L’offensiva lanciata dalla Lega a vasto raggio dopo i risultati elettorali che l’hanno vista conquistare il Piemonte e la Liguria ha registrato ieri un nuovo round che sancisce la smentita di precedenti atti dello stesso governo. All’apparenza, ha vinto il ministro degli interni Roberto Maroni. Ha incassato quello del welfare, Maurizio Sacconi.
È successo che, dopo due anni di blocco degli ingressi dei lavoratori extracomunitari e in mancanza della programmazione triennale, scaduta nel 2009 e non ancora rinnovata, il ministro Sacconi ha annunciato di aver firmato il decreto flussi tanto atteso. Ma attenzione, perché il decreto che andrà in gazzetta ufficiale riguarda soltanto i lavoratori stagionali (80 mila) e circa 6 mila tra lavoratori autonomi – 4 mila, nei quali sono conteggiate anche le quote per le conversioni dei permessi di studio e i posti riservati ai cittadini libici, in virtù del famoso accordo con Gheddafi – e lavoratori subordinati formati in patria (2 mila). Ha firmato, cioè, il decreto atteso dalla Coldiretti (e dalla Cia) che peraltro ha fatto rilevare come dalla pubblicazione in gazzetta occorrano oltre due mesi perché gli adempimenti siano compiuti e i lavoratori disponibili.
Niente da fare per il decretoflussi vero e proprio sul quale si erano riaccese le speranze con un emendamento al “milleproroghe” in base al quale il presidente del consiglio, anche in assenza del decreto-flussi annuale, avrebbe potuto «provvedere in via transitoria con proprio decreto nel limite delle quote fissate dall’ultimo decreto emanato», cioè quello del 2008.
Quote attese, quindi, 150 mila.
Il termine previsto era novembre di quest’anno, ma voci sempre più insistenti lo davano per molto più ravvicinato. Per le nuove quote d’ingresso si erano battuti gli imprenditori di Assolombarda (ma non solo), che avevano chiesto anche la semplificazione delle norme. A metà marzo sembrava che tutto fosse pronto e che interni e welfare stessero lavorando di comune accordo. Anche organismi sempre attenti alle questioni dell’immigrazione come la Caritas avevano espresso ottimismo. All’improvviso, qualche giorno fa, il ministro Maroni ha sancito il dietrofront, in nome dell’alta disoccupazione del nostro paese: niente decreto flussi, prima «fare in modo che chi ha perso il lavoro, italiano o extracomunitario già in Italia, debba ritrovarlo prima di far arrivare altri». Concetto che ha ribadito ieri nel corso dell’audizione al comitato Schengen.
E Sacconi? Ieri ha frenato, sposando all’improvviso la linea del collega dell’interno: «Maroni ha ragione, sui nuovi ingressi dobbiamo tener conto del mercato del lavoro e stiamo ragionando insieme».
Ma allora cosa è successo? Perché un decreto che a metà marzo tutti davano per sicuro è sparito dall’agenda del governo? Cosa ne pensano imprenditori e sindacati? «Il governo manca al piano triennale della programmazione flussi. Allora dovrebbe almeno regolarizzare i lavoratori extracomunitari che si trovano già in Italia. Stimiamo in circa 500 mila i lavoratori immigrati sommersi» ha detto a Europa Oberdan Ciucci, presidente dell’Anolf, l’associazione della Cisl che si occupa di immigrati.
Nasce il sospetto che questo nuovo stop serva, di fatto, ad aiutare l’economia sommersa in funzione anticrisi. «Maroni si è già dimenticato della lotta allo sfruttamento del lavoro nero.
Sarebbe bene nel frattempo prolungare il permesso di soggiorno ai lavoratori che sono da tanti anni in Italia» ha dichiarato Livia Turco, presidente del forum immigrazione del Pd.
Per il momento, gli imprenditori non si sono pronunciati.
Forse l’Inps, che a febbraio 2009 ha emesso una circolare per potenziare la sua attività di vigilanza verso le aziende etniche, dovrebbe sforzarsi di guardare a tutto campo.