Immigrazione: gli effetti dalla crisi ed alcune risposte possibili


(di Giuseppe Casucci) La crisi economica e finanziaria che sconvolge le economie del pianeta colpisce duramente la domanda di beni e servizi, quindi la loro produzione ed inevitabilmente il mercato del lavoro.

LĠOil calcola che lĠattuale depressione dellĠeconomia mondiale distruggerˆ – solo nel 2009 - complessivamente 52 milioni di posti di lavoro (e la stima  per difetto), a causa del crollo della domanda in comparti come quello energetico, quello manifatturiero, le costruzioni ed i servizi alla salute. Tutti settori che hanno funzionato negli ultimi anni da calamita per i lavoratori migranti.

 

Conseguentemente, dicono gli osservatori, gli immigrati sono i primi a pagare un prezzo salato per questa crisi. Secondo alcuni esperti consultati dalla rivista americana Newsweek, il flusso di migranti dal Sud verso il Nord del mondo potrebbe ridursi del 30% giˆ questĠanno. Joseph Chamie, ex capo della divisione ÒpopolazioneÓ, delle Nazioni Unite, ha dichiarato che il flusso in uscita dei migranti caratterizza giˆ la situazione in diversi Paesi, tra cui Spagna, Irlanda, Repubblica Ceca, gli Emirati Arabi Uniti e gli USA, il Giappone, lĠIndia e la Cina. Per lĠesperto, che prevede il licenziamento di milioni di migranti in tutto il mondo, Òsi assiste oggi ad un rovesciamento nelle tendenze migratorie, un fenomeno destinato a durare quanto la crisi.

 

Sempre secondo lĠOIL, la crisi nei settori chiave della produzione mondiale potrebbe portare al dimezzamento del numero di migranti nei settori petroliferi e delle industrie dellĠindotto (con la perdita di 7 milioni di posti di lavoro stranieri). In Giappone anche a causa della crisi della Toyota – negli ultimi 4 mesi – decine di migliaia di immigrati brasiliani hanno perso occupazione e casa (in quanto fornita dallĠazienda). Una parte di loro  giˆ tornata in patria, altri dormono nelle chiese e nei parchi, e aspettano che lo Stato gli offra il costoso viaggio di ritorno. 

 

In Malesia, 200 mila lavoratori hanno giˆ perso il lavoro, metˆ dei quali migranti. Nel frattempo in Cina, circa 20 milioni di contadini stanno ritornando nelle campagne, dopo anni di lavoro in fabbrica in grandi cittˆ come Shandong, Dongguan e Shangai. Un simile fenomeno, raccontano gli esperti OIL, sta accadendo in India dove decine di industrie urbane chiudono i battenti.

 

E per tornare in Europa, sappiamo di migliaia di migranti marocchini che questĠanno non hanno trovato lavoro nelle campagne della  Castiglia ed Andalusia, in quanto gli spagnoli sono tornati a fare il mestiere di raccoglitore dĠolive abbandonato da anni. In Irlanda, secondo lĠEconomic Social Research Institute, 30 mila lavoratori stranieri hanno giˆ lasciato il paese a causa del periodo di depressione dellĠeconomia.

 

Negli USA, dove oltre 11 milioni di migranti vivono in condizioni di irregolaritˆ, tra il 2000 ed il 2006 circa un milione di messicani lĠanno hanno attraversato il confine con lĠAmerica. Nel 2008, per˜, si  giˆ registrata una forte riduzione negli arrivi ed oggi  gli esperti predicono un calo del 40% nei nuovi ingressi ed il ritorno a casa di almeno un milione di persone.

 

 

 

 

 

Anche da noi in Italia accadono fenomeni simili, anche se finora meno vistosi.  Nel triveneto la chiusura di molte piccole e medie aziende, la messa in cassa integrazione, la dislocazione di attivitˆ produttive allĠestero, hanno colpito duramente lĠeconomia locale e prodotto la perdita del lavoro di migliaia di persone, soprattutto stranieri.  La stessa cosa succede in tutte le regioni padane e nello stesso Piemonte colpito duramente dalla crisi della Fiat e del suo indotto. Molti italiani cominciano a riconsiderare la necessitˆ di tornare a fare lavori abbandonati da tempo, se  vero ad esempio che la domanda di formazione in badantato ha registrato recentemente un boom nelle iscrizioni da parte di italiani in Veneto e Lombardia. Anche nel resto dĠItalia, la crisi nella domanda di abitazioni ha prodotto un rallentamento della domanda di lavoro nel settore delle costruzioni, cos“ in settori produttivi ma anche di servizi come il commercio ed il turismo fortemente provati dalla depressione dellĠeconomia.

 

 La conseguenza  visibile anche sul piano dei soldi mandati a casa. Negli ultimi dieci anni, le rimesse mondiali avevano spiccato il volo da 73 miliardi di US$ al record di 337 miliardi di US$ nel 2007, sorpassando di gran lunga il volume delle risorse destinate dai paesi ricchi in termini di aiuti allo sviluppo del Terzo Mondo (dati della World Bank). Un aspetto importante se si tiene conto che oggi le rimesse rappresentano il 45% del Pil del Tajikistan, il 38% dellĠeconomia della Moldavia ed il 30% di quella dellĠHonduras, per fare alcuni esempi.

Oggi ci sono chiari segnali di un significativo calo delle rimesse. Giˆ nel 2008 il volume globale  sceso a 283 miliardi di US$. Secondo il FMI nel 2009 il calo potrebbe essere di un ulteriore 30%. LĠeffetto sulle economie di molti Paesi poveri potrebbe essere devastante perchŽ, assieme alla diminuzione delle rimesse si potrebbero aggiungere migliaia di senza lavoro che ritornano a casa. I governi di Moldavia ed Ucraina paventano giˆ il rischio di collasso delle proprie economie. Lo stesso Messico – che dichiara di ricevere 23 miliardi di US$ in rimesse lĠanno – parla di tsunami economico, visto che esse  rappresentano la seconda fonte di moneta estera pregiata.

 

Non cĠ dubbio che la crisi  anche la causa delle maggiori insofferenze verso gli stranieri registrate in molti Paesi ospiti, con un irrigidimento delle normative, la richiesta di sospensione dei flussi dĠingresso (non solo da noi in Italia, ma anche in paesi come Spagna, Inghilterra, ad esempio), fino ad arrivare ad episodi di aperta xenofobia. Il razzismo non  quasi mai un fatto puramente ideologico, ma spesso il prodotto di processi economici e sociali a cui le classi dirigenti non hanno potuto (o voluto) dare risposte per tempo.

 

EĠ vero in Italia, dove il governo dellĠimmigrazione  latitante da sempre, ma  vero anche in Europa. A novembre scorso, un survey realizzato dalla tedesca Marshall Fund – su di un campione rappresentativo di molte migliaia di intervistati – ha dato risultati sorprendenti: lĠ80% dei cittadini intervistati in Gran Bretagna, Francia, Italia, Germania, Olanda e Polonia, ha richiesto pi stretti controlli alle frontiere, mentre il 73% chiedeva sanzioni pi dure per i datori di lavoro che assumevano migranti irregolari. Un survey pi recente – citato la scorsa settimana dal Financial Times – riportava che oltre il 70% dei cittadini europei intervistati riteneva giusto il ritorno in patria anche degli immigrati regolari che perderanno il lavoro.

 

 

 

 

EĠ certo ingeneroso da parte degli europei chiedere a persone straniere, magari radicate da anni in Europa, di abbandonare di colpo tutto e tornarsene a casa. In effetti la crisi gioca pesante sullĠumore e la fiducia nel futuro dei nativi nellĠEuropa dei 27, e produce anche soluzioni poco praticabili ed in parte illogiche. In effetti, se si guarda al medio lungo periodo, tutti i demografi sono concordi nel dire che lĠEuropa (ma soprattutto lĠItalia) continuerˆ ad aver bisogno di nuovi immigrati, a causa del declino demografico che – stante le cose continuerˆ anche nei prossimi  decenni. Per mantenere positivo il bilancio demografico in Italia, la richiesta , dicono gli esperti, non sarˆ inferiore ai 400 mila immigrati lĠanno.

 

Ma intanto nel breve e medio periodo la crisi va in direzione opposta e molte migliaia di immigrati diventano superflui in termini lavorativi.  Cosa fare perchŽ la situazione non precipiti in gravi lacerazioni sociali? Questa situazione produrrˆ molta disoccupazione tra gli italiani e tra gli immigrati. Questi ultimi, a causa dellĠattuale legge in vigore, dopo sei mesi dal licenziamento, perderanno anche il diritto a restare in Italia. In parte chi ha famiglia, manderˆ moglie e figli a casa in attesa di tempi migliori, rimanendo in Italia in condizione di irregolaritˆ.

 

Molte stime parlano di una cifra di irregolari giˆ vicina al milione di persone, che stante la situazione  destinata ad aumentare velocemente, andando ad ingrossare le fila di quelli impiegati nel sommerso, in una condizione di quasi assenza di diritti. Questa situazione aumenta lĠeffetto di dumping sociale che una parte cos“ ricattabile della manodopera esercita nel confronto del resto delle forze lavoro. Se non si mette mano a questa situazione, lĠinsofferenza degli italiani verso lĠimmigrazione, e gli stessi episodi di xenofobia sono destinati ad aumentare.

 

Che fare allora? Una prima cosa che la UIL ha proposto  un uso pi intelligente degli ammortizzatori sociali anche per gli immigrati, in modo da dare loro la possibilitˆ di rimanere regolari. Questo  possibile anche se si aumenta il periodo di tempo (oggi di sei mesi) che la legge concede loro per trovare un nuovo lavoro legale. Abbiamo proposto di portarlo ad un anno, periodo pi congruo a rispondere alle difficoltˆ di mercato. Oggi la Lega propone anche il blocco dei flussi dĠingresso. Noi diciamo:  un cattivo segnale perchŽ consegna totalmente allĠirregolaritˆ la chance dĠingresso per lavoro nel nostro Paese. A nostro parere va considerata la necessitˆ di ridurre gli ingressi alle richieste del mercato, senza dimenticare unĠaltra realtˆ: lĠesercito degli irregolari, privi di diritti, che comunque lavorano in nero accanto a noi.

Non  possibile, noi crediamo rimandarli a casa in massa.  Troviamo allora il modo di farli emergere e dare loro una speranza: questo farˆ bene a loro ma anche alla nostra economia, ed alle finanze dello Stato i termini di tasse e contributi oggi evasi.

 

Non cĠ dubbio, dĠaltra parte, che bisogna combattere seriamente lĠeconomia sommersa che  il principale fattore di attrazione della migrazione irregolare.

 

UnĠaltra proposta potrebbe essere quella di considerare – su base volontaria – la possibilitˆ di un  ritorno assistito dellĠimmigrato nel suo Paese dĠorigine, magari in  attesa che la nostra economia riprenda. Queste proposte – che vengono suggerite oggi anche da partiti della maggioranza di governo - sono state tentate in altri paesi, anche se con scarso successo.

 

 

 

PerchŽ funzioni il meccanismo di ritorno assistito, sono necessarie – a nostro avviso -  alcune condizioni:

a)     Che abbia una carattere assolutamente volontario e non venga quindi vissuto come unĠespulsione;

b)     Che venga offerta al migrante una adeguata convenienza economica, senza la quale nessuno lascerebbe il Paese dopo anni di sacrifici;

c)     Che gli venga assicurata una corsia preferenziale di ritorno, nel momento in cui i flussi vengono riaperti;

d)     Per chi decide di restare nel Paese dĠorigine, la possibilitˆ di riavere i contributi previdenziali versati, o il godimento di una pensione se ne ha il diritto;

 

Il tema del governo dellĠimmigrazione, oggi anche in presenza della crisi,  certamente  molto complesso e le soluzioni non sono facili. Non pretendiamo certo di averle noi in tasca, crediamo per˜ che vada aperto un dibattito senza steccati e senza titubanze per la ricerca insieme di soluzioni condivise. In palio cĠ la convivenza civile messa sempre pi a rischio da una crisi di cui non conosciamo ancora la profonditˆ e gli effetti sulla nostra societˆ multi etnica di oggi e di domani.