Sulla pubblicità dei lavori:
Moffa Silvano, Presidente ...
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INDAGINE CONOSCITIVA SU TALUNI FENOMENI DEL MERCATO DEL LAVORO (LAVORO NERO, CAPORALATO E SFRUTTAMENTO DELLA MANODOPERA STRANIERA)
Seguito dell'esame e approvazione del documento conclusivo:
Moffa Silvano, Presidente ...
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9
Bellanova Teresa (PD) ...
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Damiano Cesare (PD) ...
8
Fedriga Massimiliano (LNP) ...
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8
Paladini Giovanni (IdV) ...
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8
Scandroglio Michele (PdL) ...
9
ALLEGATO: Documento conclusivo
approvato dalla Commissione ...
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Sigle dei gruppi
parlamentari: Popolo della Libertà: PdL;
Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di
Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto;
Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud:
Misto-MpA-Sud; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.;
Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE;
Misto-Repubblicani; Regionalisti, Popolari: Misto-RRP;
Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Noi Sud/Lega Sud
Ausonia: Misto-NS/LS Ausonia.
Resoconto stenografico
INDAGINE CONOSCITIVA
La seduta comincia alle 14,40.
(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).
PRESIDENTE. Avverto che, se non vi
sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della
seduta odierna sarà assicurata anche attraverso
l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito
chiuso.
(Così rimane stabilito).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno
reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva su taluni
fenomeni distorsivi del mercato del lavoro (lavoro nero,
caporalato e sfruttamento della manodopera straniera), il
seguito dell'esame del documento conclusivo.
Ricordo di aver presentato, nella seduta del 19 maggio, una
proposta di documento conclusivo che i colleghi hanno avuto la
possibilità di leggere.
Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire.
TERESA BELLANOVA. Signor
presidente, come d'intesa nella riunione precedente, quando
lei presentò la proposta di documento conclusivo,
abbiamo provveduto a segnalare alcuni punti.
Premetto che, a mio modo di vedere, la proposta di documento
ha un buon impianto. Forse non contiene tutti i temi che
abbiamo sollevato e indicato nel dibattito, ma il nostro
approccio è quello di un gruppo politico che vuole
giungere a un documento condiviso. Riteniamo, infatti, che la
gravità del problema che ci è stato
ulteriormente segnalato nelle diverse audizioni meriti uno
sforzo davvero straordinario da parte di tutte le forze di
maggioranza e opposizione per arrivare a un documento
condiviso che impegni tutti noi e tutte le forze politiche a
dare seguito alle azioni esposte nella parte conclusiva del
testo.
Da parte del mio gruppo - altri colleghi interverranno, se
riterranno di dover integrare - i punti segnalati sono molto
pochi e credo che ci mettano nelle condizioni di continuare a
lavorare unitariamente su quest'ipotesi di documento.
Vorrei sottolineare alla Commissione che ritengo molto
positivo quanto è scritto nella parte conclusiva della
proposta, laddove si pone il tema dell'applicazione
dell'articolo 18 anche per i lavoratori sottoposti a grave
sfruttamento sul lavoro e si solleva la questione
dell'allungamento del permesso di soggiorno per la ricerca di
nuovo lavoro. Si esprime altresì soddisfazione per
l'impegno assunto nella proposta di documento conclusivo a
sostenere i progetti di legge già presentati - che
avevano già fatto registrare la convergenza, nella
passata legislatura, di molte forze politiche - in merito
all'inserimento del reato di grave sfruttamento del
lavoro.
Ritengo che questa proposta di documento conclusivo non sia
esaustiva - né questa era l'ambizione - di una
problematica che vede impegnati il nostro Parlamento e
l'Europa rispetto al fenomeno dell'immigrazione - di quella
clandestina, in particolare - ma credo che, una volta
approvato il documento conclusivo dell'indagine,
potremmo passare ad adottare alcuni strumenti più stringenti e impegnativi per conferire diritto di cittadinanza ai cittadini extracomunitari come portatori di diritti e di doveri, riconoscendo a questo Paese quella civiltà che in alcune fasi manca.
MASSIMILIANO FEDRIGA.
Signor presidente, non posso esprimere, a nome del gruppo
della Lega Nord, un orientamento positivo su questa
proposta di documento conclusivo dell'indagine conoscitiva
che abbiamo svolto.
Noi avevamo visto positivamente l'inizio dell'indagine,
perché è giusto affrontare il tema del lavoro
nero e del caporalato, ma non possiamo assolutamente
condividere una parte importante delle conclusioni della
proposta di documento conclusivo.
Svolgendo una rapida carrellata, nelle conclusioni non
possiamo far passare il messaggio - secondo quanto ha
affermato il CENSIS, il che non vuol dire che abbia ragione,
perché i soggetti auditi non hanno la verità
in tasca - che nel Mezzogiorno il lavoro nero è
dettato da problemi di competitività del sistema,
mentre al nord sono le persone cattive a voler evadere il
fisco. Non faremo passare questo messaggio!
Non condividiamo il fatto che una politica seria contro il
lavoro nero e il relativo sfruttamento degli immigrati passi
attraverso un aumento delle quote di ingresso - come si legge
nella proposta di documento conclusivo - più
rispondenti ai bisogni delle imprese, quando, in un periodo di
crisi, stiamo tutti affermando che occorre tutelare i
lavoratori già presenti sul territorio, italiani o
stranieri, regolari o no che siano. In questo modo, facciamo
passare invece il messaggio che dobbiamo aprire le
frontiere.
Nel testo si afferma che la manodopera straniera è
imprescindibile a tutti i costi e che bisogna salvaguardarla
per il nostro sistema produttivo. Riconosco che sia utile, ma
non si può metterla in primo piano. Questo messaggio,
per come è scritto, a me sembra, infatti, che metta
quasi in primo piano la manodopera straniera rispetto a quella
del nostro Paese.
Non possiamo assolutamente sostenere che nei soggiorni
stagionali bisogna aumentare la permanenza, proprio
perché sono stagionali, e lamentarsi del fatto che le
persone sono costrette a migrare da un territorio all'altro
per inseguire le campagne di raccolta: si tratta di lavori
stagionali, mirati a tale scopo, ed è ovvio che, se in
un luogo non c'è la raccolta, i lavoratori si dovranno
spostare nei territori in cui c'è.
Non condividiamo, inoltre, assolutamente la
possibilità per i lavoratori stranieri di versare i
contributi del lavoro svolto in Italia nei loro Paesi di
origine. Ciò vuol dire che andiamo a indebolire il
nostro sistema previdenziale, quando l'opposizione, anche in
quest'aula, ha sostenuto che la presenza degli immigrati
è un bene, perché pagano le pensioni dei
nostri anziani. È stato fatto passare questo
messaggio, a cui non credo, mentre adesso, invece, affermiamo
che tali immigrati devono pagare le pensioni agli enti nei
loro Paesi di origine.
La seconda parte, invece, prende in considerazione un attento
controllo, monitoraggio e lotta al lavoro nero: ovviamente,
non possiamo che condividere quest'impostazione, che riteniamo
indispensabile per tutelare chi svolge il lavoro regolarmente
e soprattutto le aziende virtuose che assumono regolarmente
persone e che, con i costi dovuti alla regolarità e
alla legalità del lavoro, devono competere nel
mercato.
Come Lega, chiediamo dunque che venga espressa chiaramente la
posizione del gruppo all'interno delle conclusioni,
esplicitando in maniera precisa che esso è fortemente
contrario all'impostazione della prima parte. Per quanto
riguarda la seconda, invece, ci riteniamo favorevoli.
Nel caso si includesse questo tipo di specificazione
all'interno della relazione - deve essere chiara la posizione
contraria del gruppo della Lega Nord - potremmo esprimere un
voto di astensione.
GIOVANNI PALADINI. Lo svolgimento dell'indagine conoscitiva sul lavoro nero, il
caporalato e lo sfruttamento della manodopera straniera per
il nostro gruppo rappresenta un momento importante di
acquisizione di dati e, soprattutto, di conoscenza su fenomeni
vecchi e nuovi, soprattutto vecchi, intollerabili per ogni
società avanzata e civile, qual è anche quella
del nostro Paese.
Si tratta di fenomeni che fanno male all'economia e allo
sviluppo delle imprese italiane, ma che colpiscono soprattutto
direttamente la vita e la dignità dei lavoratori, il
diritto alla giusta retribuzione, alle coperture assicurative
e contributive e alla protezione sociale.
Parliamo, quindi, dell'articolo 1 della nostra Costituzione e
degli articoli 2, 3 e 4, per citare solo quelli fondamentali e
tacere sui successivi. L'intollerabilità delle
violazioni che compromettono la nostra stessa dignità
richiedono il più alto impegno etico e politico da
parte di tutte le istituzioni e soprattutto del Parlamento.
Trovare subito soluzioni che le facciano cessare o fiacchino
le cause che le generano rappresenta per noi un punto molto
importante.
Ripassando nella memoria i dati e le statistiche presentati
dai soggetti auditi, dalle parti sociali, dalle associazioni
di categoria e dagli operatori del mercato del lavoro, agli
enti previdenziali e assistenziali, alle istituzioni pubbliche
e private, ai centri di studio, agli istituti di ricerca e
statistica, alle organizzazioni di volontariato, al CNEL,
c'è solo da rabbrividire per quello che abbiamo
sentito: lavoro nero, caporalato e sfruttamento della
manodopera straniera hanno ciascuno specificità
proprie, come è emerso, ma sono intrinsecamente
connessi e rappresentano facce di una stessa medaglia,
collegate anche dal fatto di presentare un'elevata
capacità di sfuggire ai censimenti ufficiali.
Alcuni dati hanno rappresentato l'esistenza di contesti
sociali ed economici diversi nel nostro Paese, dove questi
fenomeni avrebbero genesi e motivazioni differenti,
così come sono stati individuati settori produttivi,
quali l'agricoltura, l'edilizia, i servizi e il turismo, dove
maggiore è la loro incidenza.
Se il lavoro nero al sud è sembrato emergere con
caratteristiche più strutturali, nel nord Italia esso
è stato descritto come fatto legato più a
forme di evasione ed elusione fiscale. È stato
richiesto un approccio integrato ai diversi fenomeni,
un'azione congiunta di soggetti istituzionali e non che tenga
anche conto del contesto economico e produttivo internazionale
mutato tanto rapidamente negli ultimi anni.
La crisi economica in atto può essere vista come una
difficoltà in più o un colpo troppo duro per
il tessuto produttivo italiano, ma potrebbe anche essere
un'occasione per fare nel mercato del lavoro quello che
purtroppo non si è riusciti a fare negli ultimi anni
nel settore della finanza e delle banche, ovvero ripensare
interamente alle regole e alle scelte di politica del lavoro
compiute nell'ultimo decennio, scrivere regole chiare e
semplici, eliminare orpelli burocratici, ma soprattutto
restituire finalmente ai lavoratori la loro dignità e
il loro ruolo di protagonisti.
Se la flessibilità contrattuale rappresenta la
soluzione richiesta dalle imprese e accordata dai decisori
politici, bisogna fare in modo che essa non finisca di essere
il mezzo attraverso il quale vengono sottratti ai lavoratori i
diritti e la sicurezza sociale.
È stato ripetuto più volte nel corso delle
audizioni che, da una parte, le innovazioni in materia di
fattispecie contrattuali flessibili avrebbero favorito
l'emersione dei rapporti di lavoro, mentre, dall'altra, sono
state sovente utilizzate in materia distorta, nascondendo
dietro di esse i rapporti sostanzialmente subordinati in vista
di un ridimensionamento dei costi del lavoro e ciò, in
alcuni contesti, soprattutto quelli fortemente precarizzati,
è diventata la norma.
Siamo, dunque, favorevoli a contratti flessibili, ma riteniamo
che bisogna aumentare il loro costo, perché devono
assicurare almeno le stesse coperture retributive,
contributive e assicurative dei contratti a tempo
indeterminato. Solo in questo modo potremo aiutare gli
imprenditori
e le imprese a fare ricorso a tali contratti solo per
esigenze produttive e di mercato e non per
«gabbare» i lavoratori.
Sul lavoro nero è stato sottolineato che per essere
efficaci le attività di contrasto al fenomeno
richiedono la realizzazione di adeguate riforme di più
ampio respiro, di natura economica, fiscale e relativa al
mercato del lavoro.
Il quadro del lavoro nero mostra il coinvolgimento principale
dei soggetti più deboli del mercato del lavoro, come i
giovani, le donne lavoratrici, i lavoratori cinquantenni, gli
immigrati.
Per esempio, mancano o sono debolissimi i raccordi con il
mondo della scuola ed efficaci attività di formazione
- si pensi, per esempio, al fallimento pressoché
totale dell'istituto dell'apprendistato, nonostante la forte
sponsorizzazione del Governo - nonché adeguate
politiche di conciliazione.
Oltre agli interventi immaginati o richiesti, come la
riduzione della pressione fiscale e contributiva, mi preme
svolgere una riflessione sull'accento posto da alcuni soggetti
auditi, tra cui il Ministero del lavoro e delle politiche
sociali, sul ruolo degli enti bilaterali nel mercato del
lavoro. Essi dovrebbero, in taluni casi, sostituirsi allo
Stato e fornire un controllo sociale preventivo sui fenomeni
distorsivi del mercato del lavoro, nonché svolgere
attività di collocamento, di formazione e di
promozione delle forme di prevenzione per la salute dei
lavoratori. Pur non dichiarando una pregiudiziale chiusura,
è necessario ridimensionare il ruolo che si vuole loro
assegnare.
Mi preme ricordare che nel messaggio dello scorso 31 marzo,
con il quale il Presidente della Repubblica ha rimandato alle
Camere il disegno di legge collegato in materia lavoro, egli
ha espresso perplessità sulle garanzie offerte dagli
enti di certificazione dei contratti. Essi non sono altro che
enti bilaterali.
Prendendo spunto dalle parole del Presidente, ritengo che,
prima di trasferire a tali enti tutti o parte dei poteri o
delle funzioni indicati dai soggetti auditi, bisognerebbe
indagare a fondo l'ambito di tali poteri e stabilire regole
chiare sulle garanzie che gli enti devono offrire.
Bisogna, inoltre, procedere a un trasferimento molto graduale
di poteri e funzioni per verificare passo per passo
l'effettiva efficacia dell'azione degli enti e il loro
impatto. Se alle verifiche emergesse che essi non sono in
grado di svolgere i compiti assegnati e non offrono le
indispensabili garanzie, bisogna essere pronti a recuperare i
poteri e le funzioni attribuite.
Capitoli importantissimi sono quello dei controlli, che
operano sul piano della prevenzione, e quello delle sanzioni,
che operano invece sul piano della repressione. È
desolante constatare una volta in più che ci sono
territori in cui lo Stato sembra aver rinunciato a esercitare
i propri compiti di controllo. Vi è una
criminalità diffusa, che sfrutta biecamente situazioni
disagiate e manodopera straniera e crea allarme sociale.
È di fondamentale importanza, come è stato
affermato, mettere in rete il sistema delle banche dati
esistenti, ovvero quelle del Ministero del lavoro e delle
politiche sociali, dei centri per l'impiego, dell'INPS,
dell'INAIL, della Guardia di finanza e dell'Agenzia delle
entrate, nonché promuovere un'attività
ispettiva gestita in modo univoco a livello nazionale,
garantendo un rafforzamento e un efficace coordinamento dei
servizi ispettivi, anche attraverso un'effettiva
mobilità degli stessi ispettori.
È, inoltre, essenziale la creazione di un Polo della
salute e della sicurezza sul lavoro. I dati relativi agli
incidenti sul posto di lavoro sono impressionanti e quelli
relativi agli incidenti non denunciati lo sono ancora di
più.
Quasi tutti i soggetti auditi hanno rimarcato la
necessità della manodopera prestata dai lavoratori
stranieri per il nostro sistema economico e produttivo, ma, al
contempo, è emerso come i lavoratori immigrati
risultino maggiormente esposti al rischio di dover accettare
lavori in nero o in grigio, dal momento che la legge collega
la concessione del permesso
di soggiorno allo svolgimento di un lavoro. Esisterebbe
più domanda che offerta, ma le regole attuali sul
rilascio del permesso di soggiorno risultano spesso di non
facile applicazione e favoriscono il ricorso al lavoro
sommerso, che, paradossalmente, riguarda anche i lavoratori
stranieri regolari con lavoro stabile.
Il Governo dovrebbe accogliere molto rapidamente le proposte
avanzate dagli operatori del mercato del lavoro, semplificare
le procedure per il rilascio del permesso di soggiorno,
migliorare la tempistica, rivedere la determinazione numerica
di quote di ingressi per rispondere ai bisogni delle imprese,
modificare la normativa dei rinnovi dei permessi di soggiorno
stagionali, estendere il periodo di soggiorno per ricerca di
lavoro in caso di sopravvenuta disoccupazione, oggi limitato a
sei mesi, ricollegando la decorrenza di tale proroga non al
giorno del licenziamento, bensì a quello della
scadenza del permesso di soggiorno e rendendo meno probabile
lo scivolamento di tali lavoratori verso condizioni di
irregolarità.
Anche attraverso un impegno in attività di formazione,
il Governo dovrebbe fare propria la proposta dell'Italia dei
Valori, avanzata in occasione dell'approvazione della legge
finanziaria 2010, di estendere a tutti i lavoratori e ai
datori di lavoro le disposizioni per la regolarizzazione di
colf e badanti approvate con il decreto legge n. 78 del 2009.
Tale misura potrebbe dare, inoltre, un rilevante contributo
per aumentare in maniera stabile le entrate fiscali e
contributive.
È di fondamentale importanza sviluppare politiche
sociali di integrazione adeguate riguardanti gli alloggi e la
formazione linguistica e scolastica, nell'ambito delle quali
gli enti locali dovrebbero assurgere al ruolo di effettivi
protagonisti. Su tali politiche l'Italia è ancora
molto vicina all'anno zero.
Particolarmente importante appare anche l'idea di agevolare la
possibilità per i lavoratori stranieri di versare i
propri contributi agli enti dei Paesi di origine, stringendo
con essi accordi bilaterali al fine di fruire di trattamenti
pensionistici di adeguata entità.
Concludo con una perplessità che mi suscitano i dati
forniti, secondo cui i lavoratori stranieri che svolgono un
lavoro irregolare in maggioranza non sarebbero clandestini, ma
regolarmente residenti nel territorio italiano. Va svolto un
approfondimento per stabilire se non esista la
possibilità che il lavoro irregolare degli immigrati
clandestini non sfugga del tutto alle statistiche e che si
tratti di persone costrette all'invisibilità, veri
schiavi dei nostri giorni.
In conclusione, il percorso di azione politica da
intraprendere deve tener conto di quanto ho esposto; inoltre,
va ricordato che l'approvazione di leggi che riescono solo a
rallentare o a graffiare i fenomeni su cui si è svolta
l'indagine, senza sradicarli e prevenirli, potrebbe comportare
danni anziché benefici.
Per questo noi, naturalmente, voteremo contro la proposta di
documento conclusivo.
PRESIDENTE. Vorrei dare conto del
lavoro complessivo che la Commissione ha svolto per questa
indagine conoscitiva, che, come voi sapete, sarà
presentata in tutte le sue parti: avremo modo di pubblicare
un documento che racchiude tutte le audizioni, con le
relative osservazioni che in ciascuna i colleghi hanno
avanzato. Daremo, quindi, testimonianza di un lavoro svolto
per diversi mesi.
Il documento conclusivo è, quindi, ricognitivo di
quanto emerso nel corso di questa indagine, come si addice a
ogni indagine di questa natura. Mi sono state proposte alcune
modifiche, alcune integrazioni e sono state espresse alcune
riserve dal gruppo della Lega su una parte della proposta di
documento. Ovviamente, non possiamo fare altro che inserire,
all'interno del documento conclusivo, tutte le osservazioni.
Non si tratta di sviluppare un'iniziativa legislativa o di
favorire un orientamento, ma di mettere il Parlamento nella
sua interezza e il Governo, ove lo voglia, di fronte a un dato
di conoscenza
ulteriore, risultato delle audizioni che abbiamo tenuto.
È evidente che in merito le sensibilità
possono essere anche diverse. Ad ogni modo, mi debbo attenere
a ciò che si è sviluppato nel corso di questi
mesi. Ritengo, in ogni caso, che vi siano le condizioni per
predisporre una nuova versione della proposta di documento
conclusivo, che possa recepire le questioni emerse, da porre
in votazione sin dalla seduta odierna.
Sospendo brevemente la seduta, in modo da consentire
un'integrazione del testo sulla base delle proposte
avanzate.
La seduta, sospesa alle 15,05, è ripresa alle 15,30.
PRESIDENTE. Riprendiamo i
lavori.
Avverto che è stata predisposta una nuova versione
della proposta di documento conclusivo (vedi
allegato), di cui illustro sinteticamente i principali
elementi di novità.
È stato svolto un lavoro evidentemente di
«cesello e di incastro» per inserire all'interno
della proposta di documento conclusivo le proposte di
integrazione che erano state avanzate. Innanzitutto, gli
onorevoli Bellanova e Paladini hanno proposto di inserire
un'integrazione alla pagina 1, dalla fine del primo capoverso,
di cui do lettura: «Tra questi effetti il programma
dell'indagine ha incluso anche, nell'ambito del mondo del
lavoro, quelli connessi al lavoro nero e sommerso,
nonché al cosiddetto caporalato e allo sfruttamento
della manodopera immigrata, ossia a fenomeni che - in questo
punto inseriamo l'integrazione - determinano inaccettabili
condizioni di sfruttamento e la negazione dei più
elementari diritti dei lavoratori e, al tempo stesso - il
testo continua poi come era previsto - rischiano di sottoporre
taluni settori produttivi a un regime di concorrenza sleale,
con aggressive forme di dumping sociale».
L'altra proposta di integrazione, invece, riguarda il capitolo
3. Si tratta di una proposta di modifica suggerita dalla Lega
e da altri, di cui do lettura: «Di seguito sono,
altresì, indicate le varie proposte emerse nel corso
dell'indagine conoscitiva sullo specifico profilo del ruolo
della manodopera straniera e dei lavoratori immigrati, come
rappresentate dai soggetti auditi. Al riguardo occorre,
tuttavia, precisare che tali proposte hanno registrato nel
corso dell'esame del presente documento conclusivo la riserva
del gruppo della Lega Nord Padania e di taluni altri
componenti della Commissione, che hanno chiaramente
manifestato la propria contrarietà verso molte
proposte avanzate dagli auditi stessi, evidenziando anche
l'esigenza di una moratoria per nuovi ingressi di lavoratori
stranieri». Mi sembra che il resto rimanga uguale.
Con questo inciso, credo che si possa modificare il
testo.
Passiamo ora alle dichiarazioni di voto sulla nuova versione
della proposta di documento conclusivo.
GIOVANNI PALADINI. Mi ritengo soddisfatto delle integrazioni apportate e, quindi, il mio gruppo, mutando il precedente avviso, voterà a favore.
MASSIMILIANO FEDRIGA. Presidente, apportate le integrazioni, dove nella relazione è stata resa palese la posizione della Lega Nord su questi temi, annunciamo il nostro voto favorevole: si tratta di votare favorevolmente un documento che è esclusivamente di analisi e non di presa di posizione. La presa di posizione della Lega è quella espressa nel documento conclusivo e, quindi, di contrarietà alle proposte avanzate.
CESARE DAMIANO. Confermiamo il
nostro giudizio positivo sul documento conclusivo.
L'onorevole Fedriga ha ora ribadito il fatto che si tratta
di un documento ricognitivo, ma lo sapevamo già.
È un'indagine e, quindi, raccoglie un insieme di
opinioni di soggetti auditi.
Volevo solo rivolgere una considerazione di merito
all'onorevole Fedriga. Non voglio convincerlo, naturalmente, e
non penso di riuscirci, però credo che questo
documento, quando indica la necessità di allungare il
periodo di permanenza sul
territorio italiano oltre i sei mesi già previsti
in caso di perdita di lavoro, intervenga, in fondo, su un
punto delicato, che riguarda i lavoratori italiani.
Per come è congegnato oggi il sistema, infatti, il
venir meno, soprattutto in un periodo di crisi, del rapporto
con il lavoro, non avendo a disposizione un tempo congruo
oltre alla cassa integrazione per ritrovare un nuovo lavoro,
spinge oggettivamente questi lavoratori - in molti casi ci
sono ricongiungimenti familiari e si tratta di persone che
risiedono da molto tempo nel nostro Paese - nella logica della
clandestinità e li fa diventare preda o di
organizzazioni malavitose o di imprenditori senza scrupoli -
che pure ci sono - che in questo modo fanno concorrenza sleale
agli imprenditori sani e trasparenti e, ovviamente, sotto il
profilo del costo del mercato del lavoro, ai nostri
lavoratori, dal momento che in tal modo si costituisce una
riserva di manodopera a basso costo a disposizione del mercato
del lavoro.
Su questo punto avrei voglia un giorno di sviluppare proprio
una discussione di fondo, perché, quando esprimiamo la
questione nei termini di non tenere gli immigrati
perché altrimenti fanno concorrenza, ricordiamo sempre
che si tratta di lavoratori che espletano determinate mansioni
non sempre appetibili per i nostri lavoratori.
In ogni caso, io credo che dobbiamo avere ben chiaro a mente
il problema della trasparenza della retribuzione, altrimenti
si innesta un circuito perverso di concorrenza sleale, che
mette in difficoltà i nostri lavoratori, che noi
vorremmo a parole difendere. Mi sento di esprimere questa
considerazione, ma naturalmente avremo altre occasioni per
riflettere su questo aspetto.
L'indicazione specifica di una legislazione ad hoc
sul caporalato interviene su alcuni fenomeni degenerativi di
carattere criminale, sui quali abbiamo assolutamente bisogno
di intervenire, come sulla questione dei controlli e delle
sanzioni, in ordine alla quale si avverte il bisogno di alzare
la guardia per contrastare un fenomeno che altrimenti corre il
rischio di compromettere la stabilità del nostro
mercato del lavoro.
Noi, quindi, confermiamo il fatto che si è prodotto un
ottimo lavoro: si sono tenute numerose audizioni ed è
emerso un interessamento alto su una questione di valore
sociale simbolico. Come sempre, il presidente si è
adoperato per tentare di trovare elementi di possibile
convergenza su materie così delicate. Noi esprimiamo
opinioni e pareri che hanno una costruzione sociale molto
importante, ma ineriscono anche al futuro della
qualità dello stesso sviluppo del nostro Paese e
riguardano il tessuto di piccole e piccolissime imprese, che
sono le più esposte su questo versante e che noi tutti
vogliamo assolutamente tutelare, tanto al nord, quanto al
centro e al sud.
MICHELE SCANDROGLIO.
Innanzitutto, ringrazio anch'io il presidente di aver
voluto quest'iniziativa, che è sicuramente tesa ad
affrontare, con le dovute sottolineature, molti
problemi.
Trattandosi evidentemente di un documento ampio e articolato,
io sono tra coloro che hanno manifestato una
contrarietà a diverse proposte, non perché non
condivido - su questo mi coglie assolutamente consenziente il
collega Damiano - l'identificazione dei problemi, che
consistono nella salvaguardia del posto di lavoro dei nostri
lavoratori italiani prima di tutto e allo stesso modo
dell'impresa italiana, ma perché le ricette
probabilmente non sono le stesse.
Poiché credo che si possa affrontare la questione
senza pregiudizi e con lo stesso obiettivo finale - se esso
è lo stesso - ritengo che si debba evitare di
affrontare i temi dell'«universo mondo» e sia
magari opportuno concentrarci su due o tre, sui quali sono
emerse perplessità più forti e sui quali
ragionare, perché il problema è lo stesso, ma
la ricetta probabilmente no.
PRESIDENTE. A conclusione di questo
lavoro, vorrei ringraziare tutti i gruppi e i commissari
per il loro contributo.
Voglio ricordare a me stesso, ma anche alla Commissione, che
si tratta davvero di
un lavoro enorme di ricognizione su tutti i dati che ci
sono stati sottoposti, i quali aprono un ventaglio di
riflessioni importanti, che mi auguro si possano tradurre
anche in indirizzi specifici sul versante legislativo o per
quanto attiene alle iniziative di Governo.
È chiaro che le sensibilità intorno a questi
temi sono anche molto articolate e diverse, ma lo sapevamo fin
dall'inizio. Non era evidentemente compito della Commissione
rimuovere le sensibilità, ma capire se oggi siamo in
condizione, con questo lavoro, di avere un quadro più
compiuto, che ci consenta di avviare l'analisi di un fenomeno
che va valutato nella sua complessità. A volte, lo
abbiamo guardato soltanto sotto un'angolatura e ciò
evidentemente poteva andar bene per un determinato momento
anche emergenziale, ma non più in un quadro diverso,
dove l'articolazione legislativa deve tener conto anche dei
cambiamenti sociali ed economici che stanno interessando il
Paese e, da ultimo, anche delle ricadute della crisi
finanziaria, che evidentemente cambiano anche la geopolitica e
la geoeconomia a livello internazionale.
Credo che il contributo che viene oggi dalla Commissione possa
essere davvero utile.
Peraltro, mi sono adoperato - ringrazio gli amici e i colleghi
che hanno esercitato lo stesso sforzo - perché si
trovasse la strada di un'approvazione unitaria. Credo che
questo sia un segnale importante in quanto, ferme restando le
posizioni, che vanno assolutamente rispettate, rappresenta
anche un sintomo del lavoro compiuto da una Commissione che sa
anche superare alcune asperità per ritrovarsi, poi, su
un cammino di riflessione che mi auguro possa essere proficuo
e positivo.
Pongo in votazione la nuova versione della proposta di
documento conclusivo.
(È approvata).
La Commissione ha approvato il documento conclusivo all'unanimità.
La seduta termina alle 15,40.
1. Premessa: il programma e gli obiettivi
dell'indagine.
2. I principali elementi emersi nel corso delle
audizioni.
3. Conclusioni e proposte.
1. Premessa: il programma e gli obiettivi dell'indagine.
La XI Commissione, nell'ambito della propria
attività conoscitiva, ha ritenuto opportuno svolgere
una approfondita indagine conoscitiva su taluni aspetti
rilevanti del mercato del lavoro italiano, analizzando, in
particolare, lo specifico rischio che si acuiscano, al suo
interno, taluni elementi distorsivi. La Commissione ha,
quindi, deliberato il programma dell'indagine, nella
consapevolezza che la liberalizzazione dei servizi, la
circolazione delle merci e delle persone, insieme ai processi
di globalizzazione e alla profonda interconnessione tra le
economie nazionali - oltre ad aver amplificato le
opportunità di lavoro e di scambio commerciale,
recando indiscussi benefici in termini di competizione,
sviluppo economico e occupazionale - hanno anche favorito la
produzione di alcuni effetti collaterali, legati spesso alla
necessità di ridurre i costi del lavoro, in vista di
una «tenuta sul mercato» delle aziende meno
competitive. Tra questi effetti, il programma dell'indagine ha
incluso anche - nell'ambito del mondo del lavoro - quelli
connessi al lavoro nero e sommerso, nonché al
cosiddetto «caporalato» e allo sfruttamento della
manodopera immigrata, ossia a fenomeni che determinano
inaccettabili condizioni di sfruttamento e la negazione dei
più elementari diritti dei lavoratori e, al tempo
stesso, rischiano di sottoporre taluni settori produttivi ad
un regime di concorrenza sleale, con aggressive forme di
dumping sociale.
In particolare, la Commissione si è proposta di
comprendere la dimensione di questi fenomeni distorsivi, che
presentano rilevanti punti di contatto - prima che con aspetti
di ordine pubblico e di diritto penale, legati anche alle
procedure di ingresso degli immigrati nel nostro territorio -
con profili economici, sociali, professionali, assicurativi e
fiscali, richiedendo un'azione politica integrata da parte di
tutte le istituzioni chiamate ad individuare una soluzione
adeguata. Prima ancora di adottare qualsiasi tipo di misura,
quindi, la XI Commissione ha giudicato importante poter
avviare una riflessione circa la possibilità di
misurare l'entità del problema e definire un quadro
comune di norme e politiche che disciplinino l'accesso
regolare al mercato del lavoro, favorendo anche l'indicazione
di interventi in grado di rilanciare il capitale umano in
vista di un sviluppo degli investimenti produttivi.
L'indagine, originariamente deliberata il 30 luglio 2009,
è stata successivamente prorogata sino al 15 giugno
2010, in modo da consentire la conclusione delle principali
audizioni incluse nel programma e favorire un approfondito
esame del documento conclusivo.
Nell'ambito dell'indagine, la XI Commissione ha svolto un
articolato e interessante ciclo di audizioni, che hanno avuto
inizio nel settembre del 2009 e si sono concluse alla fine del
mese di aprile 2010. In particolare, sono intervenuti
rappresentanti delle parti sociali (Confindustria e
organizzazioni sindacali, quali CGIL, CISL, UIL e UGL), delle
associazioni di categoria dei settori maggiormente coinvolti
(ANCE, Coldiretti, Confagricoltura e CIA), di operatori del
mercato del lavoro (Consiglio nazionale consulenti del
lavoro), di enti previdenziali e assistenziali (INAIL e
IPSEMA), di istituzioni, anche pubbliche, e centri di studio,
ricerca e statistica (ISTAT, Censis ed Eurispes), di
associazioni che agiscono nel settore del volontariato
(CARITAS e Medici senza frontiere), nonché del
Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro (CNEL). Il
ciclo di audizioni si è, quindi, esaurito con lo
svolgimento, nella seduta del 29 aprile 2010, dell'audizione
del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, Maurizio
Sacconi.
Nel loro complesso, le audizioni hanno visto tutte un
confronto costruttivo e collaborativo con i soggetti
coinvolti, che ha permesso di delineare un quadro completo
delle problematiche esistenti e dei principali dati in
materia, ponendo in luce anche il positivo contributo che le
istituzioni rappresentative, in primo luogo il Parlamento,
possono fornire, in particolare attraverso forme di
legislazione di integrazione e sostegno.
Per tali ragioni, il presente documento è stato
elaborato in termini estremamente semplici ed è
strutturato in due sole parti: con la prima, vengono
illustrati i principali elementi di valutazione e di
conoscenza forniti nel corso delle audizioni; con la seconda,
invece, si punta ad evidenziare talune proposte conclusive,
anche in vista della possibile adozione di specifiche
iniziative in materia.
2. I principali elementi emersi nel corso delle audizioni.
Il presente paragrafo intende realizzare una sintesi dei
numerosi contributi forniti alla Commissione sul tema oggetto
dell'indagine, fermo restando che - per quanto concerne
l'enorme mole di dati ed elementi conoscitivi emersi nei quasi
otto mesi di suo svolgimento - non può che farsi
rinvio alla documentazione depositata dai soggetti
intervenuti.
La ricostruzione dei principali elementi emersi, peraltro,
è esposta - per ragioni sistematiche - nell'ordine
cronologico di svolgimento delle rispettive audizioni, anche
in modo da rispecchiare il contesto di riferimento nelle
diverse fasi in cui le audizioni stesse hanno avuto luogo (si
pensi, in particolare, all'audizione di rappresentanti delle
associazioni agricole, svolta immediatamente dopo i
«fatti di Rosarno»).
Sotto questo profilo, si ricorda che le prime audizioni
effettuate hanno visto la partecipazione di rappresentanti di
Eurispes e Censis.
I rappresentanti di Eurispes, nel porre in evidenza la
dimensione enorme raggiunta negli ultimi anni dal sommerso
(più di un terzo del PIL), si sono soffermati ad
analizzare le forme di impiego della manodopera immigrata,
sottolineando come il lavoro nero - equamente distribuito sul
territorio nazionale - coinvolge non solo gli immigrati
clandestini (un quarto dell'immigrazione complessiva, pari a
una quota di 800 mila persone), ma gli stessi extracomunitari
legalmente presenti nel territorio. In quest'ultimo caso,
peraltro, non di rado i datori di lavoro tendono a mantenere
in nero anche forme di occupazione stabili e, addirittura,
regolari, non dichiarando per intero le caratteristiche del
lavoro. Emblematico, in tal senso, è il caso del
rapporto di lavoro domestico che appare quello in cui si
combina meglio l'interesse del datore di lavoro a pagare meno
contributi.
È stato evidenziato, inoltre, come al fine di avere un
quadro più chiaro dei fenomeni oggetto dell'indagine
ed una stima più attendibile dei dati ad essi
riferiti, si potrebbe valutare l'opportunità di
prevedere forme di accertamento più penetranti
attraverso un monitoraggio delle rimesse degli immigrati verso
i Paesi
di origine. Si è altresì fatto notare che
interi settori e comparti dell'economia nel nostro Paese -
agricoltura, edilizia, servizi, ristorazione e turismo - sono
stati ormai completamente abbandonati dalla manodopera
italiana, evidenziandosi, inoltre, come un peso sempre
più rilevante in tale contesto sembra assumere il
cosiddetto sommerso criminale - ovvero il
«fatturato» prodotto da mafia, 'ndrangheta,
camorra e sacra corona unita (circa 175 miliardi di euro
annui) - che sembrerebbe coinvolgere non solo le regioni
meridionali, ma anche quelle settentrionali, dal punto di
vista della distribuzione o del reimpiego dei ricavi prodotti
(se si somma il dato del sommerso a quello della
criminalità si arriva a una dimensione del 50 per
cento del PIL). Nella disamina dei dati della immigrazione del
Paese, si è inoltre rilevato che essa non è
più prevalentemente extracomunitaria, ma è,
almeno per il 50 per cento, di origine europea, relativa a
Paesi appena entrati o in procinto di entrare nell'Unione
europea (evidente è il caso della Romania).
Passando ad analizzare la cause del sommerso, i rappresentanti
di Eurispes hanno manifestato l'impressione che il sommerso
venga utilizzato nel nostro Paese come ultima arma di difesa
rispetto a un sistema spesso oppressivo e limitativo della
libertà di impresa, indicando tra i motivi alla base
del fenomeno l'eccessiva pressione fiscale e un apparato
burocratico invadente che tende ad ingabbiare il sistema
imprenditoriale. Il nostro mercato del lavoro, a loro avviso,
essendo farraginoso ed eccessivamente regolato, produrrebbe,
come conseguenza, forme alternative di prestazione d'opera
nonché fenomeni dilaganti di dumping sociale,
che potrebbero essere contrastate proprio avviando politiche
di riduzione fiscale, in grado di interrompere quel sistema di
convenienze tra datore di lavoro e lavoratore che li spinge a
tenere nascosto il loro rapporto di lavoro. Si è
comunque sottolineato che il sommerso è il prodotto di
una situazione complessa, di un insieme di concause, non
riconducibili direttamente all'immigrazione e alla
criminalità, che fanno riferimento anche a fattori
culturali nonché a mal costumi delle imprese e dei
cittadini.
I rappresentanti del Censis hanno evidenziato i dati relativi
alla presenza del lavoro sommerso nei diversi settori
produttivi, individuando nel lavoro domestico il settore a
più alta incidenza (37 per cento), seguito
dall'agricoltura (26 per cento), dall'edilizia (circa il 24
per cento), dal tessile (13 per cento) e dalla meccanica
(circa l'8 per cento). Si è altresì
sottolineato che le categorie più coinvolte nel
sommerso sono gli immigrati (pari al 27 per cento) e i giovani
in cerca di prima occupazione.
Si è inoltre rilevato che il lavoro nero ha assunto
una dimensione strutturale nelle regioni del Meridione, per
fattori socio istituzionali - dal momento che nel Mezzogiorno
esiste un problema di competitività di sistema -
mentre nel Nord il lavoro sommerso sembra essere più
collegato a forme di elusione ed evasione fiscale.
I rappresentanti del Censis hanno poi sottolineato la
necessità di avvicinarsi allo studio del fenomeno del
lavoro sommerso con un approccio integrato, che sia in grado
di individuare soluzioni diverse in base alla tipologia di
comparto produttivo coinvolto, alla categorie di lavoratore
interessato, alla specifica dimensione territoriale
individuata, mettendo in campo una forza anche comunicativa
rispetto al valore del lavoro e coinvolgendo le organizzazioni
imprenditoriali, i sindacati, gli enti locali, in modo da
stimolare la crescita di una cultura collettiva che sanzioni
quasi in modo spontaneo tali comportamenti irregolari.
Si è poi evidenziato che il problema
dell'irregolarità - soprattutto in taluni settori,
come quello del lavoro domestico - è fortemente legato
a talune complicazioni procedurali e burocratiche (ad esempio
in relazione al rilascio del permesso di soggiorno),
nonché al livello basso di redditi e trattamenti
pensionistici, che inducono sia il datore di lavoro sia il
lavoratore
a stipulare un tacito accordo di convenienza in ordine al
carattere occulto del loro rapporto.
Il CNEL stima che l'incidenza del lavoro irregolare sul PIL si
attesti intorno al 18 per cento, percentuale molto superiore a
quella registrata negli altri Paesi europei, ed evidenzia che
in Italia si riscontrano nuove tipologie di sfruttamento,
dissimulate da forme contrattuali flessibili, come il
prolungamento dell'orario di contratti part time o
l'impropria definizione di lavoro autonomo per rapporti, a
tutti gli effetti, subordinati.
Si evidenzia, inoltre, che la composizione del sommerso varia
a seconda del livello di sviluppo delle strutture economiche
di riferimento, per cui si può configurare una
tipologia di sommerso nelle aree del Nord, prevalentemente
legato a forme di evasione fiscale e contributiva - connesse
soprattutto al secondo lavoro e al «fuori busta» -
e forme di lavoro irregolare diffuso nel Mezzogiorno, che
assumono quasi un carattere endemico, a causa dei molteplici
fattori di disagio che amplificano il sommerso in quelle
zone.
Si evidenzia, tuttavia, che il fenomeno ha subito tra il 2001
e il 2006 una contrazione che, in presenza di una moderata
espansione della occupazione totale, ha fatto scendere il
tasso di irregolarità dal 13,8 al 12 per cento, grazie
alle politiche poste in atto per favorire l'emersione, alla
semplificazione degli adempimenti contributivi, alla
flessibilizzazione dei rapporti di lavoro dipendenti regolari
e alle sanatorie di legge a favore dei lavoratori
extracomunitari.
Nel corso dell'audizione di rappresentanti del CNEL, è
stata fornita una stima molto alta dell'irregolarità
nell'agricoltura (nel 2006 si attestava al 22,7 per cento) e
nel campo dei servizi - in particolare commercio e pubblici
esercizi - dove il tasso di irregolarità sfiora il 20
per cento e si mantiene costante negli anni. In questo ambito,
le attività in cui più si raccoglie il lavoro
irregolare sono i servizi alle persone (collaboratori
domestici, badanti e colf), la ristorazione, le
attività di loisir, i servizi di pulizia e quelli di
trasporto. Nel settore delle costruzioni, i dati dell'ISTAT
mostrano un andamento decrescente negli ultimi anni da
ricondurre principalmente alle politiche per la sicurezza del
lavoro e al controllo della regolarità del lavoro
nelle imprese.
Dopo aver osservato che la crisi in atto potrebbe aumentare la
propensione verso il lavoro irregolare per coloro che perdono
un lavoro regolare, il CNEL rileva che il fenomeno in oggetto
coinvolge in modo particolare gli immigrati, dal momento che
essi risultano disponibili ad accettare un'occupazione anche
più dequalificata rispetto alla propria formazione,
anche per questioni legate ad aspetti normativi, dal momento
che lavorare è un requisito fondamentale per risiedere
anche legalmente.
Quanto alle possibili soluzioni da individuare, il CNEL
ritiene che il problema vada affrontato predisponendo in primo
luogo una strategia complessiva, che faccia leva sulla
vigilanza, su interventi di semplificazione della normativa,
di incentivazione e, soprattutto, su politiche di sviluppo
locale, attraverso l'azione congiunta di tutti gli attori
impegnati su questo fronte, siano essi soggetti istituzionali,
forze sociali, scuola, università, enti di formazione
e di ricerca. In secondo luogo, il CNEL ritiene necessario
agire per la semplificazione delle normative e l'efficienza
della pubblica amministrazione, nonché per potenziare
e rendere più efficaci i servizi ispettivi, non
soltanto nel loro aspetto repressivo, ma anche in quello
informativo e preventivo.
Il CNEL ritiene pertanto essenziale favorire il passaggio da
una normativa emergenziale, nata da circostanze e
necessità eccezionali, ad una strategia complessiva in
cui i provvedimenti a favore delle emersioni siano inseriti in
un più ampio contesto di riforma del mercato del
lavoro e di sviluppo dell'economia, precondizioni essenziali
in vista del successo della lotta all'economia sommersa.
Infine, quanto al caporalato, il CNEL sostiene che esso si
è andato diffondendo, anche sotto forme più
raffinate, magari
meno evidenti, che mettono in evidenza collegamenti fra
«caporali» di carattere evoluto.
I rappresentanti del Consiglio nazionale dei consulenti del
lavoro, soffermandosi sulla questione del lavoro irregolare
nel suo complesso, individuano l'esigenza di intraprendere una
riduzione generalizzata della pressione contributiva, nella
prospettiva di contrastare un fenomeno che ha assunto nel
Paese dimensioni preoccupanti (particolarmente nel settore
dell'agricoltura e dell'edilizia). Si sostiene altresì
l'introduzione di agevolazioni legate a ciascuna assunzione a
tempo indeterminato, nonché la previsione di un
sistema sanzionatorio più proporzionato ed equo,
soprattutto nel rapporto tra lavoro completamente in nero e
lavoro «grigio», ovvero laddove il lavoratore sia
irregolare solo parzialmente. Si propone, inoltre, la
detassazione e la defiscalizzazione contributiva nell'ambito
delle ore di straordinario effettuate nel 50 per cento dei
limiti legali, dal momento che, allo stato attuale, è
interesse reciproco, sia del datore di lavoro sia del
lavoratore, non far figurare la retribuzione al di sopra delle
quaranta ore settimanali. Si suggerisce, inoltre, la
defiscalizzazione di una quota dei contributi inversamente
variabile all'aumentare della retribuzione annua
corrisposta.
I consulenti del lavoro ritengono poi opportuno agevolare dal
punto di vista procedurale il lavoro a chiamata e,
soffermandosi, in particolare, sul lavoro irregolare della
manodopera immigrata, ritengono necessario snellire le
pratiche burocratiche relative al rilascio dei permessi di
soggiorno.
In relazione al tema più specifico del caporalato e
dello sfruttamento della manodopera immigrata - fenomeno
diffuso, a loro avviso, nel Nord-Est del Paese e nelle zone
del Mezzogiorno - nel rilevare che sovente, nel settore dei
servizi, si registra lo svolgimento di attività in
regime di «pseudo-appalto», ovvero di mera
fornitura di manodopera, i rappresentanti del Consiglio
nazionale dei consulenti del lavoro, dopo aver preso atto
positivamente dei positivi effetti prodotti dalle recenti
innovazioni legislative in materia di solidarietà fra
committente e appaltatore e di documento unico sulla
regolarità contributiva (DURC), ravvisano l'esigenza
di alleggerire il carico burocratico e formale in capo alle
agenzie di somministrazione, rendendo altresì meno
stringenti i requisiti richiesti a tali soggetti per operare,
aumentando in tal modo la concorrenza tra coloro che offrono
il lavoro somministrato, che favorirà un abbassamento
dei prezzi.
Si ritiene altresì auspicabile una riforma del codice
civile che introduca - in caso di accertata somministrazione
irregolare - la responsabilità civile, con tutto il
patrimonio, del soggetto che ha esercitato di fatto
l'amministrazione della società coinvolta, atteso che,
sfruttando i margini di manovra concessi dall'attuale
ordinamento, spesso i caporali tendono a celarsi dietro lo
schermo di rappresentanti legali inesistenti e di persone
giuridiche costituite ad arte ed estinte ciclicamente, al fine
di evitare il fallimento e la conseguente individuazione delle
relative responsabilità.
Si propone altresì una modifica all'attuale disciplina
dei contratti a tempo determinato, eventualmente escludendo la
stabilizzazione del rapporto di lavoro - prevista in caso di
reiterati contratti a tempo determinato nell'arco dei
trentasei mesi - per le imprese al di sotto di un certo limite
dimensionale nonché in quei casi in cui si ricorra al
contratto a tempo per sostituire lavoratori (in
maternità o malattia) aventi diritto alla
conservazione del posto. I consulenti del lavoro ritengono,
inoltre, essenziale rafforzare il ruolo di garanzia da loro
svolto nell'ambito della gestione della somministrazione di
manodopera, al fine di verificare l'assenza di situazioni di
caporalato o di forme di elusione o evasione contributiva e
fiscale.
L'IPSEMA, soffermandosi su questioni specifiche relative al
personale a bordo delle navi (il 30 per cento del quale
è straniero), ritiene innanzitutto necessaria una
modifica alla disciplina vigente, in base alla quale
l'equipaggio extracomunitario, senza permesso di soggiorno e
con divieto di sbarcare a terra, si vede riconosciuto
un trattamento diverso rispetto agli altri lavoratori
italiani per quanto concerne gli aspetti connessi alla
sicurezza del lavoro e della salute. L'Istituto giudica
pertanto opportuno che per tale personale marittimo si
prevedano forme obbligatorie di copertura assicurativa, con il
passaggio da un sistema privato ad uno a gestione pubblica,
secondo quanto previsto dal comma 38 della Costituzione, in
grado di garantire, inoltre, adeguate misure di prevenzione in
ordine alla sicurezza sul lavoro, al momento non adeguatamente
assicurate dalle compagnie private. L'IPSEMA indica anche la
necessità di prevedere adeguate forme di comunicazione
dei dati sugli infortuni sul lavoro relativi a tale tipo di
personale presso il competente Casellario centrale
dell'INAIL.
Quanto alla diffusione del lavoro nero tra il personale
marittimo, si evidenzia una forte diffusione del fenomeno nel
settore della pesca e del diporto, sulla base di rilevazioni
compiute dalle Capitanerie di porto, dallo stesso IPSEMA e
dalla Guardia di finanza. Si segnala, inoltre, l'esigenza di
porre rimedio ad una carenza normativa che pone l'Istituto
stesso in una situazione di difficoltà nel recupero
dei crediti contributivi a seguito della cosiddetta
dismissione di bandiera, realizzata proprio a fini di elusione
ed evasione contributiva. In tal caso, infatti, la
legislazione vigente prevede l'obbligo di comunicazione
soltanto all'INPS e non anche all'Istituto di previdenza per
il settore marittimo.
Un contributo importante è stato quello dei
rappresentanti di Confindustria, che - nel far notare che il
fenomeno del lavoro irregolare sembra interessare
marginalmente l'industria e maggiormente le imprese di
dimensioni più piccole - hanno posto in evidenza una
diversa configurazione del fenomeno nell'ambito del territorio
nazionale (nel Mezzogiorno si registra un tasso di
irregolarità pari al 19,6 per cento, nel Nord-Ovest
all'8,8 per cento, nel Nord-Est all'8,6 per cento, in
Lombardia al 7,8 per cento). Dopo aver sottolineato il
fortissimo aumento della popolazione immigrata degli ultimi
anni (circa 650 mila unità irregolari) e la
conseguente crescita della richiesta di personale straniero,
anche qualificato, da parte dei rappresentanti industriali, si
è evidenziato come i due fenomeni del sommerso e
dell'immigrazione tendano a sovrapporsi.
Confindustria ritiene pertanto centrale il tema dell'incontro
tra domanda e offerta di manodopera straniera, da favorire
attraverso una semplificazione delle procedure di rilascio dei
permessi di soggiorno e di reclutamento della manodopera, un
potenziamento dei centri per l'impiego e il riconoscimento dei
titoli di studio e delle competenze professionali. A tale
proposito, Confindustria giudica opportuno sostenere la
presenza dell'immigrato nel nostro territorio attraverso
l'avvio di adeguate politiche abitative e di formazione
linguistica e scolastica.
Risulta poi importante, ad avviso della confederazione, agire
sul versante imprenditoriale, prevedendo misure di riduzione
del cuneo fiscale e contributivo e alleggerendo la pressione
fiscale sulle imprese, portando a compimento il processo di
semplificazione amministrativa e intervenendo sul piano delle
sanzioni, attraverso l'assunzione di un approccio meno
formalistico e più sostanziale sul terreno dei
controlli, che si ritiene comunque necessario
intensificare.
Confindustria prende atto con soddisfazione dei benefici
effetti prodotti dalle ultime riforma del mercato del lavoro
(cosiddetti «pacchetto Treu» e «legge
Biagi»), che hanno contribuito negli ultimi anni alla
diminuzione dei tassi di irregolarità, grazie alla
diffusione crescente di rapporti di lavoro flessibili in
termini di orario, durata e attivazione di nuovi
contratti.
L'associazione delle imprese ritiene che serva comunque un
coinvolgimento dei vari attori politici, sociali,
istituzionali ed economici, che non deve essere limitato alla
lotta all'illegalità intesa nel senso stretto del
sommerso, ma deve estendersi ovviamente a tutte quelle forme
di criminalità che ne agevolano la diffusione.
Si ritiene, infine, essenziale, favorire un coordinamento
europeo nel campo delle
politiche per l'immigrazione, affinché le
problematiche che derivano da tale fenomeno siano affrontate
con spirito unitario e non lasciate alle
responsabilità dei singoli Paesi coinvolti.
Articolato e ricco di spunti è stato anche il
contributo delle organizzazioni sindacali.
In questo contesto, la CGIL considera il lavoro sommerso -
diffuso tra le mura domestiche, l'edilizia, l'agricoltura, il
turismo - come fenomeno strutturale dell'economia italiana,
che presenta una differenziazione territoriale molto rilevante
(si parla di una incidenza del 30 per cento in Calabria). Il
fenomeno, ad avviso della CGIL, non riguarda soltanto
l'utilizzo di lavoratori immigrati - la cui presenza,
peraltro, non può essere valutata in concorrenza
rispetto ai lavoratori italiani - ma è riconducibile
ad una tendenza generalizzata del nostro sistema ad una
precarizzazione dei rapporti di lavoro (acuita con la crisi in
atto), rispetto alla quale servirebbe un'azione complessiva
delle autorità pubbliche e delle parti sociali.
La CGIL ritiene opportuno avviare - in luogo di un'azione di
mera semplificazione amministrativa e burocratica a favore
delle imprese e di affievolimento del controllo ispettivo, che
sembrerebbe essere stata intrapresa dall'attuale Esecutivo -
un mix di repressione mirata e di politiche di sostegno
all'emersione, da ricomprendere in un'azione a tutto campo
fondata sul rafforzamento dell'attività ispettiva,
sulla previsione di ipotesi di reato per i casi di
sfruttamento della manodopera, sull'aiuto alle imprese
regolari nei rapporti con il credito, con le pubbliche
amministrazioni, con le attività formative.
Quanto alla CISL, che si è soffermata anzitutto ad
analizzare taluni fenomeni di lavoro «grigio» e
nero connessi a pratiche di dumping sociale che
rientrano nel tema più generale della somministrazione
e intermediazione fraudolenta di manodopera (riguardante
soprattutto i lavoratori transfrontalieri), essa ritiene
necessario prestare attenzione ai casi dei lavoratori
distaccati da imprese di somministrazione di manodopera
insediati in altri Paesi dell'Unione europea, le cui
condizioni di lavoro contrattuali non corrispondono in tutto o
in parte alle condizioni contrattuali vigenti in Italia. La
CISL inoltre ritiene inopportuno il ricorso al lavoro
accessorio - come il voucher - che sovente nasconde
solo l'intento di eludere la legislazione vigente e di ridurre
il costo del lavoro.
Tale confederazione, inoltre, sottolinea la particolare
delicatezza del tema del caporalato, che riguarda in
particolare il lavoro agricolo di migliaia di lavoratori
stagionali impiegati in alcune zone del Mezzogiorno (in
particolare in Puglia e in Campania), questione che si
ricollega ad un processo competitivo di dumping
scorretto, fondato su basso livello dei salari e scarse
condizioni di sicurezza. Rispetto a tali problematiche, la
CISL ritiene opportuno rafforzare l'attività ispettiva
e prevedere misure specifiche, tra cui un'estensione
dell'applicazione dell'articolo 18 del Testo unico in materia
di immigrazione (permesso di soggiorno per la protezione
sociale) anche ai casi di grave sfruttamento della manodopera.
La CISL, inoltre, avverte l'esigenza di introdurre norme a
tutela del lavoro stagionale e di prolungare la permanenza nel
territorio dei lavoratori immigrati che hanno perso il lavoro,
prevedendo il loro coinvolgimento in attività di
formazione, al fine di evitare un loro progressivo
scivolamento in situazioni di irregolarità ed
illegalità.
La UIL, al fine di contrastare il lavoro nero (che riguarda
sia lavoratori stranieri che italiani ed è diffuso
soprattutto in agricoltura, edilizia e lavoro domestico),
ritiene indispensabile una forte azione politica e
amministrativa, attraverso un'efficace controllo e una
semplificazione delle norme, che conduca altresì alla
messa a sistema delle diverse banche dati esistenti (Ministero
del lavoro, centri per l'impiego, INPS, INAIL, Guardia di
finanza e Agenzia delle entrate).
La UIL ritiene indispensabile, oltre che il rafforzamento
dell'attività ispettiva e l'adozione di misure
repressive (soprattutto prestando attenzione agli effetti
prodotti dalla criminalità organizzata sull'economia
del Paese), anche lo svolgimento di
un'azione di prevenzione, attraverso la diffusione di una
cultura della legalità e la messa in atto di campagne
informative, che evidenzino la convenienza di lavorare
regolarmente soprattutto in vista di un futuro pensionistico
adeguato.
Tra i rimedi proposti, la UIL ritiene importante premiare le
imprese virtuose che rispettano le regole e tutelare i
lavoratori immigrati, prolungando il permesso di soggiorno
fino alla scadenza dell'indennità di disoccupazione,
facendo decorrere il termine della proroga, ai fini della
ricerca di una nuova occupazione, dalla scadenza naturale del
permesso di lavoro e non dalla data di licenziamento.
La stessa UIL giudica importante, poi, favorire accordi
bilaterali con gli Stati di provenienza dei lavoratori
immigrati, affinché i contributi versati in uno Stato
possano essere fatti valere ai fini pensionistici nel loro
Paese di provenienza.
La UGL ritiene che il fenomeno del lavoro sommerso sia stato
aggravato dall'immigrazione non selezionata, che ha prodotto
una forza di lavoro occulta, stimabile in circa 3 milioni di
lavoratori irregolari, dei quali ben due terzi sono costituiti
da donne. A fronte di tale problematica, si pone una questione
connessa alla riduzione di risorse finanziarie per gli enti
previdenziali, oltre che al danno per il lavoratore in termini
di adeguate prestazioni pensionistiche.
La UGL rileva inoltre che il caporalato si esercita
prevalentemente in agricoltura e nell'edilizia e richiede la
messa in campo di efficaci forme di coordinamento sul
territorio. È altresì opportuno distinguere
tra imprese che nascono clandestine in vista della messa in
atto di comportamenti illegali e imprese per le quali il
sommerso può essere considerato quasi una
necessità imposta, in vista della sopravvivenza delle
attività: in questo caso sarebbero opportuni
interventi per garantire la sopravvivenza dell' impresa e per
il mantenimento dei livelli occupazionali, con adeguate misure
di tipo fiscale, quali sgravi contributivi e incentivi.
Utili elementi conoscitivi sono stati forniti anche dall'ANCE,
che ritiene essenziale promuovere le attività di
formazione, di prevenzione e di controllo della
regolarità attraverso lo strumento della
bilateralità (rispetto al quale si pone la questione
di certificare la regolarità dei requisiti delle
casse), particolarmente sviluppato nel settore edile, dal
momento che ha promosso l'adozione di efficaci misure di
intervento, riguardanti, ad esempio, il DURC.
In un momento di crisi come quello attuale, l'Associazione
considera auspicabile un sistema premiale, che aiuti le
imprese a essere virtuose nella sicurezza e nella
regolarità contributiva, nonché un intervento
di riduzione del cuneo fiscale contributivo, atteso l'elevato
costo del lavoro del settore edile, che tende a ricevere di
meno - ad esempio in termini di trattamenti di integrazione
salariale - in proporzione a quanto versa.
Al fine di contrastare la continua migrazione verso il falso
lavoro autonomo, l'ANCE ritiene opportuno introdurre requisiti
di accesso al settore edile e di qualificazione delle imprese,
per impedire l'instaurarsi di un regime di concorrenza sleale,
il proliferare delle partite IVA e la messa in atto di
comportamenti che perseguono finalità elusive.
Si ritiene importante, altresì, affrontare la
problematica del distacco delle imprese, soprattutto con
riferimento alle imprese straniere che si muovono sul nostro
territorio con la possibilità di versare le competenze
contributive nei Paesi d'origine.
L'ANCE rileva inoltre che nel settore edile sono diffusi
fenomeni di caporalato e di sfruttamento, osservando come le
imprese ricevano offerte di manodopera a prezzi assolutamente
irrisori, che hanno fatto scattare numerose denunce alla
direzione generale dei servizi ispettivi.
L'INAIL, nella sua audizione, ha fornito un significativo
novero di dati ed elementi di conoscenza sul profilo specifico
degli infortuni sul lavoro. In particolare, l'Istituto
evidenzia dal 2007 al 2008 un aumento del numero di lavoratori
irregolari
verificati, quantificando in circa 175.000 nel 2006 il
numero degli infortuni non denunciati.
L'INAIL fa poi presente che i settori tradizionalmente
delicati come le costruzioni continuano a essere i più
a rischio e, per converso, i più seguiti dall'Istituto
nella delicata verifica della regolarità dei
lavoratori presenti non solo nei cantieri. A tale riguardo, si
osserva che l'attività di prevenzione si sta
concentrando in particolare nei settori in cui sono presenti
maggiormente i lavoratori in nero, che risultano sottopagati o
con contratti fortemente irregolari e spesso preda di
organizzazioni malavitose, che ne gestiscono in maniera
illecita le prestazioni d'opera.
L'INAIL sottolinea inoltre l'efficacia di un'attività
di prevenzione svolta in collaborazione con il sindacato, gli
enti locali, le forze dell'ordine e tutti i soggetti che
devono intervenire nella prevenzione del fenomeno, al fine di
evitare gli incidenti sul lavoro e di spingere gli stessi
soggetti a richiedere una regolarizzazione efficace.
Si ritiene comunque essenziale promuovere un'attività
ispettiva gestita in modo univoco a livello nazionale,
garantendo un efficace coordinamento dei servizi ispettivi. In
proposito, l'Istituto ha approntato un piano industriale in
vista di un'attività di prevenzione più
efficace e della creazione di un polo della salute e della
sicurezza sul lavoro.
Coldiretti, nell'ambito dell'audizione delle associazioni
rappresentative delle imprese agricole, evidenzia come un
corretto sviluppo delle relazioni sindacali, supportato da una
confacente legislazione in materia del lavoro,
dall'introduzione di innovazioni normative contrattuali - ad
esempio, i voucher o il riconoscimento dell'utilizzo
di parenti e affini - e dalla disponibilità di quote
di manodopera per il lavoro stagionale, abbia favorito un
incremento nell'utilizzo legale della manodopera nel settore
dell'agricoltura nell'arco di tempo 2006-2008. Coldiretti pone
altresì in evidenza che il fenomeno del lavoro nero
presenta caratteristiche complesse tali da richiedere
soluzioni adeguate al diverso contesto di riferimento. Si
evince la necessità di introdurre una legislazione del
lavoro di semplice applicazione, tale da sottrarre ogni
possibile alibi e interesse a perseguire condotte illecite a
entrambe le parti del rapporto, quindi sia al datore di lavoro
che all'eventuale lavoratore.
Coldiretti ritiene che in un territorio che offre produzioni
da primato per il made in Italy, più che
altrove debba essere garantita la legalità,
certificata la qualità e promossa la vendita diretta;
deve essere, inoltre, assicurato un controllo efficace del
territorio per combattere gli inquietanti fenomeni malavitosi
di sfruttamento della manodopera - soprattutto immigrata - ed
assicurare corrette condizioni di concorrenza tra le imprese
che, al contrario, hanno intrapreso con decisione la strada
dell'attenzione alla sicurezza alimentare e ambientale, a
servizio del bene comune. Coldiretti osserva che tali forme di
schiavizzazione poste in essere dalla criminalità
organizzata sembrano trarre origine, più che da
carenze normative, da un'assenza dello Stato in taluni
contesti geografici.
In proposito, Coldiretti ritiene necessario prestare
attenzione sia all'appalto di servizi che alla
somministrazione di manodopera, strumenti pienamente legittimi
nella gestione di un'impresa, ma che nel campo
dell'agricoltura si prestano ad un utilizzo distorto ed
illegale: occorre, in tali casi, tenere sotto stretta
osservazione la presenza di taluni indicatori che rivelano la
natura criminale dei soggetti, quali l'entità e la
forma del corrispettivo dell'appalto (frequentemente si tratta
di tariffa ad ora di prestazione), nonché la data di
costituzione della società.
Coldiretti sottolinea poi che razionalizzare e semplificare
gli adempimenti burocratici posti a carico dei datori di
lavoro resta forse il più diretto ed efficace
strumento per favorire le aziende maggiormente interessate ad
operare all'interno dell'economia legale, in un contesto di
occupazione regolare e per un prodotto di qualità che
ne sia l'espressione finale.
Confagricoltura, dopo aver posto in evidenza che nel settore
agricolo esiste tanto lavoro vero, sottolinea il forte
impegno
di tutte le organizzazioni agricole, insieme ai sindacati,
in chiave di contrasto al lavoro nero, esprimendo condanna per
qualunque forma di sfruttamento della manodopera, non
giustificabile da alcuna particolare condizione
economica.
La Confederazione osserva che in alcune parti del territorio
il mercato del lavoro non è nelle mani delle
istituzioni, degli organi preposti a svolgere queste funzioni,
come i centri per l'impiego o le agenzie di intermediazione,
ma di altri soggetti collegati con la criminalità
organizzata, che svolgono una funzione illecita e illegittima
di intermediazione. Occorre, pertanto, garantire un efficace
monitoraggio del territorio, garantendo la concreta
applicazione del quadro sanzionatorio già esistente,
anche attraverso l'ausilio degli enti bilaterali. In relazione
al sistema dei controlli, Confagricoltura evidenzia la
necessità di abbandonare un approccio formalistico dei
monitoraggi e di concentrare l'attenzione su violazioni
sostanziali delle normative, garantendo la mobilità
degli ispettori al fine di verificare in tutte le zone del
territorio il rispetto delle leggi.
Confagricoltura ritiene poi necessaria una diminuzione della
pressione fiscale e contributiva, nonché uno
snellimento delle procedure e un'accelerazione dei tempi di
smaltimento nelle richieste di autorizzazione all'assunzione
di manodopera straniera, magari prevedendo agevolazioni o
corsie preferenziali in favore di quelle aziende che abbiano
già posto in essere in passato comportamenti virtuosi
con riferimento all'assunzione di manodopera. Si tratta di
agevolare comparti che hanno necessità in modo
strutturale dell'apporto dei lavoratori extracomunitari.
Si mette in evidenza, poi, il fenomeno del lavoro fittizio,
che si traduce nell'esistenza di rapporti di lavoro mai
svolti, ma denunciati all'INPS, al solo fine di far percepire
indebitamente delle prestazioni a soggetti che non hanno mai
lavorato.
La CIA ritiene essenziale intervenire per rimuovere tutti i
vincoli e le difficoltà di natura legislativa e
normativa, ma anche amministrativa, che rendono
particolarmente complicato e difficile alle aziende operare
nel rispetto delle regole, intervenendo sui costi di
produzione, sugli oneri non salariali, sui costi del lavoro e
abbassando la pressione fiscale e contributiva (il settore
paga, ad esempio, un'aliquota contro gli infortuni sul lavoro
molto elevata, pari al 13,24 per cento). La Confederazione
ritiene inoltre importante effettuare un monitoraggio in
ordine all'applicazione della legge sull'immigrazione (ad
esempio, in ordine alla durata dei permessi di soggiorno), al
fine di valutare l'opportunità di apportare delle
correzioni che sappiano garantire una maggiore speditezza
delle pratiche e snellezza delle procedure. A tale riguardo,
giudica opportuno un maggiore coinvolgimento degli enti
locali, in concertazione con le parti sociali,
affinché il carico di lavoro per il disbrigo delle
pratiche sia equamente distribuito tra i vari organi
competenti, anche in vista di un più efficace
svolgimento delle politiche di integrazione - alloggi,
servizi, scuole, sanità - da mettere in campo con il
necessario contributo dei soggetti istituzionali.
La CIA paventa il rischio che, a seguito di taluni episodi
recenti (in particolare, il caso di Rosarno), vista
l'emotività collegata ad essi, si decida una
restrizione drastica sull'ingresso e sulle quote dei
lavoratori extracomunitari, che, a suo avviso, penalizzerebbe
esclusivamente quelle aziende che presentano la domanda
tramite il decreto flussi e che operano nel rispetto della
legalità.
L'associazione «Medici senza frontiere», impegnata
in Italia in attività di assistenza sanitaria agli
immigrati (si tratta soprattutto di immigrati senza permesso
di soggiorno richiedenti asilo), ha fatto presente che per
tali soggetti si pongono seri problemi di accesso alle
strutture sanitarie. L'intervento di MSF, in questi anni, si
è focalizzato prevalentemente nel prestare assistenza
sanitaria diretta a queste persone con una clinica mobile (di
norma l'immigrato arriva in Italia sano e si ammala per le
condizioni di vita e di lavoro che sperimenta nel
nostro territorio), attraverso un team di medici,
infermieri, mediatori culturali e logistici di supporto alle
operazioni.
MSF riferisce di una «fetta» consistente di
popolazione che si muove lungo il territorio dell'Italia
meridionale, inseguendo le stagioni delle raccolte (a
cominciare dall'estate nel foggiano, nel sud della Puglia e in
Basilicata, fino a concludersi in inverno in Calabria,
nell'area di Rosarno e in Sicilia, nell'area del siracusano):
si tratta di lavoratori sottopagati, costretti a vivere in
condizioni disagiate e privati dei più elementari
diritti.
Al lavoro di supporto medico di MSF è stato affiancato
anche un lavoro di relazione con le autorità regionali
e locali per stimolarle a garantire almeno gli standard minimi
di accoglienza a questa popolazione, nonché con le
autorità sanitarie locali per cercare di attivare,
durante la stagione delle raccolte, alcuni presidi sanitari,
gestiti direttamente dalle AASSLL, con caratteristiche
fondamentali di accessibilità. MSF ritiene che si
è ancora lontani, tuttavia, da standard di accoglienza
accettabili.
MSF sostiene di aver ripetutamente denunciato in questi anni
le condizioni estreme di degrado in cui vive questa
popolazione, testimoniando l'assenza delle istituzioni
nonché delle associazioni di categoria, come sindacati
e associazioni datoriali.
La Caritas ritiene che la crisi economica in atto abbia
favorito la crescita del numero di lavoratori immigrati
divenuti irregolari a causa della perdita del lavoro e del
venir meno dei requisiti di residenza regolare (con
conseguente loro spostamento nel Sud del Paese dove sembra
esser più facile mantenere lo status di
lavoratore irregolare), pur riconoscendo che il lavoro in nero
è un fenomeno difficilmente quantificabile,
coinvolgendo soggetti che sfuggono a qualsiasi rilevazione.
Tra le aree del meridione maggiormente colpite dal fenomeno di
sfruttamento della manodopera immigrata, Caritas cita il
territorio campano (San Nicola Varco, il Casertano), la
Basilicata (Palazzo San Gervasio), la Puglia (area del
Foggiano e Gallipoli) e la Calabria (Rosarno).
A fronte di un processo migratorio che non accenna a
diminuire, la Caritas mette in rilievo la necessità di
prendere provvedimenti elaborati a livello territoriale,
affinché qualsiasi provvedimento di sgombero sia
preceduto da un piano di concertazione locale o regionale -
come avvenuto di recente in Sardegna - garantendo alloggi e
assistenza materiale a tali persone.
Si ritiene che gli Stati membri dell'Unione europea - sulla
base di una direttiva comunitaria che dispone di fondi europei
- abbiano a disposizione un interessante strumento - il
rimpatrio volontario assistito - che permetterebbe loro di
alleggerire la tensione determinata dall'immigrazione
irregolare; esso, tuttavia, risulta di fatto inapplicabile in
Italia, a seguito della recente introduzione del reato di
immigrazione clandestina, per il quale l'immigrato, chiedendo
di essere rimpatriato, correrebbe il rischio di essere
denunciato. La Caritas ritiene opportuno intervenire sulla
materia al fine di consentire la corretta applicazione di tale
importante istituto e l'attuazione della direttiva europea
2008/115/CE, recante «Norme e procedure comuni
applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di
Paesi terzi il cui soggiorno è
irregolare».
Si ritiene che il fenomeno del caporalato sia un fenomeno a
tutt'oggi diffusamente esistente. I caporali gestiscono la
manodopera irregolare impiegando persone a 25 euro al giorno,
di cui mediamente 5 euro vanno in mano al caporale (2-3 euro
sono necessari per il trasbordo tra il luogo dove si
sopravvive e il luogo di lavoro). Si fa notare, inoltre, che
gli sgomberi provocano un ulteriore danno ai lavoratori
immigrati, che non solo si trovano nelle condizioni di dover
lasciare di corsa questi luoghi, ma non ricevono neanche il
salario, atteso che il datore di lavoro, in questo modo, si
libera del debito nei confronti del proprio lavoratore,
risultando, successivamente, irrintracciabile.
La Caritas giudica opportuno cominciare ad ipotizzare decreti
flussi più rispondenti alle reali esigenze delle
imprese, elaborando a monte più adeguati progetti di
regolazione dei flussi regolari. Viene altresì
sottolineata la necessità di riflettere in che misura
sia possibile estendere l'applicazione dell'articolo 18 del
testo unico sull'immigrazione anche allo sfruttamento sui
luoghi di lavoro, prospettando anche l'opportunità di
affrontare il tema dei minori stranieri non accompagnati
(eventualmente attraverso la costruzione di una rete diffusa
su tutto il territorio nazionale), che pongono anche un
problema di sostenibilità per gli enti locali.
In un momento di crisi come quello attuale, la Caritas auspica
un prolungamento del periodo di permanenza per la ricerca del
lavoro, soprattutto con riferimento a contesti particolari,
come ad esempio L'Aquila, dove molti immigrati, oltre a dover
scontare le gravi conseguenze dell'evento sismico, hanno di
fatto perduto il lavoro, la casa e, pertanto, anche la
possibilità di rimanere nel territorio regolarmente.
Si riconosce, infine, che il problema del disagio sociale e
del lavoro nero coinvolge al sud in modo drammatico non
soltanto gli immigrati, ma gli stessi lavoratori
italiani.
L'ISTAT ha fornito numerosi dati di interesse, in particolare
mettendo in evidenza come la rilevanza che assumono le piccole
imprese nel tessuto produttivo, il persistere di forti divari
territoriali di sviluppo, il peso economico dei settori
produttivi labour-intensive rappresentino aspetti che
rendono il nostro Paese permeabile alla presenza di lavoro non
regolare.
Inoltre, si sottolinea il benefico effetto prodotto dalle
innovazioni normative introdotte in materia di mercato del
lavoro, che hanno condotto ad un aumento dell'occupazione e ad
una diminuzione del tasso di irregolarità nel periodo
2001-2009 nonché del tasso d'incidenza del lavoro
irregolare sul PIL. Si è altresì fatto notare
come anche gli interventi legislativi volti a sanare
l'irregolarità lavorativa degli stranieri
extracomunitari abbiano agito positivamente sulla diminuzione
del lavoro non regolare dei dipendenti.
Si fa presente, inoltre, che gran parte dei lavoratori
irregolari è composta da lavoratori residenti, mentre
gli stranieri clandestini rappresentano, invece, la componente
più ridotta del lavoro non regolare (valutati in circa
377.000 unità di lavoro nel 2009). Nonostante gli
interventi di sanatoria, tuttavia, è da rilevare che
nel periodo 2001-2008 il numero di lavoratori stranieri
irregolari è cresciuto subendo un'inversione di
tendenza solo nel 2009.
L'ISTAT, dunque, mette in evidenza come la recente crisi
economica abbia provocato una riduzione complessiva
dell'occupazione (riguardante sia gli italiani sia gli
stranieri), nonché una forte contrazione del lavoro
regolare (il tasso di irregolarità è passato
dall'11,9 per cento del 2008 al 12,2 per cento del
2009).
Con riferimento sempre al 2009, l'ISTAT evidenzia il minor
tasso di irregolarità nell'industria in senso stretto,
che assume invece una forte connotazione nelle costruzioni e
ancor più nel settore del commercio, delle
riparazioni, degli alberghi e ristoranti, dei trasporti e
delle comunicazioni. Vengono poi sottolineate le pesanti
differenziazioni territoriali che caratterizzano il fenomeno,
dal momento che la quota di lavoro irregolare del Mezzogiorno
è più che doppia rispetto a quella delle due
ripartizioni settentrionali.
Viene poi rilevato che la contrazione della base
occupazionale, per quanto riguarda i lavoratori stranieri,
è stata finora contrastata dal sostegno fornito dal
lavoro non qualificato che coinvolge larga parte degli
stranieri; in questo senso si ritiene che l'immigrazione
continui a rispondere, anche nella crisi, ai fabbisogni della
domanda di lavoro non soddisfatti dalla manodopera
locale.
Peraltro, l'audizione di rappresentanti dell'ISTAT ha fornito
un quadro molto interessante e, al tempo stesso, preoccupante
sull'aumento dell'irregolarità del lavoro in
agricoltura, con punte impensabili in alcune regioni del
Centro-Italia, tra le quali il Lazio; al tempo stesso,
l'Istituto ha
dimostrato come si registri anche una progressiva crescita
della regolarizzazione di ampie fasce di popolazione
straniera, la cui qualificazione professionale va
tendenzialmente aumentando in tutte le zone del Paese.
Come detto in premessa, l'intervento del Ministro del lavoro e
delle politiche sociali ha concluso il ciclo di
audizioni.
Il Ministro Sacconi ha evidenziato innanzitutto l'esigenza di
concentrarsi sulle forme più odiose del lavoro nero,
soffermandosi soprattutto sull'estrema pericolosità
(legata all'assenza di tutele) del lavoro totalmente non
dichiarato - particolarmente diffuso nel Meridione nell'ambito
dell'agricoltura e dell'edilizia - che appare coniugarsi con i
fenomeni del caporalato e dell'intermediazione abusiva,
entrambi collegati peraltro alla criminalità
organizzata.
Nell'ambito dell'agricoltura, il Ministro ha poi segnalato
che, accanto al lavoro nero, esiste il fenomeno dell'abuso
delle tutele - ammortizzatori e anche alcune forme di
integrazione del reddito - da parte di falsi lavoratori
(magari dipendenti da cooperative senza terra) che
usufruiscono, senza averne titolo, delle forme di
protezione.
Il lavoro nero affligge il settore dell'edilizia (con
situazioni di pericolo per la persona in presenza di contesti
di lavoro non dichiarato), ma anche il terziario (soprattutto
nella logistica, dove operano molte cooperative spurie), ed i
servizi connessi all'economia turistica e alla cura e
all'assistenza familiare.
Il Ministro ha posto in evidenza la particolare esposizione al
fenomeno del lavoro nero degli immigrati (ancorché in
prevalenza regolari e non necessariamente clandestini) e delle
donne, particolarmente soggette a modalità di lavoro
integralmente non dichiarate, anche a causa dell'assenza di
servizi di conciliazione.
Si prospetta, quindi, l'esigenza di rafforzare
l'attività di vigilanza, da combinare con forme di
controllo sociale che il Governo vuole promuovere e
sollecitare; a tale riguardo, evidenzia che lo sforzo del
Governo in tale ambito è stato teso a individuare
quali elementi di priorità - attraverso
un'attività di selezione degli obiettivi (in
collaborazione con le polizie statuali) - il lavoro totalmente
non dichiarato e le violazioni sostanziali di leggi:
ciò ha condotto ad un aumento della qualità
dei controlli e ha consentito di concentrare l'azione
ispettiva e l'intervento sanzionatorio verso quei fenomeni di
maggiore gravità sul piano economico-sociale (come,
appunto, il caporalato e lo sfruttamento di manodopera
straniera).
È stato poi illustrato il programma straordinario di
vigilanza in agricoltura e in edilizia che, a seguito dei
«fatti di Rosarno», il Ministero ha promosso in
talune regioni del Mezzogiorno, nell'ambito del quale
è stata attivata forma di collaborazione con la
Guardia di finanza per incrociare i dati relativi alle
attività economiche con i possibili fenomeni
distorsivi.
Il Ministro ha, dunque, rilevato l'importanza dell'elemento
della bilateralità in chiave di collaborazione con i
servizi ispettivi e di prevenzione dei fenomeni di lavoro
nero, al fine di mettere sotto controllo sistemi produttivi
fortemente frammentati, attraverso un controllo del territorio
che tali organismi, soprattutto nel campo dell'edilizia, hanno
dato dimostrazione di poter assicurare. Egli ha così
auspicato, anche per altri settori, la costruzione di una rete
territoriale bilaterale - in sussidiarietà rispetto
alle funzioni pubbliche - che possa svolgere una serie di
funzioni, tra cui quella di intermediazione nella fornitura di
manodopera, di collocamento, di formazione, di promozione
delle forme di prevenzione per la salute dei lavoratori.
È stata, poi, richiamata la rilevanza dello strumento
del voucher nei settori e per le attività per
cui la legge ne ha previsto l'utilizzo - ovvero prestazioni
occasionali, accessorie, di breve periodo, nell'ambito
soprattutto dell'agricoltura e dei servizi di cura - che ha
sicuramente contribuito alla tracciabilità dei
rapporti di lavoro, soprattutto nel territorio settentrionale.
Viene comunque evidenziata l'esigenza di promuovere forme di
controllo
con le parti sociali al fine di scongiurare ogni possibile
distorsione nell'utilizzo di tale strumento, che si
concretizzi in una destrutturazione del rapporto di lavoro
preesistente.
Il Ministro non ritiene, infine, agevolmente applicabile - se
non per casi eccezionali - una riduzione generalizzata degli
oneri indiretti gravanti sul lavoro, considerati i vincoli di
finanza pubblica e le esigenze di rapporto fra contribuzione e
prestazione, che caratterizzano l'attuale modello
previdenziale, valutando più opportuno rimettere alle
parti, attraverso la stipula di intese decentrate, il compito
di regolamentare le dinamiche salariali.
3. Conclusioni e proposte.
Dalle audizioni svolte nel corso dell'indagine conoscitiva
emerge, in primo luogo, un dato di natura metodologica, ossia
la necessità di inquadrare il fenomeno del lavoro nero
e degli effetti distorsivi del mercato del lavoro (i quali,
pur coinvolgendo in modo più significativo la
manodopera straniera, riguardano direttamente anche i
lavoratori italiani) nell'ambito di una più
complessiva analisi, che abbia ad oggetto le dinamiche in atto
nel mercato del lavoro, nell'economia e nei processi
migratori. Si evidenzia, pertanto, l'esigenza di rifuggire
dalla tentazione di fornire ricostruzioni astratte, avulse dai
contesti sociali ed economici del Paese, peraltro fortemente
differenziati a seconda della zona geografica presa a
riferimento (il lavoro nero sembra, infatti, presentare
caratteristiche più strutturali nel Mezzogiorno,
mentre appare più legato a forme di evasione ed
elusione fiscale nel Nord d'Italia); piuttosto, occorre
concentrare l'attenzione sul concreto svilupparsi dei fenomeni
in questione, diversificando gli approfondimenti di contenuto,
in base alla tipologia dei settori produttivi esaminati, alla
fattispecie contrattuali utilizzate, alle zone del Paese
interessate, al tipo di azione politica da
intraprendere.
L'indagine, inoltre, ha chiarito quanto sia indispensabile
ricondurre i singoli aspetti dei fenomeni esaminati su un
piano generale, cogliendo i nessi esistenti tra i vari
contesti presi a riferimento e «spianando» la
strada a quel tipo di approccio integrato, che prevede la
proficua azione di collaborazione e concertazione di diversi
soggetti istituzionali e non (tra cui, ad esempio, gli enti
bilaterali, come suggerito dall'ANCE, da Confagricoltura e
dallo stesso Ministro Sacconi), nonché la messa in
campo di vari interventi di natura economica, culturale,
politica, repressiva, preventiva, fiscale e di regolazione dei
flussi migratori, che sappiano coesistere nell'ambito di un
progetto di azioni coerenti e coordinate tra di loro, capaci
di orientare le azioni pubbliche in un nuovo contesto
internazionale, caratterizzato dalla liberalizzazione dei
servizi e dalla libera circolazione delle persone. Bisogna,
pertanto, sforzarsi di concentrare l'attenzione sui nessi
causali dei fatti accertati, proprio per fornire chiavi
interpretative quanto più oggettive possibile, al fine
di sopperire a quella insufficienza di elementi diretti di
conoscenza che da sempre caratterizza le metodologie di
censimento di un fenomeno che, di per sé, presenta un
elevata capacità di sfuggire ai rilevamenti
ufficiali.
Va rilevato, quindi, che l'attuazione di adeguate riforme di
più ampio respiro di natura economica, fiscale e del
mercato del lavoro sembra rappresentare una condizione
necessaria in vista di una efficace attività di
contrasto al lavoro nero. In tal senso, a conferma di quanto
le riforme possano incidere sul fenomeno, appare opportuno
ricordare - come è stato ampiamente fatto nel corso
della audizioni - come le più recenti innovazioni in
materia di fattispecie contrattuali flessibili (cosiddetta
«legge Biagi») abbiano favorito l'emersione dei
rapporti di lavoro, nonostante in talune situazioni,
soprattutto in contesti fortemente precarizzati, si sia talora
assistito ad un uso distorto di tali fattispecie, teso a
celare rapporti sostanzialmente subordinati, in vista di un
ridimensionamento dei costi del lavoro.
Di seguito sono, altresì, indicate le varie proposte
emerse nel corso dell'indagine
conoscitiva sullo specifico profilo del ruolo della
manodopera straniera e dei lavoratori immigrati, come
rappresentate dai soggetti auditi. Al riguardo, occorre
tuttavia precisare che tali proposte hanno registrato, nel
corso dell'esame del presente documento conclusivo, la riserva
del gruppo della Lega Nord Padania e di taluni altri
componenti della Commissione, che hanno chiaramente
manifestato la propria contrarietà verso molte
proposte avanzate dagli auditi stessi, evidenziando anche
l'esigenza di una moratoria per nuovi ingressi di lavoratori
stranieri.
Con riferimento a tali argomenti, si rileva, quindi, che la
Commissione, in base agli elementi conoscitivi acquisiti nel
corso dell'indagine, ha anzitutto potuto verificare la
rilevanza strategica assunta dalla manodopera straniera nel
nostro attuale sistema economico e produttivo, a causa di
evidenti ragioni demografiche e culturali che hanno condotto i
giovani italiani a rinnegare e ad abbandonare talune forme di
impiego, ritenute non più qualificate e remunerative.
I lavoratori immigrati, per oggettivi motivi di
necessità, riconducibili anche al fatto che il lavoro
costituisce un requisito indispensabile ai fini di un loro
regolare soggiorno nel Paese, risultano maggiormente disposti
ad accettare lavori non rispondenti alla loro qualifica e al
loro grado di preparazione culturale, con la conseguenza di
essere più ricattabili e più esposti al
rischio di un utilizzo distorto delle loro prestazioni
professionali.
Appare opportuno, quindi, investire particolarmente sulla
regolamentazione delle forme di impiego della manodopera
straniera, atteso che la presenza di lavoratori
extracomunitari risulta significativa proprio in quei settori
in cui si registra una percentuale più elevata di
lavoro sommerso. Infatti, i dati emersi dall'indagine
innescano, su questo punto, una prima riflessione di merito
riguardante l'esigenza di favorire un corretto incontro tra
domanda ed offerta di lavoro straniero, partendo dal dato
inconfutabile che la richiesta attuale di manodopera viene
considerata come non adeguatamente soddisfatta. Le stesse
modalità di ingresso nel Paese - secondo quanto
riferito da molti dei soggetti auditi - risultano spesso di
non facile applicazione e favoriscono il ricorso al lavoro
sommerso (che riguarda sicuramente gli immigrati irregolari,
ma in misura maggiore quelli regolari con lavoro stabile),
ponendo con forza la questione relativa alle modalità
di reclutamento di tale manodopera e a come regolamentarne la
permanenza nel territorio. Nel corso dell'indagine si
è così prospettata la necessità di
semplificare le procedure per il rilascio del permesso di
soggiorno in favore dei lavoratori stranieri regolarmente
presenti sul territorio italiano, agevolando la tempistica e
le relative procedure e mettendo, altresì, a
disposizione delle imprese una quota di ingressi più
rispondente ai bisogni delle stesse. È emersa inoltre
la preoccupazione di rendere più costante e
qualificata la presenza di lavoratori immigrati sul
territorio, estendendo il periodo di soggiorno per ricerca di
lavoro, in caso di sopravvenuta disoccupazione (oggi limitato
a 6 mesi), ricollegando la decorrenza di tale proroga non al
giorno del licenziamento bensì a quello della scadenza
del permesso di soggiorno e rendendo meno probabile lo
scivolamento di tali lavoratori verso condizioni di
irregolarità, anche attraverso il loro impiego in
attività di formazione. Essenziale a tale riguardo
risulta l'avvio di politiche sociali di integrazione adeguate,
riguardanti gli alloggi, la formazione linguistica e
scolastica, nell'ambito delle quali gli enti locali dovrebbero
assurgere al ruolo di effettivi protagonisti. Sempre in tema
di semplificazione della normativa relativa al reclutamento
della manodopera straniera, si segnala poi l'esigenza di
introdurre modifiche alla normativa dei rinnovi dei permessi
di soggiorno stagionali, attesa la particolare delicatezza di
tali forme di attività professionale, che, a causa dei
periodi ristretti in cui si esercitano, rendono ancor
più problematica la tematica del reclutamento e della
permanenza dei lavoratori stranieri, spesso costretti a
migrare da una un territorio all'altro all'inseguimento delle
campagne della raccolta. Va comunque precisato che, dai dati
statistici
su lavoro irregolare riferiti nel corso delle audizioni,
l'immigrazione non sembrerebbe essere caratterizzata
significativamente da una dimensione di clandestinità,
atteso che la maggioranza degli stranieri impiegati «in
nero» risultano spesso regolarmente residenti nel
territorio: ciò, tuttavia, non può condurre a
negare l'esistenza di una problematica relativa alla loro
particolare esposizione a forme di sfruttamento, che deriva da
una situazione di precarietà connessa ad una mancata
integrazione sociale e dalle stesse incertezze legate alla
loro permanenza sul territorio.
Come detto anche in precedenza, è evidente, peraltro,
che il fenomeno del lavoro nero presenta proporzioni
più vaste, che non possono essere circoscritte alla
regolamentazione dei flussi migratori: non va infatti
dimenticato che risultano coinvolti altri soggetti deboli
della società, come i giovani e le donne lavoratrici,
cittadini italiani spesso vittime di una crisi economica e di
un mercato del lavoro che non sembra sempre in grado di
favorire i necessari raccordi con il mondo della scuola,
efficaci attività di formazione ed adeguate politiche
di conciliazione. In proposito, appare essenziale promuovere
anche lo sviluppo di una rete di bilateralità, in
sussidiarietà rispetto alle funzioni pubbliche, che
sia capace di svolgere attività di collocamento, di
formazione, di promozione delle forme di prevenzione per la
salute dei lavoratori, sostituendosi in taluni casi allo Stato
e garantendo una forma preventiva di controllo sociale sugli
stessi fenomeni distorsivi del mercato del lavoro.
Sul versante più specifico delle imprese, in aggiunta
rispetto ad una indispensabile operazione di semplificazione
amministrativa e burocratica, dovrà anche
accompagnarsi una generalizzata politica di omogeneizzazione
della pressione fiscale e contributiva (partendo, tuttavia,
dagli elementi di criticità che il Ministro del lavoro
e delle politiche sociali ha esposto alla Commissione, non
ritenendo facilmente praticabile un intervento in materia): in
particolare, si tratta di rendere sempre meno conveniente per
il datore di lavoro e per il lavoratore stesso il ricorso al
lavoro sommerso (avendo anche in mente l'idea di agevolare -
in specifiche ipotesi da definire mediante accordi bilaterali
- la possibilità, per i lavoratori stranieri, di
versare i propri contributi agli enti del Paese di origine, al
fine di fruire di trattamenti pensionistici di adeguata
entità).
Dallo svolgimento delle varie audizioni, infatti, è
emerso un quadro di competizione alterata tra le imprese, che
costringe spesso le aziende rispettose delle regole a cedere
il passo - a causa di un sistema di adempimenti fiscali e
amministrativi definito «oppressivo» - rispetto a
coloro che, al contrario, decidono di perseguire la strada
della illegalità e del sommerso. È proprio in
vista di una leale concorrenza tra le imprese che si propone
di rivedere l'attuale quadro normativo, in modo da premiare
comportamenti imprenditoriali virtuosi (centrati sulla
qualità del prodotto e sulla tutela della manodopera,
oltre che orientati agli investimenti) e rispettosi delle
leggi, sanzionando invece, senza alcun indugio, i trasgressori
delle normative in materia, purché si tratti di
violazioni sostanziali e non meramente formali, come
evidenziato dallo stesso Ministro Sacconi nel corso della sua
audizione.
Proprio sul versante dei controlli, si evidenzia inoltre la
necessità di mettere a regime il sistema delle banche
dati esistenti (Ministero del lavoro e delle politiche
sociali, centri per l'impiego, INPS, INAIL, Guardia di finanza
e Agenzia delle entrate), nonché di promuovere
un'attività ispettiva gestita in modo univoco a
livello nazionale, garantendo un efficace coordinamento dei
servizi ispettivi, in vista di un'attività di
prevenzione più efficace e della creazione di un polo
della salute e della sicurezza sul lavoro. Risulta, infatti,
essenziale assicurare un efficace controllo dello Stato su
tutto il territorio nazionale, attraverso il rafforzamento
delle attività ispettive e la garanzia di un'effettiva
mobilità degli stessi ispettori. Sotto questo profilo,
appare peraltro doveroso operare una distinzione tra
situazioni di illegalità
conseguenza di fattori straordinari legati alla particolare
congiuntura economica (per il cui contrasto, comunque, non si
può prescindere da un mantenimento dei livelli di
attenzione sul versante dei controlli e delle sanzioni), poste
in essere per lo più ai fini della sopravvivenza
stessa dell'impresa, ed ipotesi di criminalità diffusa
messe in campo da soggetti societari senza scrupoli. Infatti,
in relazione alla prima di tali tipologie, è
ipotizzabile che - accanto alla pur doverosa attività
di controllo e repressione - vi sia anche l'avvio di un
processo di semplificazione e riduzione degli adempimenti
meramente formali a carico delle aziende, soprattutto in un
contesto di crisi come quello attuale; al contrario, occorre
non avere alcuna tolleranza nei confronti della seconda
tipologia di illegalità, che è di fatto
costituita, sin dall'origine, per perseguire profitti illeciti
e per sfruttare la manodopera, non soltanto di provenienza
extra-comunitaria.
È su questo, sia pur sottile, margine di distinzione
che - ad avviso della Commissione - ben può inserirsi
anche l'analisi del fenomeno del caporalato, che, secondo le
ricostruzioni fornite dai soggetti auditi, risulta diffuso
soprattutto nelle zone del Mezzogiorno (oltre che, in misura
certamente meno marcata, nel Nord-Est del Paese). Su tale
versante, il tema dei controlli e delle sanzioni appare ancor
più centrale, così come l'introduzione di
innovazioni legislative nel campo della responsabilità
civilistica degli amministratori di fatto e in quello della
protezione sociale di coloro che risultano soggetti a
sfruttamento da parte dei cosiddetti «caporali»,
ad esempio attraverso il riconoscimento del permesso di
soggiorno in caso di denuncia dei loro persecutori (mediante
l'applicazione dell'articolo 18 del Testo unico
sull'immigrazione). È, del pari, evidente la
necessità di tenere sotto costante monitoraggio anche
il regime di «pseudo» appalti di servizi, che
spesso nascondono una fraudolenta fornitura di manodopera,
tesa ad alimentare il sistema del caporalato: a tale riguardo,
si potrebbe prospettare la possibilità di alleggerire
il carico burocratico e formale in capo alle agenzie di
somministrazione, creando un sistema più
concorrenziale e meno oligopolistico, in modo da emarginare in
sé le forme di intermediazione di manodopera
fraudolenta (si rende necessario, in proposito, riflettere
sull'opportunità di intervenire sul tema dei
lavoratori distaccati da imprese di fornitura di manodopera,
con sede in Paesi dove vige un regime contrattuale più
favorevole).
A fronte dei casi più gravi di sfruttamento della
manodopera, sarebbe poi utile ragionare sulla proposta -
formulata da taluni soggetti auditi - di intervenire sul piano
del diritto penale, introducendo un reato specifico per tali
fattispecie, così come previsto peraltro da talune
proposte di legge presentate nel corso di questa legislatura
(si citano, in particolare, i progetti di legge A.C. 1220 e
1263 e A.S. 753), a conferma dell'idea che il fenomeno del
caporalato deve essere affrontato anche mediante adeguate
politiche di ordine pubblico, dal momento che esso ha preso
piede anche a causa di una scarsa presenza dello Stato e delle
istituzioni sul territorio.
Infine, a margine delle numerose proposte sopra illustrate, si
segnala anche l'esigenza di studiare con attenzione il
fenomeno del «lavoro in bianco», che si sostanzia
in un abuso delle tutele da parte di soggetti che usufruiscono
di prestazioni previdenziali o di integrazione del reddito pur
non avendone alcun titolo: si tratta di una problematica - se
vogliamo - di segno opposto a quella oggetto dell'indagine, ma
ugualmente odiosa e da contrastare attraverso lo svolgimento
di un'attenta attività di vigilanza.
In conclusione, nel rimettere alla riflessione comune dei
gruppi presenti in Parlamento le proposte, le idee e i
suggerimenti sinora esposti, la Commissione ritiene che i
fenomeni del lavoro nero, del caporalato e dello sfruttamento
della manodopera non possano che essere giudicati
intollerabili, sia dal punto di vista umano - comportando in
taluni casi gravi limitazioni alla libertà individuale
nonché la negazione di fondamentali diritti sociali -
sia da quello economico e produttivo, dal momento che le
imprese rispettose delle
regole risultano prevaricate da chi aggira le norme e
dà luogo a forme «striscianti» di
dumping sociale, sottraendo peraltro alle casse dello
Stato ingenti risorse fiscali e contributive.
Un impegno nel combattere tali elementi distorsivi del mercato
del lavoro richiede, tuttavia, la messa in campo di politiche
di riforma di ampia prospettiva e il coinvolgimento nella loro
definizione di diversi attori sociali ed istituzionali, che
consentano di affrontare il problema da una prospettiva
più estesa, che non sia circoscritta ad un solo
settore di intervento. Su queste basi, la Commissione ritiene
di poter dare il proprio contributo politico e
legislativo.
Si auspica, peraltro, che sul piano legislativo si possa
avviare, entro tempi concordati e definiti in collaborazione
con il Governo, una tempestiva e proficua azione di revisione
e aggiornamento del quadro normativo, secondo le linee sopra
indicate, al fine di superare le criticità del nostro
mercato del lavoro e più complessivamente del nostro
sistema economico.