SANZIONI INTERNAZIONALI PER
GLI ABUSI CONTRO I MIGRANTI.
L’ esternalizzazione dei controlli di frontiera, la
chiusura di tutte le vie di accesso per i potenziali richiedenti asilo e le feroci
retate di polizia nei paesi di transito, come la Libia e la Grecia,, sempre più
una vera e propria caccia all’uomo su commissione dei governi europei, stanno
aggravando gli effetti devastanti delle politiche proibizioniste adottate da
tutti i paesi europei nei confronti dei migranti in fuga dalle guerre, dai
conflitti interni e dalla devastazione economica ed ambientale dei loro paesi.
Il 22 luglio è stato sottoscritto un ulteriore accordo bilaterale tra
Italia e Algeria, con la partecipazione del capo della polizia Manganelli,
secondo il quale si intende “raggiungere l'obiettivo di rafforzare l'azione di
contrasto all'emigrazione clandestina nella tratta di essere umani attraverso
il potenziamento della collaborazione bilaterale”. E sono già diverse centinaia
i migranti respinti sommariamente in Algeria dopo essere stati salvati dalle
autorità italiane.
Se in Sicilia ed a Lampedusa gli “sbarchi” sono
drasticamente diminuiti, a partire dal 15 maggio, data di inizio dei
pattugliamenti congiunti italo libici, sono oltre mille
e cento i migranti, compresi donne e minori, respinti verso la Libia dopo
essere stati salvati dalle unità militari italiane anche a poche miglia da
Lampedusa( vedi www.fortresseurope.blogspot.com).
Qui tutte le responsabilità competono alle unita militari italiane ed alla
catena di comando che fa capo al ministero dell’interno a Roma.
Proprio sulla base di accordi bilaterali, alle
frontiere marittime dell’area Schengen, nei porti dell’Adriatico, in Sicilia,
persino in acque internazionali, proseguono i respingimenti collettivi, vietati
dal Protocollo n.4 allegato alla Convenzione Europea dei diritti dell’uomo,
verso paesi che praticano ai danni dei migranti “trattamenti inumani e
degradanti” vietati dalla stessa Convenzione. La Libia non ha sottoscritto la
Convenzione di Ginevra sui rifugiati, e con i fondi generosamente elargiti
dall’Italia e dall’Unione Europea deporta sistematicamente migliaia di migranti
verso paesi governati da dittature che, dopo i rimpatri, praticano torture ed
arresti arbitrari. Gheddafi sostiene apertamente la dittatura eritrea e Bashir,
despota sudanese, responsabile del genocidio in Darfur, condannato dal
Tribunale penale internazionale, ma grande amico del colonnello libico, che non
perde occasione per dargli copertura e per attaccare lo stesso Tribunale penale
internazionale. Ma su tutto questo gli amici italiani di Gheddafi preferiscono
tacere, durante gli incontri ormai periodici, ed anche quando lo scomodo ospite
ha fatto rientro in patria. Troppo grandi evidentemente gli interessi
commerciali dell’Italia nei rapporti con la Libia, per addossare a quel paese
una sia pur lieve censura per le violenze inflitte ai migranti.
Nessuno ricorda più che quando il Parlamento
approvò nel febbraio di questo anno, con l’appoggio dell’opposizione, la
ratifica del Trattato di amicizia italo- libico, un ordine del giorno, votato
all’unanimità dall’aula, impegnava
il governo italiano ad un costante monitoraggio delle situazione dei migranti e
delle violazioni dei diritti umani in Libia. Oggi il presidente del Consiglio
Fini ammette che nessuna attività di monitoraggio nei centri di detenzione
libici è stata consentita dal governo di quel paese, secondo il quale in Libia
“non esistono” potenziali richiedenti asilo”. E su questo Gheddafi segue le
orme di Berlusconi, e di tanti come lui, che negano l’esistenza dei richiedenti
asilo, mettono in dubbio che qualcuno abbia proposto una istanza di asilo o ritengono
che la richiesta di asilo sia solo un “pretesto” per acquisire comunque uno status
di soggiorno legale.
Dopo le denunce delle associazioni e della comunità
eritrea, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, ha confermato
invece le gravissime violazioni dei diritti fondamentali della persona, in
Libia, come in Grecia, a partire dalla continua violazione del divieto di
respingimenti collettivi, dei quali sono in parte corresponsabili, oltre alle
unità che agiscono nell’ambito delle operazioni FRONTEX, anche i mezzi della marina
militare italiana impegnati nel pattugliamento congiunto delle acque
internazionali a sud di Lampedusa.
Il primo
luglio sono stati respinti in Libia dalla Marina militare italiana, con la forza e senza le verifiche
necessarie, un vero e proprio “respingimento collettivo”, 89 migranti, in maggioranza
eritrei, tra cui donne e bambini, intercettati 30 miglia a sud di Lampedusa e
raccolti dal pattugliatore Orione, per poi essere trasferiti sulle motovedette
libiche.
Nei giorni successivi 82 di quegli immigrati, quasi tutti potenziali richiedenti
asilo, rinchiusi nei centri di detenzione libici, sono stati sentiti dai
funzionari dell'Alto commissariato dell'Onu per i rifugiati (Unhcr), che da
Ginevra, ne ha reso note le testimonianze, che confermano quanto denunciato
negli ultimi mesi dalle organizzazioni
non governative e dai giornalisti indipendenti (
www.fortreesseurope.blogspot.com).
Secondo l’Unhcr "non risulta che le autorità italiane a bordo della nave
abbiano cercato di stabilire la nazionalità delle persone coinvolte né tanto
meno le motivazioni che le hanno spinte a fuggire dai propri paesi".
Eppure si trattava di 76 eritrei, di cui 9 donne e almeno 6 bambini, che se fossero
stati portati in Italia avrebbero avuto diritto all’accoglienza prevista dalla
direttiva comunitaria n. 9 del 2003 e dalla successiva legge di attuazione,
come avrebbero avuto diritto ad ottenere il riconoscimento di una forma di
protezione internazionale, come previsto dalle direttive comunitarie in materia
di qualifiche e di procedure per i richiedenti asilo, direttive che l’Italia ha
attuato da ultimo con il decreto legislativo 25 del 2008.
In base alle valutazioni dell'agenzia Onu sulla situazione in Eritrea e da
quanto dichiarato dalle stesse persone, è chiaro che un buon numero di coloro
che sono stati consegnati alle autorità libiche avevano bisogno di protezione
internazionale. Inoltre, i militari italiani avrebbero "usato la
forza" durante il trasferimento sulle motovedette libiche, tanto che sei
migranti hanno avuto bisogno di cure mediche. Un ennesima macchia sulla
bandiera della marina militare italiana che lo scorso anno ha salvato migliaia
di naufraghi portandoli a Lampedusa e consentendo loro l’accesso ad una
procedura per il riconoscimento dello status di rifugiato. Una svolta sancita
dalle direttive del ministero dell’interno italiano, che ha imposto anche
l’avvicendamento di quei comandanti che non si volevano piegare alle pratiche
disumane decise dai vertici del Viminale.
Gli arrivi di migranti irregolari in
Sicilia continuano, malgrado tutto. E ancora di un respingimento collettivo,
vietato dall’art. 4 del Protocollo n.4 allegato alla Convenzione Europea dei
diritti dell’uomo, si è trattato lo scorso 23 luglio a Ragusa quando nove
immigrati, ivoriani e indiani, che viaggiavano nascosti a bordo del catamarano
Maria Dolores proveniente da Malta, sono stati trovati e identificati dalla
guardia costiera, che ha controllato l'imbarcazione al suo arrivo a Pozzallo
(Ragusa). I migranti sono stati scoperti dall'equipaggio del catamarano poco
prima dell'approdo a Pozzallo. Secondo
la stampa “il comandante ha poi avvertito la guardia costiera”. Gli stranieri,
ultimate le operazioni di identificazione, hanno fatto rientro a Malta. Non
conosciamo per certo quanto si sia trattato di un “rimpatrio” volontario, ma
conosciamo la situazione nella
quale sono tenuti, anche per anni, i potenziali richiedenti asilo che
raggiungono l’isola di Malta.
Se la Libia non aderisce alla Convenzione di
Ginevra, la Grecia, paese che appartiene all’Unione Europea, non consente alcuna
applicazione della stessa convenzione che pure ha sottoscritto da anni, e sta
effettuando in questi giorni vere e proprie deportazioni verso la Turchia e
quindi verso l’Afghanistan, malgrado il rappresentante dell UNHCR in Grecia
abbia denunciato le “pratiche informali” con le quali questo paese arresta e
deporta i migranti, molti dei quali minori, ai quali si nega qualsiasi accesso
alla procedura di asilo e si offre come unica soluzione l’internamento e
l’espulsione in Turchia e quindi in in Irak o in Afghanistan. Si è anche
appreso che l’UNHCR ha abbandonato le commissioni territoriali preposte in
Grecia all’esame delle domande di asilo, dopo l’ennesimo giro di vite delle
autorità greche nelle procedure di asilo, sempre più rimesse all’arbitrio delle
forze di polizia al punto che appena l’uno per cento delle istanze viene
accolto. La Grecia sta violando impunemente tutte le direttive comunitarie in
materia di asilo e protezione internazionale, oltre la Convenzione di Ginevra
del 1951, senza che la Commissione ed il Consiglio Europeo riescano a
sanzionare le gravissime violazioni commesse dalle autorità di quel paese ai
danni dei migranti. Nelle scorse settimane la Grecia, in aperta violazione
delle direttive comunitarie in
materia di asilo ha promulgato una nuova legge
che decentra
il processo decisionale relativo alle domande di
asilo in prima istanza presso 50 uffici di
polizia in tutto il paese. Come denuncia l’Unhcr, la legge abolisce inoltre
la commissione d’appello in favore di un riesame
da parte del Consiglio di Stato, dove
verrebbero considerati solo aspetti giuridici formali e non revisionati eventuali errori di fatto. In
questo modo la Grecia non è più un “paese terzo sicuro” verso il quale sia
possibile respingere migranti e si
colloca al di fuori dell’Europa democratica. Attendiamo che l’Unione Europea
apra al più presto una procedura di infrazione nei confronti di Atene per
questa gravissima violazione del diritto comunitario.
Malgrado il reiterato richiamo della Corte Europea
dei diritti dell’Uomo che ha ingiunto alla Grecia di NON espellere verso altri
paesi alcuni migranti afghani che si trovavano a Patrasso, continuano le
deportazioni arbitrarie, soprattutto verso la Turchia, da parte di un paese che sarebbe tenuto
a rispettare, oltre alle Convenzioni ONU (compresa quella sui diritti dei
minori), le Direttive comunitarie in materia di asilo e di protezione
internazionale. Un paese verso il quale l’Italia respinge sistematicamente i
migranti potenziali richiedenti asilo giunti nei porti di Venezia, di Ancona,
di Bari e di Brindisi.
Le tragiche morti dei tanti ragazzini che per entrare nel nostro paese
si erano legati sotto un Tir o si erano rinchiusi in un container sono stati
presto dimenticati. Ma gli arrivi in Italia dei migranti in fuga dalla Grecia
continuano. Ancora il 23 luglio scorso, quattro immigrati di
nazionalità afghana, due dei quali minorenni, sono stati trovati dai
carabinieri chiusi in una sorta di ripostiglio all'interno di un tir fermato
per un controllo a Vinosa, vicino Taranto. Gli afghani erano in precarie
condizioni di salute. Personale del '118', intervenuto sul posto, ha
riscontrato sindromi di astenia dovuta al viaggio in condizioni disumane a
causa del caldo torrido e i quattro sono stati trasportati all'ospedale di
Castellaneta per accertamenti. Gli sbarchi clandestini nei porti dell’Adriatico
continuano quindi senza che i respingimenti sommari, anche ai danni di minori
non accompagnati, riescano ad avere quella efficacia deterrente che vorrebbero
attribuirgli i vertici del ministero dell’interno.
Il Ministero dell’interno italiano è giunto persino a negare l’evidenza,
i respingimenti alle frontiere portuali in Adriatico, anche quando i suoi
uffici periferici diramavano diligentemente veline nelle quali si riportava il
numero delle persone respinte con le modalità dei respingimenti collettivi
vietati da tutte le convenzioni internazionali.
Quanto sta avvenendo in questi
giorni in Grecia ed in Libia aumenta le responsabilità già gravissime del
governo italiano nelle pratiche informali di respingimento “informale” dai
porti dell’Adriatico (Venezia, Ancona, Bari) verso Patrasso e Igoumenitsa e nelle
acque internazionali, verso la Libia. Si scopre così tutta la ipocrisia di chi
afferma a parole di riconoscere i diritti dei rifugiati e poi rimane immobile
ad assistere allo scempio del diritto di asilo, e dei corpi che potrebbero
invocarne l’applicazione, di persone che avrebbero titolo ad ottenere
protezione ma sono arrestate, respinte o espulse. Del resto, alla fine, il silenzio
omertoso della stampa aiuta a cancellare la gravità dei fatti, e gli italiani
continuano a farsi condizionare dal ricatto che solo queste violenze ai danni
dei migranti ed i respingimenti in mare, sempre più disumani, potrebbero garantire loro in futuro una
qualche “sicurezza”. Una sicurezza pagata con i corpi e con le vite spezzate dei
migranti respinti, o reclusi in centri di raccolta che evocano gli orrori del
nazismo,, una politica della “sicurezza” che potrebbe diventare in futuro un
autentico boomerang, quando l’arbitrio di stato si rivolgerà non più contro i
migranti ma contro gli stessi cittadini. E le prime avvisaglie si colgono già
nell’ultimo pacchetto sicurezza, con le norme che riguardano i senza fissa
dimora, quale che sia la loro nazionalità.
Le responsabilità di questo imbarbarimento delle
regole dei controlli di frontiera, di un vero e proprio superamento dello stato
di diritto, sono molteplici e vengono da lontano, a partire dalle scelte
proibizioniste dei paesi che negano ai migranti qualsiasi possibilità di
accesso legale e dalla creazione nel 2004 dell’Agenzia per il controllo delle
frontiere esterne europee FRONTEX. Da ultimo dietro la riscoperta della
“cooperazione pratica” delle forze di polizia per respingere i migranti, si è
fatto ampio ricorso ad accordi bilaterali che hanno “forzato” quanto previsto
dalle direttive comunitarie sulle procedure di asilo e sulle qualifiche di
rifugiato, per riuscire ad espellere o a respingere qualche centinaio di
migranti.
Si riscontra ancora una volta l’incapacità
dell’Europa di darsi una politica dell’asilo, limitandosi a legittimare la cd.
“cooperazione pratica” tra i vari paesi sulla base di accordi bilaterali, una cooperazione
operativa che dà copertura agli abusi delle polizie di frontiera, permette intese
e prassi concordate a livello di comandi militari che violano le convenzioni
internazionali ed i trattati comunitari, e rende impossibile persino visitare i
migranti trattenuti in stato di detenzione amministrativa e di fare valere i diritti
di difesa. Per quanto risulta non sembra che dalla Libia sia stato ancora
possibile presentare un solo ricorso alla Corte Europea dei diritti dell’Uomo.
Mentre la magistratura italiana assiste inerte agli
abusi che sono compiuti dalle autorità militari italiane alle frontiere
portuali e nei respingimenti in acque internazionali, occorre aumentare ancora gli
sforzi di denuncia alle corti internazionali delle gravissime violazioni dei
diritti fondamentali delle persone, violazioni quotidiane che stanno dietro la
pratica dei “respingimenti informali”. Ed è sempre più necessario creare canali
di comunicazione diretta e reti di solidarietà per fornire ascolto ed
assistenza, per restituire una identità ai migranti sequestrati o dispersi
dalla polizia, per sostenere le famiglie delle vittime, per garantire il
rispetto della dignità e dei diritti della persona, a tutti coloro che sono
allontanati violentemente dalle frontiere europee o che vengono bloccati e
internati nei paesi di transito.
Fulvio Vassallo Paleologo
Università di Palermo