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ASGI

26 marzo 2009

 

SEGNALAZIONI NORMATIVE E GIURISPRUDENZIALI

 

 

ATTIVITA’ DELL’ASGI

 

 

 

1. BRESCIA - Bonus bebè a italiani e stranieri senza discriminazioni

Nuova sentenza del giudica del lavoro di Brescia che accoglie il ricorso di ASGI e CGIL contro la delibera del Comune di Brescia che aveva revocato il bonus bebè a tutti dopo che la magistratura bresciana ne aveva esteso i benefici anche ai cittadini stranieri regolarmente residenti. Il giudice accoglie la tesi dell'ASGI che la delibera comunale costituiva un atto ritorsivo vietato dalle norme di recepimento della direttiva europea anti-discriminazioni razziali.

Con l'ordinanza depositata il 12 marzo scorso, il tribunale di Brescia ha disposto il ripristino della delibera dello scorso 21 novembre con cui il Comune di Brescia aveva istituito il bonus bebè da mille euro per ogni bimbo nato nel 2008, ma ordinando l'allargamento del beneficio alle coppie di genitori stranieri. La decisione accoglie il ricorso presentato da quattro diversi genitori stranieri e dall'Associazione studi giuridici sull'immigrazione con il sostegno della CGIL contro la delibera comunale di revoca del "bonus bebè" del 30 gennaio successivo. Il giudice ha riconosciuto la necessità della cessazione immediata del comportamento discriminatorio e ritorsivo posto in essere dal Comune di Brescia, vietato dalla norme di recepimento della direttiva europea anti-discriminazioni razziali (n. 2000/43/CE) e dalle norme anti-discriminazioni contenute nel T.U. immigrazione.

Il comportamento ritorsivo è stato ravvisato dal fatto che, dopo aver perso un primo ricorso contro il carattere discriminatorio della delibera istitutiva dell'assegno per le famiglie con almeno un genitore italiano, il Comune ha approvato una “contro delibera”, eliminando l'incentivo economico per tutti, italiani e stranieri. Nel provvedimento, la giunta spiegava che non poteva dare attuazione alla “finalità prioritaria di sostegno alla natalità delle famiglie di cittadinanza italiana”. Secondo il giudice “l'evidente strumentalità dell'operazione giustifica l'attribuzione del carattere ritorsivo alla condotta in quanto l'iniziativa si è limitata a paralizzare gli effetti della decisione giudiziale”.

“Ciò che mi pare l'ordinanza respinga nella maniera più ferma è la tesi perseguita dall'amministrazione secondo la quale la parità di trattamento si tradurrebbe in un danno per tutti: non è vero che dando agli stranieri si danneggiano gli italiani, ma si afferma invece un principio di parità e di uguaglianza che è il presupposto per l'integrazione e per la civile convivenza”. Così ha commentato l’ordinanza  l'avvocato Alberto Guariso, il legale di Milano che ha sostenuto il ricorso per conto dell'ASGI e dei ricorrenti.
Il giudice ha ordinato inoltre al Comune di predisporre un programma di sostegno all'erogazione del beneficio attraverso “idonea pubblicità” sulla stampa locale di maggiore diffusione e presso le emittenti televisive locali in cui venga “espressamente annunziata la nuova istituzione del beneficio ai cittadini italiani e stranieri, la finalità ripristinatoria della parità di trattamento dell'iniziativa, l'indicazione dei termini di scadenza e delle modalità per la presentazione della richiesta”. Per fare in modo che tutti gli aventi diritto abbiano tempo per presentare le domande per accedere al bonus bebè, il termine per la presentazione viene prorogato al 30 giugno.

 Il giudice inoltre ha condannato il Comune di Brescia a provvedere alla pubblicazione dell'ordinanza sui due quotidiani locali, nonchè al pagamento delle spese processuali.

Il testo dell'ordinanza del giudice di Brescia

 

 

2. DDL "Sicurezza": Assistenza sanitaria e stranieri irregolari

Assistenza sanitaria e stranieri irregolari: Quali prospettive alla luce del disegno di legge sulla sicurezza licenziato dal Senato lo scorso febbraio ed ora all'esame della Camera dei Deputati. La delicata questione della segnalazione da parte degli esercenti le professioni sanitaria. L'analisi dell'avv. Guido Savio del Foro di Torino presentata ad un incontro con gli operatori sanitari all’Ospedale Molinette di Torino il 24 marzo 2009.


L'analisi dell'Avv. Guido Savio del Foro di Torino

 

 

3. DDL "Sicurezza": Ora insicuri sono i diritti fondamentali

Il disegno di legge sulla sicurezza pubblica, nel testo approvato al Senato, contiene tre disposizioni che nulla hanno a che vedere con la sicurezza dei cittadini, ma mirano a fare terra bruciata attorno all'immigrato irregolare. La più famosa è quella che sopprime il divieto di segnalazione all'autorità dell'irregolare che ricorra alle prestazioni delle strutture sanitarie. Mentre le altre due norme gli precludono il perfezionamento dei provvedimenti della pubblica amministrazione e la celebrazione del matrimonio in Italia.

 

L’ analisi di Sergio Briguglio

 

Fonte . www.lavoce.info

 

 

CIRCOLARI AMMINISTRATIVE

 

 

 

1. Una circolare del Ministero dell’Interno precisa i titoli accademici il cui conseguimento da parte del cittadino straniero consente la conversione del permesso di soggiorno da studio a lavoro. Nell’elenco sono inclusi anche i Master di primo e secondo livello.

 

Con la circolare dell'11 marzo del ministero dell'Interno si risolve una questione interpretativa che aveva creato numerosi problemi a molti studenti stranieri che al termine di scuole di specializzazione o master frequentati in Italia intendevano rimanere nel nostro paese per svolgervi attività lavorativa.

 La circolare precisa quali titoli accademici - oltre alla laurea - consentono allo straniero che li consegue in Italia di convertire il permesso da studio a lavoro in modo che tutte le Prefetture adottino le stesse valutazioni sulla possibilità di prolungare, anche a tempo indeterminato, la permanenza per lavoro subordinato o autonomo.

Ecco l'elenco del Viminale:

 

 

2. Uscita e reingresso in fase di rinnovo e rilascio - E’ possibile rientrare da qualsiasi valico di frontiera

Importante novità contenuta in una circolare del Ministero dell’Interno. Con una circolare dell’11 marzo 2009, il Ministero dell’Interno ha introdotto una importante novità relativa alle modalità di uscita e reingresso nel territorio dello stato. In particolare, la circolare, che a differenza delle precedenti non riporta una data di scadenza, dispone che il rientro nel territorio, per chi è in fase di rilascio e rinnovo, possa essere effettuato anche attraverso un diverso valico di frontiera rispetto a quello di uscita.

Il problema è stato sottoposto all’attenzione del Ministero dal Consolato italiano a Spalato (Croazia) che ha evidenziato i problemi di rientro attraverso la frontiera slovena dopo la scadenza delle precedenti disposizioni in vigore fino al 31 gennaio 2009.
Dall’11 marzo cade quindi la limitazione che prevedeva la necessità di effettuare uscita e reingresso attraverso lo stesso valico di frontiera, ma permangono altre importanti e gravose limitazioni. L’ostacolo più evidente è quello che prevede l’impossibilità di effettuare transito nei paesi dell’area Schengen. Problematica non di poco conto se pensiamo che per molti paesi dell’Asia o dell’America latina non esistono voli diretti dall’Italia.

-  Scarica la circolare del Ministero dell’Interno dell’11 marzo 2009

Dal sito www.meltingpot.org

 

 

3. Certificazione del riconoscimento dello status di rifugiato

Il Ministero dell’Interno, con la circolare n. 1497 del 13 marzo 2009,  ha informato che la Commissione nazionale per il diritto di asilo ha deciso l'adozione, dal 20.11.2008, di una diversa tipologia di certificazione da rilasciare agli stranieri riconosciuti rifugiati.
In particolare, ha stabilito che al certificato di protezione internazionale sia eliminata la dizione "provvisorio" costituendo, il certificato stesso, atto esaustivo e finale del procedimento di riconoscimento della protezione internazionale .Al riguardo, la predetta commissione ha inviato, a titolo esemplificativo, gli allegati esemplari del tesserino desueto e dell'attuale modello di certificato che lo ha sostituito.

 

Scarica la circolare

 

 

4. Programmazione del flussi migratori

La circolare del Ministero dell’Interno n.6 del 20 marzo 2009 rende disponibile la suddivisione, a livello provinciale, delle 150mila quote del decreto flussi 2008. La distribuzione “generale” degli ingressi, che saranno utilizzati per ripescare domande inviate on line entro il 31 maggio, era già fissata nel decreto: 44.600 posti saranno destinati, indipendentemente dal settore lavorativo, agli ingressi dei cittadini dei  Paesi “riservatari”, gli altri invece andranno ai lavoratori domestici (colf, badanti e babysitter) delle “altre” nazionalità.

Scarica la circolare (.pdf)
Scarica il prospetto completo (.pdf)

 

Fonte : Metropoli - Repubblica

 

 

5. Anagrafe :  indicazioni dal Ministero dell’Interno sul Diritto di soggiorno dei cittadini dell'Unione europea

Con una serie di pareri emanati in risposta a rispettivi quesiti, il Ministero dell’Interno – Area Servizi Demografici indica agli uffici anagrafe dei Comuni di poter procedere all’iscrizione anagrafica dei cittadini comunitari famigliari di cittadini italiani (coniuge, genitore monoparentale con la custodia del minore cittadino italiano, figli di prime nozze del cittadino UE coniugato con cittadino italiano), sulla base della sola verifica del legame familiare con il cittadino italiano,  senza la verifica di ulteriori requisiti (ad es.  reddittuali). Questo sulla base dell’esigenza di tutela costituzionale della famiglia di cui all’art. 29 Cost.

 

 

 

GIURISPRUDENZA

 

 

 

ESPULSIONI

 

La Corte europea dei diritti dell’Uomo ritiene che l’espulsione di otto cittadini tunisini regolarmente residenti in Italia, decretata dal Ministero dell’Interno per ragioni di sicurezza nazionale, violerebbe l’art. 3 della Convenzione in quanto gli interessati, sottoposti a procedimento penale in Tunisia perché sospettati di appartenere ad organizzazioni terroristiche di matrice islamica, correrebbero il rischio in caso di rimpatrio di essere sottoposti a tortura o trattamenti inumani e degradanti.

 

La Corte europea dei diritti dell’uomo, con sede a Strasburgo,  con la sentenza n. 37257/06 emanata in data 24 marzo 2009, ha deciso che  l’eventualità dell’esecuzione del provvedimento espulsivo deciso dalle autorità italiane in data 1 settembre 2006 nei confronti di un cittadino tunisino, regolarmente residente in Italia, in virtù dell’art. 3 della legge n. 144/2005 (“Misure urgenti per combattere il terrorismo internazionale”),  costituirebbe una violazione dell’art. 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo perché esporrebbe l’interessato a seri rischi di essere sottoposto a tortura e trattamenti inumani o degradanti da parte delle autorità tunisine.

La Corte europea ha fondato il suo giudizio sulla base di rapporti di organismi internazionali che  indicano l’esistenza di numerosi casi di tortura cui sarebbero sottoposte le persone sospettate o condannate per fatti di terrorismo in Tunisia. Secondo la Corte europea, le rassicurazioni fornite dalle autorità tunisine, su sollecitazione delle autorità italiane,  che all’interessato verrebbe garantito il rispetto dei diritti umani fondamentali ed il diritto ad un procedimento penale equo ed imparziale, non sono in grado di offrire una protezione effettiva contro il rischio che l’interessato subisca forme di tortura e di maltrattamento in caso di rimpatrio, a fronte di evidenze di casi di tortura e maltrattamenti di imputati e indagati per reati di terrorismo fornite da rapporti di autorevoli organismi internazionali e dell’impossibilità accertata dell’interessato, in caso di detenzione da parte delle autorità tunisine, di avere diretto accesso a rappresentanti legali internazionali.

 

 

Il testo integrale in lingua francese  della sentenza della Corte europea di Strasburgo (Affaire O. c. Italie, caso n. 37257/06, sentenza 24 marzo 2009)

 

 

 

 

 

Da: wordpress.com : Articolo di Antonella Mascia

 

Strasburgo, 24 marzo 2009 – La CEDU ha emanato le proprie decisioni in otto casi contro l’Italia, accogliendo le richieste dei ricorrenti, tutti cittadini tunisini colpiti da decreto di espulsione. La CEDU ha accertato che se i ricorrenti venissero rinviati in Tunisia, ci sarebbe il rischio concreto che gli stessi possano essere sottoposti a tortura, in violazione dell’art. 3 della Convenzione. Si tratta dei ricorsi Abdelhedi c. Italie (n° 2638/07), Ben Salah c. Italia (n° 38128/06), Bouyahia c. Italia (n° 46792/06), C.B.Z. c. Italia (n° 44006/06), Darraji c. Italia (n° 11549/05), Hamraoui c. Italia (n° 16201/07), O. c. Italia (n° 37257/06), Soltana c. Italia (n° 37336/06). Nei casi Ben Salah, Darraji e Hamraoui, i ricorrenti invocano anche l’articolo 2 della Convenzione (diritto alla vita) e nei casi C.B.Z., O. e Soltana, i ricorrenti invocano l’articolo 8 della Convenzione (diritto al rispetto della vita privata e familiare) nei casi Bouyahia e Darraji, i ricorrenti invocano anche l’articolo 6 della Convenzione (diritto ad un processo equo).

In tema di espulsioni verso la Tunisia, si ricorda che l’Italia non aveva ottemperato alle indicazioni della CEDU nel caso Ben Khemais c. Italia (ricorso n° 246/07) dove l’Italia è stata condannata non solo per la violazione dell’articolo 3 (divieto di tortura e di trattamenti inumani o degradanti), ma anche per la violazione dell’articolo 34 (diritto di presentare un ricorso davanti alla CEDU) della Convenzione. L’Italia infatti non aveva rispettato l’impegno di non ostacolare in nessun modo l’esercizio del diritto di presentare efficacemente ricorso davanti alla CEDU.

Al caso ben Khemais, ne è seguito purtroppo un altro, quello del ex-imam tunisino, Mourad Trabelsi, condannato in Italia per terrorismo internazionale, espulso nel dicembre 2008 dalle autorità italiane verso la Tunisia, nonostante la CEDU avesse indicato all’Italia di non procedere.

In tutti i casi menzionati, la CEDU si riporta al precedente giurisprudenziale Saadi c. Italia, [GC], n. 37201/06, sentenza del 28 febbraio 2008. Leggendo infatti questa pronuncia si comprendono quali siano le condizioni reali esistenti in Tunisia, perché i diritti fondamentali sono compressi a tal punto da far temere che un principio fondamentale come il divieto assoluto di tortura o di trattamenti e pene inumani o degradanti, garantito dall’art. 3 della Convenzione, possa essere violato in quel Paese.

 

 

 

DIRITTI CIVILI E RICONGIUNGIMENTO FAMILIARE

 

La Corte di Cassazione esclude il diritto al ricongiungimento familiare per il cittadino extracomunitario legato da un’unione di fatto registrata all’estero con un cittadino italiano.

 

Corte di Cassazione, Prima sez. Civile, sentenza n. 6441 depositata il 17 marzo 2009.

 

La Corte di Cassazione nega il diritto al ricongiungimento familiare per le coppie omosessuali formate da un cittadino extra comunitario e da un cittadino italiano. L'attestazione di "coppia di fatto", rilasciata da uno stato straniero non è titolo sufficiente per ottenere il ricongiungimento anche se la convivenza de facto è stata riconosciuta con un regolare certificato da parte dello Stato di provenienza.


Con la sentenza n. 6441/2009, la Corte di Cassazione  ha definitivamente bocciato il ricorso di un cittadino neozelandese e di un italiano che avevano avanzato richiesta di conversione a favore del primo del titolo di soggiorno "per motivi di studio" in permesso "per motivi familiari" sulla base dell’unione di fatto creatasi fra i due soggetti sulla base della legislazione neozelandese.

Secondo la Corte di legittimità, la condizione di partner di fatto è diversa nel nostro ordinamento giuridico da quella di "familiare”. Quest’ultima  condizione può essere riconosciuta soltanto a soggetti legati da vincoli parentali e, solo in alcuni casi, anche di affinità. La possibilità di un’interpretazione   estensiva deve essere esclusa perché la corte costituzionale ha costantemente affermato la legittimità delle norme che non consentono di estendere alle convivenze di fatto la disciplina della famiglia legittima, anche con specifico riferimento alla normativa in materia di immigrazione (Dlgs 286/1998 che regolamenta espressamente la nozione di familiare "ai fini della disciplina del fenomeno migratorio comprendendo esclusivamente il coniuge, i figli minori, i figli maggiorenni non autosufficienti e i genitori privi di un adeguato sostegno) e in particolare con riferimento alla norma che limita il divieto di espulsione allo straniero coniugato, escludendo lo straniero moro uxorio ( sentenza. 313/2000).".


La Corte di Cassazione esclude inoltre che  la mancata estensione al cittadino extracomunitario omosessuale del diritto al ricongiungimento familiare  violi la Convenzione dei diritti dell'Uomo (art.12) o la Carta di Nizza. Quest’ultima, infatti, rinvia comunque alle "leggi nazionali" escludendo quindi il riconoscimento automatico di unioni familiari diverse da quelle previste dagli Stati membri.

 

 

CITTADINANZA ITALIANA

 

1) Il provvedimento con il quale viene negato l’acquisto della cittadinanza italiana per naturalizzazione non è carente di motivazione anche quanto  si limiti a richiamare un precedente atto  della P.A., ad es. nota dell’autorità di P.S., purchè tale atto venga messo a disposizione nel corso del giudizio, ad istanza di parte. Qualora sussistano motivi di riservatezza, che determinino l’apposizione del segreto di Stato, le note possono anche  essere non esplicitate nell’atto di diniego senza determinare l’illeggittimità per carenza di motivazione. La frequentazione di  persone e l’allacciamento di rapporti con associazioni politiche estremistiche nei Paesi di origine (ad es. Hezbollah in Libano) ovvero la sussistenza di ragionevoli sospetti  di   appartenenza dell’interessato ad organizzazioni estremiste mediorientali giustificano l’adozione di provvedimenti ostativi alla naturalizzazione italiana.

 

TAR Lazio, Sez. I ter, Sentenza n. 2236 dd. 4 marzo 2009;

Consiglio di Stato, sez. VI, Decisione n. 1173 dd. 02 marzo 2009

 

 

2) Nella valutazione dei requisiti  reddittuali ai fini del riconoscimento della cittadinanza italiana per naturalizzazione, occorre considerare il reddito prodotto dall’intero nucleo familiare e non solo quello dell’istante.

 

Consiglio di Stato, sez. VI, Decisione n. 1175 dd. 2 marzo 2009.

 

3) E’ legittimo il provvedimento di  diniego all’acquisto della cittadinanza italiana per naturalizzazione adottato nei confronti di una cittadina straniera che non abbia prodotto copia delle dichiarazione dei redditi degli ultimi tre anni, giustificandosi  con il fatto che l’attività di lavoro domestico  da lei esercitata non prevede detta dichiarazione, quando l’interessata non è in grado nemmeno di attestare  l’iscrizione nella categoria Inps relativa alla suddetta attività lavorativa.

 

TAR Lazio, sez. I, Sentenza n. 1245 dd. 06 febbraio 2009

 

 

4) Il Ministero dell’Interno non può adottare un provvedimento di diniego alla concessione della cittadinanza italiana per matrimonio per  ragioni di sicurezza nazionale trascorso il termine di due anni dalla data di presentazione dell’istanza; termine che la legislazione prevede come inderogabile. Se lo fa, il provvedimento è illegittimo.

 

TAR Lazio, sez. I ter, Sentenza n. 2238 dd. 04 marzo 2009

 

 

 

GIURISPRUDENZA PENALE

 

1)    L’espulsione di cui all’art. 16, V° comma del d.lgs. n. 286/98 quale sanzione sostituiva alla detenzione, prevista su richiesta dello straniero detenuto che debba scontare una pena detentiva, anche residua, non superiore a due anni, in relazione ad una condanna per uno o più delitti con esclusione di quelli previsti dall’art. 407 , comma  2 del c.p.p., costituisce un diritto dello straniero ed esclude pertanto un potere discrezionale del giudice, nonché ugualmente un potere inibitorio del Pubblico Ministero.

 

Corte di Cassazione, Sez. I penale, Sent. n. 10752 dd. 11 marzo 2009

 

 

2)    Va assolto lo straniero imputato di  detenzione e commercio di cd e dvd privi del contrassegno SIAE perché il fatto non costituisce reato. Ciò alla luce dell’interpretazione fornita dalla Corte di Giustizia Europea con la sentenza  dd. 08.11.2007 (causa C-20/05) per cui l’apposizione del contrassegno SIAE in vista della commercializzazione del prodotto costituisce una regola “tecnica” suscettibile di notifica da parte dello Stato membro alla Commissione Europea ai sensi della direttiva n. 98/34/CE.  Tale obbligo è stato disatteso dallo Stato italiano, rendendo di conseguenza non opponibile al privato la normativa che prevede l’obbligo del contrassegno.

 

Tribunale di Roma, sezione distaccata di Ostia, sentenza dd. 3 dicembre 2008

 

 

LIBERTA’ RELIGIOSA E USO DEI SIMBOLI RELIGIOSI

 

DAL SITO WEB: www.olir.it

 

Tribunale Penale, Sentenza 19 febbraio 2009 (Simboli religiosi ed esclusione della configurabilità del reato di porto ingiustificato di armi od oggetti atti ad offendere - Tribunale Penale)

 

Abstract: Il Tribunale di Cremona ha assolto un indiano sikh dal reato di porto ingiustificato di armi od oggetti atti ad offendere (art. 4 l. 18 aprile 1975 n. 110) per avere portato con sé fuori dalla propria abitazione un pugnale kirpan della lunghezza complessiva di 17 cm (di cui 10 di lama), calzato in un fodero. L’indiano era stato fermato dalle forze dell’ordine mentre si trovava all’interno di un centro commerciale, vestito con una tunica bianca e con un turbante. Una volta fermato, aveva subito giustificato il porto del pugnale kirpan affermandone la natura di simbolo religioso: una circostanza ha trovato riscontro durante il processo, dove è risultato provato, anche grazie a un certificato del Consolato generale dell’India, che per i sikh il kirpan è simbolo della resistenza al male e che deve essere sempre portato in modo visibile. Il porto di quel pugn ale costituisce quindi, secondo il Tribunale di Cremona, un segno distintivo di adesione ad una regola religiosa e, quindi, una modalità di espressione della fede religiosa, garantita dall’art. 19 Cost. oltre che da plurimi atti internazionali. Il motivo religioso del porto del pugnale kirpan da parte dell’indiano sikh costituisce, questa la conclusione, un “giustificato motivo” che esclude la configurabilità del reato ascritto.

 

Tribunale Penale, Ordinanza 26 febbraio 2009 (Simboli religiosi e poteri di disciplina dell'udienza ex art. 470 c.p.p. Rifiuto dell'imputato di presenziare in aula a capo scoperto)

 

Abstract: Un’ordinanza del G.i.p. di Milano, pronunciata nel corso di un processo per terrorismo internazionale, ha affermato che qualora un imputato islamico indossi all’interno dell’aula del tribunale un tradizionale copricapo, il giudice può invitarlo a toglierlo, atteso che per consolidata prassi istituzionale nessuno può presenziare in udienza a capo coperto, ad eccezione delle Forze dell’Ordine adibite alla sicurezza dell’udienza. Non sarebbe ravvisabile alcuna violazione del diritto di difesa se poi, come è avvenuto nel caso di specie, dopo aver dichiarato che il copricapo è un simbolo religioso l’imputato rifiuta l’invito del giudice e, pur di non togliersi il copricapo, rinuncia a partecipare all’udienza senza essere allontanato coattivamente.
L’ordinanza non dà conto e non affronta il problema, cruciale, della rilevanza del motivo religioso fatto valere dall’imputato (tunisino) che, invitato dal giudice a togliersi il copricapo avrebbe risposto: “è un simbolo religioso, anche tu giudice porti la croce” (lo si apprende dalla stampa: cfr. l’articolo Via quel turbante. Islamico si ribella al giudice. E’ un simbolo religioso, non me lo levo, ne La Repubblica del 27 febbraio 2009, p. 17). Il G.i.p., senza considerare il diritto dell’imputato a professare liberamente la propria fede religiosa, ha giustificato l’ordine di togliere il copricapo all’interno dell’aula del tribunale sulla base dei poteri di disciplina dell’udienza attribuitigli dall’art. 470 c.p.p. a tutela del decoro e del rispetto dell’Autorità Giudiziaria: prassi istituzionale vorrebbe che nessuno presenzi in udienza a capo coperto, ad eccezione delle forze dell’ordine adibite alla sicurezza dell’udienza. Con buona pace della libertà di professare la propria fede religiosa.

 

 

NEWS ED INFORMAZIONI GIURIDICHE

 

1. Il Difensore Civico della Regione Emilia-Romagna interviene per ribadire il diritto di accesso degli stranieri extracomunitari ai concorsi pubblici indetti dalla Regione e dagli Enti locali nella Regione Emilia Romagna.

 

BOLOGNA – 23/03/2009 - Gli immigrati legalmente residenti in Italia non possono essere discriminati sul lavoro in base alla cittadinanza. Alcune segnalazioni pervenute dai rappresentanti provinciali del gruppo tecnico “centro regionale contro le discriminazioni” hanno evidenziato varie situazioni di portata regionale, identificando il Difensore Civico regionale quale interlocutore unico, capace di intervenire in maniera organica, dando piena attuazione alla L.R. n. 5/2004 “Norme per l’integrazione Sociale dei Cittadini Stranieri Immigrati”. Questa legge, all’articolo 9 (comma 3) recita: “Regione, Province e Comuni, anche mediante l'attivazione del Difensore civico, promuovono a livello locale azioni per garantire il corretto svolgimento dei rapporti tra cittadini stranieri e pubbliche amministrazioni, con particolare riguardo alla trasparenza, alla uniformità ed alla comprensione delle procedure”.
Una delle prime questioni cui il Difensore civico è stato chiamato a dare risposta, riguarda la legittimità dei bandi di concorso emanati da alcune amministrazioni comunali, che contemplano tra i requisiti imprescindibili di partecipazione quello della cittadinanza italiana. In particolare, è stato chiesto se tale previsione normativa sia in linea coi principi generali del nostro ordinamento giuridico, con la legislazione recente in materia di immigrazione e con la posizione assunta sul punto dalla Regione Emilia-Romagna.

 La legge 943/1986, n. 943 ha disciplinato la materia del collocamento e trattamento dei lavoratori extracomunitari immigrati, garantendo a “tutti i lavoratori extracomunitari legalmente residenti in Italia e alle loro famiglie parità di trattamento e piena eguaglianza di diritti rispetto agli italiani”. Una volta chiarito che tali disposizioni risultano in evidente conflitto con i principi e le norme in materia, sottolineando come le collaborazioni esterne (co.co.co.) attivate dalla Pubblica Amministrazione configurino una tipologia contrattuale riferibile al lavoro autonomo, e come la Regione Emilia-Romagna non richieda il requisito della cittadinanza neppure per la sottoscrizione di contratti di lavoro a tempo indeterminato (ferme restando le disposizioni in materia di permessi di soggiorno), il Difensore si è attivato presso gli Enti segnalati.

A seguito del suo intervento, un Comune della Romagna che aveva previsto il requisito della cittadinanza nel proprio Regolamento in materia di accesso agli organici, ha immediatamente provveduto a modificarlo, tenendo come riferimento quello regionale, mentre altri Comuni che lo avevano inserito all’interno di bandi di concorso ormai scaduti, hanno assunto l’impegno di correggere quelli di futura emanazione. (rg)

a cura di: Ufficio Stampa dell'Assemblea Legislativa Regione Emilia Romagna

 http://assemblealegislativa.regione.emilia-romagna.it/al/comunicatistampa/visualizza.asp?id_comunicato=28658

 

 

 

CONVEGNI E SEMINARI FORMATIVI

 

 

9 maggio 2009, TRIESTE - Seminario ASGI: Trattamento giuridico dei simboli religiosi

L'ASGI organizza a Trieste il giorno sabato 9 maggio 2009 un seminario di studi su: "Quale riconoscimento e trattamento dei simboli e delle pratiche religiose degli immigrati nel mondo del lavoro e nella società multiculturale ?".

Il seminario è organizzato con il sostegno finanziario della Regione Autonoma Friuli-Venezia Giulia e con la collaborazione dell'ARCI servizio civile del FVG.


Il seminario si rivolge prioritariamente agli avvocati e consulenti legali, agli operatori della Pubblica Amministrazione e alla rete locale dei servizi pubblici e convenzionati per i cittadini immigrati, ai rappresentanti delle associazioni di volontariato e delle comunità di immigrati e più in generale a tutti coloro che hanno un interesse nella materia.
La partecipazione al seminario è libera e gratuita fino all’esaurimento dei posti a disposizione.

 

Ai soci dell’ASGI verrà data priorità nell’iscrizione al seminario, purchè la richiesta di iscrizione sia inviata entro e non oltre l’11 aprile 2009.


Ai partecipanti verrà messo a disposizione materiale informativo e giurisprudenziale relativo ai temi del seminario.


Per iscriversi al seminario, inviare l’allegata scheda di partecipazione, debitamente compilata, al seguente indirizzo mail : walter.citti@asgi.it

A.S.G.I. – Ufficio di Trieste, Via Fabio Severo, 31 34100 Trieste (tel.-fax. 040 368463)

Verrà rilasciato ai presenti un attestato di partecipazione.


CREDITI FORMATIVI

E’ stato richiesto l’accreditamento del seminario presso il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Trieste con l’inserimento nel programma di formazione permanente per avvocati e praticanti legali e l’assegnazione dei relativi crediti formativi.

Il programma del seminario

La presentazione del seminario

La scheda di adesione al seminario

 

 

DOCUMENTI, RAPPORTI E RISOLUZIONI DI ORGANISMI NAZIONALI ED INTERNAZIONALI

 

 

1.Guida alla procedura per il riconoscimento dello status di rifugiato. Vademecum per i richiedenti la protezione internazionale in Italia curato dal Ministero dell’Interno, aggiornato con le modifiche introdotte dal d.lgs. n. 159 dd. 3 ottobre 2008.

 

Il vademecum si prefigge di  facilitare l’orientamento, attraverso le procedure amministrative, dei richiedenti protezione internazionale.

Il documento è stato elaborato dalla Commissione nazionale per il diritto di asilo, dal Servizio Centrale del Sistema di Protezione per richiedenti asilo e rifugiati, da Unhcr – Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, dall’Asgi – Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione, con la supervisione del Dipartimento per le Libertà Civili e l’Immigrazione del ministero dell’Interno.

Il testo del vademecum, indirizzato principalmente a stranieri, sarà disponibile nelle 10 lingue in cui è prevista la diffusione (italiano, inglese, francese, spagnolo, arabo, tigrigno, amarico, somalo, farsi, curdo).

 

2. ILO International Labour organization, Report III(IA) - Report of the Committee of Experts on the Application of Conventions and Recommendations (le osservazioni sull’Italia alle pagine 644-645 del rapporto)

 

 

ROMA - "È evidente e crescente l'incidenza della discriminazione e delle violazioni dei diritti umani fondamentali nei confronti degli immigrati in Italia. Nel paese persistono razzismo e xenofobia anche verso richiedenti asilo e rifugiati, compresi i Rom. Chiediamo al governo di intervenire efficacemente per contrastare il clima di intolleranza e per garantire la tutela ai migranti, a prescindere dal loro status".

Sono insolitamente dure e nette le parole che il Comitato di esperti dell'Ilo, l'Organizzazione internazionale del lavoro, agenzia Onu, usa per descrivere il trattamento degli immigrati in Italia e la violazione di alcune norme internazionali.

 Come ogni anno, a marzo, esce il rapporto dell'ILO sull'applicazione degli standard internazionali del lavoro e quest'anno la pagina che riguarda l'Italia denuncia un comportamento senza precedenti per un paese europeo democratico, perché contravviene alla convenzione 143, quella sulla "promozione della parità di opportunità e di trattamento dei lavoratori migranti", ratificata dal nostro paese nel 1981.

Il Comitato dell'ILO, formato da venti giuslavoristi provenienti da tutto il mondo, verifica costantemente l'osservazione delle norme da parte dei governi e in questo caso richiama l'esecutivo italiano all'applicazione dei primi articoli della convenzione 143, cioè al "rispetto dei diritti umani di tutti gli immigrati, senza alcuna distinzione di status".

Inoltre, il governo ha l'obbligo di assicurare anche ai migranti occupati illegalmente il diritto a condizioni eque di lavoro e di salario, oltre che la tutela contro ogni forma di discriminazione. Le critiche e le richieste dell'Ilo si basano su quanto riportato dal Comitato consultivo della convenzione quadro per la protezione delle minoranze nazionali in Europa (Acfc), che aveva già denunciato le dure condizioni di detenzione per gli immigrati irregolari, in attesa di rimpatrio.
Ma si basano anche sulle osservazioni di un altro organismo dell'Onu per l'eliminazione della discriminazione razziale (Cerd), che ha rilevato "gravi violazioni dei diritti umani verso i lavoratori migranti dell'Africa, dell'Est Europa e dell'Asia, con maltrattamenti, salari bassi e dati in ritardo, orari eccessivi e situazioni di lavoro schiavistico in cui parte della paga è trattenuta dall'impresa per un posto in dormitori affollati senza acqua né elettricità". I rapporti Onu mettono in evidenza anche i "continui dibattiti razzisti e xenofobi essenzialmente contro immigrati non europei, discorsi ispirati dall'odio contro gli stranieri e maltrattamenti delle forze di polizia verso i Rom, specialmente quelli di origine romena, durante i raid per lo sgombero dei campi". Insomma, una lunga lista di accuse che vanno dalla questione delle impronte digitali alla "retorica discriminatoria di alcuni leader politici che associano i Rom alla criminalità, creando nella pubblica opinione un clima diffuso di ostilità, antagonismo sociale e stigmatizzazione". Pertanto, il Comitato di esperti dell'Ilo non può che esprimere "profonda preoccupazione" e invita il governo italiano a prendere "le dovute misure affinché ci sia parità di trattamento, nelle condizioni di lavoro, per tutti i migranti", oltre che misure per "migliorare, nella pubblica opinione, la conoscenza e la consapevolezza della discriminazione, facendo accettare i migranti e le loro famiglie come membri della società a tutti gli effetti". Il documento si conclude con la richiesta al governo di rispondere punto per punto alle osservazioni fatte entro la fine del 2009.


di Vittorio Longi, da  www.repubblica.it

 

3. Risoluzione del Parlamento europeo sulla situazione sociale dei rom e su un loro miglior accesso al mercato del lavoro nell'Unione europea, 11 marzo 2009 (2008/21 37 (INI)

 

4. Pubblicata la ricerca  promossa dalla Fondazione  dell’ANCI  - Cittalia  relativa alle ordinanze sindacali emesse dopo la modifica dell'art. 54 TUEL operata dalla legge n. 125/2008: “Oltre alle ordinanze. I Sindaci e la sicurezza urbana”.

Scarica la Ricerca Oltre le ordinanze : I sindaci e la sicurezza urbana 

La pubblicazione è il frutto di un lungo lavoro di indagine e di analisi promosso dall’ANCI e dalla Fondazione Cittalia in materia di sicurezza urbana. All’indomani del varo della legge 125/2008, l’ANCI e Cittalia hanno avviato una ricognizione sulle ordinanze emesse dai sindaci in tema di sicurezza urbane e hanno così dato vita ad una Banca dati che oggi consente di monitorare l’utilizzo dei nuoi poteri attribuiti ai sindaci su scala nazionale. Al contempo, ANCI e Cittalia hanno effettuato un’indagine presso i comuni italiani per verificare quali sono gli interventi che i sindaci considerano prioritariamente necessari per rafforzare la sicurezza sul territorio e quali gli strumenti di intervento più efficaci a questo scopo.

Delle oltre 600 ordinanze raccolte, 510 sono quelle analizzate nella pubblicazione. Sono 318 i Sindaci che hanno firmato le nuove ordinanze sulla sicurezza urbana. Si tratta principalmente di sindaci dei comuni piccoli e medi: il 24% delle ordinanze è stato emanato in comuni con popolazione compresa tra 5.000 e 15.000 abitanti, il 28% tra 15mila e 50mila e il 12% tra 50mila e 100mila. I comuni di grandi dimensioni, quelli con oltre 250 mila abitanti hanno emesso solo l’8% del totale delle ordinanze presenti nella banca dati. Tuttavia, se si considera che in Italia solo 12 comuni hanno una popolazione superiore a 250.000 emerge un quadro piuttosto differente. Infatti, ben 9 comuni di questa fascia dimensionale hanno emesso un’ordinanza, pari quindi al 75% del totale. Analogamente i comuni con popolazione tra 100mila e 250mila, in cui sono stati l’81% dei Sindaci ad emanare un provvedimento. Al contrario sono solo il 5,7% dei comuni con popolazione tra 5mila e 15mila abitanti e l’1% dei piccoli comuni ad aver assunto provvedimenti in materia di sicurezza urbana.

Il 66,4% delle ordinanze è stata emesso da Sindaci di Comuni del Nord Ovest e del Nord Est (rispettivamente il 39,9% e 26,5%), mentre solo il 6,7% delle ordinanze dai Sindaci dei Comuni delle Isole, mentre nel Centro e Sud le ordinanze emesse sono rispettivamente l’11,8% e il 15,1% del totale.

Rispetto agli ambiti di intervento, il tema maggiormente trattato è quello della prostituzione (16%), seguono l’abuso di alcolici, il vandalismo e l’accattonaggio molesto. Più limitati appaiono invece gli interventi volti a contrastare fenomeni di bivacco, i lavavetri, il consumo e lo spaccio di stupefacenti e i parcheggiatori abusivi. Generalmente la totalità della collettività è destinataria dei contenuti delle ordinanze (69%). Solo nel 12% dei casi, i contenuti sono indirizzati ad esercenti di attività commerciali, associazioni, centri ricreativi e culturali.

Su questo stesso argomento è stata realizzata anche un’analisi che indaga la percezione dell'insicurezza su un campione di 3.700 cittadini residenti in undici città italiane, attraverso un sondaggio - condotto da Swg.

 

5. Rapporto di Thomas Hammarberg, Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa sulla sua visita in Italia (13-15 gennaio 2009)

Si ringrazia per l’invio il  Comitato per i Diritti Umani.

 

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