Dopo una giornata
convulsa caratterizzata da trattative segrete tra i governi maltese, libico ed
italiano, sono stati respinti in Libia 14 migranti soccorsi in acque
internazionali rientranti nella zona SAR ( salvataggio e soccorso) maltese, a
35 miglia a sud di Lampedusa. I naufraghi, tra i quali due donne ed un minore,
si trovavano su un gommone alla deriva nel Canale di Sicilia raggiunto da un
peschereccio di Mazara del Vallo che stato costretto dalle autorit maltesi a
restare per ore a fianco del gommone, senza prendere a bordo nessuno, in attesa
che arrivassero gli ordini dei governi ed i militari ( una motovedetta della
guardia di finanza italiana) ai quali era stato impartito il comando di ricondurre
tutti i migranti in Libia. Come riferisce il giornale La Repubblica i
migranti "erano rimasti senza benzina", secondo il racconto di Nicol
Russo, comandante del peschereccio Florio. "Erano stremati. Gli abbiamo
dato acqua e cibo". Evidentemente i migranti erano stremati ma non tanto
da consigliare ai militari della guardia di finanza il rispetto delle pi
elementari norme di umanit, oltre che delle regole di comportamento e dei
doveri di salvataggio imposti dalla normativa italiana e dal diritto
internazionale e comunitario.
Come riferisce La Repubblica infatti, dopo un'attesa di ore al largo della
costa di Lampedusa, le autorit marittime italiane hanno deciso di applicare ai
migranti il cosiddetto "respingimento" e hanno ordinato al comandante
di una motovedetta della Guardia di finanza di far rotta verso la costa libica
con i naufraghi a bordo. Giunti in prossimit delle acque nazionali libiche, a
circa 12 miglia dalla costa, i migranti sarebbero stati consegnati dallunit
della guardia di finanza ad una delle motovedette ad equipaggio misto con
bandiera libica, cedute dallItalia alla Libia, lo scorso mese di maggio. Si
pu ritenere che dopo larrivo in porto gli stessi migranti siano stati
consegnati al ministero dellinterno libico, sottoposti ad interrogatorio ed
internati in un centro di detenzione.
Le testimonianze
raccolte anche dallAlto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati sui
maltrattamenti subiti dai migranti a bordo delle unit militari italiane durante
il viaggio di rientro verso Tripoli, e poi da parte dei poliziotti libici,
fanno presagire il peggio, mentre la comunit internazionale, e soprattutto
lItalia, sembrano incapaci di imporre a Gheddafi il rispetto dei diritti umani
dei migranti in transito o respinti in Libia. Evidentemente gli stati europei,
che partecipano alle missioni di FRONTEX, e lItalia in particolare,non
garantiscono tali diritti neppure nel territorio sul quale esercitano poteri
sovrani, come vanno qualificate le unit militari battenti bandiera italiana in
acque internazionali, se ordinano ai comandanti delle navi impegnate nel
contrasto dellimmigrazione clandestina comportamenti che sono in aperta
violazione di tutte le regole del diritto interno, del diritto comunitario e
del diritto internazionale.
Quanto avvenuto in questi giorni frutto degli accordi che sono stati
conclusi dal governo Prodi con il governo libico nel dicembre del 2007 (Protocolli
operativi per il pattugliamento congiunto a mare e per il controllo delle
frontiere meridionali della Libia) e dal governo Berlusconi nel mese di agosto
del 2008 ( Trattato di amicizia italo-libico), allo scopo di bloccare
l'emigrazione verso le isole siciliane, lasciando alla marina maltese il
compito di organizzare i soccorsi nella vastissima zona SAR che per ragioni
economiche rimane ancora attribuita a Malta, con una estensione che va dalle
acque internazionali antistanti la Tunisia a quelle antistanti la Libia.
A nessuno sembra importare la
sorte dei potenziali richiedenti asilo, oltre il 75 per cento di coloro che
sono sbarcati lo scorso anno a Lampedusa avevano presentato una istanza di
protezione internazionale, delle donne, vittime di violenza in Libia e dei
minori non accompagnati vittime di un traffico frutto delle politiche
proibizioniste dei governi europei. Lattenzione generale sembra rivolta verso
il progetto di esternalizzazione delle domande di asilo, nel quale si vorrebbe
coinvolgere anche lUNHCR, ed in questa direzione gi in programma una
missione in Libia del Commissario europeo Barrot, sembrerebbe accompagnato dal
pi alto esponente dellUNHCR Gutierrez.
Il comportamento
seguito in questa ultima occasione dalla Guardia di Finanza, evidentemente su
direttiva del ministero dellinterno, appare censurabile innanzitutto alla luce
del Decreto 14 luglio 2003, tuttora in vigore, con il quale si stabilivano le
regole di ingaggio delle unit militari navali coinvolte nelle operazioni di
contrasto dellimmigrazione clandestina,
In attuazione degli gli articoli 11 e 12, commi
9-bis e seguenti del testo unico
286 del 1998 ( come modificato dalla legge Bossi-Fini del 2002), rispettivamente
in materia di potenziamento e coordinamento dei controlli sulla frontiera
marittima e terrestre e in materia di fermo, ispezione e sequestro delle navi
adibite o coinvolte nel traffico illecito di migranti.
Secondo lart.1 di questo decreto, ferme
restando le competenze stabilite dall'art. 11, comma 3, del testo unico, il
raccordo degli interventi operativi in mare e i compiti di acquisizione ed
analisi delle informazioni connesse alle attivit del comma 1 sono svolti dalla
Direzione centrale dell'immigrazione e della Polizia delle frontiere del
Dipartimento della pubblica sicurezza, di seguito denominata Direzione
centrale.
Secondo lo stesso decreto La Direzione
centrale esamina con immediatezza gli interventi da effettuare anche sulla base
di accordi di riammissione e di intese conseguite con il Paese del quale il
natante batte bandiera o da cui risulta partito, nonch gli interventi da
effettuare su natanti privi di bandiera e dei quali non si conosce il porto di
partenza. Le attivit previste dal presente decreto sono svolte tramite il
dispositivo aeronavale della Marina militare, della Guardia di finanza, del
Corpo delle capitanerie di porto e delle altre unita' navali o aeree in
servizio di polizia. L'intervento si estrinseca nell'esercizio dei poteri di
polizia dell'alto mare diretti al monitoraggio, alla sorveglianza, all'individuazione,
al controllo degli obiettivi navali in navigazione ed all'accertamento dei
flussi migratori clandestini.
Il decreto firmato da Pisanu nel 2003 precisa poi che restano immutate le
competenze del Corpo delle capitanerie di porto per quanto riguarda la salvaguardia
della vita umana in mare. Nell'espletamento di tali attivit le situazioni che
dovessero presentare aspetti connessi con l'immigrazione clandestina, ferma
restando la pronta adozione degli interventi di soccorso, devono essere
immediatamente portate a conoscenza della Direzione centrale e dei comandi
responsabili del coordinamento dell'attivit di contrasto all'immigrazione
clandestina indicati agli articoli 4 e 5
.
Le attivit delle unit militari italiane in
mare possono assumere il carattere di:
a) sorveglianza;
b) intervento di soccorso, il cui coordinamento e' di competenza del Corpo
delle capitanerie di porto;
c) intervento di polizia, la cui competenza e' attribuita, in via prioritaria,
alle Forze di polizia secondo i piani regionali di coordinata vigilanza nella
acque territoriali ed interne e alle Forze armate e di polizia secondo quanto
indicato al successivo art. 4 per le acque internazionali.
4. Gli interventi di soccorso e di polizia possono essere concomitanti.
Non si vede dunque quale sia la base giuridica che consente ai mezzi della
marina militare ed adesso della guardia di finanza, di eseguire respingimenti
collettivi verso un paese che non neppure firmatario della Convenzione di
Ginevra sui rifugiati, e che viola sistematicamente tutte le convenzioni
internazionali sui diritti umani e sulla condizione delle donne e dei minori.
Il decreto ministeriale del 2003 assai preciso nel definire le attivit
che le navi militari italiane possono compiere in acque internazionali
In base allart. 5. (Attivit in acque internazionali)
1. Ai fini della prevenzione e del contrasto del traffico illecito di migranti
in acque internazionali assicurata una costante attivit di sorveglianza
finalizzata alla localizzazione, alla identificazione e al tracciamento di
natanti sospettati di traffico di clandestini.
2. L'attivit di identificazione e' svolta prevalentemente con il concorso dei
mezzi aerei assegnati e cooperanti al fine di ottenere la situazione di
superficie dell'area di competenza.
3. La fase di tracciamento deve essere condotta, compatibilmente con la
situazione contingente e con i sensori disponibili, in forma occulta al fine di
non vanificare l'intervento repressivo nei confronti delle organizzazioni
criminali che gestiscono l'illecito traffico.
4. In considerazione dell'area interessata alle operazioni e del potenziale
informativo disponibile da parte degli assetti aeronavali, ed al fine di
rispettare i criteri di efficienza, efficacia ed economicit dell'impiego, il Comando
in capo della squadra navale (CINCNAV) svolge la necessaria azione di raccordo
delle fasi di pianificazione dell'attivita' di cui al comma 1, in stretta
cooperazione con il Comando generale della Guardia di finanza (CENOP) e con il
Comando generale delle Capitanerie di porto (centrale operativa).
5. Nella fase esecutiva ciascuna amministrazione/ente e' responsabile
dell'emanazione delle direttive attuative ai mezzi dipendenti, tenendo
debitamente informati gli altri. Le unit della Marina militare, per le specifiche
caratteristiche e capacit dei sistemi di comunicazione di cui dispongono,
assumono il coordinamento operativo nei casi in cui mezzi di diverse
amministrazioni si trovino ad operare sulla medesima scena d'azione. La Marina
militare -CINCNAV riceve, tramite le strutture di comando e direzione delle
amministrazioni di appartenenza, i rapporti delle unit impiegate, dirama ai
mezzi coinvolti sulla scena d'azione le modalit di dettaglio e le direttive di
intervento ed affida gli obiettivi specifici. In tale contesto, i mezzi
aeronavali delle Forze di polizia e delle Capitanerie di porto che operano
nella stessa area e con le stesse missioni, devono stabilire collegamenti radio
con le unit della Marina militare.
Secondo lart.7 del decreto 14 luglio 2003 nell'assolvimento del compito
assegnato l'azione di contrasto sempre improntata alla salvaguardia della
vita umana ed al rispetto della dignit della persona.
Di particolare importanza quanto previsto da questa stessa norma secondo la
quale ( comma 2) su conformi direttive della Direzione centrale le unit navali
..procedono, ove ne ricorrano i presupposti, all'effettuazione
dell'inchiesta di bandiera, alla visita a bordo, qualora sussista un'adeguata
cornice di sicurezza, ed al fermo delle navi sospettate di essere utilizzate
nel trasporto di migranti clandestini, anche al fine di un loro possibile rinvio
nei porti di provenienza . E ancora secondo la stessa norma, fermo restando
quanto previsto dal comma 1 del presente articolo, ove si renda necessario
l'uso della forza, l'intensit, la durata e l'estensione della risposta devono
essere proporzionate all'intensit dell'offesa, all'attualit e all'effettivit
della minaccia. Il contrasto a mare dellimmigrazione clandestina previsto
dalla normativa italiana prevede soltanto la ipotesi del rinvio nei porti di
provenienza delle imbarcazioni cariche di migranti e non il trasbordo forzato
o la traduzione ( o la deportazione) dei migranti soccorsi in acque
internazionali in porti di paesi dai quali in ipotesi potrebbero anche non
essere mai transitati.
Nessuna disposizione del decreto ministeriale 14 luglio 2003, firmato dal
ministro dellinterno pro-tempore Pisanu, autorizza dunque la riconsegna di
naufraghi o di migranti, comunque soccorsi da unit militari italiani in acque
internazionali, ad unit battenti bandiera libica, o peggio la riconduzione di
queste stesse persone in un porto libico, come avvenuto a partire dal 7
maggio scorso.
Lart. 10 del Testo Unico sullimmigrazione n.286 del 1998, prevede poi
al comma secondo il respingimento differito da chi sia stato ammesso nel
territorio nazionale per motivi di soccorso, sempre che non operi una delle
cause di non respingimento dettate da Convenzioni internazionali o dallart. 19
del Testo Unico sullimmigrazione, che vieta espressamente il respingimento di
chi proponga una istanza di protezione internazionale, di chi sia minore, delle
donne che versano in stato di gravidanza e di tutti coloro che potrebbero
essere allontanati verso un paese nel quale rischiano di subire trattamenti
inumani o degradanti ( come il caso documentato della Libia).
Per queste ragioni diverse associazioni, tra le quali lASGI,
Associazione per gli studi giuridici sullimmigrazione, avevano inoltrato una
circostanziata denuncia alla Commissione Europea, al Comitato ONU per i diritti
umani, al Commissario Europeo per i diritti umani presso il Consiglio dEuropa,
a seguito dei respingimenti collettivi effettuati dall Italia verso la Libia a
partire dal 6 maggio 2009.
Riportiamo di seguito alcuni dei punti pi importanti della denuncia
presentata dallASGI e da altre associazioni perch le stesse censure si
possono rivolgere ancora oggi alloperato della guardia di finanza che, su
ordine del ministero dellinterno italiano, ha riconsegnato ad una motovedetta
a bandiera libica, ed a equipaggio misto, libico ed italiano, 14 migranti tra i
quali due donne ed un minore, che sono stati ricondotti a Tripoli, e si trovano
adesso in stato di detenzione.
Nella denuncia presentata dallASGI, e da
altre associazioni, si ricorda come il giorno 7 maggio 2009, 227 persone (40 donne di cui 3 incinte) a
bordo di 3 barconi sono state soccorse in zona SAR maltese da motovedette
italiane, a 35 miglia marittime dallisola di Lampedusa. Per quanto dato
sapere, a seguito di accordi con la Libia, i comandanti di alcune navi
militari italiane hanno accolto a bordo tutti i migranti per poi riportarli
immediatamente in Libia, ove sono stati consegnati alle autorit libiche. L'8 maggio avvenuto un secondo respingimento dopo che un rimorchiatore italiano in
servizio su una piattaforma dell'ENI ha intercettato un barcone con 77 persone
e lo ha riportato in Libia.
Analoghe operazioni sono state compiute
anche nei giorni successivi, come affermato agli organi di stampa dal
Ministro dellinterno italiano, il quale, al 10 maggio, indica in circa 500 i
migranti riconsegnati alla Libia, qualificando gli episodi come risultato
storico.
Come risulta dal sito www.fortresseurope.blogpsot.com,
in un mese e mezzo sarebbero oltre 1.100 i migranti respinti dalle unit
militari italiane verso il confine delle acque territoriali libiche e l presi
in consegna da unit battenti bandiera libica, come le motovedette donate
dallItalia alla Libia nel maggio del 2009.
Nessuna delle persone trasportate in Libia
stata ufficialmente identificata, e questa la prassi costante dei
respingimenti in acque internazionali verso la Libia, decisi dal governo
italiano a partire dal mese di maggio del 2009, n stata rilevata la
nazionalit, la minore et, lo stato di gravidanza delle donne, le condizioni
di salute dei migranti, n verificate eventuali richieste di protezione
internazionale. Allora come nellultimo caso verificatosi ieri si trattato di
respingimenti collettivi vietati da tutte le convenzioni internazionali.
Operatori umanitari e giornalisti hanno
raccolto numerose testimonianze su tali episodi consultabili sui siti di
Migreurop (Parigi), di Picum ( Bruxelles), di Borderline Europe (Berlino) e di
Fortress Europe (Roma); testimonianze confermate anche da rapporti di agenzie
internazionali come Amnesty International e Human Rights Watch (HRW). Immagini
video agghiaccianti sul respingimento verso Tripoli effettuato il 7 maggio
scorso da una nave della marina militare italiana sono state diffuse da due
giornalisti francesi e sono facilmente reperibili su internet.
LUNHCR ha ripetutamente espresso
forte preoccupazione al Governo italiano per gli avvenimenti sopra riportati
ritenendo che le operazioni messe in atto dal Governo italiano siano in
contrasto con il principio del non respingimento sancito dalla
Convenzione di Ginevra del 1951, che trova applicazione anche in acque
internazionali. Questo fondamentale principio, che non conosce limitazione
geografica, contenuto anche nella normativa europea e nellordinamento
giuridico italiano. Confermando che fra coloro che sono stati rinviati in Libia
vi sono persone bisognose di protezione, lUNHCR ha reiterato la richiesta al
governo affinch riammetta queste persone sul proprio territorio sottolineando
che, dal punto di vista del diritto internazionale, l'Italia responsabile per
le conseguenze del respingimento (UNHCR – comunicato stampa 15 maggio 09)
Come ricorda lASGI nel suo esposto denuncia, la
Convenzione di Ginevra relativa allo status dei rifugiati, la Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libert fondamentali,
la Convenzione ONU contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli,
inumani o degradanti, il Patto internazionale sui diritti civili e politici proibiscono
il respingimento, diretto o indiretto, di richiedenti asilo. Tale obbligo deve essere rispettato da tutte
le autorit che svolgono attivit di controllo alle frontiere, di prevenzione e
di contrasto all'immigrazione clandestina, anche se svolte in ambito
extraterritoriale.
Ogni persona intercettata e salvata in mare
deve essere condotta in un "luogo sicuro" che deve essere interpretato
non solo in conformit al diritto internazionale marittimo ma anche al diritto
umanitario e dei rifugiati. Anche in presenza di accordi con i paesi terzi
ai quali vengono rinviati gli immigrati , gli Stati di invio non sono esentati
dal rispettare gli obblighi assunti in ambito internazionale, e si rendono
corresponsabili di eventuali violazioni perpetrate nei confronti delle persone
respinte.
Con i respingimenti verso la Libia da parte della marina militare e
della guardia di finanza sono state violate le Convenzioni del diritto del mare
e gli aggiornamenti pi recenti sottoscritti dallItalia, ma non dal governo
maltese, al quale pure si riconosce la responsabilit di coordinamento delle
azioni di salvataggio nelle acque internazionali del Canale di Sicilia. Un vero
e proprio trucco, un gioco delle parti tra il governo maltese e quello
italiano, per evitare gravissime responsabilit internazionali, ma anche lesito
politico-diplomatico di una contraddizione esplosa nei suoi risvolti pi tragici
nel caso della nave PINAR alcuni mesi fa, una sottile questione diplomatica che
consente di delegare le principali responsabilit delle azioni di salvataggio
ad un governo, quello maltese, che non riconosce gli aggiornamenti pi recenti
delle convenzioni internazionali a salvaguardia della vita umana in mare. Tanto
alla fine, il lavoro sporco di respingimento in Libia lo fa la marina
militare o la guardia di finanza italiane. E su questo Malta plaude. Ma
lItalia, almeno, non pu sottrarsi agli obblighi di salvataggio e di
accoglienza che le derivano dalle Convenzioni internazionali, se non dalle
leggi interne e dalla Costituzione repubblicana.
Come si rileva nella denuncia dellASGI, dal 1 luglio 2006 le Linee
guida sul trattamento delle
persone soccorse in mare del maggio 2004, sicuramente vincolanti almeno per
lItalia, stabiliscono che il Governo responsabile per la regione SAR in
cui sono stati recuperati i sopravvissuti responsabile di fornire un luogo
sicuro o di assicurare
che tale luogo venga fornito e definiscono tale luogo come una localit dove
le operazioni di soccorso si considerano concluse e dove la sicurezza dei
sopravvissuti o la loro vita non minacciata; dove le necessit umane primarie
(cibo, alloggio, servizi medici) possono essere soddisfatte e possa essere
organizzato il trasporto dei sopravvissuti nella destinazione vicina o finale.
Le Linee guida del 2004, quindi, chiariscono che la nave che presta
soccorso costituisce temporaneamente un luogo sicuro, ma che essa dovrebbe
essere sollevata da tale responsabilit non appena possano essere intraprese
soluzioni alternative. Tali linee guida sottolineano la necessit di evitare
lo sbarco di richiedenti asilo e rifugiati, soccorsi in mare, in quei territori
ove la vita e la loro libert sarebbero minacciate. Per cui per determinare se sia un luogo sicuro per
i richiedenti asilo occorre effettuare le opportune verifiche tenendo conto
delle circostanze particolari di ogni singolo caso.
Nella fattispecie lItalia, che ha ratificato i suddetti strumenti
internazionali incluso le Linee Guida, dopo aver soccorso i migranti in mare
avrebbe dovuto condurli in un luogo sicuro. Tale luogo da individuare
nell'Italia essendo il Paese
pi vicino e sicuro dove i
migranti sarebbero stati protetti da gravi violazioni dei diritti umani e
avrebbero potuto, nel caso, accedere alla protezione internazionale in
attuazione del diritto italiano, comunitario e internazionale.
Certamente i migranti non potevano, e non possono, essere consegnati
alle autorit libiche, sia perch non vi certezza che da quel Paese
provenissero, sia perch il territorio libico non pu ritenersi luogo
sicuro, in quanto non ha
ratificato la Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati, n le
principali Convenzioni in materia di diritti umani, e numerosi sono i rapporti
internazionali che denunciano le gravi violazioni dei diritti umani perpetrate
nei confronti dei migranti.
Come gi sottolineato, le operazioni di
intercettazione e di salvataggio e di trasbordo di migranti in acque
internazionali su unit navali italiane hanno radicato la giurisdizione italiana ai sensi dell'art. 92 dell'UNCLOS e dell'art.
4 del codice penale italiano e negli stessi termini si esprimono gli artt. 2,
3, 4 del codice della navigazione. Essendo le unit navali "territorio
italiano, le autorit italiane erano/sono tenute ad applicare il diritto
nazionale, comunitario ed internazionale.
Tenuto conto che la Libia non pu essere considerato Paese terzo
sicuro, le Autorit italiane avrebbero dovuto rispettare l'obbligo del divieto
di refoulement di cui allart.
33 della Convenzione di Ginevra
sui rifugiati del 1951. La norma ha carattere assoluto ed inderogabile e deve essere applicata sia sul territorio
dello Stato parte sia in
ambito extraterritoriale.
Tale principio ha ormai travalicato i confini del diritto
internazionale dei rifugiati nel quale nato, ampliando la propria portata a
tutto il diritto internazionale dei diritti umani; in tal senso si deve
ricordare lart. 3 (1) della
Convenzione ONU contro la tortura e altre pene o trattamenti inumani e degradanti che dispone Nessuno
Stato Parte espelle, respinge n estrada una persona verso un altro Stato
qualora vi siano serie ragioni di credere che in tale Stato essa rischia di essere
sottoposta a tortura.
Anche linterpretazione dellart. 7 del Patto Internazionale sui
Diritti Civili e Politici,
data dal Comitato per i Diritti Umani con il General Comment n. 20: Art. 7 (10/03/1992), si muove nella medesima ottica,
affermando al par. 9 che Gli Stati parte non devono esporre gli individui
al pericolo di tortura e altre pene o trattamenti crudeli, disumani o
degradanti al ritorno in un altro Paese, a seguito della loro estradizione,
espulsione o refoulement.
Si evidenzia come, a livello regionale, la Corte Europea dei Diritti
dellUomo, con orientamento ormai costante, ha
ravvisato, nel caso di rinvio di persone verso Paesi ove sarebbero esposte al
rischio reale di subire torture o trattamenti disumani o degradanti, una
violazione dellart. 3 della CEDU (si vedano, tra le altre, le sent. Soering
v. UK, Chahal v. UK, Ahmed v. Austria)
Con i respingimenti dei migranti verso la Libia,
attuati nei giorni scorsi, lItalia ha violato lart. 3 Cedu nella misura in
cui li ha consegnati alle autorit di un Paese senza verificare e senza avere elementi di
esclusione che in quel Paese fossero sottoposti a trattamenti inumani e
degradanti e/o a rischio per la loro stessa vita, nonostante la notoriet delle
condizioni in cui sono tenuti i migranti in Libia (in transito o l arrivati
come paese di destinazione) nei campi/prigioni e da dove spesso sono fatti
partire senza mezzi n risorse verso il deserto, incontro a morte sicura.
Ma nel caso dei respingimenti verso la Libia ricorre una violazione
ancora pi grave del diritto internazionale. Lart. 4 del Protocollo n. 4 alla
Cedu vieta le espulsioni collettive di stranieri.
Come si osserva nella denuncia presentata dallAsgi, tale divieto
stato palesemente violato, nonostante lassenza di formali provvedimenti
amministrativi (non) adottati dallItalia ai sensi dellart. 10 e dellart. 13
del D.Lgs. 286/98 come successivamente si evidenzier. Anche il comportamento
materiale dello Stato, infatti, va ritenuto rientrante nellambito di applicazione
dellart. 4 del Protocollo n. 4, avendo come effetto concreto il rinvio in
massa degli stranieri (secondo il Ministro dellinterno varie centinaia) verso
un Paese asserito come di provenienza.
Va ricordato che secondo la giurisprudenza della Corte europea dei
diritti umani sono espulsioni collettive tutte quelle misure che obbligano
gli stranieri in quanto gruppo a lasciare un Paese.
Se il divieto vale per le espulsioni disposte con formale provvedimento
amministrativo, non pu non valere parimenti quando leffetto sia raggiunto
attraverso un mero comportamento di fatto attuato dalle autorit pubbliche.
L'art. 63 co. 1
del Trattato delle Comunit europee dispone che la legislazione comunitaria adottata dagli Stati membri
dell'UE deve essere applicata in conformit alla Convenzione di Ginevra e ad
altri trattati internazionali.
Con il trasbordo di centinaia di migranti su navi militari italiane e
la loro riconsegna alle autorit libiche lItalia ha violato il Regolamento
CE n. 562/2006 del
Parlamento europeo e del Consiglio del 15 marzo 2006 (che istituisce un Codice comune relativo al regime di
attraversamento delle frontiere da parte delle persone) in quanto:
Al punto n. 7
del Preambolo si stabilisce che Le verifiche di
frontiera dovrebbero essere effettuate nel pieno rispetto della dignit umana.
Il controllo di frontiera dovrebbe essere eseguito in modo professionale
rispettoso ed essere proporzionato agli obiettivi perseguiti;
Tanto nei respingimenti effettuati direttamente a Tripoli da parte di
unit della marina militare lo scorso maggio, quanto adesso nel caso dei
respingimenti effettuati con lintervento di unit navali della Guardia di
finanza, come si osserva nella denuncia presentata dallASGI, non stata
affatto rispettata la dignit dei migranti, consegnati alle autorit libiche nonostante non siano
cittadini di quel Paese e nel quale sono certamente sottoposti a trattamenti
inumani e degradanti per la sola condizione di migranti irregolari, come
oramai pacificamente accertato in numerosi Rapporti internazionali.
Al punto 20 del medesimo Preambolo si afferma che Il presente regolamento
rispetta i diritti fondamentali ed osserva i principi riconosciuti, in
particolare, dalla Carta dei diritti fondamentali dellUnione europea. Dovrebbe
essere attuato nel rispetto degli obblighi degli Stati membri in materia di
protezione internazionale e di non
respingimento.
Non vi stato rispetto di nessuno dei diritti fondamentali della
persona riconosciuti dal diritto comunitario cos come dalla Carta europea, in quanto a nessuno dei migranti
intercettati e rinviati in Libia stato consentito laccesso alla procedura
per la protezione internazionale, cos come non stato accertato che in Libia
fossero rispettati il diritto alla dignit umana (art. 1), alla integrit della
persona (art 2), a non essere sottoposto a tortura o a trattamenti inumani e
degradanti (art. 4), alla libert e alla sicurezza (art. 6), al rispetto delle
vita privata e familiare (art. 7), allasilo politico (art. 18).
Lart. 3 lettera b) del Regolamento stabilisce che
esso si applica a chiunque attraversi le frontiere interne o esterne di uno
Stato membro senza pregiudizio dei diritti dei rifugiati e di coloro che
richiedono protezione internazionale in particolare per quanto concerne il non
respingimento.
Lart. 7 del
Regol. 562/2006 prevede che chiunque
attraversi la frontiera sottoposto a una verifica minima che consenta di
stabilirne lidentit dietro esibizione dei documenti di viaggio.
Non risulta che nel caso in esame le autorit italiane abbiano
verificato se e di quali documenti erano in possesso i migranti portati in
Libia o se siano stati in altro modo identificati. In questo modo lItalia ha
omesso di compiere le verifiche minime necessarie per conoscere i Paesi di
origine dei migranti e dunque per avere elementi di certezza che il rinvio
dalla Libia a quei Paesi non avrebbe comportato la violazione dei diritti
umani.
Lart. 13 del Regol. 562/2006 consente agli Stati di respingere gli
stranieri che non soddisfino i requisiti per lingresso ma si cura di
prevedere che Ci non pregiudica lapplicazione dei disposizioni
particolari relative al diritto dasilo e alla protezione internazionale e comunque stabilisce che Il
respingimento pu essere disposto solo con un provvedimento motivato che ne
indichi le ragioni precise. Il provvedimento adottato da unautorit competente secondo la
legislazione nazionale ed di applicazione immediata. Un successivo capoverso precisa, inoltre, che le
persone respinte hanno il diritto di presentare ricorso. I ricorsi sono
disciplinati conformemente alla legislazione nazionale.
Nel caso in esame non risulta che sia stato emesso nessun
provvedimento scritto e motivato, ci che comporta una violazione della
disposizione del Regolamento comunitario.
Si ricorda, in proposito, che i Regolamenti comunitari hanno piena
efficacia normativa nel territorio dello Stato e ovunque esso eserciti poteri
riconducibili alla propria potest di imperio e alla propria sfera
giurisdizionale. LItalia pur avendo accolto i migranti sulle sue unit navali
- considerate "estensioni galleggianti del territorio italiano" - non
ha consentito loro di accedere a qualsivoglia procedura per il riconoscimento del diritto di asilo in
base ai decreti legislativi di recepimento della normativa comunitaria e
dell'art. 10 comma 3 della Costituzione italiana.
Il mancato accesso alla procedura per il
riconoscimento della protezione internazionale ha comportato la violazione
della Direttiva 2004/83/CE recante
norme minime sull'attribuzione ai cittadini di paesi terzi o apolidi della
qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione
internazionale, nonch norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta.
Lart. 21 paragrafo 1 obbliga gli Stati membri a
rispettare il principio di non refoulement in accordo con gli obblighi
internazionali.
E' stata violata altres la Direttiva 2005/85/CE Norme minime per le procedure applicate negli Stati
membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato,
recepita dal decreto legislativo n. 25 cos come modificato del decreto
legislativo n. 159.
Il punto 13 del Preambolo della Direttiva prevede il
diritto del richiedente asilo ad avere un accesso effettivo alle procedure, di disporre di sufficienti garanzie
procedurali per far valere i propri diritti in ciascuna fase della procedura e, non da ultimo, il diritto di
rimanere in attesa della decisione dellautorit accertante. Si tratta di principi e diritti consacrati
in specifici articoli della direttiva, tra cui gli artt. 6 e 7 e, non da ultimo, dallart. 35, che fa obbligo ad ogni Stato membro di
autorizzare comunque il richiedente asilo a rimanere nella zona di frontiera ai
fini dell' ammissione alla procedura per il riconoscimento dellasilo.
Come osserva lASGI nel suo esposto denuncia, se i
migranti versavano in stato di pericolo di vita era dovere dellItalia
soccorrerli e dunque trasbordarli sulle unit navali militari italiane. Avere
effettivamente accolto sulle navi italiane i migranti equivale a riconoscere
che questi versavano effettivamente in stato di pericolo, in quanto in assenza di esso ci si
troverebbe di fronte ad un comportamento illecito delle autorit navali che
avrebbero attuato un illegittima coazione fisica dei migranti trasbordandoli,
contro la loro volont o con artifizi e raggiri, dalle loro imbarcazioni alle
navi militari. Gi si detto che le navi italiane sono territorio italiano
(art. 4 c.p.; artt. 2,3 e 4 del Codice della navigazione; art. 92 UNCLOS). In
attuazione della legislazione nazionale, in territorio italiano doveva essere verificata la specifica
posizione delle persone e assicurata la loro ammissione alla procedura di asilo
in presenza di apposita richiesta.
Nessuno degli accordi tra Italia e Libia legittima operazioni di
riconsegna alla Libia dei migranti intercettati in acque internazionali in
quanto l'accordo del dicembre 2007 prevede il pattugliamento congiunto da
eseguire al limite delle acque costiere libiche al fine di rimandare indietro
le imbarcazioni carichi di migranti in fuga dalla Libia. Ad ogni modo detti
Accordi non potrebbero mai
consentire alle autorit italiane di violare le norme costituzionali, le norme
comunitarie e quelle
internazionali.
Loperazione di riconsegna dei naufraghi alle unit libiche stata
affidata questa volta ad una imbarcazione della Guardia di Finanza, anche se di
solito gli interventi di questo tipo, almeno negli ultimi due mesi, sono stati
condotti da mezzi della Marina Militare. Non sappiamo se questa scelta
corrisponda ad una reazione di dignit da parte dei vertici della Marina
Militare oppure ad un normale avvicendamento nelle operazioni di contrasto
dellimmigrazione clandestina.
Ma vorremmo almeno chiedere alla magistratura italiana, per quanto
tempo ancora questi abusi potranno compiersi senza che un solo giudice avverta
il dovere di intervenire per sanzionare violazioni che mettono lintero governo italiano e la catena di comando
che gestisce il contrasto a mare dellimmigrazione irregolare sul banco degli
imputati.
Ricordiamo tutti le parole accorate di alcuni militari della marina
che pochi mesi fa lamentavano il lavoro sporco che era stato loro imposto
riconsegnando richiedenti asilo, donne, bambini indifesi ai loro carcerieri
libici. Tutti hanno visto lo scempio dei corpi dei migranti riconsegnati, sulla
banchina del porto di Tripoli, dalle nostre unit militari al ministero
dellinterno libico.
Al di l delle norme di diritto interno e dei trattati
internazionali, per le quali ci saranno indagini e processi, a livello
internazionale soprattutto, e assai probabili condanne, vorremmo proprio
chiedere agli uomini ed ai comandanti della guardia di finanza come riusciranno
a raccontare ai loro figli quello che stanno facendo nelle acque del Canale di
Sicilia contro i migranti in fuga dalla Libia. A tutti, ai cittadini italiani
cos impauriti dallemergenza immigrazione, vorremmo chiedere ancora di
quanto si sentono pi sicuri dopo che alcune decine o centinaia di migranti
in fuga sono stati riconsegnati dalle nostre forze armate ai loro aguzzini.
Fulvio Vassallo Paleologo
Universit di Palermo
Componente del Direttivo nazionale dellASGI