L'omelia dell'Arcivescovo di Agrigento S.E. Mons. Francesco Montenegro per la festa agrigentina di San Calogero, 5/7/09

 

 

 

 Il termine Calogero, significa ăbel vecchioä; nel mondo greco ci˜ che  bello,  anche giusto e buono. Egli, nato verso il 466 a Calcedonia sul Bosforo, (Tracia), giunse a Roma, ricevendo dal papa il permesso di vivere da eremita. Grazie ad una visione, venne in Sicilia. Fu a Lipari, a Sciacca, poi sul Monte San Cronio, dove  vissuto per 35 anni.

 

Probabilmente  arrivato su un barcone. Oggi diremmo che  arrivato nella nostra terra senza permesso di soggiorno, con pochi soldi in tasca. Per cui  vissuto di caritˆ, aiutato dalla buona gente di allora. Eâ vissuto cos“ nella preghiera e disponibile, nonostante la sua pelle nera, ad aiutare i fratelli bianchi che lo avvicinavano. Se  cos“, per coerenza con le leggi di oggi, dovremmo smettere di fare festa, togliere il simulacro di S. Calogero dallâaltare e cacciarlo assieme a tutti coloro che non hanno la nostra nazionalitˆ, perchŽ probabilmente  da considerare un clandestino.

Si dice che gli immigrati danno fastidio, che sono poco decorosi o pericolosi. Per˜,  strano, che non danno fastidio se sono bravi nel giocare a pallone o sanno cantare (per vederli paghiamo e siamo disposti ad affrontare viaggi per vederli)ˇ o li veneriamo senza porci il problema della pelle, se sono santi. Stranieri gli uni e stranieri gli altri.

 

Chiediamoci: chi di noi sapendo che in un altro paese la media della vita si allunga di venti-trentâanni, non tenterebbe di raggiungerlo? La loro non  una vacanza. Se vengono da noi,  perchŽ la vita nelle loro terre non  vita,  inferno. E se il viaggio  inferno, inferno per inferno vale la pena rischiare. Loro cercano pace, dignitˆ, scuola, cibo. Vogliono vivere.

 

Il nostro cuore, perci˜, si faccia casa per dare accoglienza. Amare  abitare nel cuore degli altri. Le nostre mani si tendano, curino, raccolgano e sostengano. I nostri occhi abbiano uno sguardo di benevolenza. C⏠Ges nel volto dellâuomo che ci  accanto, anche se immigrato. ăEro forestiero e mi avete accoltoä.

 

Eâ scritto nella Bibbia: ăPerseverate nellâamore fraterno. Non dimenticate lâospitalitˆ; alcuni, praticandola, hanno accolto degli angeli senza saperloä.

 

La presenza dello ăstranieroä nella nostra vita non  un male da estirpare, ma una realtˆ con la quale confrontarsi. Assieme possiamo costruire una comunitˆ diversa. Diceva s. Giovanni Crisostomo: ăIl cristiano  un uomo a cui Dio ha affidato tutti gli altri uominiä. Lâeucaristia esige che scegliamo se stare dalla parte dei nostri interessi che spesso ci mettono gli uni contro gli altri, o dalla parte di chi cerca lâinteresse di tutti. Se metterci dalla parte del male di alcuni o del bene di tutti.

 

Ges ci ha parlato di un sogno: ăMolti verranno dallâoriente e dallâoccidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieliä. PerchŽ non farlo divenire realtˆ.

NellâA.T. era scritto: ăLo straniero che dimora in mezzo a voi lo tratterete come colui che  nato fra di voiä. Ci˜ significa che lâaccoglienza dello straniero  il prolungamento dellâamore di Dio. ăIl Signore ama il forestiero e gli dˆ pane e vestito: amate il forestieroä.

"Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro". Lâaccoglienza non  fare una semplice elemosina, ma accogliere la persona che ho di fronte. Accogliere lo straniero  fare spazio nella cittˆ, nelle leggi, nella casa, nelle amicizie. Lâaccoglienza  diversa dalla beneficenza. Insomma il forestiero va accolto come riceveremmo il Signore, cio con riguardo, con delicatezza, umilmente.

 

Il mondo e perci˜ soprattutto il cristiano vanno verso lâunitˆ della famiglia umana. Non  possibile accettare un popolo superiore ad altri popoli. Ges  morto sulla croce per riunire la famiglia umana:  morto perchŽ nel mondo ci fosse uguaglianza e solidarietˆ, e non interessi di parte.

 

Si potrebbe dire: dal modo con cui i cristiani guardano lo straniero e gli esclusi si comprende in quale Dio essi credono.

Se siamo disposti a ci˜, facciamo la festa di s. Calogero, altrimenti, come vi dicevo, per coerenza, togliamolo dallâaltare e dalla nostra cittˆ.

Chiudo con una frase dellâAbb Pierre: ăIo ho tentato nella mia vita di mettere la mia mano nella mano di chi soffriva di pi. Per ricompensa mi sono sempre ritrovata nell'altra mia mano la mano di Dioä. Che le nostre mani siano sempre piene. Auguri.