini della legalità costituzionale, alterando il funzionamento del sistema istituzionale, che poi finisce con il trasferire il compito di garantire un corretto funzionamento del sistema stesso ad alcuni custodi: il Presidente della Repubblica, la Corte Costituzionale di cui si accentua invece la politicità e l'inadeguatezza e - orrore! - il giudice ordinario, quel giudice ordinario che in realtà non si vorrebbe in alcun modo farlo funzionare e con questo provvedimento si fa di tutto per non farlo funzionare. Infatti, se c'è una prima violazione della norma costituzionale è quella dei tempi del processo. Il giusto processo sancito dall'articolo 111 della Costituzione, con questo provvedimento va a farsi benedire.

Al di là dei costi della giustizia, che giustamente il senatore Li Gotti ha messo in evidenza, non vi è dubbio che i tempi saranno dilatati e su questo vi è un allarme del Consiglio superiore della magistratura, dei costituzionalisti e dell'opposizione; ma ciò evidentemente non interessa. Naturalmente, quando i costi ed i tempi della giustizia saranno dilatati, nessun cittadino avrà giustizia, nemmeno sui fatti ordinari, i reati bagattellari ed in particolare i reati di competenza del giudice di pace, che viene sommerso di materie, ivi compreso il reato contravvenzionale di illegale ingresso ed illegale soggiorno nel territorio dello Stato.

Faccio questa premessa perché la questione pregiudiziale che mi appresto ad illustrare parte naturalmente dal presupposto che il reato di illegale ingresso e oggi anche di soggiorno nel territorio dello Stato è incostituzionale, perché punisce una condizione personale e soggettiva.

Detto questo, che avevamo già messo in evidenza nella precedente lettura del Senato che risale ormai a tempo fa, questa fiducia rischia anche di mettere in discussione alcuni canoni fondamentali. Alle volte mi trovo a dire che stiamo per approvare un decreto-legge. In realtà, si tratta semplicemente di un disegno di legge che, partito dal lontano maggio del 2008 adesso sta per approdare alla sua conclusione, perché improvvisamente si è deciso di mettere la fiducia dopo che vari provvedimenti sono stati inseriti nell'ambito dello stesso.

E vediamo che cosa è successo alla Camera dei deputati: vi è stato se possibile, paradossalmente, un aggravamento della situazione. Rispetto al reato di illegale ingresso e soggiorno nel territorio dello Stato, alcune norme che in apparenza sembrano venire incontro ad esigenze di non discriminazione e di eguaglianza, finiscono con l'aggravare la situazione. Sappiamo che l'articolo 6, comma 2, del Testo unico sull'immigrazione, di cui al decreto legislativo n. 286 del 1998 attualmente in vigore, stabilisce senza alcuna incertezza che, fatta eccezione per i provvedimenti riguardanti attività sportive e ricreative a carattere temporaneo e per quelli inerenti agli atti di stato civile o all'accesso a pubblici servizi, i cittadini stranieri devono esibire carta o permesso di soggiorno agli uffici della pubblica amministrazione ai fini del rilascio di licenze, autorizzazioni ed iscrizioni ed altri provvedimenti di loro interesse. L'articolo 1, comma 22, lettera g) del disegno di legge che stiamo esaminando, modificando l'articolo 6, comma 2, del Testo unico dell'immigrazione, stabilisce l'obbligo per il cittadino straniero di esibire la carta o il permesso di soggiorno anche per i provvedimenti inerenti agli atti dello stato civile o all'accesso a pubblici servizi, prevedendo l'eccezione solo nei casi inerenti all'accesso alle prestazioni sanitarie, di cui all'articolo 35 del Testo unico sull'immigrazione, o per quelli attinenti alle prestazioni scolastiche obbligatorie.

Tutto questo sembrerebbe aver migliorato la situazione, ma non è così. Infatti, il comma 5 dell'articolo 35 del Testo unico sull'immigrazione, soppresso poi nel corso dell'esame al Senato in prima lettura e ripristinato, invece, alla Camera dei deputati, prevede, sì, che l'accesso alle strutture sanitarie da parte dello straniero non in regola con le norme del soggiorno non può comportare alcun tipo di segnalazione all'autorità, salvo nei casi in cui sia obbligatorio il referto ed a parità di condizioni con il cittadino italiano. Ma questa norma deve fare i conti con il reato di illegale ingresso ed illegale soggiorno nel territorio dello Stato, perché l'applicazione delle disposizioni in esame, introdotte dalla Camera, si combina con gli effetti dell'introduzione nell'ordinamento di questo reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato introdotto con l'articolo 1, comma 16, del disegno di legge che modifica l'articolo 10 del Testo unico dell'immigrazione. Ciò determina una inevitabile incidenza negativa a carattere discriminatorio - assolutamente ignorata da questo Governo - che si traduce soprattutto in una disparità di trattamento in tema di accesso a servizi pubblici essenziali relativi a beni fondamentali tutelati dalla Costituzione da parte degli immigrati che non hanno o non hanno più un valido titolo di soggiorno.

Tutto questo perché i pubblici ufficiali e gli incaricati di pubblico servizio hanno l'obbligo di denunziare, se ne vengono a conoscenza nell'esercizio delle loro funzioni, un reato procedibile d'ufficio, quale è appunto quello di ingresso e soggiorno illegale (pur essendo contravvenzionale, è procedibile d'ufficio). Tutto ciò in stridente contraddizione con la norma di esenzione dall'obbligo di denunzia dello straniero irregolare da parte del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio previsto dal più volte citato comma 5 dell'articolo 35.

Mi vorrei soffermare un attimo sulle prestazioni sanitarie, perché l'obbligo di denunzia è sancito dagli articoli 361 e 362 del codice penale, il che significa che non si possono sottrarre a tale obbligo i funzionari e i dirigenti delle amministrazioni delle ASL, che sono già oggi tenuti, a fini di rendicontazione, a trasmettere al Ministero dell'interno il dato sulle prestazioni erogate a stranieri in condizioni di soggiorno. Da ciò nasce chiaramente una violazione da parte della nuova normativa, pur nella modifica approvata dalla Camera, degli articoli 2, 3 e 32 della Costituzione, proprio sotto il profilo della violazione di diritti fondamentali, di condizioni di uguaglianza, del principio di ragionevolezza e del diritto alla salute. Basta presentarsi e, in pratica, vi è l'obbligo di denunzia.

Allo stesso modo, e cerco di chiudere questo discorso, ci troviamo a ragionare quando vi sono altri diritti costituzionalmente garantiti che vengono limitati; per esempio, la preclusione all'immigrato irregolare del perfezionamento degli atti di stato civile, quali la registrazione della nascita, della morte, il riconoscimento del figlio naturale, il matrimonio, il diritto all'istruzione. Perché subordinare al possesso di documenti regolari, soprattutto in materia di accesso ad alcuni servizi di stato civile, già rappresenta una violazione degli articoli 2, 3, 29, 30 e 31 della Costituzione; se a questo aggiungiamo che un ufficiale di stato civile ha l'obbligo, in base agli articoli 361 e 362 del codice penale, di segnalare e denunziare una persona del cui soggiorno irregolare venga a conoscenza qualora si sia presentata all'ufficio dello stato civile, praticamente la situazione è bloccata. La stessa identica cosa avviene per quanto riguarda il diritto all'istruzione, che gli articoli 2, 3, 30 e 34 della Costituzione riconoscono, perché anche in questo caso il figlio minore di genitori irregolari può subire una limitazione nell'ipotesi in cui questi ultimi si presentino ad iscrivere il minore ed emerga la condizione di irregolarità.

Di fronte a tale situazione tutto ciò che la Camera ha quindi aggiunto, apparentemente a carattere migliorativo, finisce con l'essere peggiorativo e spingere ancor di più a situazioni di irregolarità. In considerazione di tali aspetti di palese violazione della Costituzione chiedo pertanto, Presidente, che non si proceda, a norma dell'articolo 93 del Regolamento del Senato, all'esame del disegno di legge n. 733-B. (Applausi dal Gruppo PD).

PRESIDENTE. Senatrice Della Monica, non entro certo nel merito del suo intervento, come di altri, perché non è compito di chi presiede. Vorrei però fare una precisazione in merito ad un aspetto. I turni della Presidenza vengono determinati a rotazione e non in relazione agli argomenti in discussione. Ritengo che questo criterio sia giusto e vada mantenuto, perché è l'unico che garantisce che ci sia uno sforzo di ruolo istituzionale della Presidenza. Inoltre, ricordo a tutti i colleghi, anche se non ve ne sarebbe bisogno, che nella seduta odierna vi sono state tre fasi di Presidenza del Senato: quella dello stesso presidente Schifani, quello della vice presidente Mauro e ora la mia.

Ha chiesto di intervenire il senatore D'Ambrosio per illustrare una questione pregiudiziale Ne ha facoltà.

D'AMBROSIO (PD). Signor Presidente, parlerò soltanto di una delle questioni di illegittimità costituzionale del disegno di legge oggi al nostro esame, pur condividendo pienamente tutte le osservazioni svolte dai colleghi che mi hanno preceduto.

Sono rimasto abbastanza stupito del fatto che nel provvedimento in esame venisse reintrodotto il reato di oltraggio a pubblico ufficiale ex articolo 341 del codice penale, che era stato abolito - guarda caso - proprio con la legge 25 giugno 1999, n. 205, approvata quando stava per entrare in vigore il nuovo codice di procedura penale. Bisognerebbe chiedersi per quale ragione questo reato è stato abolito. Il motivo sta nel fatto che con il nuovo codice di procedura penale la prova veniva raccolta in dibattimento e non più durante la fase istruttoria; quindi, si sapeva perfettamente che il sistema sarebbe stato gravato di numerosi processi e, di conseguenza, si sarebbero allungati i tempi di definizione dei processi in primo grado. Pertanto, si è pensato - cosa molto saggia - di ridurre il numero dei reati, tenuto conto anche del fatto che questi riguardavano, nella maggior parte dei casi, i vigili urbani.

Ricordo che quando ero pretore la maggior parte dei casi di oltraggio riguardava propri i vigili urbani che elevavano le contravvenzioni. Ciò determinava un peso notevole in dibattimento, proprio perché una delle cause di non punibilità era il poter dimostrare che il pubblico ufficiale aveva ecceduto arbitrariamente dai propri atti e quindi non si era punibili.

Per la verità, gli atteggiamenti nei confronti dei pubblici ufficiali non rimanevano privi di sanzione, perché restavano sempre gli articoli 594, cioè l'ingiuria, e 61, n. 10 (ingiuria aggravata) del codice penale e restavano i delitti di violenza e di resistenza a pubblico ufficiale previsti dagli articoli 336 e 337 del codice penale. Quindi, si cercava in qualche modo di alleggerire il carico dei giudici penali, che - come sappiamo - è eccessivo. Come ha testé accennato la collega Della Monica, il grave problema della giustizia penale è proprio quello della lunghezza, cioè dei tempi eccessivamente lunghi di definizione dei processi penali. Peraltro, questi tempi incidono anche sulla sicurezza dei cittadini e, quindi, la prima cosa che ci meraviglia quando viene reintrodotto un reato e quando ne vengono stabiliti altri è che si aggrava proprio tale situazione.

Vi è, dunque, il problema della situazione della giustizia penale, e poi la sicurezza dei cittadini viene danneggiata: quanto più durano i processi tanto meno efficace è la repressione penale. Lo sappiamo tutti: tutti chiediamo l'immediatezza e l'esecutività della pena; tuttavia ci guardiamo bene dal comportarci in modo tale che i nostri processi penali vengano definiti in tempi accettabili. Stiamo facendo esattamente il contrario. Queste, però, sono osservazioni di carattere generale, perché tali disposizioni sono in contrasto con quelli che dovrebbero essere gli scopi perseguiti dal disegno di legge in esame, cioè quello di dare maggiore sicurezza ai cittadini. Infatti, il titolo del provvedimento è: «Disposizioni in materia di sicurezza pubblica».

Il fatto che mi ha stupito maggiormente, inducendomi ad intervenire in tal senso, e che a mio avviso pone questa nuova disposizione di legge in contrasto con l'articolo 3 della nostra Costituzione, creando una situazione di illegittimità costituzionale, è che il provvedimento in esame, oltre alla causa di non punibilità (già prevista in precedenza), stranamente introduce una nuova causa di estinzione del reato. Infatti, stabilisce che il reato è estinto se prima del giudizio l'imputato abbia riparato interamente il danno.

Badate bene, questa è una circostanza che riguarda solamente i delitti contro il patrimonio, cioè una circostanza attenuante fatta nello stesso modo di quella prevista dall'articolo 62, comma 6. Ripeto, essa riguarda solamente i reati contro il patrimonio e non costituisce una causa di estinzione del reato, perché tali cause sono stabilite dagli articoli dal 150 al 170, e le conosciamo tutti: la morte del reo, l'amnistia, la remissione di querela, la prescrizione, l'oblazione, il perdono giudiziale e, quando poi sono trascorsi i tempi necessari, l'estinzione per effetto della sospensione condizionale della pena. Come vedete, si tratta di cause di estinzione che riguardano la generalità dei reati, mentre nel caso in esame si stabilisce una causa di estinzione solo per il reato di oltraggio a pubblico ufficiale.

Quando si dice «ove l'imputato, prima del giudizio, abbia riparato interamente il danno», non si sgrava in alcun modo la magistratura, che dovrà pur sempre aprire il giudizio per stabilire se il risarcimento di danno sia stato o meno integrale, altrimenti il reato non si estingue. Immaginate ciò che succederà e che differenza ci sarà fra chi ha una certa disponibilità economica e chi non ce l'ha. Un soggetto con disponibilità economica si prenderà lo sfizio di definire in tutti i modi possibili e immaginabili i pubblici ufficiali in luogo pubblico e di offenderli decisamente, considerato che se non si vorrà accettare il risarcimento integrale del danno basterà fare un'offerta pari a quella che la giurisprudenza avrà stabilito essere il prezzo dell'onore e del prestigio del pubblico ufficiale.

Se è così, e non è diversamente, perché ci sarà gente che si divertirà ad oltraggiare il pubblico ufficiale, tanto poi basterà pagare quel prezzo che all'incirca si saprà (dopo che saranno intervenute varie sentenze si conoscerà il prezzo dell'onore e del prestigio del pubblico ufficiale), si creerà una situazione di disparità assoluta, che contrasta con l'articolo 3 della nostra Costituzione, il quale stabilisce che siamo tutti uguali davanti alla legge senza distinzioni, tra l'altro, anche di condizioni personali e sociali. Pertanto, se un soggetto è ricco potrà tranquillamente commettere tale reato e togliersi addirittura lo sfizio di farlo positivamente; chi invece è povero e disgraziato dovrà subire le conseguenze di un reato punito fino a tre anni di reclusione.

Mi pare che ci siano tutti i presupposti per l'illegittimità costituzionale di tale norma. A questo punto, per tali ragioni di illegittimità costituzionale, oltre alle altre già illustrate dai colleghi, chiedo ai sensi dell'articolo 93 del Regolamento che non si proceda all'esame del disegno di legge. (Applausi dal Gruppo PD).

PRESIDENTE. Ha chiesto di intervenire il senatore Galperti per illustrare una questione pregiudiziale. Ne ha facoltà.

GALPERTI (PD). La questione pregiudiziale che ho posto riguarda una vicenda già trattata per ultima dalla senatrice Della Monica, ovvero quella della prestazione sanitaria che vede coinvolti cittadini stranieri. Essa è stata, per la verità, solo apparentemente risolta nelle modifiche che hanno seguito l'esame del testo, ma presenta nel combinato disposto dell'articolo 10-bis, laddove si prevede il reato contravvenzionale di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato dello straniero, e dell'articolo 35, comma 5, che dispone che l'accesso alle prestazioni sanitarie non possa comportare alcun tipo di segnalazione alle autorità, profili di problematicità e di incostituzionalità, laddove non si dichiara esplicitamente l'esenzione dell'obbligo di denuncia per il pubblico ufficiale o per l'incaricato di servizio pubblico dentro il servizio sanitario.

Vorrei ricordare il diritto fondamentale previsto all'articolo 32 della Costituzione - la tutela della salute - e la consolidata giurisprudenza relativa, la quale afferma che va impedito in ogni modo il sorgere di situazioni prive di garanzie e di tutela, che possono in qualche modo pregiudicare l'attuazione di quel diritto. Si deve quindi evitare in modo esplicito e non soggetto a interpretazioni - per questo abbiamo posto la questione pregiudiziale - che gli obblighi di denuncia in capo a pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio, connessi all'introduzione del reato di immigrazione clandestina, possano vanificare la manleva posta in capo a quegli stessi soggetti quando erogano una prestazione sanitaria.

Questa vicenda va anche inquadrata nel contesto dell'azione di Governo di quest'ultimo anno: non si tratta di una vicenda casuale. Se dovessimo ripercorrere quest'anno di legislatura, per quanto attiene la questione della sicurezza, per la verità declinata quasi sempre in relazione al tema dell'immigrazione, di certo troveremmo anche questioni condivisibili. Vorrei ricordare che questo è il terzo provvedimento che approviamo in materia: prima la legge n. 125 del 2008 (già A.S. n. 692) e poi la legge n. 186 del 2008 (già A.S. n. 1072) sono state approvate in questa fase del mandato parlamentare. Come dicevo, all'interno di quei provvedimenti vi sono alcune questioni condivisibili, sulle quali abbiamo collaborato: voglio ricordare l'impianto della disciplina antimafia, il giudizio positivo sulle norme che hanno introdotto maggiore severità per i reati connessi alla guida in stato di ubriachezza o sotto l'effetto di sostanze stupefacenti, il rilievo dattiloscopico sulle impronte digitali, introdotto con un emendamento del senatore del PD Carofiglio.

Anche nel presente disegno di legge, se parliamo di interventi che mirano ad accertare nuove fattispecie di reato e ad incrementare le pene per comportamenti odiosi alla comunità, per dare in buona sostanza risposta alla ragionevole richiesta di maggior severità e rigore, vi sono di certo elementi condivisibili. Penso ai reati che attengono alle fattispecie cosiddette di minorata difesa nei reati di truffa, previsti al comma 28 dell'articolo 3, alle sanzioni relative alla mutilazione genitale femminile, al comma 59 dello stesso articolo, alle vicenda relative allo sfruttamento di minori impiegati in attività di accattonaggio, al comma 19 sempre dell'articolo 3, che modifica l'articolo 600-octies del codice penale.

Penso, infine, anche se potremmo continuare ancora, alle fattispecie che hanno introdotto misure più severe, più pesanti, nei confronti di minori, nel caso di reati che riguardano la violenza sessuale. Potrei ricordare che in questo provvedimento sono previsti interventi più appropriati in materia di sequestro di persona, modificando l'articolo 605 del codice penale, quando avviene in danno di minori. Vorrei ricordare anche un'altra fattispecie presente nel provvedimento in esame, che punisce la condotta della sottrazione o del trattenimento del minore all'estero contro la volontà del soggetto investito dell'esercizio della patria potestà.

Ricordo questi aspetti positivi, perché su tali questioni il nostro Gruppo non solo ha dato un contributo, ma anche perché non deve derivare da questo dibattito l'idea, che va rigettata con forza, di un nostro disinteresse o di una nostra trascuratezza rispetto alle richieste di maggior sicurezza o di maggior rigore che vengono da più parti.

Cos'è che, nella lettura complessiva della vicenda sicurezza, se guardiamo a questa produzione normativa, per noi non può essere considerato convincente? Innanzitutto appare una linea politica, che si traduce peraltro in norme, che, dove si pronuncia sicurezza, si legge in verità immigrazione, con la volontà di dare a quest'ultima non una risposta in termini complessivi e di regolamentazione, bensì l'immagine che l'immigrazione in fondo è come una malattia che se cureremo con determinazione prima o poi verrà debellata e scomparirà e finalmente il nostro corpo nazionale tornerà ad essere integro ed omogeneo. Allora è meglio non unire ma dividere, non integrare ma disgregare, non regolamentare ma punire.

Ricordava bene la presidente Bonino in precedenza: se a fronte di oltre 700.000 domande di regolarizzazione ne soddisfiamo meno di 200.000, come si può pensare che i problemi in campo possano essere in qualche misura risolti? Si risolvono complicando la vita a chi deve chiedere un permesso di soggiorno? Si risolvono complicando l'educazione dei figli o l'accesso alle strutture sanitarie? Non possiamo rispondere positivamente a questa linea complessiva che si determina in questo anno di lavoro perché di fatto ci troviamo di fronte alla messa in atto di una sorta di legge speciale parallela, un sistema duale, persino a volte un diritto penale straordinario destinato agli stranieri.

Allora tutto questo, al di là delle singole norme che abbiamo contestato, ci appare nel suo complesso contro il dettato costituzionale, che va in un'altra direzione, che segue altre indicazioni, che sono quelle di un progresso certamente ordinato ma che in qualche misura tenga conto della necessità di cambiamenti che possono favorire e risolvere le questioni all'interno di una società con delle politiche appropriate e mirate a risolvere i problemi stessi.

Per questo e per gli altri motivi che abbiamo richiamato, chiediamo che non si passi all'esame del disegno di legge in titolo. (Applausi dal Gruppo PD).

PRESIDENTE. Ha chiesto di intervenire il senatore Marcenaro per illustrare una questione pregiudiziale. Ne ha facoltà.

MARCENARO (PD). Signor Presidente, colleghi, come già altri senatori hanno ricordato, il comma 5 dell'articolo 35 del testo unico sull'immigrazione, che era stato abrogato dal Senato in prima lettura, è stato ripristinato nel corso dell'esame da parte della Camera dei deputati. È stato ricordato già dalla collega Della Monica e dal collega Galperti il fatto che si tratta di quell'articolo che vieta al personale sanitario di denunciare chi si presenta sprovvisto di permesso di soggiorno per delle cure.

Come tutti sapete, questo è stato uno dei punti sui quali si è incentrato nei mesi scorsi il dibattito pubblico sul provvedimento che stiamo discutendo. Sapete che dal mondo della salute, dal mondo della sanità nelle sue diverse articolazioni professionali e associative è venuto su questo punto del disegno di legge un pronunciamento molto forte. Nel mondo del volontariato credo che non ci sia un'associazione, di quelle che si conoscono e che danno attività, che non abbia preso posizione su questo aspetto del provvedimento. Anche dalla Chiesa cattolica e da altre confessioni religiose è venuta al riguardo una posizione molto forte, come da parte di tantissimi cittadini.

Insomma, contro questa decisione si era levata una protesta morale, ancor prima che politica, che ha fatto considerare addirittura a molte persone e a tanti operatori sanitari la strada dell'obiezione di coscienza, con l'impegno a sottoscrivere dichiarazioni nelle quali affermavano di non essere disposti a dare applicazione alla nuova normativa che la maggioranza proponeva, assumendosi quindi responsabilità, prendendo una posizione ed essendo disposti a pagare prezzi seri. Perché questo è avvenuto? Semplicemente perché su questo punto si sono sentiti lesi nei diritti fondamentali, come quello all'assistenza e alla cura delle persone, che viene prima del diritto di cittadinanza, dal momento che non riguarda solo i cittadini, ma le persone umane in quanto tali.

Tutti sappiamo che per molte persone la semplice minaccia di essere denunciati, quando in queste condizioni, vivendo in una situazione di irregolarità, si ha la necessità di presentarsi ad un presidio sanitario per essere curati, è sufficiente per starvi lontano, in caso di infortunio e malattia. La conseguenza più grave di ciò è certamente quella che colpisce le persone che non ricorreranno alle cure delle quali avrebbero avuto bisogno, venendo così private di un diritto fondamentale.

Tuttavia, come anche in questo caso è stato fatto rilevare da molti, vi è l'altra faccia della medaglia, che non riguarda semplicemente le singole persone né i singoli individui, ma la salute pubblica. Questo punto è stato presente nel corso del dibattito che si è svolto sul provvedimento in esame, cioè la consapevolezza che tenere i malati lontani dalle strutture sanitarie significa anche tenere lontana la malattia. E non credo sia necessaria una particolare specializzazione in epidemiologia per capire che questo rappresenta un problema per l'igiene pubblica, soprattutto quand'è serio il rischio che con i flussi migratori si spostino anche nuove malattie e si riduca in questo modo la possibilità di conoscerle e controllarle. Insomma, per gli operatori sanitari si sarebbe determinata una ferita profonda, dal punto di vista non solo della loro consapevolezza di cittadini, ma anche della deontologia che regola la loro professione; e questo, come abbiamo avuto modo di sentire, ha trovato ampio spazio nella discussione che ha accompagnato il provvedimento.

Il dibattito alla Camera ha dovuto tener conto di una protesta così ampia e del fatto che l'opinione pubblica aveva dimostrato di non condividere questa scelta, per cui il comma 5 dell'articolo 5 del Testo unico sull'immigrazione è stato ripristinato.

Tra parentesi, per quanto mi riguarda, ho riflettuto su questo fatto e penso che - come l'esperienza mi insegna - in questa situazione politica in cui per tanto tempo noi uomini dell'opposizione e del centrosinistra ci siamo lasciati andare a rappresentare una presunta onnipotenza del Governo, quanto è successo ci dimostri che le cose non stanno così e che ci sono limiti di cui un'opinione pubblica alla fine è consapevole e che una coscienza morale del Paese impone, cosa di cui credo siate stati obbligati a tenere conto, perché si trattava di questioni che aprivano una crisi e mettevano in difficoltà il rapporto con la società e la sua espressione.

Ecco, questo è il punto: la marcia indietro che la maggioranza ha dovuto fare alla Camera - lo ribadisco - è un fatto positivo, che cancella una norma aberrante, ma che oggi ci consegna un testo che - com'è già stato fatto rilevare - apre la strada a contraddizioni ed incertezze interpretative, che rischiano di portare il problema al punto di partenza. Queste contraddizioni originano dall'introduzione del reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato da parte dello straniero. L'articolo 1, comma 16, del provvedimento che stiamo discutendo lo introduce come articolo 10-bis del Testo unico sull'immigrazione. Qui si determina una situazione tale per cui, in base al combinato disposto dell'articolo 365 del codice penale, che sanziona l'omissione di referto, dell'articolo 361, che parla dell'omessa denuncia da parte del pubblico ufficiale, e dell'articolo 362, che parla di omessa denuncia da parte dell'incaricato di pubblico servizio, diventerà praticamente impossibile un'interpretazione univoca della norma e dell'obbligo o meno di denuncia da parte del personale sanitario.

L'introduzione del reato di immigrazione clandestina e gli obblighi di denuncia che da esso discendono in capo ai pubblici ufficiali e agli incaricati di pubblico servizio risultano in stridente contraddizione con la norma di esenzione dall'obbligo di denuncia dello straniero irregolare all'autorità giudiziaria prevista dal più volte citato comma 5 dell'articolo 35.

Tale incertezza, e il timore che questo può determinare, in particolare in un contesto culturale nel quale ormai è evidente che c'è chi alimenta un clima di ostilità nei confronti degli immigrati, alla fine possono provocare lo stesso effetto: quello di creare una situazione di incertezza che allontana le persone, come gli immigrati irregolari, che hanno bisogno di cure dalle strutture sanitarie. In tal modo si torna a ledere quel diritto alla salute in nome del quale la Costituzione impone di impedire che si determinino situazioni prive di tutele, tali da pregiudicare l'attuazione di quel diritto fondamentale.

È per questa ragione che, ai sensi dell'articolo 93 del Regolamento del Senato, chiediamo di non procedere alla discussione del disegno di legge n. 733-B. (Applausi dal Gruppo PD).

PRESIDENTE. Ha chiesto di intervenire la senatrice Mariapia Garavaglia per illustrare una questione pregiudiziale. Ne ha facoltà.

GARAVAGLIA Mariapia (PD). Signor Presidente, come vede insistiamo, testardi, anche di fronte ad un'Aula semideserta, perché siamo appassionati dell'umanità di cui dobbiamo parlare. L'umanità, sia di chi ha cittadinanza italiana, sia di chi non ce l'ha. Appassionati, senatore Saltamartini, anche della nostra Costituzione. Appassionati di questo Parlamento. Non posso credere, perché vi conosco da tanto tempo, amico Giacomo Caliendo - oso chiamarlo così - e senatore Filippo Saltamartini, che alcune delle osservazioni che abbiamo fatto non abbiano fatto breccia nella vostra razionalità. Siamo di fronte ad un testo che è stato modificato in parte dalla Camera che lo ha reso, sotto alcuni punti di vista, più controverso, ma - apro una parentesi - meno male che ci sono due Camere, perché qualche volta la resipiscenza fa bene.

Ed io parlerò, signor Presidente, signor Sottosegretario, da giudice popolare e non da giurista, come invece hanno fatto altri che sono intervenuti e che ho ascoltato, precisi e puntuali. Un giudice popolare che conosce i modi di vivere delle persone che incontriamo per la strada, che vediamo a casa, nelle loro diverse realtà e funzioni. Infatti conosciamo le mamme e i bambini immigrati, come anche i presidi e i docenti delle scuole. Poco fa abbiamo sentito citare i medici, i dirigenti sanitari: tutte persone che a causa di una modifica che ci ha allargato il cuore quando l'abbiamo letta in realtà non provoca effetti positivi. In 7a Commissione, quella competente per materia, abbiamo parlato e discusso sul fatto che nella prima versione erano escluse le prestazioni scolastiche.

Ora, a causa della modifica intervenuta alla Camera all'articolo 1, comma 22, lettera g), che ha introdotto la dizione: «e per quelli attinenti alle prestazioni scolastiche obbligatorie», quelle prestazioni non esigerebbero denuncia. Però, l'ho già chiesto in Commissione e reitero qui la richiesta, il Governo deve chiarire tale aspetto in maniera forte e inequivocabile, perché l'introduzione del reato di ingresso e soggiorno, con l'articolo 10-bis del Testo unico sull'immigrazione, e il combinato disposto con l'articolo 362 del codice penale, mettono nelle condizioni tutti gli incaricati di pubblico servizio di agire di conseguenza. È un reato e, di conseguenza, gli operatori pubblici, se arriva a scuola un bambino immigrato che chiede di essere iscritto, non possono far finta di non saperlo. Vi prego di chiarire pertanto questo aspetto, perché in 7aCommissione il Governo ha detto che non è vero, che non sarà necessario e mi ha assicurato che nessuno procederà in tal senso.

Se davvero, onorevole Sottosegretario, nessuno procederà in tal senso, allora avremo a che fare con un Paese nel quale gli incaricati di pubblici servizi sanno di poter non obbedire alle leggi. È una bella storia in termini pedagogici! Per fare una normativa che dovrebbe rendere il Paese sicuro, perché tutti rispettano le regole, noi scriviamo una norma che mette in condizione, per pietà e per umanità - questo sarebbe già un grande elemento - i medici e i presidi di non rispettarla. Non sono sicura che denunceranno, ma se non lo facessero certamente li censurerei perché sono persone che, per qualità, ruolo e importanza civile dovrebbero obbedire alle leggi e invece non lo fanno.

Vorrei davvero, onorevole rappresentante del Governo, che fosse chiarito questo elemento, perché si ha a che fare con uno dei diritti più inviolabili dei bambini - non so perché poi sottoscriviamo le Convenzioni dell'ONU - cioè l'accesso all'istruzione. L'alfabetizzazione è uno degli strumenti più elevati per riconoscere la dignità delle persone, a maggior ragione di quelle che hanno per forza bisogno della tutela degli adulti, talché quando non c'è l'adulto è lo Stato a tutelare il minore. In questo caso, i minori vengono abbandonati, perché se non possono stare a scuola dove stanno? Sono bambini che cominciano ad essere invisibili quando non possiamo denunciarli all'anagrafe e che continuano ad essere invisibili, tranne diventare accattoni, essere coinvolti nella prostituzione, essere utilizzati con violenza e, magari - voglia il cielo che non sia così - quando sono appena nati anche per il trapianto illegale di organi.

Colleghi della maggioranza e dell'opposizione, non stiamo parlando per occupare il tempo - il Presidente ha già sistemato l'ordine del giorno delle sedute e si sa che voteremo domani - non stiamo perdendo tempo e non facciamo perdere tempo. Crediamo che stiamo parlando di uno dei diritti più importanti. La nostra Carta costituzionale prevede il diritto allo studio perché è il diritto che qualifica la persona, che rende civili. Anche tutti i dibattiti che stiamo facendo sui provvedimenti del ministro Gelmini sono intorno a questo fatto: quando la norma viene riconosciuta come strumento di promozione della persona rende le persone migliori. Quindi, attraverso la scuola noi avremo dei processi di integrazione migliori. Altro che imparare la lingua. Imparerebbero le nostre regole! A scuola si studia anche la Costituzione ed è prevista l'educazione alla cittadinanza. Vogliamo lasciar fuori da tutte queste opportunità, che qualificano, rispettano, riconoscono e promuovono la dignità della persona, proprio i bambini, che ne avrebbero più bisogno?

Altri hanno fatto un elenco dettagliato. I miei colleghi, dalla senatrice Bonino al senatore Vitali, hanno raccontato tutto ciò che non possiamo fingere di non sapere: la trafila; come arrivano; come stanno qui; che cosa fanno. Ma almeno per i bambini, i più fragili, i cittadini futuri, il Governo cerchi di essere coerente e leale e trovi il modo di far sì che le scuole abbiano dirigenti che non devono dire bugie, che non devono imbrogliare le carte e che dimostrino loro per primi che sanno rispettare le regole.

Per tutti questi motivi, e molti altri sui quali potrei anch'io indugiare per raccontare, ma che i colleghi hanno già ben indicato, chiedo ai sensi dell'articolo 93 del nostro Regolamento di non procedere all'esame di un disegno di legge così contraddittorio con tutta la cultura giuridica e civile del nostro Paese. (Applausi dal Gruppo PD e della senatrice Giai).

PRESIDENTE. Ha chiesto di intervenire il senatore Ceccanti per illustrare una questione pregiudiziale. Ne ha facoltà.

CECCANTI (PD). Signor Presidente, vorrei tornare su un profilo già segnalato da vari colleghi, quello relativo al tema delle cosiddette ronde, particolarmente scabroso perché ci ricordiamo in molti la definizione che dello Stato moderno ha dato Max Weber: abbiamo lo Stato moderno quando abbiamo il monopolio dell'uso legittimo della forza. Quindi, non ci sono delle milizie private che spadroneggiano sul territorio, magari corrispondendo a fazioni e partiti. Il tema è stato affrontato a proposito del Libano, dopo opera la milizia di Hezbollah, una milizia di partito, che dà l'idea dei rischi cui andiamo incontro. In piccolo ne abbiamo avuto un altro esempio quando abbiamo visto nei giorni scorsi sui giornali quali iniziative si preparano sul tema delle ronde.

Nobilitare tutto ciò in nome del principio di sussidiarietà, riconosciuto dall'articolo 118, come innovato con la riforma del Titolo V, che serve ad una migliore gestione dei servizi collettivi, a cominciare dai servizi sociali, di cui nessuno nega l'utilità, tanto è vero che lo abbiamo concordemente inserito nella Costituzione, significa snaturare proprio quel principio.

Dobbiamo tener conto, anche con le immagini cui abbiamo assistito, che c'è chi si prepara a costituire le ronde non al fine di aiutare i cittadini singoli ed associati a denunciare episodi di violenza, di mancato controllo del territorio, ma per cooperare con le legittime forze dell'ordine, provocando probabilmente a tali forze più problemi nel controllare loro che non già la criminalità.

Come possiamo dimenticare, per esempio, l'articolo 18, comma 2, della Costituzione che recita: «Sono proibite le associazioni segrete e quelle che perseguono, anche indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare»? Queste norme della nostra Costituzione sono nate per ribadire il principio fondamentale del monopolio dell'uso legittimo della forza e, non a caso, l'articolo 117, nel descrivere puntualmente le competenze di Stato e Regioni, ha solennemente stabilito che ordine pubblico e sicurezza sono materia esclusiva dello Stato.

Sappiamo bene che certe cose non funzionano, che c'è uno scoordinamento tra varie forze di polizia, che abbiamo un problema di bilancio (fra l'altro, aggravato dal nostro Governo), però, l'idea di risolvere questo esternalizzando verso poteri privati di incerta definizione al confine tra le milizie e con un ruolo partitico aggrava il problema e non lo risolve.

Rispetto a queste nostre preoccupazioni, l'inserimento presso la Camera dei deputati del rinvio ad un decreto del Ministero dell'interno che dovrebbe disciplinare questa norma è stato presentato come una sorta di panacea. È stato cioè detto: avete delle preoccupazioni, è vero che ci sono forze un po' confuse o anche pericolose che si muovono sul territorio, ma vedrete che poi quando si passerà ad una fonte secondaria, quindi ad una fonte che deroga a principi costituzionali come quello dell'ordine e della sicurezza come materia esclusiva dello Stato dove c'è un'evidente riserva di legge, quando arriverà questa disciplina secondaria, essa risolverà i problemi perché sarà restrittiva e quegli spazi per iniziative di persone o di gruppi non sensate verranno frenate.

Ma è possibile varare una legge così delicata dicendo che i problemi ci sono, ma verranno poi risolti da una norma secondaria a seconda di come un decreto del Ministero dell'interno potrà confezionare poi la pratica attuazione della norma? La riserva di legge sancita solennemente nell'articolo 13 rispetto alla libertà personale del cittadino, che potrebbe essere intaccata da atti coercitivi di questi gruppi, viene violata così palesemente dicendo che saremmo rassicurati da una fonte secondaria.

Penso si possa fare tutto per aiutare i cittadini singoli ed associati a collaborare con le forze dell'ordine per segnalare le difficoltà, che esistono, di effettivo controllo del territorio, ma così facendo rendiamo il controllo del territorio ancora più incerto e, soprattutto, andiamo ad impattare con gli articoli 13 e 18 della Costituzione. (Applausi dal Gruppo PD e della senatrice Giai).

PRESIDENTE. Ha chiesto di intervenire il senatore De Sena per illustrare una questione pregiudiziale. Ne ha facoltà.

DE SENA (PD). Signor Presidente, la questione pregiudiziale che mi accingo ad illustrare si rifà ai contenuti del comma 23 dell'articolo 1, già ampiamente trattati dal collega Sanna.

Il comma 23 dell'articolo 1 prevede l'applicazione delle disposizioni relative al prolungamento della durata della permanenza nei centri di identificazione ed espulsione a 180 giorni per i cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea, anche se già trattenuti nei centri di identificazione ed espulsione alla data di entrata in vigore del provvedimento in esame, stabilendo quindi l'efficacia retroattiva della disposizione stessa.

Questa disposizione, quindi, rappresenta un elemento di grave preoccupazione: essendo il trattenimento in un CIE una restrizione della libertà personale, ai sensi dell'articolo 13 della Costituzione, a maggior ragione dovrebbe valere un principio di irretroattività per misure sanzionatorie di cui l'interessato non era a conoscenza nel momento in cui ha posto in essere il comportamento.

Se è vero che nessuno può essere punito se non in forza di una legge entrata in vigore prima del fatto commesso, e ciò in base all'articolo 25 della Costituzione, per rispettare il dettato costituzionale, il legislatore non può prevedere una restrizione della libertà personale con una legge che entra in vigore successivamente all'inizio del trattenimento dell'interessato. L'ingiusto e illegittimo prolungamento del trattenimento di persone già ristrette in strutture chiuse provocherà un pericoloso innalzamento del livello di tensione delle persone, con inevitabili drammatiche conseguenze.

Per questo motivo, ai sensi dell'articolo 93 del Regolamento del Senato, chiediamo di non procedere all'esame del disegno di legge n. 733-B. (Applausi dal Gruppo PD).

PRESIDENTE. Ha chiesto di intervenire la senatrice Pinotti per illustrare una questione pregiudiziale. Ne ha facoltà.

PINOTTI (PD). Signor Presidente, la questione pregiudiziale che mi accingo ad illustrare riguarda in particolare i minori che stanno per compiere i 18 anni di età, ma prima di entrare nel merito, poiché ritengo che questo sia un elemento che pregiudichi la costituzionalità del provvedimento, vorrei soffermarmi sulla filosofia di fondo che sottende a molte delle norme contenute nel testo al nostro esame.

Di alcuni aspetti estremamente gravi hanno già parlato i colleghi, in particolare per quanto riguarda il reato di immigrazione clandestina, che è un vulnus gravissimo, sia per quello che riguarda la sicurezza, che in realtà questo provvedimento dovrebbe salvaguardare, sia per quello che riguarderà la vita concreta di persone in carne ed ossa, che soltanto perché immigrati diventano immediatamente fuori legge.

La filosofia che sottende a molte di queste norme, dicevo, è quella di cercare di rendere un po' più difficile la vita di coloro che arrivano in Italia, a prescindere dal fatto che commettano dei reati (ci mancherebbe, se sono persone che delinquono, deve essere resa loro la vita più difficile), in modo che non sentano questo Paese come ospitale, in modo da farli sentire a disagio, non bene accolti dalla comunità. E questo, appunto, non se sono fuori dalla legge o anche solo fuori dalle regole della convivenza civile della comunità, ma semplicemente per il fatto di provenire da un altro Paese, di essere degli immigrati.

Per tali motivi presentiamo molte questioni pregiudiziali. Vorremmo sottolineare a quest'Aula e a tutta l'opinione pubblica la gravità di questo provvedimento. Noi non siamo affatto d'accordo, ma il nostro disaccordo è più ampio rispetto al tema stesso del provvedimento. Crediamo infatti che con queste norme si inserisca un'idea della convivenza che è estranea a quella che è stata finora la cultura dell'Italia, pensiamo che si prevedano per legge modalità di gestione delle paure che possono innescare fenomeni pericolosissimi e cambiare nel profondo le modalità con cui finora il nostro Paese ha gestito complessivamente la convivenza.

Avverto, in molti passaggi di questo provvedimento, l'eco di una serie di ordinanze emanate in alcuni Comuni del Nord-Est. Non so se lo ricordate, ma circa due anni fa, un sindaco iniziò per primo ad utilizzare i segnali luminosi, solitamente utilizzati per dare informazioni agli automobilisti sul traffico e sulla viabilità, per annunciare che in quel determinato Comune gli immigrati non erano bene accetti.

Ciò aveva suscitato un certo scalpore sulla stampa e da lì, invece della condanna, era partita la gara a chi emetteva l'ordinanza più o meno sottilmente crudele: chi vietava i matrimoni, chi vietava di affittare case, chi diceva che i servizi pubblici non potevano più essere utilizzati, per arrivare a quella che ho ritenuto tra tutte l'ordinanza più aberrante - e mi dispiace molto che sia stato un sindaco donna a proporla - che vietava le borse di studio ai ragazzi non italiani. Un'idea di questo tipo è veramente il contrario di quello che un Paese civile dovrebbe fare nei confronti di chi sta crescendo in quel Paese. Invece di auspicare che un ragazzo non italiano vada bene a scuola e meriti la borsa di studio, così da completare un buon percorso di integrazione, avere delle possibilità e certamente non andare a delinquere, si decide che anche se è bravo, poiché non è italiano, non avrà la borsa di studio. Incredibile!

Credo che la questione dei minori sia uno dei problemi gravissimi che troviamo in questo provvedimento. Il tema dell'infanzia, a prescindere dalla nazionalità, anche se non viene toccato direttamente, viene messo a rischio dal provvedimento in esame. Il problema delle mamme che potrebbero aver paura di andare a partorire in ospedale, perché sono clandestine e potrebbe essere loro sottratto il figlio o potrebbero essere denunciate, esiste e l'ha toccato molto bene la senatrice Garavaglia evidenziando il rischio, addirittura, che a questi bambini, diventando invisibili, potrebbe succedere di tutto. Ma anche rendere più difficile il percorso formativo e scolastico è un problema gravissimo.

È vero, l'infanzia finisce prima dei 18 anni e stiamo parlando di ragazzi che stanno per raggiungere il diciottesimo anno di età, ma sono ragazzi. Probabilmente da bambini hanno frequentato la scuola dell'infanzia con i nostri figli, hanno imparato l'italiano e giocato con loro e con loro sono andati in gita scolastica alle medie. Ebbene, questi ragazzi, per una serie di ragioni (ad esempio, può scadere il permesso di soggiorno dei genitori) si possono trovare, compiuti i 18 anni, immediatamente in una condizione di clandestinità.

Diciamo che non può succedere? A Genova - e credo che Genova sia una città di grandi tradizioni democratiche - è già successo che una preside abbia scritto sulla lavagna i nomi dei ragazzi stranieri che stavano per compiere 18 anni, dicendo che voleva suggerire loro di portare i documenti, ma di fatto è stata una lista ed alcuni di questi ragazzi non sono più tornati a scuola. Possiamo pensare che questo possa servire alla sicurezza? Che questo renda più sicuro il nostro Paese? Ma non dovrebbe essere tutto il contrario, non dovremmo incentivare questi ragazzi ad andare a scuola e ad essere inseriti in percorsi formativi?

In questo provvedimento cosa si fa? Nell'ottica di rendere un po' più difficile la vita a chi è immigrato anche se minore, si dice che, mentre prima era possibile avere il permesso di soggiorno sia per il minore che compie 18 anni affidato o sottoposto a tutela, sia per quello presente da almeno tre anni sul territorio nazionale e inserito in un progetto di integrazione, adesso non basterà una di queste condizioni, ma ci vorranno entrambe. Tuttavia, può succedere che un ragazzo sia entrato in Italia dopo i 15 anni e pertanto non potrà mai avere entrambe le condizioni; quindi, presupponiamo che quel ragazzo, che tra l'altro è anche negli anni più a rischio, vada comunque inserito in un regime di illegalità? Tra l'altro, su questo tema si era già espressa la Corte costituzionale, perché vi era stata una disarmonia sul territorio e in alcune questure si chiedevano entrambi i requisiti e la sentenza della Corte costituzionale aveva chiarito che andavano considerati elementi alternativi e non concorrenti.

Quindi, per questo motivo ricompreso nella filosofia che ho cercato di descrivere dall'inizio e che rende più difficile la vita ai ragazzi che stanno per compiere 18 anni, che stanno probabilmente ancora a scuola o comunque inseriti in un percorso formativo, chiedo ai sensi dell'articolo 93 del Regolamento di non procedere all'esame del disegno di legge n. 733-B. (Applausi dal Gruppo PD).

PRESIDENTE. Ha chiesto di intervenire la senatrice Bastico per illustrare una questione pregiudiziale. Ne ha facoltà.

BASTICO (PD). Signor Presidente, colleghe senatrici e colleghi senatori, rappresentante del Governo, intendo illustrare una questione pregiudiziale sull'articolo 1, comma 22, lettera g) del provvedimento in esame; norma che modifica l'articolo 6, comma 2, del Testo unico sull'immigrazione, prevedendo l'obbligo per il cittadino straniero di esibire la carta o il permesso di soggiorno anche per i provvedimenti inerenti agli atti di stato civile o all'accesso ai servizi pubblici, facendo eccezione solo nei casi inerenti l'accesso alle prestazioni sanitarie e quelli attinenti alle prestazioni scolastiche obbligatorie.

Sull'ingiustizia, dannosità, negatività ed incostituzionalità di questa norma si sono già pronunciati molti colleghi del Gruppo del Partito Democratico e dell'opposizione. Quindi mi soffermerò nell'illustrazione della pregiudiziale non tanto sull'aspetto generale della norma, quanto sulle eccezioni che sono introdotte alla stessa, in particolare sul fatto che risulterebbero esenti da questa richiesta le prestazioni sanitarie e scolastiche obbligatorie.

Innanzitutto, chiedo ai colleghi senatori se è possibile ragionare di scuola, di scuola dell'obbligo, quella che forma e che dà pari opportunità a tutti i bambini in termini di prestazioni scolastiche obbligatorie. La scuola non è un servizio a domanda individuale, non è una prestazione ma un ordinamento della Repubblica che ha il compito di condurre all'istruzione, alla crescita, all'educazione tutti i bambini, tutti ragazzi e dare loro quelle opportunità che sono assolutamente diversificate, a seconda della famiglia di provenienza dei ragazzi stessi. Dunque, la scuola è una istituzione della nostra Repubblica e, come tale, non è un servizio che possa essere chiamato prestazione. Pertanto, alla scuola ci si iscrive; non si fa, ad esempio, la domanda di una prestazione scolastica.

Questa terminologia credo segnali una concezione che noi abbiamo più volte riscontrato anche nella cultura che viene promossa da questo Governo, quella per la quale la scuola sarebbe un servizio che ogni cittadino richiede a seconda delle capacità, della cultura che ha e, quindi, sostanzialmente con un richiamo alla differenziazione nella scelta. Ciò è l'esatto contrario dell'obiettivo che la scuola deve perseguire: non favorire i già favoriti ma, al contrario, dare di più a chi ha di meno. D'altra parte, proprio don Milani ce lo ha illustrato con grande efficacia. La scuola deve essere il luogo dove viene dato di più a coloro che hanno di meno. Invece, in questa concezione, ciò non c'è nel modo più assoluto.

Soffermiamoci su un fatto: prestazioni scolastiche obbligatorie. In concreto, con la legge finanziaria 2007, il Governo Prodi ha innalzato l'obbligo di istruzione a 16 anni. Vorrei pensare che questa norma faccia riferimento all'obbligo dell'istruzione e quindi ragioni sul fatto che fino a 16 anni ci si può iscrivere a scuola, senza la condizione di presentare il proprio permesso di soggiorno; dopo, invece, ciò non sarà possibile.

Pensate pertanto al paradosso, all'ingiustizia e all'inspiegabilità dal punto di vista della logica del fatto che un ragazzo fino a 16 anni possa frequentare un percorso d'istruzione e, giunto al sedicesimo anno di età - in primo, in secondo superiore o in qualsiasi altro percorso di istruzione - improvvisamente non può più frequentare la scuola perché manca del requisito del permesso di soggiorno: in tal modo per chi entra in Italia tutte le sue opportunità sono condizionate dall'età che ha e dalla durata prevista dell'obbligo di istruzione.

È un'ingiustizia assolutamente evidente e contrasta con l'articolo 34 della Costituzione, laddove afferma che i capaci ed i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i più alti gradi negli studi. In questo caso, per i ragazzi stranieri privi di permesso di soggiorno c'è invece uno sbarramento; si frequenta la scuola dell'obbligo e nulla più. Tra l'altro, vorrei che il Ministro ci dicesse qual è l'indicazione dell'obbligo, perché un provvedimento da lei stessa attivato farebbe pensare che l'obbligo termina alla terza media, laddove il ragazzo deve poi scegliere tra un percorso di istruzione e un percorso di istruzione e formazione professionale di carattere regionale, quindi uscire dalla scuola. Peraltro, qui non è indicato cosa accadrebbe a questo ragazzo.

Voglio ancora sottolineare come da parte del ministro Gelmini si sia già tentato di applicare questa norma, quando, in modo assolutamente improvviso e immotivato, ha richiesto a tutti i ragazzi che dovevano essere ammessi all'esame di maturità, un codice fiscale validato dall'Agenzia delle entrate. Un codice fiscale lo si può costruire con grande facilità da parte di ognuno, ma il fatto che per essere ammessi all'esame di maturità occorra un codice fiscale validato dell'Agenzia delle entrate ha suscitato da parte di molti di noi, e soprattutto da parte di molti dirigenti scolastici, studenti, associazioni e sindacati, grande allarme, perché si è pensato che già prima dell'approvazione della legge questa venisse, nei fatti, applicata relativamente all'ammissione all'esame di maturità, poiché non veniva precisato cosa sarebbe accaduto al ragazzo che fosse stato privo del codice fiscale validato dall'Agenzia delle entrate.

Siamo in un'Aula parlamentare: vorrei chiedere ad ognuno di noi che senso ha richiedere la validazione dell'Agenzia delle entrate di un codice che dovrebbe servire semplicemente per creare un'anagrafe degli studenti che partecipano e sono ammessi all'esame di maturità. Dopo una grande sollevazione, e soprattutto dopo i casi che concretamente si sono presentati e che sono stati evidenziati dalla stampa di ragazzi bravissimi che avevano frequentato tutto il liceo o che stavano ancora frequentando la scuola quando è emerso il problema, il Ministero, il Ministro ed i suoi uffici hanno dovuto fare marcia indietro, dicendo che il codice era semplicemente un modo per registrare. Vedete però che comunque, anche prima dell'approvazione delle norme, vi sono stati dei tentativi che se avessero avuto successo avrebbero prodotto gravissimi danni e disuguaglianze nei confronti di alcuni ragazzi, i quali non sarebbero stati ammessi all'esame, venendo quindi buttati fuori dal percorso dell'istruzione.

Debbo ancora sottolineare in termini di incostituzionalità il fatto che si viola uno dei princìpi cardine della Costituzione, quello contenuto nell'articolo 3, cioè il principio di uguaglianza e di pari opportunità; il principio di uguaglianza di diritto, laddove tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge, ma anche dell'uguaglianza di fatto laddove si dice che la Repubblica deve promuovere tutte le condizioni che evitino il dispiegarsi, a seguito di differenze di varia natura, di condizioni di disparità. La Corte costituzionale ha più volte ribadito, con le sentenze n. 120 del 1967, n. 104 del 1969 ed altre, che, nonostante ci sia un riferimento espresso alla cittadinanza nell'articolo 3 della Costituzione, tale principio vale anche per i non cittadini e le persone straniere, quando trattasi di rispettare i diritti fondamentali della persona, e non c'è dubbio alcuno che il diritto alla salute ed il diritto all'istruzione di cui abbiamo fatto cenno siano diritti fondamentali e assolutamente attinenti alla persona.

Aggiungo, a seguito di questo mio ragionamento sulla scuola dell'obbligo, che una discriminazione gravissima si produrrebbe anche per ciò che riguarda l'iscrizione all'università, perché, non solo non si potrebbe continuare il percorso di istruzione, ma, a seguito di tale norma, anche chi avesse già i titoli per iscriversi all'università ne sarebbe escluso, qualora privo del permesso di soggiorno. Anche in questo caso, credo che gli elementi di ingiustizia, di incostituzionalità e di violazione del principio di uguaglianza siano assai evidenti.

Termino, dunque, con la richiesta che, ai sensi dell'articolo 93 del Regolamento, non si proceda all'esame del disegno di legge n. 733-B. Evidenzio, altresì, che le numerose questioni pregiudiziali illustrate oggi dai colleghi dell'opposizione, ed in questo caso anche da me, non sono affatto un elemento volto a perdere tempo o a svolgere riflessioni inutili; sono piuttosto la sottolineatura del fatto che il provvedimento in esame contiene elementi gravissimi di ingiustizia, di impraticabilità e anche di incostituzionalità. (Applausi dal Gruppo PD. Congratulazioni).

PRESIDENTE. Ha chiesto di intervenire la senatrice Adamo per illustrare una questione pregiudiziale. Ne ha facoltà.

ADAMO (PD). Signor Presidente, io sono contenta che sia lei a presiedere perché così so che qualcuno mi ascolta: è già un passo in avanti! Con questa battuta mi rivolgo anche ai pochi senatori presenti.

Tra le diverse disposizione del disegno di legge che generano rilevanti perplessità sotto il profilo della legittimità costituzionale (come hanno richiamato molto puntualmente i colleghi), vorrei sottolineare l'attenzione del Senato sul comma 18 dell'articolo 1, come modificato dalla Camera dei deputati, che così recita nella stesura attuale: «L'iscrizione e la richiesta di variazione anagrafica possono dar luogo alla verifica, da parte dei competenti uffici comunali, delle condizioni igienico-sanitarie dell'immobile in cui il richiedente intende fissare la propria residenza, ai sensi delle vigenti norme sanitarie». In questa dizione credo di poter rilevare in modo fondato due questioni che hanno a che vedere con l'obiezione di costituzionalità.

La prima, comune anche al testo precedente, riguarda l'indeterminatezza della norma dal punto di vista del riferimento. Alludo al fatto che nel testo non viene specificato cosa si intenda per condizioni igienico-sanitarie dell'immobile a scopo abitativo. Ad esempio, non si cita il Testo unico in materia di edilizia n. 380 del 2001, e vorrei pertanto capire se è questo il riferimento; non si cita neanche il Testo unico in materia sanitaria. Mi chiedo, dunque, cosa dobbiamo intendere in un testo di legge per condizioni igienico-sanitarie; forse dobbiamo intendere l'abitabilità e l'agibilità, cioè quella condizione di cui è privo il 50 per cento del patrimonio immobiliare italiano, compreso forse il palazzo da cui stiamo decidendo queste restrizioni.

Il problema sta nel fatto che ragioniamo sul modo in cui si ottiene la residenza, la quale però ha a che vedere con i diritti di cittadinanza garantiti su tutto il territorio nazionale: un cittadino, ovunque risieda, ha il diritto di chiedere la residenza e i requisiti normalmente richiesti hanno a che vedere con i suoi requisiti soggettivi. Vorrei capire, pertanto, cosa c'entra la verifica dei competenti uffici comunali. Il primo problema, quindi, è che noi predisponiamo una norma assolutamente interpretabile, che non fa riferimento a niente di preciso e che non si riferisce a norme oggettive o a dati tecnici.

La seconda questione è rappresentata dal fatto che il testo licenziato al Senato prevedeva che il comune dovesse svolgere la verifica per chi chiedeva la residenza o il cambio di residenza; vi era poi un silenzio-assenso di 30 giorni, scaduti i quali vi era una residenza provvisoria. Si trattava di una procedura infame e macchinosa, ma che era erga omnes. Introduco così il secondo punto di incostituzionalità.

Alla Camera hanno spiegato alla maggioranza e al Ministro che forse sottoporre a una cosa di questo genere un signore di Torino che deve spostare la residenza a Milano sarebbe delirante e che gli uffici comunali, soprattutto in una città come Milano, avrebbero passato la vita a svolgere attività inerenti a competenze non loro. Pertanto, tale disposizione è stata eliminata e apparentemente ammorbidita.

Il problema è che, a proposito di una questione che ha a che vedere con i diritti di cittadinanza (perché attraverso la residenza si acquisisce, ad esempio, l'accesso all'anagrafe e la possibilità di richiedere una carta d'identità, ossia di essere considerati, ancorché provvisori, cittadini di quel comune), viene introdotta una formula che vorrei rileggere: «L'iscrizione e la richiesta di variazione anagrafica possono dar luogo alla verifica». Intanto non si chiarisce quando e a quali condizioni scatti tale verifica e nemmeno si chiarisce cosa succederà dopo.

In una delle questioni fondamentali sui diritti di cittadinanza, categorie di cittadini non meglio definite - oso immaginare che sia una norma per gli stranieri - vengono messe in mano alla totale soggettività del comune e dei suoi funzionari, che potranno decidere, di volta in volta, se fare la verifica o non farla e quali criteri far valere o meno. Avrà la residenza chi vive in uno di questi deliziosi seminterrati che vedo affittati nell'Urbe in cui viviamo o chi vive negli splendidi loft venduti ed affittati a Milano come uffici e in cui tutti fissano la loro residenza? In quali casi non ci saranno i requisiti? Si sta creando una soggettività, che è assolutamente contraria al modo in cui bisogna scrivere una norma affinché una nostra legge sia costituzionale e valga di fronte a tutti i cittadini.

In precedenza, ho affermato scherzando che oso immaginare che tale norma abbia di mira gli stranieri. Se avessimo voluto stabilire che non vogliamo dare la residenza alla gente che vive nelle roulotte, forse sarebbe stato meglio scrivere una norma secondo la quale ha la residenza solo chi vive in un immobile. Ciò aprirebbe un certo problema pregresso, ma per il futuro potrebbe avere anche una sua ratio. Ma il riferimento a non meglio precisate norme igienico-sanitarie è improbabile: cosa dovrebbe avere un'abitazione? L'antibagno, che non ha nessuno? Gli stranieri che vivono nelle nostre amate case di ringhiera milanesi - ormai sono gli unici, insieme a qualche vecchio pensionato, a vivere in queste case non ristrutturate a Milano - non potranno avere la residenza? Cosa verificherà il sopralluogo? Oppure si potrà avere o non avere la residenza a seconda del vigile o del funzionario o se si conoscono le persone giuste?

Questa è una legge civile e costituzionale? No, e penso che tale norma persegua - su questo aspetto già molti colleghi si sono soffermati ed è già stato sottolineato anche per altre norme - con ipocrita coerenza l'obiettivo di rendere la vita difficile o impossibile non ai clandestini e nemmeno ai cosiddetti irregolari (categoria che sta nascendo con questa maggioranza e questo Governo, perché non sanno dove mettere 650.000 clandestini prodotti dalla cosiddetta legge Bossi‑Fini, aprendo una distinzione interessante fra clandestini ed irregolari), ma a gente che ha il permesso di soggiorno e che con tale permesso chiede la residenza per la casa in cui vive, senza sapere se potrà averla o meno, perché non c'è un accertamento delle caratteristiche soggettive, che è stato già fatto, altrimenti non si avrebbe il permesso di soggiorno.

Viene quindi da chiedersi: in questo provvedimento sulla sicurezza, cosa c'entra la sicurezza? Invece c'entra, perché in realtà, come hanno già detto alcuni colleghi, state approvando delle norme inutilmente crudeli, inutili rispetto all'obiettivo o, peggio, che rendono la presenza degli stranieri un elemento di maggiore insicurezza. Norme come questa, infatti, comportano il rischio di avere una massa indeterminata di precari sempre ricattabili, non solo sul lavoro ma - peggio ancora - nella loro condizione esistenziale, per il fatto di non sapere se possono mettere su famiglia o se possono effettuare un ricongiungimento; questa norma si incrocia con un'altra analoga sui ricongiungimenti, per effettuare i quali bisogna infatti dimostrare di avere una casa e così via.

Ciò allontana l'immigrazione di qualità, che è il problema del nostro Paese, e attira immigrazione di bassa qualifica, che ci crea più problemi e mette queste persone, che non trovano uno Stato che sappia dir loro quali sono i loro diritti e garantirli, nelle mani di chi organizza la tratta e di chi è delinquente, perché si rivelerà in qualche modo, sia pure illusorio, l'unico che può garantirgli certe protezioni. Del resto, abbiamo visto tutti i tanti film sul rapporto tra immigrazione e mafia: non abbiamo bisogno di andare all'estero, perché questo fenomeno ce l'abbiamo in casa. Mi spiace che non sia presente il senatore Vizzini, che ha giustamente rivendicato i provvedimenti contro la mafia presenti in questo testo. Ma che senso ha? Lo sappiamo che certa immigrazione clandestina o, per meglio dire, certa delinquenza - visto che l'immigrazione, clandestina o meno, non c'entra - viene più facilmente in Italia dall'estero, non perché - com'è che dicono? - la nostra giustizia non funziona, ma perché un terzo del Paese è in mano alla criminalità organizzata.

È inutile fare da una parte le norme contro la mafia e dall'altra creare le condizioni per cui centinaia di migliaia di persone troveranno nella delinquenza organizzata l'unico modo e l'unico luogo per avere una protezione. (Applausi dal Gruppo PD).

PRESIDENTE. Ha chiesto di intervenire il senatore Marino Mauro Maria per illustrare una questione pregiudiziale. Ne ha facoltà.

MARINO Mauro Maria (PD). Signor Presidente, signor Sottosegretario, colleghi senatori, intendo sollevare, illustrandola, una questione pregiudiziale sulla norma di cui alla lettera l) del comma 22 dell'articolo 1. Già questa dizione da sola spiega quali sono gli effetti distorti che produce l'abuso dello strumento della fiducia, almeno dal punto di vista del drafting legislativo.

Questa norma non era nata così quando era stata licenziata per la prima volta da quest'Assemblea, ma poi su questo aspetto tornerò. Abbiamo infatti reintrodotto vecchi concetti che erano propri di alcune leggi finanziarie, in cui ad un certo punto, per far passare di tutto e di più, veniva tutto compresso, rendendo difficile la trasparenza, che dovrebbe essere uno degli elementi principali della norma.

Se dovessi fare una battuta su cosa significa l'abuso della fiducia, mi metterei soprattutto nei panni dei colleghi della maggioranza, che vedo rappresentata da tre soli senatori. Voglio però ringraziarli per essere qui, perché altrimenti si rischierebbe di fare come a scuola, quando molti alunni "tagliavano" le lezioni, ma a beccarsi le rampogne dei professori erano solo gli alunni presenti in aula. Dunque, ai colleghi che sono rimasti a sentire cose che per noi hanno un senso, perché le questioni pregiudiziali dovrebbero avere un senso, spetta almeno un'attestazione di stima da parte nostra.

Non posso però non rimarcare, a fronte di ciò, che coloro che vengono più penalizzati all'interno dell'intera Assemblea sono propri i colleghi di maggioranza, perché quando ci troviamo nelle condizioni per cui un Governo continua ad adottare provvedimenti che non permettono mai un'interlocuzione né da parte delle Commissioni, né da parte di coloro che dovrebbero essere i primi ad avere un rapporto dialettico con il Governo stesso, cioè i colleghi della maggioranza, significa che si continua a stravolgere se non altro quel principio della divisione dei poteri che affida al potere legislativo funzioni preminenti di indirizzo e di controllo rispetto al potere esecutivo, che ormai ci stiamo dimenticando.

Ritorno alla questione e faccio riferimento alla lettera l), del comma 22, dell'articolo 1, che dispone l'estensione del termine massimo del trattenimento dello straniero nei centri per l'identificazione ed espulsione dagli attuali due mesi a sei mesi «in caso di mancata cooperazione al rimpatrio del cittadino del Paese terzo interessato o di ritardi nell'ottenimento della necessaria documentazione dai Paesi terzi». Permettetemi subito di aprire una seconda chiosa: si tratta di una norma che era presente nel provvedimento che avevamo analizzato in questa sede (e mi ricollego al tema dell'utilizzo e abuso dello strumento della fiducia). Questa Assemblea, a scrutinio segreto, aveva bocciato tale norma. Il Governo, che doveva pagare un pegno alla Lega Nord che di questa norma aveva fatto una bandiera (perché qui non andiamo avanti cercando di fare norme di carattere generale che badano al bene pubblico, ma cerchiamo di assecondare gli istinti che in una parte della maggioranza fanno sì che possano essere vendute all'esterno alcune norme che io definisco norme manifesto; ricordo che è stata bocciata dal Senato, poi è stata reintrodotta dalla Camera e anche lì è stata bocciata a scrutinio segreto), preso da un empito di lealismo nel rapporto con la Lega Nord, reintroduce questa norma attraverso il cosiddetto decreto anti-stalking. Anche questo peraltro è un esempio di mortificazione dell'attività parlamentare: ricorderò sempre la battaglia che è stata fatta nelle Commissioni competenti dalla senatrice Della Monica per introdurre questi argomenti e le motivazioni portate per negare tale possibilità, adducendo il fatto che essi facevano riferimento ad un'attività parlamentare che era stata incardinata alla Camera dei deputati.

Viene introdotta quindi questa norma per fare in modo che si ritorni di nuovo ai 180 giorni, ma contemporaneamente viene messa anche all'interno dell'emendamento su cui si è chiesta la fiducia alla Camera. Alla fine, è avvenuto che è stato eliminato l'articolo 5 del cosiddetto decreto anti-stalking, il decreto n. 11 del 2009, altrimenti finiva per esserci una sovrapposizione: in realtà perché si voleva essere certi che la Lega potesse essere soddisfatta (si era in tempi pre-elettorali) rispetto ad un'aspettativa che per loro rappresentava una bandiera.

Queste sono motivazioni politiche che - permettetemi - alla sola lettura di quello che deve essere il testo finale non possono non evidenziare aspetti che fanno sì che si sottolinei molto di più l'apparire, il voler dare un senso di risposta formale a problemi che non si risolvono, che vengono ingenerati nella pubblica opinione, rispetto ai quali si fa finta di dare delle risposte. Questo lo si capisce tanto più se si pensa che tale disposizione è strettamente collegata con la norma di cui al comma 16 dell'articolo 1, che punisce a titolo di reato l'ingresso e il soggiorno illegale dello straniero nel territorio dello Stato. È una norma che, oltre a esasperare la tendenza all'uso simbolico dell'azione penale (praticamente la mette sullo stesso piano delle grida manzoniane: ogni volta si diceva che si puniva di più, ma poi non si vedeva se c'era l'effettività della pena, sempre secondo la logica di cui ho detto prima), non fa altro che criminalizzare quelle che sono mere condizioni personali e presenta molteplici profili di illegittimità costituzionale.

La norma è anzitutto priva di un fondamento giustificativo poiché la sua sfera applicativa è destinata a sovrapporsi integralmente a quella dell'espulsione quale misura amministrativa, ma è nella genesi della norma stessa che capiamo perché si è arrivati a questo. Non si è pensato infatti di fare una norma generale e astratta che permettesse di risolvere un problema, ma nel cosiddetto pacchetto sicurezza (che ha preso le mosse con il decreto-legge n. 92 del 2008 per poi essere reiterato con il n. 151 e altri, di cui questa è l'ultima appendice) si è cercato di creare una specie di risposta fittizia alla domanda di sicurezza. Quest'ultima veniva ritenuta come elemento fondamentale per la proposta politica che la maggioranza aveva fatto al Paese e rendeva possibile almeno colpire l'attenzione dell'opinione pubblica, senza tenere conto della costituzionalità delle normative che venivano introdotte né della coerenza a cui il sistema doveva essere richiamato.

Se poi, a prescindere dall'effettività, si dovesse dire che si sia avuto un qualche tipo di risultato, sicuramente non lo si potrebbe fare. Quando si parla dell'ingresso e della presenza illegale del singolo straniero, ci si rende conto che il sistema nel suo insieme non sta più in piedi: questi due, difatti, non rappresentano elementi meritevoli di una tutela di tipo penale né tanto meno giustificano l'estensione del termine massimo del trattenimento dello straniero nei centri per l'identificazione e l'espulsione dagli attuali due mesi a sei. Quest'ultimo, come ha già ricordato - se non sbaglio - il senatore Carofiglio, è il tempo previsto per le pene detentive comminate a chi commette reati anche di una certa gravità. Abbiamo assistito cioè alla trasformazione dei CPT (Centri di permanenza temporanea) in CIE (Centri di identificazione ed espulsione), che finiscono per assumere le connotazioni di una vera e propria detenzione carceraria, senza essere strutturati da questo punto di vista né essere in grado di dare una risposta significativa alla domanda di presenza al loro interno che si verrebbe a creare, qualora tali norme entrassero in vigore.

E tutto questo, senza pensare poi al fatto che così si andrà ad ingolfare pesantemente il nostro sistema penale. Altra cosa che alcune volte viene detta è che dobbiamo mirare ad una migliore efficacia della giustizia, ma poi si fanno norme che creano un'aspettativa nei confronti dei cittadini, ma finiscono per essere di fatto irrealizzabili. Questo è il vero contrasto rispetto al quale siamo chiamati a pronunciarci e che dovrebbe essere anche un elemento da sviscerare nelle sedi competenti, cercando di instaurare un confronto dialettico non solo tra maggioranza e opposizione - che non c'è - ma addirittura tra maggioranza e Governo, anche se non mi sembra che questo possa essere attuato con l'uso e l'abuso degli strumenti a cui facevo prima riferimento.

Queste riflessioni portano ad accelerazioni pericolose su molti temi e ad un'identificazione della condizione del migrante come quella di un delinquente: ecco l'analogia che scatta.

PRESIDENTE. Senatore Marino, la avverto che non posso concederle ulteriore tempo oltre a quello a sua disposizione, che sta per esaurirsi, perché sta per finire la seduta.

MARINO Mauro Maria (PD). Signor Presidente, detto ciò, non mi dilungo oltre, anche perché non vorrei rischiare di tediare i colleghi. Mi limiterò a concludere il mio intervento sottolineando il fatto che si sta ingenerando un bisogno di sicurezza fittizio, cui si danno risposte di carattere propagandistico. E tutto questo lo si fa calpestando la Costituzione.

Per questi motivi, ai sensi dell'articolo 93 del Regolamento, chiediamo di non procedere all'esame del disegno di legge n. 733-B. (Applausi dal Gruppo PD).

PRESIDENTE. Colleghi, con questo intervento si è così conclusa la fase di illustrazione delle questioni pregiudiziali.

Com'è già stato comunicato, rinvio pertanto il seguito della discussione sul disegno di legge in titolo ad altra seduta.

Per comunicazioni del Ministro dello sviluppo economico
sul futuro dello stabilimento FIAT di Termini Imerese

LUMIA (PD). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUMIA (PD). Signor Presidente, ho chiesto la parola per intervenire su quanto sta avvenendo nello stabilimento FIAT di Termini Imerese in Sicilia. Il 18 giugno scorso ha avuto luogo un importante incontro a palazzo Chigi, durante il quale, di fronte alle più alte rappresentanze sindacali ed ai rappresentanti delle Regioni e dello stesso Governo, la FIAT ha presentato una bozza di piano industriale in cui si è fatto cenno ad una possibile - anzi, certa - chiusura della produzione delle automobili nello stabilimento di Termini Imerese a partire dal 2011.

Signor Presidente, chiedo che il Ministro dello sviluppo economico venga in Aula a riferire perché in tutto il mondo si sta discutendo della crisi del settore automobilistico e di come uscirne, ed è importante che il Parlamento italiano, come tutti Parlamenti d'Europa e come è avvenuto negli Stati Uniti, abbia un ruolo, che interloquisca con il Governo. Infatti, per uscire dalla crisi è chiaro che sono necessari degli investimenti pubblici; ed è chiaro che la politica deve fare la sua parte, ma accompagnando naturalmente processi di innovazione, di cambiamento, senza strozzare e bloccare il mercato.

È importante, signor Presidente, che la FIAT abbia un ruolo importante e non penso che possa essere in contraddizione l'idea di una grande FIAT con quella di mantenere in vita tutti gli stabilimenti presenti in Italia.

Signor Presidente, nel motivare la richiesta che faccio, deve conoscere un dato importante e cioè che la produzione di automobili in Italia da parte della FIAT è la più scarsa in Europa. Oggi produciamo appena 600.000 automobili l'anno circa, mentre in Germania se ne producono circa 6 milioni l'anno. Il Governo tedesco con le Regioni ha posto un vincolo nella negoziazione con la FIAT: che non venga assolutamente toccato nessuno stabilimento.

Signor Presidente, in queste ore nello stabilimento di Termini Imerese ci sono delle civili, ma accorate proteste. E questo stabilimento ha delle potenzialità enormi sia in riferimento al Mediterraneo, sia per la cultura industriale che lì c'è. Inoltre, delle due questioni poste da Marchionne, quella della logistica è stata, di fatto, superata con un porto a Termini Imerese oggi operativo e pronto, mentre quella dell'indotto può essere facilmente superata.

Naturalmente dobbiamo richiamare alle sue responsabilità anche la Regione e tutti gli attori sociali. È chiaro però che il Parlamento deve dire la sua e il Governo non può far da notaio. Quest'ultimo deve poter seguire le vicende, stabilire criteri ed incentivi e far pesare, con le politiche pubbliche più adeguate, la propria volontà. Penso sia giunto il momento che il Parlamento apra una profonda discussione ascoltando dal Ministro le volontà del Governo, e detti anche un atto di indirizzo.

Colgo l'occasione, signor Presidente, per annunciare che il Partito Democratico si appresta a presentare una mozione proprio sulle sorti dello stabilimento di Termini Imerese nel contesto del cambiamento e del piano industriale che la FIAT ci ha presentato.

PRESIDENTE. Senatore Lumia, la Presidenza condivide - io condivido - la sua preoccupazione. La situazione di Termini Imerese ha un rilievo enorme per la Sicilia e per il Mezzogiorno e grande per il Paese rispetto allo sviluppo e a come l'Italia uscirà da questa situazione di crisi. Quindi, condivido pienamente le sue preoccupazioni.

La Presidenza chiederà al Ministro dello sviluppo economico di riferire in Aula. In ogni caso, come lei ha già detto, se il Gruppo del Partito Democratico presenterà una mozione specifica, la Presidenza si attiverà affinché nella Conferenza dei Capigruppo venga calendarizzata la relativa discussione.

Sull'intervento delle forze dell'ordine
nei confronti di un'iniziativa radicale a Catania

PERDUCA (PD). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERDUCA (PD). Signor Presidente, prendo la parola per denunciare un caso di mal interpretata sicurezza perché mi è giunta notizia che a Catania uno stand dall'Associazione radicale «Certi Diritti» è stato messo sotto osservazione dai Carabinieri per oscenità, in quanto al tavolo c'era scritto: «Cercasi coppie gay e lesbiche per matrimonio».

Ieri pomeriggio a Catania, nella zona centrale, davanti a Villa Bellini, i Carabinieri sono intervenuti in forze presso lo stand dell'Associazione radicale «Certi Diritti» per verificare se effettivamente si manifestavano turbamenti o atti osceni, come segnalato da un cittadino. Allo stand della suddetta Associazione radicale, allestito per promuovere il Gay pride siciliano che si svolgerà sabato 4 luglio, venivano semplicemente distribuiti volantini informativi della campagna di affermazione civile in cui si chiede a coppie gay e lesbiche che intendono sposarsi di andare a chiedere le pubblicazioni nel proprio Comune di residenza. I Carabinieri sono addirittura intervenuti in forze, dispiegando mezzi e uomini, e hanno potuto ricevere il materiale dell'Associazione stessa, che però, a questo punto, credo chieda l'immediata verifica della regolarità delle procedure (la delegazione radicale del Gruppo del Partito Democratico presenterà un'interrogazione parlamentare in tal senso), a partire dall'identificazione di chi ha procurato l'allarme.

Dico tutto ciò perché la settimana scorsa a Napoli una ragazza ventiseienne, dal nome Maria Luisa, nel tentativo di difendere un amico omosessuale aggredito da sconosciuti, dopo aver chiamato il «113», che non rispondeva, è stata portata all'ospedale per le percosse subite. In molti parlamentari abbiamo firmato un appello al Presidente della Repubblica perché le venga conferita la medaglia d'oro al valore civile.

Se questa è la sicurezza che, come diceva giustamente il senatore Marino poco fa, volete imporci, peraltro anche a chi non ha problemi di sicurezza, è chiaro che, fiducia o non fiducia, se uno crede ad un minimo di verità storica e anche fattuale, un giorno o l'altro dovrete fare i conti con il fatto che l'Italia è all'ultimo posto in Europa per la tutela dei diritti di chi vive la propria vita in maniera diversa per questioni di identità di genere e orientamento sessuale: cioè, qui l'omofobia è la vera emergenza e non c'è una sola misura, in tutti i provvedimenti che ci avete proposto da quindici mesi a questa parte, che tuteli questo gruppo di persone.

PRESIDENTE. Senatore Perduca, la Presidenza prende atto del suo intervento. Naturalmente, su questi aspetti e su quello che lei ha detto, perché non ci sia soltanto una presa d'atto o una traccia nel verbale della seduta, che resterà comunque stasera, penso dovrà adottare - naturalmente la valutazione spetta a lei - uno strumento come l'interrogazione, l'interpellanza o il question time.

Ci sono altri senatori, come il collega Bosone e la collega Amati, che avevano chiesto di parlare. Li invito però a farlo domani, perché non ho il potere di prolungare la seduta oltre l'orario di chiusura previsto.

Mozioni, interpellanze e interrogazioni, annunzio

PRESIDENTE. Comunico che sono pervenute alla Presidenza mozioni, interpellanze e interrogazioni, pubblicate nell'allegato B al Resoconto della seduta odierna.

Ordine del giorno
per le sedute di mercoledì 1° luglio 2009

PRESIDENTE. Il Senato tornerà a riunirsi domani, mercoledì 1° luglio, in due sedute pubbliche, la prima alle ore 9,30 e la seconda alle ore 16,30, con il seguente ordine del giorno:

(Vedi ordine del giorno)

La seduta è tolta (ore 20,34).

Allegato A

DISEGNO DI LEGGE

Disposizioni in materia di sicurezza pubblica (733-B)

PROPOSTE DI QUESTIONE PREGIUDIZIALE

QP1

D'ALIA

Il Senato,

        premesso che:

            il disegno di legge avente ad oggetto «disposizioni in materia di sicurezza pubblica» approvato dalla Camera dei deputati (AS 733-B) presenta diversi profili di incompatibilità con le norme costituzionali;

            in particolare con riferimento alla materia dell'immigrazione clandestina sono previste misure straordinarie ed eccezionali rispetto al sistema penale sostanziale e processuale in palese violazione degli articoli 3 e 24 della Costituzione;

            l'articolo 1, comma 16, introduce il nuovo reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato. Tale disposizione, oltre ad essere inefficace con riferimento agli scopi perseguiti, comporta l'istituzionalizzazione di una procedura del tutto eccezionale e particolare, applicabile ai cittadini stranieri di Paesi terzi rispetto all'Unione europea. La fattispecie comporta un processo ad hoc con minori garanzie per i cittadini dei suddetti Paesi, in palese violazione del principio di uguaglianza sancito dall'articolo 3 della Costituzione;

            la richiamata figura di reato inoltre, nonostante l'eliminazione degli obblighi di denuncia per il personale medico, è suscettibile di avere un'incidenza negativa per l'accesso a servizi pubblici essenziali relativi a diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione da parte degli immigrati non dotati (o non più dotati) di valido titolo di soggiorno, tra cui il diritto alla salute tutelato espressamente dall'articolo 32 della Costituzione. Ai sensi dell'articolo 331 del Codice di procedura penale, infatti, tutti i pubblici ufficiali e gli incaricati di un pubblico servizio hanno l'obbligo di denuncia in relazione alla cognizione funzionale di un reato procedibile d'ufficio. Il rischio concreto - in assenza dell'introduzione di una deroga all'obbligo quanto meno nell'ambito di servizi che tutelano beni primari - è che si possano creare circuiti illegali alternativi che offrano prestazioni non più ottenibili dalle strutture pubbliche;

            le disposizioni previste dall'articolo 3 commi da 40 a 44 che autorizzano le cosiddette di cittadini, oltre ai fondati dubbi sull'efficacia delle misure previste, sollevano dubbi circa la compatibilità con la Carta costituzionale dell'affidamento a privati di competenze in materia di tutela della sicurezza pubblica anche se sotto il controllo dell'esecutivo. Il disegno di legge non specifica infatti che le associazioni non devono avere né natura né finalità di ordine politico. La mancanza di una previsione espressa in tal senso espone al rischio concreto di violazione dell'articolo 18, secondo comma della Costituzione che vieta di costituire associazioni che, anche indirettamente, perseguano scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare. In tal senso giova ricordare che secondo una autorevole dottrina costituzionalista che ha analizzato il fenomeno associativo paramilitare «non è solo l'uso effettivo della violenza che si deve impedire, ma tutto ciò che la rende possibile, o che semplicemente può far temere l'impiego potenziale della medesima». Sotto questo aspetto, anche la previsione, riferita alle associazioni di volontari per la sicurezza, che debba trattarsi di cittadini non armati, potrebbe non risolvere il problema;

            manca inoltre un divieto di partecipazione per coloro che siano stati condannati per reati di violenza o per il compimento di atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, o religiosi;

            sotto un diverso profilo le disposizioni previste dall'articolo 3 commi da 40 a 44 già richiamate sopra suscitano perplessità in riferimento al riparto di competenze stabilito dall'articolo 117 comma 2 lettera h). In base a tale norma lo Stato ha competenza esclusiva in materia di ordine pubblico e la previsione di un ruolo diretto degli Enti locali nel rapporto con le associazioni di cittadini non armati che svolgono una attività di supporto alle Forze di polizia dello Stato o locali appare incoerente con l'esercizio di tale responsabilità;

            l'articolo 1, comma 20, lettera g), appare in contrasto con l'articolo 2 della Costituzione con riguardo al rispetto dei diritti inviolabili dell'uomo ed in particolare con il diritto della persona minore di età alla propria identità personale e alla cittadinanza da riconoscersi immediatamente al momento della sua nascita sancito dall'articolo 7 della Convenzione sui diritti del fanciullo approvata a New York il 20 novembre 1989 e ratificata dall'Italia con legge del 27 maggio 1991 n. 176. In tal senso si consideri che l'applicazione delle modifiche apportate all'articolo 6, comma 2, del Testo Unico sull'immigrazione determinerebbe una iniqua condizione del figlio di genitori stranieri non regolari nel nostro territorio, con la conseguenza che lo stesso non solo verrebbe privato della propria identità ma potrebbe essere più facilmente esposto ad azioni volte a falsi riconoscimenti da parte di terzi, per fini illeciti e in violazione della legge sull'adozione;

            la violazione dei diritti di cui al predetto articolo 7 della Convenzione sui diritti del fanciullo approvata a New York il 20 novembre 1989 e ratificata dall'Italia con legge del 27 maggio 1991 n. 176, configura altresì una aperta violazione dell'articolo 117 della Costituzione, nella parte in cui impone al legislatore il rispetto degli obblighi internazionali;

        delibera, ai sensi dell'articolo 93 del Regolamento, di non procedere all'esame dell'A.S. 733-B, per le motivazioni specificate in premessa.

QP2

PARDI, LI GOTTI, BELISARIO, GIAMBRONE, CARLINO, ASTORE, BUGNANO, CAFORIO, DE TONI, DI NARDO, LANNUTTI, MASCITELLI, PEDICA, RUSSO

Il Senato,

        premesso che:

            nell'articolo 3, commi da 40 a 44, del disegno di legge in esame si prevede che i sindaci, previa intesa con il prefetto, possano avvalersi della collaborazione di associazioni tra cittadini non armati al fine di contribuire al presidio del territorio. Il testo ripropone sostanzialmente (nei commi da 40 a 43) i contenuti dell'articolo 6, commi da 3 a 6, del decreto-legge n. 11 del 2009 (cosiddetto decreto «anti-stalking»), già soppressi nell'iter di conversione del decreto-legge stesso e che, a sua volta, riprendeva - parzialmente modificandoli - i contenuti di una disposizione dell'A.S. 733-A. Ai sensi della presente disposizione, il sindaco si avvale, in via prioritaria, di associazioni costituite tra gli appartenenti, in congedo, delle Forze di polizia, delle Forze armate e di altri corpi dello Stato. Gli ambiti operativi, i requisiti per l'iscrizione e le modalità di tenuta dell'elenco non sono compiutamente disciplinati dalla legge ma rimessi ad un successivo atto amministrativo, nella fattispecie un decreto del Ministro dell'interno. Tale disposizione appare in evidente contrasto con il fondamentale principio della primaria ed esclusiva responsabilità dello Stato nella tutela della sicurezza pubblica (si veda, tra gli altri, l'articolo 117 della Costituzione, secondo comma); né è sufficiente ad evitare la violazione di tale principio la previsione di un successivo decreto ministeriale che dovrebbe regolamentare l'esistenza di tale forme di collaborazione. Anche ad avviso del Consiglio Superiore della Magistratura (Delibera del 2 aprile 2009), «la possibilità di derogare al principio che assegna all'autorità pubblica l'esercizio delle competenze in materia di tutela della sicurezza desta perplessità di ordine generale. Né può costituire argomento giustificativo la previsione di arresto da parte di privati ex articolo 383 del Codice di procedura penale (limitata ai delitti perseguibili di ufficio di cui all'articolo 380 nei casi di flagranza) la quale è ipotesi eccezionale che richiede comunque l'immediato intervento della polizia e poi dell'autorità giudiziaria. La perplessità di ordine generale è accentuata dalla finalità che viene attribuita alle associazioni volontarie, che è quella di «segnalare alle Forze di polizia dello Stato o locali, eventi che possano arrecare danno alla sicurezza urbana ovvero situazioni di disagio sociale». L'elevato tasso di discrezionalità, già insito nella segnalazione di un danno solo potenziale alla sicurezza urbana, diventa ancora più ampio con riferimento alle situazioni di «disagio sociale», espressione talmente generica da poter giustificare gli interventi e le segnalazioni più disparate su questioni che non rientrano nella tutela della sicurezza e non sono di competenza delle forze dell'ordine. Il comma 41 dell'articolo 3 prevede inoltre l'iscrizione delle associazioni in questione in un apposito elenco tenuto a cura del prefetto, previa verifica da parte di questi, sentito il Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, dei requisiti necessari stabiliti dal decreto del Ministro dell'interno. La suddetta iscrizione non si configura come un'autorizzazione amministrativa, ma come una mera verifica della corrispondenza tra i requisiti stabiliti nel decreto ministeriale e quelli posseduti dall'associazione. Si tratta, quindi, non di un effettivo controllo sull'attività realmente svolta dalle associazioni, ma di un accertamento della corrispondenza dei fini dichiarati dalle associazioni ai requisiti che verranno indicati nel decreto ministeriale. Il rinvio al decreto ministeriale suscita ulteriori perplessità, in considerazione della genericità e delle lacune contenute nel testo del presente disegno di legge. Basti pensare alla mancata previsione, che non può che essere contenuta in un atto legislativo, che le associazioni non debbano avere né natura né finalità di ordine politico, in considerazione del divieto, posto dall'articolo 18, comma 2 della Costituzione, di costituire associazioni che, anche indirettamente, perseguano scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare (per la sussistenza delle quali in base al Decreto Luogotenenziale 14 febbraio 1948 n. 43, non è richiesto il possesso di armi, ma sono sufficienti un'organizzazione di tipo gerarchico analoga a quella militare e la dotazione di uniformi). Altrettanto si dica per l'assenza nell'A.S. 733-B di ogni requisito negativo, preclusivo della partecipazione alle associazioni, come quelli di essere stati condannati per reati di violenza o per il compimento di atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi. Infine la doverosa precisazione che i cittadini debbano essere «non armati» non è tale da fugare ogni dubbio sull'utilizzazione di strumenti, non definibili armi in senso proprio, ma comunque atti ad offendere e a compiere atti di coercizione fisica. In definitiva la genericità delle previsioni contenute nel presente disegno di legge può incrementare il rischio di incidenti, e nei casi più gravi della commissione di reati, aggravando paradossalmente il lavoro sia per le forze dell'ordine - distogliendole dal perseguimento del fine di garantire un efficace controllo del territorio - sia per l'esercizio della funzione giurisdizionale da parte della magistratura;

            il disegno di legge in esame punisce altresì, a titolo di reato contravvenzionale, l'ingresso e il soggiorno illegali nel territorio dello Stato. Con la disposizione di cui al comma 16 dell'articolo 1, pertanto, diventa reato non solo l'ingresso illegale, ma, da subito, anche la presenza sul territorio, trasformando così in reato quello che l'articolo 13 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo sancisce come diritto, cioè la possibilità di emigrare, nei modi e nei limiti sanciti dalla normativa vigente, dal Paese di origine verso un altro paese e, per gli stranieri ad oggi irregolarmente presenti sul territorio nazionale, si sanziona un comportamento che, in base alle legislazione in vigore, non permette regolarizzazione: procedimento che appare incompatibile con l'articolo 24 della Costituzione. La modifica più rilevante in materia di immigrazione del presente provvedimento è costituita dall'introduzione del nuovo reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato affidato alla competenza del giudice di pace, che punisce con un'ammenda la condotta dello straniero che faccia ingresso ovvero si trattenga nel territorio dello Stato in violazione delle disposizioni del testo unico sull'immigrazione o della legge n. 68/2007 (in tema di disciplina dei soggiorni di breve durata). La nuova fattispecie incriminatrice è corredata da previsioni accessorie (espressa previsione della espulsione come sanzione sostitutiva, effetto estintivo del reato dell'avvenuto allontanamento dello straniero, possibilità di procedere ad espulsione amministrativa anche in assenza di nulla osta della autorità giudiziaria procedente) che ne rendono evidente la finalità puramente strumentale all'allontanamento dello straniero irregolare dal territorio dello Stato. La norma si presta a una pluralità di osservazioni critiche che hanno come punto di partenza la constatazione ovvia dell'eccezionale aggravio che la sua introduzione comporterebbe per l'attività giudiziaria in generale, in considerazione dell'imponenza quantitativa del fenomeno dell'immigrazione irregolare nel nostro Paese, e ruotano attorno al rapporto tra vantaggi e svantaggi che ne deriverebbero. In effetti il primo risultato perseguito da qualsiasi fattispecie incriminatrice è l'effetto deterrente che ne può derivare, e in tal senso una contravvenzione punita con pena pecuniaria non appare prevedibilmente efficace per chi è spinto a emigrare da condizioni disperate o comunque difficili (né il presunto disvalore di tale condotta è tale da ammettere, anche in astratto, maggiori rigori sanzionatori). Né la novità legislativa appare idonea a conseguire l'intento di evitare la circolazione nel nostro Paese di stranieri entrati irregolarmente, poiché già la normativa vigente, in base al combinato disposto degli articoli 13 e 14 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, consente già alle autorità amministrative competenti di disporne l'immediata espulsione - a cui ostano, in concreto, non già carenze normative ma difficoltà di carattere amministrativo e organizzativo. A fronte di ciò, l'amministrazione della giustizia verrebbe ad essere gravata da pesanti ripercussioni negative sull'attività non solo del giudice di pace (gravato di centinaia di migliaia di nuovi processi, tali da determinare la totale paralisi di molti uffici), ma anche degli uffici giudiziari ordinari impegnati nel processo in primo grado e nelle fasi di impugnazione successive (nei limiti della speciale procedura prevista per il giudizio dinanzi al giudice di pace), dovendo oltretutto far fronte anche ai nuovi e più impegnativi incombenti derivanti dall'applicazione di una nuova procedura accelerata contenuta anch'essa nel disegno di legge in oggetto che prevede la presentazione immediata dell'imputato a giudizio dinanzi al giudice di pace in casi particolari (tra i quali il più ricorrente sarebbe certamente costituito dall'applicazione del nuovo reato). A proposito di tale ulteriore novità, riferita non solo ai processi per il reato di ingresso illegale nel territorio dello Stato ma a tutte le ipotesi di procedibilità d'ufficio dinanzi al giudice di pace qualora ricorra la flagranza ovvero vi sia prova evidente, va inoltre detto che la sua onerosità applicativa, tipica di tutte le procedure d'urgenza, non appare giustificata in relazione alla ridotta gravità dei reati di competenza del giudice onorario. In termini più specifici va, inoltre, rilevato che: l'attribuzione al giudice di pace della competenza in ordine al nuovo reato, pur dettata da evidenti ragioni pratiche, altera gli attuali criteri di ripartizione della competenza tra magistratura professionale e magistratura onoraria e snatura la fisionomia di quest'ultima; la nuova fattispecie così formulata presenta una irragionevole disparità di trattamento con quella (per molti aspetti simile) prevista dall'articolo 14, comma 5-ter, del testo unico immigrazione, che prevede la punibilità dello straniero inottemperante all'ordine di espulsione solo ove lo stesso si trattenga nel territorio dello Stato «senza giustificato motivo»: in particolare, nessun termine è concesso allo straniero divenuto irregolare per allontanarsi dal territorio dello Stato, con la conseguenza che il venir meno del titolo di soggiorno regolare comporterebbe automaticamente e immediatamente una ipotesi di «trattenimento illecito».

        Alla luce della proprio abnorme configurazione del reato, risulta ancor più rilevante il permanere di una copertura finanziaria inidonea ed incongrua ai sensi dell'articolo 1 commi 30 e seguenti, risultando la norma in questione, ed in particolare l'articolo 1, incompatibile e non conforme alle disposizioni dell'articolo 81 della Costituzione;

            l'articolo 1, comma 15, del disegno di legge impone la presentazione di un documento che attesti la validità del soggiorno nel territorio del nostro Stato da parte dello straniero che chiede di contrarre matrimonio in Italia. Si preclude, dunque, la possibilità di creare una propria famiglia, presupposto di una concreta volontà di integrazione, a chi non è in possesso del permesso di soggiorno. La norma prevede anche effetti civili per chi voglia sposare uno straniero privo del permesso di soggiorno, in palese violazione dell'articolo 29 della Costituzione;

            l'articolo 1, comma 18, subordina l'iscrizione e le eventuali variazioni anagrafiche alla verifica, da parte dei competenti uffici comunali, delle condizioni igienico sanitarie degli immobili abitati dai soggetti richiedenti. Tale vincolo amministrativo si applica anche ai cittadini italiani. La residenza è il fondamento di numerose ed irrinunciabili prerogative e diritti riconosciuti, prima ancora che al cittadino, alla dignità dell'essere umano. Il dispositivo proposto vincola, di fatto, il requisito della residenza alle condizioni economiche del soggetto richiedente, in palese contrasto con gli articoli 2 e 3 della Costituzione;

            l'articolo 1, comma 22, lettera g), del disegno di legge interviene sull'impianto dell'articolo 6 del testo unico sull'immigrazione, rendendo obbligatoria l'esibizione del permesso di soggiorno per ottenere il rilascio di licenze, autorizzazioni, iscrizioni ed altri fondamentali atti amministrativi. Tra questi anche l'iscrizione all'anagrafe per i bambini figli di extracomunitari non in possesso del regolare permesso di soggiorno. Tale disposizione contrasta in maniera evidente e palese con l'articolo 3 della Costituzione. Inoltre appare evidentemente lesiva dei diritti di soggetti particolarmente deboli ed indifesi come i minori, condannati di fatto, da tale disposizione, ad un destino di «clandestinità» addirittura dalla nascita. Si attribuiscono colpe a bambini appena nati che si condannano allo stato di abbandono per vizi e colpe dei genitori. Appare evidente l'illogicità di tale provvedimento, che ottiene il fine di creare e produrre clandestinità, obiettivo esattamente contrario alla presunta volontà del legislatore. Si segnala che la norma è in palese contrasto anche con la Convenzione dell'ONU sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza del 20 novembre 1989 che riconosce a ogni minore, senza discriminazioni di alcun genere, «il diritto di essere registrato immediatamente al momento della sua nascita», nonché il diritto ad un nome e quello ad acquisire una cittadinanza;

            l'articolo 1, comma 22, lettera l), dispone di estendere a 180 giorni il periodo massimo di trattenimento nei centri di identificazione ed espulsione. Tale estensione, finalizzata alla necessità di riconoscimento degli stranieri fermati, è vincolata anche alla collaborazione ed alla effettiva capacità collaborativa del Paese di origine dello straniero. Ne consegue che quest'ultimo è fermato per un tempo più o meno lungo nei centri di identificazione ed espulsione (CIE), in virtù anche di una variabile del tutto indipendente dalla sua responsabilità. L'impianto di tale norma è in palese contrasto con il principio della ragionevolezza di cui all'articolo 3 della nostra Costituzione. L'articolo 1, comma 22, lett. h)-bis, del disegno di legge, riproducendo sostanzialmente la disposizione già contenuta nell'articolo 5 del decreto legge n. 11/2009 e abbandonata in sede di conversione, estende da 2 a 6 mesi il termine massimo di durata del trattenimento nei centri di identificazione ed espulsione (CIE) degli stranieri irregolari, in caso di mancata cooperazione al rimpatrio, ovvero di ritardo nell'ottenimento della necessaria documentazione dai Paesi terzi. La norma in questione «suscita perplessità laddove pone in alternativa le condizioni della "mancata cooperazione al rimpatrio del cittadino del Paese terzo interessato" o dei "ritardi nell'ottenimento della necessaria documentazione dei Paesi terzi" che, invece, nella direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 dicembre 2008 (recante "norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare"), costituiscono presupposti diversi dell'intervento: la resistenza all'identificazione legittima il trattenimento, i ritardi nell'ottenimento della documentazione legittimano solo il prolungamento della permanenza», con la conseguenza «che potrebbe verificarsi una vera e propria detenzione amministrativa basata su una semplice difficoltà nell'accertamento dell'identità legale del soggetto o nell'acquisizione della documentazione di corredo malgrado la sua piena disponibilità alla preparazione del rimpatrio». Inoltre, la attribuzione della competenza relativa alla proroga del trattenimento attribuita al giudice di pace è anomala nel nostro sistema giacché vertendo in materia di privazione della libertà personale, meglio sarebbe investire il tribunale ordinario in composizione monocratica anche se ciò comporterebbe in termini organizzativi un impegno particolarmente gravoso e ciò in considerazione del fatto che, mentre le garanzie costituzionali di indipendenza e di autonomia trovano la loro più completa attuazione nello status ordinamentale del magistrato professionale, caratterizzato dalla non temporaneità e dalla esclusività dell'appartenenza dell'ordine giudiziario, per il giudice di pace, il carattere «onorario» ne caratterizza il profilo ordinamentale e, pur senza accreditarne la figura di «giudice minore» ne evidenzia tuttavia gli aspetti differenziali rispetto alla disciplina ordinamentale del giudice professionale. Infine, la possibile dilatazione temporale del trattenimento presso i CIE renderebbe opportuno instaurare un controllo sulle modalità e condizioni della detenzione amministrativa del cittadino straniero;

            ulteriori elementi di indeterminatezza ed irragionevolezza sono rinvenibili nel testo in esame. Ad esempio, si consideri l'articolo 16, comma 1, del Testo Unico sull'immigrazione, che viene modificato nello stesso punto dall'articolo 1, comma 22 lettera o) e dall'articolo 1, comma 16, lett. b) mentre nel comma 28 dell'articolo 1 e al comma 58 dell'articolo 3 si novella con atto legislativo una fonte di rango secondario, così determinando il vizio di un diverso grado di «resistenza» ad interventi modificativi successivi. Il riferimento al «rimpatrio» degli stranieri, con riferimento ai commi 22 e seguenti, non trova riscontro univoco nel testo. La definizione di rimpatrio, che ricorre nel disegno di legge in senso generico, non tiene conto del fatto che ad esso corrispondono istituti diversi tra loro: il rimpatrio assistito dei minori stranieri, finalizzato al ricongiungimento del minore con la famiglia nel suo Paese di origine, il rimpatrio per rifugiati e vittime della tratta, l'espulsione (con accompagnamento alla frontiera o con intimazione a lasciare il territorio nazionale), il respingimento alla frontiera. Inoltre, la lettera t) del comma 22 dell'articolo 1 sembrerebbe persino impedire il ricongiungimento del genitore naturale, con il minore, nel caso l'altro genitore sia deceduto o sconosciuto. Quanto all'articolo 1 comma 25, la disciplina dei crediti che può dar luogo ad espulsione ed incidere sulle condizioni di permanenza dello straniero, difetta di indicazioni specifiche sui criteri e le modalità di concessione o di perdita dei crediti e nulla dice sul tipo di controllo e sull'esercizio dello stesso, discendendone la circostanza per cui le condizioni di permanenza non appaiono più interamente definite per legge, ma risultano rimesse ad un futuro regolamento amministrativo;

            all'articolo 3 comma 6 e all'articolo 3 comma 14, si determina una incertezza sull'ambito applicativo delle norme in quanto, senza peraltro alcun coordinamento con la normativa vigente, si confondono i riferimenti alle «pubbliche vie», alle «strade», al «luogo pubblico» ed al luogo «accessibile al pubblico». Allo stesso modo, l'ambito applicativo della disposizione del comma 22 è reso incerto dal mancato coordinamento con quanto disposto dall'articolo 61 del codice penale novellato dal comma 20 dell'articolo in esame. Con riferimento ai commi da 45 a 49, modificati dalla Camera dei deputati, si rileva che ai sensi del comma 3 del nuovo articolo 219-bis del Codice della Strada, si prevede l'applicazione dell'articolo 128, commi 1-ter che non esiste;

            in violazione dell'articolo 76 della Costituzione , il comma 13 dell'articolo 2 definisce, alle lettere da a) ad e), l'oggetto della delega determinando i princìpi e criteri direttivi limitatamente ed esclusivamente ai soli criteri di liquidazione dei compensi professionali, di cui alla lettera e);

            l'impianto generale del provvedimento appare in più punti lesivo della dignità umana e dell'impianto di garanzia di diritti e libertà civili proclamato e prescritto dalla Costituzione repubblicana;

        delibera, ai sensi dell'articolo 93 del Regolamento, di non procedere all'esame dell'Atto Senato n. 733-B.

QP3

LI GOTTI, BELISARIO, PARDI, GIAMBRONE, CARLINO, ASTORE, BUGNANO, CAFORIO, DE TONI, DI NARDO, LANNUTTI, MASCITELLI, PEDICA, RUSSO

Il Senato,

        premesso che:

            l'articolo 1, comma 16, del disegno di legge in esame introduce nell'ordinamento il reato di immigrazione clandestina e permanenza illegale punendo, a titolo di reato contravvenzionale, non solo l'ingresso ma anche il soggiorno illegale nel territorio dello Stato. I commi da 30 a 32 dell'articolo 1, corrispondenti all'articolo 66 del testo approvato dal Senato e modificati dalla Camera dei deputati, recano la quantificazione degli oneri recati dal comma 16 e dal comma 22, lettera l), dell'articolo 1. In particolare, si provvede agli oneri recati dal comma 16, valutati in euro 25.298.325 per l'anno 2009 e in euro 33.731.100 a decorrere dall'anno 2010. Il Ministro dell'economia e delle finanze provvede al monitoraggio degli oneri di cui ai commi 16 e 22, anche ai fini dell'adozione di provvedimenti correttivi di cui all'articolo 11-ter, comma 7, della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni. La disposizione comporta palesemente oneri connessi al notevole incremento delle ipotesi di arresto in flagranza di reato e all'obbligatorietà del giudizio direttissimo. Dal punto di vista giudiziario, rilevano inoltre gli oneri connessi al patrocinio a spese dello Stato e alle spese di interpretariato nel corso dei procedimenti con rito direttissimo;

            la abnorme ed irragionevole configurazione del reato, con gli effetti negativi che è destinata a produrre sull'efficacia dell'azione di prevenzione e controllo è sull'efficienza del sistema giudiziario in sede di accertamento delle responsabilità individuali, determina il venir meno dello stesso effetto deterrente atteso. Infatti, il reo può ragionevolmente presumere che, a fronte di una platea interessata dal reato - misurabile nell'ordine di centinaia di migliaia di persone - è molto più probabile l'impunibilità del reato, mentre per altro verso, il porre centinaia di migliaia di persone in stato continuativo di soggezione a possibile sanzione penale può ulteriormente incentivare la clandestinità di questi soggetti, ponendoli ancor di più alla mercè di eventuali sfruttatori e ricattatori;

            ferma restando la constatazione che a fronte dell'introduzione di un siffatto reato e di numerose altre disposizioni ad esso connesse, l'amministrazione della giustizia verrebbe ad essere gravata da pesanti ripercussioni negative, riguardanti non solo l'attività del giudice di pace ma anche degli uffici giudiziari ordinari, la quantificazione degli oneri recati dall'introduzione del reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato appare in linea generale inadeguata e in linea particolare incongrua, tenendo conto anche del fatto che analoga stima degli oneri era prevista, con riferimento al provvedimento in esame in prima lettura, in relazione all'introduzione del solo reato di ingresso illegale nel territorio dello Stato;

            l'onere annuo a decorrere dall'anno 2010 sarebbe stato stimato, secondo dati forniti dai competenti uffici del Ministero dell'interno, sulla base dei costi connessi al patrocinio a spese dello Stato, quantificabili in relazione alla platea degli imputati astrattamente interessati, mentre per l'anno 2009, considerato che la nuova disciplina entrerà in vigore nel corso dell'anno, si valuta un costo pari a 3/4 dell'onere previsto a regime. Sulla base della relazione tecnica, gli imputati astrattamente interessati sarebbero indicati in 54.500 ingressi illegali e 3.660 soggiorni illegali, per un totale di 57.660 casi su cui scontare un effetto dissuasivo pari al dieci per cento. Gli oneri vengono quindi calcolati su una platea finale di 51.894 soggetti;

            la relazione tecnica afferma inoltre che non si prevedono maggiori oneri dall'estensione delle competenze del giudice di pace, in quanto, da un lato esisterebbe il vincolo del numero non superiore a 110 udienze l'anno, vincolo che avrebbe costituito fin dall'origine il parametro di riferimento per la quantificazione dei relativi oneri e, dall'altro, sussisterebbe un limite retributivo complessivo di 72.000 euro annui, previsto nella legge finanziaria 2005, tale da non consentire la corresponsione di ulteriori indennità anche in caso di eventuale aumento del numero delle sentenze. La Vª Commissione della Camera dei deputati, con un appunto del 18 marzo 2009, ha, tra l'altro, chiesto chiarimenti al Governo circa il criterio utilizzato nella quantificazione degli oneri connessi al patrocinio a spese dello Stato. Il Governo, ha quindi chiarito che il criterio adottato fa riferimento al costo medio (650 euro) utilizzato nella relazione tecnica allegata al decreto legge n. 241 del 2004, recante disposizioni urgenti in materia di immigrazione. AI di là del mancato aggiornamento di tali cifre alla luce dell'inflazione registrata nel periodo 2004-2009, dal Governo non sono stati forniti puntuali elementi di informazione riguardo all'effettiva possibilità che le nuove competenze giurisdizionali attribuite dalla norme al giudice di pace siano espletabili semplicemente attraverso una razionalizzazione delle risorse esistenti a legislazione vigente e, quindi, senza nuovi oneri per la finanza pubblica;

            gli oneri complessivi del provvedimento, come modificati dalla Camera, risultano addirittura inferiori a quelli stimati dal Senato, dal momento che non solo non si è provveduto a rivedere l'onere recante dall'introduzione del reato di soggiorno illegale ma si è provveduto a rimodulare soltanto la quantificazione degli oneri derivanti dalla modifica dell'incremento massimo di trattenimento nei centri di identificazione ed espulsione di cui al comma 22 dell'articolo 1;

        considerato che:

            la 5ª Commissione del Senato, sulla base dei dati forniti dal Ministero dell'interno in occasione della prima lettura, ha ritenuto plausibile che la platea dei destinatari del processo per il reato di soggiorno illegale nel territorio dello Stato possa ragionevolmente ammontare a 3.660 persone e che tale valutazione è stata assunta anche dalla Camera dei Deputati;

            il Servizio Bilancio del Senato, già in prima lettura, e quindi allorché la disposizione faceva riferimento al solo reato di ingresso illegale e non già al ben più ampio reato di soggiorno illegale, aveva sollevato dubbi circa la verosimiglianza della platea annua stimata di «irregolari» che si ipotizzava fare ingresso annualmente in Italia, elemento di grande rilievo alla luce del fatto che tale dato è alla base della quantificazione di tutti gli oneri conseguenti al dispositivo in esame. In proposito, tenuto conto che i dati ufficiali del Ministero dell'Interno, aggiornati al luglio 2007, indicavano una presenza complessiva (stock) di irregolari in Italia pari a 760.000 unità, e pur tenendo conto del fatto che dati più recenti un calo derivante da intervenute regolarizzazioni, non appare chiaro sulla base di quali elementi si ipotizzi che il flusso annuo negli anni a venire debba stabilizzarsi intorno a 54.500 unità annue, e che, per effetto del dispositivo in esame, possa effettivamente essere attesa una riduzione di tale dato pari al 10 per cento;

            ancor più incongruo e privo di credibile riferimento nella relazione tecnica è il dato di 3.660 soggiornati irregolari annui imputati, a fronte di una platea di soggetti interessati dalla commissione del reato oscillanti tra 540 e 760 mila unità sulla base dei dati opportunamente richiamati dal Servizio Bilancio del Senato e provenienti dal Ministero dell'interno - Dipartimento per gli affari civili e territoriali, Direzione centrale per l'immigrazione - con particolare riferimento alle cifre riportate nel I Rapporto sugli immigrati in Italia, dicembre 2007, pagina 325 e alle stime, richiamate dal predetto rapporto ministeriale, contenute nel XIII Rapporto sulle migrazioni dell'lSMU (Istituto di Studio sulla Immigrazione) comunicate nel 2008;

            non è comunque ragionevole ritenere che i costi derivanti dall'applicazione del reato di ingresso illegale siano analoghi o persino pari ai costi derivanti dall'aggiunta a questo reato di quello di soggiorno illegale, che può interessare anche coloro che, entrati regolarmente nel nostro paese, da una specifica data in poi si trovino in situazione di irregolarità per i più diversi motivi. Non è neppure ragionevole ipotizzare che a fronte di circa 50 mila ingressi annui stimati dal Governo stesso, solamente 3660 persone siano imputate anche per il soggiorno illegale, dal momento che tutti coloro che entrano illegalmente si trovano anche a soggiornare illegalmente per il periodo più o meno lungo della loro permanenza sul territorio, a meno di non voler rinunciare a perseguire i rei, ciò che sarebbe in contrasto col principio costituzionale dell'obbligatorietà dell'azione penale;

            non risulta la copertura del provvedimento in linea con i costi di detenzione, la sostenibilità delle carcerazioni alla luce del prevedibile aumento della popolazione carceraria, e gli oneri che è lecito attendersi per l'effettuazione delle udienze, dei rimpatri e delle pratiche burocratiche connesse ad un reato che coinvolge potenzialmente numerose decine se non centinaia di migliaia di soggetti irregolarmente presenti sul territorio nazionale e non certo riconducibili a poco più di tremila unità;

            risultando la norma in questione, ed il provvedimento nel suo complesso, privo di adeguata copertura finanziaria, il disegno di legge 733-B si configura non conforme alle disposizioni dell'articolo 81 della Costituzione ed irragionevole per i motivi richiamati in premessa, in violazione dell'articolo 3 della Costituzione;

            delibera, ai sensi dell'articolo 93 del Regolamento, di non procedere all'esame dell'Atto Senato n. 733-B.

QP4

CASSON, BIANCO, ADAMO, BASTICO, CAROFIGLIO, CECCANTI, CHIURAZZI, D'AMBROSIO, DELLA MONICA, DE SENA, GALPERTI, INCOSTANTE, LATORRE, MARINO MAURO MARIA, MARITATI, PROCACCI, SANNA, VITALI

Il Senato,

        premesso che:

            diverse disposizioni del disegno di legge generano rilevanti perplessità sotto il profilo della legittimità costituzionale; in particolare, il comma 40 dell'articolo 3, del disegno di legge autorizza i sindaci ad avvalersi «della collaborazione di associazioni tra cittadini non armati al fine di segnalare alle forze di polizia dello Stato o locali eventi che possano arrecare danno alla sicurezza urbana ovvero situazioni di disagio sociale»;

            come può evincersi dal comma 40, dell'articolo 3, che significativamente richiama le forze di polizia dello Stato quali soggetti ai quali segnalare gli eventi che possono attentare alla sicurezza urbana o situazioni di disagio sociale, la collaborazione di tali associazioni non riguarda esclusivamente le esigenze di tutela della sicurezza urbana, e dunque le funzioni tradizionalmente attribuite alla «polizia amministrativa locale», ma attiene anche alla gestione dell'ordine e della sicurezza pubblica, funzione tipicamente assegnata alle forze di polizia dello Stato. La norma rischia dunque di assegnare a privati la titolarità di funzioni in un ambito - quale quello della gestione dell'ordine pubblico e della tutela della pubblica sicurezza - che costituisce un'attribuzione tipica ed esclusiva dell'istituzione statuale, proprio perché tali delicatissime funzioni a garanzia della incolumità e delle libertà di tutti, devono essere esercitate nel pieno rispetto della legge e con il massimo grado di imparzialità, professionalità, proporzionalità, adeguatezza e nel rispetto dei diritti dei concittadini che solo l'autorità di pubblica sicurezza può pienamente garantire;

            la norma in esame è chiaramente incompatibile con il principio del nostro ordinamento che assegna allo Stato il monopolio della forza, affinché questa venga esercitata nelle forme previste dalla Costituzione e dalla legge, a tutela dell'incolumità e della sicurezza delle persone e nel rispetto della dignità della persona, dell'uguaglianza, dei diritti e delle libertà di tutti. Si tratta di un principio generale dell'ordinamento, che trova esplicito riconoscimento nel testo costituzionale che autorizza soltanto la pubblica autorità all'utilizzo legittimo di ogni forma di coercizione fisica. Qualora poi si consideri che l'attività dei cittadini partecipanti a tali associazioni potrebbe di fatto esplicarsi in atti di coercizione fisica, appare evidente che la norma potrebbe violare anche l'articolo 13 della Costituzione, nella parte in cui riserva alla sola pubblica autorità il potere legittimo di porre in essere atti limitativi della libertà personale secondo modalità, limiti e tempi previsti dallo stesso articolo 13 della Costituzione. Né può invocarsi come argomento a contrario la facoltà di arresto da parte di privati di cui all'articolo 383 del codice di procedura penale, in quanto essa, oltre ad essere limitata ai casi di flagranza di taluno dei delitti di cui all'articolo 380, perseguibili d'ufficio, rappresenta un'eccezione nel sistema (come tale non estensibile) e costituisce solo un momento di una fattispecie complessa, che necessita comunque di un intervento della polizia giudiziaria e in seguito dell'autorità giudiziaria;

            infine, la norma di cui al comma 40 dell'articolo 3, non sancisce espressamente il carattere non violento di tali associazioni, ma solo il fatto che quanti ne fanno parte siano «non armati». Nulla esclude, perciò, che le cosiddette ronde, magari perché ispirate a opposte ideologie politiche, possano venire alle mani; o che talune di esse possano compiere atti squadristi di aggressione o di mortificazione nei confronti di soggetti ad esse invisi, come per esempio gli immigrati; che la loro stessa esistenza possa essere interpretata come un segno di debolezza nelle forze di polizia e finisca per generare sfiducia nelle istituzioni; che insomma queste cosiddette ronde si trasformino in fattori di insicurezza e di disordine pubblico;

        delibera,

            ai sensi dell'articolo 93 del Regolamento, di non procedere all'esame del disegno di legge n. 733-B.

QP5

CAROFIGLIO, MARITATI, CASSON, BIANCO, ADAMO, BASTICO, CECCANTI, CHIURAZZI, D'AMBROSIO, DELLA MONICA, DE SENA, GALPERTI, INCOSTANTE, LATORRE, MARINO MAURO MARIA, PROCACCI, SANNA, VITALI

Il Senato,

        premesso che:

            la norma di cui alla lettera l), del comma 22, dell'articolo 1, che dispone l'estensione del termine massimo del trattenimento dello straniero nei centri per l'identificazione e l'espulsione dagli attuali 2 mesi a 6 mesi (un tempo pari a quello di pene detentive comminate per reati anche di una certa gravità), in caso di mancata cooperazione al rimpatrio del cittadino del paese terzo interessato o di ritardi nell'ottenimento della necessaria documentazione dai paesi terzi. La direttiva comunitaria sul rimpatrio, impropriamente invocata a sostegno di tale novella, sancisce invece il carattere di extrema ratio della detenzione. Il sedicesimo considerando della direttiva 2008/115/CE afferma testualmente che «il ricorso al trattenimento ai fini dell'allontanamento dovrebbe essere limitato e subordinato al rispetto del principio di proporzionalità con riguardo ai mezzi adottati e agli obiettivi perseguiti. Il trattenimento è giustificato soltanto per preparate il rimpatrio o effettuare l'allontanamento e se l'uso di misure meno coercitive è insufficiente». L'articolo 15 della direttiva comunitaria dispone inoltre il ricorso al trattenimento solo nei casi in cui «non possano essere efficacemente applicate altre misure sufficienti ma meno coercitive». La norma in esame al contrario non prevede alcuna misura alternativa alla detenzione, che resta di fatto l'unica misura prevista senza che sia possibile valutare l'efficacia e la sufficienza di misure meno coercitive. Infine tale norma disponendo la possibile estensione a centottanta giorni del periodo di trattenimento nei CIE (centri di identificazione e di espulsione), attualmente fissato, nel massimo, in sessanta giorni, determina in violazione dell'articolo 3 della Costituzione, una irragionevole discriminazione tra stranieri di diversa provenienza, poiché stabilisce che la durata maggiore o minore della detenzione amministrativa sia di fatto condizionata dalla maggiore o minore efficienza burocratica dei diversi paesi di origine, per cui un cittadino di uno Stato terzo, proveniente da un Paese maggiormente arretrato, potrebbe subire in virtù di questa sola condizione, una detenzione pari ad un tempo superiore del doppio e in alcuni casi addirittura del triplo a quello ordinariamente stabilito;

        delibera,

            ai sensi dell'articolo 93 del Regolamento, di non procedere all'esame del disegno dì legge n. 733.

QP6

MARITATI, CASSON, BIANCO, ADAMO, BASTICO, CAROFIGLIO, CECCANTI, CHIURAZZI, D'AMBROSIO, DELLA MONICA, DE SENA, GALPERTI, INCOSTANTE, LATORRE, MARINO MAURO MARIA, PROCACCI, SANNA, VITALI

Il Senato,

        premesso che:

            diverse disposizioni del disegno di legge generano rilevanti perplessità sotto il profilo della legittimità costituzionale e comunitaria, nonché della compatibilità con le norme di diritto internazionale vincolanti per l'Italia;

            tra queste vi è innanzitutto la norma, di cui al comma 25 dell'articolo 1, che subordina il rilascio del permesso di soggiorno alla stipula di un «accordo di integrazione». Con esso lo straniero si impegna a conseguire obiettivi di integrazione, non meglio specificati, mentre la «perdita dei crediti» determina l'espulsione immediata dello straniero. La norma subordina quindi il rilascio del permesso di soggiorno (così condizionando il diritto dello straniero all'emigrazione) alla valutazione (necessariamente discrezionale) da parte dell'autorità amministrativa del grado di integrazione del soggetto, senza stabilire né i criteri sulla cui base tale valutazione deve condursi, né quali fatti determinano la perdita dei crediti, rinviando invece il tutto a un regolamento governativo;

            tale previsione appare incompatibile con la riserva di legge (peraltro rinforzata) sancita dall'articolo 10 cpv. della Costituzione, in materia di disciplina della condizione giuridica dello straniero. È infatti evidente che tale riserva di legge non è soddisfatta se la disciplina effettiva della condizione dello straniero (gli atti che determinano la perdita dei crediti; i criteri di valutazione dell'integrazione, eccetera) è rimessa integralmente alla fonte regolamentare. Infine, la norma appare contrastare con la proiezione accordata dal diritto internazionale e dall'articolo 10 della Costituzione ai richiedenti asilo, nella misura in cui prevede che la stipula dell'Accordo di integrazione sia condizione necessaria per il rilascio del permesso di soggiorno anche per i titolari di protezione umanitaria, per i rifugiati e i per richiedenti asilo;

        delibera,

            ai sensi dell'articolo 93 del Regolamento, di non procedere all'esame del disegno di legge n. 733-B.

QP7

INCOSTANTE, CASSON, BIANCO, ADAMO, BASTICO, CAROFIGLIO, CECCANTI, CHIURAZZI, D'AMBROSIO, DELLA MONICA, DE SENA, GALPERTI, LATORRE, MARINO MAURO MARIA, MARITATI, PROCACCI, SANNA, VITALI

Il Senato,

        premesso che:

            l'articolo 6, comma 2 del testo unico sull'immigrazione, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, attualmente in vigore, stabilisce, senza dare adito a dubbi interpretativi, che, «fatta eccezione per i provvedimenti riguardanti attività sportive e ricreative a carattere temporaneo e per quelli inerenti agli atti di stato civile o all'accesso a pubblici servizi», i cittadini stranieri devono esibire la carta o il permesso di soggiorno agli uffici della pubblica amministrazione ai fini del rilascio di licenze, autorizzazioni, iscrizioni ed altri provvedimenti di loro interesse;

            l'articolo 1, comma 22, lettera g) del disegno di legge in esame, modificando il suddetto articolo 6, comma 2, del testo unico sull'immigrazione, stabilisce l'obbligo per il cittadino straniero di esibire la carta o il permesso di soggiorno anche per i provvedimenti inerenti agli atti di stato civile o all'accesso a pubblici servizi prevedendo l'eccezione solo nei casi inerenti all'accesso alle prestazioni sanitarie e per quelli attinenti alle prestazioni scolastiche obbligatorie;

        premesso inoltre che:

            con la definizione di atti di stato civile sono ricompresi diversi tipi di documenti, quali gli atti di acquisto della cittadinanza, gli atti di nascita, filiazione e adozione, gli atti di matrimonio, di morte, mentre per servizi pubblici si intendono tutti i servizi svolti nei confronti della collettività volti a soddisfarne i bisogni fondamentali. In particolare tra i pubblici servizi ad accesso individuale si possono indicare i servizi sociali, sanitari, scolastici (ora esclusi dall'obbligo di esibizione) e i servizi pubblici locali (trasporto pubblico locale, erogazione di energia elettrica, gas, acqua);

        considerato che:

            risultato di questa modifica è che la nuova formulazione dell'articolo 6, comma 2, è una norma equivoca ed ambigua in quanto non solo non chiarisce, ma rende incerte le tipologie di atti il cui rilascio è subordinato all'obbligo di esposizione del permesso di soggiorno;

            una delle gravi conseguenze di questa nuova normativa è innanzitutto il rischio che i neonati, figli di cittadini stranieri senza il permesso di soggiorno, non siano registrati alla nascita e quindi restino senza identità, «invisibili», non vengano consegnati ai genitori e siano dichiarati in stato d'abbandono e quindi adottabili;

            alla luce di quanto detto, appare senza alternativa la scelta che saranno costrette a compiere molte donne «irregolari», ovvero quella di non partorire in ospedale, esponendo sé stesse ed il nascituro a seri rischi per la salute;

            altra grave conseguenza della necessità di esibire un documento atte stante la regolarità del soggiorno nel territorio italiano, è la modifica dell'articolo 116 del codice civile in base al quale «lo straniero che vuole contrarre matrimonio nella Repubblica deve presentare all'ufficiale dello stato civile» non solo «una dichiarazione dell'autorità competente del proprio paese, dalla quale risulti che giusta le leggi a cui è sottoposto nulla osta al matrimonio» (come già previsto), ma anche «un documento atte stante la regolarità del soggiorno nel territorio italiano»;

            subordinare l'esercizio di un diritto - quale quello di contrarre matrimonio - che è un diritto fondamentale e non di cittadinanza, riconosciuto alla persona in quanto tale e non in quanto cittadina, al possesso di un documento che attesti la regolarità del soggiorno, è in palese in contrasto con gli articoli 29, 30 e 31 della Costituzione, nella misura in cui priva di tale diritto fondamentale lo straniero irregolarmente soggiornante nel territorio dello Stato. In tal senso depone del resto una consolidata giurisprudenza costituzionale, che riconosce valore di diritto fondamentale e non di cittadinanza al diritto di contrarre matrimonio. Non a caso, l'articolo 29 della Costituzione non fa riferimento ai soli «cittadini» quali titolari di tale diritto;

        premesso inoltre che:

            tale norma si configura quindi come una misura che oggettivamente scoraggia la protezione del minore e della maternità in violazione di quanto disposto dell'articolo 31, secondo comma, della Costituzione che tutela la maternità, l'infanzia e la gioventù e dall'articolo 30, primo comma, della Costituzione che sancisce il diritto-dovere dei genitori di mantenere i figli;

            la norma è altresì in contrasto con la Convenzione ONU sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza del 20 novembre 1989 che riconosce a ogni minore, senza alcuna discriminazione (dunque indipendentemente dalla nazionalità e dalla regolarità del soggiorno del genitore), il diritto di essere «registrato immediatamente al momento della sua nascita», il diritto «ad un nome, ad acquisire una cittadinanza e, nella misura del possibile, a conoscere i suoi genitori ed a essere allevato da essi», nonché il diritto «a preservare la propria identità, ivi compresa la sua nazionalità, il suo nome e le sue relazioni familiari»;

        considerato che:

            nonostante l'articolo 19, comma 2, lettera d) del testo unico sull'immigrazione preveda il divieto di espulsione e di respingimento delle donne in stato di gravidanza o nei sei mesi successivi alla nascita del figlio cui provvedono, la Corte costituzionale, con sentenza n. 376 del 2000, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del suddetto articolo 19, comma 2, lettera d), nella parte in cui non estende il divieto di espulsione al marito convivente della donna in stato di gravidanza o nei sei mesi successivi alla nascita del figlio;

            le disposizioni in esame si pongono in contrasto con la costante giurisprudenza della Corte costituzionale comportando una evidente riduzione del godimento di diritti fondamentali da parte dei cittadini stranieri, nonostante la stessa legge «Bossi-Fini», all'articolo 2, preveda che allo straniero comunque presente alla frontiera o nel territorio dello Stato siano riconosciuti i diritti fondamentali della persona umana previsti dalle norme di diritto interno, dalle convenzioni internazionali in vigore e dai princìpi di diritto internazionale generalmente riconosciuti;

            il disegno di legge non indica in modo chiaro quali siano gli atti per cui sussiste l'obbligo di esibizione del permesso di soggiorno e quali gli atti per cui tale obbligo non sussiste, creando quindi il pericolo che l'equivoca formulazione della disposizione in esame possa pregiudicare la tutela dei diritti dei minori e delle madri;

            delibera, ai sensi dell'articolo 93 del Regolamento del Senato, di non procedere all'esame del disegno di legge n. 733-B.

QP8

BONINO, PERDUCA, PORETTI

Il Senato,

        premesso che:

            all'articolo 1, comma 22, lettera l), del provvedimento in questione trae origine, secondo la relazione governativa dall'urgente necessità di prolungare da 60 a 180 giorni il trattenimento dello straniero presso i Centri di identificazione ed Espulsione in caso di mancata cooperazione al rimpatrio del cittadino da parte del Paese terzo interessato o di ritardo nell'ottenimento della necessaria documentazione dai Paesi terzi;

            la normativa vigente consente il trattenimento dello straniero presso i centri di identificazione ed espulsione per un termine massimo di trenta giorni prorogabili per ulteriori trenta giorni, previa in ogni caso la convalida da parte del giudice di pace. I presupposti del trattenimento per i primi trenta giorni consistono nell'impossibilità di eseguire con immediatezza l'espulsione «perché occorre procedere al soccorso dello straniero, ad accertamenti supplementari in ordine alla sua identità o nazionalità, ovvero all'acquisizione di documenti per il viaggio, ovvero per l'indisponibilità del vettore o altro mezzo di trasporto idoneo», cause, dunque, tutte ascrivibili a difficoltà di natura oggettiva, estranee alla condotta del destinatario del provvedimento. La proroga per ulteriori trenta giorni è subordinata poi al fatto che «l'accertamento della identità e nazionalità, ovvero l'acquisizione di documenti per il viaggio presenti gravi difficoltà». Una volta scaduti detti termini massimi (60 giorni) senza aver eseguito l'espulsione, allo straniero viene intimato di lasciare il territorio nazionale; l'inottemperanza a tale ordine è penalmente sanzionata;

            il disegno di legge governativo propone che, ferme restando le condizioni legittimanti il trattenimento attualmente vigenti, la durata massima dei due periodi (originario e prorogato) sia estesa a 60 giorni, così da raggiungere complessivamente quattro mesi;

            al riguardo è da sottolineare come, se da un lato il disegno di legge tende, come nella relazione si osserva, ad anticipare nella legislazione nazionale il contenuto di una proposta di direttiva europea, dall'altro le modifiche proposte dal provvedimento legislativo oggi sottoposto al nostro esame appaiono assolutamente non in linea con quanto stabilito proprio in sede europea posto che la competenza in punto di convalida del prolungamento del trattenimento del singolo extracomunitario presso i CIE viene attribuita al giudice di pace, il che comporta inevitabilmente un controllo meramente «formale» sul provvedimento disposto dal Questore; controllo peraltro privo di autentico carattere giurisdizionale perché affidato appunto ad un giudice non togato, addestrato ad amministrare una giustizia «minore» ed assolutamente privo di ogni competenza in punto di libertà personale;

            la scelta di affidare ai giudici di pace la convalida dei provvedimenti di proroga disposti dal Questore sembra inoltre contraddire un'opzione finora affermatasi in ordine ai limiti delle funzioni attribuite alla magistratura onoraria, come si evince dallo stesso decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 che reca disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, laddove all'articolo 2, comma 1, lettera b) e c), esplicitamente esclude dal procedimento davanti a tale giudice le disposizioni del codice di rito relative alle misure cautelari personali;

            in tal modo, una sola categoria di persone, gli stranieri extracomunitari, vede ricadere sotto la giurisdizione del giudice di pace pronunce che incidono sul loro status libertatis, in evidente contraddizione con il principio di uguaglianza sancito dall'articolo 3, primo comma, della Costituzione;

            peraltro nemmeno in materia di diritti di libertà di cui all'articolo 13 della Costituzione si giustifica la diversità di trattamento del cittadino, sottoposto al giudizio della magistratura professionale, e dello straniero, sottoposto appunto al giudizio del giudice di pace, giudizio non «minore», ma sicuramente «diverso»;

        delibera,

            ai sensi dell'articolo 93 del Regolamento, di non procedere oltre nell'esame del disegno di legge n. 733-B.

QP9

VITALI

Il Senato,

        premesso che:

            tra le diverse disposizioni del disegno di legge che generano rilevanti perplessità sotto il profilo della legittimità costituzionale vi sono, in particolare, i commi 7, 8, 9, 10, 11, 12 e 13 dell'articolo 3 del disegno di legge. Queste norme autorizzano «l'impiego di personale addetto ai servizi di controllo delle attività di intrattenimento o di spettacolo in luoghi aperti al pubblico o in pubblici esercizi, anche a tutela dell'incolumità dei presenti»;

            la norma assegna dunque a privati, i cosiddetti "buttafuori", la tutela dell'incolumità delle persone in luoghi aperti al pubblico o in pubblici esercizi; una funzione che non viene svolta neanche dalla dalle guardie giurate che come è noto prestano opera di vigilanza o custodia a tutela delle proprietà mobiliari e immobiliari. Il rischio della disposizione in esame è che essa finisca per attribuire la gestione dell'ordine pubblico e la tutela della pubblica sicurezza, nel contesto attività di intrattenimento o di spettacolo in luoghi aperti al pubblico o in pubblici esercizi, a personale privato dipendente dagli organizzatori di tali eventi o dai proprietari dei locali;

            l'incolumità e la sicurezza delle persone costituisce, invece, un'attribuzione tipica ed esclusiva dell'istituzione statuale, proprio perché tali delicatissime funzioni a garanzia della incolumità e delle libertà di tutti, devono essere esercitate nel pieno rispetto della legge e con il massimo grado di imparzialità, professionalità, proporzionalità, adeguatezza e nel rispetto dei diritti dei concittadini che solo l'autorità di pubblica sicurezza può pienamente garantire;

la norma in esame è dunque incompatibile con il principio del nostro ordinamento che assegna allo Stato il monopolio della forza, affinché questa venga esercitata nelle forme previste dalla Costituzione e dalla legge, a tutela dell'incolumità e della sicurezza delle persone e nel rispetto della dignità della persona, dell'uguaglianza, dei diritti e delle libertà di tutti. Si tratta di un principio generale dell'ordinamento, che trova esplicito riconoscimento nel testo costituzionale che autorizza soltanto la pubblica autorità all'utilizzo legittimo di ogni forma di coercizione fisica. Qualora poi si consideri che l'attività di tale personale potrebbe di fatto esplicarsi in atti di coercizione fisica, tra l'altro non esplicitamente esclusi nella norma in questione, appare evidente che la norma potrebbe violare anche l'articolo 13 della Costituzione, nella parte in cui riserva alla sola pubblica autorità il potere legittimo di porre in essere atti limitativi della libertà personale secondo modalità, limiti e tempi previsti dallo stesso articolo 13 della Costituzione;

        delibera,

            ai sensi dell'articolo 93 del Regolamento, di non procedere all'esame di tali norme del disegno di legge n. 733.

Allegato B

Congedi e missioni

Sono in congedo i senatori: Alberti Casellati, Baldini, Barelli, Caliendo, Castelli, Ciampi, Davico, De Feo, Dell'Utri, Esposito, Alberto Filippi, Giovanardi, Gramazio, Lauro, Mantica, Mantovani, Palma, Pera, Spadoni Urbani, Vetrella e Viespoli.

Sono assenti per incarico avuto dal Senato i senatori: Allegrini, Compagna e Marcucci, per attività dell'Assemblea parlamentare dell'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa.

Disegni di legge, annunzio di presentazione

Senatori Belisario Felice, Lannutti Elio, Giambrone Fabio, Astore Giuseppe, Bugnano Patrizia, Caforio Giuseppe, Carlino Giuliana, De Toni Gianpiero, Di Nardo Aniello, Mascitelli Alfonso, Pardi Francesco, Pedica Stefano, Russo Giacinto

Disposizioni sul governo societario delle banche ed a favore degli utenti degli istituti di credito e modifiche del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385 (1638)

(presentato in data 25/6/2009 );

senatore Malan Lucio

Abolizione del secondo turno nelle elezioni del presidente della provincia e del sindaco nei comuni con popolazione superiore ai 15.000 abitanti (1639)

(presentato in data 26/6/2009 );

senatore Zanetta Valter

Modifica all'articolo 4 del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 227, in materia di definizione di trasformazione del bosco (1640)

(presentato in data 26/6/2009 );

senatori Bianco Enzo, Ceccanti Stefano

Modifiche alla legge 24 gennaio 1979, n. 18, concernente l'elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia (1641)

(presentato in data 26/6/2009 );

senatore Vallardi Gianpaolo

Disposizioni per favorire l'adozione di modelli alimentari corretti, attraverso l'impiego di prodotti agro-alimentari locali di qualità nei servizi di ristorazione collettiva (1642)

(presentato in data 30/6/2009 );

DDL Costituzionale

senatore D'Alia Gianpiero

Modifiche agli articoli 9 e 10 dello Statuto della Regione siciliana in materia di elezione del presidente della regione e introduzione dell'istituto della cosiddetta sfiducia costruttiva (1643)

(presentato in data 30/6/2009 );

senatori Mascitelli Alfonso, Belisario Felice, Giambrone Fabio, Carlino Giuliana, Caforio Giuseppe, De Toni Gianpiero, Pardi Francesco, Pedica Stefano, Russo Giacinto

Disposizioni in materia di stabilizzazione dei vigili del fuoco volontari discontiuni (1644)

(presentato in data 30/6/2009 );

Ministro economia e finanze

(Governo Berlusconi-IV)

Rendiconto generale dell'Amministrazione dello Stato per l'esercizio finanziario 2008 (1645)

(presentato in data 30/6/2009 );

Ministro economia e finanze

(Governo Berlusconi-IV)

Disposizioni per l'assestamento del bilancio dello Stato e dei bilanci delle Amministrazioni autonome per l'anno finanziario 2009 (1646)

(presentato in data 30/6/2009 ).

Disegni di legge, assegnazione

In sede referente

1ª Commissione permanente Affari Costituzionali

Sen. D'Alia Gianpiero

Modifiche agli articoli 9 e 10 dello Statuto della Regione siciliana in materia di elezione del presidente della regione e introduzione dell'istituto della cosiddetta sfiducia costruttiva (1643)

previ pareri delle Commissioni Commissione parlamentare questioni regionali

(assegnato in data 30/06/2009);

10ª Commissione permanente Industria, commercio, turismo

Sen. Lannutti Elio ed altri

Disposizioni in materia di educazione finanziaria (1626)

previ pareri delle Commissioni 1° (Affari Costituzionali), 5° (Bilancio), 6° (Finanze e tesoro), 7° (Istruzione pubblica, beni culturali), 14° (Politiche dell'Unione europea)

(assegnato in data 30/06/2009).

Governo, composizione

Il Presidente del Consiglio dei Ministri ha inviato la seguente lettera:

"Roma, 30 giugno 2009

Onorevole Presidente

Informo la S.V. che con decreti del Presidente della Repubblica in data odierna, adottati su mia proposta, previa approvazione da parte del Consiglio dei Ministri, a norma dell'articolo 10, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, delle deleghe di funzioni conferite dal ministro dello sviluppo economico, è stato attribuito il titolo di Vice Ministro ai Sottosegretari di Stato presso il medesimo Dicastero on. dott. Adolfo URSO e on. Paolo ROMANI.

Cordialmente

f.to Silvio Berlusconi"

Governo, trasmissione di atti per il parere

Il Ministro per i rapporti con il Parlamento, con lettera in data 26 giugno 2009, ha trasmesso - per l'acquisizione del parere parlamentare, ai sensi dell'articolo 1, commi 3, 4 e 5, della legge 18 aprile 2005, n. 62 - lo schema di decreto legislativo recante disposizioni correttive al decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 229, di attuazione della direttiva 2004/25/CE concernente le offerte pubbliche di acquisto (n. 100).

Ai sensi delle predette disposizioni e dell'articolo 139-bis del Regolamento, lo schema di decreto è stato deferito - in data 26 giugno 2009 - alla 6ª Commissione permanente, che esprimerà il parere entro il 5 agosto 2009. Le Commissioni 1ª, 2ª, 10ª e 14ª potranno formulare osservazioni alla Commissione di merito entro il 26 luglio 2009. L'atto è stato altresì deferito - per le conseguenze di carattere finanziario - alla 5ª Commissione, che esprimerà il parere entro il medesimo termine del 5 agosto 2009.

Il Ministro per i rapporti con il Parlamento, con lettera in data 26 giugno 2009, ha trasmesso - per l'acquisizione del parere parlamentare, ai sensi degli articoli 1, commi 3, 4 e 5, e 22 della legge 25 gennaio 2006, n. 29 -lo schema di decreto legislativo recante modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231, di attuazione della direttiva 2005/60/CE concernente la prevenzione dell'utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo nonché della direttiva 2006/70/CE che ne reca misure di esecuzione (n. 101).

Ai sensi delle predette disposizioni e dell'articolo 139-bis del Regolamento, lo schema di decreto è stato deferito - in data 26 giugno 2009 - alle Commissioni riunite 2ª e 6ª, che esprimeranno il parere entro il 5 agosto 2009. Le Commissioni 1ª, 10ª e 14ª potranno formulare osservazioni alle Commissioni riunite entro il 26 luglio 2009. L'atto è stato altresì deferito - per le conseguenze di carattere finanziario - alla 5ª Commissione, che esprimerà il parere entro il medesimo termine del 5 agosto 2009.

Governo, richieste di parere per nomine in enti pubblici

Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, con lettera in data 24 giugno 2009, ha trasmesso - per l'acquisizione del parere parlamentare, ai sensi dell'articolo 1 della legge 24 gennaio 1978, n. 14 - la proposta di nomina del dottor Paolo Silverio Piro a Presidente dell'Autorità portuale di Olbia e Golfo Aranci (n. 39).

Ai sensi della predetta disposizione e dell'articolo 139-bis del Regolamento, la proposta di nomina è stata deferita - in data 26 giugno 2009 - alla 8a Commissione permanente, che esprimerà il parere entro il 16 luglio 2009.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, con lettera in data 19 giugno 2009, ha trasmesso - per l'acquisizione del parere parlamentare, ai sensi dell'articolo 1 della legge 24 gennaio 1978, n. 14 - la proposta di nomina di Ferruccio Tomasi a Presidente dell'Ente parco nazionale dello Stelvio (n. 40).

Ai sensi della predetta disposizione e dell'articolo 139-bis del Regolamento, la proposta di nomina è deferita alla 13a Commissione permanente, che esprimerà il parere entro il 20 luglio 2009.

Governo, trasmissione di documenti

Il Ministro per la semplificazione normativa, con lettera in data 24 giugno 2009, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 2, comma 1-ter, del decreto-legge 22 dicembre 2008, n. 200, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 febbraio 2009, n. 9, recante misure urgenti in materia di semplificazioni normativa, la relazione concernente l'impatto delle abrogazioni previste dall'articolo 2, comma 1, del medesimo decreto-legge n. 200 del 2008, con riferimento ai diversi settori di competenza dei singoli Ministeri.

Il predetto documento è stato trasmesso, dal Presidente del Senato della Repubblica, d'intesa con il Presidente della Camera dei deputati, alla Commissione parlamentare per la semplificazione della legislazione, ed è altresì trasmesso a tutte le Commissioni permanenti (Doc. XXVII, n. 10).

Governo, progetti di atti comunitari e dell'Unione europea

Il Ministro per le politiche europee, con lettere in data 27 e 29 maggio, nonché 5, 19, 23 e 26 giugno 2009, ha trasmesso - ai sensi degli articoli 3 e 19 della legge 4 febbraio 2005, n. 11 - progetti di atti comunitari e dell'Unione europea.

I predetti atti si intendono trasmessi alle Commissioni, ai sensi dell'articolo 34, comma 1, secondo periodo, del Regolamento.

Il testo degli atti medesimi è disponibile presso il Servizio affari internazionali - Ufficio dei rapporti con le istituzioni dell'Unione europea.

Commissione europea, trasmissione di atti e documenti

Nel periodo dal 21 maggio al 25 giugno 2009 la Commissione europea ha inviato atti e documenti di interesse comunitario.

I predetti atti e documenti si intendono trasmessi alle Commissioni, ai sensi dell'articolo 34, comma 1, secondo periodo, del Regolamento.

Il testo degli atti e documenti medesimi è disponibile presso il Servizio affari internazionali - Ufficio dei rapporti con le istituzioni dell'Unione europea.

Mozioni

CANTONI, GASPARRI, QUAGLIARIELLO, AMATO, CARRARA, COLLINO, CONTINI, DE GREGORIO, GALIOTO, GAMBA, LICASTRO SCARDINO, RAMPONI, TOTARO - Il Senato,

premesso che:

l'attuale quadro politico-strategico internazionale è caratterizzato da molteplici situazioni di criticità, derivanti dall'accentuazione dei processi di frammentazione e di instabilità, dall'aggravamento e dall'esplosione, in molteplici forme, dei fenomeni terroristici e di criminalità transnazionale, ma anche dalla grave crisi finanziaria ed economica che potrebbe influenzare negativamente l'evoluzione degli scenari di crisi;

l'eterogeneità delle crisi che si sviluppano nel mondo richiede un approccio alla sicurezza in chiave proattiva, multidisciplinare e multilaterale, mediante il ricorso ad azioni integrate di carattere diplomatico, politico, economico e di cooperazione che richiedono spesso un apporto importante, a volte determinarne, della componente militare;

in un mondo sempre più globalizzato, anche per il nostro Paese è impensabile oggi immaginare di far fronte alle minacce, anch'esse globali, limitandosi al solo presidio del territorio nazionale;

infatti, l'Italia, nel quadro delle organizzazioni e delle alleanze di cui fa parte, fornisce un contributo importante a quel multilateralismo efficace, che è un elemento basilare della nostra azione di politica estera nell'ambito della comunità internazionale;

grazie alla qualità del proprio contributo all'azione multilaterale, l'Italia gode oggi di un significativo prestigio nel mondo e di un apprezzamento unanime, sempre più convinto nell'ambito di tutti i consessi internazionali;

le caratteristiche e le dinamiche dell'attuale scenario geostrategico, tuttavia, rafforzano l'esigenza per il nostro Paese di disporre di uno strumento operativo efficace, agile, integrato, proiettabile, sostenibile e usabile, a fianco ed in sinergia con quelli dei principali partner internazionali, negli attuali e nei prevedibili futuri scenari di impiego, pur in presenza di una non favorevole congiuntura economica;

sulla base di questo insieme di considerazioni è stata istituita una commissione di alta consulenza e studio con la finalità di elaborare un disegno di legge delega per la ridefinizione complessiva del sistema di difesa e sicurezza nazionale, e che miri, tra l'altro, ad una miglior qualificazione della spesa per il comparto difesa e conseguentemente ad un uso efficiente delle risorse disponibili;

l'obiettivo primario da perseguire è quello di mantenere un ottimale livello di capacità operative dello strumento militare, in particolare garantendo la qualità dei mezzi ed i necessari livelli di formazione, addestramento e motivazione del personale, in modo da poter corrispondere in modo qualificato e adeguato alle esigenze della difesa del territorio nazionale e coerentemente con il ruolo del Paese nell'ambito delle organizzazioni internazionali,

impegna il Governo:

ad informare tempestivamente il Parlamento riguardo ai risultati dell'attività svolta dalla richiamata Commissione di alta consulenza e studio per la ridefinizione del sistema di difesa e sicurezza nazionale, insediata presso il Ministero della difesa, prima dell'avvio dell'iter di approvazione del disegno di legge delega;

a ricercare la massima efficienza del nostro strumento militare, mediante l'adozione di interventi, anche di carattere normativo, finalizzati a rivedere in particolare le strutture amministrative territoriali e logistico-manutentive, perseguendone la massima integrazione ordinativa o funzionale interforze, rimodulando, nel contempo, anche il settore degli investimenti, al fine di garantire alle Forze armate l'adeguatezza delle capacità operative per corrispondere alle esigenze di difesa nazionale e agli impegni fori dai confini nazionali;

a garantire, comunque, ai fini del conseguimento delle adeguate capacità operative dello strumento militare, le risorse necessarie ai settori del reclutamento e dell'addestramento, nonché per il pieno riconoscimento della professionalità e specificità del personale delle Forze armate;

ad assicurare, nel tempo, stabilità e coerenza all'assegnazione delle risorse per il compatto difesa, quale presupposto di base per l'efficiente ed economica finalizzazione dei programmi di trasformazione e razionalizzazione delle Forze armate.

(1-00147)

CAFORIO, BELISARIO, GIAMBRONE, ASTORE, CARLINO, DE TONI, DI NARDO, LANNUTTI, LI GOTTI, MASCITELLI, PEDICA, RUSSO - Il Senato,

premesso che:

l'attuale periodo storico è fortemente caratterizzato dagli effetti di una crisi economica particolarmente rilevante che sta interessando la quasi totalità dei settori produttivi del nostro Paese;

gli effetti della crisi economica internazionale acuiscono anche i motivi di frizione e scontro nelle aree meno ricche del pianeta, generando localmente instabilità socio-politiche che si ripercuotono - sotto forma di migrazioni incontrollate, aumento dei traffici illeciti di ogni tipo, non senza generare talvolta anche un incremento di fenomeni, a base ideologica, di matrice terroristica - in tutto il resto del mondo;

negli ultimi mesi sono cambiati i Governi di Paesi tra i più importanti sulla scena internazionale, quali gli Stati Uniti e, con particolare influenza nell'area mediterranea e mediorientale, Israele;

sono tuttora in corso di svolgimento rilevanti operazioni di disimpegno militare dall'Iraq da parte delle truppe statunitensi, nonché di riposizionamento in Afghanistan da parte delle truppe Nato, cui l'Italia partecipa con diverse migliaia di uomini e mezzi;

uno dei Paesi più importanti, non solo per estensione, dell'area mediorientale, quale l'Iran, è attraversato in questi giorni da preoccupanti e condannabili violenze e scontri tra un Governo che non risparmia l'uso di uccisioni indiscriminate e del terrore ed i civili che democraticamente protestano contro il risultato elettorale ritenuto non trasparente;

premesso inoltre che:

l'Italia, operando nell'alveo delle organizzazioni nazionali e sovranazionali cui appartiene, è uno dei principali attori sulla scena di politica estera e di sicurezza internazionale del pianeta;

il settore della difesa nazionale - nel quale rientrano a pieno titolo tutte le missioni internazionali cui l'Italia partecipa al fine di prevenire i conflitti e contribuire alla pacificazione o al mantenimento della pace - rappresenta inconfutabilmente uno degli ambiti nel quale il nostro Paese, dal dopo guerra ad oggi, si è sempre distinto raccogliendo indubbi successi non solo sul piano internazionale;

non senza pagare pesantissime perdite, anche in termini di uomini, in operazioni svolte in tempo di pace per il nostro Paese, l'Italia, soprattutto nell'ultimo ventennio, ha partecipato con risultati ragguardevoli alle più importanti missioni internazionali, come quelle in Libano, ex Jugoslavia, Timor Est, Iraq ed Afghnistan;

considerato che:

il bilancio della difesa ha subito nell'ultimo anno - soprattutto ad opera del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133 - una considerevole riduzione degli stanziamenti che si ripercuote negativamente sul funzionamento dell'intera macchina operativa della funzione difesa, determinando situazioni di fortissima criticità che riguardano indistintamente i settori del personale, dell'esercizio e degli investimenti;

si è registrato, sempre a seguito dell'approvazione della citata legge 6 agosto 2008, n. 133, una drammatica riduzione dei livelli di addestramento e di prontezza dello strumento militare ed in particolare: a) una riduzione del livello di efficienza e della disponibilità operativa di mezzi e sistemi; b) una forte riduzione dei livelli di scorte di materiali, combustibili e dotazioni; c) un incremento della situazione debitoria delle spese obbligatorie; d) una riduzione delle capacità operative delle Forze armate al di sotto degli standard NATO,

l'organico del Corpo dei Carabinieri, così come riportato dal Ministro della difesa, on. La Russa, durante una sua audizione nella 4a Commissione permanente (Difesa) del Senato, è sottostimato di ben 7.200 unità;

le infrastrutture di cui le Forze armate dispongono, troppo soventemente, versano in situazioni di degrado e cattiva gestione a causa della mancata manutenzione degli immobili stessi;

considerato inoltre che:

soprattutto dopo il secondo conflitto mondiale, la maggior parte delle infrastrutture militari presenti sul territorio nazionale sono state localizzate e sono tuttora concentrate nelle regioni del Centro, del Nord e del Nord Est del nostro Paese;

a seguito del passaggio da un esercito di leva ad un esercito professionale sono soprattutto i giovani del Sud e delle isole ad arruolarsi, con la conseguenza che la maggior parte dei militari presta servizio lontano dalle regioni di appartenenza, con tutti i disagi che ne derivano;

come riportato, a più riprese negli ultimi mesi, dagli organi di informazione, risultano in corso di chiusura e/o dismissione - soprattutto nelle aree centromeridionali del Paese - diverse caserme ed arsenali oggi operanti, come ad esempio quelle di Sulmona, Potenza e Civitavecchia;

risulta, come dichiarato dal Ministro della difesa, che sia istituita una "Commissione di alta consulenza e studio per la ridefinizione complessiva del sistema di difesa e sicurezza nazionale" che si occuperà di redigere un piano pluriennale del settore volto a rivedere l'intera organizzazione del Ministero e lo stesso modello di difesa,

impegna il Governo:

a procedere, con le più opportune iniziative legislative o con atti di indirizzo, verso un riassetto delle Forze armate - da realizzarsi in tempi certi oltre che congrui alla situazione attuale - particolarmente attento alla necessità di operare con programmi cosiddetti "interforze", al fine di generare delle economie di gestione e maggiore efficienza nei settori del supporto tecnico, logistico, amministrativo, permettendo al contempo alle singole Forze armate di salvaguardare le proprie peculiarità quando eccellenti nonché di raggiungere l'obbiettivo di una razionalizzazione armonica di settori più eterogenei della difesa;

a prevedere appositi ed ulteriori finanziamenti per: a) permettere lo svolgimento delle missioni internazionali cui l'Italia partecipa; b) dare impulso ad una "politica per la casa" in favore del personale militare, con particolare riguardo ai centri urbani molto grandi e alle città metropolitane al fine di ridimensionare il fenomeno del pendolarismo che incide sensibilmente sulla qualità della vita dei militari e delle loro famiglie; c) garantire efficaci programmi di esercitazione e aggiornamento delle professionalità e dello strumento militare che permettano ai nostri soldati di ricominciare ad effettuare i necessari addestramenti navali, terresti ed aerei, nonché garantire la formazione allo svolgimento delle funzioni di pubblica sicurezza;

a prevedere lo studio e la programmazione di una ridislocazione delle infrastrutture militari, dal Centro Nord al Sud del Paese, al fine di adeguare le nuove esigenze di difesa e sicurezza al nuovo contesto nazionale ed europeo oltre che fornire garanzie di impiego dei militari presso i bacini geografici di reclutamento;

a valutare ogni iniziativa utile a garantire - ed implementare in futuro - la presenza di strutture ed infrastrutture operanti soprattutto nel Mezzogiorno del Paese, al fine di evitare che il ridimensionamento infrastrutturale già in atto non si trasformi in un abbandono dello Stato delle zone meridionali del Paese, verificando anche la possibilità che le caserme delle Forze armate oggi operanti, ma destinate all'imminente chiusura, siano di suporto allo svolgimento dei compiti e degli impegni - sempre più numerosi in questi ultimi anni - della Protezione civile.

(1-00148)

Interpellanze

BELISARIO, LI GOTTI, ASTORE, BUGNANO, CARLINO, CAFORIO, GIAMBRONE, DE TONI, DI NARDO, LANNUTTI, MASCITELLI, PARDI, PEDICA, RUSSO - Al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro della giustizia - Premesso che:

dal settimanale "l'Espresso" del 25 giugno 2009 si apprende la notizia che a maggio ha avuto luogo, presso l'abitazione del giudice della Corte costituzionale Luigi Mazzella, "una delle più sconcertanti e politicamente imbarazzanti riunioni organizzate dal Governo Berlusconi";

sembra infatti, stando a quanto l'Espresso è riuscito a ricostruire, che a casa del giudice si siano riuniti per cena il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, il Ministro della giustizia Angelino Alfano, il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Gianni Letta, il Presidente della 1a Commissione permanente (Affari costituzionali) del Senato, Carlo Vizzini, e il giudice della Corte costituzionale Paolo Maria Napolitano, eletto alla Consulta nel 2006;

più fonti concordano nel riferire che uno degli argomenti al centro della riunione sia stato quello delle riforme costituzionali in materia di giustizia, che è una delle principali voci dell'agenda del Governo Berlusconi, il quale sembra voler non solo rivedere l'intero Titolo IV della Costituzione sulla magistratura, ma intende anche incidere sulla modalità di elezione degli stessi giudici costituzionali;

la Consulta è un organo costituzionale totalmente indipendente che giudica in merito alla legittimità costituzionale delle leggi della Repubblica e che - in nessun modo - può essere oggetto di interferenze né da parte del Governo, né da parte di altri organi costituzionali, né da altri poteri dello Stato;

tra l'altro, sarà la stessa Corte a pronunciarsi nuovamente in merito alla costituzionalità della legge n. 124 del 2008, che ha determinato la sospensione dei processi penali a carico del Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Come già fu nel 2004 per il "lodo Schifani", vale a dire lo "scudo" processuale per le più alte cariche dello Stato che la Corte bocciò in toto determinando la ripresa del processo SME, la Consulta tornerà a pronunciarsi sulla legittimità del nuovo "lodo", ribattezzato col nome del Guardasigilli Alfano;

è del 29 giugno 2009 la notizia che il Presidente della Consulta, Amirante, che nel 2004 fu proprio il redattore della sentenza n. 24 che sancì l'incostituzionalità del lodo Schifani, ha fissato per il 6 ottobre 2009 l'udienza sulle tre cause arrivate già da sei mesi a palazzo della Consulta e che riguardano la sospensione di altrettanti processi a carico del premier Berlusconi. La prima questione di legittimità del "lodo Alfano" è stata infatti sollevata dai giudici della prima sezione del tribunale di Milano, davanti ai quali si celebra il processo per presunte irregolarità nella compravendita dei diritti televisivi da parte di Mediaset con Berlusconi tra gli imputati. Il secondo ricorso è dei giudici della decima sezione del tribunale di Milano che, dopo aver stralciato la posizione di Berlusconi e investito l'Alta Corte, hanno condannato a 4 anni e 6 mesi l'avvocato inglese David Mills, coimputato del premier, per corruzione in atti giudiziari. La terza causa è arrivata alla Consulta dal gip di Roma, Orlando Villoni, nell'ambito del procedimento che vede indagato Berlusconi per istigazione alla corruzione di alcuni senatori eletti all'estero durante la XV Legislatura,

si chiede di sapere se al Governo risultino corrispondenti al vero i fatti riportati dal settimanale "l'Espresso" e sopra descritti, e se sia a conoscenza di quali siano state effettivamente le ragioni del suddetto incontro.

(2-00085)

COSSIGA - Ai Ministri dell'interno, dell'economia e delle finanze e della giustizia - Premesso che l'articolo 55, comma 1, del codice di procedura penale prevede che la polizia giudiziaria deve, anche di propria iniziativa, prendere notizia dei reati, impedire che vengano portati a conseguenze ulteriori, ricercarne gli autori, compiere gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quanto possa servire per l'applicazione della legge penale;

presso atto che come riferito dalla signora Manila Gorio nell'intervista da lei rilasciata al quotidiano "La Stampa" nell'edizione del 29 giugno 2009, la signora Patrizia D'Addario, sua amica, avrebbe fatto alla procura della Repubblica di Bari le note rivelazioni circa una sua relazione con l'onorevole Silvio Berlusconi, non di sua sola iniziativa ma perché incitata a farlo da altri, verosimilmente, ad avviso dell'interpellante, dietro pagamento o promessa di denaro o di altre utilità;

atteso che le unità di polizia giudiziaria, pur disponendo di esse direttamente l'autorità giudiziaria, dipendono, specie quando esercitino di propria iniziativa le funzioni di polizia giudiziaria loro attribuite, da un punto di vista organico dalle autorità amministrative preposte ai corpi di cui fanno parte e quindi all'apice dal Ministro competente;

considerato che si potrebbe configurare nei confronti della stessa e degli eventuali mandanti della predetta signorina D'Addario il reato di tentata estorsione e/o di tentata minaccia,

si chiede di sapere:

se i Ministri in indirizzo non ritengano di dare immediati ordini e istruzioni affinché le unità di polizia giudiziaria inquadrate nei corpi posti alle loro dipendenze svolgano, di propria iniziativa, tutte le indagini e gli eventuali altri atti di propria competenza in ordine al caso indicato;

se non ritengano necessario trasmettere all'Autorità politica delegata i risultati delle indagini, perché ordini ai nostri servizi di informazione e di sicurezza un'inchiesta al fine di accertare se vi sia stata o vi sia da parte di servizi d'informazione esteri, anche di Paesi "alleati ed amici", un'operazione di "intossicazione" e di "disinformazione" dell'opinione pubblica italiana ed internazionale ed anche a livello di altri Governi esteri, nei confronti del nostro Paese e del suo Governo, al fine di screditare all'interno e/o all'estero la sua politica estera e militare o di influire su di essa.

(2-00086)

DE TONI - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti - Premesso che:

la notte del 29 giugno 2009, nei pressi della stazione della città di Viareggio (Lucca), un treno merci carico di gas di petrolio liquefatto ha deragliato e causato una fortissima esplosione. Attualmente si contano 15 morti, 30 dispersi e almeno una cinquantina di feriti, di cui 36 gravi o gravissimi. Il bilancio delle vittime è, tuttavia, ancora provvisorio. Infatti, secondo quanto si apprende dalla stampa nazionale e dai mezzi di comunicazione, la deflagrazione avrebbe investito anche le case vicine alla stazione ferroviaria, provocando il crollo di alcune palazzine e fra i resti delle due palazzine distrutte dall'esplosione del gas e dal successivo incendio vi potrebbero essere altre vittime;

alcune persone decedute sono ancora da identificare e fra i numerosi feriti vi sono anche bambini;

le persone evacuate dalle loro abitazioni in seguito all'esplosione sono circa un migliaio e 200 di queste sono state accolte in un centro di prima assistenza allestito nel municipio di Viareggio;

secondo una nota ufficiale diffusa dal gruppo Ferrovie dello Stato SpA, a ;

l'incidente ferroviario di Viareggio ripropone l'annoso problema, più volte discusso in sede parlamentare, della sicurezza del trasporto ferroviario. L'Italia, infatti, è ai primi posti in Europa per numero di vittime, tra morti e persone gravemente ferite, negli incidenti ferroviari. Dalle ultime rilevazioni ufficiali di Eurostat, relative all'anno 2006, si contano infatti 168 casi, uno dei numeri più alti dell'Unione europea, preceduto solo da Polonia (502) e Germania (382);

considerato che:

recentemente sono stati emanati una serie di provvedimenti, in vigore dal 6 maggio 2009, che, purtuttavia, non si sono dimostrati efficaci al fine di aumentare la sicurezza del trasporto ferroviario. Si segnalano in particolare: il decreto del Presidente della Repubblica 25 febbraio 2009, n. 34, recante "Regolamento concernente l'approvazione dello Statuto dell'Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie, a norma dell'articolo 4, comma 6, lettera a), del decreto legislativo 10 agosto 2007, n. 162 (Suppl. ordinario n. 56 della Gazzetta Ufficiale n. 92 del 21 aprile 2009); il decreto del Presidente della Repubblica 25 febbraio 2009, n. 35, recante "Regolamento concernente l'organizzazione dell'Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie, a norma dell'articolo 4, comma 6, lettera a) del decreto legislativo 10 agosto 2007, n. 162 (Suppl. ordinario n. 56 della Gazzetta Ufficiale n. 92 del 21 aprile 2009); il decreto del Presidente della Repubblica 3 marzo 2009, n. 36, recante "Regolamento concernente la gestione amministrativa e contabile dell'Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie, a norma dell'articolo 4, comma 6, lettera a) del decreto legislativo 10 agosto 2007, n. 162 (Suppl. ordinario n. 56 della stessa Gazzetta Ufficiale);

la sicurezza dei mezzi ferroviari e delle infrastrutture, nonché le possibili conseguenze sulla sicurezza dei lavoratori e della cittadinanza devono ricevere la massima attenzione da parte degli organismi pubblici;

la dinamica del disastro ferroviario che ha colpito la città di Viareggio non appare ancora chiara, ma non si escludono responsabilità in capo al gruppo Ferrovie dello Stato SpA e della sua stessa dirigenza;

numerose sigle sindacali hanno sottoposto da tempo il problema della sicurezza delle ferrovie all'attenzione del Governo, con particolare riguardo a quello della chiarezza sui controlli sui carri ferroviari che circolano nel nostro Paese e nell'Unione europea;

considerato ancora che:

la legge finanziaria per il 2009 ha previsto una riduzione del 32,5 per cento delle risorse inizialmente previste per le Ferrovie dello Stato che passano da 3.500 milioni di euro a 2.363 milioni di euro;

l'articolo 25 del decreto-legge n. 185 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 2 del 2009, ha istituito un fondo per gli investimenti del gruppo Ferrovie dello Stato con una dotazione pari a 960 milioni di euro per il 2009 e autorizza contestualmente una spesa pari a 480 milioni di euro per ciascuno degli anni 2009, 2010 e 2011, finalizzati alla conclusione di nuovi contratti di servizio per l'espletamento dei servizi di trasporto pubblico ferroviario stipulati da Stato e Regioni con Trenitalia SpA. Il comma 2 dell'articolo 25 stabilisce, inoltre, che quota parte delle risorse sia finalizzata all'incremento e al miglioramento del materiale rotabile dedicato al trasporto pubblico ferroviario. L'ultimo comma dell'articolo in oggetto, infine, istituisce un fondo da ripartire tra gli enti pubblici territoriali per le esigenze di trasporto pubblico non ferroviario;

la sopra citata strategia di rilancio e potenziamento del trasporto ferroviario non può considerarsi, a giudizio dell'interrogante, sufficiente;

attualmente non esiste peraltro chiarezza sulla concreta entità dei fondi pubblici che vengono destinati alla sicurezza del trasporto ferroviario;

tale problema coinvolge in modo particolarmente evidente la realtà delle ferrovie regionali e locali che servono 5.000 comuni per un totale di 5 miliardi di viaggiatori l'anno e che, con 12.000 addetti, vantano 3.651 chilometri di linea e 160 milioni di cittadini trasportati;

appare quanto mai urgente aprire un'inchiesta ministeriale che, nel rispetto delle competenze della magistratura, sia finalizzata ad accertare eventuali responsabilità in capo alla dirigenza delle Ferrovie dello Stato SpA con riferimento ai fatti accaduti nella città di Viareggio,

si chiede di sapere:

quali e quante risorse il Governo abbia destinato fino ad oggi alla sicurezza del trasporto ferroviario e quali siano i motivi per i quali la legge finanziaria per il 2009 abbia previsto una riduzione del 32,5 per cento delle risorse inizialmente previste dal Governo Prodi;

quali iniziative siano state adottate sino ad oggi al fine di garantire l'effettiva rispondenza del servizio di trasporto ferroviario della città di Viareggio agli standard moderni di sicurezza e qualità attualmente raccomandati dall'Unione europea;

quali interventi urgenti intenda assumere il Governo al fine di aumentare il livello di sicurezza del trasporto ferroviario in tutta la rete nazionale, incrementando gli investimenti economici attualmente previsti;

quali iniziative urgenti di competenza intenda assumere presso il gruppo Ferrovie dello Stato perché siano tutelati lavoratori e viaggiatori dai rischi derivanti dal ripetersi di analoghi gravissimi episodi.

(2-00087)

SBARBATI - Ai Ministri dell'interno, per la pubblica amministrazione e l'innovazione e dell'istruzione, dell'università e della ricerca - Premesso che:

la società sta cambiando, è sempre più diffuso l'utilizzo delle nuove tecnologie, soprattutto nelle fasce più giovani della popolazione e l'informazione dai media tradizionali sta passando a sistemi telematici;

la "rete" tuttavia è un mondo, pur affascinante e pratico, pieno di minacce per la sicurezza e la privacy che per la sua globalità è pressoché incontrollabile;

spesso ci si trova a scaricare filmati o a comunicare con persone, ad acquistare di tutto attraverso luoghi virtuali molto lontani, ubicati nei Paesi più disparati;

questo consente a chi volesse fare un uso improprio della rete di registrare siti in Paesi in cui la legge consente quello che in altri Paesi è impensabile;

le nuove generazioni trascorrono molte ore nei siti web per comunicare all'interno di social network, per cercare informazioni di ogni tipo, o scambiare materiali, alla ricerca di videogiochi o chat, attività, queste, che, a giudizio dell'interrogante, devono essere regolamentate se non si vuole consentire che il "villaggio globale" divenga terra di nessuno, senza regole e limiti;

a detta dei responsabili di grandi società, come quella proprietaria di Google, non ci sono filtri editoriali preventivi, per cui il loro compito è oscurare contenuti illegali una volta venuti a conoscenza degli stessi, ad avviso dell'interrogante, sviluppare nuove tecnologie in grado di individuare automaticamente contenuti illegali (impresa non facile) il tutto mentre affidano alla comunità il controllo dei contenuti, e confidano nelle segnalazioni;

è stato dimostrato che più di un filmato illegale, offensivo, o in contrasto con le regole della privacy, pur rimosso tempestivamente, ha continuato a circolare sul web per periodi variabili e comunque per mesi in virtù dello spam e del passaparola che sono la forza e il limite del web;

il web consente di inviare messaggi, immagini, filmati, di accedere a newsgroup, mailing list, chat line e di costruire pagine web e siti, ma consente anche la violazione di norme sul diritto di autore, sull'ordine pubblico, attraverso la diffusione di contenuti terroristici, sulla privacy e visto che il limite a volte è sottile, è possibile nel web operare diffamazione, intraprendere attività illegali quali: lo sfruttamento sessuale anche dei minori, la pedofilia, la pornografia, eccetera;

un provider svolge l'attività di semplice "ospitalità" di eventuale materiale illecito. Non avendo obbligo generale di sorveglianza non incorre in responsabilità penali e, se venuto a conoscenza di contenuti illeciti ne dà comunicazione all'autorità competente dimostra un comportamento corretto, declinando quindi la responsabilità civile; così che dimostrare che abbia agito con dolo è pressoché impossibile,

si chiede di sapere se il Ministro in indirizzo non ritenga:

che sia necessario affrontare i problemi e i limiti che il mondo virtuale sta dimostrando a fronte di pur grandi vantaggi di cui la società ha beneficiato;

che siano imprescindibili l'alfabetizzazione e il coinvolgimento delle famiglie e della scuola nell'utilizzo delle nuove tecnologie e dell'uso del web che, mentre accoglie i più giovani, rischia di isolare grandi fasce di popolazione;

che sia necessario ed urgente attivare misure legali e non solo, capaci di dare risposte in termini di contenimento dei danni prodotti dal mondo virtuale, e individuare i limiti etici e morali che questo vorticoso crescendo tecnologico richiede;

di dover imporre ai provider e ai grandi operatori telematici un codice deontologico e comportamentale che consenta l'individuazione di responsabilità e l'attribuzione di pene e ammende per evitare che la definizione di "ospitalità" celi la licenza del "è tutto possibile perché nessuno è responsabile";

che sia urgente rafforzare le misure di controllo e impedire l'uso di pseudonimi o peggio ancora dell'anonimato dietro i quali si celano traffici, organizzazioni illegali e attività strumentali.

(2-00088)

LANNUTTI - Al Presidente del Consiglio dei ministri - Premesso che:

nell'autunno del 2008 la Presidenza del Consiglio dei ministri bandiva una gara per la gestione del complesso di edifici costruito nell'ex zona militare sull'isola di La Maddalena presso cui avrebbero dovuto svolgersi i lavori del cosiddetto vertice "G8";

il bando prevedeva: a) il pagamento di una quota minima una tantum di 40 milioni di euro; b) l'offerta di un canone annuale di concessione da versare alla Regione Sardegna; c) una serie di obblighi accessori a carico della società vincitrice per il periodo del G8; d) la gestione delle strutture del complesso per un periodo di 30 anni;

la gara veniva vinta dalla società Mita Resort, di proprietà della dottoressa Emma Marcegaglia (attuale Presidente di Confindustria), unica concorrente, con un'offerta di 41 milioni di euro una tantum e di un canone annuale pari a 600.000 euro;

considerato che:

si apprende da notizie di stampa che a causa dell'annullamento del vertice G8 a La Maddalena sarebbero stati annullati anche gli obblighi accessori in capo alla società vincitrice e, a titolo di risarcimento, la durata del contratto di concessione sarebbe stata portata da 30 a 40 anni;

avendo il complesso dell'ex zona militare de La Maddalena una superficie totale pari a circa 155.000 metri quadri, il canone di affitto a metro quadro sarebbe pari a 10,4 euro, cifra assolutamente irrisoria in una zona turistica quale quella della Sardegna nordorientale;

la realizzazione delle opere architettoniche che compongono il complesso in questione sarebbe costata in totale circa 209 milioni di euro (di cui circa 190 milioni versati dalla Regione Sardegna) mentre la Mita Resort pagherebbe circa 65 milioni di euro (di cui solo 24 andrebbero alla Regione Sardegna), pari a poco più del 30 per cento del costo complessivo della struttura;

sarebbe in programma la realizzazione di ulteriori edifici, non previsti nel progetto originale, pari a circa 7.000 metri cubi;

alla scadenza del contratto quarantennale di gestione, le spese di ristrutturazione degli edifici del complesso sarebbero a carico della Regione Sardegna;

la necessità di ridurre le spese di organizzazione al fine di reperire risorse è stato uno dei principali argomenti sostenuti dal Governo a giustificazione della decisione di spostare il vertice G8 da La Maddalena a L'Aquila,

si chiede di sapere:

se corrispondano al vero i fatti come sopra esposti;

quali siano state in concreto le procedure di gara poste in essere per l'assegnazione del contratto di gestione del complesso di edifici dell'ex zona militare dell'isola di La Maddalena;

se il Governo non ritenga di dover riferire sulla reale entità delle spese complessivamente sostenute per l'organizzazione del vertice G8.

(2-00089)

Interrogazioni

PASTORE - Al Ministro della giustizia - Premesso che:

le disfunzioni della macchina giudiziaria sono tante e tali da non meritare interrogazioni e commenti, essendo ben note al Ministro in indirizzo che sta operando per tentare di rimuoverle; tuttavia quello che sta accadendo presso il Tribunale di Pescara appare assolutamente inspiegabile ed intollerabile e, se confermato, potrebbe costituire un colpo decisivo per screditare irrimediabilmente la macchina giudiziaria;

già con precedente atto di sindacato ispettivo del 21 gennaio 2009 (3-00484) l'interrogante aveva segnalato al Ministro in indirizzo la vicenda relativa alla notificazione della conclusione delle indagini di un procedimento penale a carico di un modesto numero di imputati per la quale erano occorsi ben 14 mesi, termine assolutamente ingiustificabile considerato anche che il suo protrarsi è stato determinato da "difficoltà" di notifica ad uno degli inquisiti, che si scoprì essere addirittura il Segretario generale del Comune di Pescara;

ora emerge da un'inchiesta condotta dal quotidiano regionale abruzzese "Il Centro" che le disfunzioni in materia di notifica sarebbero così gravi e generalizzate da rappresentare una vera e propria polveriera per la macchina giudiziaria, con il rischio che una serie di procedimenti penali, più o meno eccellenti, cadano in prescrizione, con evidente soddisfazione dei colpevoli ma con impossibilità per chi è stato ingiustamente accusato di liberarsi dal fango dal quale nel frattempo è stato sommerso;

in tale articolo datato 29 giugno 2009 si legge: «Nel buco nero delle "omesse notifiche", buccia di banana su cui sta scivolando la giustizia pescarese, sono finiti, direttamente o per il coinvolgimento di altri indagati, anche nomi come Luciano D'Alfonso ed Enzo Cantagallo, travolti dagli scandali ma rimasti in stand by per quell'atto giudiziario - obbligatorio per legge - che non arriva mai o arriva tardi. C'è persino chi non l'ha ricevuto per 14 mesi. Eppure, fa il segretario generale in un Comune. Paradossi di una giustizia incartata nei suoi stessi meccanismi. L'eccezione diventata regola in tribunale sta provocando rinvii in serie dei procedimenti. Mortificando inchieste chiuse a tempi da record, deprimendo le parti civili che reclamano giustizia, costringendo a snervanti attese anche quegli imputati che vorrebbero chiarire al più presto la loro posizione senza imboccare vie alternative. Sì, perché l'omessa notifica va spesso a braccetto con un alleato minaccioso e inesorabile: la prescrizione, che rischia di far estinguere i reati»;

nel richiamato articolo si afferma che: «"A Pescara, la media della consegna delle notifiche oscilla tra i 10 e i 14 mesi", ha detto il procuratore Nicola Trifuoggi che ha più volte segnalato il problema delle carenze di organico degli uffici al presidente del tribunale, al procuratore generale e al presidente della Corte d'appello»;

l'articolo continua sostenendo che: «in servizio attualmente al tribunale di Pescara sono 9 ufficiali giudiziari, tre in meno di quelli previsti dall'organico, per coprire il capoluogo e la cintura metropolitana, principalmente Montesilvano e Spoltore. Di fatto, però, sono sette quelli operativi sul campo, perché oltre al dirigente c'è un addetto che si occupa della posta, vale a dire quelle notifiche meno importanti come le comunicazioni di cancelleria. Con una funzionaria prossima alla maternità che copriva Montesilvano, gli "esterni" scenderanno a 6. Si sono divisi le zone da coprire, ma se qualcuno si ammala l'area scoperta va a gravare sul carico degli altri colleghi. La collaborazione di alcuni avvocati, che nasce grazie al rapporto personale che si instaura con i funzionari, consente di effettuare le notifiche agli studi legali o direttamente in ufficio, ma è solo una piccola discesa lungo un percorso a ostacoli. Perché le notifiche spesso non vengono portate a termine per l'assenza del destinatario, costringendo l'ufficiale giudiziario a effettuare il deposito al Comune e a inviare la raccomandata per far sì che l'atto si consideri notificato. (...) Lo stop avviene davanti a quattro computer. Alla carenza d'organico degli ufficiali giudiziari si aggiunge quella, decisiva e fatale, delle coadiutrici, cioè delle segretarie. Quando la procura passa all'ufficio le notifiche da eseguire, queste devono essere registrate sui vari pc. Ogni tipo di atto ha il suo modello e come tale viene catalogato nell'elaboratore. Se la notifica non viene caricata sul computer, l'ufficiale giudiziario non può recapitare l'atto. Ed è qui che si blocca tutto. Attualmente, le coadiutrici in organico sono 4, ma due di loro sono impegnate ogni giorno con l'assistenza all'udienza, prevista nelle loro mansioni ma decisamente penalizzante per l'efficienza dell'ufficio perché le costringe a spostarsi nelle aule dalle 9 alle 14 - e spesso anche di pomeriggio - per chiamare i testimoni dei processi. I tentativi da parte dei dirigenti di esentare le coadiutrici da questo incarico non hanno avuto fortuna. Senza contare che una delle segretarie è stata applicata a un altro ufficio. La coperta è cortissima. Per soddisfare tutte le esigenze, servirebbero almeno 6 segretarie. Così, capita che l'ufficio resti sguarnito per intere mattinate e che le notifiche restino in giacenza, con un aggravio sull'arretrato»,

si chiede di sapere:

se le notizie apparse siano già state valutate dal Ministro in indirizzo e se le stesse corrispondano, in tutto o in parte, al vero, ovvero rappresentino, anche se parzialmente, amplificazioni giornalistiche;

se non intenda intervenire immediatamente per rimuovere una situazione che appare indecorosa per la credibilità di tutti i protagonisti del sistema giustizia, nessuno escluso. Tanto più che il Tribunale di Pescara rappresenta l'organismo più qualificato e rilevante dell'intero distretto regionale e che presso il medesimo Tribunale sono incardinati processi cosiddetti eccellenti che riguardano le amministrazioni locali di Pescara e Montesilvano e quella regionale d'Abruzzo.

(3-00827)

SBARBATI - Ai Ministri dell'interno, della giustizia e per la pubblica amministrazione e l'innovazione - Premesso che:

si apprende dalla stampa che alla procura di Milano una copia di riserva dei dati dei computer della Direzione distrettuale antimafia (Dda) sono rimasti su una cartella aperta e condivisa senza password di protezione, potenzialmente accessibili a tutti per un mese;

un censimento del Coordinamento interdistrettuale sistemi informativi automatizzati (Cisia) rileva che su 3.230 utenti della rete giudiziaria milanese, 122 utenti risultano possedere i privilegi di "amministratore di sistema" di cui 80 ancora attivi (che possono cioè entrare in ogni computer e guardare dove vogliono), e addirittura otto, pur avendo la "chiave" che apre ovunque, non sono più identificabili perché se ne conosce solo il nome di fantasia (pippo, datamat, eccetera) con il quale accedono al sistema mentre cinque hanno utilizzato accessi "in remoto", magari stando a casa propria;

i sistemisti dell'assistenza informatica non sono dipendenti del Ministero, ma precari assunti con contratti a progetto da società private che lavorano in appalto;

l'amministrazione della giustizia punta a risparmi nel settore informatico, affidando l'assistenza all'esterno;

il Governo ha proposto di recente il decreto anti intercettazioni, a tutela della privacy e per evitare quello che fonti giornalistiche troppo ben informate vorrebbero, ossia processi mediatici fuori delle aule di tribunale,

si chiede di sapere se i Ministri in indirizzo, ciascuno per quanto di propria competenza, non ritengano che:

il deficit di sicurezza emerso debba trovare una soluzione urgente pur se ciò comporti un impegno di spesa aggiuntivo;

si possa escludere il verificarsi in altre Procure di situazioni analoghe e se siano in corso accertamenti in tal senso;

sia necessario appaltare questi servizi a società esterne;

si sia incorsi in una "condivisione" di notizie riservate o se si possa escludere che siano stati compromessi i risultati delle indagini cui si riferivano i dati, visto che i file "condivisi" provenivano dalla Dda;

si sia in presenza di una violazione della privacy dei soggetti interessati dalle indagini;

si possa escludere che le informazioni dei dossier senza protezione abbiano trovato spazio sui media o possano rappresentare materiale utilizzabile ai fini di un ricatto o favorire guadagni illeciti da parte degli eventuali possessori diversi dall'autorità (Dda) che stava analizzando questi dati.

(3-00829)

AMATI, MERCATALI, SCANU, DI GIOVAN PAOLO, MARITATI - Al Ministro dell'economia e delle finanze - Premesso che:

le disposizioni relative al finanziamento dell'organizzazione del vertice del "G8" in Italia sono state oggetto di diversi interventi normativi poiché lo svolgimento del vertice era stato inizialmente previsto all'isola de La Maddalena e, in seguito al sisma che ha colpito l'Abruzzo, spostato nel territorio della città de L'Aquila;

nella legge 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria per il 2008), sono stati previsti finanziamenti ad hoc per l'organizzazione del vertice: all'art. 2, comma 64, era stanziata la somma di 30 milioni di euro per il 2008, e al comma 63 del medesimo articolo 2 il Ministero degli affari esteri, al fine di assicurare l'adempimento degli impegni internazionali derivanti in particolare dall'esercizio della Presidenza italiana del «G8», era stato autorizzato a procedere ad assunzioni di personale a tempo indeterminato nel limite di spesa di 1,5 milioni di euro per l'anno 2008 e di 3 milioni di euro a decorrere dal 2009 a valere sul Fondo previsto all'art. 1, comma 527, della legge n. 296 del 2006 (legge finanziaria per il 2007);

nel decreto-legge 23 ottobre 2008, n. 162, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 201 del 2008, recante "Interventi urgenti in materia di adeguamento dei prezzi di materiali da costruzione, di sostegno ai settori dell'autotrasporto, dell'agricoltura e della pesca professionale, nonché di finanziamento delle opere per il G8 e definizione degli adempimenti tributari per le regioni Marche ed Umbria, colpite dagli eventi sismici del 1997", all'articolo 3, comma 1, è autorizzata, in favore della Regione Sardegna, la spesa di 233 milioni di euro per fare fronte alla realizzazione delle opere contenute nel piano del grande evento relativo alla Presidenza italiana del G8, a valere sulle risorse del Fondo per le aree sottoutilizzate;

attraverso una serie di ordinanze del Presidente del Consiglio dei ministri riguardanti il "grande evento" relativo alla Presidenza italiana del G8, negli anni 2007, 2008 e 2009 ulteriori e cospicue risorse finanziarie sono state riservate alla realizzazione delle opere ad esso correlate;

all'art. 17 del decreto-legge 28 aprile 2009, n. 39, recante "Interventi urgenti in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici nella regione Abruzzo nel mese di aprile 2009 e ulteriori interventi urgenti di protezione civile", convertito, con modificazioni, dalla legge 24 giugno 2009, n. , si prevede di spostare lo svolgimento del G8 dall'isola de La Maddalena alla città de L'Aquila e che dalla riprogrammazione e rifunzionalizzazione degli interventi per l'organizzazione del vertice derivano risparmi di spesa quantificati nella relazione tecnica in 220 milioni di euro per l'anno 2009,

si chiede di sapere:

quante risorse siano state impegnate per i lavori previsti per l'organizzazione del vertice "G8" a La Maddalena, prima della decisione di spostare la manifestazione in Abruzzo, e quali lavori siano stati effettivamente realizzati con tali risorse;

se risponda al vero la notizia, riportata in alcuni articoli della stampa nazionale, che per gli interventi di riqualificazione dell'ex Arsenale de La Maddalena - dove in vista del vertice del G8 sono stati costruiti un albergo, un centro congressi e un porto turistico - sia stata effettuata una spesa di 209 milioni di euro, di cui 190 milioni di risorse della Regione Sardegna; nonché la notizia secondo cui per la gestione della stessa area, per i prossimi 40 anni, la Mita Resort Srl vincitrice della gara d'appalto, controllata dalla famiglia Marcegaglia, dovrà corrispondere allo Stato una tantum 41 milioni di euro, mentre alla Regione un canone annuo di 600.000 euro (dunque complessivamente 24 milioni di euro in 40 anni), cifre irrisorie rispetto agli investimenti compiuti;

se, e con quali modalità, si intenda sostenere la Regione Sardegna che risulta aver impegnato risorse ingenti per la manifestazione prevista a La Maddalena, risorse inizialmente destinate ad interventi infrastrutturali di grande rilevanza per l'isola, in particolare il rifacimento della strada Olbia-Sassari, che oggi rischiano di non poter essere completati;

quali siano state le spese effettuate per le riunioni preparatorie del "G8" svoltesi in diverse parti d'Italia;

quali lavori siano stati previsti e realizzati a L'Aquila e in Abruzzo, e quante siano le risorse impegnate;

se il risparmio di spesa di 220 milioni di euro previsto in virtù dello spostamento del vertice del G8 dall'isola de La Maddalena alla città de L'Aquila si sia effettivamente realizzato e, in tal caso, quali siano stati gli strumenti prescelti per realizzarlo.

(3-00830)

Interrogazioni orali con carattere d'urgenza ai sensi dell'articolo 151 del Regolamento

STRADIOTTO - Al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare - Premesso che:

il 14 dicembre 2006 veniva sottoscritto presso il Ministero dello sviluppo economico il Protocollo di intesa su Porto Marghera che al punto 3 prevedeva gli investimenti da parte dell'ENI per la raffineria di Venezia "attraverso un percorso di sviluppo sostenibile per il sito con interventi sul ciclo di lavorazione per migliorare la qualità dei prodotti con un aumento dei distillati, riducendo contemporaneamente la produzione di oli pesanti senza aumento della produzione totale";

il 5 novembre 2007 da parte di ENI SpA veniva depositato lo Studio di impatto ambientale e del progetto di massima relativo all'adeguamento tecnologico della raffineria di Venezia mediante realizzazione di unità hydrocracking, unità di distillazione primaria sotto vuoto ed impianti ausiliari;

il 17 aprile 2008 il Consiglio della Provincia di Venezia esprimeva parere positivo di cui all'art. 36 del decreto legislativo 152 del 2006, recante "Norme in materia di tutela ambientale";

il 25 maggio 2009 la Commissione VIA regionale esprimeva parere favorevole al progetto;

ENI reiteratamente dichiara che l'annunciato abbandono dei programmi di investimento sul sito produttivo sono da imputarsi all'indeterminatezza dei tempi necessari al rilascio delle autorizzazioni;

considerato che tale investimento costituisce: a) un'occasione irrinunciabile per la continuità produttiva della raffineria che consente di ridurre la produzione di oli pesanti a vantaggio dei distillati medi (kerosene e gasolio) di alta qualità e bassissimo impatto ambientale, in accordo con le richieste del programma europeo auto-oil (adeguamento alle nuove specifiche ambientali comunitarie); b) un'occasione per mantenere i livelli occupazionali oltre che per un periodo stimato di 36 mesi un incremento della forza media di cantiere pari a 400-800 unità giorno,

l'interrogante chiede di sapere:

se vi siano ad oggi ostacoli od osservazioni di merito circa il progetto tali da impedire il procedimento della pratica;

quale sia la tempistica prevista per il completamento dell'iter autorizzativo, per il quale risulta mancante il solo parere del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.

(3-00828)

Interrogazioni con richiesta di risposta scritta

GIAMBRONE - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca - Premesso che:

con decreto dirigenziale del 22 novembre 2004, l'Ufficio scolastico regionale per la Sicilia del Ministero dell'istruzione, università e ricerca, bandiva un concorso ordinario per dirigenti scolastici in Sicilia che si chiudeva il 3 luglio 2007 con la pubblicazione delle graduatorie e la proclamazione dei vincitori, i quali prendevano servizio dall'anno scolastico 2007-2008;

in più occasioni la modalità di nomina della commissione giudicatrice per detto concorso e di composizione delle sottocommissioni nonché le modalità di correzione degli elaborati erano state oggetto di censure e di polemiche riportate anche su vari organi di stampa;

alcuni candidati non vincitori presentavano, presso i competenti organi di giustizia amministrativa, ricorso contro il Ministero, l'Ufficio scolastico regionale per la Sicilia e la commissione giudicatrice di detto concorso per dirigenti scolastici, chiedendo l'annullamento di tutte le prove concorsuali e conseguentemente del concorso stesso e di ogni e qualsiasi altro provvedimento connesso, precedente e/o consequenziale;

il Consiglio di giustizia amministrativa (CGA) per la Regione Sicilia, con due decisioni (n. 477 e n. 478) depositate in data 25 maggio 2009 (ricorsi in appello n. 1342 del 2007 e n. 1343 del 2007), ribaltando le precedenti pronunce del Tribunale amministrativo regionale, ha ritenuto di accogliere i motivi dei ricorsi;

considerato che:

le irregolarità rilevate dal CGA, in particolare per quanto concerne la composizione della commissione giudicatrice e le modalità di correzione degli elaborati, di fatto annullano l'intera procedura concorsuale con la consequenziale revoca del contratto di lavoro per gli illegittimi candidati vincitori di concorso;

sono tuttora circa 90 i ricorsi ancora pendenti davanti al CGA per le stesse motivazioni illustrate in premessa,

si chiede di sapere quali atti concreti intenda porre in essere il Ministro in indirizzo al fine di dare esecuzione alle decisioni del CGA e rendere giustizia ai numerosi candidati ingiustamente esclusi da un concorso non regolare.

(4-01673)

PERDUCA, PORETTI - Al Ministro degli affari esteri - Premesso che:

il conflitto in Darfur non cessa di fare vittime e le violazioni dei diritti umani proseguono impunemente;

i bisognosi di aiuti umanitari sono oltre 4 milioni, le persone costrette alla fuga ed ospitate nei campi sono 2 milioni e mezzo, mentre non si intravede una soluzione vicina a una delle più gravi crisi umanitarie attualmente in corso nel mondo;

da sei anni le milizie «Janjaweed» (letteralmente, diavoli a cavallo), miliziani nomadi arabi filogovernativi, continuano a scacciare con la violenza gli abitanti del Darfur dalle loro case, a depredare il loro bestiame, a distruggere pozzi e a bruciare villaggi. Gran parte dei fuggitivi si sono riversati nelle aree urbane e nei campi profughi in Sudan, mentre circa 200.000 sono le persone rifugiatesi in Ciad;

le denunce di violenze contro donne e bambini nei dintorni e all'interno dei campi per sfollati del Darfur stanno aumentando come le aggressioni nella Capitale nei confronti di esponenti della società civile e studenti;

considerato che:

il Procuratore della Corte penale internazionale ha spiccato mandato di arresto per le più alte cariche politiche del Sudan, ivi compreso il presidente Al Bashir, il Ministro per i diritti umani Ahmad Harun e il generale Ali Kushayb;

l'affermazione di una giustizia super partes è l'unica arma che può essere giocata come deterrente contro le violente, sistematiche e ripetute persecuzioni nei confronti dei darfuriani;

l'Italia da sempre è uno dei Paesi maggiormente attivi nella ricerca di una giustizia internazionale attraverso la creazione di tribunali ad hoc nonché attraverso la stessa Corte penale internazionale;

nella giornata di mercoledì 10 giugno 2009, all'approssimarsi degli esami finali dell'anno accademico, studenti originari del Darfur e membri dell'associazione Khartoum University Student Union sono stati vittime di molestie, minacce e violente aggressioni;

in particolare, nella notte, un gruppo di esponenti del Congresso nazionale ha assalito i darfuriani con coltelli e altre armi da taglio, ferendo 32 studenti che sono stati trasportati in ospedale solo dopo alcune ore. Circa 300 giovani tra cui donne che indossavano l'Abayat, il velo tradizionale, hanno picchiato i ragazzi discriminati e li hanno espulsi dal campus, spingendoli per la strada e costringendoli a dormire all'esterno, aggravando il bilancio dei feriti e favorendo furti ed episodi di saccheggio. La mattina successiva, alle ore 10, gli studenti sono stati nuovamente aggrediti, portando il numero dei feriti a 19, così come gli arresti arbitrari (solo di studenti del Darfur) sono saliti a 11 e 16 studenti sono ancora dispersi;

questi episodi ai danni della minoranza darfuriana si susseguono da molto tempo e le autorità locali e universitarie non intervengono,

si chiede di sapere:

quali iniziative il Ministro in indirizzo intenda lanciare, di concerto coi partner europei, perché si possa dare seguito effettivo agli atti di incriminazione per crimini di guerra e crimini contro l'umanità di cui sono ritenuti responsabili le massime cariche sudanesi;

quali azioni si intenda intraprendere tanto all'interno del sistema dell'assistenza umanitaria delle Nazioni unite o dell'Unione europea, tanto bilateralmente, per portare generi di primo conforto agli sfollati del Darfur.

(4-01674)

LICASTRO SCARDINO - Ai Ministri dell'interno e dello sviluppo economico - Premesso che:

in data 24 giugno 2009 il quotidiano "la Repubblica" ha pubblicato diversi articoli riguardanti un presunto traffico di organi offerti e venduti su Internet in cambio di denaro contante;

gli annunci, raccolti nella sezione urgenti e speciali, verrebbero pubblicati su molte versioni italiane di siti di annunci gratuiti (tra cui i siti , , ) e riguarderebbero la vendita di reni, parti di fegato, midollo spinale;

le testimonianze raccolte dal quotidiano dimostrano come la motivazione principale della disperata decisione di vendere una parte del proprio corpo sia da ascrivere principalmente alla crisi economica, alla perdita del posto di lavoro, ai debiti contratti, al fallimento dell'azienda gestita dal disgraziato venditore;

gli inserzionisti garantiscono la "qualità" del prodotto, mettendo on-line cartelle cliniche, carta d'identità, analisi del sangue;

la vendita di organi ma anche ospitare annunci e fare da intermediari per la compravendita degli stessi è espressamente vietato dalla legislazione vigente in Italia, come formalmente specificato nell'art. 5 del codice civile che recita: "Gli atti di disposizione del proprio corpo sono vietati quando cagionino una diminuzione permanente della integrità fisica, o quando siano altrimenti contrari alla legge, all'ordine pubblico o al buon costume";

sempre nello stesso articolo si riportano le dichiarazioni di un pentito di 'ndrangheta il quale afferma che il business del trapianto degli organi interessa moltissimo la criminalità organizzata per l'enorme margine di profitto realizzabile e perché interessate ai trapianti sarebbero persone molto facoltose,

si chiede di sapere:

se i Ministri in indirizzo siano a conoscenza dei fatti come sopra esposti;

se vi siano ulteriori circostanze di cui vogliano mettere al corrente il Senato della Repubblica;

quali azioni intendano intraprendere per bloccare l'illegale traffico di organi nel nostro Paese, eventualmente anche attraverso l'oscuramento dei siti che ospitano gli annunci citati.

(4-01675)

DONAGGIO, NEROZZI - Al Ministro dello sviluppo economico -

(4-01676)

(Già 3-00785)

CASELLI - Al Ministro dello sviluppo economico - Premesso che:

il gruppo Techint, multinazionale che tramite numerose società partecipate è operante in molteplici settori merceologici, quotata alle borse di New York, Milano, Buenos Aires e Città del Messico, vede tra i suoi azionisti di riferimento investitori italiani ed in Italia ha rilevanti interessi con impianti produttivi che occupano un grande numero di dipendenti;

in particolare, il predetto gruppo Techint nell'ambito della sua articolata presenza internazionale ha importanti partecipazioni in imprese in Argentina, tra cui il 50 per cento di Impripost Tecnologias Sa;

preso atto che:

da alcuni mesi ci sono "voci" ed indiscrezioni in merito ad un eventuale riassetto azionario della società Impripost Tecnologias, importante azienda argentina che opera nel settore del processamento dei dati, della gestione e logistica di materiali, digitalizzazione di documenti attraverso numerose applicazioni informatiche;

tale riallocazione del capitale azionario sarebbe stata suggerita dal Governo argentino a svantaggio dell'impresa italiana;

rilevato che:

secondo i comunicati ufficiali del gruppo in questione nessun dettaglio è noto circa la decisione del Governo dell'Argentina;

tale decisione desta particolare allarme per gli azionisti italiani e per la capacità produttiva del gruppo Techint,

l'interrogante chiede di sapere se risulti al Ministro in indirizzo tutto quanto sopra riportato e, in caso affermativo, se e in quali modi di competenza intenda intervenire al fine di agevolare una soluzione negoziale delle problematiche esposte e, del pari, tutelare la società e tutti gli azionisti.

(4-01677)

PORETTI, PERDUCA - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti - Premesso che:

il 22 giugno 2009 si è verificato il deragliamento di due vagoni di un treno merci mentre, alle ore 5.10, esso transitava tra le stazioni di Prato e Vaiano (Prato);

tale incidente, le cui cause sono ancora da accertare, non ha fortunatamente provocato vittime, ma il blocco della circolazione ferroviaria per molte ore sulla tratta Firenze-Bologna che ha interrotto il servizio ferroviario nazionale, di fatto tagliato in due;

la linea ferroviaria Firenze-Bologna è infatti strategica, si tratta di un nodo importante per la distribuzione del traffico ferroviario lungo la penisola, ma la sua struttura "a imbuto", così come denunciato dall'Associazione per i diritti degli utenti e consumatori (Aduc) comporta notevoli disagi, specie in caso di incidenti o di guasti;

sempre l'Aduc ha denunciato come la linea ferroviaria in questione sia la medesima di quasi un secolo fa. Questo nonostante gli imponenti lavori in corso tra Bologna e Firenze per l'alta velocità, che potranno consentire una riduzione dei tempi di percorrenza di circa 10 minuti;

il problema delle infrastrutture ferroviarie risulta comunque sottovalutato e marginalizzato rispetto ad altri tipi di investimenti e a subirne i danni sono come al solito i pendolari;

a giudizio degli interroganti il trasporto locale, vista l'assenza di politiche in merito, pare destinato a peggiorare,

si chiede di sapere quali siano gli investimenti per migliorare la struttura ferroviaria e, soprattutto, con quali tempi.

(4-01678)

PORETTI, PERDUCA - Al Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali - Premesso che:

la sclerosi multipla è una malattia infiammatoria cronica demielinizzante che colpisce il sistema nervoso centrale, a patogenesi autoimmune. La grande variabilità dei sintomi che la caratterizzano è conseguenza di un processo di degenerazione della mielina, la guaina che riveste i neuroni permettendo la trasmissione rapida e integra degli impulsi nervosi. Nel corso della malattia la distruzione delle guaine mieliniche causa il rallentamento o il blocco degli impulsi nervosi che vanno dal sistema nervoso centrale verso le diverse parti del corpo e viceversa;

la sclerosi multipla può colpire qualsiasi area del sistema nervoso centrale (cervello e midollo spinale), e si caratterizza, come detto, da un punto di vista clinico da una grande varietà di segni e sintomi, tra questi, anche la compromissione della sessualità, causando perdita di sensibilità e nel maschio impotenza;

tra i farmaci per curare la disfunzione erettile, notevole diffusione e successo, hanno i farmaci inibitori della fosfodiesterasi di tipo 5, come il sildenafil, il tadalafil e il vardenafil (comunemente conosciuti rispettivamente col nome delle specialità farmaceutiche Viagra, Cialis e Levitra) che per molti uomini rappresentano la soluzione a questo tipo di problematiche. Rispetto al più datato principio attivo dell'alprostadil (base della specialità farmaceutica Caverject), caratterizzato da un trattamento altamente invasivo che richiede applicazioni attraverso iniezioni in sede penica, i detti farmaci inibitori sono di gran lunga più utilizzati anche e soprattutto per la semplicità di assunzione per via orale;

i malati di sclerosi multipla sono dispensati dal pagamento del ticket sanitario per quanto attiene alla cura e alla diagnosi dei sintomi connessi alla propria patalogia, le spese sono coperte dal Servizio sanitario nazionale (SSN). A tal fine l'Agenzia italiana del farmaco (Aifa) del Ministero del lavoro, salute e politiche sociali definisce la lista dei farmaci totalmente o parzialmente a carico del SSN (per questa e per altre patologie croniche, invalidanti o rare tutelate con i Livelli essenziali di assistenza - LEA) attraverso apposite note;

a riguardo, la nota 75 dell'Aifa, così come aggiornata nell'ultima versione del 4 gennaio 2007, prevede per i pazienti con lesioni del midollo spinale che comportino disfunzioni erettili, la copertura da parte del SSN non solo già dell'alprostadil, ma comprende ora anche i tre principi inibitori della fosfodiesterasi - 5 richiamati in precedenza;

sebbene la riformulazione attuale della nota 75 dell'Aifa sia chiara rispetto alla possibilità per i medullolesi di poter disporre a prezzi modici o gratuitamente dei più usati e apprezzati Viagra, Cialis e Levitra per curare le disfunzioni erettili, l'applicabilità di tale nota è, ancora dopo più di due anni e mezzo dalla sua pubblicazione, resa impossibile dalla mancata riclassificazione di tali farmaci in fascia A (farmaci rimborsabili dal SSN) da parte della stessa Aifa,

si chiede di sapere:

che cosa non abbia permesso e non permetta dal gennaio del 2007 all'Aifa di operare per la pronta riclassificazione in fascia A dei farmaci a base dei principi attivi inibitori della fosfodiesterasi - 5 per la cura delle disfunzioni erettili richiamati in premessa, rendendo applicabile quanto disposto con l'aggiornamento della nota 75 di definizione delle condizioni di rimborsabilità di detti farmaci da parte del SSN per i pazienti medullolesi affetti da impotenza di origine neurologica;

quando si preveda che l'iter di riclassificazione di tali farmaci in fascia A potrà essere concluso.

(4-01679)

PEDICA - Ai Ministri per la pubblica amministrazione e l'innovazione e dell'economia e delle finanze - Premesso che:

l'articolo 26 del regolamento di amministrazione dell'Agenzia delle dogane prevede la possibilità, ai fini di "copertura provvisoria di posizioni dirigenziali", di stipulare, previa specifica valutazione dell'idoneità a ricoprire provvisoriamente l'incarico, contratti individuali di lavoro a termine con propri funzionari (cosiddetti "reggenti");

tale procedura, che determinerebbe di fatto un potere arbitrario in capo alla Direzione del personale, avrebbe dovuto essere applicata solo in via transitoria e per un periodo di tempo limitato ma sarebbe ancora utilizzata nonostante in data 20 febbraio 2006 sia stato bandito un concorso per 70 posti di dirigente di seconda fascia, concorso le cui prove sono terminate nel mese di luglio 2008 ma i cui vincitori ad oggi non sarebbero ancora stati assunti in servizio;

secondo notizie di stampa ("Italia Oggi", 20 maggio 2009) all'interno dell'organico della Agenzia delle dogane molti "reggenti" sarebbero dirigenti sindacali, per giunta impegnati al tavolo della trattativa con la stessa Direzione del personale che li avrebbe nominati;

considerato che:

la "reggenza", creata con fonte regolamentare, appare contrastante con la riserva di legge prevista dalla Costituzione per l'accesso al lavoro pubblico e contraria alle norme previste dal decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165;

per quanto attiene al conferimento di incarichi di funzioni dirigenziali nella pubblica amministrazione, le norme contenute nell'articolo 19 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, prevedono la possibilità di conferire incarichi di funzioni dirigenziali a personale della pubblica amministrazione, anche non dirigente, nonché a persone esterne per le loro competenze tecniche e professionali;

uno di principi della riforma della pubblica amministrazione attualmente in progetto dovrebbe essere la garanzia della piena autonomia della valutazione svolta dal dirigente nell'esercizio delle proprie funzioni e responsabilità,

si chiede di sapere:

se corrisponda al vero quanto esposto in premessa;

se sia conosciuta la percentuale di adesione ai singoli sindacati dei "reggenti", ed in particolare dei reggenti e dirigenti del servizio anti-frode centrale e periferico;

se sia conosciuta la percentuale di adesione ai singoli sindacati dei "reggenti" e dirigenti della Direzione centrale del personale;

se le percentuali riscontrate siano omogenee ai dati di affiliazione generale alle organizzazioni sindacali e quindi al tasso di rappresentatività delle stesse;

quali atti concreti di competenza intendano promuovere i Ministri in indirizzo al fine di porre termine a questo tipo di pratiche attivando le procedure concorsuali apposite previste dalla legge per il conferimento dei ruoli dirigenziali vacanti.

(4-01680)

ANTEZZA - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti - Premesso che:

la materia dell'abbattimento delle barriere architettoniche negli edifici pubblici e privati è attualmente disciplinata da una pluralità di disposizioni di natura primaria e secondaria;

l'articolo 1, comma 2, della legge 9 gennaio 1989, n. 13, recante "Disposizioni per favorire il superamento e l'eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati", stabilisce che il Ministro dei lavori pubblici fissa con proprio decreto le prescrizioni tecniche necessarie a garantire l'accessibilità, l'adattabilità e la visitabilità degli edifici privati e di edilizia residenziale pubblica, sovvenzionata ed agevolata;

in attuazione della predetta previsione di legge è stato emanato il decreto ministeriale 14 giugno 1989, n. 236, con il quale sono state approvate le citate prescrizioni tecniche;

ulteriori disposizioni in materia sono previste dalla legge 5 febbraio 1992, n. 104, "Legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate", in particolare all'articolo 24 relativo all'eliminazione o superamento delle barriere architettoniche;

in attuazione delle previsioni dell'articolo 27 (Barriere architettoniche e trasporti pubblici) della legge 30 marzo 1971, n. 118, recante "Conversione in legge del decreto-legge 30 gennaio 1971, n. 5, e nuove norme in favore dei mutilati ed invalidi civili", è stato emanato il decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1996, n. 503, "Regolamento recante norme per l'eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici, spazi e servizi pubblici", che ha abrogato il precedente decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1978, n. 384, recante il "Regolamento di attuazione dell'articolo 27 della legge 30 marzo 1971, n. 118, a favore dei mutilati e invalidi civili, in materia di barriere architettoniche e trasporti pubblici";

inoltre, il decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, "Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia", dall'articolo 77 all'articolo 82 prevede "Disposizioni per favorire il superamento e l'eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati, pubblici e privati aperti al pubblico" già contenute nella legge 9 gennaio 1989, n. 13, e nella legge 5 febbraio 1992, n. 104;

infine, vi è la norma contenuta nell'articolo 32, comma 20, della legge 28 febbraio 1986, n. 41, "Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato", laddove si prevede che «Non possono essere approvati progetti di costruzione o ristrutturazione di opere pubbliche che non siano conformi alle disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1978, n. 384, in materia di superamento delle barriere architettoniche. Non possono altresì essere erogati dallo Stato o da altri enti pubblici contributi o agevolazioni per la realizzazione di progetti in contrasto con le norme di cui al medesimo decreto»;

considerato che:

con decreto B3/1/792 del 15 ottobre 2004 il Ministro delle infrastrutture dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, succeduto al Ministero dei lavori pubblici, in accordo con la Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province autonome, ha ritenuto utile riattivare la Commissione di studio permanente già istituita in attuazione dell'articolo 12 del decreto ministeriale 14 giugno 1989, n. 236, con il compito di determinare le soluzioni delle problematiche derivanti dall'applicazione della normativa tecnica nonché per esaminare ed elaborare le proposte di aggiornamento e modifica della stessa normativa;

detta Commissione, operante presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, nell'ambito delle proprie attività, anche a seguito di varie audizioni delle principali organizzazioni di categoria, è pervenuta alla predisposizione di un testo unificato in materie di barrire architettoniche, "Schema di regolamento per l'eliminazione delle barriere architettoniche";

in particolare, la suddetta Commissione, al fine di omogeneizzare ed aggiornare la normativa tecnica in materia, iniziativa condivisa dallo stesso Ministero competente nonché dalle Regioni, ha ritenuto opportuno procedere all'unificazione del decreto ministeriale 14 giugno 1989, n. 236, concernente "Prescrizioni tecniche necessarie a garantire l'accessibilità, l'adattabilità e la visitabilità degli edifici privati e di edilizia residenziale pubblica sovvenzionata ed agevolata, ai fini del superamento e dell'eliminazione delle barriere architettoniche", e del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1996, n. 503, concernente "Regolamento recante norme per l'eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici, spazi e servizi pubblici";

il 16 novembre 2006 lo schema di regolamento veniva trasmesso per l'esame e le valutazioni di competenza al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti che, con nota del 29 novembre 2006, avviava l'iter procedurale previsto per l'emanazione;

considerato inoltre che il predetto regolamento a distanza di quasi tre anni dalla data di trasmissione al Ministero competente non è stato ancora emanato;

infine, ritenuto che la pluralità delle disposizioni vigenti in materia rende imprescindibile l'esigenza di determinare un unico riferimento normativo per affrontare le problematiche con un approccio unitario e coordinato e garantire l'esercizio di un diritto inteso come "indefettibile connessione tra lo sviluppo della persona umana e la sicura praticabilità dei luoghi" (Corte di cassazione, sentenze delle sezioni unite del 6 ottobre 1979, n. 5172),

si chiede di sapere:

quali siano i motivi della mancata emanazione a tutt'oggi del suddetto regolamento concernente l'eliminazione delle barriere architettoniche e quali siano i tempi certi di emanazione;

quali iniziative il Ministro in indirizzo intenda adottare per favorire l'eliminazione delle barriere architettoniche e degli ostacoli che impediscono la piena vivibilità degli spazi pubblici e privati da parte di tutti i cittadini nella loro diversità e per promuovere una cultura e una politica urbanistica più rispondente alle esigenze dei disabili, degli anziani e delle loro famiglie.

(4-01681)

MALAN - Al Presidente del Consiglio dei ministri - Premesso che:

l'articolo 7, comma 1, del codice della strada, di cui al decreto legislativo n. 285 del 1992 e successive modificazioni e integrazioni, prevede che "Nei centri abitati i comuni possono, con ordinanza del sindaco (…): f) stabilire, previa deliberazione della giunta, aree destinate al parcheggio sulle quali la sosta dei veicoli è subordinata al pagamento di una somma da riscuotere mediante dispositivi di controllo di durata della sosta, anche senza custodia del veicolo, fissando le relative condizioni e tariffe in conformità alle direttive del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con la Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento per le aree urbane";

sul medesimo argomento era già stato presentato analogo strumento di sindacato ispettivo durante la XV Legislatura, senza ricevere risposta,

si chiede di sapere con quali Comuni la Presidenza del Consiglio dei ministri abbia attuato la concertazione di cui alla citata norma e sulla base di quali criteri.

(4-01682)

MALAN - Al Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione - Premesso che è da tempo in corso una vasta campagna di stampa a proposito dei cosiddetti costi della politica e delle indennità percepite dai parlamentari, si chiede si sapere quanti risultino essere, nell'ambito del personale della pubblica amministrazione, incluse le aziende pubbliche, coloro che percepiscono compensi superiori a 130.000 euro lordi annui.

(4-01683)

DELLA SETA - Ai Ministri delle infrastrutture e dei trasporti e dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare - Premesso che:

nel mese di aprile 2004 una frana di vaste proporzioni ha interrotto la strada statale 113 Messina-Palermo al chilometro 87 + 650, in località Capo Skino del comune di Gioiosa Marea (Messina), ed il transito è stato riaperto alcuni mesi dopo su unica carreggiata a senso unico alternato con impianto semaforico, con somma urgenza finanziata dall'ANAS - Compartimento della viabilità per la Sicilia ed in parte con fondi dell'amministrazione comunale;

successivamente a tale data l'ANAS provvedeva ad eseguire la progettazione esecutiva e ad espletare gara di appalto per i lavori di ricostruzione della carreggiata stradale crollata per un importo di 1.924.000 euro. Detti lavori non sono mai stati consegnati ed ad oggi non si ha alcuna notizia sullo stato dell'arte. Nel mese di novembre 2007, un'altra grossa frana ha interrotto nuovamente a poca distanza la strada statale 113 e, nelle more della definizione di interventi risolutivi, il Dipartimento regionale di Protezione civile ha concesso il finanziamento di circa 318.000 euro per un intervento di emergenza che consentisse la riapertura al transito della strada, ed un altro finanziamento di 118.000 euro, sempre del Dipartimento regionale di Protezione civile, ha permesso la realizzazione di una pista di emergenza che consentisse, nelle more della riapertura della statale 113, il collegamento verso l'ospedale di Patti, tuttora unica via di collegamento peraltro molto precario;

in questo contesto, bisogna evidenziare che l'ANAS non ha inteso di intervenire avendo ritenuto che non fosse di sua competenza;

nel mese di novembre 2008, un'altra serie di frane di grosse entità ha interessato la strada statale 113 in località Capo Skino per una lunghezza complessiva di quasi un chilometro. Dato che l'unico concreto intervento sulla statale 113 è costituito dalla progettazione esecutiva in corso di redazione da parte del Comune di Gioiosa Marea per l'importo complessivo di 500.000 euro con fondi del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (ex legge n. 296 del 2006), grazie all'inserimento dell'opera nel Piano triennale delle opere pubbliche unitamente al ripascimento della spiaggia e del consolidamento dei versanti afferenti alla località Capo Skino;

nel corso degli ultimi anni, l'ANAS non ha mai effettuato, come richiesto svariate volte dal Comune di Gioiosa Marea, uno studio ed un monitoraggio della strada statale 113 finalizzato a prevenire i rischi di dissesto idrogeologico che si sono costantemente verificati. Inoltre si evidenzia che gli unici studi esistenti sono quelli redatti dal Comune di Gioiosa Marea all'interno dei lavori finora eseguiti ed a supporto della revisione del Piano dell'assetto idrogeologico (PAI), nel quale il tratto di costa in esame è classificato con il massimo rischio di vulnerabilità;

in data 23 gennaio 2009, in una seduta congiunta con l'amministrazione del vicino Comune di Piraino, interessato anch'esso dal medesimo problema, il Sottosegretario di Stato per le infrastrutture e trasporti, on. Giuseppe Maria Reina, confermava il finanziamento degli interventi per la messa in sicurezza definitiva della statale 113, per un importo di circa 5.000.000 euro, reperiti fra il PON Trasporti 2000/2006, fondi FERS e fondi propri dell'ANAS, con inizio dei lavori entro il mese di giugno 2009;

nella medesima seduta, veniva ribadita dalle amministrazioni comunali la necessità anche della realizzazione di un mini-svincolo autostradale in località Zappardino, in alternativa ad un ipotetico tunnel stradale parallelo alla statale 113 del costo indicativo di circa 40 milioni di euro,

si chiede di conoscere come i Ministri in indirizzo, per quanto di competenza, intendano intervenire immediatamente per realizzare tutte quelle infrastrutture che possano permettere il ritorno alla normalità per migliaia di cittadini visto che oramai è accertato che ad oggi non si ha notizia alcuna dello stato delle procedure amministrative, e che tale drammatica situazione dei collegamenti, con risvolti anche di ordine pubblico e di reale pericolo per la privata e pubblica incolumità, rappresentano un gravissima trascuratezza per la collettività gioiosana che assiste ai progetti, a giudizio dell'interrogante faraonici, per la costruzione del ponte sullo Stretto di Messina, mentre 7.300 abitanti per una somma mille volte inferiore a quella ipotizzata per la mega opera non riescono ad avere il sacrosanto diritto della tutela della propria incolumità.

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