IL TRIBUNALE DI AGRIGENTO
ASSOLVE PER IL FAVOREGGIAMENTO DI IMMIGRAZIONE CLANDESTINA MA CONDANNA IL SOCCORSO
IN MARE COME RESISTENZA A PUBBLICO
UFFICIALE.
1. Le sentenze della magistratura si rispettano sempre, anche quando risultano contraddittorie e appaiono contrastare con il principio della solidariet nel soccorso in mare. Occorre naturalmente attendere la pubblicazione delle motivazioni per esprimere giudizi tecnici basati sulle argomentazioni addotte dai giudici. E poi verranno i ricorsi in appello e, se occorrer, davanti alla Corte Europea dei diritti dellUomo. Sui fatti accertati nel corso del dibattimento, per, occorre fare chiarezza da subito, a partire da quanto emerso dalle deposizioni dei militari coinvolti nelloperazione prima di assistenza, e poi di blocco dei pescherecci tunisini che nellagosto del 2007 avevano effettuato il salvataggio in mare di 44 naufraghi. Leffetto annuncio di questa sentenza, che al momento si conosce solo per il suo dispositivo, potrebbe essere devastante se si dovessero verificare in futuro situazioni analoghe ed un approfondimento dei fatti gi accertati durante il dibattimento potr risultare utile, in attesa di conoscere le motivazioni adottate dai giudici di Agrigento.
Se per i tecnici del diritto la condanna per resistenza a pubblico ufficiale inflitta ai comandanti dei due pescherecci, certo cosa diversa ( e assai pi lieve) da una condanna di favoreggiamento allingresso di migranti irregolari, cd.clandestini, per la opinione pubblica , per il senso comune della cd. gente, per i pescatori che ogni giorno incontrano in mare barconi carichi di migranti in fuga dalla Libia, rimane, e anzi si rafforza, la percezione che, in ogni caso, chi opera una azione di salvataggio rischia il sequestro degli strumenti di lavoro, una lunga detenzione, processi e condanne che possono rovinare per sempre il destino di intere famiglie. Come gi accaduto, con danni probabilmente irreversibili nel caso dei sette pescatori tunisini processati per due anni ad Agrigento dopo avere compiuto quello che tutti ( anche i magistrati) hanno riconosciuto come un intervento di salvataggio..
Di fronte ad una sentenza di primo grado, e dunque non defnitiva, come quella emessa ieri 17 novembre dal Tribunale di Agrigento, che assolve cinque marinai, ma condanna i due comandanti delle imbarcazioni da pesca tunisine, non basta esprimere solidariet nei confronti degli autori del salvataggio e garantire loro ancora sostegno per il futuro, dentro e fuori le aule giudiziarie.
Le assoluzioni dei cinque marinai non chiudono affatto questa vicenda. Chi risarcir quei pescatori che dopo tre anni sono stati assolti? Quando saranno risarciti i danni morali e patrimoniali derivanti dal sequestro delle imbarcazioni, bloccate per anni a Lampedusa e in condizioni ormai tali da renderle inutilizzabili per la pesca? Chi restituir ai comandanti lonore macchiato da una sentenza che assolve per laccusa pi grave di favoreggiamento dellimmigrazione clandestina ma li condanna ad una grave pena detentiva per il reato di resistenza a pubblico ufficiale ? Quali conseguenze potrebbe avere una loro condanna definitiva in Tunisia? Come si comporter la Tunisia nei confronti del governo amico italiano, dopo una condanna che lascia aperti tutti i dubbi nella ricostruzione dei fatti, dubbi gi emersi nel corso del dibattimento?
2. I sette pescatori venivano arrestati appena sbarcati a Lampedusa
nella serata del giorno 8 agosto 2007 da personale di P.G. della Guardia di
Finanza- Sezione navale di Palermo, Team antimmigrazione e della Guardia
Costiera di Lampedusa. Si contestavano loro i reati di cui agli articoli 110
c.p., 12 commi 3 e 3 bis del D.lvo 286/98 , per avere in concorso tra di loro
ed al fine di trarne profitto, compiuto atti diretti a procurare lingresso nel
territorio dello Stato, in violazioni delle disposizioni del T.U.
sullimmigrazione, di 44 cittadini extracomunitari, trasportati a bordo dei
motopesca Mohamed El hedi e Morthada dalla Tunisia alle coste italiane.
Successivamente il capo di imputazione contestato dalla procura di Agrigento
veniva derubricato come agevolazione allingresso semplice di clandestini, ai
sensi del primo comma dellart. 12 del testo unico 286 del 1998, ed infine, con
una contestazione suppletiva, abbandonata la tesi dellagevolazione
dellingresso di immigrati privi di documenti validi, si contestava una semplice
resistenza a pubblico ufficiale per avere proseguito la rotta verso Lampedusa
malgrado i tentativi di blocco navale messi in atto dalle unit militari
italiane.
La sentenza pronunciata dal Tribunale di Agrigento, malgrado smentisca la tesi, inizialmente adottata dalla Procura, tendente a dimostrare la responsabilit di tutti e sette pescatori tunisini per il reato di agevolazione dellingresso di clandestini, perviene ad una condanna per resistenza a pubblico ufficiale che si basa su considerazioni che gi nel dispositivo appaiono gravemente contraddittorie, anche alla luce di quanto emerso nella istruttoria dibattimentale. Non si comprende come possa essere caduta laccusa di favoreggiamento dellimmigrazione clandestina e poi si sia giunti alla condanna per resistenza di chi stava conducendo a terra i naufraghi che aveva salvato da morte certa. Resistenza a quali ordini ? Forse lordine di attendere al confine delle acque territoriali una decisione politica da parte del ministero dellinterno, o la disposizione immediata di fare rotta verso la Tunisia? E in quali atti si sarebbe concretizzata questa asserita resistenza, forse nella rotta seguita dalle imbarcazioni tunisine stracariche di migranti mentre i mezzi delle forze armate militari incrociavano pericolosamente la loro rotta per bloccarle? Perch su questo punto cruciale si ritenuto sufficiente ascoltare solo due dei numerosi testimoni della difesa, persone che adesso probabilmente si troveranno in un altra parte del mondo, e dunque non potranno pi deporre in questo giudizio?
3. La tesi accusatoria che ieri stata accolta dal Tribunale di Agrigento va letta anche alla luce di quanto riferito dalla stampa nei giorni successivi al salvataggio ed allarresto dei pescatori tunisini. In un articolo de "Il Giornale" dell8 settembre 2007 i pescatori tunisini, che nelle acque del Canale di Sicilia avevano salvato 44 migranti, tra i quali donne in stato di gravidanza, minori e richiedenti asilo, venivano definiti come "mercanti di uomini".
Nellarticolo del Giornalesi criticava poi la Procura di Agrigento, che si sarebbe mostrata "cauta", "tanto da scontrarsi in aula" con il Presidente del Tribunale che sollecitava con energia la contestazione agli imputati dellarticolo 1100 del codice della navigazione, ovvero la resistenza in mare, esattamente la stessa norma che servita adesso per giungere alla condanna dei comandanti dei due pescherecci.
Un successivo articolo dello Spiegel, il pi importante periodico tedesco, in una dichiarazione dello stesso autore dello "scoop" sul Giornale, riproponeva la stessa versione dei fatti, tendente ad accreditare nellopinione pubblica tedesca la versione fornita dalle forze di polizia, secondo le quali i pescherecci tunisini avrebbero tentato di forzare il blocco imposto dalle unit italiane che, ormai in prossimit di Lampedusa, dopo avere assistito i pescherecci nel salvataggi e nella loro rotta di avvicinamento, dichiaravano cessato lo stato di allarme e avevano intimato "il dietrofront immediato", il rientro verso un porto tunisino, malgrado le pessime condizioni del mare e il grave stato di salute di alcuni dei naufraghi, poi documentato dai ricoveri urgenti in ospedale a Palermo.
In realt i fatti erano andati ben diversamente da come riferito dal Giornale, e poi dallo Spiegel ,come era emerso, gi nel 2007, dalle considerazioni contenute nelle motivazioni dei provvedimenti dei Tribunali di Palermo ( in sede di riesame) e di Agrigento, che rimettevano in libert i pescatori dopo settimane di ingiusta carcerazione, ancora pi ingiusta oggi alla luce della caduta dellipotesi accusatoria dellagevolazione di ingresso di clandestini.
4. La
sentenza emessa ieri dal Tribunale di Agrigento accoglie la terza ipotesi
accusatoria formulata nel tempo dalla procura di Agrigento. Occorre infatti
ricordare che il Pubblico
Ministero, di fronte allo sgretolamento del castello accusatorio impiantato
nelle prime fasi del processo,che si basava sulla contestazione del reato di
agevolazione dellimmigrazione clandestina, aveva richiesto successivamente una
contestazione suppletiva a carico degli imputati, richiamando, in particolare
lart. 1100, comma 2, cod. nav., e lart. 337 c.p. (resistenza a pubblico
ufficiale). Eppure il Tribunale di Agrigento - con una decisione a maggioranza-
aveva rigettato in un primo momento questa ulteriore
richiesta dellaccusa, accogliendo le tesi difensive. E infatti si pu procedere alla contestazione
suppletiva solo quando la sussistenza dei reati concorrenti emerga nel corso
dellistruzione dibattimentale e non quando essi siano gi noti (come nel caso
in esame), ma non se sia fatto menzione alcuna nel capo di imputazione.
Altrimenti una contestazione suppletiva di fatti gi noti allaccusa potrebbe
violare i diritti di difesa, sotto il profilo che si tratta di una modifica del
capo di imputazione che potrebbe ledere
le garanzie degli imputati compromettendo lattivit difensiva gi spiegata
nelle prime fasi del procedimento. Ed proprio sulla base di questa
contestazione suppletiva che ieri il tribunale di Agrigento, pur escludendo
la commissione del rato di immigrazione clandestina, ed assolvendo i marinai,
ha condannato i comandanti delle due imbarcazioni tunisine per resistenza agli
ordini impartiti dalle autorit militari durante lintervento di salvataggio
che pure allo stesso Tribunale apparso legittimo e doveroso. Una lesione
evidente dei diritti di difesa della quale si discuter certamente in sede di
appello ed una contraddizione che non sar facile risolvere quando si dovranno
stendere le motivazioni della sentenza di primo grado.
5. Mentre lopinione pubblica stata informata del fatto che i pescatori tunisini "erano mercanti di uomini", nessuno adesso riporter a quegli stessi lettori landamento del dibattimento processuale che giorno dopo giorno ha smentito quella affrettata affermazione di colpevolezza che oggi riprende vigore con la sentenza di condanna del tribunale di Agrigento malgrado la natura pi lieve del reato ( la resistenza a pubblico ufficiale ) che stato contestato e per il quale i due comandanti sono stati condannati.. Condannati in primo grado ad una pena di due anni e sei mesi, oltre al pagamento delle spese processuali, una pena che mantiene questi uomini e le loro famiglie in uno stato di precariet e di angoscia che potrebbe durare ancora per anni, dopo che il governo tunisino ha revocato loro le licenze di pesca, e dopo che i pescherecci sono stati ridotti in uno stato da essere ormai inutilizzabili.
Una considerazione desta veramente allarme, anche nella prospettiva dei futuri sviluppi delle prassi di respingimento collettivo in mare, una pratica vietata dalla Carta dei diritti fondamentali dellunione Europea e da altre Convenzioni internazionali, sulla quale per si basa da tempo la politica italiana dei controlli di frontiera nelle acque internazionali.
Nella vicenda dei pescatori tunisini, dopo liniziale autorizzazione a procedere nella direzione di Lampedusa, della quale sembra sia sparita ogni traccia nelle relazioni di servizio dellunit della Guardia di finanza intervenuta durante le prime operazioni di salvataggio, emerge con chiarezza il tentativo tardivo di blocco e di respingimento collettivo in alto mare, perpetrato da mezzi della Guardia Costiera italiana quando i due pescherecci tunisini erano gi in vista di Lampedusa, una prassi introdotta a partire dal mese di luglio del 2007, in contemporanea con lavvio delle operazioni Frontex nel Canale di Sicilia, e forse anche con lavvicendamento dei vertici del Corpo delle Capitanerie di porto.
Dai verbali del Team immigrazione della Guardia di Finanza e della Guardia
costiera, settima squadriglia con base a Lampedusa, riportati nellordinanza del
Tribunale di Agrigento del 10 ottobre 2007, risulta che i comandanti dei
pescherecci tunisini si sarebbero sottratti al divieto di ingresso nelle acque
territoriali "compiendo molteplici, repentini e bruschi cambi di rotta,
virate ed accostate ed impedendo alla motovedetta di affiancarsi"
giungendo addirittura a minacciare "di gettare in mare gli
immigrati". Anche se adesso questa ultima contestazione, gi smentita nel
corso degli interrogatori, rimasta definitivamente fuori dal processo,
occorre fare chiarezza su quanto realmente avvenuto in occasione dellazione di
salvataggio portata a compimento dai due pescherecci tunisini nel 2007, anche
per prevenire in futuro comportamenti che possono cagionare un numero
imprecisato di vittime.
Nel corso del dibattimento apparso evidente il
tentativo di affiancamento, in realt tentativi reiterati di blocco navale, dei
due pescherecci da parte dei mezzi militari italiani al fine di respingere
fuori dalle acque territoriali una imbarcazione carica di migranti. Una pratica
che si pone in contrasto con tutte le Convenzioni internazionali che
stabiliscono il riconoscimento del diritto di asilo anche in acque
internazionali, come diritto di accedere al territorio nazionale per presentare
una domanda di asilo, e il dovere assoluto di salvaguardia della vita umana in
mare. Lo stesso comportamento delle unit militari
italiane, seppure rimasto a livello di tentativo di blocco navale, risulta in
contrasto con lart. 19 del testo Unico sullimmigrazione, con lart. 3 della
Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti delluomo e con il Protocollo
aggiuntivo alla stessa Convenzione, ribadito dalla Carta di Nizza del 2000, che
vietano i respingimenti collettivi, con particolare riferimento ai minori ed
alle donne in stato di gravidanza.
6. Nel corso del dibattimento sono emerse le modalit di intervento dei mezzi della capitaneria di porto, quando un rappresentante della guardia costiera ha riferito ripetuti tentativi di incrociare la rotta dei pescherecci al fine di dissuadere lavvicinamento a Lampedusa. Esattamente quei tentativi che anni prima avevano portato al disastro causato dalla nave militare Sibilla che dopo simili tentativi di incrocio caus laffondamento di una imbarcazione carica di migranti, con decine di morti.
Qualcuno allinterno della marina militare ricorda bene questa vicenda, al punto da farne oggetto di una battuta, secondo larticolo apparso su Il Giornale nel 2007, nel quale si afferma tra laltro che si sarebbe trattato di una sorta di match race con affiancamenti e cambi di rotta improvvisi respinti da tentativi di speronamento e andature sottobordo a zig – zag. La cronaca del Giornale molto precisa e sicuramente ispirata da qualcuno che aveva partecipato alloperazione di blocco e di respingimento in mare.
Secondo lo stesso Giornale quando lincontro-scontro in mare diventa inevitabile, da terra arriva lok del magistrato di turno a permettere lattracco dei pescherecci nel porto di Lampedusa, che peccato, sembrerebbe, non avere potuto assistere al momento finale di questa Coppa america per clandestini come la definisce il Giornale. Che peccato si potrebbe aggiungere oggi che quel magistrato di turno, forse troppo tempestivamente, abbia posto fine cos presto ad una attivit di dissuasione che avrebbe potuto comportare la perdita di un numero incalcolabile di vite umane. E oggi i comandanti dei due pescherecci tunisini sono condannati proprio perch avrebbero fatto resistenza alle iniziative di contrasto dei mezzi della marina militari italiana che volevano impedire ad ogni costo lattracco a Lampedusa, con lobiettivo di rimandare verso la Tunisia i pescherecci con il loro carico di naufraghi. Un viaggio a ritroso che i pescherecci non avrebbero potuto compiere con quel carico di persone, senza rifornimenti e senza carburante in quantit tali da garantire il rientro sicuro in un porto tunisino. Un viaggio, assai probabilmente, verso un ulteriore naufragio.
7. Brani significativi delle deposizioni degli ufficiali della Marina durante il dibattimento, e la cronaca del Giornale assai attendibile anche per la fonte dalla quale evidentemente proviene, richiamavano come possa applicarsi in concreto, nelle acque del canale di Sicilia, il decreto ministeriale 14 luglio 2003 che stabilisce le regole di ingaggio delle unit della marina, della finanza e delle capitanerie di porto nelle attivit di contrasto dellimmigrazione clandestina a mare, consentendo il blocco delle imbarcazione cariche di clandestini in modo da costringerle a ritornare indietro.
Un utile contributo quello del Giornale per comprendere quanto poco sia stato considerato, dalle unit che sono intervenute nel corso di questa operazione, e da chi ha impartito gli ordini superiori, il richiamo allassoluta preminenza dei doveri di salvaguardia della vita umana a mare, doveri affermati, oltre che nello stesso decreto ministeriale del 14 luglio 2003, nella legge italiana e nelle convenzioni internazionali. Un elemento, che oggi alla luce della sentenza di condanna del tribunale di Agrigento, preoccupa e amareggia, dopo che per anni le unit della Marina militare italiana hanno salvato migliaia di naufraghi nel Canale di Sicilia, intervenendo anche in acque di competenza delle autorit maltesi e libiche. Un attivit di salvataggio che stata aspramente criticata dagli attuali vertici politici e che forse costata il posto e la carriera a quegli uomini che alle direttive politiche hanno anteposto la salvaguardia della vita umana a mare.
8. Nel prossimo giudizio di appello a Palermo si
dovr accertare se la resistenza che si contesta ai comandanti delle
imbarcazioni tunisine abbia avuto i connotati che la fanno ritenere un reato, o
se si sia piuttosto trattato della prosecuzione di una azione di salvataggio.
Si dovranno verificare le modalit
di ingaggio da parte delle unit della Marina Militare e della Guardia di
Finanza nei confronti dei due pescherecci carichi di naufraghi in pericolo di
vita ed indagare ancora se tali attivit siano rimaste nel rispetto delle norme
del diritto internazionale del mare e del diritto interno che pongono come
valore primario la salvaguardia della vita umana a mare. Occorrer valutare
anche se la pratica di seguire o affiancare a breve distanza le imbarcazione
cariche di cd. clandestini dopo interventi di salvataggio, o di incrociarne
la rotta a scopo dissuasivo integri ipotesi di reato. Non da parte di chi ha
salvato vite umane a mare, ma da parte di chi impedisce con questi mezzi un
tempestivo e legittimo ingresso nelle acque territoriali per finalit di
soccorso, magari escludendo una emergenza sanitaria che invece, non appena dopo
lo sbarco, i medici riscontrano con un ricovero durgenza.
Particolarmente interessante a tale riguardo la testimonianza resa durante il processo di primo grado dallallora comandante della Guardia Costiera di Lampedusa.
Secondo quanto dichiarato da questo alto ufficiale dopo che la nave militare Vega avverte il comando dellassenza di emergenza sanitaria a bordo dei motopescherecci e si allontana dalla zona per intervenire in altri soccorsi, il teste trasmette lordine di non ingresso nelle acque territoriali, da impartire ai motopescherecci tunisini, alle due motovedette della Guardia Costiera presenti sul luogo. Le due motovedette, riferisce il teste, comunicano che i motopescherecci tunisini non osservano lordine di allontanarsi, impartito con ausilio di megafono in italiano, inglese, francese e si dirigono verso Lampedusa. I comandanti delle motovedette riferiscono via radio cambi repentini di rotta dei pescherecci tunisini con pericolo per le motovedette accanto. Le modalit di allontanamento, poste in essere dalla Guardia Costiera, riferite sono: tentativi di affiancamento dei due motopescherecci per scoraggiarne la corsa (le imbarcazioni tunisine, di contro, pongono in essere un movimento a zig zag sul mare), comunicazione via radio (i motopescherecci tunisini non rispondono pi, cercano collegamento radio con altri interlocutori), uso del megafono. A questo punto il teste paventa la possibilit che se latteggiamento dei due motopescherecci non fosse stato cos ostile, la vicenda si sarebbe potuta chiudere in altro modo.
9. Risulta dunque pacifico che le unit militari italiane hanno
posto in essere attivit di affiancamento dei pescherecci tunisini per impedire
loro la prosecuzione della rotta verso Lampedusa, sulla base di una asserita
mancata emergenza medica, e dopo che si era ritenuto concluso levento SAR (
lazione di ricerca e soccorso dei naufraghi in mare).
I
resoconti di quanti intervennero nelle successive attivit di salvataggio sono
apparsi nel corso del procedimento lacunosi e contraddittori. Successivamente
al soccorso prestato dai pescatori tunisini, questi con i naufraghi a bordo,
incontrarono infatti unaltra imbarcazione di colore grigio, una nave militare
italiana, e poco dopo arriv pure un elicottero. Successivamente dalla nave
militare venne calata una scialuppa ma il medico che vi si trovava a bordo non
sal ( come affermato in un primo momento) sul peschereccio dove si trovava il
comandante Naciri insieme ad altre 29 persone ed a una donna in stato avanzato
di gravidanza, che intanto continuava a restare coricata perch non riusciva ad alzarsi.Sembra dunque accertato che lintervento delle
unit navali italiane di soccorso marittimo sarebbe stato esclusivamente
finalizzato ad accertare quali fossero le condizioni di salute di una singola
persona e che, dunque, verificato che tali condizioni di salute non erano
cattive (e neanche quelle degli altri migranti), lattivit di soccorso marittimo
da parte delle unit italiane poteva dirsi esaurita.
La
ricostruzione dei fatti emersa nel corso del dibattimento, appare in netto
contrasto sia con il contenuto delle convenzioni di diritto internazionale del
mare (che obbligano lItalia a garantire il soccorso e lassistenza a
persone che, salvate in mare da navi private, devono considerarsi naufraghi a
tutti gli effetti), che con lo specifico ordine che risulta essere stato
impartito da M.R.C.C. Roma alle ore 16.29 dell8.8.2007 (con il quale disponeva nei confronti degli anelli
inferiori della catena di comando di provvedere allassistenza e soccorso di
tutti i migranti che si trovavano sul natante alla deriva).Gli
emendamenti alle Convenzioni SOLAS e SAR (in particolare, lemendamento
dellarticolo 33 della convenzione SOLAS e lemendamento del capitolo 3.1.9.
della Convenzione SAR) mirano a garantire che le persone in pericolo in mare
vengano assistite e, allo stesso tempo, vengano ridotti al minimo gli
inconvenienti per la nave che presta assistenza (nella specie, i
pescherecci tunisini). Tutte queste
disposizioni impongono agli Stati contraenti di coordinarsi e cooperare
per far s che i comandanti delle navi che prestano assistenza imbarcando
persone in difficolt in mare siano sollevati dai propri obblighi con una
minima ulteriore deviazione rispetto alla rotta prevista dalla nave. Inoltre, le linee guida sul trattamento delle
persone soccorse in mare[1]
contenute nella risoluzione MSC.167 (78) adottata nel maggio 2004 dal Comitato
Marittimo per la Sicurezza insieme agli emendamenti SAR e Solas, stabiliscono:
1) che il governo responsabile per la
regione SAR in cui sono stati recuperati i sopravissuti responsabile di
fornire un luogo sicuro o di assicurare che tale luogo venga fornito (paragrafo
2.5);
2) che un luogo sicuro una localit dove
le operazioni di soccorso si considerano concluse, e dove:
- la sicurezza dei sopravissuti o
la loro vita non pi minacciata;
- le necessit umane primarie
(come cibo, alloggio e cure mediche) possono essere soddisfatte-
- pu essere organizzato il
trasporto dei sopravvissuti nella destinazione vicina o finale (paragrafo
6.12);
3) che, sebbene una nave
(privata) che presta assistenza possa costituire temporaneamente un luogo
sicuro, essa dovrebbe essere sollevata da tale responsabilit non appena
possano essere intraprese soluzione alternative (paragrafo 6.13);
4) che lo sbarco di richiedenti
asilo e rifugiati recuperati in mare, in territori nei quali la loro vita e la
loro libert sarebbero minacciate, dovrebbe essere evitato (paragrafo 6.17);
Nel caso dei sette pescatori
imputati, in ossequio alle disposizioni citate ed allordine specificatamente
impartito da M.R.C.C. Roma, lU.C.G e le singole unit navali di soccorso
marittimo avrebbero dovuto occuparsi del soccorso e del salvataggio non solo
della persona in cattive condizioni di salute ma di tutti i migranti
temporaneamente trasferiti sulle due navi private battenti bandiera tunisina,
effettuando il trasbordo sui mezzi delle navi militari italiane ed, in ogni
caso, assicurando loro assistenza e soccorso.
10. In conclusione, i
pescatori tunisini avevano
informato immediatamente le autorit italiane della condizione di
naufraghi in capo ai 44 cittadini extracomunitari che erano appena stati tratti
in salvo: sicch, al di l delle loro condizioni di salute, le autorit
militari italiane avevano lobbligo di prendersi cura dei naufraghi,
effettuando il loro trasbordo sui mezzi della marina italiana ed esonerando da
tale compito gli stessi pescatori tunisini.
E ci ai sensi della
Convenzione internazionale sulla ricerca e il soccorso in mare del 1979
(Convenzione SAR) che obbliga (non ci stancheremo di dirlo!) gli Stati parte a
garantire che sia prestata assistenza ad ogni persona in pericolo in mare
senza distinzioni relative alla nazionalit o allo status di tale persona o
alle circostanze nelle quali viene trovata (capitolo 2.1.10) ed a fornirle
le prime cure mediche o di altro genere ed a trasferirla in un luogo sicuro
(capitolo 1.3.2.); ed ai sensi inoltre degli emendamenti alle Convenzioni SOLAS
e SAR.
Questi obblighi di salvataggio, del resto, sono
stati riconosciuti da testi appartenenti alla marina militare, che hanno
testualmente dichiarato che nelle acque internazionali se noi trovassimo un
naufrago, ovvero una persona in acqua, noi abbiamo lobbligo di prenderla che
stia bene o che sia male E allora perch a un certo punto si ritenuta
cessata lemergenza sanitaria, senza che il medico militare avesse accertato
direttamente le condizioni dei naufraghi ? Perch si sono messe in atto
operazioni di blocco e di respingimento verso il mare aperto pure quando queste
potevano sortire leffetto di fare capovolgere le imbarcazioni con il probabile
annegamento di parte consistente dei naufraghi?
Sono questi gli interrogativi che i giudici di
appello di Palermo dovranno sciogliere, al di l della verifica delle
motivazioni giuridiche della sentenza di condanna, una sentenza che intanto
rischia di produrre un ulteriore
effetto dissuasivo rispetto agli interventi di salvataggio da parte dei
pescherecci che operano in acque internazionali, in un momento nel quale, dopo
gli accordi con la Libia e dopo le nuove regole di ingaggio imposte alle unit
militari, questi stessi mezzi risultano dislocati in prossimit delle coste
della Sicilia meridionale e di Lampedusa, senza pattugliare la fascia di mare
prossima alle acque libiche. Esattamente quella striscia di mare nella quale
quest anno si sono verificati i respingimenti collettivi verso la Libia,
adesso allesame della commissione Europea e della Corte Europea dei diritti
delluomo, e nella quale hanno
perso la vita decine di migranti, abbandonati da tutti per giorni senza che
nessuna delle autorit militari e politiche dei paesi rivieraschi decidessero
di intervenire.
Fulvio Vassallo Paleologo
Universit di Palermo
[1] Cfr. Soccorso in mare, Guida ai principi
da applicarsi a migranti e rifugiati, UNHCR (scaricabile dal sito www.unhcr.it); Tullio Scovazzi, Tutela
della vita in mare con particolare riferimento agli immigrati clandestini, in Riv. Dir. Int. 2005, fasc. 1, pag. 106 e
seg.