Newsletter
n. 12 del 20 novembre 2009
SEGNALAZIONI NORMATIVE E
GIURISPRUDENZIALI
SEGNALAZIONI
NORMATIVE – CIRCOLARI AMMINISTRATIVE
1.
Per i requisiti di idoneità abitativa ai fini del ricongiungimento familiare si
deve fare riferimento ai parametri previsti dal Decreto del Ministero della Sanità 5/7/1975, allo scopo
di definire parametri uniformi sull’intero territorio nazionale.
Lo
stabilisce la
circolare del Ministero dell'interno del 18/11/2009 n . 7170.
Il datore di lavoro
non può rinunciare alla procedura di emersione senza evitare le sanzioni
previste per l'impiego di lavoratori irregolari, tranne nei casi di
sopravvenuta forza maggiore. In tal caso, il lavoratore ha diritto ad un pds
per attesa occupazione
Lo stabilisce la
circolare del Ministero dell'Interno dd. 29 ottobre 2009 n. 6466 in risposta a
quesiti pervenuti.
Qualora la rinuncia del datore di lavoro alla procedura di emersione sia
dovuta a sopravvenute cause di forza maggiori quali ad es. il decesso della
persona assistita, un componente del nucleo familiare potrà eventualmente
subentrare nel rapporto di lavoro con il/la lavoratore/trice straniero/a
ovvero, in assenza del subentro, il/la lavoratore/trice straniero/a potrà
godere del rilascio di un permesso di soggiorno per attesa occupazione della
durata di sei mesi.
Circolare
del Ministero dell'Interno del 29 ottobre 2009, n. 6466
Circolare del
Ministero dell'Interno dà chiarimenti alle Questure a seguito della recente
giurisprudenza comunitaria e della Comunicazione della Commissione delle
Comunità europee al Parlamento europeo e al Consiglio sull'applicazione della
Direttiva 2004/38/CE.
La circolare, dopo
la recente giurisprudenza comunitaria, precisa alcuni elementi importanti
delle condizioni di ingresso e soggiorno e delle condizioni di allontanamento
(ordine pubblico e sicurezza, condotta personale e minaccia, valutazione della
proporzionalità, tutela maggiore contro l'allontanamento, urgenza) dei
cittadini comunitari e dei loro familiari extracomunitari e ricorda che il
rilascio della carta di soggiorno al familiare extracomunitario di comunitario
non può essere condizionato alla preventiva regolarità del suo soggiorno e che
in base al nuovo art. 116 cod. civ. per la celebrazione del
matrimonio dello straniero extracomunitario si richiede che la regolarità del
soggiorno da attestarsi con la dichiarazione di presenza o con un titolo di soggiorno
anche temporaneo.
Circolare
del Ministero dell'Interno del 28 agosto 2009, n. 5355
"Decreto legislativo 6 febbraio 2007, n. 30, come modificato dal Decreto legislativo
28 febbraio 2008, n. 32, recante attuazione della Direttiva
2004/38/CE relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro
familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati
membri - Comunicazione della Commissione delle Comunità europee al
Parlamento europeo e al Consiglio in data 2 luglio 2009."
Si
ringrazia Paolo Bonetti per la segnalazione .
Il Ministero
dell’Interno invia ulteriori chiarimenti a seguito delle modifiche in materia
di acquisto di cittadinanza per matrimonio contenute nella legge 94 del 15
luglio 2009.
In merito
all’applicazione dell’articolo 5 della legge 5 febbraio 1992 n. 91, come
modificato dall’articolo 1, comma 11 dalla legge n. 94/2009 il Ministero
dell'Interno ha inviato alle Questure alcune indicazioni operative
relativamente alle procedure di acquisto di cittadinanza italiana attraverso il
matrimonio.
In particolare per i decreti adottati dopo l’entrata in vigore della Legge
94/2009, sarà necessario procedere alla verifica della sussistenza dei
requisiti previsti dalla nuova normativa attraverso la richiesta agli
interessati, con l’atto di convocazione per la notifica del decreto di
conferimento, di produrre la seguente documentazione aggiornata alla
data di adozione del provvedimento:
-atto integrale di matrimonio
-certificato di
esistenza in vita del coniuge italiano: il decesso del coniuge, ai sensi dell’articolo149
c.c. determina infatti lo -scioglimento del matrimonio e la cessazione dei suoi
effetti civili.
Laddove gli Ufficiali di Stato Civile o le Autorità Diplomatico-Consolari
venissero successivamente a conoscenza di una separazione o divorzio intervenuti
tra i coniugi prima della data di adozione del decreto ma non ancora annotati e
trascritti a quel momento, gli stessi ne daranno comunicazione allo scrivente
Dipartimento-Direzione Centrale per la revoca del provvedimento.
Circolare del Ministero
dell'Interno dà comunicazione della denuncia parziale da parte dell'Italia
della Convenzione europea sulla riduzione dei casi di cittadinanza plurima.
Doppia cittadinanza per
tutti gli italiani residenti in Europa che acquisiranno la cittadinanza
del Paese ove risiedono.
A seguito di una interrogazione parlamentare, l'on. Franco
Frattini, con lettera firmata il 29 maggio 2009 e notificata al Segretario
Generale del Consiglio d'Europa il 3 giugno scorso, ha denunciato il Capitolo
I^ della Convenzione sulla riduzione dei casi di cittadinanza plurima e
sugli obblighi militari in caso di cittadinanza plurima, firmata a
Strasburgo il 6 maggio 1963
Anche l' Italia ha così intrapreso la
strada già tracciata nel lontano 2002 dalla Germania, nel 2007 dal Belgio e più
recentemente dalla Francia e dal Lussemburgo.
(vedi sito Consiglio d'Europa)
"Finalmente per tutti gli italiani
in Europa, acquisire la cittadinanza del loro Paese di residenza senza dover
rinunciare a quella italiana, non sarà più una ‘mission impossible",
commenta così Laura Garavini, deputata PD eletta dagli italiani all'estero,
informazioni ufficiose secondo cui il Ministro degli esteri Frattini avrebbe
firmato una lettera indirizzata al Segretario Generale del Consiglio d'Europa
per denunciare la Parte I della Convenzione di Strasburgo sulla doppia
cittadinanza. La convenzione del 1963 prevede, infatti, che all'acquisto di
un'altra cittadinanza in Europa si perda necessariamente la propria nazionalità
d'origine. La doppia nazionalità, ad oggi, è un'opzione garantita soltanto per
i connazionali italiani che vivono in alcuni Stati dell'Unione Europea, per
esempio in Germania.
La firma di Frattini è stata fortemente
voluta da Laura Garavini e dagli altri deputati PD eletti all'estero Bucchino,
Farina, Fedi, Narducci e Porta. Con un'interrogazione alcuni mesi fa i deputati
PD avevano spinto il Ministro degli esteri ad eliminare gli ostacoli al riconoscimento
della doppia nazionalità. "Il superamento di questi vincoli ormai
anacronistici", dice la Garavini, "è un successo di grande portata
per tanti italiani residenti in Europa: permette loro di diventare cittadini a
pieno titolo, cioè dotati di tutti i diritti sociali e politici, nel Paese dove
vivono, senza però essere costretti a rinunciare al passaporto italiano".
Negli ultimi mesi, soprattutto il PD in
Belgio aveva spinto insieme alla Garavini al fine di rendere possibile la
doppia cittadinanza a tutti gli italiani in Europa. Nel 2007 il Governo belgo,
così come quello tedesco nel 2001, aveva denunciato la Convenzione di
Strasburgo. Ma per garantire la possibilità della doppia cittadinanza anche
agli italiani in Belgio il Governo di Bruxelles chiedeva un passo analogo al
Governo italiano.
Il via libera alla doppia cittadinanza
per tutti gli italiani in Europa si avrà a un anno dall'effettiva denuncia, da
parte dell'Italia, della Convenzione di Strasburgo. "Finalmente",
conclude Laura Garavini, "si apriranno non solo le porte alla doppia
nazionalità per i nostri connazionali all'estero, ma anche a un'Europa più
integrata, all'insegna dello straordinario patrimonio di culture di cui
dispone".
(tratto dal sito web di Demografici
Associati)
Inviata al Comuni
Italiani la circolare del Ministero Interno sulla dematerializzazione nella
trasmissione degli atti di stato civile tra i Consolati italiani e i Comuni
Operativo il nuovo protocollo tra
Ministero Affari Esteri e Ministero dell'Interno per la trasmissione per posta
elettronica certificata della documentazione di stato civile dalle
Rappresentanze diplomatico-consolari italiane all'estero ai Comuni ai fini
della trascrizione degli atti nei registri dello stato civile.
Lo stabilisce la Circolare del
Ministero dell'Interno del 27 ottobre 2009, n. 11727 contenente le "Linee
guida sulla dematerializzazione nella trasmissione degli atti di stato civile
fra Consolati e Comuni tramite posta elettronica certificata (PEC) per
successiva trascrizione nei registri dello stato civile".
Circolare
del Ministero dell'Interno del 27 ottobre 2009, n. 11727
Circolare
INPS, Direzione centrale pensioni – direzione centrale entrate, dd. 10 luglio 2009 n. 90
Circolare
INPS, Direzione centrale pensioni – direzione centrale entrate, dd. 7
agosto 2009, n. 99
Vedere anche :
Raccolta dei provvedimenti regionali
a cura della Società italiana della medicina delle migrazioni.
Il
divieto di segnalazione dello straniero in condizioni di irregolarità di
soggiorno che accede ai servizi sanitari alla luce delle nuove disposizioni del
cosiddetto "pacchetto sicurezza" (legge n. 94/2009).
Analisi giuridica - Lettera - Documento alle autorità sanitarie nazionali e
regionali inviato da ASGI- Medici senza frontiere - Società italiana di
medicina delle migrazioni - Osservatorio italiano sulla salute globale
Pur in presenza del reato di ingresso e
soggiorno degli stranieri non sussiste per il personale sanitario l'obbligo di
denuncia in quanto la nuova legge non ha provveduto ad abrogare il quinto comma
dell'articolo 35 del decreto legislativo numero 286/1998 sulle disposizioni
concernenti la disciplina dell'immigrazione". Lo ha detto l'assessore regionale
alla Sanità, Nicola Passarelli, precisando che "l'accesso alle strutture
sanitarie non comporta alcun tipo di segnalazione all'autorità' salvo i casi in
cui sia obbligatorio il referto".
Tali disposizioni sono state diffuse
dall'assessore ai direttori dei distretti sanitari, agli ordini dei medici
delle province di Campobasso ed Isernia ed ai dirigenti dei consultori
familiari con una nota specifica che riguarda l'assistenza sanitaria agli
stranieri non in regola con le norme relative all'ingresso di soggiorno in
Italia.
La
circolare del 13 ottobre 2009 dell'Assessorato per la salute del Molise
Si rin grazia
Gianfranco Schiavone per la segnalazione.
La Legge della
provincia autonoma di Trento 29 ottobre 2009, n. 12 - Misure per favorire
l'integrazione dei gruppi sinti e rom residenti in provincia di Trento è stata
pubblicata sul B.U.R. n. 46 del 10 novembre 2009. Essa abroga la L.P. n.
15/1985 e appare innovativa per alcuni profili: 1) conferma la Consulta
provinciale, che ha fra i propri compiti non soltanto la mera tutela,
ma anche lo studio e la proposizione di strumenti per favorire
l'integrazione dei gruppi Sinti e Rom presenti in Trentino: è quindi un tavolo
che si pone in una ottica promozionale, di attivazione di processi di
emancipazione e di crescita. Fra i componenti della Consulta è prevista la
rappresentanza delle Autonome Locali e del Consorzio dei Comuni (due
rappresentanti) e dei Comuni di Trento e Rovereto 2) prevede il
superamento del campo nomadi e l'istituzione quindi delle "aree
residenziali di comunità" che avranno la dimensione coerente con le
dimensioni della famiglia allargata: aree più piccole rispetto ai campi sosta,
ma che individuano nella famiglia allargata e nel capofamiglia i responsabili
della loro gestione: è un luogo che , prendendo atto della dimensione di
famiglia allargata individua dei responsabili, dei legittimi occupanti,
chiedendo il pagamento dell'affitto e delle utenze. L'assegnazione dell'area
alla famiglia allargata avviene sulla base di una capacità del nucleo a farsi
carico dei costi delle utenze e dell'impegno di almeno il 50% degli
appartenenti al clan ad accettare percorsi formativi e proposte
lavorative. Si prevede il requisito di dieci anni di residenza dei
nuclei familiari che accedono alla area residenziale di comunità, affinché sia
stabilito il principio che ogni territorio deve farsi carico dei gruppi
presenti e appartenenti a quella comunità. La realizzazione ed assegnazione
delle aree ai singoli nuclei familiari è affidata alla Comunità di cui alla LP
3/2006 e viene finanziata nell'ambito dei trasferimenti sulla finanza locale e
quindi concordata in sede di programmazione annuale. 3) disciplina in
modo più stringente le aree di transito, che sono da un lato lo spazio
dove i gruppi ancora nomadi che passano sul territorio trentino possono
fermarsi in maniera dignitosa e controllata, ma che deve essere anche limitata
nel tempo. 4) circa le politiche di formazione ed inserimento lavorativo
si prevede la possibilità per le Comunità di promuovere iniziative di
scolarizzazione degli adulti, di attivare percorsi di inserimento lavorativo e
di formazione professionale o riconversione professionale. La Provincia
sostiene la nascita di cooperative che abbiano come finalità l'inserimento lavorativo
dei Sinti. 5) i Comuni o i soggetti convenzionati passano da una funzione
di gestione ad una funzione promozionale. Oggi i campi nomadi sono gestiti non
dai Sinti ma dal privato sociale per conto delle amministrazioni comunali.
Domani le aree residenziali di comunità saranno sottoposte alla responsabilità
del capofamiglia e viene affidata ai comuni e agli enti convenzionati la
funzione di accompagnamento, di sostegno, di supporto. Si passa da un ruolo di
controllo ad un ruolo di promozione dell'integrazione.
Legge
della provincia autonoma di Trento 29 ottobre 2009, n. 12 - Misure per
favorire l'integrazione dei gruppi sinti e rom residenti in provincia di Trento
ASILO
POLITICO
Con 2 recenti sentenze
il TAR Sicilia rinvia alla giurisdizione del giudice ordinario il ricorso
che era stato proposto contro il silenzio della Questura di fronte a richieste
di rilascio di permesso di soggiorno per motivi umanitari formulate ai sensi
dell'art. 11, comma 1, lett. c - ter), del regolamento di attuazione del testo
unico delle leggi sull'immigrazione, approvato con D.P.R. 31.08.1999, n. 394,
cioè con richiesta diretta al Questore, e non nell'ambito di una richiesta di
protezione internazionale. I casi prendevano le mosse da una richiesta di
rilascio di permesso di soggiorno per motivi umanitari formulata direttamente
al Questore ai sensi dell'art. 11, comma 1, lett. c - ter), DPR 31.08.1999, n.
39.Le Sezioni
Unite della Corte di Cassazione con ordinanza
n. 19393 del 9 settembre 2009 avevano affermato che la
domanda riguardante il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi
umanitari è devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario, trattandosi di
una situazione giuridica qualificabile come diritto soggettivo ed appartenente
alla categoria dei diritti umani fondamentali, garantiti dall'art. 2 e 10 della
Costituzione e dall'art. 3 della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo.
Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia - sezione II
Sentenza
n. 1703 del 23 ottobre 2009
Sentenza
n. 1702 del 23 ottobre 2009
Si ringrazia per la segnalazione Daniele Papa.
PERMESSO DI SOGGIORNO
Tali circostanze possono
essere la presentazione dell'istanza di riabilitazione e la maturazione dei
termini per ottenere il pds CE per lungo soggiornanti ma è onere
dell'interessato sottoporre alla questura il loro esame.
La condanna per taluni reati
è preclusiva al rilascio e al rinnovo del permesso di soggiorno in virtù del
combinato disposto degli art. 5 c. 5 e 4 c. 3 del d.lgs. n. 286/98,
costituendo una presunzione "ex lege" di pericolosità sociale.
Tuttavia un rigido automatismo ai fini del rifiuto o revoca del permesso
di soggiorno può essere escluso in presenza di circostanze sopravvenute quali
la presentazione dell'istanza di riabilitazione e la maturazione dei
presupposti per ottenere il permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti, ma
è onere dell'interessato sottoporre all'esame dell'Amministrazione tali
circostanze. Qualora invece tali circostanze vengano prospettate per la prima
volta solo in sede di appello, non possono essere prese in
considerazione per il noto principio di "ius novorum".
Consiglio
di Stato, sez. VI, Decisione n. 6194 dd. 8 ottobre 2009
2. La condanna per un reato inerente agli
stupefacenti non è di per sè condizione ostativa al rinnovo del permesso di
soggiorno quando l’interessato ha beneficiato del diritto al ricongiungimento
familiare. In tali casi, sulla base dell’esplicita previsione del d.lgs. n.
5/2007, attuativo della direttiva europea 2003/86/CE, l’amministrazione è
chiamata a ponderare, da un lato, l’interesse pubblico a che sia precluso il
soggiorno in Italia allo straniero che si sia reso responsabile di gravi reati
e, dall’altro, l’interesse del
privato a permanere sul territorio nazionale, in relazione alla natura e
effettività dei suoi vincoli familiari
e sociali, nonché alla durata del suo soggiorno nel territorio
nazionale. Tale norma trova
applicazione anche nei procedimenti di rinnovo del permesso di soggiorno
successivi al primo rilascio, anche qualora sia nel frattempo mutata la causale
del permesso di soggiorno (TAR F.V.G. 12.03.2009, n. 114, TAR Piemonte, sez.
II, 7.02.2009, n. 368; TAR Piemonte, sez. II, 23.01.2009, n. 211).
TAR Toscana, sez. II,
sentenza d. 10.11.2009, n. 1594
Nota: Sebbene la questione non sia stata
affrontata dal TAR, la decisione della questura di Firenze di non rinnovare il
permesso di soggiorno al cittadino
straniero in oggetto appare
viziata da un ulteriore elemento di illegittimità. La questura infatti
ha motivato la decisione, adottata nel settembre 2009, sulla base di una condanna per un reato
connesso agli stupefacenti pronunciata nel febbraio 2009 in primo grado e,
dunque, non definitiva, applicando così il nuovo testo dell’art. 5 c. 5 T.U.
immigrazione, come modificato dalla legge n. 94/2009.
Per giurisprudenza costante e consolidata
riferita alle modifiche intervenute con la legge n. 189/2002, tuttavia, appare
pacifico che tale modifica introdotta dalla legge n. 94/2009 non può avere
portata retroattiva e dunque la condanna non definitiva per uno dei reati
ostativi al rilascio del permesso di soggiorno può determinare il diniego al
rinnovo del permesso di soggiorno solo se
pronunciata dopo l’entrata in vigore della disposizione citata.
Si
ringrazia l’avv. Sara Occhipinti, del Foro di Firenze per la segnalazione
3. Ai fini del rinnovo del permesso di
soggiorno per lavoro autonomo, lo straniero deve dimostrare non solo il possesso dei mezzi di sostentamento,
ma anche quelli necessari per svolgere l’attività imprenditoriale. Il sostegno
finanziario assicurato da altri soggetti è valido solo se proviene da persone
obbligate a fornirlo. Non è tale la situazione ove sia il fratello a prestare
il sostegno. Solo i lavoratori dipendenti hanno diritto al periodo di
disoccupazione tollerata di sei mesi previsto dall’art. 22 del T.U.
immigrazione.
Consiglio
di Stato, sez. VI, Decisione n. 6296 dd. 14 ottobre 2009
RICONGIUNGIMENTO
FAMILIARE
Il giudice di Firenze: E’ illegittima la
revoca del nulla osta al
ricongiungimento familiare precedentemente rilasciato a favore del padre della
ricorrente, motivato con riferimento alla circostanza che il genitore fosse già
presente sul territorio nazionale. Il precario stato di salute dell’interessato ha costituito infatti
una causa di incolpevole
impossibilità di attuare il presupposto dell'assenza del territorio nazionale,
per cui il provvedimento dell’amministrazione deve essere annullato.
Tribunale
di Firenze, Decreto del 23 ottobre 2009, Giudice Paparo. R.R.R. –
Prefettura di Firenze.
DIRITTO
PENALE
1. Dichiarate inammissibili dalla Corte
Costituzionale le questioni di
legittimità costituzionale sollevate dai giudici penali di Livorno, Latina e
Ferrara con riferimento alla circostanza aggravante «dello status di soggetto
illegalmente presente nello Stato» di cui dell'art. 61, numero 11-bis, del
codice penale, come introdotto dall'art. 1, lettera f), del decreto-legge 23
maggio 2008, n. 92 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica). Le modifiche legislative nel frattempo
intervenute in materia di contrasto penale all’immigrazione clandestina con
l’entrata in vigore della legge n. 94/2009 rendono necessaria un nuova
valutazione da parte dei giudici rimettenti circa la rilevanza e la non manifesta infondatezza delle
questioni sollevate .
Corte
Costituzionale, ordinanza n. 277 del 29 ottobre 2009. Pres. Amirante, Red.
Silvestri.
2. Compete al giudice penale verificare
direttamente la sussistenza di cause ostative all’ammissione dello straniero
alla procedura di regolarizzazione
? Un discutibile provvedimento del
giudice penale di Perugia
La dichiarazione di emersione del lavoro irregolare
prevista dalla legge n. 102/2009 sospende i precedenti penali ed amministrativi
nei confronti tanto del datore di lavoro quanto del lavoratore extracomunitario
in relazione alla violazione delle norme sull’ingresso e soggiorno degli
stranieri. L’art. 13 della legge n. 102/2009 prevede tuttavia la non
ammissibilità alla procedura di emersione dei lavoratori extracomunitari
che risultino condannati anche con
sentenza non definitiva per uno
dei reati previsti dagli artt. 380 e 382 del cpp. Di conseguenza, la non
ammissione può applicarsi anche nei confronti dello straniero che abbia subito
una condanna non definitiva per il reato di inottemperanza del primo ordine del
questore di lasciare il territorio nazionale ai sensi dell’art. 14 c. 5 del
T.U. immigrazione.
La norma potrebbe presentare possibili profili di
incostituzionalità anche in
relazione ai precedenti giurisprudenziali (sentenza della Corte Costituzionale
n. 78/2005).
Si segnala al riguardo la decisione del giudice di
Perugia, che nel corso di un procedimento di direttissima a carico di due
stranieri per il reato di inottemperanza dell’ordine del questore di lasciare
il territorio nazionale, a fronte della richiesta di sospensione del
procedimento collegata all’istanza di emersione presentata a favore degli
interessati ai sensi della legge
n. 102/2009, invece che richiedere allo sportello unico una decisione circa
l’ammissibilità della suddetta istanza, ha disposto a cura della cancelleria
l’acquisizione diretta delle informazioni presso i rispettivi tribunali circa
l’eventuale esistenza di condanne di primo grado pronunciate per il reato di
mancata inottemperanza del primo ordine del questore di lasciare il territorio
nazionale a seguito di provvedimento espulsivo. Tale circostanza, se
verificata, determinerebbe, in base alla legge l’inammissibilità dell’istanza
di regolarizzazione e, conseguentemente, la ripresa dei procedimenti penali
collegati alla violazione delle norme sull’ingresso e soggiorno. La questione è
dunque se competa al giudice
penale verificare direttamente la sussistenza di eventuali cause ostative alla
regolarizzazione ovvero questa procedura sia di stretta competenza dello
sportello unico immigrazione.
Fonte: www.immigrazione.it
3. Il Tribunale penale di Agrigento assolve i
pescatori tunisini dal reato di favoreggiamento all’immigrazione clandestina,
ma condanna per resistenza a
pubblico ufficiale i due comandanti dei pescherecci che hanno tratto in salvo
44 migranti naufraghi in mare nel Canale di Sicilia nell’agosto 2007.
Il dispositivo della
sentenza del Tribunale di Agrigento
pronunciata il 17 novembre 2009
Il
commento del prof. Fulvio Vassallo, dell’Università di Palermo
DIRITTO
PENALE – RAZZISMO
Depositata la sentenza della Cassazione con
la quale è stata definitivamente confermata la condanna dell’attuale Sindaco di
Verona Tosi e di altri esponenti della Lega Nord di Verona per il delitto di
propaganda di idee fondate sulla superiorità o sull’odio etnico o razziale”.
E’ stata depositata in data 30 ottobre 2009 la
sentenza della Corte di Cassazione, IV sez. penale, n. 41819, con la quale è stata irrevocabilmente e
definitivamente confermata la
condanna dell’attuale Sindaco di Verona Tosi e di altri esponenti della Lega
Nord di Verona per il delitto di
“propaganda di idee fondate sulla superiorità o sull’odio etnico o razziale”
(art. 3 lett. a legge n. 654/1975 e succ. modifiche, c.d. “legge Mancino”),
alla pena di due mesi di reclusione ed alla sanzione accessoria del divieto di
svolgere attività di propaganda elettorale per anni tre, condizionalmente
sospese, nonché al risarcimento dei danni alle parti civili costituite, oltre
alle spese processuali. La condanna è riferita alla campagna politica
discriminatoria condotta dagli imputati nei confronti delle popolazioni Rom e
Sinti e volta ad ottenerne l’allontanamento dalla città di Verona.
La Corte di Cassazione ha così respinto il ricorso
presentato dagli imputati contro la sentenza pronunciata dalla Corte di Appello
di Venezia il 20 ottobre 2008. Nella motivazione della sentenza, la Suprema
Corte ha ritenuto di confermare la sentenza pronunciata dalla Corte di Appello
di Venezia perché quest’ultima “ha dato compiutamente conto del proprio
convincimento relativamente alla ritenuta sussistenza della condotta
discriminatoria degli imputati nei confronti degli zingari”, indicando gli
elementi di prova circostanziali dai quali si poteva concludere che
l’intendimento dei manifesti affissi dagli imputati non era il ripristino della
legalità quanto l’allontanamento
di tutti gli zingari (il contenuto dei manifesti, i toni della campagna
politica, le dichiarazioni rese alla stampa, l’affissione dei manifesti anche
fuori dal territorio della città di Verona), con ciò sussistendo l’elemento
psicologico del reato (dolo generico).
Corte
di Cassazione, IV sez. penale, sentenza n. 41819/09 dd. 30 ottobre 2009
Il
comunicato degli avv. Lorenzo Picotti e Federica Panizzo, rappresentanti delle parti civili
DIRITTI
SOCIALI
L'ordinanza della Corte
costituzionale n. 285/2009 estende implicitamente a tutti gli stranieri
extracomunitari regolarmente soggiornanti anche l'indennità di frequenza
prevista dalla legge 11 ottobre 1990, n. 289 a favore dei minori che
presentano difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni
proprie della loro età. Nell'ordinanza, la Corte riafferma i principi già
enunciati nelle precedenti pronunce (n. 306/2008 e n. 11/2009), secondo
le quali le prestazioni assistenziali che presuppongono gravi
infermità mirano a realizzare il diritto alla salute quale diritto umano
fondamentale. Di conseguenza, la subordinazione dell'attribuzione di tali
prestazioni a requisiti di soggiorno che richiedono per il rilascio la
titolarità di un reddito, quali quelli previsti per il permesso di soggiorno CE
per lungo soggiornanti, viene ad introdurre discriminazioni incompatibili
con le norme costituzionali e di diritto internazionale attinenti al sistema
internazionale dei diritti umani fondamentali, come tali spettanti a tutti,
cittadini e stranieri. Tale principio di parità di trattamento ha una
valenza ulteriore nell'ordinamento italiano dopo l'entrata in vigore
della Convenzione
delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, siglata a New
York il 13 dicembre 2006 e ratificata con la legge 3 marzo 2009, n. 18. La
Convenzione infatti afferma il principio dell'universalità dei diritti
spettanti a tutte le persone con disabilità, senza discriminazioni, qualunque
ne sia il loro fondamento (art. 5 Convenzione), con particolare
riferimento ed attenzione verso i minori con disabilità (art. 7)
L'indennità di frequenza è prevista dalla legge
11 ottobre 1990, n. 289 a favore dei mutilati ed invalidi civili minori di
anni 18, cui siano riconosciute dalle apposite commissioni difficoltà
persistenti a svolgere compiti e funzioni della propria età, nonché ai minori
ipoacustici che presentino una perdita uditiva significativa che richieda
trattamenti riabilitativi o terapeutici significativi. L'indennità di frequenza
è incompatibile con qualsiasi forma di ricovero e non è concessa ai minori che
già beneficiano dell'indennità di accompagnamento di cui alla legge n.
406/1968, alla legge n. 18/1980, alla legge n. 508/1988, nonché ai minori
beneficiari delle speciali indennità in favore dei ciechi civili parziali o
dell'indennità di comunicazione in favore dei sordi perlinguali. In tali casi
l'interessato può optare per il trattamento più favorevole.
Il
testo integrale dell'ordinanza della Corte Costituzionale n. 285 dd. 2 novembre
2009
DIRITTI CIVILI (Rom e Sinti)
Il progetto del
Comune di assegnare ai Sinti un’area residenziale dotata di unità immobiliari
stabili corrisponde ai requisiti fissati dal Comitato europeo per i diritti
sociali per favorire l’accesso delle popolazioni rom e sinti all'abitazione.
Con un'apprezzabile argomentazione,
il Consiglio di Stato afferma che l’espressione utilizzata dalla variante al
Piano regolatore regionale del Veneto relativa alla creazione di un
"campo nomadi" in ottemperanza alla legge regionale n. 54/1989
non può riferirsi unicamente alla creazione di un campo di sosta dotato delle
sole attrezzature essenziali, bensì può legittimamente concretizzarsi nella
realizzazione di un'area strutturata con piccole unità immobiliari stabili con
le necessarie opere di urbanizzazione ed i servizi indispensabili in grado di
favorire la tendenza alla stanzialità delle popolazioni Sinti. Ugualmente il
Consiglio di Stato ritiene doverosa tale impostazione del Comune di Venezia
a fronte della specifica decisione del Comitato europeo per i
diritti sociali (decisione
del 7 dicembre 2005 sul reclamo n. 27/2004 presentato dall' European Roma Rights Center ) che ha affermato
nei confronti dell'Italia l'obbligo di favorire l'accesso dei nomadi alle
abitazioni pubbliche.
La
decisione del Consiglio di Stato, sez. IV, n. 6866 dd. 4 novembre 2009
DIRITTO
ANTI-DISCRIMINATORIO
Accolto in
sede cautelare il ricorso di una cittadina albanese contro la decisione
dell'Azienda Sanitaria di escluderla dalla graduatoria di un concorso pubblico
per operatori socio-sanitari.
Il Tribunale di Rimini accoglie un
ricorso della FP Cgil e obbliga l'Ausl ad assumere con contratto a tempo
indeterminato una lavoratrice albanese considerando discriminatoria la sua
esclusione da una procedura concorsuale per l'assunzione di n. 5 operatori
socio sanitari.
L'ordinanza cautelare è stata pronunciata dal giudice del lavoro di
Rimini, su ricorso promosso dalla cittadina albanese con il sostegno della CGIL
funzione pubblica di Rimini, mediante l'azione civile anti-discriminazione di
cui all'art. 44 del d.lgs. n. 286/98. Nell'ordinanza il giudice afferma
l'esistenza del fumus boni iuris del ricorso in quanto l'accesso
all'occupazione dovrebbe essere garantito per gli stranieri allo stesso modo di
quanto previsto per i cittadini italiani , salvo le attività lavorative che
comportino esercizio diretto o indiretto di pubblici poteri.
Poichè la qualifica di operatore socio-sanitario non rientra tra quelle per le
quali sia imprescindibile il requisito della cittadinanza italiana (D.P.C.M. n.
174/94), il ricorso è stato accolto in sede cautelare.
Nell'ordinanza il giudice ha fatto riferimento alla precedente giurisprudenza
favorevole all'accesso al pubblico impiego degli stranieri di paesi terzi non
membri dell'Unione Europea (in particolare Corte di Appello di Firenze
21.12.2005, n. 415) e ha sottolineato implicitamente l'irragionevolezza
dell'esclusione della ricorrente dalla graduatoria per una posizione
lavorativa, quella di operatore socio-sanitario, presso la quale era già
impiegata dalla medesima Azienda sanitaria locale con un rapporto di lavoro a
tempo determinato. L'Azienda Sanitaria locale è stata condannata al pagamento
delle spese legali e processuali.
L'ordinanza
del Tribunale di Rimini
CITTADINANZA
La Corte
di Appello di Salerno afferma che il cittadino straniero che acquista la
cittadinanza italiana la trasmette anche al figlio minore, sebbene non conviva
più fisicamente con esso a seguito di separazione, purchè continui a sussistere
l’esercizio della potestà genitoriale.
Prima pronuncia giurisprudenziale
sull'applicazione dell'art. 14 della legge sulla cittadinanza italiana
(l. n. 91/92), in materia di acquisto della cittadinanza italiana per
comunicazione ("I figli minori di chi acquista o riacquista la
cittadinanza italiana, se convivono con esso, acquistano la cittadinanza
italiana, ma divenuti maggiorenni, possono rinunciarvi, se in possesso di altra
cittadinanza").
In questi anni, si erano registrati
diversi casi in cui gli ufficiali di stato civile, di concerto con il Ministero
dell'Interno, non avevano ritenuto possibile estendere l'acquisto della
cittadinanza italiana anche al figlio minore del genitore separato che
acquistava la cittadinanza italiana (ad es, per naturalizzazione). Questo nei
casi in cui il neo cittadino italiano non era un il genitore
affidatario, e dunque non conviveva con il figlio, ma, pur conservando la
potestà genitoriale, risultava titolare soltanto di un diritto di
visita, ovvero pur essendo titolare di un affido condiviso con l'altro
genitore, era presso quest'ultimo che il figlio veniva a risiedere
anagraficamente.
Il giudice di appello di Salerno ha
ritenuto illegittima tale interpretazione della norma di cui all'art. 14 della
legge n. 91/92, sostenendo che il criterio della convivenza debba essere
interpretato estensivamente, non come mera convivenza "fisica" bensì
come "continuità di uno stabile rapporto familiare", che, dunque, non
viene meno con la separazione giudiziale o quella consensuale omologata dal
tribunale, quando il genitore "continui ad esercitare la sua potestà nelle
forme di legge, così assicurando l'effettiva sussistenza del vincolo morale e
spirituale normalmente rinvenibile nel rapporto tra genitore e figlio, quale
presupposto evidente per la trasmissione al secondo dell'inserimento del primo
nel contesto nazionale sancito in virtù della conseguita cittadinanza".
Il genitore separato, sebbene non affidatario del minore a seguito
di separazione giudiziale o provvedimento di separazione consensuale omologato
dal tribunale, continua ad esercitare la potestà genitoriale, sebbene secondo
mutate concrete modalità di estrinsecazione. Di conseguenza, ad avviso del
collegio giudicante di Salerno, la persistenza della frequentazione del figlio,
in base all'esercizio del diritto di visita sancito dal provvedimento di
separazione, integra "i presupposti e gli estremi per l'applicazione della
normativa" di cui all'art. 14 della legge n. 91/92, con conseguente
diritto del figlio di ottenere l'acquisto della cittadinanza italiana.
Il collegio giudicante di Salerno ha
dunque dichiarato la sussistenza del diritto dell'interessato, nel frattempo
divenuto maggiorenne, di vedersi riconoscere la cittadinanza italiana ed ha
ordinato all'ufficiale di stato civile di provvedere di conseguenza.
Il precedente giurisprudenziale è stato
originato dal ricorso presentato da un cittadino straniero, figlio di padre
libanese e madre egiziana, separati giudizialmente e che era stato affidato
alla madre, con diritto di visita da parte del padre, il quale, successivamente
alla separazione, aveva acquistato la cittadinanza italiana per
naturalizzazione durante la minore età del figlio.
Il
testo della decreto della Corte di Appello di Salerno dd. 20 agosto 2009 n. 32
News
nel sito web della rete G2- Seconde generazioni
DIRITTO
DI FAMIGLIA
Sentenza
della Cassazione sui conflitti di giurisdizione nei procedimenti per la
modifica delle condizioni di affido dei minori e a seguito di sottrazione
internazionale illecita dei minori.
Ribadito anche il principio per cui l’audizione dei minori è necessaria anche nei procedimenti
relativi alla sottrazione internazionale dei minori, in ottemperanza ad obblighi internazionali.
La Corte di Cassazione, a sezioni unite, interviene
sulla materia dei conflitti di giurisdizione nei procedimenti di affidamento e
modifica delle condizioni di affido dei minori anche a seguito di sottrazione
illecita dei minori e loro trasferimento all’estero.
La Suprema Corte ribadisce e chiarisce dunque il
quadro normativo risultante dal Regolamento comunitario 27 novembre 2003 n.
2201/2003 relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle
decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale.
In particolare, la Suprema Corte ricorda che in base all’art. 8 del Regolamento CE
n. 2201 del 2003, il criterio di giurisdizione tra autorità giurisdizionali di
Stati membri dell’U.E. in ordine a decisioni sull’affido e sul diritto di
visita è quello della residenza abituale del figlio. L’art. 9 del Regolamento CE stabilisce il principio
di ultraattività della preesistente residenza abituale del minore, nel caso di
trasferimento lecito di uno dei coniugi con i figli in altro Stato membro
dell’Unione europea, per cui permane la giurisdizione del precedente Stato di
residenza per i successivi tre mesi dal trasferimento, salvo il diverso
consenso delle parti. L’art. 10 del Regolamento estende il periodo di ultra attività della preesistente
residenza abituale del minore nei casi di trasferimento illecito del minore e suo mancato rientro. Tale
termine viene infatti esteso ad un anno a decorrere dalla data in cui il
genitore cui il minore sia stato sottratto ha avuto conoscenza o avrebbe dovuto
avere conoscenza del luogo di nuova residenza del minore. In base a tali
regole dunque deve essere risolta
la questione della giurisdizione delle decisioni di affido e visita del minore
in caso di istanze multiple presentate dai genitori dinanzi a tribunali in seno
a paesi diversi dell’Unione Europea . In virtù delle norme sulla litispendenza
e connessione, di cui agli art. 19 e 20 del Regolamento comunitario, dunque,
l’autorità giurisdizionale adita, preso atto di un’istanza precedentemente
depositata presso altro tribunale estero, deve sospendere il procedimento
fintantoché l’autorità giudiziaria estera si pronunci sulla propria competenza, salva la
possibilità di emanare provvedimenti cautelari e di urgenza, riferiti alla
presenza dei minori entro il territorio nazionale.
La Corte di Cassazione ha ulteriormente ribadito,
inoltre, che costituisce una sottrazione illecita internazionale di
minore, punibile anche penalmente,
anche il caso in cui sia il genitore affidatario a trasferire all’estero il
figlio senza il consenso dell’altro genitore che sia titolare di un diritto di
visita, ma solo qualora la
mobilità internazionale e mutabilità della residenza abituale dei figli sia stata convenzionalmente esclusa dai coniugi nelle condizioni
concordate della separazione (Cass. 2 luglio 2007, n. 14960, 14 luglio 2006 n.
16092, 5 maggio 2006 n. 10374).
Pertanto, nella situazione specifica di un figlio
affidato alla madre finlandese con diritto di visita del padre, cittadino
italiano, e poi illecitamente trasferito in Finlandia dalla madre, la Corte di
Appello di Rieti ha correttamente affermato la propria giurisdizione in materia
di decisioni sulla modifica delle condizioni di affido, così come giustamente
il Tribunale di Helsinki ha affermato la propria competenza solo in relazione
alle decisioni d’urgenza volte a garantire il diritto di visita del padre
durante la presenza dei figli in Finlandia.
La
Corte di Cassazione ha invece accolto il ricorso della cittadina finlandese
nella parte in cui ella lamentava la mancata audizione dei minori da parte
dell’autorità giudiziaria italiana, che quest’ultima aveva giustificato in quanto non imposta per legge, in
ragione del carattere urgente e meramente ripristinatorio della situazione
precedente all’illecito trasferimento,
proprio del procedimento giudiziario.
La Suprema Corte ha quindi accolto il ricorso anche
in considerazione della vigenza di norme di rango sovranazionale, quali l’art.
12 della Convenzione sui diritti del fanciullo di New York del 1991 e l’art. 6
della Convenzione di Strasburgo sull’esercizio dei diritti del fanciullo del
1996, ratificata con la legge n. 77 del 2003, che esclude l’audizione dei
minori nei procedimenti giudiziari che li riguardano ed in ordine al loro
affidamento solo nei casi in cui possa arrecare loro danno (Cassazione 16
aprile 2007 n. 9094) ovvero, in ragione dell’ età del minore medesimo o di
altre comprovate ragioni, vi sia assenza di discernimento dei medesimi.
Nota
a cura di Walter Citti, segreteria organizzativa ASGI
Corte
di Cassazione, SS.UU. Civili, sentenza n. 22238 del 21 ottobre 2009
GIURISPRUDENZA
COMUNITARIA
Uno Stato membro ha la
possibilità, ma non l’obbligo, di espellere un cittadino non comunitario che
non soddisfa le condizioni relative alla durata del soggiorno applicabili in
tale Stato.
La Corte dichiara che
la Convenzione di applicazione dell'Accordo di Schengen e il codice
delle frontiere Schengen devono essere interpretati nel senso che, quando un cittadino
di un paese terzo si trova in situazione irregolare nel territorio di uno Stato
membro perché non ha mai soddisfatto o non soddisfa più le condizioni relative
alla durata del soggiorno ivi applicabili, tale Stato membro non è obbligato ad
adottare una decisione di espulsione nei suoi confronti.
Si ringrazia Nazzarena
Zorzella per la segnalazione.
Una sentenza della Corte di Giustizia europea afferma
che i Paesi Bassi, introducendo
nella propria legislazione sugli stranieri il pagamento di un contributo pari a euro 169 per la
valutazione dell’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno, hanno violato la
clausola di “standstill” di cui all’art. 13 della
decisione n. 1/80 del Consiglio di associazione CEE-Turchia, che prevede che
gli Stati membri e la Turchia non possono introdurre, successivamente al 1 dicembre 1980, data di sua entrata in
vigore, nuove restrizioni sulle condizioni di accesso all’occupazione dei
lavoratori e dei loro familiari che si trovino sui loro rispettivi territori in
situazione regolare. Secondo la Corte di Giustizia europea, l’importo del
contributo richiesto da un paese membro ai fini del rilascio o del rinnovo del
permesso di soggiorno di un cittadino turco, se è sproporzionato rispetto a
quello richiesto, in circostanze analoghe, ad un cittadino comunitario,
costituisce un’indebita
restrizione alle condizioni di accesso all’occupazione del lavoratore
migrante turco medesimo.
Sono ovvie le implicazioni di detta sentenza della
Corte europea rispetto alla normativa introdotta dall’art.1 c. 22 lett. b) della legge n. 94/2009 che,
introducendo l’art. 5 comma 2 ter del d.lgs. n. 286/98, ha stabilito l’obbligo a carico dello
straniero extracomunitario che intenda richiedere il rilascio od il rinnovo del
permesso di soggiorno del pagamento di un contributo, di un importo variabile
da un minimo di 80 ed un massimo
di 200 euro, secondo quanto verrà stabilito da un apposito decreto del
Ministero dell’Economia e delle Finanze, di concerto con il Ministero
dell’Interno ( a tale contributo
non vengono assoggettati i permessi di soggiorno per asilo, per
richiesta di asilo, per protezione sussidiaria e per motivi umanitari). E’ ovvio
che il Ministero dell’Economia e delle Finanze dovrà, in sede di decreto
attuativo, tenere conto della
sentenza della Corte di Giustizia europea, prevedendo perlomeno condizioni più favorevoli per i
cittadini di nazionalità turca.
Più in generale, è opportuno rimarcare come i
giudici della corte europea sottolineino il carattere irragionevole
dell’imposizione di contributi amministrativi sproporzionatamente maggiori per
il rilascio od il rinnovo dei permessi di soggiorno dei cittadini turchi rispetto
a quanto previsto per i cittadini comunitari, proprio in quanto i periodi di
validità dei titoli di soggiorno dei primi sono di norma più brevi di quelli
previsti per i secondi e dunque i cittadini di paesi terzi sono costretti a
sollecitarne il rinnovo più spesso dei cittadini comunitari, senza che la
valutazione dei requisiti per il rinnovo dei titoli di soggiorno dei primi sia
così eccessivamente più onerosa della valutazione dei secondi. Considerazioni
di ragionevolezza ed equità che ben potrebbero estendersi alla generalità dei
lavoratori di paesi terzi non membri dell’Unione Europea.
Ulteriormente, la sentenza della Corte di Giustizia
ricorda che in virtù della sua consolidata giurisprudenza, l’art. 13 della
decisione n. 1/80 è norma di immediata applicazione negli ordinamenti interni
degli Stati membri e deve dunque comportare l’automatica disapplicazione di
qualsiasi normativa interna successiva al 1 dicembre 1980 che imponga nuove
restrizioni sulle condizioni di accesso all’occupazione dei lavoratori
turchi in situazione regolare.
Pertanto, alla luce di questo, si dovrebbe concludere che le nuove restrizioni
introdotte dalla legge “Bossi-Fini” all’accesso al lavoro degli stranieri extracomunitari
regolari, tra cui l’istituto del “contratto di soggiorno” e il conseguente requisito dell’idoneità abitativa,
siano illegittime se applicate nei confronti dei lavoratori di nazionalità
turca, in quanto in contrasto con la normativa comunitaria collegata agli Accordi di Associazione
CEE-Turchia.
GIURISPRUDENZA
EUROPEA
Storica sentenza
pronunciata dalla Corte europea dei diritti dell'Uomo a favore della laicità
dello Stato (sentenza Lautsi c. Italia)
L'esibizione obbligatoria del simbolo di
una data confessione religiosa, quale il crocefisso, nelle sedi di istituzioni
pubbliche e specialmente nelle classi scolastiche, restringe illegittimamente
il diritto dei genitori ad educare i loro figli secondo le proprie convinzioni
ed il diritto dei fanciulli ad avere o meno un credo religioso. Di conseguenza,
all'unanimità, la Corte europea dei diritti dell'Uomo ha concluso che
l'esibizione del crocifisso nelle aule scolastiche viola l'art. 2 del Protocollo
n. 1 unitamente all'art. 9 della Convenzione europea dei diritti dell'Uomo.
La Corte europea dei
diritti dell'Uomo ha sostenuto nella sentenza che il diritto a non
credere in alcuna religione è incluso nel diritto alla libertà religiosa
garantito dall'art. 9 della CEDU. Tale diritto a essere libero di non credere
in alcuna religione deve estendersi non solo alla libertà di non partecipare
all'educazione religiosa o ai rituali religiosi, ma deve includere anche la
questione dei simboli e dei precetti religiosi, soprattutto se tali simboli o
precetti religiosi sono promossi ed esibiti dalle istituzioni statuali e
l'individuo è posto in una situazione nella quale non può evitarli o può farlo
solo a fronte di sforzi e sacrifici sproporzionati. La Corte ha affermato
che lo Stato italiano doveva osservare una neutralità confessionale nel
contesto dell'educazione pubblica obbligatoria, la quale ha lo scopo
di sviluppare nei giovani uno spirito critico e
pluralista. L'esibizione del crocifisso, quale simbolo ragionevolmente
associato con il Cattolicesimo, non appare giustificato dalla Corte di
Strasburgo in base ai principi del pluralismo educativo necessario alla
preservazione di un ordine democratico e che costituisce anche un principio
fondamentale nella giurisprudenza costituzionale italiana. Per tali ragioni, la
Corte di Strasburgo ha affermato che l'esibizione del crocifisso nelle aule
scolastiche e, più in generale, negli uffici pubblici costituisce una
violazione della libertà religiosa di cui all'art. 9 della Convenzione europea.
ATTIVITA’
ASGI
L'ASGI denuncia
il mancato adempimento da parte dell'Italia alle norme comunitarie in materia
di accesso all'esercizio di attività lavorative a parità di condizioni con i
nazionali a favore dei famigliari di cittadini comunitari, dei rifugiati
politici e dei titolari della protezione sussidiaria
Il
testo dell'esposto inoltrato dall'ASGI alla Commissione europea
L'ASGI invia un esposto alla Commissione
europea denunciando il mancato adempimento da parte dell'Italia agli
obblighi scaturenti dalle norme del diritto comunitario in materia
di accesso agli impieghi pubblici dei cittadini di paesi terzi non appartenenti
all'Unione Europea famigliari di cittadini dell'Unione Europea regolarmente
soggiornanti in Italia e dei rifugiati politici e dei titolari della
protezione sussidiaria (Art. 23 direttiva n. 2004/38/CE e art. 26 direttiva n.
2004/83)
Nell'esposto, l'ASGI sottolinea che
l'Italia ha recepito nel diritto interno gli obblighi comunitari conseguenti
agli art. 23 e 24 della direttiva n. 2004/38/CE e all'art. 26 della direttiva
n. 2004/83 in materia di parità di trattamento nell'accesso all'esercizio di
attività economiche autonome o subordinate rispettivamente per i cittadini
di paesi terzi non appartenenti all'Unione Europea familiari di cittadini
dell'Unione Europea regolarmente soggiornanti in Italia e per i
rifugiati politici, ma nella prassi non ottempera e disattende a
tali obblighi. Nei concorsi pubblici indetti tanto dalle Amministrazioni
centrali dello Stato quanto da quelle regionali e dagli enti locali, si fa
quasi sempre riferimento al requisito della cittadinanza italiana o di uno
degli Stati membri dell'Unione europea.
L'ASGI sottolinea inoltre che il
legislatore italiano, nel recepire la direttiva europea n. 2004/83/CE, non ha
ottemperato integralmente agli obblighi scaturenti dall'art. 26 c. 3,
escludendo i beneficiari della protezione sussidiaria dai rapporti di lavoro
nella Pubblica Amministrazione.
Conseguentemente, l'ASGI chiede alla
Commissione europea, sussistendone i presupposti, di avviare il procedimento di
infrazione a carico della Repubblica Italiana per violazione degli obblighi
comunitari.
Si rammenta, peraltro, che
l'art. 23 del d.lgs. n. 30/2007 prevede l'estensione delle norme previste dal
decreto attuativo della direttiva europea in materia di libera
circolazione dei cittadini comunitari e loro famigliari anche ai famigliari di
cittadini italiani non aventi la cittadinanza italiana. Tale norma deve
intendersi quale espressione del divieto di "discriminazioni a
rovescio". Con due importanti sentenze, la Corte Costituzionale ha infatti
stabilito che, in caso di deteriore trattamento della situazione puramente
interna rispetto a quella applicabile all'omologa situazione disciplinata dal
diritto comunitario, alla luce del principio costituzionale di eguaglianza, la
posizione soggettiva garantita dal diritto comunitario sarà l'elemento su cui
misurare anche la disciplina riservata alla situazione nazionale (Corte
Costituzionale, sent. 16.06.1995, n. 249; Corte Cost., sent. 30.12.1997, n.
443). In altri termini il principio di eguaglianza di cui all'art. 3 della
Costituzione vieta le "discriminazioni a rovescio", quelle cioè che
si verificherebbero in danno del cittadino italiano quando, per effetto di una
norma comunitaria, una persona o un soggetto comunitario godrebbe in Italia di
un trattamento più favorevole di quello previsto in una situazione analoga per
il cittadino o soggetto nazionale in virtù della norma di diritto interno. In
sostanza, la ratio dell'art. 23 del d.lgs n. 30/2007 sembra essere
quella di evitare che il famigliare del cittadino comunitario goda di un
trattamento più favorevole rispetto al famigliare del cittadino italiano, con
evidente pregiudizio anche per quest'ultimo, visto che la famiglia è certamente
uno degli ambiti più rilevanti per l'affermazione della propria personalità.
Dal significato letterale della norma ne deriverebbe
un'interpretazione della equiparazione della condizione dei famigliari dei
cittadini italiani a quella dei famigliari di cittadini comunitari estensibile
a tutte le disposizioni contenute nel decreto di recepimento della normativa
comunitario e non solo a quelle in materia di soggiorno. Pertanto, anche i
famigliari dei cittadini italiani godrebbero del principio di parità di
trattamento nell'accesso alle attività lavorative, salvo quelle attività
escluse ai cittadini dell'Unione europea conformemente alla normativa
comunitaria. Ne conseguirebbe il diritto all'estensione anche ai famigliari
extracomunitari di cittadini italiani dell'accesso al pubblico impiego fatte
salve le limitazioni di cui al D.P.C.M. n. 174/1994, per effetto della
combinata applicazione del diritto comunitario e del divieto costituzionale di
"discriminazione a rovescio"
Ugualmente, l'ASGI ricorda la prevalente
giurisprudenza di merito che negli ultimi anni ha affermato
l'illegittimità in generale dell'esclusione dei cittadini
extracomunitari dagli impieghi pubblici, e la necessità invece di una loro
parificazione ai cittadini italiani, con le uniche eccezioni previste per
quegli impieghi che implicano l'esercizio diretto o indiretto di pubblici
poteri ovvero attengono alla tutela dell'interesse nazionale.
Questo in ragione innanzitutto del
carattere sovraordinato della norma in materia di parità di trattamento
nell'accesso al lavoro di cui alla Convenzione O.I.L. n. 143/1975, pienamente
recepita nel nostro ordinamento con l'art. 2 c. 3 del T.U. immigrazione. Si
veda un elenco per nulla esaustivo di decisioni giurisprudenziali:
§
- Tribunale di Rimini, ord. 27 ottobre 2009, n. 705/2009
§
- Tribunale di Parma, ord. 13 maggio 2009, est. Vezzosi
§
- Tribunale di Parma, 5 maggio 2009, est. Dallacasa
§
- Trib.Milano 30.5.08 in D&L, 2008, 729. confermata in
sede di reclamo
§
- Bologna 7.9.07, (ord.) est. Borgo, XX c. Alma Mater
Studiorum - Università di Bologna;
§
- Trib.Perugia 6.12.2006 est. Crisciuolo, XX c. ASL Perugia;
§
- Trib.Imperia 12.9.06 est. Favalli, AB c. ASL 1 Imperiese
§
- Trib.Firenze 14.1.06 est. Delle Vergini YY c.Università
degli Studi di Firenze
§
- Corte di Appello Firenze, ord. 21.12.2005, n. 415
§
- Trib.Genova, 21.4.04 est. Mazza Galanti ZZ c. ASL 3 Genova
§
- Corte Appello Firenze, ord. 2.7.02 n.281, XX c. Azienda
Ospedaliera Pisana
§
- TAR Liguria, 13.4.2001, pres. Balba, est. Sapone, RO c. Ente
Ospedaliero
……………………………..
NOTIZIE
L'Assemblea
legislativa ha approvato a maggioranza una risoluzione in cui invita il Governo
a sospendere i respingimenti e a chiarirne le basi giuridiche.
Nel
documento l'Assemblea legislativa dell'Emilia Romagna invita il
Governo Italiano a sospendere la pratica dei "respingimenti", finché
non avrà fornito in modo chiaro ed inequivocabile le basi giuridiche, del
diritto interno e del diritto internazionale, che legittimano i respingimenti
in mare, le modalità concrete con cui esse sono messi in atto, le procedure
poste in essere, oltre a rendere noti i contenuti degli accordi Italia-Libia non
pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale.
Si invita inoltre il
Governo Italiano ad adoperarsi per prestare soccorso a tutte le persone
migranti stremate sui barconi, e a verificare, successivamente, quali di questi
abbiano o meno il diritto di asilo o di accoglienza nel nostro Stato e quali
invece dovranno essere espulsi. Il documento, infine, chiede al Governo di
adoperarsi nei confronti di questi esseri umani in modo rispettoso della vita e
della dignità delle persone, come da tradizione del nostro Paese, nonché a
rispettare le norme che regolano i rapporti internazionali in materia di
respingimenti ed asilo.
La
risoluzione adottata il 27 ottobre 2009
Si ringrazia Nazzarena Zorzella per la segnalazione .
Tuttavia il Comune
non rinuncia alla battaglia legale e intende ricorrere in Cassazione dopo le
cinque decisioni dei giudici di Brescia che hanno ritenuto i provvedimenti sul
bonus bebè discriminatori e ritorsivi. Le dichiarazioni di ASGI e CGIL.
Il Comune di Brescia
finalmente si adegua alla decisioni della magistratura e pagherà il bonus
bebè a tutti: cittadini italiani e stranieri. |
|
Il comune di Brescia
pagherà il bonus bebé a tutti i neo genitori che l'hanno richiesto, siano
essi italiani o immigrati; si tratta di 1067 famiglie, di cui 675 italiane e
392 composte da genitori stranieri che riceveranno quindi 1000 euro di
sostegno (leggi qui). In questo caso Cgil e
Asgi si sono opposti adducendo la motivazione giuridica della
ritorsione, il giudice ha accolto la loro istanza, e allora il comune ha
proposto il regolamento di giurisdizione, cioè ha chiesto alla Cassazione di
decidere quale giudice è competente per questa vicenda, se quello
amministrativo o se quello civile. Questa mossa ha
sospeso tutto fino al pronunciamento della Cassazione, che però avverrà
tra almeno un anno, secondo le previsioni dell'avvocato Guariso. I
tempi, sempre secondo il legale, si allungheranno ancora per il nuovo
iter giudiziario. Si rischia quindi che solo tra tre o quattro anni
ci sia una conclusione definitiva. "A questo punto" si
è chiesto Guariso "che senso ha procedere su questa strada? Non è meglio
che il comune si interroghi su quali criteri selettivi l'ente locale debba
adottare un quando si tratta di bisogno sociale? ". Insomma l'avvocato
ha concluso suggerendo di lasciar perdere "questioni che appassionano
noi azzeccagarbugli ma che politicamente e non solo sono un po'
ridicole". |
(tratto da QuiBrescia)
Tribunale di Brescia, ordinanza del 26 gennaio 2009 n. 335
Tribunale
di Brescia, ordinanza del 20 febbraio 2009
Tribunale
di Brescia, ordinanza del 27 maggio 2009
Richiesti
chiarimenti anche alla regione Friuli Venezia Giulia prima dell'apertura di una
procedura d'infrazione per contrasto con la normativa dell'Unione europea
dell'ordinanza che stabilisce un reddito minimo per l'accesso degli stranieri
ai benefici sociali
Con tale ordinanza, il
Sindaco di Azzano Decimo aveva disposto l’esclusione dei cittadini stranieri
regolarmente soggiornanti dagli interventi di assistenza sociale erogabili
dalla propria amministrazione, con l’ulteriore indicazione al proprio personale
competente di provvedere alla segnalazione all’autorità di pubblica sicurezza
di eventuali richieste di assistenza presentate da cittadini stranieri in stato
di bisogno, ai fini dell’avvio di eventuali provvedimenti espulsivi o di
allontanamento dal territorio nazionale.
Dopo l'entrata in
vigore dell'ordinanza, una lettera era stata inviata dalla Commissione
europea alla Regione Friuli Venezia Giulia e al Comune di Azzano Decimo.
Spiega l'assessore regionale alla sanita' del Friuli Venezia Giulia
Kosic: «Abbiamo ricevuto una sollecitazione dagli uffici di Bruxelles, i quali,
prima di avviare una eventuale procedura di infrazione, ci hanno chiesto di
avere chiarimenti rispetto le spiegazioni date dal sindaco di Azzano X, ritenute
non soddisfacenti».
«La Giunta - ha
aggiunto Kosic - ha deciso quindi di sollecitare il sindaco a fornire risposte
più "sostanziose" dal punto di vista giuridico affinché siano
coerenti con l'Ue». La Giunta poteva seguire tre strade: "Esercitare il
potere sostitutivo, vale a dire con un commissariamento ad acta, e non era il
caso. Poteva inoltrare all'Ue quanto già oggi da noi in possesso. Invece, molto
responsabilmente, ha deciso di invitare il sindaco a fornire delle motivazioni
più precise a sostegno del provvedimento emanato».L’ordinanza stabilisce di
segnalare alla questura gli stranieri con regolare documento di soggiorno che
si rivolgano ai servizi socio-assistenziali per chiedere sussidi o assistenza
sanitaria perché «l’incapacità di mantenersi è incompatibile con i requisiti
per il diritto a soggiornare in Italia».
L'ASGI aveva inviato una
lettera sui profili di illegittimità e discriminatori dell’ordinanza del
Sindaco del Comune di Azzano Decimo alle autorità locali, all'UNAR e alla
Commissione europea.
Ordinanza
n. 4 dd. 23 gennaio 2008 avente per oggetto “l’applicazione della
disciplina prevista dalla legge 8 novembre 2000, n. 328 e dalle leggi regionali
31 marzo 2006 e 4 marzo 2005 n. 5 per i cittadini comunitari e loro familiari,
cittadini extracomunitari muniti di permesso di soggiorno e cittadini
extracomunitari soggiornanti di lungo periodo” .
L'associazione
si propone di combattere ogni forma di discriminazione su basi nazionali o
etnico-razziali nei confronti di chi svolge attività imprenditoriali.
Si è costituita a Roma
l'Associazione degli Imprenditori Stranieri in Italia L'associazione
formata da imprenditori di nazionalità straniera, che operano nel nostro paese
e da rappresentanti di organizzazioni che si battono per i diritti dei
migranti, ha come scopo primario quello di combattere ogni forma di
discriminazione nei confronti di chi svolge attività imprenditoriali in ragione
della sua provenienza nazionale o per ragioni etniche o razziali.
Il primo passo dell'Associazione -che
ha sede in Roma, Via Ettore Giovenale 79 - sarà quello di costituirsi nel
giudizio promosso dall'Associazione Progetto Diritti nei confronti dell'Inps
per fare annullare - in quanto discriminatoria nei confronti dei cittadini imprenditori
stranieri - la circolare emessa nel mese di febbraio, in cui si afferma che
nell'anno in corso "dovrà essere privilegiata l'azione di vigilanza
nei confronti delle realtà economiche gestite da minoranze etniche".
La discussione del ricorso, iniziata l’
11 novembre, davanti al giudice Anna Mauro della I sezione civile del
Tribunale di Roma, proseguirà il prossimo 9 dicembre.
"Obiettivi dell'associazione
- dichiarano il Presidente, avvocato Maria Rosaria Damizia, e la coordinatrice,
Svetlana Kovalska, cittadina ucraina - saranno innanzitutto quello di
rimuovere ogni ostacolo all'esercizio dell'attività imprenditoriale dovuta all'
origine straniera dell'imprenditore, contrastare l'illegalità sul lavoro,
combattere ogni forma di usura nei confronti degli imprenditori stranieri,
promuovere forme di mutua assistenza e di ricorso agevolato al credito per le
imprese straniere, nonché lavorare per la cooperazione tra i soggetti per la
creazione di impresa e per forme consortili tra le imprese".
Per contatti tel. 06298777 - 3484906686
Fastweb
chiarisce definitivamente: la questione relativa alla stipula degli abbonamenti
con i cittadini rumeni è stata soltanto il frutto di un fraintendimento
generato dall'errore di una singola dipendente locale.
La lettera inviata dal
responsabile Affari legali di Fastweb ribadisce quanto già dichiarato dai
responsabili aziendali a diversi organi di stampa nazionali: non vi è stata
nessuna circolare degli uffici responsabili per i rivenditori volta a inibire
le vendite di abbonamenti a cittadini rumeni, ma solo l'errore di una
dipendente locale, dovuta al verificarsi di numerose truffe ai danni
dell'azienda in quell'area. Da tale fatto l'azienda ha preso le distanze.
Fastweb assicura dunque
che non sono mai state applicate e mai lo saranno azioni discriminatorie, ma
l'azienda intende in fase di attivazione dei servizi verificare la
solvibilità dei clienti attraverso un sistema di credit-management.
La
lettera dell'ufficio affari legali di Fastweb
La
lettera inviata dall'ASGI a Fastweb il 9 ottobre
Quattromila
euro di multa e divieto per tre anni di partecipare a comizi politici la
condanna al vicesindaco di Treviso per un discorso del 2008. Cosi' ha deciso il Tribunale di Venezia
.
Prima del
comizio conclusivo della festa delle Lega da parte di Umberto Bossi, il 14
settembre 2008, Gentilini dal palco aveva usato parole “ offensive " nei confronti dei rom, degli immigrati che delinquono e sulla
possibile realizzazione di moschee. L'accusa, sostenuta dal procuratore della
Repubblica Vittorio Borraccetti, aveva chiesto 6mila euro di multa, pari a 1
anno e 5 mesi di reclusione. Il gip Luca Marini ha in parte accolto le
richieste del procuratore che aveva indagato Gentilini per propaganda ed
istigazione al razzismo.
Il difensore di Gentilini, l'avvocato
Luigi Ravagnan del Foro di Venezia, ha già annunciato il ricorso in appello.
Per Ravagnan nelle frasi «non c'era nessuna maliziosità contro le razze, bensì
il sostegno ad idee ben note del mio assistito finalizzate all'integrazione tra
etnie diverse». Per Gentilini le accuse a lui mosse sono state il frutto «di
chi è abituato ad andare all'assalto e ad esporsi porgendo il proprio petto
mentre qualcuno è pronto a spararmi alle spalle».
Fonte: AGI, corriere della Sera, Gazzettino
On line il
sito plurilingue per la prevenzione e la protezione della salute dei cittadini
migranti che svolgono lavori sessuali. A disposizione gli indirizzi utili in 25
Paesi europei per trovare informazioni sui servizi disponibili e il quadro
giuridico in vigore per ogni Stato .
http://www.services4sexworkers.eu/
Il sito vuole offrire una
panoramica di tutti i servizi disponibili per accogliere e orientare le/i sex
workers in Europa ed informare gli operatori sui servizi specifici ed
il quadro giuridico nei differenti paesi europei. Il progetto è stato realizzato dal Network Europeo Tampep con il
contributo della Commissione Europea nell'ambito del Programma di Salute
Pubblica. Uno degli obiettivi dell'Unione Europea è infatti quello di
promuove la prevenzione e la protezione della salute di tutte/i i cittadini,
anche migranti senza documenti.
Il sito sarà di aiuto a tutte/i
quelle persone migranti che, loro malgrado o per libera
scelta, svolgono il lavoro sessuale. Inoltre offre la possibilità
agli operatori dei molti servizi specifici sulla prostituzione di stare in rete
fra loro ed essere informati sui servizi disponibili all'accoglienza nei paesi
d'origine.
In Italia il network Tampep è coordinato
dal Comitato Per i Diritti Civili delle Prostitute.
Coordinatrice Pia Covre tel. 0039 0434 551868
Newsletter a cura di Walter Citti e Silvia
Canciani – Segreteria ASGI
Per contatti : Sedi organizzative :Udine, via S. Francesco, 39 33100 - Tel. Fax:
0432 /50715 info@asgi.it
Trieste, via
Fabio Severo, 31 34100 - Tel/Fax: 040/368463 walter.citti@asgi.it
ASGI
- Sede legale e Amministrazione : Torino, via Gerdil n.7 10100 - Tel. /Fax 011/4369158 segreteria@asgi.it
Sito
internet : www.asgi.it