Il disegno di legge
sulla sicurezza approvato dalla Camera con il voto di fiducia (evidentemente
nella maggioranza c’è qualche "mal di pancia"), si intreccia
con i respingimenti dei clandestini verso la Libia, ignorando i più
elementari diritti d’asilo di chi fugge da guerra, tortura e, spesso, da
una condanna a morte. Che ne sarà di questa gente una volta fatta sbarcare
sul suolo libico, in un Paese che non riconosce le convenzioni
internazionali sui rifugiati?
Perché l’Italia, da sempre considerata la culla del
diritto e della civiltà giuridica, Paese di profonde radici cristiane,
antepone qualsiasi esigenza di sicurezza (vera o fittizia) ai diritti
inalienabili dell’uomo? Sarebbe stata molto più efficace una seria
politica di programmazione dei flussi e di sanatorie per regolarizzare
quegli stranieri già inseriti nella società, come le badanti, che svolgono
un ruolo prezioso e, molto spesso, insostituibile.
L’auspicio è che i senatori, nell’esaminare il testo
che ora approda a Palazzo Madama, siano più
lungimiranti dei loro colleghi di Montecitorio, e tengano presenti le
osservazioni dell’Onu, togliendo il sigillo xenofobo che una minoranza
politica ha imposto al Paese. Il disegno di legge ha già suscitato le
reazioni negative della comunità ecclesiale, dell’associazionismo
cattolico, dalle Acli alla Caritas a Sant’Egidio. Padre Gianromano
Gnesotto, direttore dell’Ufficio per la pastorale degli immigrati della
Cei, ha detto che con l’introduzione del reato di clandestinità il
disegno di legge non favorisce l’integrazione e l’inserimento degli
stranieri. Anche monsignor Marchetto, presidente del Pontificio consiglio
dei migranti, ha sottolineato il "peccato originale" del reato di
clandestinità. La criminalizzazione dello straniero darà vita alla
creazione di cittadini di serie B, compromettendo gravemente i loro diritti
alla salute, all’istruzione e a molti altri diritti fondamentali,
lasciandoli preda di una possibile denuncia da parte di chi riveste un ruolo
di pubblico ufficiale: infermieri, medici, insegnanti... Coniugare
accoglienza e rispetto della legalità è la raccomandazione che, da mesi,
fa l’episcopato italiano, per bocca dei suoi massimi esponenti.
Grandi preoccupazioni sorgono per le difficoltà al
riconoscimento dei figli nati in Italia da madri clandestine senza
passaporto, i cosiddetti "bambini invisibili", liquidate
frettolosamente come "panzane" o "stupidaggini" da
esponenti del Governo. In realtà è un problema reale che rischia di farci
scivolare nella barbarie.
Problema sollevato anche dall’Osservatorio nazionale per
l’infanzia e l’adolescenza e dalla Caritas.
Monsignor Domenico Sigalini, segretario della Commissione per le migrazioni
della Cei, ha ribadito che «l’accoglienza non è né di destra né di
sinistra, è di tutti» e che «la famiglia va sempre salvaguardata così
come il diritto alla salute».
Lo "stigma" del reato di clandestinità crea le
condizioni perché i migranti vengano messi fuori dal consorzio umano. Si
continua ad attizzare il fuoco della paura, tutto per una manciata di voti
in più. Abbiamo trasformato il migrante in "diverso", in nemico.
La deriva xenofoba che sta prendendo piede in Italia dovrebbe preoccupare
tutti, i cattolici in particolare.
Come ha sottolineato don Giancarlo Quadri, responsabile
della pastorale dei migranti della diocesi di Milano, l’indifferenza e il
gelo della chiusura soffiano anche nelle parrocchie. Possibile che i
cattolici facciano prevalere la paura e un "pacchetto propaganda"
sui princìpi evangelici?