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ASGI

6 marzo 2009

 

 

SEGNALAZIONI NORMATIVE E GIURISPRUDENZIALI

 

 

ATTIVITA’ DELL’ASGI

 



1. BONUS BEBE': Respinto il reclamo del Comune di Brescia.


Il Bonus bebè ai soli nuclei familiari di cittadini italiani ovvero in cui almeno uno dei genitori sia cittadino italiano è illegittimo in quanto discriminatorio. E' questa la conclusione cui è giunto il Tribunale di Brescia in composizione collegiale, respingendo il reclamo presentato dal Comune di Brescia avverso il provvedimento assunto in primo grado dal giudice del lavoro di Brescia a seguito dell'azione giudiziaria anti-discriminazione promossa dall'ASGI e dalla CGIL di Brescia.



Il tribunale di Brescia ha concluso che il bonus bebè previsto da una delibera del comune di Brescia a favore dei soli nuclei familiari di cittadini italiani o in cui almeno uno dei genitori sia cittadino italiano, per i nuovi nati nell'anno 2008, costituisce a tutti gli effetti una prestazione sociale finalizzata al sostegno delle famiglie e, pertanto, deve essere assoggettata al principio di parità di trattamento di cui all'art. 3 del d.lgs. n. 215/2003, con il quale è stata recepita in Italia la direttiva europea in materia di contrasto alle discriminazioni su base etnica e razziale (Direttiva n. 2000/43/CE).

Di conseguenza, il tribunale di Brescia ha respinto il reclamo presentato dall'amministrazione comunale contro la decisione in primo grado assunta dal giudice del lavoro di Brescia.
E' stata dunque confermata la decisione del giudice del lavoro di Brescia, con la quale è stato ordinato all'amministrazione comunale di rimuovere gli effetti discriminatori della delibera, estendendo l'accessibilità alla prestazione sociale del bonus bebè anche ai cittadini stranieri residenti sul territorio del comune di Brescia. Ugualmente confermata anche la misura accessoria dell'obbligo del comune di Brescia di pubblicare a proprie spese il testo dell'ordinanza su un quotidiano di tiratura nazionale, nonchè il pagamento delle spese generali processuali e legali.

Si ricorda che a seguito dell’ ordinanza del giudice del lavoro di Brescia (n. 335 dd. 26 gennaio 2009), con cui era stato accolto il ricorso presentato per conto di due coppie di genitori stranieri dagli avv. Alberto Guariso e Alessandro Zucca dell’ASGI, con l’assistenza della CGIL di Brescia, con delibera n. 46 del 30.1.09, la Giunta Comunale di Brescia ha deciso di “revocare…la propria deliberazione n.1062/52053”. Si legge in detta delibera che “l’estensione del beneficio a tutti gli stranieri in possesso dei requisiti risulterebbe in contrasto con la finalità prioritaria di sostegno alla natalità delle famiglie di cittadinanza italiana che si prefiggeva questa amministrazione con l’adozione dell’atto impugnato” ; che la revoca della delibera si impone “non potendo darvi attuazione con le finalità originariamente previste”; che comunque “si procederà a ricercare forme diversificate e giuridicamente sostenibili di valorizzazione della maternità e della promozione della natalità e, più in generale, ad individuare efficaci strumenti di sostegno economico per le famiglie di cittadinanza italiana che, comunque, rimangono tra gli obiettivi di governo preminenti di questa Amministrazione”. In altre parole, la revoca è avvenuta non al fine di adeguarsi ai principi enunciati nel provvedimento giudiziario del 26.1.09, ma esattamente con lo scopo opposto, cioè di poter perseguire il medesimo fine che era stato posto a base della prima delibera.
Contro questa seconda delibera del comune di Brescia, l'ASGI e la CGIL hanno presentato un ulteriore ricorso ex art. 44 del T.U. immigrazione (azione giudiziaria anti-discriminazione). Tale ricorso verrà esaminato dal giudice del lavoro di Brescia nei prossimi giorni.
L’ASGI ha ulteriormente presentato un esposto alla Commissione europea in quanto “Pare alla Associazione esponente che le due delibere (la prima laddove conferisce il beneficio, la seconda nella parte in cui ne preannuncia la futura concessione) confliggano in più punti con l’ordinamento comunitario“. Anche l’europarlamentare Donata Gottardi ha presentato un’interrogazione al parlamento europeo.“Il Comune di Brescia vuole scavalcare la legge, inserendo principi di distinzione non previsti” sottolinea l’avvocato Alberto Guariso (Asgi). “Così sollecita a una divisione e a un conflitto sociale del quale non c’è davvero bisogno. E fa passare il messaggio, sbagliato e pericolosissimo, che le azioni di parità sono un danno per tutti” .

Il testo dell'ordinanza del Tribunale di Brescia dd. 20.02.2009

 

 

 

 

 

 

 

 

2. DISCRIMINAZIONI - Esposto ASGI alla Commissione europea


La sez. reg. del FVG dell'ASGI ha inviato un esposto alla Commissione Europea affinchè valuti se sussistano i presupposti per avviare un procedimento di infrazione nei confronti della Repubblica Italiana per violazione degli obblighi comunitari in relazione a tre provvedimenti legislativi approvati dal Consiglio Regionale del Friuli Venezia Giulia nel corso dell'attuale legislatura. L'ASGI ritiene che tali normative siano in contrasto con i principi di parità di trattamento e di non discriminazione di cui alle norme del diritto comunitario.

Si tratta innanzitutto della nuova legislazione regionale in materia di requisiti per l'assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica, che prevede la condizione della residenza anagrafica decennale sul territorio italiano, di cui almeno cinque nel territorio regionale, nonchè una previsione di progressività nell'attribuzione dei punteggi in base agli anni di residenza anagrafica nel Fvg (art. 38 L.r. n. 16/2008 dd. 5 dicembre 2008).
La seconda normativa regionale segnalata dall'ASGI alla Commissione europea riguarda i requisiti per l'accesso alle prestazioni sociali volte a contrastare la povertà ed il disagio sociale di cui all'art. 9 della L.r. n. 9/2008 dd. 14 agosto 2008. In base alla suddetta normativa, tali prestazioni assistenziali sono riservate unicamente ai cittadini italiani e dell'Unione Europea residenti sul territorio regionale da almeno 36 mesi, escludendone completamente i cittadini di paesi terzi non appartenenti all'Unione Europea. La terza normativa regionale del FVG segnalata dall'ASGI alla Commissione Europea è quella che ha introdotto l'assegno per il sostegno alla natalità, di cui all'art. 10 comma 25 della L.r. n. 17/2008 (legge finanziaria 2009), limitandone i destinatari ai nuclei familiari di cui almeno un genitore sia residente o abbia svolto attività lavorativa da almeno dieci anni nel territorio nazionale, di cui almeno cinque nel territorio regionale. Nelle sue memorie accompagnatorie, l'ASGI sostiene che tali normative confliggono con il divieto di discriminazioni dirette e/o indirette o dissimulate (ad es. fondate sul criterio della residenza di lunga durata), in relazione a quelle situazioni protette dal diritto comunitario (principio di parità di trattamento in materia di alloggio e assistenza sociale a favore dei cittadini comunitari e loro famigliari, dei cittadini di paesi terzi titolari del permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti, dei rifugiati politici o titolari della protezione sussidiaria). Per tali ragioni, l'ASGI sollecita la Commissione europea ad avviare, ai sensi dell'art. 226 del Trattato CE, una procedura di infrazione nei confronti della Repubblica Italiana per violazione degli obblighi comunitari. A seguito della segnalazione dell’ASGI, la parlamentare europea Donata Gottardi (Gruppo parlamentare del PSE) ha presentato tre interrogazioni alla Commissione Europea. Il testo delle interrogazioni è disponibile sul sito web: http://www.donatagottardi.net/appunti.htm#Anchor-INTERROGAZION-19911


Il testo della memoria inviata dall'ASGI alla Commissione Europea sulla normativa regionale Fvg in materia di assegnazione degli alloggi di ERP



Il testo della memoria inviata dall'ASGI alla Commissione Europea sulla normativa regionale del Fvg in materia di prestazioni sociali per il contrasto alla povertà

 

Il testo della memoria inviata dall'ASGI alla Commissione Europea sulla normativa regionale del Fvg in materia di assegno per il sostegno alla natalità

 

 

NOVITA’ GIURISPRUDENZIALI

 

 

CITTADINANZA

 

Storica sentenza della Corte di Cassazione che afferma il diritto al riconoscimento giudiziale della cittadinanza italiana ai discendenti delle donne, già cittadine italiane, che hanno perduto lo status civitatis per effetto di matrimonio con cittadino straniero anteriormente al 1 gennaio 1948.


Sentenza n. 4466 del 25/02/2009 Cassazione Sezioni Unite Civili, Presidente V. Carbone, Relatore F. Forte 

 

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, mutando orientamento rispetto alla pronuncia n. 3331 del 2004, hanno stabilito che, per effetto delle sentenze della Corte Costituzionale n. 87 del 1975 e n. 30 del 1983,  deve essere riconosciuto, in sede giudiziale, ed automaticamente il diritto allo “status” di cittadino italiano alla donna che l’abbia perduta per essersi coniugata con cittadino straniero anteriormente al 1 gennaio 1948,  così come al figlio della donna nella situazione descritta, anche se nato prima di tale data e  nel vigore della L. 255/1912; così ugualmente per i discendenti  diretti.

Pur condividendo il principio dell’incostituzionalità sopravvenuta, secondo il quale la declaratoria d’incostituzionalità delle norme precostituzionali produce effetto soltanto sui rapporti e le situazioni non ancora esaurite alla data del 1° gennaio 1948, non potendo retroagire oltre l’entrata in vigore della Costituzione, la Corte di Cassazione afferma che il diritto di cittadinanza in quanto “status” permanente ed imprescrittibile, salva l’estinzione per effetto di rinuncia da parte del richiedente, è giustiziabile in ogni tempo (anche in caso di pregressa morte dell’ascendente o del genitore dai quali deriva il riconoscimento) per l’effetto perdurante anche dopo l’entrata in vigore della Costituzione dell’ illegittima privazione dovuta alla norma discriminatoria dichiarata incostituzionale

La sentenza della Cassazione nasce dal ricorso di una donna nata al Cairo e nipote di un'italiana che all'inizio del '900 aveva perso la cittadinanza per aver sposato un egiziano.

In pratica, per effetto della sentenza della Suprema Corte,  tutti i discendenti in linea retta delle cittadine italiane che dal 1912 sono emigrate e si sono sposate con stranieri prima del  1948, perdendo la cittadinanza italiana prima dell’entrata in vigore della Costituzione italiana, potranno richiedere ora giudizialmente il riconoscimento della cittadinanza italiana.

 

SOGGIORNO

1. Il permesso di soggiorno rilasciato per motivi religiosi può essere convertito in permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato. Sebbene  il permesso di soggiorno per motivi religiosi non è tra quelli espressamente contemplati nell’art. 14 del D.P.R. n. 394/99, per i quali è consentita la conversione, la norma non può interpretarsi nel senso che solo le menzionate tipologie di soggiorno possano essere oggetto di conversione. A queste conclusioni giunge il TAR Lazio.

TAR Lazio, sentenza n 1206 depositata il 6 febbraio 2009, KJT – Ministero dell’Interno.

Il Tar Lazio con sentenza n.1206 del 06 Febbraio 2009 ha accolto il ricorso di una giovane indiana che aveva chiesto la conversione del suo permesso di soggiorno, originariamente per motivi religiosi, in un permesso di lavoro subordinato e che la Questura di Roma aveva prontamente rifiutato. La donna era entrata regolarmente in Italia perché appartenente all'Istituto Figlie di N.S. di Misericordia di Savona nel 1999 e grazie anche al permesso ottenuto aveva sempre lavorato come infermiera presso istituti privati. Nel 2006, otteneva la dispensa dai voti e a sua volta chiedeva la conversione di tale permesso in motivi di lavoro subordinato, fuori dal regime delle quote ex art. 27 T.U. immigrazione,  in relazione all’attività lavorativa di infermiera professionale. Per la questura però il nuovo permesso di soggiorno non poteva essere rilasciato perché il permesso per motivi religiosi non rientrava tra quelli che la norma di settore elenca come convertibili. Il TAR Lazio ha respinto l’argomentazione della questura.

 

2. Secondo il Consiglio di Stato, la comunicazione preliminare  - ai sensi dell’art. 10-bis della legge n. 241/90 - dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno va effettuata anche nei casi in cui venga riscontrata la mancata veridicità del rapporto di lavoro dichiarato in sede di presentazione dell’istanza.

Consiglio di Stato, Consiglio di Stato - Sezione sesta - decisione 18 novembre 2008 - 2 febbraio 2009, n. 552 Presidente Barbagallo - Relatore Chieppa Ricorrente Ben Achour Ali Ben Salem

Massima: “In presenza di una istanza di rinnovo del permesso di soggiorno, l’accertamento dell’insussistenza del rapporto lavorativo dichiarato può condurre al diniego, “sempre che non siano sopraggiunti nuovi elementi che ne consentano il rilascio” (art. 5, comma 5, D. Lgs. n. 286/98); di conseguenza, rispetto all’accertamento dell’insussistenza del lavoro, il provvedimento di diniego non costituisce atto vincolato in relazione alla situazione esistente al momento della richiesta, potendo essere sopravvenuto un rapporto di lavoro che consenta il rilascio del permesso. Non si tratta qui di limitarsi a verificare la sussistenza di una circostanza obiettivamente ostativa (come, ad es., una condanna penale), ma di valutare un elemento, su cui possono incidere le sopravvenienze e rispetto al quale l’interessato può fornire - se coinvolto in sede procedimentale - gli opportuni chiarimenti, soprattutto nei casi, in cui l’amministrazione non è in grado di rispettare i tempi procedimentali previsti dall’art. 5, comma 9, D. Lgs. n. 286/98)”.

Si ringrazia l’avv. Francesco Di Pietro per la segnalazione.



ASILO E PROTEZIONE INTERNAZIONALE

 

Applicazione del Regolamento Dublino – Sospensione del trasferimento in Grecia di richiedenti asilo afghani

 

Consiglio di Stato, ordinanza dd. 3 febbraio 2009, n. 224/2009

 

La sesta sezione del Consiglio di Stato, con ordinanza del 3 febbraio 2009, ha accolto la richiesta di sospensione del trasferimento in Grecia di tre ragazzi afghani, decretata dal Ministero dell'Interno ai sensi della Convenzione di Dublino (regolamento CE, nr. 343/2003), in riforma della precedente ordinanza di segno opposto emessa dal Tar Lazio. Come si legge nella pronuncia, la sospensione del trasferimento dei rifugiati afghani è stata decisa "rilevato che, alla luce dei danni paventati dal ricorrente, che si palesano gravi e irreparabili per come la situazione è rappresentata nel rapporto dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati pubblicato il 15 aprile 2008, l'istanza cautelare deve essere accolta, ai fini della valutazione, da parte dell'amministrazione, relativa all'applicazione dell'art. 3, paragrafo 2, del regolamento Ce nr. 343/2003".Il Consiglio di Stato ha dunque recepito l'invito formulato dall'UNHCR ai governi dei Paesi membri dell'Unione Europea (già accolto dal Tar Puglia, sentenza 14 maggio 2008, e dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, pronuncia del 18 novembre 2008) ad astenersi dal trasferire richiedenti asilo in Grecia, in ragione delle gravi, ripetute ed ingiustificabili violazioni della normativa comunitaria e dei diritti umani perpetrate in tale Stato. Il provvedimento ministeriale di trasferimento è stato quindi sospeso affinché l'Amministrazione valuti l'applicazione del disposto dell'art. 3, paragrafo 2, Convenzione di Dublino e dunque dichiari la competenza a decidere sulle domande di protezione internazionale dei profughi afgani in capo allo Stato italiano

 

A cura dell’avv. Maurizio Veglio

 

 

 

 

 

ALLOGGIO

 

Il TAR Lombardia richiede  alla Corte Costituzionale  la valutazione della legittimità costituzionale del requisito del permesso di soggiorno di durata biennale per la fruizione  da parte degli stranieri alle prestazioni sociali per il sostegno all’accesso alle abitazioni in locazione, di cui all’art. 40 c. 6 del T.U. immigrazione in collegamento con l’art. 11 L. n. 431/1998.

 

TAR Lombardia, sez. IV, ordinanza n. 23 / 2009 dd. 09 febbraio 2009.

 

Secondo il TAR Lombardia non è manifestamente infondata l’eccezione di incostituzionalità del requisito del possesso del permesso di soggiorno biennale previsto ai fini della fruizione da parte degli stranieri dei contributi per il sostegno all’accesso alle abitazione in locazione, di cui al combinato disposto dell’art. 40 c. 6 del T.U. immigrazione e dell’art. 11 della legge n. 431/1998,  in quanto  introdurrebbe un criterio irragionevole che si presta ad ingiuste disparità di trattamento contrarie al principio costituzionale di uguaglianza.

Il Tribunale amministrativo lombardo infatti ricorda che la Corte costituzionale ha stabilito che un requisito di stabile residenza può essere ragionevolmente richiesto al cittadino straniero per godere dei diritti sociali, ma solo con la finalità di dimostrare l’esistenza di un collegamento  significativo con la comunità nazionale. Il criterio della durata almeno biennale del permesso di soggiorno non soddisfa in modo razionale e logico tale requisito, in quanto non tiene conto del periodo complessivo di permanenza nel nostro paese e delle ragioni, spesso contingenti, che possono indurre gli uffici di polizia al rilascio dei permessi di soggiorno  di durata annuale, anziché biennali. Il Tribunale ricorda che la durata del permesso di soggiorno è, di norma, collegata al tipo di contratto di lavoro: due anni in relazione ad un contratto di lavoro a tempo indeterminato, un anno se a tempo determinato. Potrebbe, quindi,  ben succedere  che uno straniero che abbia  appena fatto ingresso in Italia, ottenendo un contratto di lavoro a tempo indeterminato, goda del permesso biennale, e quindi possa avere accesso al benefico, mentre un altro, magari già residente in Italia da molti anni, e quindi con un più elevato grado di radicamento sociale e di collegamento con la comunità nazionale,  non possa invece accedervi perché in possesso in quel periodo contingente di un contratto di lavoro a tempo determinato. In altre parole, la durata biennale del permesso di soggiorno non costituirebbe quel requisito volto  a soddisfare il criterio del sufficiente livello di radicamento sociale richiesto dalla  Costituzione – secondo gli indirizzi maturati dalla Corte - per l’accesso degli stranieri ai diritti sociali secondo principi di uguaglianza e ragionevolezza.

Si ricorda, peraltro, che con il comma 13 dell’art. 11 della  legge n. 133/2008, che ha convertito, con modificazioni, il decreto-legge n. 112/2008 (misure economico-finanziarie di stabilizzazione) è stata introdotta  una pesante discriminazione “diretta” nei confronti degli immigrati stranieri, disponendo che, ai fini dell’accesso ai finanziamenti del citato  Fondo nazionale per il sostegno alle abitazioni in locazione, venga previsto per i soli immigrati extraCE il requisito del possesso del certificato storico di residenza da almeno dieci anni nel territorio nazionale ovvero da almeno cinque anni nella medesima regione. Tale discriminazione “diretta”, con l’introduzione di un requisito di anzianità di  residenza   per i soli immigrati stranieri, appare palesemente in contrasto con il principio di parità di trattamento in materia di accesso all’alloggio di cui alle normative internazionali ed europee, oltrechè appare in contrasto con i principi costituzionali di eguaglianza e ragionevolezza richiamati anche dalla giurisprudenza costituzionale. Trattandosi di una prestazione di natura sociale o assistenziale   avente natura di diritto soggettivo,  la sua erogazione non soggiacente  ad una valutazione individualizzata e discrezionale da parte dei  comuni, l’introduzione della residenza di lunga durata quale   criterio difforme di trattamento valevole solo per i cittadini di paesi terzi non appartenenti all’Unione europea, crea una palese violazione del principio di diritto comunitario di parità di trattamento in materia di prestazioni di assistenza sociale con riferimento a tutte quelle situazioni e categorie “protette” dal medesimo.  Di conseguenza, la norma della legge n. 133/2008 in combinato disposto con la Legge n. 431/98  è certamente in violazione del diritto comunitario con riferimento alle seguenti categorie di cittadini di paesi terzi:

a) famigliari di cittadini dell’Unione Europea regolarmente soggiornanti (art. 24 direttiva 2004/38/CE, recepita in Italia con d.lgs. n. 30/2007; b)  titolari di permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti (art. 11 direttiva 2003/109/CE, recepita in Italia con d.lgs. n. 3/2007); c) rifugiati politici e titolari della protezione sussidiaria (art. 28 direttiva 2004/83/CE, recepita in Italia con d.lgs. n. 251/2007); d) cittadini di paesi terzi provenienti da altro Stato membro dell’Unione europea (Regolamento CE n. 859/2003).

La normativa sull’accesso degli immigrati extracee al Fondo per il sostegno alle locazioni  appare inoltre di dubbia legittimità costituzionale anche in relazione ai principi di uguaglianza e ragionevolezza.

Come già ricordato, la Corte costituzionale ha stabilito che un requisito di stabile residenza può essere ragionevolmente richiesto al cittadino straniero per godere dei diritti sociali, ma solo con la finalità di dimostrare l’esistenza di un collegamento  significativo con la comunità nazionale.

A tale riguardo, si ricorda che la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 306 dd. 29 luglio 2008, ha dichiarato incostituzionale per violazione del principio di uguaglianza la norma che prevedeva il requisito della carta di soggiorno per l’accesso dello straniero alle prestazioni sociali d’invalidità (art. 80 c. 19 L. n. 388/2000), ma  non ha voluto intaccare l’ulteriore requisito dell’anzianità quinquennale di soggiorno del cittadino straniero in Italia, con l’ argomentazione che la questione non gli era stata rimessa dal giudice remittente. Tuttavia, la Corte ha voluto precisare che il legislatore può “subordinare, non irragionevolmente, l’erogazione di determinate prestazioni – non inerenti a rimediare a gravi situazioni di urgenza – alla circostanza che il titolo di legittimazione dello straniero al soggiorno dello Stato ne dimostri il carattere non episodico e di non breve durata”. Questo, tuttavia, con l’importante precisazione che “una volta, però, che il diritto a soggiornare alle condizioni predette non sia in discussione, non si possono discriminare gli stranieri, stabilendo, nei loro confronti, particolari limitazioni per il godimento dei diritti fondamentali, riconosciuti invece ai cittadini”. Di conseguenza, alla luce dei parametri interpretativi del giudice delle leggi, si potrebbe affermare che il requisito del legame stabile e  significativo dello straniero con la comunità nazionale potrebbe già ritenersi soddisfatto dal possesso di uno dei permessi di soggiorno che ne assicurano il carattere di “multifunzionalità” di cui all’art. 6 c. 5 del T.U. immigrazione, eventualmente associato dalla dimostrazione della residenza nel comune interessato da un ragionevole  periodo di tempo, che peraltro potrebbe essere richiesta a tutti (italiani e stranieri).

La previsione per gli immigrati stranieri dell’ulteriore requisito  della residenza storica decennale sul territorio nazionale ovvero quinquennale nella regione non è volta a garantire la legittima esigenza di evitare  che tali prestazioni sociali siano disperse in quanto  assegnate a persone senza  un sufficiente legame con il territorio, e che quindi potrebbero poi non effettivamente usufruirne, privando del diritto altre persone bisognose,  ma costituisce una misura palesemente discriminatoria che vanifica la logica stessa dell’intervento assistenziale, quella cioè di agevolare l’integrazione sociale e l’accesso all’abitazione  a condizioni inferiori a quelle di mercato alle categorie sociale meno abbienti e più bisognose.

 

ASSISTENZA SOCIALE

 

Secondo la Corte di Cassazione il beneficio dell’assegno familiare per i nuclei famigliari numerosi ed in condizioni di disagio economico non può essere riconosciuto ai lavoratori tunisini in base al principio di parità di trattamento in materia di sicurezza sociale contenuto negli accordi di associazione euro mediterranei tra CE e Tunisia in quanto costituisce una misura di assistenza sociale. La sentenza della Corte di Cassazione appare in  palese contraddizione con la giurisprudenza della Corte di Giustizia europea.

 

Corte di Cassazione, sez. lavoro, sentenza n. 24278 dd. 29 settembre 2008

Secondo la Corte di Cassazione, l’istituto dell’assegno familiare non può essere riconosciuto ai lavoratori di nazionalità tunisina, in quanto l’art. 65 della L. 35/1997, che ha ratificato l'accordo di Associazione euro-mediterraneo  del 17 luglio 1995 tra la Comunità europea e la Tunisia, garantisce la parità di trattamento solo in materia di previdenza sociale. Tale principio di parità di trattamento non può dunque essere esteso alle misure di assistenza sociale ovvero alle prestazioni sociali a carattere non contributivo, cui l’istituto dell’assegno familiare  ex art. 65 della l. n. 448/1998 appartiene.La Corte di Cassazione ha confermato l’orientamento espresso nei precedenti gradi di giudizio dal Tribunale di Marsala (sent. 17.04.2002) e dalla Corte d’Appello di Palermo (sent. 17.01.2005), in base al quale il principio della parità di trattamento, sancito dall’Accordo Euromediterraneo tra CE e Tunisia (e analogo principio è contenuto negli analoghi accordi sottoscritti tra CE e rispettivamente Marocco, Algeria, nonché nella Decisione del Consiglio di applicazione dell’Accordo di Associazione CE-Turchia)[1], non sarebbe applicabile alle prestazioni di assistenza sociale, ma solo a quelle di natura previdenziale, sorrette cioè da meccanismi contributivi. Secondo la ricostruzione fatta propria dalla Cassazione, le prestazioni assistenziali a natura non contributiva, come ad esempio l’assegno per i nuclei familiari numerosi con almeno tre figli minori a carico e in disagiate condizioni economiche di cui  all’art. 65 della legge n. 448/1998, non rientrerebbero nel campo di applicazione ratione materiae del principio di non discriminazione in materia di sicurezza sociale così come sancito dall’Accordo di associazione. Tale principio tutelerebbe i lavoratori tunisini solo in quanto lavoratori e, quindi, nell’ambito ristretto alla loro possibilità di accedere alle prestazioni previdenziali previste per i cittadini italiani. Tale equiparazione invece non si estenderebbe alla fruizione delle prestazioni di natura assistenziale riconosciute dal legislatore italiano ai cittadini indigenti a prescindere dalla loro appartenenza alla categoria dei lavoratori e quindi dalla loro effettiva capacità contributiva.

La pronuncia della Cassazione non è condivisibile sotto molteplici punti di vista.

Essa ignora la copiosa e consolidata giurisprudenza della Corte di Giustizia europea in tema di individuazione del campo di applicazione ratione materiae della disciplina del coordinamento della sicurezza sociale, ed in particolare di delimitazione della nozione di sicurezza sociale, nella quale sicuramente si sarebbe dovuto far rientrare la provvidenza in oggetto. Secondo tale  giurisprudenza, infatti,   la nozione di   “sicurezza sociale” contenuta nei citati Accordi euromediterranei  - ed ancor prima negli accordi di cooperazione che li hanno preceduti- deve essere intesa allo stesso modo dell’identica nozione contenuta nel regolamento Ce n. 1408/71. Quest’ultimo, dopo le modifiche apportate dal Regolamento del Consiglio 30/4/1992 n. 1247 (G.U. L 136), include  nella nozione di “sicurezza sociale” le “prestazioni speciali a carattere non contributivo”, [incluse quelle] destinate alla tutela specifica delle persone con disabilità,   […] ed elencate nell’allegato II bis”, che per quanto concerne l‘Italia, menziona espressamente quelle prestazioni che costituiscono diritti soggettivi in base alla legislazione vigente in materia di assistenza sociale cioè la pensione sociale, le pensioni e le indennità ai mutilati ed invalidi civili, ai sordomuti, ai ciechi civili, gli assegni per assistenza ai pensionati per inabilità.1 Al fine di essere chiari ed esaustivi, vale la pena citare interamente le conclusioni tratte dalla Corte di Giustizia Europea dopo essere stata interpellata dal giudice nazionale belga in merito all’applicabilità della clausola di non-discriminazione in materia di “sicurezza sociale” prevista  dal precedente accordo di cooperazione tra Comunità Europee e Algeria, firmato nel 1976 e poi sostituito dall’Accordo euromediterraneo di Associazione,  in riferimento ad una prestazione sociale non contributiva   per disabilità:

 

 Per quanto riguarda,.., la nozione di previdenza sociale che figura in questa disposizione, dalla citata sentenza Krid (punto 32) e, per analogia, dalle citate sentenze Kziber (punto 25), Yousfi (punto 24) e Hallouzi-Choco (punto 25) risulta che essa va intesa allo stesso modo dell’identica nozione contenuta nel regolamento n. 1408/71. Ora dopo la modifica operata dal regolamento (Cee) del Consiglio 30/04/1992 n. 1247, il regolamento n. 1408/71 menziona esplicitamente all’art. 4, n. 2 bis, lett. b ) (vedi anche l’art. 10 bis, n. 1, e l’allegato II bis di questo regolamento), le prestazioni destinate a garantire la tutela specifica dei minorati. Del resto, anche prima di questa modifica del regolamento n. 1408/71, costituiva giurisprudenza costante, sin dalla sentenza 28/5/1974, causa 187/73, Callemeyn (Racc. p. 553), che gli assegni per minorati rientravano nell’ambito di applicazione ratione materiae di questo regolamento… Di conseguenza, il principio,…, dell’accordo, che vieta qualsiasi discriminazione basata sulla cittadinanza nel campo della previdenza sociale dei lavoratori migranti algerini e dei loro familiari con essi residenti rispetto ai cittadini degli Stati membri in cui essi sono occupati comporta che le persone cui si riferisce questa disposizione possono aver diritto agli assegni per minorati alle stesse condizioni che devono essere soddisfatte dai cittadini degli Stati membri interessati” (Corte di Giustizia europea 15/01/1998 C-113/97 caso Henia Babahenini c. Stato Belga) .2

 

Con riferimento alla normativa belga sul reddito minimo garantito per le persone anziane, l’equivalente dell’assegno sociale italiano,  e che escludeva da tale provvidenza i cittadini  stranieri a meno che non beneficino già di una pensione di invalidità o di reversibilità, la Corte di Giustizia Europea, nella recente ordinanza dd. 17 aprile 2007 (caso Mamate El Youssfi c. Office National des Pensions ) ha concluso che:

l’art. 65, n. 1, primo comma, dell’Accordo euromediterraneo che istituisce un’associazione tra le Comunità europee e i loro Stati membri, da una parte, e il Regno del Marocco, dall’altra, firmato a Bruxelles il 26 febbraio 1996 e approvato a nome delle dette Comunità con la decisione del Consiglio e della Commissione 24 gennaio 2000, 2000/204/CE, CECA, deve essere interpretato nel senso che esso osta a che lo Stato membro ospitante rifiuti di accordare il reddito minimo garantito per le persone anziane ad una cittadina marocchina che abbia raggiunto i 65 anni di età e risieda legalmente nel territorio del detto Stato, qualora costei rientri nell’ambito di applicazione della succitata disposizione per avere essa stessa esercitato un’attività di lavoro dipendente nello Stato membro di cui trattasi oppure a motivo della sua qualità di familiare di un lavoratore di cittadinanza marocchina che è od  è stato occupato in questo medesimo Stato”.3

Ulteriormente, in base all’interpretazione fornita dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia, rientrano nel campo di applicazione del diritto comunitario, per le quali vale dunque il principio generale di parità di trattamento di cui  al Regolamento(CE) n. 1408/1971 e successive modifiche,  anche le prestazioni di assistenza sociale a carattere non contributivo che costituiscono forme di diritto soggettivo, cioè i cui ambiti di applicazione soggettivi e oggettivi siano fissati dalla legislazione  e non derivino invece da una valutazione individualizzata delle condizioni di bisogno delle persone lasciata alla discrezionalità degli enti locali, anche se tali prestazioni non sono espressamente incluse nell’elenco di cui all’allegato II bis al suddetto Regolamento (CE) n. 1408/71. 4

 

Pertanto, la Corte di Cassazione nel ritenere che l’assegno al nucleo famigliare, costituendo una prestazioni di natura assistenziale, non rientri nel campo di applicazione dell’accordo di Associazione Euromediterraneo, ha interpretato le norme di tale accordo fondandosi esclusivamente su una distinzione caratteristica del nostro diritto interno, senza peraltro considerare  che la giurisprudenza comunitaria ha elaborato da tempo dei criteri che consentono di stabilire se una prestazione, anche se di tipo non contributivo, rientri o meno nel campo di applicazione materiale del Regolamento  1408/71. In altri termini, l’interpretazione del diritto comunitario, cui appartengono a pieno titolo le norme dei suddetti accordi di associazione euro-mediterranei, deve avvenire non sulla base delle nozioni caratteristiche del diritto interno dei singoli paesi membri, bensì deve fondarsi sulle  nozioni di “diritto comunitario” sviluppate dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia europea. Tale metodo vale anche per la qualificazione ratione materiae dell’assegno  in oggetto.

Sorprende, pertanto, che in tutti i gradi di giudizio, i giudici non abbiano voluto accogliere nemmeno la richiesta di  sottoporre la questione interpretativa alla Corte di Giustizia europea ex art. 234 del Trattato CE (azione pregiudiziale).

La sentenza della Corte di Cassazione, pertanto, appare certamente censurabile e sarebbe auspicabile che altre cause strategiche vengono proposte sull’argomento chiedendo ai giudici del lavoro la promozione dell’azione pregiudiziale interpretativa alla Corte di Giustizia europea.

 

Per approfondimenti:

W. Chiaromonte, L’assistenza sociale per i cittadini non comunitari ed il principio di non discriminazione nella giurisprudenza, in Giornale di Diritto del Lavoro e delle Relazioni Industriali, n. 117, 2008, 1.

PENALE

 

Incorre nel reato di abbandono di minore (art. 591 c.p.) il genitore nomade che lascia incustodito il proprio figlio di anni 7 in compagnia di coetanei sulla pubblica via.

 

Corte di Cassazione, IV sez. Penale, sentenza n. 9276/09, dd. 02 marzo 2009.

 

Non si salva dalla condanna per abbandono di minore il genitore nomade che ritiene il figlio in grado di badare a se’  stesso girando per le strade delle città in compagnia di coetanei della sua stessa etnia. Lo afferma la Quinta sezione penale della Cassazione con la sentenza 9276. Secondo i supremi giudici le abitudini familiari assorbite dal minore non lo salvaguardano dai rischi che corre nel trovarsi in un ambiente esterno “governato da diversi costumi”. Per il padre in questione – rintracciato dopo che il figlio di sette anni era stato fermato dalla polizia per aver rubato un cellulare - è diventata definitiva la condanna a sette mesi di reclusione.

 

 

GIURISPRUDENZA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA

 

ASILO E PROTEZIONE INTERNAZIONALE

 

1. La Corte di Giustizia europea interviene sull’interpretazione della Direttiva 2004/83/CE concernente  il diritto alla protezione internazionale sussidiaria  nel caso di esistenza di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente. Secondo la Corte di Giustizia  il richiedente la protezione internazionale è esonerato dal fornire la prova che egli sia interessato in modo specifico a tali minacce quando il grado di violenza indiscriminata  che caratterizza il paese di origine raggiunge un livello così elevato che sussistono fondati motivi di ritenere che un civile rientrato nel paese in questione, correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire tale minaccia grave.La questione sollevata con riferimento al caso di una famiglia di richiedenti asilo provenienti dall’Iraq.

 

Corte di Giustizia delle CE, Grande Sezione, sentenza nel procedimento C-465/07 dd. 17.02.2009 M.E. – Paesi Bassi

 

 

2.  Il termine di sei mesi concesso allo Stato membro dal Regolamento Dublino n. 343/2003 per il trasferimento del richiedente asilo verso il paese competente per l’esame della domanda di asilo decorre dalla data della decisione giurisdizionale  definitiva che stabilisce la fondatezza del procedimento di trasferimento e non già a partire dalla decisione giurisdizionale di sospensione del medesimo.

Corte di Giustizia delle Comunità Europee, Sex. IV, Sentenza dd. 29 gennaio 2009, Petrosian – Svezia, procedimento C-19/08

GIURISPRUDENZA DELLA CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

1. La questione dei simboli e precetti religiosi nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’Uomo

Dal sito www.olir.it

Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, Sentenza 4 dicembre 2008 (Dogru v. France. Divieto di indossare il velo islamico e non violazione dell'art. 9 CEDU - )

abstract: L’espulsione da una scuola superiore pubblica di una studentessa musulmana che durante le lezioni di educazione fisica si era rifiutata di togliersi il velo non è in contrasto con il diritto di libertà religiosa. In una società democratica ove coesistono molteplici comunità religiose, può rivelarsi necessario limitare la libertà di religione di alcuni gruppi al fine di conciliare gli interessi dei vari orientamenti religiosi. Nel caso di specie, inoltre, la restrizione della libertà di religione non era dettata esclusivamente da motivi di sicurezza e di salute, ma anche dallo scopo di preservare la neutralità e la laicità dell'ambiente scolastico pubblico. A tal proposito, la Corte ricorda che in Francia il principio di laicità è uno dei principi fondamentali e che la Corte deve lasciare un cospicuo margine d'apprezzamento alle autorità statali in materia di relazioni tra Stato e confessioni religiose. (cfr. anche Corte europea dei diritti dell'uomo, Sentenza 4 dicembre 2008, Kervanci c. France).

 

 Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, Sentenza 4 dicembre 2008 (Kervanci c. France: Divieto di indossare il velo islamico e non violazione dell'art. 9 CEDU - )

abstract: L’espulsione da una scuola superiore pubblica di una studentessa musulmana che durante le lezioni di educazione fisica aveva rifiutato di togliersi il velo non è in contrasto con il diritto di libertà religiosa. In una società democratica, ove coesistono molteplici religioni, può rivelarsi necessario limitare la libertà di religione di alcuni gruppi al fine di conciliare gli interessi dei vari orientamenti religiosi. Nel caso di specie, inoltre, la restrizione della libertà di religione non era dettata esclusivamente da motivi di sicurezza e di salute, ma anche dallo scopo di preservare la neutralità e la laicità dell'ambiente scolastico pubblico. A tal proposito, la Corte ricorda che in Francia il principio di laicità è uno dei principi fondamentali e che la Corte deve lasciare un cospicuo margine d'apprezzament o alle autorità statali in materia di relazioni tra Stato e confessioni religiose. (cfr. anche Corte europea dei diritti dell'uomo, Sentenza 4 dicembre 2008, Dogru v. France).

                    

Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, Decisione 13 novembre 2008 (Mann Singh v. France: Art. 9 CEDU e simboli religiosi - )

abstract: Il diritto di libertà religiosa non è una libertà assoluta, tale da consentire a ogni persona qualsiasi comportamento motivato dal proprio credo. Le limitazioni all'esercizio della libertà di religione, garantita dall'art. 9 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, sono giustificate se necessarie per motivi di sicurezza e dell’ordine pubblico, della salute o della morale pubblica o per la protezione dei diritti e della libertà altrui. Nel caso di specie, la norma francese relativa alle foto sulle patenti di guida, che devono ritrarre le persone a capo scoperto, non costituisce un'illegittima restrizione della libertà religiosa di un Sikh, che aveva richiesto di essere fotografato indossando il tradizionale turbante. Lo Stato, infatti, può imporre misure idonee a garantire la sicurezza pubblica e a mettere in atto controlli stradali nei quali è necessaria la perfetta identificazione del conducente.

 

 

 

2. Il divieto di tortura e trattamenti inumani e degradanti derivanti da un provvedimento di espulsione.

 

Dal Sito www.amnesty.it

 

Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (Ben Khemais v. Italia, art. 3 CEDU - divieto di tortura e trattamenti inumani o degradanti; art. 34 CEDU- diritto a un rimedio giudiziario effettivo)

Il 24 febbraio la Corte europea dei diritti umani ha stabilito che l'Italia, avendo rimpatriato forzatamente in Tunisia Essid Sami Ben Khemais, ha violato l'art. 3 della Convenzione europea sui diritti umani, relativo al divieto di tortura e trattamenti inumani o degradanti. In Italia, Ben Khemais era stato condannato nel 2002 a cinque anni di carcere per associazione per delinquere e, successivamente, nel 2006 a un altro periodo di detenzione per aggressione. Il 3 giugno 2008 era stato espulso, nonostante la stessa Corte europea avesse chiesto la sospensione del provvedimento, ai sensi dell'art. 39 del proprio Regolamento. Inoltre, avendo espulso Ben Khemais nonostante la richiesta di sospensione da parte della Corte, l'Italia è ritenuta aver violato anche l'art. 34 della Convenzione che stabilisce il diritto a un rimedio giudiziario effettivo, perché il livello di protezione che la giurisdizione della Corte avrebbe potuto garantire al ricorrente è stato irreversibilmente ridotto dall'espulsione in pendenza di giudizio. A seguito dell'espulsione, Ben Khemais è stato di fatto posto dall'Italia al di fuori dalla giurisdizione della Corte e ciò ha avuto effetti sull'esercizio del suo diritto di difesa e potrebbe averne in futuro sui rischi di tortura.

Comunicato Amnesty International

 

 

 

 

NOVITA’ LEGISLATIVE

ENTRATO IN VIGORE IL DECRETO LEGGE N. 11/2009 IN MATERIA DI SICUREZZA PUBBLICA E CONTRASTO ALLA VIOLENZA SESSUALE. Le nuove norme in materia di esecuzione dell’espulsione e trattenimento nei CIE.

(G.U. del 24/2/2009)

 

DECRETO-LEGGE 23 febbraio 2009, n. 11 - Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonchè in tema di atti persecutori

 

 

Art. 5.  Esecuzione dell'espulsione



  1.  Al  comma 5 dell'articolo 14 del testo unico delle disposizioni concernenti  la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello  straniero,  di  cui  al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286,  sono  aggiunti,  in  fine,  i seguenti periodi: «Trascorso tale termine,  in  caso di mancata cooperazione al rimpatrio del cittadino del  Paese  terzo  interessato  o  di  ritardi nell'ottenimento della necessaria  documentazione dai Paesi terzi, il questore può chiedere al  giudice  di  pace  la  proroga  del  trattenimento per un periodo ulteriore di sessanta giorni. Qualora persistano le condizioni di cui al  periodo  precedente,  il  questore  può  chiedere al giudice una ulteriore  proroga di sessanta giorni. Il periodo massimo complessivo di  trattenimento  non può essere superiore a centottanta giorni. Il
questore,   in   ogni   caso,   può   eseguire  l'espulsione  ed  il respingimento  anche  prima  della  scadenza  del  termine prorogato, dandone comunicazione senza ritardo al giudice di pace.».
  2.  Le  disposizioni di cui al comma 1 si applicano ai cittadini di Stati  non  appartenenti  all'Unione europea anche se già trattenuti nei  centri  di  identificazione e espulsione alla data di entrata in vigore del presente decreto.

 



Il comunicato stampa dell’ASGI.

 

 

 

 

 

 

 

CIRCOLARI

 

1. Ricongiungimento familiare : ultimi chiarimenti

 Il Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del ministero dell'Interno, Direzione centrale per le politiche dell'Immigrazione e dell'Asilo, ha fornito con due circolari del 17 febbraio 2009 ulteriori chiarimenti sulle nuove disposizioni in materia di ricongiungimento familiare in base all'articolo 29 del Testo Unico sull’immigrazione, alla luce delle modifiche apportate dal decreto legislativo n.160 del 3 ottobre 2008.I chiarimenti contenuti nelle circolari riguardano:

 
- gli obblighi relativi alla copertura dei rischi sanitari sul territorio nazionale - stipula di un'assicurazione sanitaria o iscrizione al Servizio sanitario nazionale - cui è tenuto chi chiede il ricongiungimento per  i genitori ultrasessantacinquenni;

 
- il rilascio di nulla osta al ricongiungimento familiare a favore di stranieri segnalati nel Sistema d'informazione Schengen (Sis)


Per quanto riguarda la richiesta di ricongiungimento per genitori ultrasessantacinquenni, con la circolare protocollo n.737 il Dipartimento informa i richiedenti che è ancora in fase istruttoria il decreto del ministero del Lavoro, della Salute e della Previdenza sociale con cui dovrà essere determinato l'importo del contributo per l'iscrizione al Servizio sanitario nazionale, in alternativa alla stipula di una polizza sanitaria. In attesa del decreto, gli interessati devono, pertanto, stipulare l'assicurazione privata a copertura dei rischi di malattia, infortunio e maternità. Nell'ipotesi in cui il ricongiungimento venga, invece, richiesto per un familiare che risulta iscritto nel SIS, il Dipartimento sottolinea nella circolare protocollo n.738 l'opportunità che gli Sportelli unici accertino il possesso dei requisiti di reddito e alloggio da parte del richiedente prima che venga avviato presso la Rappresentanza diplomatica competente l'iter per la cancellazione dell'espulsione che risulta a carico del familiare.

Si veda inoltre la circolare del Ministero del Lavoro, Salute e Politiche Sociali del 24 febbraio 2009.

Si ringraziano per la segnalazione Guglielmo Truzzi e Maria Rosaria Baldin

 

2. Conversione del permesso di soggiorno da cure mediche a motivi di famiglia.

Le donne straniere che hanno un permesso di soggiorno per gravidanza possono convertirlo per motivi familiari senza dover lasciare l’Italia. Lo precisa il Ministero dell’Interno con una circolare in risposta ad un quesito della questura di Roma. Il Ministero ha chiarito che in questo caso valgono le regole generali sulla conversione fissate dall’art. 30 lettera c) del T.U., naturalmente se l’interessato possiede i requisiti di parentela, di reddito e di alloggio fissati per il ricongiungimento famigliare. La conversione può essere richiesta entro un anno dalla scadenza del documento originario.

Circolare del Ministero dell’Interno – Dipartimento di Pubblica Sicurezza – dd. 09 febbraio 2009  n. 400/A/2009/12.214.30

Si ringrazia l’avv. Igor Brunello

 

3. Permesso di soggiorno CE -  esclusi i rifugiati e i richiedenti asilo.

Rispondendo ad un quesito formulato dalle Questure, il Ministero dell’Interno ha chiarito che, nell’ambito della procedura di rilascio del permesso di soggiorno CE per soggiornati di lungo periodo, il disposto di cui all’art. 9 del decreto legislativo 286/98 e succ. mod. espressamente prevede che tale permesso non debba essere concesso qualora gli istanti soggiornino per asilo ovvero abbiano chiesto il riconoscimento dello status di rifugiato e siano ancora in attesa di una decisione definitiva circa tale richiesta.

La circolare n. 755 del 9 febbraio 2009

 

4. Assegno sociale – Risorse minime per il rilascio/rinnovo del diritto al soggiorno dei cittadini comunitari in Italia

Con la circolare n. 7 del 19 febbraio 2009, il Ministero dell’Interno ha ricordato che l’importo dell’assegno sociale per l’anno 2009 e’ pari a 5317, 65 €, rammentando che tale cifra rappresenta il paramento per la determinazione delle risorse economiche sufficienti al soggiorno del cittadino comunitario che non svolga attivita’ lavorativa in Italia e degli eventuali familiari a carico.

Si ringrazia per la segnalazione Maria Rosaria Baldin

 

5. L’Inps comunica le novità per i lavoratori domestici

Con la Circolare del 17 febbraio 2009, il Ministero del Lavoro, della salute e della solidarietà sociale ha fornito chiarimenti sugli adempimenti connessi alla comunicazione riguardante l'instaurazione, la proroga, la trasformazione e la cessazione del rapporto di lavoro domestico.

Fonte INPS

 

6. Minori stranieri non accompagnati – Indagine territoriale

Con la circolare diramata alle Prefetture il 13 febbraio 2009, il Ministero dell’Interno invita i prefetti ad istituire nell’ambito dei Consigli territoriali per l’immigrazione una sezione dedicata ai minori per monitorare presenze, allontanamenti e standard qualitativi di accoglienza. Obiettivo  delle azioni presentate nella circolare, è quello di  “realizzare azioni sempre più coordinate e idonee a  garantire i massimi livelli di protezione dei minori, favorendo il loro riconoscimento e la più completa attuazione dei diritti di cui i medesimi sono titolari, secondo quanto previsto dalla norme vigenti e dalle norme di diritto internazionale”

 

 

 

 

 

 

 

BANDI E AVVISI

 

 

1. Progetti di protezione sociale – avviso di presentazione proposte

 

E' stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 20 febbraio 2009 l'Avviso n. 10 per la presentazione di progetti in materia  di protezione sociale in attuazione dei programmi di assistenza e integrazione previsti dall'art. 18. D.lgs 286/98. I progetti dovranno assicurare un percorso di assistenza e integrazione sociale, compresa l'attività per ottenere lo speciale permesso di soggiorno previsto dal testo unico, alle persone straniere nonchè ai cittadini di Stati membri dell'Unione europea che intendano sottrarsi alla violenza e ai condizionamenti di soggetti dediti al traffico di persone a scopo di sfruttamento. L'ammontare delle risorse destinate ai progetti è di € 4.600.000,00; i progetti - nell'Allegato 1 (domanda di candidatura), nell'Allegato 2 (formulario), nell'Allegato 3 (preventivo economico) e nell'Allegato 4 (dichiarazione) - dovranno essere presentati entro e non oltre il 6 aprile 2009.

Il testo dell'Avviso e i relativi allegati.

 

 

 

SEGNALAZIONI

 

 

 

1.  Diritto alla Salute - Segnalazione degli "irregolari".

 

Il commento all’emendamento (implicazioni penali e costituzionali) a cura dell’Avv. Marco Paggi – Progetto MeltingPot Europa

http://www.meltingpot.org/articolo14041.html

 

 

 

2. Articolo di Giovanni Pizzo sulla rivista “Lo Stato Civile italiano” Focus n. 5 di mercoledì 25 febbraio 2009: “Abolito il matrimonio di comodo, sparisce anche il neonato clandestino ?”.

 

L’autore pone l’attenzione sulla proposta di modifica dell’art. 6 comma 2 del d.lgs. n. 286/98 contenuta nel ddl “Disposizioni in materia di sicurezza”, approvato dal Senato lo scorso 5 febbraio. La norma attualmente in vigore esonera lo straniero dall’obbligo di presentare il documento di soggiorno in sede di richiesta di “provvedimenti riguardanti … gli atti di stato civile”, mentre nel testo che si vuole novellare questa eccezione verrebbe semplicemente negata.  Tale modifica avrebbe conseguenze rilevanti in quanto l’ufficiale di stato civile non potrebbe nemmeno ricevere la dichiarazione di nascita del figlio di straniero non regolare. Tale norma, se approvata, si porrebbe in conflitto con la Convenzione sui diritti del fanciullo dd. 20 novembre 1989 che prescrive all’art. 7 che il fanciullo sia registrato immediatamente al momento della nascita. Di conseguenza, la normativa che si intende approvare presenta chiari profili di contrasto con la Costituzionale italiana per violazione degli obblighi internazionali vincolanti per il nostro Paese (art. 10 c. 2 e art. 117 Cost.). L’autore inoltre giustamente  rileva l’illogicità e l’incoerenza della norma proposta rispetto ai proclamati obiettivi di sicurezza che la riforma legislativa apparentemente si prefigge. La mancata registrazione negli atti di stato civile dei minori stranieri irregolari non potrà che creare un bacino di neonati e minori totalmente invisibili  alle autorità italiane, con conseguente crescita esponenziale dei rischi che essi possano diventare vittima di traffici e attività criminose.

 

Si ringraziano per la segnalazione Massimo Pastore e Lara Olivetti.

 

 

 

 

SEGNALAZIONI BIBLIOGRAFICHE E DOCUMENTI

 

 

1.

Antonio Di Stasi ( a cura di  ), I diritti sociali degli stranieri. Principi e disciplina in Italia e in Europa, Ediesse, 2008, € 13.

 

Il volume raccoglie interventi e riflessioni relative ad uno studio sui diritti sociali e previdenziali degli stranieri promosso dal CIRAB, Centro interdipartimentale di ricerca per l’Adriatico e i Balcani dell’Università Politecnica delle Marche, nell’ambito del progetto SIOI Interreg III. Le problematiche sono affrontate sotto varie angolazioni. Una prima parte è  dedicata all’analisi della disciplina previdenziale e assistenziale: dopo un’introduzione del tema e la sua presentazione in termini di inclusione sociale, vengono analizzati i principi di sicurezza sociale nella normativa comunitaria e nella giurisprudenza della Corte di Giustizia, e i diritti degli stranieri, sia previdenziali che assistenziali, nella disciplina nazionale italiana . Seguono un’esposizione dei sistemi previdenziali dei paesi dell’area balcanica, con particolare riferimento ad Albania, Bosnia Erzegovina e Serbia e un’analisi dei flussi migratori e della condizione lavorativa dei cittadini extracomunitari.
Nella seconda parte si trova una selezione delle disposizioni normative, internazionali e italiane, sui diritti sociali degli stranieri.


Antonio Di Stasi
, è professore di Diritto del lavoro nella Facoltà di Economia «G. Fuà» dell’Università Politecnica delle Marche.

 

2.

Mariagrazia Rossilli (a cura di)
I diritti delle donne nell’Unione Europea
Cittadine migranti schiave
Con una conversazione con Elena Paciotti


L’integrazione europea ha contribuito e può contribuire a superare i limiti che hanno caratterizzato la cittadinanza delle donne negli Stati nazionali?

Il libro suggerisce alcune risposte. Raccoglie, infatti, testi sui temi centrali della cittadinanza europea della donna, accanto a saggi sui problemi relativi ai diritti delle migranti e delle vittime del traffico di esseri umani nell’Unione Europea. Il racconto dell’esperienza di una protagonista della stesura della Carta dei Diritti Fondamentali dell’UE integra le riflessioni giuridiche sulla Carta stessa e si affianca all’analisi della problematicità delle categorie
di sesso e genere nella giurisprudenza comunitaria, mentre la lettura critica  delle politiche europee di pari opportunità tra uomini e donne è anch’essa situata all’interno dell’orizzonte tematico della cittadinanza e dell’empowerment
a livello sovranazionale.

 

 

3.

Monia Giovanetti

Minori stranieri non accompagnati: viaggio nell’accoglienza incompiuta

Edizioni Il Mulino

 

Negli ultimi dieci anni, la presenza dei minori soli, senza famiglia è divenuta un fattore comune delle migrazioni a livello mondiale. Il loro numero è drammaticamente aumentato e costituiscono in molti paesi europei, un segmento importante della popolazione alla ricerca di protezione e asilo. In Italia, dal 2000 in poi, i minori stranieri non accompagnati segnalati all’organo competente sono stati oltre 70.000, con una media annuale di circa 7.700 minori, la maggior parte dei quali entrati in contatto con i servizi sociali dei Comuni che hanno attivato interventi di presa in carico. Pertanto, la questione della loro accoglienza e della loro protezione è divenuta centrale nelle politiche per l’immigrazione, a causa della pressione sui sistemi d'accoglienza e di protezione, e a causa dei pericoli ai quali i minori stessi sono esposti se non immediatamente presi in carico dai servizi sociali territoriali.

Per agevolare la loro integrazione, appare necessario sostenere, rafforzare ed ampliare la prima accoglienza che vede i Comuni italiani in prima linea. E’ quanto emerge da ‘L’accoglienza incompiuta’- Le politiche dei comuni italiani verso un sistema di protezione nazionale per i minori stranieri non accompagnati’, lo studio realizzato da Monia Giovanetti.

Il volume, che inaugura la Collana “Studi e ricerche Anci" per le edizioni de Il Mulino, contestualizza il fenomeno nell'ambito dei flussi migratori internazionali ed europei ed approfondisce il caso italiano, tracciandone l'evoluzione fenomenologica, giuridica e sociale. In questo ambito l’autrice si sofferma sul ruolo centrale dei governi locali nella presa in carico, accoglienza e integrazione dei minori stranieri non accompagnati nei propri ambiti territoriali.

 

 

4.

Francesco de Bon 

Immigrazione e Cittadinanza

Ed. AGA

Dalla Prefazione di Luigi Ciotti

“Di nuovo, e infine, l’invito è a tornare alla fondamentalità del fattore educativo: solo rimettendo al centro la persona in quanto tale, solo riscoprendo l’importanza vitale della comunità, della cittadinanza universale, dei beni comuni e della dimensione del futuro saremo in grado di proteggere le nuove generazioni dal virus dell’intolleranza e del pregiudizio.
Questa ricerca è un piccolo ma utilissimo contributo in tale direzione.”

 

Per i soci ASGI : chi volesse richiedere gratuitamente  il libro può inviare una mail all’autore - francesco.debon@gmail.com con il proprio indirizzo, indicando il numero di copie del volume ( massimo 3) 

 

 

5.

Save The Children

Accoglienza e tutela dei minori nel centro di  Lampedusa – dossier di monitoraggio – Progetto Praesidium II

Il dossier contiene i dati raccolti  in seguito all’attività’ di monitoraggio degli standard di accoglienza e del rispetto delle procedure a tutela dei minori all’interno del Centro di Soccorso e Prima Accoglienza di Lampedusa (CPSA), ora CIE. Save the Children Italia e’  presente dal mese di maggio 2008 a Lampedusa e in Sicilia per la realizzazione del progetto Praesidium III, in collaborazione con IOM, UNHCR e CRI ed in convenzione con il Ministero dell’Interno.

 

6.

Rapporto governativo italiano sulla condizione dell'infanzia e dell'adolescenza in Italia – versione italiana


Il documento, adottato dal Comitato interministeriale per i diritti umani sulla base della bozza approvata dall’Osservatorio nazionale per l’infanzia e l’adolescenza e trasmesso dal Comitato interministeriale dei diritti umani (CIDU) al Comitato ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza il 22 gennaio scorso, esamina i principali strumenti legislativi, amministrativi e giuridici attraverso i quali il nostro Paese ha dato applicazione alla Convenzione e ai Protocolli, le attività intraprese per fornire informazioni e per diffondere il contenuto dei due documenti e le diverse iniziative bilaterali e multilaterali di cooperazione internazionale realizzate dall’Italia in questo contesto. Per la compilazione del rapporto, il Comitato interministeriale dei diritti umani, che opera presso il Ministero degli affari esteri, ha istituito uno speciale gruppo di lavoro per coordinare l’apporto dei seguenti dipartimenti: Ufficio del primo ministro - in particolare il Dipartimento per le politiche per la famiglia e per le pari opportunità -, il Ministero dell’interno, il Ministero della giustizia, il Ministero della difesa, il Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, il Ministero della pubblica istruzione, l’Istituto nazionale di statistica, il Comando generale dell’Arma dei carabinieri, il Comitato italiano per l’Unicef e altre amministrazioni. A questo documento seguira’ il Rapporto Supplementare, che discuterà quanto affermato nel rapporto governativo,  sarà curato dal Gruppo di lavoro per la Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza (Gruppo CRC) e fornirà il punto di vista del terzo settore sulle tematiche affrontate e quindi sullo stato di attuazione della Convenzione in Italia.

Per approfondimenti sul Gruppo CRC ( di cui e’ membro anche ASGI) : www.gruppocrc.net

 

 

Newsletter a cura di Walter Citti e Silvia Canciani – Segreteria ASGI

Per contatti : Sedi organizzative :Udine,  via S. Francesco, 39 33100 - Tel. Fax: 0432 /50715 info@asgi.it

          Trieste, via Fabio Severo, 31 34100 - Tel/Fax: 040/368463  walter.citti@asgi.it

 

ASGI - Sede legale e Amministrazione  : Torino, via Gerdil n.7 10100 - Tel. /Fax  011/4369158 segreteria@asgi.it

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[1] Recita, ad es., l’art. 68 dell’Accordo euromediterraneo con l’Algeria e clausole del tutto analoghe sono contenute negli accordi con Marocco e  Tunisia,  ma non invece in quelli sottoscritti con  Egitto, Israele, Regno di Giordania, Palestina: “1.…i lavoratori di cittadinanza algerina e i loro familiari conviventi godono, in materia di sicurezza sociale, di un regime caratterizzato dall’assenza di ogni discriminazione basata sulla cittadinanza rispetto ai cittadini degli Stati membri nei quali essi sono occupati. 2. Il termine “sicurezza sociale” include i settori della sicurezza sociale che concernono le prestazioni relative alla malattia e alla maternità, all’invalidità, le prestazioni di vecchiaia e per i superstiti, i benefici relativi agli infortuni sul lavoro, alle malattie professionali, al decesso, le prestazioni relative alla disoccupazione e quelle familiari”. Il successivo art. 69 specifica quali destinatari  della previsione sulla parità di trattamento “i cittadini delle parti contraenti  residenti o legalmente impiegati  nel territorio dei rispettivi paesi ospiti”, fissando dunque l’unico requisito della residenza o dell’attività lavorativa legale svolta nel territorio della parte contraente. L’Accordo euromediterraneo che istituisce un’Associazione tra la Comunità Europea e i suoi Stati membri da una parte, e l’Algeria dall’altra, è stato firmato il 22.04.2002 ed entrato in vigore il 10.10.2005 (Gazzetta Ufficiale CE L 265); L’Accordo euromediterraneo che istituisce un’Associazione tra la Comunità Europea e i suoi Stati membri da una parte, e il Regno del Marocco, dall’altra, è stato firmato il 26.02.1996 ed entrato in vigore il 01.03.2000 (Gazzetta Ufficiale CE L 70/00); L’Accordo euromediterraneo che istituisce un’Associazione tra la Comunità Europea e i suoi Stati membri da una parte, e la Tunisia dall’altra, è stato firmato il 17.07.1995 ed entrato in vigore il 01.03.1998 (Gazzetta Ufficiale CE L 97/98).

A tali accordi si deve aggiungere quello di associazione tra CEE e la Turchia, che contiene pure una clausola di “parità di trattamento” in materia di sicurezza sociale, applicabile a tutte le prestazioni, siano esse a carattere contributivo o non contributivo, per effetto della decisione del Consiglio di Associazione n. 3/1980; cfr. Artt. 3 c. 1, Art. 4  Decisione del Consiglio di Associazione n. 3/1980 dd. 19.09.1980, disponibile sul sito: http://ekutup.dpt.gov.tr/ab/okk2.pdf

 

 

1 La versione consolidata dal Regolamento Ce n. 1408/71 e successive modificazioni può essere scaricata dal seguente sito: http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/site/it/consleg/1971/R/01971R1408-20060428-it.pdf

2  Il testo completo in lingua italiana della sentenza della Corte di Giustizia europea può essere scaricato dal seguente sito:  http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:61997J0113:IT:HTML

3 Il testo dell’ordinanza può essere scaricato in lingua italiana dal sito della Corte di Giustizia Europea: http://curia.europa.eu/

 

4 Sull’estensione operata dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’interpretazione della nozione di prestazioni di sicurezza sociale a carattere non contributivo assoggettate al principio di parità di trattamento e   non discriminazione,  si veda:    CGE, 9 ottobre 1974, causa C-24/74, Biason, in Racc., 1974, 999; CGE, 13 novembre 1974, causa C-39/74, Costa, ivi, 1251; CGE, 5 maggio 1983, causa C-139/82, Piscitello, ivi, 1983, 1427; CGE, 24 febbraio 1987, cause riunite C-379-381/85 e C-93/86, Giletti, ivi, 1987, I, 955;  CGE, 20 giugno 1991, causa C-356/89, Stanton-Newton, ivi, 1991, I, 3017.