Intervista all'arcivescovo Vegli, presidente del Pontificio
Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti
Il dovere della solidariet
verso i rifugiati e i migranti
di Nicola Gori
Alla Chiesa non compete valutare le scelte politiche in materia di
immigrazione, ma spetta comunque la responsabilit di richiamare tutti al
dovere della solidariet verso coloro che vivono in situazioni di maggiore
vulnerabilit, come rifugiati e migranti. Lo afferma l'arcivescovo Antonio
Maria Vegli, presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i
Migranti e gli Itineranti, ricordando che quello all'asilo un diritto umano
fondamentale, il cui rispetto viene prima dei problemi concreti legati alla
sua attuazione. Anche se — riconosce — esistono difficolt
economiche e giuridiche reali che richiedono politiche lungimiranti. Basate,
come precisa l'arcivescovo, su una
conoscenza oggettiva del fenomeno a livello internazionale e orientate a
gestirlo tenendo in dovuta considerazione i suoi differenti aspetti.
Il Catechismo della Chiesa cattolica afferma che la Chiesa
difende il diritto dell'uomo
a emigrare e
tuttavia non ne incoraggia l'esercizio, riconoscendo che la migrazione ha
un costo molto elevato e a pagarne il conto sono sempre i migranti. Non c'
contraddizione tra queste due asserzioni?
Poste nei rispettivi contesti, le due affermazioni non si
contraddicono, ma si completano. In effetti, il fenomeno migratorio esige di
essere analizzato e interpretato da diverse angolature, per la vastit e la
complessit dei fattori che lo compongono. La visione del Pontificio Consiglio
anzitutto coglie le migrazioni come conseguenza di situazioni di ingiustizia e
come male minore per milioni di donne e uomini, anziani e bambini che ne sono
coinvolti. Tuttavia, pure importante non trascurare l'elemento positivo e
provvidenziale delle migrazioni, che il magistero della Chiesa non ha mancato
di mettere in luce gi a partire da quando, a cavallo tra il xix e il xx
secolo, si verificavano migrazioni di massa specialmente dal continente europeo
verso quello americano. Del resto, la migrazione un fatto complesso e
ambivalente, con elementi positivi e negativi, nei quali siamo interpellati a
riconoscere il progetto di Dio, in una dimensione cristiana. Dunque, si tratta
spesso di coniugare aspetti diversi, in modo che non accada che
nell'interpretazione sociologica prevalgano gli elementi negativi, mentre in
quella teologica si intravedano improvvisamente ingenui bagliori.
Il Pontificio Consiglio si occupa di varie categorie di
persone, tra le quali i nomadi, i rifugiati, la gente del mare e della strada.
A proposito del dramma della tratta degli esseri umani, che colpisce spesso
bambini e donne, quali iniziative concrete promuove il dicastero?
Secondo stime ufficiali, nel mondo sarebbero 2,5 milioni
le vittime della tratta degli esseri umani. Per rispondere alla sua domanda,
prendo lo spunto da un esempio concreto: l'osservatorio pastorale della
Conferenza episcopale dell'America Latina (Celam) ha recentemente diffuso le
cifre sulla tratta dei migranti secondo un'inchiesta della commissione
nazionale dei diritti umani messicana, durata da settembre 2008 a febbraio di
quest'anno. Ebbene, ogni mese in Messico spariscono pi di 1.600 persone
dirette irregolarmente negli Stati Uniti d'America. lo scandalo del sequestro
massiccio di immigrati, che sono oltraggiati e, spesso, vengono liberati solo
dopo aver pagato un gravoso riscatto a bande organizzate, che contano su reti e
risorse. Il Messico — come Paese di origine, transito, meta e ritorno di
migranti — rappresenta una delle frontiere con la maggiore affluenza
migratoria al mondo. Ogni anno, secondo le cifre del Consiglio nazionale della
popolazione, circa 550.000 messicani emigrano negli Stati Uniti. Allo stesso
tempo, negli ultimi tre anni l'Istituto nazionale per la migrazione ha
riscontrato una media annuale di 140.000 migranti senza documenti, in
maggioranza dei Paesi dell'America Centrale, che cercano di arrivare nel Paese
nordamericano. L'ampiezza di questo fenomeno costituisce una singolare sfida
dovuta alla complessit che caratterizza l'immigrazione internazionale attuale.
Inoltre questa situazione risulta aggravata dalla grande estensione e dall'alto
rischio dei tragitti che le persone devono percorrere, che spesso le espone e
le rende vulnerabili a differenti violazioni dei loro diritti umani. Di solito
i migranti sono catturati a bordo dei treni che li portano oltre confine,
oppure mentre si nascondono nelle stazioni in attesa di partire. Dopo averli
maltrattati, i trafficanti chiedono ai migranti un riscatto dai 1.500 ai 5.000
dollari a persona. Cifre alla mano, il traffico potrebbe aver fatto guadagnare
ai malviventi almeno 25 milioni di dollari in soli sei mesi.
In questo contesto, come in altre situazioni simili in diverse
zone del mondo, il nostro Pontificio Consiglio esercita una particolare azione
di promozione e di sostegno alle conferenze episcopali, agli istituti religiosi
e a tutti quegli organismi, soprattutto di ispirazione cristiana, che gi sono
presenti sul territorio e si occupano, nel vasto fenomeno della mobilit umana,
anche della tratta dei migranti. Come dice la Costituzione apostolica Pastor
bonus,
all'articolo 149, nostro compito quello di assistere il Papa per dirigere la
sollecitudine pastorale della Chiesa alle particolari necessit di coloro che
sono stati costretti ad abbandonare la propria patria o non ne hanno affatto.
Ecco perch incoraggiamo il lavoro in rete di tutte quelle cristallizzazioni
regionali e continentali in favore dei migranti, dei rifugiati e di altre
persone in mobilit. di esempio la recente costituzione dell'International
network of religious against trafficking in persons (Inratip), una rete di
religiose che opera sia nelle nazioni di provenienza che in quelle di
destinazione delle vittime della tratta, che sono in maggioranza donne e
bambini. In tal modo, si promuovono solidi legami tra Chiese, organizzazioni caritative
e istituzioni locali, per avviare progetti in grado di studiare e stroncare il
tragico fenomeno.
Il Papa ha definito doverosa l'accoglienza di quanti fuggono
da situazioni di guerra e persecuzione, pur ammettendo che essa pone non poche
difficolt. Come si pu salvaguardare il dovere dell'accoglienza di fronte
alle obiettive difficolt che essa comporta?
Quello dell'asilo un diritto umano fondamentale, come recita la
Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo all'articolo 14. Il rispetto di
tale diritto viene prima dei problemi concreti legati alla sua attuazione. Si
costituisce in tal modo la piattaforma di uno Stato di diritto, il quale deve
sentirsi impegnato a fare tutto il possibile per rispettare i diritti umani
fondamentali.
Bisogna ricordare che l'80 per cento dei rifugiati del mondo
— che solo lo scorso anno 2008 sono stati 42 milioni — si trova nei
Paesi in via di sviluppo, cos come la stragrande maggioranza degli sfollati,
stando ai dati diffusi dal Global Trends, il rapporto statistico annuale
pubblicato dall'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr).
L'Unhcr si occupa di 25 milioni di persone, fra i quali 14, 4 milioni di
sfollati e 10,5 milioni di rifugiati. Sono, invece, 4,7 milioni i rifugiati palestinesi
sotto la competenza dell'Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e
l'occupazione dei profughi palestinesi (Unrwa). Dai dati provvisori del 2009,
poi, si assiste a un consistente movimento forzato di popolazioni,
principalmente in Pakistan, Sri Lanka e Somalia.
Concretamente, se fissiamo l'attenzione sui Paesi dell'Unione
europea, emergono chiare indicazioni sul diritto d'asilo: la Convenzione di
Ginevra sui rifugiati, la Carta europea dei diritti dell'uomo e le direttive
dell'Unione sul diritto d'asilo esplicitano la prassi concordata da adottare
nei confronti dei rifugiati riconosciuti come tali. I problemi sorgono, come
sempre, laddove vi sono risorse da condividere e ricchezze da distribuire, vale
a dire alloggio, casa, sanit, istruzione, impiego lavorativo, e via dicendo.
Lo Stato, in tale contesto, deve vigilare e agire in modo da garantire questi
beni a tutti, autoctoni e non, comprese le fasce di popolazione pi
vulnerabili, tra cui vi sono i rifugiati. Ora, per il fatto che essi pesano,
soprattutto inizialmente, sulle casse dello Stato — sono gli ultimi
arrivati e sono stranieri — negli ultimi decenni stato facile per
alcune frange di certi Paesi europei, come Germania, Svizzera, Gran Bretagna,
Austria e Olanda, identificarli come intrusi e approfittatori dei sistemi di
assistenza sociale. Invece, nei recenti Paesi di rifugio — come Italia,
Grecia, Malta e nazioni dell'Est europeo — il rifugiato ancora troppe
volte confuso con l'immigrato per motivi economici e non gode dei dovuti
sostegni sociali. In effetti, non bisogna dimenticare che i motivi di fuga sono
molto complessi e spesso le persone non scappano da persecuzioni politiche
direttamente rivolte alle loro persone, ma da situazioni generali di pericolo e
di violazione dei diritti umani, che rendono la vita impossibile in numerosi
Paesi, per cui risulta difficile distinguere tra migranti economici e
rifugiati.
Il vero problema, poi, risiede nell'accesso allo status di
rifugiato. Dal momento, infatti, che esso reclama diritti, gli Stati tendono a concederlo
a un numero limitato di persone per risparmiare denaro e strutture, anche
perch tendenzialmente le domande si moltiplicano. Di anno in anno, comunque,
le leggi riguardanti l'asilo in Europa si fanno sempre pi restrittive. La
tendenza recente sviluppata dai Paesi dell'Unione europea quella della
esternalizzazione del diritto d'asilo, che mira a impedire l'accesso al
territorio dell'Unione e a obbligare i richiedenti asilo a fermarsi nei Paesi
di transito.
Non compete al magistero della Chiesa valutare le scelte politiche
in questo campo, ma certo non posso eludere una considerazione generale,
indirizzata a tutte le persone di buona volont, che domanda conto alla retta
coscienza del dovere di solidariet verso coloro che vivono condizioni di maggiore
vulnerabilit, come rifugiati e migranti, ma anche, mutatis mutandis, anziani, disabili e malati
terminali, nei confronti dei quali non possiamo tollerare che si avvallino
tentativi che vanno contro il diritto alla vita.
ovvio che bisogna fare i conti con la limitatezza delle risorse,
ma dobbiamo anche chiederci: si sta gi facendo il possibile per l'equa
distribuzione delle ricchezze? A che punto siamo con l'impegno, a livello
internazionale, per risolvere conflitti di lunga durata? Quali comportamenti
vengono adottati nei confronti di Governi dittatoriali che producono migranti
e rifugiati? Quali orientamenti stanno indirizzando la gestione del fenomeno
migratorio, in maniera lungimirante e non populista?
La tutela della sicurezza e della legalit conciliabile con
le dimensioni e le caratteristiche del flusso immigratorio che attualmente
interessa il continente europeo?
probabile che sicurezza e legalit, in equa e armonica simbiosi,
non possano essere raggiunte pienamente in nessuna societ. Si constata,
infatti, che nelle societ aperte, come quelle dei Paesi democratici,
caratterizzate dall'economia di mercato e dal libero movimento di alcune
categorie di persone, quasi impossibile non correre rischi. D'altra parte, un
eccessivo apparato di sicurezza rallenta la mobilit e gli scambi necessari ai
sistemi economici e, ci che maggiormente conta, lede la libert di cui i
cittadini sono legittimamente gelosi.
Nello specifico ambito migratorio, legalit e sicurezza possono
essere favorite da politiche lungimiranti, che si basano sulla conoscenza
approfondita e oggettiva del fenomeno a livello internazionale e cercano di
gestirlo tenendo in dovuta considerazione i suoi differenti aspetti, senza
sottovalutare le conseguenze delle scelte politiche. Per fare qualche esempio,
possiamo senz'altro accertare che un'eccessiva chiusura delle frontiere
determina l'aumento dell'immigrazione irregolare e alimenta le organizzazioni
malavitose che trafficano esseri umani; poi, il mancato investimento in
progetti di inserimento dei figli degli immigrati nell'area della formazione
crea insuccesso e abbandono scolastico, alimentando il disagio giovanile e la
conseguente criminalit o devianza; ancora, l'insufficiente attenzione alla
situazione abitativa di immigrati e cittadini autoctoni pi poveri favorisce la
crescita di ghetti e di aree socialmente degradate; infine, le paure dei
cittadini possono essere alimentate o sottaciute da chi amministra la cosa
pubblica e da chi gestisce i canali dell'informazione, anche in risposta a
propri interessi. Tutto ci non pu essere ingenuamente ignorato e deve essere
affrontato con oggettivit, per non rischiare di creare reazioni xenofobe e
razziste.
A ogni buon conto, sicurezza e legalit si raggiungono solo con il
positivo apporto di tutti, anche degli immigrati. Allo stesso tempo, sia gli
immigrati che gli autoctoni devono poter vivere sicuri e rapportarsi in egual
misura alle leggi del Paese in cui vivono.
Le paure che si diffondono tra la gente nei confronti degli
immigrati sono gestibili attraverso appositi provvedimenti politici e
legislativi oppure necessario coinvolgere anche le istanze culturali,
educative e sociali?
Senza dubbio non bastano le leggi per favorire la crescita di una
societ integrata, in cui le varie componenti convivano pacificamente e
mutuamente si arricchiscano. Tutte le istanze culturali ed educative devono
essere coinvolte in un processo che epocale e riguarda tutti gli ambiti di
vita. L'Europa presenta gi un volto multietnico, multireligioso e
multiculturale, ma ancor pi manifester tali caratteristiche nel futuro, in un
dinamismo che investir anche le rimanenti aree del pianeta. Questo dato
attualmente non pu essere messo in discussione. Negare la metamorfosi che sta
avvenendo a livello internazionale non solo un'assurdit — smentita
comunque dalla realt dei fatti — ma anche una scelta pericolosa e
irresponsabile, perch non accetta di gestire un fenomeno che ha gi assunto
tratti strutturali e globali, cercando di favorirne gli aspetti positivi e di
ridurre quelli negativi. necessario, quindi, offrire adeguati percorsi di
formazione alle nuove generazioni, in modo particolare, ma anche a tutta la
popolazione — sia autoctoni che immigrati — per prepararsi alla
convivenza con le diversit. Certamente in questo processo i Governi devono
essere in prima linea, soprattutto legiferando e adottando opportuni
provvedimenti per dare impulso in misura corretta ed equilibrata a tale cammino
di apprendimento.
La sfida che gli immigrati pongono alle comunit si gioca anche
a livello ecclesiale oltre che sociale. Non vi il rischio di perdere
l'identit cristiana di fronte a consistenti afflussi di rifugiati appartenenti
ad altre religioni?
Il rischio potrebbe essere reale, quantunque io sia convinto che
l'arrivo di migranti e rifugiati appartenenti ad altre religioni sia uno
stimolo pi che una minaccia per l'identit cristiana. In effetti, essi
arricchirebbero se stessi e il nuovo ambiente se si trovassero a confronto con
una diversa identit religiosa davvero solida e coerente. A mettere in pericolo
l'identit cristiana piuttosto il processo di avanzata secolarizzazione, che
talora sta degenerando in secolarismo intollerante e, nel vecchio continente,
sta ormai facendo perdere le radici cristiane dell'Europa, negate in sede
istituzionale e in alcuni ambiti della societ. Di fatto, mediante il laicismo
e il relativismo, l'Europa sta costruendo una comunit senza Dio e ci non
solo un ostacolo alla sua identit, ma anche un impedimento alle politiche di
integrazione. Se fossimo coraggiosi testimoni del Vangelo, forse un numero
maggiore di migranti e di rifugiati, in ricerca e in fuga da realt oppressive,
anche sul piano religioso, sarebbe affascinato dalla fede cristiana o, quanto meno,
essa sarebbe apprezzata per il suo contributo nell'ambito culturale, storico e
artistico. Mi pare, invece, che il cristianesimo in Europa sia guardato con
sospetto da migranti e rifugiati non cristiani allorquando si lascia
identificare con uno stile di vita che lo contraddice e con la mancanza di
genuina religiosit da parte degli autoctoni.
Talvolta, poi, si paventa l'espansione demografica dei non
cristiani in Europa. Ma anche in questo caso dovremmo chiederci perch non
siamo in grado di equilibrare il dinamismo demografico e, soprattutto, di
trasmettere la fede cristiana alle nostre nuove generazioni, che, per quanto in
calo, sono ancora numericamente in maggioranza.
Sul terreno del rispetto dei diritti e della dignit della persona,
crede che le Chiese siano adeguatamente impegnate
nel sollecitare le coscienze dei fedeli e della societ?
Le Chiese locali sono molto impegnate a sensibilizzare cittadini e
societ al rispetto dei diritti e della dignit della persona umana, a seconda
dei vari contesti nazionali in cui si trovano. Talora, in verit, esse corrono
il rischio di limitarsi all'annuncio dei principi fondamentali o alla risposta
immediata alle emergenze umanitarie, forse senza tenere sufficientemente in
conto che necessaria anche un'adeguata formazione ed educazione cristiana,
soprattutto delle giovani generazioni. Infatti, accanto agli interventi sociali
e alle opere caritative, importante investire molto anche nella formazione
dei cristiani, affinch possano comprendere a fondo e applicare negli ambiti
della societ il rispetto dei diritti e della dignit della persona. Infine,
per quanto riguarda i migranti, urgente superare il tono assistenzialista,
che prevale talvolta nelle prese di posizione di chi vede nel migrante soltanto
il povero disgraziato, mentre anch'egli portatore di diritti e di doveri.
Cos come indispensabile operare una corretta sensibilizzazione dei media
perch offrano un'informazione obiettiva e realistica.
Quali sono le prossime iniziative e gli appuntamenti che ha in
programma il Pontificio Consiglio?
I migranti non hanno pausa e anche durante il periodo estivo il
Pontificio Consiglio, sebbene a ritmo meno serrato, ha continuato senza
interruzioni la sua attivit di promozione della pastorale specifica della
Chiesa nel mondo della mobilit umana. Ora, comunque, ci prepariamo a
importanti appuntamenti, che ci porteranno in varie parti del mondo. Dopo il
terzo incontro nazionale di pastorale della mobilit umana, che si svolto a
Brasilia, dal 16 al 18 settembre, celebreremo, nella sede del nostro Pontificio
Consiglio, il primo incontro europeo per la pastorale della strada, dal 29
settembre al 2 ottobre. Nei giorni 27 e 28 novembre, a Bhopal, in India, parteciperemo
alla conferenza nazionale per la pastorale dei nomadi nel continente indiano,
mentre sempre nella sede del dicastero organizzeremo l'incontro dei direttori
nazionali della pastorale per i circensi e i fieranti, l'11 e 12 dicembre. Nel
frattempo, offriremo il nostro contributo a diversi incontri dell'apostolato
del mare in Finlandia, Australia, India, Oceania, Giappone e Corea. Ma l'evento
pi significativo sar senza dubbio il vi congresso mondiale per la pastorale
dei migranti e dei rifugiati, che si svolger in Vaticano dal 9 al 12 novembre.
un appuntamento quinquennale di verifica, studio e progettazione, che
convocher oltre trecento esperti e operatori internazionali della pastorale
dei migranti e dei rifugiati sul tema Una risposta al fenomeno migratorio
nell'era della globalizzazione.