Tar Lazio, Sez. I ter, Sent. n. 1245 del 6 febbraio 2009, Pres.
Giulia, Rel. Morabito. M.R.M. – Ministero dellĠinterno.
Massima e/o
decisione:
Sul ricorso n. 12342/2005–R.G. proposto dalla sig.ra M. R. M.,
rappresentata e difesa dallĠavv. M.S. Masini, presso il cui studio in Roma, via
della Vite n. 7, elettivamente domiciliata;
contro
il Ministero dellĠInterno, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso
dallĠAvvocatura generale dello Stato;
per l'annullamento
del d.m. 25.6.2003, successivamente notificato, di reiezione dellĠistanza di
concessione della cittadinanza italiana.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dellĠInterno;
Viste le memorie prodotte dalle parti;
Visti gli atti tutti della causa;
Data per letta alla pubblica udienza del 15.1.2009 la relazione del Consigliere
Pietro Morabito ed uditi gli avvocati di cui al verbale dĠudienza;
Ritenuto e considerato, in fatto e in diritto, quanto segue:
FATTO
Con lĠatto introduttivo dellĠodierno giudizio, la ricorrente si gravata
avverso il provvedimento con cui il Ministero dellĠInterno ha respinto
lĠistanza di naturalizzazione italiana (che essa ricorrente aveva avanzato ai
sensi dellĠart. 9 lett. f) della legge n. 91 del 1992) traendone argomento:
dalla mancanza di reddito proprio;
nella considerazione che con lĠinvocata naturalizzazione lĠinteressata verrebbe
a fruire delle provvidenze gravanti sub bilancio statale e riconosciute ai
concittadini in precarie condizioni economiche.
é stato azionato un unico complesso motivo di gravame articolato in pi profili
di doglianza ai quali verr riservata trattazione nel prosieguo della presente
decisione. In seno al gravame stata collocata apposita domanda risarcitoria
dei danni patiti e patiendi a causa dellĠimpugnato diniego.
LĠevocata amministrazione si costituita in giudizio per il tramite del
Pubblico Patrocinio con mero atto di stile cui ha fatto seguito la produzione
di nota di controdeduzioni corredata dellĠistanza di naturalizzazione prodotta
dallĠinteressata. QuestĠultima, dal canto suo, ha insistito per lĠaccoglimento
del gravame con memoria conclusionale depositata il 30.12.2008.
AllĠudienza del 15.1.2009 la causa stata trattenuta per la relativa
decisione.
DIRITTO
I)- Preliminare, ai fini dello scrutinio del quale il Collegio investito,
la trattazione della doglianza con la quale si assume, a fondamento della
denunciata illegittimit del provvedimento avversato, il superamento del
termine massimo di 730 giorni previsto, dallĠart. 3 del d.P.R. n. 362 del 1994,
per la definizione del procedimento avviato dalla p.a in esito alla produzione
(avvenuta il 19.1.2001) dellĠistanza di naturalizzazione da parte
dellĠinteressata. Nel caso di specie, sostiene la ricorrente, il decreto, pur
se emesso prima stato a lei notificato dopo la scadenza del termine sopra
indicato, con violazione della norma sopra richiamata e conseguente
illegittimit dellĠatto.
La doglianza infondata per pi ordini di ragioni.
In primo luogo il termine fissato dallĠart. 3 del d.P.R. sopra evocato attiene
alla definizione del procedimento avviato, come detto, con lĠistanza di parte:
definizione che ha luogo con lĠadozione dellĠatto e non con la sua
notificazione che , a sua volta, disciplinata da altra disposizione (art. 4)
ed in relazione al giuramento da prestarsi una volta concessa la cittadinanza.
In secondo luogo la previsione regolamentare in parola attua, con riferimento
al procedimento di naturalizzazione italiana, il disposto degli artt. 2 e 4
della legge n. 241 del 1990; il che significa che la violazione di tale termine
consente allĠinteressato (senza il filtro della previa intimazione e/o diffida
ad adempiere richiesta nellĠOrdinamento antecedente alla legge n. 80 del 2005)
di adire direttamente il Giudice amministrativo per far dichiarare
lĠillegittimit del silenzio inadempimento ed ordinare allĠamministrazione di
provvedere, pena la nomina di un Commissario ad acta, nel termine imposto.
Il superamento del termine di cui allĠart. 3 del d.P.R. n. 362/1994 non
comporta, pertanto, con riguardo ai procedimenti relativi alla concessione
della cittadinanza italiana ex art. 9 della legge n. 91 del 1992, in alcun
caso, lĠillegittimit del provvedimento conclusivo con riveniente infondatezza
della censura di cui trattasi.
Ragioni di comodit espositiva e di chiara connessione con la doglianza appena
scrutinata inducono ad affrontare nel corrente paragrafo la domanda che la
ricorrente ha parimenti azionato al fine di ottenere il risarcimento dei danni
che essa assume sofferti a cagione del ritardo frapposto dalla p.a. nel
definire la sua istanza: ritardo comprovato dalla violazione delle regole
procedimentali innanzi citate e dunque lesivo di un interesse legittimo
dellĠistante che, ex s ed indipendentemente dal contenuto favorevole o
negativo del provvedimento finale, deve essere risarcito.
Sembra dunque prospettare lĠinteressata che l'interesse procedimentale al
rispetto dei tempi del procedimento debba ricevere, in ogni caso, oltre che una
tutela sul piano dei rimedi strettamente processuali (per es. in sede di azione
avverso il silenzio), una tutela risarcitoria per equivalente.
Ora in tema di danno da ritardo in giurisprudenza si registra una diversit di
opinione su un punto centrale: se il danno sia risarcibile o meno
indipendentemente dalla spettanza del bene della vita, cio indipendentemente
dal fatto che il privato abbia titolo al rilascio del provvedimento richiesto.
In altri termini, la domanda che si pone se a fondare un titolo risarcitorio
sia sufficiente la mera violazione di obblighi di correttezza e buona fede
nello svolgimento del procedimento, nella specie, il mancato rispetto dei tempi
del procedimento. Un primo orientamento giurisprudenziale, nel delineare una
responsabilit dell'amministrazione da contatto qualificato (Cass. 10 gennaio
2003 n. 157; Cons. Stato VI, 20 gennaio 2003 n. 204 e 15 aprile 2003 n. 1945),
ha posto in rilievo come, nel nuovo modello di azione amministrativa introdotto
dalla legge n. 241, possano assumere rilevanza autonoma, rispetto all'interesse
legittimo al bene della vita, posizioni soggettive di natura strumentale che
mirano a disciplinare il procedimento amministrativo secondo criteri di
correttezza, idonei a ingenerare, con l'affidamento del privato, Çun'aspettativa
qualificataÈ al rispetto di queste regole (che non
sono riguardate alla stregua di Çnorme neutreÈ,
inidonee a radicare posizioni soggettive), con la conseguenza che Çla
selezione degli interessi giuridicamente rilevanti non pu essere effettuata con
riguardo al solo bene finale idealmente conseguibileÈ
(Cass. n. 157 del 2003, citata); sicch il privato ha titolo a una risposta
certa e tempestiva a prescindere dal contenuto della stessa. In tale
prospettiva, sarebbe enucleabile dal novero degli interessi pretensivi, e
piuttosto accanto a essi, un ambito di interessi procedimentali, la cui
violazione integrerebbe un titolo di responsabilit idoneo a fondare un danno
risarcibile diverso e autonomo rispetto alla lesione del bene della vita. A
tale categoria di interessi procedimentali sarebbe ascrivibile il danno da
ritardo, sicch il privato avrebbe titolo ad agire per il risarcimento del
danno subto in conseguenza della mancata emanazione del provvedimento
richiesto nei tempi previsti; e indipendentemente dalla successiva emanazione e
dal contenuto di tale provvedimento. Secondo un altro orientamento - che allo
stato prevalente nella giurisprudenza amministrativa - il danno da ritardo
risarcibile solo se il privato abbia titolo al rilascio del provvedimento
finale, se cio gli spetti il Çbene della vitaÈ (Ad. Pl. 15 settembre 2005, n.
7 che ha escluso la risarcibilit del danno da mero ritardo). Nell'ambito di
tale indirizzo giurisprudenziale vi poi chi ritiene che il titolo andrebbe
accertato azionando il procedimento del silenzio e sindacando il successivo
diniego espresso, e chi, invece, dell'avviso che il giudice, adito in sede
risarcitoria, dovrebbe effettuare un giudizio prognostico sulla spettanza del
titolo, ai soli fini del risarcimento (cfr., Cass.civ. I^, n. 12455 del 2008
che, in sostanziale aderenza allĠAd.Pl. n. 7 del 2005, afferma che l'accertata
illegittimit della condotta della P.A. o di suo organi, derivante dal ritardo,
dall'inerzia o dalla mancata istruzione del procedimento, che si traducono
nella violazione dell'obbligo di portarlo comunque a compimento (in modo
favorevole o sfavorevole per l'istante), non sufficiente ai fini
dell'affermazione della responsabilit aquiliana, occorrendo altres che
risulti danneggiato l'interesse al bene della vita al quale correlato
l'interesse legittimo dell'istante, e che detto interesse risulti meritevole di
tutela alla luce dell'ordinamento positivo. E con specifico riguardo al
rilascio di una concessione edilizia, la Suprema Corte ha precisato che
l'accertamento di tale interesse implica un giudizio prognostico sulla
fondatezza dell'istanza, da condursi in riferimento alla normativa di settore
ed agli elementi offerti dall'istante, onde stabilire se costui fosse titolare
di una situazione suscettibile di determinare un oggettivo affidamento circa la
conclusione positiva del procedimento).
Pur se la tematica di cui trattasi innegabilmente affascinante, nondimeno, ai
fini dello scrutinio di cui investito, il Collegio ritiene di doversi
sottrarre allĠulteriore approfondimento della stessa una volta considerato:
- che, nel caso di specie, il procedimento di cui trattasi stato definito nei
termini regolamentari previsti (essendo risultata fuori termine la sola fase di
notifica del provvedimento);
- che la domanda risarcitoria prodotta dallĠinteressata non trova il conforto
della giurisprudenza prevalente in materia;
- che lĠinteressata non ha documentato la concreta sussistenza di alcun danno
derivatile dal prolungato stato di incertezza sulla sorte della sua istanza
cos come ha omesso di indicare le, genericamente dichiarate, Òaltre
direzioniÓ cui avrebbe potuto indirizzare le proprie
aspettative.
II)- Recuperando ora lĠordine di esposizione delle doglianze della ricorrente
occorre soffermarsi sui primi due profili censori.
Deduce la ricorrente che lĠart. 9 lett. f) richiede ai fini della concessione
della cittadinanza italiana la legittima residenza decennale nel territorio
della Repubblica: requisito da essa posseduto. Non solo. Essa ricorrente ha
esibito tutti i documenti richiesti dallĠart. 1 della legge n. 91 del 1992, di
tal ch la sua domanda era corredata di tutti gli atti prescritti. In ogni
caso, poi, avendo essa dichiarato di svolgere lĠattivit di collaboratrice
domestica lĠamministrazione, ove ritenuta incompleta la domanda, avrebbe dovuto
invitarla a provvedere alla sua integrazione come prescritto dallĠart. 2 c. 2
del d.P.R. n. 362 del 1994: norma allĠevidenza violata nel caso di specie.
Nessuna delle doglianze sopra sintetizzate condivisibile.
Non lo la prima in quanto, per pacifica quanto datata giurisprudenza, ove si
verta (come nel caso di specie) in materia di concessione della cittadinanza
italiana ai sensi dell'art. 9, l. 5 febbraio 1992 n. 91, l'Amministrazione gode
di un ampio potere di valutazione discrezionale circa l'esistenza di
un'avvenuta integrazione dello straniero in Italia, tale da poterne affermare
la compiuta appartenenza alla comunit nazionale. In altri termini, la
concessione della cittadinanza non costituisce per il richiedente un diritto
che il Paese ospite deve necessariamente e automaticamente riconoscergli ove
riscontri la sussistenza di determinati requisiti e l'assenza di fattori
ostativi, bens rappresenta il frutto di un'attenta ponderazione dell'interesse
pubblico ad accogliere stabilmente all'interno dello Stato comunit un nuovo
componente e dell'attitudine dello stesso ad assumersene anche tutti i doveri
ed oneri (cfr., sul principi ex multis, Cons.St. n. 798 del 1999).
Non fondata la seconda doglianza in quanto trascura:
- che lĠart. 1 c. 4 del regolamento dalla stessa ricorrente evocato a supporto
della censura ha autorizzato il Ministro dellĠInterno ad emanare con proprio
decreto, con riguardo alle istanze di naturalizzazione di cui allĠart. 9 della
Legge n. 91 del 1992, disposizioni concernenti lĠallegazione di documenti ulteriori a quelli indicati nel comma 3 dello stesso articolo;
- che il Ministro dellĠInterno si avvalso di tale facolt adottando il d.m.
22.11.1994 (citato nella memoria difensiva della resistente e, di recente,
modificato dal d.m. 7.10.2004 in una parte non interessante lĠodierna
controversia) il quale ha previsto, fra lĠulteriore
documentazione da unire a corredo della domanda di concessione, la produzione
di copia autenticata del modello 740 o 101 ovvero certificazione rilasciata
dal competente Ufficio delle Imposte Dirette circa le dichiarazioni dei redditi
prodotte nel triennio immediatamente antecedente la presentazione della domanda.
é altres infondato il terzo profilo di doglianza in quanto lĠinteressata ha
presentato la propria domanda compilando un modello stampato predisposto
dallĠamministrazione nella cui pag. 6 prescritta lĠallegazione in fotocopia
della dichiarazione dei redditi degli ultimi tre anni con la precisazione della
necessaria indicazione anche dellĠassenza di redditi: tale voce, unica,
rimasta senza corredo di atti e senza dichiarazione aggiunta.
A tanto aggiungasi che, contrariamente a quanto sostenuto a pag. 4 del gravame,
nessuno dei documenti allegati allĠistanza di naturalizzazione (ed esibiti da
entrambe le parti in causa) attesta che lĠinteressata fosse iscritta nella Òcategoria
InpsÓ relativa allĠattivit di collaboratrice
domestica esercitata (recte: che risultava esercitare alla data dellĠ1.2.2001
come evincesi unicamente dalla Carta di soggiorno a tempo indeterminato
rilasciata in tale data e che precede di oltre dieci mesi la data di produzione
dellĠistanza di naturalizzazione. Si noti che anche la carta di identit
rilasciata dallĠamministrazione capitolina il 5.4.2001 nulla reca alla voce ÒprofessioneÓ).
Altrimenti detto, in presenza di circostanze quali quelle appena delineate da
escludere che ricorressero i presupposti per ritenere la domanda
dellĠinteressata incompleta e dunque procedere necessariamente, come assume la
ricorrente, alla sua integrazione documentale. Correttamente, pertanto,
lĠamministrazione – che non poteva che determinarsi sulla base degli atti
prodotti – ha tenuto conto del fatto che lĠinteressata aveva dichiarato
di non aver percepito alcun reddito relativamente agli anni 1998, 1999 e 2000
e, pertanto, di versare in una situazione di precariet economica.
Quanto poi allĠulteriore e residua doglianza con cui si denuncia lĠerroneit
del richiamo, in seno allĠatto impugnato, dellĠassenza di benemerenze o
circostanze tali da poter in ogni caso giustificare lĠinvocata
naturalizzazione, la stessa infondata in quanto – pur se lĠart. 9 c. 2
della Legge n. 91 del 1992 prevede che in presenza di tali benemerenze e
peculiari circostanze la cittadinanza concessa con d.P.R. previa
deliberazione del Consiglio dei Ministri e su proposta, in concerto, dei
Ministri dellĠInterno e degli Affari Esteri – la diversit dellĠiter
procedurale che precede tale concessione non esclude, ex s, che tale iter
possa originare anche da unĠistanza dellĠinteressato presentata ai sensi
dellĠart. 9 lett. f) della Legge cos come non esclude che lĠamministrazione,
nellĠambito del vasto potere valutativo discrezionale di cui titolare, possa
ritenere la posizione di precariet economica dellĠistante adeguatamente
bilanciata e/o prevaricata dalla compresenza di peculiari circostanze deponenti
per un giudizio di eccezionale meritevolezza al riconoscimento della pienezza
dei diritti civili e politici derivanti dallo status di cittadino.
III)- Conclusivamente il ricorso infondato e da respingere.
Le spese di lite possono compensarsi tra le parti in causa.
P.Q.M.
Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio sez. I^ ter respinge il ricorso
in epigrafe.
Spese compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorit amministrativa.
Cos deciso, in Roma, dal Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio sez. I^
ter nella Camera di Consiglio del 15.1.2009.