Consiglio di Stato, Sez. VI, Decisione n. 1175 del 2 marzo 2009,
Pres. Varrone, Rel. De Michele. W.M. – Ministero dellĠinterno.
Massima e/o decisione:
Sul ricorso in appello n. 5732/04, proposto dal signor W. M., rappresentato e
difeso dagli Avvocati G. Barbini e B. Colaleo ed elettivamente domiciliato
presso la Segreteria del Consiglio di Stato in Roma, Piazza Capo di Ferro, n.
13;
contro
MINISTERO DELLĠINTERNO, rappresentato e difeso dallĠAvvocatura Generale dello
Stato e presso gli uffici della medesima domiciliato ex lege in Roma, Via dei
Portoghesi, n. 12;
per l'annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, sede di
Milano, sezione I, n. 783/04 del 27.2.2004, notificata il 25.3.2004;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore, alla pubblica udienza del 20 gennaio 2009, il Consigliere Gabriella
De Michele;
Uditi, lĠAvv. Manzi per delega di Barbini e lĠAvv. dello Stato Borgo;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO E DIRITTO
Con atto di appello notificato il 25.5.2004 si impugna la sentenza del
Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, sede di Milano, sezione I,
n. 783/04 del 27.2.2004, notificata il 25.3.2004, con la quale si respingeva il
ricorso del signor W. M., di nazionalit eritrea, avverso il diniego di
concessione al medesimo della cittadinanza italiana, per reddito ritenuto
insufficiente, ai sensi dellĠart. 3 del D.L. 25.11.1989, n. 382, convertito in
legge 25.1.1990, n. 8.
Nella citata sentenza si rileva che il parametro indicato nella predetta
normativa non appare irragionevole, Òin quanto legato allĠobiettivo, di
pubblico interesse, del contenimento della spesa nazionale sanitariaÓ, con
ulteriore insussistenza di specifiche allegazioni probatorie, circa i redditi
di cui usufruirebbero i familiari del soggetto interessato.
In sede di appello, viene viceversa sottolineato come lĠart. 9 della legge n.
91/92 preveda un unico requisito per la concessione della cittadinanza
italiana: la residenza in Italia da almeno dieci anni (tranne eccezioni non
rilevanti nel caso di specie); la pure ampia discrezionalit
dellĠAmministrazione, inoltre, non potrebbe superare gli unici parametri
dettati, in materia di reddito, dallĠart. 29 (comma 3, lettera b) del D.Lgs n.
286/1998, ovvero il Òreddito annuo non inferiore allĠimporto dellĠassegno
socialeÓ, ritenuto sufficiente per il ricongiungimento familiare
Il signor W. risulterebbe in possesso di questĠultimo requisito, anche a
prescindere da un maggior reddito del nucleo familiare, sul quale sarebbero
stati forniti – ed ignorati dal primo Giudice – adeguati supporti
probatori.
LĠAmministrazione appellata, costituitasi in giudizio, si limitata a
depositare il 18.12.2008 documentazione non pertinente (allĠinterno di una
cartella, riferita alla causa ÒW. M.Ó, infatti, si rinvengono atti riferiti al
cittadino romeno B. T., interessato alla regolarizzazione ex lege n. 222/2002,
legge richiamata anche in una breve memoria dellĠAvvocatura, col nome esatto
dellĠattuale appellante, ma senza alcun riferimento allĠeffettiva situazione
dedotta in giudizio).
Premesso quanto sopra, il Collegio ritiene che lĠappello sia meritevole di
accoglimento, risultando fondata lĠargomentazione difensiva, riferita
allĠavvenuta emanazione del diniego in base ad un parametro non previsto dalla
legge, con sostanziale violazione della normativa di riferimento.
Tale normativa, contenuta nella legge 5.2.1992, n. 91, prevede infatti –
allĠart. 9 – i presupposti per la richiesta di rilascio della
cittadinanza italiana (fra cui al comma 1, lettera f – per quanto qui
interessa – la residenza da almeno dieci anni nel territorio della
Repubblica); nellĠart. 6 della medesima legge, poi, sono elencate cause
preclusive per lĠacquisto della medesima cittadinanza, in connessione a
condanne penali o comprovati motivi, inerenti alla sicurezza della Repubblica.
Anche in presenza dei requisiti di cui al citato art. 9, ed in assenza delle
ragioni ostative enunciate nel precedente art. 6 della legge n. 91/1992,
tuttavia, la cittadinanza italiana ÒpuÓ essere concessa (art. 9 cit., comma
1), sulla base di valutazioni che la giurisprudenza ha definito Òaltamente
discrezionaliÓ e, proprio in quanto tali, correlative ad un interesse
legittimo, la cui violazione rientra nella cognizione del Giudice
Amministrativo (Cons.
St., sez. VI, 2.11.2007, n. 5680 e 8.8.2008,
n. 3907).
La discrezionalit in questione, dĠaltra parte, non pu che tradursi in un
apprezzamento di opportunit, circa lo stabile inserimento dello straniero nella
comunit nazionale: quanto sopra, sulla base di un complesso di circostanze,
atte a dimostrare lĠintegrazione del soggetto interessato nel tessuto sociale,
sotto il profilo delle condizioni lavorative, economiche, familiari e di
irreprensibilit di condotta. I limiti della valutazione in questione, dĠaltra
parte, non possono essere che quelli generalmente riconosciuti, in tema di
esercizio di poteri discrezionali, necessariamente orientati allĠeffettuazione
delle migliori possibili scelte, per lĠattuazione dellĠinteresse pubblico nel
caso concreto. Una attuazione – quella appena indicata – che
risulterebbe con ogni evidenza non perseguibile, in caso di palese incongruit
del processo valutativo, o di erronea conoscenza della situazione di fatto,
come da tempo chiarito da una consolidata giurisprudenza. Nella situazione in
esame, il Collegio ritiene che il provvedimento contestato non rispetti i
parametri di congruit e adeguato apprezzamento dei fatti, in termini
logicamente rapportabili alla decisione da assumere. Nel caso di specie,
infatti, numerosi elementi concorrono ad evidenziare un esame frettoloso e
incompleto della domanda di concessione della cittadinanza, presentata da un
cittadino eritreo, regolarmente residente in Italia dal 1979, con documentata
attivit lavorativa come domestico, convivente con la moglie impegnata in
uguale attivit e con due figli pure stabilmente occupati (uno come operaio,
lĠaltro come meccanico); la situazione del nucleo familiare in questione
risultava puntualmente documentata, sul piano del reddito dei singoli
componenti del nucleo in questione, della stabile residenza degli stessi dal
1984 a Milano e dellĠassenza di qualsiasi precedente penale del soggetto
propositore dellĠistanza. QuestĠultimo, tuttavia, ha visto respingere la
propria domanda mediante un provvedimento in cui – a significativa
dimostrazione di noncuranza nellĠesame dei documenti prodotti – si
attribuisce al medesimo sesso femminile, con ulteriore valutazione delle sole
condizioni di reddito, di entit tale da esentare dalla partecipazione alla
spesa sanitaria, ai sensi dellĠart. 3 del D.L. 25.11.1989, n. 382, convertito
con modificazioni in legge 25.1.1990, n. 8, con ulteriore apodittica
affermazione del fatto che ÒlĠinteressata risulta disporre di insufficienti
mezzi di sostentamentoÓ. Entrambe le argomentazioni, in effetti, appaiono tali
da suscitare perplessit: la prima, poich riferita ad un dato (ammissione
senza spese al SSN) che – ove sussistente per un soggetto, dopo oltre
ventĠanni di lavoro regolare in Italia – sembrerebbe logico assumere come
equo intervento di sostegno sociale e non quale fattore discriminante, per non
accogliere il soggetto in questione nella comunit nazionale (qualora in tale
comunit il medesimo risultasse, per ogni altro verso, stabilmente e
proficuamente integrato); lĠaltra circostanza (insufficienti mezzi di
sostentamento, per un reddito imponibile documentato, per lĠanno 2001, di Lire
11.241.100) non poteva infine essere affermata, senza alcuna considerazione per
le condizioni di vita dellĠintero nucleo familiare, documentalmente composto da
lavoratori, in un contesto abitativo e di stabilizzazione tale, da indurre a
ritenere sussistente una piena integrazione nel tessuto sociale, tenuto conto
anche dellĠassenza di qualsiasi precedente condotta del diretto interessato,
suscettibile di penalizzazione. Non pu indurre a diverse considerazioni la
difesa dellĠAmministrazione, che per evidente errore materiale – come gi
in precedenza ricordato – riferisce al signor W. M. un insussistente
intento di emersione dal lavoro irregolare.
Per le ragioni esposte, in conclusione, il Collegio ritiene che lĠappello debba
essere accolto, con conseguente annullamento sia della sentenza appellata che
del provvedimento, impugnato in primo grado di giudizio, fatti salvi gli
ulteriori provvedimenti dellĠAmministrazione; le spese giudiziali, da porre a
carico della parte soccombente, vengono liquidate nella misura di Û. 2500,00
(Euro duemilacinquecento/00).
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, ACCOGLIE
lĠappello e, per lĠeffetto, ANNULLA sia la sentenza del Tribunale
Amministrativo Regionale per la Lombardia, sede di Milano, sezione I, n. 783/04
del 27.2.2004, sia il decreto del Ministro dellĠInterno n. K10.60240,
comunicato con nota prefettizia n. prot. 13.1.6412 in data 8.11.2003; CONDANNA
lĠAmministrazione resistente al pagamento delle spese giudiziali, nella misura
di Û. 2500,00 (Euro duemilacinquecento/00).
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorit amministrativa.
Cos deciso in Roma, il 20 gennaio 2009 dal Consiglio di Stato, in sede
giurisdizionale - Sez. VI - nella Camera di Consiglio.