I GOVERNI DI ITALIA E MALTA SI AVVITANO NELLE PRATICHE DI DISUMANITAĠ QUOTIDIANA E LA GENTE APPLAUDE. QUANDO LA DISCRIMINAZIONE ISTITUZIONALE  ED IL CINISMO PRODUCONO CONSENSO.

 

1. Non erano due, ma tre le imbarcazioni cariche di migranti che, dopo lĠennesimo braccio di ferro tra Italia e Malta, sono state soccorse da due motovedette della guardia costiera italiana nelle acque del canale di Sicilia, cinquanta miglia a sud di Lampedusa, in acque comprese nella immensa zona di salvataggio ( zona SAR) di Malta. Mentre scriviamo la tragedia di questi migranti abbandonati per un giorno in mare aperto senza ricevere soccorso non  ancora finita.  Come riferisce la stampa italiana, sembra che questa volta Maroni stia tentando di ricondurre direttamente in Libia tutti i migranti, anche se tra i naufraghi non cĠ neppure un cittadino di quel paese. Il ministro Maroni aveva detto ieri sera che "potrebbero esserci importanti novitˆ tra oggi e domani, che per scaramanzia non dir˜. Ma se questa cosa andrˆ in porto si risolverˆ anche la questione con Malta" Sarebbero dunque in corso Òcontatti tra Roma e Tripoli per consentire ad una nave della Marina Militare italiana di riportare subito indietro gli extracomunitari che sono stati soccorsi a bordo delle motovedetteÓ. Sembrerebbe dunque che il ministero dellĠinterno italiano sia intenzionato a deportare i naufraghi in Libia, da dove erano partiti, senza neppure consentire il loro sbarco a Lampedusa. Anche se a bordo ci sono donne che molto probabilmente sono state giˆ vittima di stupri in quel paese, ed ancora una volta potrebbero cadere nelle mani dei loro aguzzini.

In queste ore si sta dunque cercando di ÒforzareÓ la portata del protocollo di intesa stilato da Italia e Libia nel dicembre del 2007, successivamente ripreso dagli accordi di amicizia e collaborazione sottoscritti a Tripoli nellĠagosto del 2008 da Gheddafi e da Berlusconi e infine ratificati dal Parlamento italiano nel febbraio del 2009. Eppure gli accordi tra Italia e Libia non prevedono la ÒriammissioneÓ in Libia di immigrati fermati da mezzi italiani nelle acque internazionali, ma solo il Òpattugliamento congiuntoÓ da eseguire al limite delle acque costiere libiche, al fine di rimandare indietro i barconi carichi di migranti in fuga dalla Libia. Dietro il possibile accordo con la Libia sul respingimento collettivo dei migranti, emerge anche lĠammorbidimento dei toni del governo maltese, tutti uniti, quando si tratta di respingere indietro i migranti in fuga, anche se tra di loro la maggior parte sono richiedenti asilo. Se questa operazione voluta da Maroni, che si annuncia come una deportazione, e non certo come un ÒrimpatrioÓ, dovesse realizzarsi, se lĠItalia riuscirˆ a respingere in Libia i migranti salvati ieri sera nelle acque del Canale di Sicilia, ci saranno gli estremi per una denuncia alla Commissione Europea per la violazione dellĠart. 3 della Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti dellĠuomo, che costituisce anche violazione delle norme comunitarie sui  diritti fondamentali della persona e sul diritto di protezione internazionale.

 

Nel 2005 lĠItalia era stata condannata dalla Corte Europea dei diritti dellĠuomo proprio perchŽ aveva effettuato dei respingimenti collettivi dei migranti sbarcati a Lampedusa a partire dallĠottobre del 2004, con voli, prima militari e poi charter, decollati dallĠaeroporto di Lampedusa con destinazione Tripoli e Misurata. Un precedente che il ministro dellĠinterno Maroni sottovaluta, o meglio, sembra ignorare del tutto. Come sembra ignorare che la Libia non ha mai aderito alla Convenzione di Ginevra del 1951 e dunque non riconosce il diritto di asilo, soprattutto a coloro che non sono di fede musulmana, come somali, eritrei e nigeriani, vittime di ogni tipo di abusi in quel paese.

2. Secondo il diritto internazionale, ogni Stato pu˜ obbligare i comandanti delle navi che battono la sua bandiera — sempre che ci˜ sia possibile Çsenza mettere a repentaglio la nave, lĠequipaggio o i passeggeri È — a prestare assistenza a naufraghi trovati in mare od a portarsi immediatamente in soccorso di persone in pericolo quando si abbia notizia del loro bisogno di aiuto (Convenzione  UNCLOS 98,1). Secondo il Glossario del mare, pubblicazione ufficiale del Ministero della difesa, consultabile on-line,  Òtale obbligo prescinde dal regime giuridico della zona di mare in cui avviene il soccorso nel senso che pu˜ esplicarsi tanto nelle acque internazionali come nella zona economica esclusiva o nella zona contigua di uno Stato diverso da quello di bandiera. Il soccorso a persone o navi in pericolo  altres“ possibile nelle acque territoriali straniere (UNCLOS 18, 2) come deroga al principio del Çpassaggio continuo e rapidoÈ previsto dal regime del transito inoffensivo, ferma restando la competenza esclusiva dello Stato costiero sia per il coordinamento dellĠoperazione sia per lĠintervento di mezzi, quali rimorchiatori, specificatamente adibiti a prestare assistenza a navi in difficoltˆ. Tutti gli Stati provvisti di litorale marittimo sono altres“ tenuti a creare e mantenere un servizio di ricerca e salvataggio (indicato come SAR dallĠacronimo di Search and Rescue), facendo ricorso, ove opportuno, ad accordi regionali di mutua assistenza con gli Stati confinanti (Ginevra, II,12,2; UNCLOS 98,2) basati sul principio che le autoritˆ dello Stato costiero responsabili dei servizi di ricerca e salvataggio, qualora vengano informate dalle autoritˆ di un altro Stato che vi sono persone in pericolo di vita nella zona SAR di propria competenza, sono tenute ad intervenire Çsenza tener conto della nazionalitˆ o della condizione giuridicaÈ di dette persone.

 

Disposizioni specifiche in questa stessa materia sono contenute nella Convenzione di Amburgo del 27 aprile 1979 sulla ricerca e il salvataggio marittimo, detta convenzione SAR,(ratificata dallĠItalia con L. 3 aprile 1984, n. 147)Ó. Una normativa vincolante che Italia, e soprattutto Malta, hanno violato ripetutamente nel tempo, a partire dal caso Cap Anamur nel luglio del 2004, arrivando a processare i comandanti delle navi che avevano effettuato interventi di salvataggio in favore dei naufraghi e successivamente avevano fatto ingresso per ragioni di soccorso nelle acque territoriali allo scopo di sbarcare gli stessi naufraghi in un porto sicuro, come prescritto da tutte le convenzioni internazionali. Soltanto negli anni 2007 e 2008 il comportamento delle autoritˆ italiane si era orientato verso un pieno rispetto degli obblighi internazionali di salvataggio. Una prassi umanitaria, adottata dai mezzi della nostra Marina Militare e dalle altre forze di polizia marittima, che adesso il ministro Maroni vuole bruscamente interrompere.

 

In ogni caso il diritto derivante dalle Convenzioni internazionali sottoscritte e ratificate dallĠItalia pone precisi limiti alle decisioni politiche ed obblighi di protezione alle autoritˆ che operano nelle acque del Mediterraneo o nei paesi di transito. In base alla legge costituzionale 18 ottobre 2001 , n.3 ( consultabile nella Gazzetta Ufficiale n.132 del 10 giugno del 2003), gli obblighi di fonte internazionale costituiscono un limite alla potestˆ legislativa dello Stato. In base allĠart. 11 della nostra Costituzione il diritto internazionale generalmente riconosciuto e le Convenzioni internazionali sottoscritte dal nostro paese, come le norme comunitarie vincolanti, costituiscono parte integrante del nostro ordinamento giuridico e non possono essere derogate da scelte discrezionali dellĠautoritˆ politica o amministrativa. Questa previsione rafforza il dettato dellĠart. 10 della nostra Costituzione, che peraltro riconosce il diritto di asilo in termini assai pi ampi della Convenzione di Ginevra.

La Convenzione di Montego Bay del 10 dicembre 1982 (UNCLOS) costituisce la fonte primaria del diritto internazionale del mare. LĠart. 311 dispone, infatti, che sono salvi soltanto gli altri accordi internazionali compatibili con la Convenzione stessa. Due o pi Stati - continua lĠart. 311 della Convenzione sul diritto del mare - possono concludere accordi che modifichino o sospendano lĠapplicazione delle disposizioni della Convenzione e che si applichino unicamente alle loro reciproche relazioni, solo a condizione che questi accordi non rechino pregiudizio ad una delle disposizioni della Convenzione, la cui mancata osservanza sarebbe incompatibile con la realizzazione del suo oggetto e del suo scopo e, parimenti, a condizione che questi accordi non pregiudichino lĠapplicazione dei principi fondamentali della Convenzione e non pregiudichino anche il godimento dei diritti o lĠadempimento degli obblighi degli altri Stati derivanti dalla Convenzione stessa. Questo principio di compatibilitˆ non entra in discussione qualora la medesima Convenzione di Montego Bay richiami e confermi espressamente accordi internazionali in vigore o ne auspichi la stipulazione con riferimento a specifici settori.

Tra le norme che non possono essere oggetto di deroga da parte degli Stati anche mediante accordi bilaterali o multilaterali con altri Stati va richiamato anzitutto lĠart. 98 dellĠUnclos, perchŽ esso costituisce lĠapplicazione del principio fondamentale ed elementare della solidarietˆ . Ogni Stato - si legge nel citato art. 98 - impone che il comandante di una nave che batta la sua bandiera, nei limiti del possibile e senza che la nave, lĠequipaggio ed i passeggeri corrano gravi rischi: a) presti assistenza a chiunque si trovi in pericolo in mare; b) vada il pi presto possibile in soccorso delle persone in difficoltˆ se viene informato che persone in difficoltˆ hanno bisogno dĠassistenza, nei limiti della ragionevolezza dellĠintervento; c) presti soccorso, in caso di collisione, allĠaltra nave, al suo equipaggio ed ai passeggeri e, nella misura del possibile, indichi allĠaltra nave il nome ed il porto dĠiscrizione e il primo porto del suo approdo. Il secondo comma prevede che gli Stati costieri creino e curino il funzionamento di un servizio permanente di ricerca e di salvataggio adeguato ed efficace per garantire la sicurezza marittima e aerea e, se del caso, collaborino a questo fine con gli Stati vicini nel quadro di accordi regionali.

Varie convenzioni internazionali, tutte in vigore in Italia insieme allĠUnclos, costituiscono un completamento della norma ora citata.

In primo luogo, lĠart. 10 della Convenzione di Londra del 1989 sul soccorso in mare cos“ dispone: Ogni comandante  obbligato, nella misura in cui ci˜ non crei pericolo grave per la sua nave e le persone a bordo, di soccorrere ogni persona che sia in pericolo di scomparsa in mare. Gli Stati adotteranno tutte le misure necessarie per far osservare tale obbligo.

La Convenzione Internazionale per la sicurezza della vita in mare del 1974 ( Convenzione Solas) impone al comandante di una nave Ò che si trovi nella posizione di essere in grado di prestare assistenza avendo ricevuto informazione da qualsiasi fonte circa la presenza di persone in pericolo in mare, a procedere con tutta rapiditˆ alla loro assistenza, se possibile informando gli interessati o il servizio di ricerca e soccorso del fatto che la nave sta effettuando tale operazioneÓ.

Secondo la Convenzione internazionale riguarda la ricerca ed il salvataggio marittimo. In base alla Convenzione on Marittime Search and Rescue (Sar) del 1979, lĠautoritˆ responsabile per lĠapplicazione della convenzione  il Ministro dei trasporti mentre lĠorganizzazione centrale e periferica  affidata al Comando generale del Corpo delle Capitanerie di porto ed alle relative strutture periferiche. La Convenzione SAR si fonda sul principio della cooperazione internazionale. Le zone di ricerca e salvataggio sono ripartite dĠintesa con gli altri Stati interessati. Tali zone non corrispondono necessariamente con le frontiere marittime esistenti. Esiste lĠobbligo di approntare piani operativi che prevedono le varie tipologie dĠemergenza e le competenze dei centri preposti.

La Convenzione sulla ripartizione delle zone Sar impone un preciso obbligo di soccorso e assistenza delle persone in mare Òregardlerss of the nationality or status of such a person or the circumstances in which that person is foundÓ, senza distinguere a seconda della nazionalitˆ o dello stato giuridico, stabilendo altres“, oltre lĠobbligo della prima assistenza anche il dovere di sbarcare i naufraghi in un Òluogo sicuroÓ. I poteri-doveri di intervento e coordinamento da parte degli apparati di un singolo Stato nellĠarea di competenza non escludono, sulla base di tutte le norme pi sopra elencate, che unitˆ navali di diversa bandiera possano iniziare il soccorso quando lĠimminenza del pericolo per le vite umane lo richieda. Occorre per˜ garantire che dopo lĠespletamento delle operazioni di salvataggio i migranti siano ricondotti in un Òporto sicuroÓ che non  necessariamente quello pi vicino.

Come riferisce il Glossario del mare, pubblicazione ufficiale del Ministero della difesa, consultabile on-line, Òla Convenzione di Amburgo del 1979 prevede anche la stipula di accordi regionali per la delimitazione tra Stati frontisti o contigui delle zone SAR di competenza nazionale relative sia alle acque territoriali, sia alle acque internazionali adiacenti. La delimitazione di queste zone non  legata a quella delle frontiere marittime esistenti nŽ pregiudica il regime giuridico delle acque secondo la Convenzione del Diritto del Mare del 1982. I limiti delle zone SAR di rispettiva pertinenza dellĠItalia e degli altri Stati definiti con tali Memorandum sono stati del tutto svincolati da quelli degli accordi di piattaforma continentale esistenti a rimarcare il principio che simili delimitazioni sono svincolate da quelle delle frontiere marittimeÓ.

Sempre secondo il Glossario del mare, Òin assenza di accordi di delimitazione i limiti delle zone SAR sono concordati in ambito IMO, dunque a livello internazionale e non comunitario. Per quanto riguarda Mar Mediterraneo  nel corso della Conferenza IMO di Valencia del 1997 si  provveduto ad approvare un ÇGeneral Agreement on a Provisional SAR PlanÈ in cui sono stabiliti i limiti delle zone SAR mediterranee. UnĠeccezione in questo processo di definizione concordato delle zone SAR mediterranee  stata quella di Malta. La zona SAR stabilita unilateralmente da questo Paese, come risultante dal Global SAR Plan elaborato dallĠIM. con lĠintento di dare informazioni sulle organizzazioni nazionali dei servizi responsabili in materia SAR, ha unĠestensione vastissima che coincide con la ÇFlight Information RegionÈ (FIR). Essa si sovrappone nella parte a Nord e ad Ovest con la corrispondente zona SAR italiana definita con il DPR 664/1994, coprendo addirittura le acque territoriali di Lampedusa e Lampione. A Ovest la zona SAR lambisce le acque territoriali della Tunisia impedendo a questo Paese di svolgere in autonomia operazioni SAR a poche miglia dalle proprie coste. Queste anomalie della zona SAR mal tese potranno essere corrette a seguito di specifici accordi di delimitazione. Riserve sullĠestensione della zona SAR di Malta in rapporto alla limitata capacitˆ dei mezzi adibiti al soccorso, sono in passato state espresse dallĠItalia nel corso delle ricorrenti ondate migratorie. Il problema stava nel fatto che, in assenza di interventi di soccorso delle autoritˆ di Malta, lĠorganizzazione SAR italiana si attivava nella zona di competenza maltese per dare assistenza a migranti in pericoloÓ.

Nei rapporti con Malta, con la Tunisia e con la Libia dunque, rimangono ancora da definire le regole dĠingaggio delle marine nel caso vengano salvati immigrati in difficoltˆ, e lo stesso vale allĠinterno delle missioni congiunte dellĠagenzia europea Frontex. Questa situazione di incertezza pu˜ comportare gravi ritardi nelle operazioni di salvataggio, oltre che respingimenti collettivi verso i porti di partenza di paesi che non riconoscono (o non siano nelle condizioni di applicare effettivamente, come nel caso della Tunisia) la Convenzione di Ginevra o altre norme internazionali che tutelano i diritti della persona umana, con particolare riferimento ai soggetti pi vulnerabili (donne, minori, vittime di tortura).

In ogni caso, la doverosa cooperazione dello Stato coinvolto nellĠoperazione di soccorso in mare, comprende lĠobbligo dello sbarco dei naufraghi in un Òluogo sicuroÓ sulla base del giudizio del comandante dellĠunitˆ che porta a compimento lĠintervento di salvataggio, prescindendo dal potere dello Stato stesso di perseguire successivamente i presunti favoreggiatori (comandante ed equipaggio) o di adottare verso i clandestini (ma in tutta sicurezza) i provvedimenti di espulsione o di respingimento previsti dalla legge. Una particolare considerazione merita la problematica relativa a ci˜ che debba intendersi per Òconduzione della persona salvata in luogo sicuroÓ. Infatti  dal momento dellĠarrivo in tale luogo che cessano gli obblighi internazionali (e nazionali) relativamente alle operazioni di salvataggio, che pertanto non si esauriscono con le prime cure mediche o con la soddisfazione degli altri pi immediati bisogni (alimentazione etc.). Con lĠentrata in vigore (luglio 2006) degli emendamenti allĠannesso della Convenzione Sar 1979 (luglio 2006) e alla Convenzione Solas 1974 (e successivi protocolli) e con le linee guida - adottate in sede IMO lo stesso giorno di approvazione degli emendamenti alle convenzioni e protocolli - viene fatta maggiore chiarezza sul concetto di place of safety e sul fatto che la nave soccorritrice  un luogo puramente provvisorio di salvataggio, il cui raggiungimento non coincide con il momento terminale delle operazioni di soccorso. Le Òlinee guidaÓ insistono particolarmente sul ruolo attivo che deve assumere lo Stato costiero nel liberare la nave soccorritrice dal peso non indifferente di gestire a bordo le persone salvate.
Secondo le linee guida sul trattamento delle persone soccorse in mare adottate nel maggio del 2004 dal Comitato marittimo per la sicurezza, che emendano le convenzioni Sar e Solas, Òil governo responsabile per la regione Sar in cui sono stati recuperati i sopravvissuti  responsabile di fornire un luogo sicuro o di assicurare che tale luogo venga fornitoÓ. Secondo le stesse linee guida Òun luogo sicuro  una localitˆ dove le operazioni di soccorso si considerano concluse e dove la sicurezza dei sopravvissuti o la loro vita non  pi minacciata; le necessitˆ umane primarie ( come cibo, alloggio e cure mediche) possano essere soddisfatte; e possa essere organizzato il trasporto dei sopravvissuti nella destinazione vicina o finale.

Va ricordato che Malta non ha riconosciuto questi ultimi emendamenti delle convenzioni SAR e SOLAS, e dunque legittimamente, dal suo punto di vista, riconosce la responsabilitˆ per gli interventi di salvataggio, a livello di coordinamento, ma non consente lo sbarco nellĠisola, di tutti i naufraghi che sono soccorsi nella immensa zona SAR di sua competenza.

Si potrˆ discutere di cinismo politico e di calcolo economico, ma ben difficilmente il governo italiano potrˆ dimostrare a livello internazionale o davanti agli organismi dellĠUnione Europea che Malta ha lĠobbligo di accogliere tutti i migranti in difficoltˆ nelle acque del Canale di Sicilia. Dove lo scorso anno oltre trentamila migranti, in gran parte richiedenti asilo, nel quale venivano soccorsi dai mezzi militari italiani e condotti nel centro di prima accoglienza e soccorso di Lampedusa o in altri centri in Sicilia. Anche la ipotesi delle riammissioni o dei respingimenti in Libia appare vietata dal diritto internazionale, oltre che dalle normative comunitarie che riconoscono il diritto di asilo ed i diritti fondamentali della persona, a partire dal divieto di trattamenti inumani o degradanti ( Art. 3 della Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti dellĠuomo).  

Come ricorda Caffio ( Il controllo dellĠimmigrazione via mare, consultabile on line), in ogni caso, lĠattivitˆ delle autoritˆ navali deve essere svoltaÓ nel rispetto dei obblighi di soccorso alla vita umana stabiliti dal Codice della Navigazione e dalla Convenzione del Diritto del Mare la cui responsabilitˆ  attribuita, secondo il DPR 662/1994, alla marina militare nelle acque internazionali ed al Corpo delle Capitanerie di Porto-Guardia Costiera nelle acque territoriali. Tali obblighi rivestono naturalmente una valenza prioritaria ed assoluta che  superiore a qualsiasi altro interesse da tutelare nellĠambito dellĠazione dello Stato in mare. Prova ne sia il gran numero di interventi di Search and Rescue (SAR) a migranti svolti dalla Marina Militare in acque internazionali (nel periodo 2007-2008, come si diceva,  stata prestata assistenza a favore di circa 30.000 persone), in alcuni casi a centinaia di miglia dalle coste nazionali, allĠinterno delle zone SAR, regolamentate dalla Convenzione di Amburgo del 1979 , ricadenti potenzialmente sotto la giurisdizione di altri Stati come Malta o la Libia . Tra lĠaltro, va ricordato che la quasi totalitˆ delle persone salvate in acque internazionali sono state finora condotte in Italia, mentre, secondo i principi affermati dallĠIMO nella Risoluzione 167 (78) linee guida su Ò Safety measuresand procedures for the treatment of persons rescued at seaÓ, la competenza ad accogliere le persone salvate in mare dovrebbe normalmente essere del Paese nella cui zona SAR  avvenuto il salvataggioÓ.

NellĠultimo caso delle tre imbarcazioni in difficoltˆ a sud di Lampedusa nella mattina del 6 maggio, il governo italiano voleva ricondurre i migranti salvati in mare verso Malta, malgrado il salvataggio fosse avvenuto molto pi vicino a Lampedusa, perchŽ voleva approfittare della grandissima estensione delle acque internazionali di interesse economico e dunque di competenza anche ai fini delle azioni di salvataggio, che Malta si  riservata nella storia, per ragioni di carattere commerciale. Una responsabilitˆ che in passato produceva vantaggi economici e che oggi comporta doveri di salvataggio e di accoglienza che il piccolo stato maltese non pu˜ sopportare, soprattutto quando il suo vicino, lĠItalia, blocca i migranti nellĠisola di Lampedusa ed aumenta la pressione sulla Libia per controllare le tradizionali rotte da quel paese verso la Sicilia. E Malta funziona sempre pi spesso come stazione di transito. Fino allo scorso anno sono state numerose e ben documentate le testimonianze d migranti che riferiscono come i maltesi forniscano rifornimenti di acqua e carburante alla Òcarrette del mareÓ che entrano nelle loro acque internazionali, pur di farle proseguire verso Lampedusa o verso la costa meridionale della Sicilia ( in particolare tra Gela e Pozzallo). Adesso  lo stesso capo del governo maltese che minaccia espressamente lĠItalia, se non riprenderˆ gli interventi di salvataggio come nei due anni precedenti, di rifornire le Òcarrette del mareÓ provenienti dalla Libia per permettere loro di proseguire verso lĠItalia. Anche in questo caso con un costo imprevedibile in termini di vite umane.

 

3. Le tre barche provenienti dalla Libia mercoled“ 6 maggio, con a bordo 227 naufraghi in totale, tra cui 40 donne, avevano lanciato l'allarme stamane intorno alle 8, con un paio di telefoni satellitari forniti dagli scafisti. I trafficanti ormai non rischiano pi la vita, ma, come documentato in recenti video trasmessi nella rete internet, si limitano a fare partire i gommoni o le scialuppe carichi di disperati, risparmiando il costo del passaggio a quei migranti che si assumono lĠonere di condurre lĠimbarcazione, consegnando loro una bussola ed i telefoni satellitari appunto, per chiedere soccorso.

 

Come riferisce il quotidiano ÒLa RepubblicaÓ, le imbarcazioni cariche di migranti, al momento della chiamata di soccorso, si trovavano in acque di competenza maltese, ma il governo maltese, dopo uno scambio di insulti con il governo italiano, ha ordinato al comandante di un mercantile italiano, proveniente dall'Adriatico e diretto in Tunisia, di cambiare rotta e dirigere la prua verso i naufraghi. Quando per˜ la nave  giunta nella zona di mare indicata dalle autoritˆ maltesi, secondo quanto dichiarato dal comandante del mercantile italiano, dei migranti in procinto di affondare nessuna traccia. Subito dopo per˜ un peschereccio italiano ha avvistato le tre imbarcazioni ed ha navigato in prossimitˆ, in attesa che finalmente intervenisse, prima che calassero le tenebre, le unitˆ della guardia costiera italiana.

Il mercantile italiano Lia Ievoli, che era stato incaricato dal governo maltese di raggiungere e soccorrere le imbarcazioni cariche di migranti ha poi ripreso la sua rotta e si  allontanato dalla zona di salvataggio, su autorizzazione del comando SAR di Malta, dopo avere comunicato di non avere trovato i barconi nella zona che era stata segnalata dalle stesse autoritˆ maltesi.  Ci auguriamo che le cose siano andate come riferito dai giornali. Di certo il comandante, mentre si avvicinava al luogo nel quale sarebbe dovuto avvenire lĠintervento di salvataggio, aveva ben chiaro quello che nelle settimane precedenti era successo al mercantile turco Pinar, lasciato per giorni in alto mare, bloccato al limite delle acque territoriali italiane, con un cadavere a bordo, in una situazione igienico-sanitaria disumana, che  sfociata subito dopo lo sbarco in alcuni casi di meningite. Non vorremmo che sulla mancata individuazione delle tre imbarcazioni cariche di migranti abbia influito anche lĠeco del processo ai responsabili della nave tedesca Cap Anamur che, proprio nella stessa zona, nel 2004 avevano salvato la vita a 37 naufraghi, per finire poi in carcere subito dopo il loro arrivo a Lampedusa. In ogni caso appare veramente meschino che due governi affidino ad un comandante di una imbarcazione commerciale una operazione di salvataggio senza neppure riuscire a trovare un accordo sul porto ÒsicuroÓ, non necessariamente quello pi vicino, come si vedrˆ, verso il quale dirigere la imbarcazione soccorritrice. In questo modo si scaricano sulle imbarcazioni commerciali responsabilitˆ che incomberebbero ai governi. E si dissuadono i comandanti a perdere tempo e danaro negli interventi di salvataggio.

 

I rapporti diplomatici tra Italia e Malta erano giˆ tesi dallĠinizio di marzo, quando le autoritˆ maltesi negarono lĠingresso in porto ad una nave, la Minerva, della Marina militare, che dopo una azione di salvataggio in acque rientranti nella zona di salvataggio (SAR) maltese, voleva appunto sbarcare i naufraghi nel porto di La Valletta. Si era poi verificato lo scontro diplomatico sulla nave turca PINAR, e poi, ancora alla fine di aprile, lĠennesimo Òincidente diplomaticoÓ tra Malta e lĠItalia. A poco pi di una settimana dal caso del mercantile turco Pinar, rimasto bloccato nelle acque del Canale di Sicilia per tre giorni con 140 naufraghi a bordo,  un peschereccio tunisino soccorreva 66 emigranti su un gommone alla deriva, tra cui due donne, a 23 miglia a sud di Lampedusa, e a circa 120 da Malta. Sul luogo – in acque SAR (Search and Rescue) di competenza maltese, si era recata una motovedetta della guardia costiera maltese, dopo che le autoritˆ italiane avevano comunicato di non avere mezzi in zona. Diretta verso Lampedusa, lĠunitˆ maltese si era per˜ vista negare lĠautorizzazione a entrare nelle acque italiane ed aveva dovuto invertire la rotta, anche perchŽ una delle donne a bordo era in gravi condizioni di disidratazione. I naufraghi, di nazionalitˆ del Bangladesh, Marocco, Nigeria e Ghana venivano poi sbarcati a Malta e, se non saranno rimpatriati,  rimarranno detenuti per 18 mesi, nei centri chiusi o in quelli per i richiedenti asilo, sulle cui condizioni Medici senza frontiere ha recentemente pubblicato un durissimo rapporto.

 

LĠultimo episodio,  verificatosi il 6 maggio, ancora in corso mentre scriviamo, ha fatto riesplodere la controversia diplomatica tra Italia e Malta sulle competenze negli interventi di salvataggio in acque internazionali e sui conseguenti doveri di ammissione nel territorio nazionale per necessitˆ di soccorso. Il primo ministro maltese Lawrence Gonzi ha espresso "disgusto per l'intransigenza dell'Italia nei confronti di vite umane. E' inaccettabile - ha detto Gonzi - il mancato soccorso di immigrati a pochi passi dalla costa di Lampedusa".  Il sottosegretario italiano agli Esteri Stefania Craxi ha ribattuto che: "La Guardia Costiera italiana ogni giorno salva la vita di centinaia di disperati anche ben lontano dalle acque territoriali di nostra competenzaÓ, chiedendosi poi: Siamo proprio sicuri che altri Paesi che si affacciano sul Mediterraneo sostengano i nostri stessi sforzi?"

Maroni da parte sua ha continuato a ripetere, come fa da mesi che la Commissione europea dovrˆ fornire Çuna interpretazione autenticaÈ su quale porto deve intervenire in caso di barconi di immigrati che necessitano di soccorso. Il ministro dimentica per˜ che la Commissione Europea non pu˜ fornire alcuna interpretazione autentica di un atto che non ha rilevanza e fonte comunitaria, ma appartiene al diritto internazionale, e persino in sede di valutazione dellĠagenzia di controllo delle frontiere esterne FRONTEX si  riconosciuto che il diritto internazionale del mare costituisce un limite invalicabile per gli interventi degli organi comunitari. E questo risulta da atti ufficiali che il ministro dovrebbe ben conoscere, come dovrebbe ben conoscere la neutralitˆ che  stata giˆ espressa dal Commissario Barrot, poche settimane fa, dopo le sue visite a Malta e a Lampedusa, sulla contesa diplomatica che divide lĠItalia da Malta, in merito alla individuazione del porto sicuro ( place of safety) verso il quale condurre le imbarcazioni che effettuano interventi di salvataggio nelle acque internazionali del Canale di Sicilia.

 

In realtˆ il governo italiano e quello maltese fingono di ignorare che lo scorso anno sono stati appena ottantamila i migranti irregolari che entrano in Europa attraversando il Mediterraneo, mentre sono diverse centinaia di migliaia quelli che nello stesso anno sono arrivati nellĠEuropa centrale e settentrionale attraversando le frontiere terrestri orientali. E tutti i governi europei sono responsabili della mancata revisione del Regolamento Dublino II che addossa agli stati esterni le maggiori responsabilitˆ nellĠaccoglienza dei richiedenti asilo o protezione sussidiaria, come tutti gli stati europei sono responsabili per la mancata adozione della direttiva sugli ingressi per lavoro, lĠunico strumento che avrebbe potuto ridurre significativamente gli ingressi irregolari per colo che vengono definiti migranti economici.

 

Ormai sui barconi della speranza naviga, e talvolta muore, lĠumanitˆ pi varia, i flussi sono misti, in parte composti da migranti economici, ma in modo consistente, oltre il sessanta per cento, costituiti da potenziali richiedenti asilo, donne vittima di violenze e minori non accompagnati. Per il governo italiano, e per quello maltese, per˜ si tratta solo di clandestini, vite a perdere, muoiano nel deserto libico, nelle carceri di Gheddafi o nelle acque del Canale di Sicilia sembra non importare a nessuno.

 

Di certo queste vite spezzate non sembrano  importare a quella opinione pubblica, sempre pi xenofoba e razzista che si  diffusa anche in Italia, che esulta quando una imbarcazione carica di ÒclandestiniÓ  respinta verso lĠinferno dal quale  partita, o abbandonata a marcire in attesa degli interventi di salvataggio. La cattiva politica, lĠuso della cattiveria nei confronti dei migranti, metodi di contrasto dellĠimmigrazione clandestina amplificati dalla stampa di regime, ha ormai modificato il senso comune della ÒgenteÓ e la disumanitˆ quotidiana diventa assuefazione, quando non aperto consenso, mentre chi si batte ancora per il rispetto della dignitˆ della persona viene schedato con lĠetichetta di ÒbuonistaÓ. Nessuno sembra accorgersi come, malgrado gli accordi bilaterali di riammissione e gli strumenti repressivi sempre pi violenti, lĠimmigrazione irregolare aumenti di continuo e contribuisca alla diffusione dello sfruttamento del lavoro e del mercato in nero. Di certo gli sbarchi sulle coste siciliane, come gli arrivi di immigrati irregolari dopo i salvataggi, sono ancora aumentati rispetto allo scorso anno. Da un anno si combatte una guerra senza quartiere contro lĠimmigrazione ÒillegaleÓ senza che la sicurezza, o la percezione della sicurezza, da parte  degli italiani sia aumentata in modo significativo. E non basta certo affermare che il caso dellĠaccoglienza dei naufraghi salvati dalla nave turca PINAR non costituirˆ un precedente. Le conseguenze di quelle affermazioni sono giˆ sotto gli occhi di tutti, in un clima di crescente rottura diplomatica con Malta e di isolamento dellĠItalia in Europa.

 

I tentativi di mistificazione si susseguono, e gli accordi politici producono solo segnali apparenti di collaborazione, ma anche i dati che vengono forniti nascondono quanto avviene nella realtˆ. Secondo la notizia diffusa dallĠANSA domenica 15 marzo, Òsono 4581 gli immigrati illegali detenuti nelle carceri libiche: clandestini provenienti da Marocco, Tunisia, Egitto, India e Bangladesh. A fornire i dati  stato Abdulhamed Maraja, direttore del Dipartimento per l'investigazione sull'immigrazione. Un favore fatto dalle autoritˆ libiche agli amici del governo italiano, un annuncio ad orologeria, subito coperto dalla nuova ondata di sbarchi, che ha caratterizzato i mesi di marzo e di aprile. Adesso a quei detenuti il governo italiano vorrebbe aggiungere i naufraghi salvati a sud di Lampedusa che si vorrebbero riconsegnare alla polizia libica.

Notizie veramente preoccupanti, quelle dei respingimenti diretti verso la Libia, che adesso il governo italiano vorrebbe riproporre dopo gli infausti precedenti del 2004 e del 2005 sanzionati dalla Corte Europea dei diritti dellĠuomo. Un rischio che si ripropone oggi, oltre che per la sorte di quanti si trovano sulle imbarcazioni ÒaffondateÓ ( da sole?) poco distante dalla costa libica, oppure che sono stati riconsegnati alla polizia libica. Molti di coloro che sono stati ricondotti in Libia, dopo un tentativo fallito di raggiungere lĠItalia, sembrano ÒscomparsiÓ, e non solo perch non fanno neppure statistica, come gli eritrei, i somali, e in genere i migranti dellĠafrica subsahariana detenuti in condizioni disumane nei centri di detenzione libici ( a Misurata in particolare) come documentato dai report raccolti su www.fortersseurope.blogspot.com.

 

4. Gli accordi oggi vigenti con la Libia non prevedono comunque il respingimento o la riammissione in quel paese di migranti irregolari giunti in Italia o, peggio, di naufraghi salvati in acque internazionali. In effetti, di pattugliamenti congiunti si parla da anni, ma le istruzioni impartite dal governo Prodi ai mezzi della marina militare, e la creazione nel 2007 del Òsistema di accoglienza LampedusaÓ, avevano consentito di attenuare lĠemergenza umanitaria nel Canale di Sicilia. Una emergenza umanitaria che  invece riesplosa da quando Maroni ha deciso di bloccare la via di Lampedusa, pur riconoscendo che in gran parte era seguita proprio da richiedenti asilo, smantellando al contempo, a partire dallo scorso gennaio, il sistema di accoglienza con la trasformazione del centro di prima accoglienza e soccorso di Contrada Imbriacola in un centro di identificazione ed espulsione. Una emergenza umanitaria che rischia di aggravarsi ogni giorno di pi per la decisione del governo italiano di impedire gli interventi di salvataggio nelle acque internazionali, con la scusa che sarebbero di competenza della zona SAR di Malta. Eppure lo scorso anno, in quelle stesse acque, le unitˆ della nostra Marina militare avevano tratto i salvo migliaia di vite. Una svolta, adesso, troppo brusca, e comunque unilaterale, che rischia non solo di compromettere i rapporti internazionali dellĠItalia, ma che comporterˆ nellĠimmediato futuro un numero imprecisato di vittime.

Giˆ nellĠagosto del 2006 lĠAsgi , Associazione studi giuridici sullĠimmigrazione, esprimeva la propria ferma contrarietˆ e preoccupazione allĠannuncio dato dal governo Prodi sullĠavvio di pattugliamenti europei nel Mediterraneo, non essendoci garanzia alcuna che essi sarebbero stati di assistenza e salvataggio e non di respingimento dei migranti e dei richiedenti asilo. Come si legge in un comunicato di questa associazione Ò tali pattugliamenti, da attuarsi con unitˆ navali congiunte tra pi paesi europei, appaiono finalizzati a contrastare lĠarrivo di cittadini stranieri in fuga sulle cosiddette Òcarrette del mareÓ verso le coste italiane.
A causa della perdurante scelta politica di sostanziale chiusura di effettivi canali di ingresso regolare nellĠUnione Europea, si assiste ogni anno ad un progressivo incremento degli ingressi irregolari realizzati con natanti sempre pi piccoli ed insicuri, per sfuggire ai crescenti controlli. Le grandi organizzazioni criminali che gestiscono il traffico trovano cos“ modo di arricchirsi sempre di pi, rimanendo al riparo e limitandosi a ÒvendereÓ il viaggio, comprensivo di imbarcazione e rifornimenti, a migranti che non dispongono di altro modo di fare ingresso nellĠUnione Europea. LĠinasprimento dei controlli, ben lungi dallo scoraggiare il fenomeno dellĠimmigrazione irregolare lo alimenta e le conseguenze di tale circuito vizioso ricadono solo sulle vittime di tale traffico con esiti sempre pi tragici.
Inasprire i controlli in mare allo scopo di scoraggiare gli arrivi rappresenta quindi un grave errore, foriero di nuove tragedie. Particolarmente grave appare lĠannuncio, dato dal Governo italiano, di volere procedere ad pattugliamento al limite dei confini territoriali marittimi con la Libia allo scopo di contrastare lĠuscita delle imbarcazioni dai porti e restituire i migranti stessi alle autoritˆ libiche. La Libia  un paese che non daĠ alcuna garanzia di tutela dei diritti fondamentali dellĠUomo ed in particolare dei potenziali richiedenti asilo, non avendo, come  noto, ad oggi, neppure ratificato la Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati.
 LĠItalia e lĠUnione Europea devono accettare il fenomeno strutturale dellĠimmigrazione, governandolo senza pretendere di contrastarlo, consentendo un regolare accesso al territorio e al mercato del lavoro e garantendo altres“ in maniera effettiva lĠaccesso alla procedura di asilo.
LĠAsgi sollecita lĠintroduzione al pi presto nel nostro ordinamento dellĠistituto dellĠingresso per Òricerca nel mercato di lavoroÓ consentendo altres“ a coloro che giˆ si trovano irregolarmente, sul territorio italiano di regolarizzare la propria posizione dimostrando di avere unĠoccupazione (cos“ combattendo, per davvero, il lavoro nero).

Da parte dellĠAlto Commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati si sottolinea in particolare come Ò lo sbarco di richiedenti asilo e rifugiati recuperati in mare, in territori nei quali la loro vita e la loro libertˆ sarebbero minacciate, dovrebbe essere evitatoÓ. Si aggiunge infine che Ò ogni operazione e procedura come lĠidentificazione e la definizione dello status delle persone soccorse, che vada oltre la fornitura di assistenza alle persone in pericolo, non dovrebbe essere consentita laddove ostacoli la fornitura di tale assistenza o ritardi oltremisura lo sbarcoÓ. La questione pi importante – rileva lĠUnhcr -  lĠevitare concretamente (cio in tutti gli Stati comunitari ) che il richiedente asilo venga inviato fuori dello spazio regolato da Dublino II, senza che la sua richiesta sia stata esaminata.
Secondo lĠart. 33 della Convenzione di Ginevra nessuno pu˜ essere espulso o respinto verso le frontiere dei luoghi ove la sua vita o la sua libertˆ sarebbero minacciate a causa della sua razza, religione,nazionalitˆ,appartenenza ad un determinato gruppo sociale o delle sue opinioni politiche. Proprio questo tipo di respingimenti collettivi potrebbe adesso realizzarsi per la decisione del ministro Maroni di rinviare direttamente in Libia i migranti soccorsi nelle acque del Canale di Sicilia.

Il 30 agosto del 2008, veniva stipulato a Tripoli alla presenza di Berlusconi e Gheddafi un accordo bilaterale, definito come Ç Trattato di amicizia, di partenariato e cooperazione È, che prevede la Ç collaborazione nella lotta al terrorismo, alla criminalitˆ organizzata, al traffico di stupefacenti, allĠimmigrazione clandestina È Secondo quanto previsto dallĠaccordo, allĠart.19, Ç le due Parti intensificano la collaborazione in atto nella lotta al terrorismo, alla criminalitˆ organizzata, al traffico di stupefacenti e allĠimmigrazione clandestina, in conformitˆ a quanto previsto dallĠAccordo firmato a Roma il 13/12/2000 e dalle successive intese tecniche, tra cui, in particolare, per quanto concerne la lotta allĠimmigrazione clandestina, i Protocolli di cooperazione firmati a Tripoli il 29 dicembre 2007 .

LĠaccordo Italia - Libia del 2008 fa peraltro espresso riferimento al rispetto dei diritti umani e delle libertˆ fondamentali, affermando allĠart. 6 che Ç Le Parti, di comune accordo, agiscono conformemente alle rispettive legislazioni, agli obiettivi e ai principi della Carta delle Nazioni Unite e della Dichiarazione Universale dei Diritti dellĠUomo È, senza contenere per˜ alcuna menzione alla Convenzione di Ginevra del 1951 a protezione dei diritti dei rifugiati, Convenzione di cui la Libia non risulta ancora firmataria, tanto che lĠAlto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati non ha ancora una sede operativa aperta ai potenziali richiedenti asilo, come avviene invece, seppure con gravi limitazioni, in Egitto, in Tunisia, in Algeria ed in Marocco.

Negli ultimi anni si  appreso soltanto dellĠintervento dellĠACNUR, tramite associazioni locali, in alcune operazioni di resettlement di alcune decine di persone, in prevalenza donne e minori, ritenuti meritevoli di protezione internazionale, dalla Libia verso lĠItalia ed altri paesi europei. In Libia si avvertono i primi segnali di mutamenti profondi. Questa strada, aprire le carceri libiche piene di richiedenti asilo come somali ed eritrei, e favorire il loro ingresso nei diversi paesi europei  lĠunica via percorribile per instaurare con la Libia relazioni rispettose dei diritti fondamentali della persona. Si prevede invece, sempre allĠart. 19 dellĠaccordo, concluso a Bengasi nel mese di agosto dello scorso anno, che Italia e Libia collaborino alla definizione di iniziative, sia bilaterali, sia in ambito regionale, per prevenire il fenomeno dellĠimmigrazione clandestina nei Paesi di origine dei flussi migratori. che comprende la fornitura di sofisticate attrezzature elettroniche per il controllo delle frontiere terrestri meridionali. Piuttosto che favorire accoglienza, sia pure per alcune migliaia di richiedenti asilo, si insiste sempre e soltanto sugli strumenti repressivi ma non si prevede certo la riammissione di cittadini di paesi terzi in Libia.

Secondo lo stesso accordo, che Òsostituisce il Comunicato Congiunto del 4 luglio 1998 e il Processo verbale delle conclusioni operative del 28 ottobre 2002Ó, Òsempre in tema di lotta allĠimmigrazione clandestina, le due Part“ promuovono la realizzazione di un sistema di controllo delle frontiere terrestri libiche, da affidare a societˆ italiane in possesso delle necessarie competenze tecnologiche. Il Governo italiano sosterrˆ il 50% dei costi, mentre per il restante 50% le due Parti chiederanno allĠUnione Europea di farsene carico, tenuto conto delle Intese (?) a suo tempo intervenute tra la Grande Jamahiria e la Commissione EuropeaÓ.

Non si comprende affatto a quali ÒInteseÓ con la Commissione Europea faccia riferimento lĠaccordo tra lĠItalia e la Libia sottoscritto da Berlusconi e da Gheddafi , dal momento che ancora nel 2008 la stipula di un accordo tra LĠUnione Europea e la Libia restava nellĠagenda delle intese non ancora concluse, ma conoscendo la attendibilitˆ dei due personaggi politici non  difficile immaginare che si tratta, al massimo, delle Òintese informaliÓ che avevano preceduto e seguito le Missioni tecniche della Commissione, nel dicembre del 2004, e dellĠagenzia Frontex nel 2007 . EĠ la Relazione tecnica al Disegno di legge di ratifica dellĠaccordo approvato frettoloso mante con un voto bipartizan del parlamento italiano, come si vedrˆ pi avanti, a chiarire quale sarebbe lĠÓintesaÓ. Che in realtˆ sarebbe soltanto un ÒMemorandum of Understanding (MoU)Ó, tra la Libia e lĠUnione Europea che dovrebbe costituire la cornice comunitaria nella quale si inserisce lĠ Accordo bilaterale di amicizia e di cooperazione stipulato a Bengasi.

 Nella Relazione tecnica allegata al Disegno di legge n.2041, per la ratifica e lĠesecuzione del Trattato si amicizia, partenariato e cooperazione firmato tra Libia ed Italia a Bengasi il 30 agosto 2008, si legge che, oltre ai Protocolli di cooperazione firmati a Tripoli il 29 dicembre 2007, Òdei quali ci si attende pertanto una compiuta attuazione da parte libicaÓ, Òle due Parti promuoveranno la realizzazione di un sistema di controllo delle frontiere terrestri libiche, da affidare a societˆ italiane in possesso delle competenze tecnologiche necessarie. LĠItalia si  impegnata a sostenere il 50 per cento dei costi di realizzazione di tale sistema, mentre per il restante 50 per cento Italia e Libia chiederanno allĠUnione europea di farsene carico, tenuto conto delle intese intervenute tra Tripoli e Bruxelles, anche su questo aspetto, con la firma di un Memorandum of Understanding (MoU) nel luglio 2007.

Su un piano pi generale, si prevede che le due Parti collaboreranno alla definizione di iniziative volte a prevenire il fenomeno dellĠimmigrazione clandestina nei Paesi di origine dei flussi migratori. Le somme necessarie da parte italiana da versare al governo libico per lĠattuazione degli accordi saranno ricavate dalla tassazione con una apposita addizionale allĠimposta sul reddito delle societˆ).da applicare nei confronti delle societˆ e degli enti commerciali residenti nel territorio dello Stato: che operano nel settore della ricerca e della coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi. Secondo la stessa relazione tecnica, allegata al DDL 2041, infine, Òsi ritiene che i princ“pi contenuti nel Trattato siano in linea con lĠordinamento comunitario. Analogamente esso  compatibile con gli obblighi internazionali giˆ assunti dal nostro PaeseÓ.

Se lĠaccordo tra Italia e Libia del 30 agosto scorso presenta aspetti oscuri, non si pu˜ dire che la relazione allegata al Disegno di legge di ratifica abbia contribuito a fare chiarezza sulle concrete modalitˆ attuative degli accordi e sulle garanzie per il rispetto dei diritti fondamentali della persona migrante in Libia. Risulta assai dubbio il richiamo al ÒMemorandum of Understanding (MoU) stipulato nel luglio 2007Ó, che costituirebbe unÓaccordoÓ concluso dalla Libia, sulla base del quale adesso lĠUnione Europea dovrebbe versare somme consistenti per l“ esecuzione dellĠaccordo Italia-Libia, somme che probabilmente deriveranno  dallo sblocco dei fondi per i rimpatri, conseguente allĠapprovazione definitiva della direttiva 2008/115/CE. Di certo, nel Trattato di amicizia italo-libico, nulla  previsto espressamente in ordine alla riammissione in Libia di migranti irregolari provenienti da paesi terzi, sbarcati in Italia o bloccati in acque internazionali, in quanto gli aiuti stanziati dallĠUnione Europea non sono destinate ad operazioni di riammissione, ma alla costruzione di un sistema di controllo delle frontiere meridionali, alla formazione delle forze di polizia libiche ed alla creazione di pattuglie congiunte per le operazioni di contrasto dellĠimmigrazione clandestina.

Il Parlamento italiano, chiamato a ratificare lĠintesa di Bengasi tra Berlusconi e Gheddafi, non  stato messo nelle condizioni di conoscere la esatta portata degli ÒaccordiÓ tra la Libia e lĠUnione Europea in materia di immigrazione ( ammesso che esistanoÉ), nŽ quali siano le garanzie sostanziali per i diritti fondamentali della persona migrante in transito in quel paese, con particolare riferimento alla condizione dei potenziali richiedenti asilo. Ed  gravissimo che quegli accordi siano stati approvati anche con il voto del partito democratico, che oggi si accorge in ritardo della disumanitˆ della politica del governo in materia di immigrazione ed asilo.

La portata effettiva degli accordi tra Italia e Libia appare quindi ben delimitata, ma non per questo meno preoccupante. Quanto successo dopo la stipula degli accordi, con lo spiegamento pi a nord dei mezzi della marina italiana, conferma che gli interventi di contrasto al limite delle acque libiche, assai probabilmente con la partecipazione attiva delle pattuglie Frontex che fanno base a Malta, o si concludono con i migranti che ritornano a nuoto sulla riva di partenza, oppure lasciano comunque filtrare il grosso delle imbarcazioni cha salpano dalla Libia, senza che nessuno effettui tempestivi interventi di salvataggio. NŽ sembra che a modificare la situazione possano bastare le sei motovedette donate dallĠItalia alla Libia e destinate al Òpattugliamento congiuntoÓ, sembra a partire dal 15 maggio prossimo, per respingere nei porti di partenza le imbarcazioni cariche di ÒclandestiniÓ, come auspicato da Berlusconi e da Maroni. E quanti ne moriranno di ÒclandestiniÓ, nelle prossime settimane con tutti i soldi dellĠUnione Europea che invia le missioni Frontex, o per le pattuglie miste di frontiera, tra coloro che, dopo il ÒnaufragioÓ della loro imbarcazione non sanno nuotare o non riusciranno comunque a raggiungere la spiaggia o le imbarcazioni soccorritrici? Ammesso che i soccorritori siano individuati ed arrivino in tempo.

 

Di certo, il recente accordo tra Libia e Malta per la ripartizione delle zone SAR ( Soccorso e salvataggio) nel Canale di Sicilia, se non proseguiranno gli interventi di salvataggio della Marina italiana in acque internazionali, non sembra garantire alcuna concreta possibilitˆ di salvezza per i migranti che si troveranno costretti ad attraversare il Canale di Sicilia, per gli scarsi mezzi di cui dispongono i due paesi, e per la scarsa disponibilitˆ, giˆ ampiamente dimostrata in passato, nel rispondere alle richieste di soccorso. Tanto Malta quanto la Libia non sembrano offrire luoghi sicuri di sbarco, soprattutto dopo la stipula degli accordi bilaterali che hanno stipulato, che consentono anche respingimenti e deportazioni da Malta verso la Libia.

 

Abbiamo riferito norme di diritto internazionale e principi di umanitˆ e ragionevolezza. Eppure tutto questo oggi sembra contare sempre meno. Cosa pu˜ importare alla distratta opinione pubblica italiana di altri cadaveri che galleggiano nel Mediterraneo ? PurchŽ ci˜ avvenga lontano dalle spiagge che tra qualche mese saranno invase dai turisti, che magari si vedranno arrivare in mezzo agli ombrelloni un barcone carico di disperati, come  giˆ successo proprio nella spiaggia pi bella di Lampedusa, davanti allĠIsola dei Conigli. E speriamo davvero che queste barche arrivino, e che non si debba assistere ancora alle tante tragedie che hanno costellato questi ultimi mesi le rotte dellĠimmigrazione clandestina, decine e decine di cadaveri abbandonati in mare, trascinati dalle correnti, finiti a pezzi nelle reti dei pescatori, questo  il Canale di Sicilia che non si vuole fare vedere. E ad ogni inasprimento delle misure di contrasto i trafficanti ringraziano ed aumentano i loro profitti, perchŽ i rischi aumentano e le rotte si allungano.

 

Nessuno sembra accorgersi che lĠunico modo per contrastare lĠimmigrazione clandestina  lĠapertura di canali di ingresso per i migranti economici e per i potenziali richiedenti asilo, nella legalitˆ. E le misure contenute nellĠultimo disegno di legge sulla sicurezza vanno soltanto nella direzione di criminalizzare lĠingresso o la presenza degli immigrati irregolari con la introduzione del permesso di soggiorno a punti e del reato di immigrazione clandestina, che avranno conseguenze devastanti non solo sulla convivenza tra italiani ed immigrati ma anche sulle modalitˆ di ingresso. Speriamo almeno che le unitˆ della Marina italiana siano ancora messe nelle condizioni di compiere quegli interventi di salvataggio in acque internazionali che hanno operato fino a ora. E impegniamoci anche perchŽ non si continui a negare lĠevidenza ed i cittadini italiani sappiano quali sono le conseguenze dirette ed indirette delle politiche di dissuasione violenta della Òimmigrazione clandestina. In molte situazioni, come nel caso della nave Pinar, solo lĠintervento di giornalisti e degli operatori video costringe i governi ad intervenire per soccorrere che sarebbe altrimenti condannato al silenzio ed allĠesclusione.

 

Chi  abituato a governare con i sondaggi molto probabilmente riesce anche a governare i sondaggi, e questo incrementa ancora i consensi elettorali. Un circuito vizioso che esprime tutto il suo potenziale negativo in materia di immigrazione ed asilo. Colpisce comunque lĠassenza di opposizione, e soprattutto lĠassenza di una reazione forte da parte della maggioranza degli italiani, presi dai problemi di una crisi, negata ogni giorno dai governanti, ma che sta condizionando sempre in peggio la vita quotidiana della maggioranza dei cittadini, rinchiusi ormai in uno squallido egoismo sociale che non lascia intravedere prospettive di futuro nella convivenza ormai obbligata tra diversi. Un egoismo sociale che scatena guerre tra poveri ed alimenta il consenso di chi gestisce le paure e le insicurezze per continuare ad accrescere il proprio potere fino al punto da violare quotidianamente il patto costituzionale ed i diritti fondamentali riconosciuti alla persona umana dalle Convenzioni internazionali e dai Trattati dellĠUnione Europea. Dopo avere cominciato con gli immigrati irregolari, adesso si sta rendendo sempre pi precaria anche la condizione dei migranti regolari, con il permesso a punti ed il contratto di integrazione. Chiunque oggi  regolare potrˆ ritornare nella condizione di irregolare, e quindi essere espulso, per effetto di una serie di determinazioni del tutto vaghe, dunque altamente discrezionali, dellĠautoritˆ amministrativa. Presto anche le componenti pi deboli della popolazione italiana saranno esposte ad interventi di stampo repressivo per contrastare il dissenso sociale. Se continua cos“, quando i cittadini italiani si accorgeranno del disastro sociale e del furto di democrazia che hanno subito, potrebbe essere troppo tardi, ed a quel punto probabilmente smetteranno di prendersela con gli immigrati e dovranno subire soltanto, per altri anni a venire, le conseguenze delle loro paure e delle attuali ÒscelteÓ securitarie.

 

Fulvio Vassallo Paleologo

Universitˆ di Palermo