Novità Europa – 19
settembre 2008
Regione
Piemonte- IRES Piemonte-ASGI
http://www.piemonteimmigrazione.it/news.asp?IDSezione=2
a
cura di
Chiara Favilli
GIURISPRUDENZA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA... 2
Sentenza
sul diritto di soggiorno dei familiari cittadini di Paesi terzi di cittadini UE.. 2
Sentenza della Corte su divieto
di reingresso e diritto di circolazione del cittadino UE.. 3
Patto europeo
sull'immigrazione e l'asilo.. 3
Ingresso dei lavoratori
altamente qualificati 4
Dibattito
del Parlamento europeo sull’immigrazione. 6
Gruppo sul futuro (polizia e
immigrazione). 6
Accoglienza di rifugiati
iracheni 6
RAZZISMO E DISCRIMINAZIONE.. 7
Vertice europeo per migliorare
l'integrazione della popolazione Rom... 8
Legittimo
il “censimento” nei campi nomadi operato dal Governo italiano.. 9
La Corte si è pronunciata lo
scorso 25 luglio 2008 con la sentenza nelle cause riunite Metock e altri, Causa C-127/08. Le quattro cause ponevano tutte sostanzialmente la medesima
questione, vale a dire se il diritto di soggiorno del cittadino UE e dei propri
familiari conferito dal Trattato e disciplinato dalla direttiva 2004/38/CE osti
alla normativa irlandese che condiziona il diritto di ingresso e di soggiorno
del familiare cittadino di paese di terzo del cittadino UE al previo soggiorno
legale in un altro Stato membro. La Corte si è espressa chiaramente affermando
che la direttiva 2004/38/CE “osta alla normativa di uno Stato membro la quale
impone al cittadino di un paese terzo, coniuge di un cittadino dell'Unione che
soggiorna in questo Stato membro di cui non ha la cittadinanza, di avere
previamente soggiornato legalmente in un altro Stato membro prima del suo
arrivo nello Stato membro ospitante, per poter beneficiare delle disposizioni
della detta direttiva”. Inoltre la Corte ha precisato nella seconda parte del
dispositivo che “L'art. 3, n. 1, della direttiva 2004/38 dev'essere
interpretato nel senso che il cittadino di un paese terzo, coniuge di un
cittadino dell'Unione che soggiorna in uno Stato membro di cui non ha la
cittadinanza, il quale accompagni o raggiunga il detto cittadino dell'Unione,
gode delle disposizioni della detta direttiva, a prescindere dal luogo e dalla
data del loro matrimonio nonché dalla modalità secondo la quale il detto
cittadino di un paese terzo ha fatto ingresso nello Stato membro ospitante”.
La
Corte si è pronunciata nella causa C‑54/07, Feryn, interpretando le disposizioni
della direttiva 2000/43 al fine di valutare la portata della nozione di
discriminazione diretta riguardo a dichiarazioni pubbliche rese da un datore di
lavoro nell’ambito di una procedura di assunzione, le condizioni alle quali può
essere applicata la regola dell’inversione dell’onere della prova sancita dalla
stessa direttiva e la natura delle sanzioni che potrebbero ritenersi
appropriate in una fattispecie come quella della causa principale. La causa
vedeva coinvolti un datore di lavoro ed un’associazione di tutela delle vittime
di discriminazione che aveva intentato una causa contro il primo. Il datore di
lavoro aveva infatti pubblicamente affermato, nell’ambito di una procedura di
assunzione, che non avrebbe assunto lavoratori extracomunitari. La questione
giuridica posta alla Corte di giustizia è se il ricorso presentato
dall’associazione fosse sufficiente in mancanza di una vittima nel senso
stretto del termine. Secondo la Corte “L’obiettivo di promuovere le condizioni
per una partecipazione più attiva sul mercato del lavoro sarebbe difficilmente
raggiungibile se la sfera di applicazione della direttiva 2000/43 fosse
circoscritta alle sole ipotesi in cui un candidato scartato per un posto di
lavoro e che si reputi vittima di una discriminazione diretta abbia avviato una
procedura giudiziaria nei confronti del datore di lavoro. Infatti, la
circostanza che un datore di lavoro dichiari pubblicamente che non assumerà
lavoratori dipendenti aventi una certa origine etnica o razziale, circostanza
che in modo evidente è idonea a dissuadere fortemente determinati candidati dal
proporre le loro candidature e, quindi, a ostacolare il loro accesso al mercato
del lavoro, configura una discriminazione diretta nell’assunzione ai sensi
della direttiva 2000/43. L’esistenza di siffatta discriminazione diretta non
presuppone un denunciante identificabile che asserisca di essere stato vittima
di tale discriminazione” (punti 24-25). Altra cosa è poi la questione della legittimità
dell’associazione ad agire in giudizio che, anche se non espressamente prevista
dalla direttiva, può bensì essere ammessa nel diritto interno, essendo quelle
della direttiva norme minime che non possono peraltro determinare una
diminuzione del livello di tutela esistente prima della sua
adozione. Quanto all’onere della prova secondo la Corte “L’obbligo
di fornire la prova contraria, che incombe in tal modo al presunto autore di
una discriminazione, è subordinato unicamente alla constatazione di una
presunzione di discriminazione, dal momento che quest’ultima si fonda su
elementi di fatto accertati. Le dichiarazioni con cui un datore di lavoro rende
pubblicamente noto che, nell’ambito della sua politica di assunzione, non
assumerà lavoratori dipendenti aventi una certa origine etnica o razziale
possono configurare tali elementi di fatto idonei a far presumere una politica
di assunzione discriminatoria” (punti 30-31). Infine secondo la Corte “In una
fattispecie come quella sottoposta alla Corte dal giudice del rinvio, in cui
non vi sono vittime dirette di una discriminazione, ma un organismo abilitato
dalla legge chiede che venga accertata e sanzionata una discriminazione, le
sanzioni che l’art. 15 della direttiva 2000/43 impone di contemplare nel
diritto nazionale devono essere quindi effettive, proporzionate e dissuasive. Se
del caso, e qualora ciò dovesse apparire adeguato alla situazione in esame
nella causa principale, esse possono consistere nella constatazione della
discriminazione da parte del tribunale o dell’autorità amministrativa
competente, cui si aggiunga un adeguato rilievo pubblicitario, i cui costi
siano quindi a carico della parte convenuta. Esse possono parimenti consistere
nell’ingiunzione rivolta al datore di lavoro, secondo le norme del diritto
nazionale, di porre fine alla pratica discriminatoria accertata, cui si
aggiunga, se del caso, una sanzione pecuniaria. Esse possono inoltre consistere
nella concessione di un risarcimento dei danni in favore dell’organismo che ha
avviato la procedura giurisdizionale” (punti 38-40).
Con la sentenza Jipa del 10 luglio 2008 , C-30/07, la Corte è stata chiamata ad interpretare gli artt. 18 TCE
e 27 della direttiva 2004/38 al fine di valutare se essi ostino ad una
normativa nazionale che consente di limitare il diritto di un cittadino di uno
Stato membro di recarsi nel territorio di un altro Stato membro, in particolare
perché precedentemente rimpatriato da tale Stato membro in quanto vi si trovava
in «situazione illegale». La questione riguardava un cittadino rumeno che nel
2006 era stato espulso dal Belgio la cui normativa prevede anche una
limitazione del diritto di reingresso. Secondo la Corte una normativa di tale
tenore non è di per sé preclusa dal diritto comunitario “a condizione che, da
una parte, il comportamento personale di tale cittadino costituisca una
minaccia reale, attuale e sufficientemente grave da pregiudicare un interesse
fondamentale della società e, dall’altra, il provvedimento restrittivo che si
intende adottare sia idoneo a garantire la realizzazione dell’obiettivo che
persegue e non ecceda quanto necessario per conseguire tale obiettivo. Spetta
al giudice del rinvio accertare se nella causa dinanzi ad esso pendente la
situazione si presenti in questi termini”. Andando quindi a valutare la
fattispecie la Corte ritiene che “la situazione da cui è scaturita la
controversia nella causa principale non sembra soddisfare le condizioni
ricordate ai punti 22‑26 della presente sentenza. Dal fascicolo trasmesso
alla Corte dal giudice del rinvio e dalle osservazioni scritte del governo
rumeno sembra emergere, in particolare, che la domanda del Minister volta a
limitare il diritto alla libera circolazione del sig. Jipa si fonda
esclusivamente sul provvedimento di rimpatrio dal territorio del Regno del
Belgio di cui è stato destinatario per essersi trovato in «situazione
irregolare» in tale Stato membro, a prescindere da qualsivoglia valutazione
specifica del comportamento personale dell’interessato e senza alcun
riferimento a una qualsiasi minaccia che egli rappresenterebbe per l’ordine
pubblico e la pubblica sicurezza. Nelle sue osservazioni scritte il governo
rumeno precisa peraltro che nemmeno la decisione delle autorità belghe che ha
disposto il rimpatrio del sig. Jipa era fondata su motivi di ordine
pubblico o di pubblica sicurezza”.
[Estratto tratto dalle conclusioni del Consiglio]. Il Consiglio GAI del 24 e 25 luglio 2008 ha preso nota dello stato dei lavori su questo fascicolo in seguito al primo dibattito ministeriale in materia durante la riunione informale dei ministri che si è tenuta il 7-8 luglio a Cannes. La Presidenza propone che gli Stati membri adottino il patto durante il Consiglio europeo di ottobre, al fine di esprimere al livello politico più alto i principi comuni che devono orientare le politiche migratorie sul piano sia nazionale che dell'Unione, nonché gli orientamenti strategici da seguire per tradurli in pratica. Il patto costituisce una delle priorità dichiarate della presidenza, per disporre di una base per un'effettiva politica europea comune di immigrazione e asilo a fronte delle sfide degli anni futuri e dell'esigenza di solidarietà nonché della cooperazione nella gestione dei flussi migratori. Durante la riunione informale à Cannes, i ministri responsabili dell'immigrazione dell'UE hanno tenuto un primo dibattito e la presidenza francese ha rilevato l'ampio accordo delle delegazioni sul progetto di testo.
Il progetto di patto sottoposto ai ministri propone cinque impegni
politici principali :
–
organizzare l'immigrazione legale tenendo
conto di priorità, esigenze e capacità d'accoglienza stabilite da ciascuno
Stato membro e favorire l'integrazione,
–
combattere l'immigrazione clandestina, in
particolare provvedendo al rimpatrio nel paese d'origine o verso un paese di
transito degli stranieri in posizione irregolare,
–
rafforzare l'efficacia dei controlli alle
frontiere,
–
costruire un'Europa dell'asilo,
–
creare un partenariato globale con i
paesi d'origine e di transito favorendo le sinergie tra le migrazioni e lo
sviluppo.
Ognuno di questi impegni si traduce in obiettivi concreti e strategici.
Il Consiglio ha altresì preso nota della presentazione, da parte del
vicepresidente della Commissione Jacques Barrot, delle due comunicazioni della
Commissione relative rispettivamente ad una politica d'immigrazione comune per
l'Europa e a un piano strategico sull'asilo. Il Consiglio ha rilevato un'ampia
complementarità tra le comunicazioni e il progetto di patto.
[Estratto tratto dalle conclusioni
del Consiglio]. Il Consiglio ha tenuto un dibattito orientativo su due
aspetti essenziali della proposta della Commissione sull’ingresso dei
lavoratori altamente qualificati: la scelta dei criteri di accesso, per i
cittadini dei paesi terzi, a un lavoro altamente qualificato e l'articolazione
tra il dispositivo della proposta e i sistemi nazionali. Il Consiglio si è
mostrato ampiamente favorevole alla complementarità del dispositivo della carta
blu UE con sistemi nazionali di rilascio di permessi di soggiorno per motivi di
lavoro. Sulla scelta dei criteri di ammissione dei cittadini di paesi
interessati, le delegazioni hanno espresso diversi punti di vista, in
particolare riguardo al criterio della retribuzione e alla valutazione
dell'esperienza professionale per definire un lavoratore altamente qualificato.
Il Consiglio ha chiesto ai suoi organi preparatori di proseguire i lavori sulla
proposta di direttiva. La proposta, che la Commissione ha presentato nell'ottobre
2007, è volta a migliorare la capacità dell’Unione europea di attrarre
lavoratori altamente qualificati dai paesi terzi. Si prefigge non solo di
rafforzare la competitività nell'ambito della strategia di Lisbona, ma anche di
limitare la fuga dei cervelli in relazione ai cittadini di paesi non europei. A
tal fine si propone di agevolare l'ammissione di tali cittadini armonizzando i
criteri d'ingresso e di soggiorno nell'Unione europea, di semplificare le
procedure d'ammissione e di migliorare lo status giuridico di quanti sono già
presenti nel territorio degli Stati membri. I cittadini di paesi terzi che
soddisfano i criteri della direttiva possono ottenere una carta blu che
consente a loro e ai membri delle loro famiglie di entrare, soggiornare in uno
Stato membro e di uscirne, di transitare da altri Stati membri e di accedere al
mercato del lavoro nel settore interessato. Potranno inoltre fruire della
parità di trattamento rispetto ai cittadini nazionali in un'ampia serie di
settori. La proposta intende inoltre facilitare la mobilità dei titolari della
carta blu all'interno dell'Unione. Previo un periodo di soggiorno e di lavoro
nello Stato membro interessato, potranno recarsi in un altro Stato membro per
esercitarvi un impiego altamente qualificato (fatti salvi i limiti fissati
dalle autorità di tale Stato in merito al numero di cittadini che possono
essere ammessi). La procedura è uguale a quella relativa all'ammissione nel
primo Stato membro. La proposta di direttiva costituisce una priorità per la
presidenza francese nell'ambito del suo programma di lavoro.
[Estratto tratto dalle conclusioni
del Consiglio]. Il Consiglio ha tenuto un dibattito orientativo su due questioni
chiave di tale proposta: l'inclusione di norme minime in materia di sanzioni
penali contro i datori di lavoro e le ispezioni da effettuare nei settori di
attività più esposti. Nel corso del dibattito pubblico la maggior parte delle
delegazioni ha considerato che per lottare efficacemente contro l'impiego di
cittadini di paesi terzi soggiornanti illegalmente occorre prevedere sanzioni
effettive nella direttiva. La maggior parte delle delegazioni si è detta
favorevole a effettuare ispezioni di qualità mirate nei settori di attività più
esposti individuati da ciascuno Stato membro. La proposta di direttiva, che la
Commissione ha presentato nel 2007, contiene un'armonizzazione minima delle
sanzioni amministrative, finanziarie e penali nei confronti dei datori di
lavoro di cittadini di paesi terzi soggiornanti illegalmente. Si prefigge di
provvedere affinché tutti gli Stati membri instaurino sanzioni analoghe nei
confronti di tali datori di lavoro e che le applichino in modo efficace. Si
propone che i datori di lavoro siano tenuti a procedere a verifiche prima di
assumere cittadini di paesi terzi e che gli Stati membri siano tenuti a
effettuare un numero minimo d'ispezioni presso le società stabilite nel loro
territorio. La proposta prevede che i reati commessi dai datori di lavoro siano
punibili con sanzioni penali effettive, proporzionate e dissuasive che
potrebbero essere amministrative (sanzioni finanziarie, pagamento delle
retribuzioni arretrate, contributi previdenziali) o penali (secondo criteri rigorosi
in funzione della gravità del reato). Sono inoltre previste misure
(amministrative e penali) per le persone giuridiche. La proposta prevede
l'obbligo per gli Stati membri di controllare ogni anno un numero minimo di
datori di lavoro nel loro territorio, sulla base di un'analisi dei rischi nei
diversi settori economici. La proposta si inserisce nell'ambito della politica
generale dell'UE in materia d'immigrazione e si prefigge di lottare contro un
forte fattore di richiamo per l'immigrazione illegale e di sfruttamento dei
migranti.
La Commissione europea ha adottato la quarta relazione sul mantenimento
dell'obbligo del visto da parte di alcuni paesi terzi in violazione del
principio di reciprocità, nella quale illustra i progressi compiuti verso la
piena reciprocità. Le conclusioni principali della relazione sono che la
reciprocità è totale con Israele, Malaysia e Paraguay; che si sono fatti grandi passi avanti
nel dialogo con il Canada, paese che negli ultimi dieci mesi ha abolito
l’obbligo di visto per sei Stati membri;
che nel dialogo con l’Australia la Commissione è riuscita a
ottenere, per i cittadini di tutti gli Stati membri, l’accesso al meccanismo di
rilascio agevolato ("autogrant facility”) e a
fare in modo che, dall’ottobre 2008 – da quando cioè sarà istituito il
sistema australiano eVisitors – tutti i
cittadini dell’Unione godano di pari trattamento. L’attuazione del sistema eVisitors sarà oggetto di attento monitoraggio. Quanto al Brasile, sono iniziati i negoziati per la
conclusione di un accordo di esenzione dal visto per
soggiorni di breve durata con la Comunità europea. Nessun progresso invece con il Giappone,
Panama, Singapore e gli Stati Uniti d’America. La Commissione prende atto del fatto che
il Giappone sta esaminando la possibilità di estendere ai cittadini
rumeni l’esenzione dal visto per soggiorni di breve durata, ma rinnova la
richiesta di una piena reciprocità dei visti per i cittadini di tutti gli Stati
membri dell’UE. La Commissione
monitorerà poi l’intenzione di Panama di esentare dall’obbligo di visto
i cittadini bulgari e rumeni. Per Singapore,
propone di prevedere l’introduzione di misure di ritorsione se, entro termini
ragionevoli, non sarà raggiunta la piena reciprocità. on gli USA non
sono stati ottenuti risultati tangibili, nonostante tutti gli sforzi della
Commissione e dei singoli Stati membri. Il visto per gli Stati Uniti è
obbligatorio ancora per i cittadini di dodici Stati membri dell’Unione. Al vertice UE-USA del giugno 2008 gli
Stati Uniti si sono impegnati a includere entro l’anno altri paesi dell’UE nel
programma “Viaggio senza visto” (VWP).
La Commissione ha quindi deciso di prendere misure di ritorsione –
vale a dire il ripristino temporaneo dell’obbligo di visto per i cittadini
americani titolari di passaporto diplomatico e di servizio/ufficiale –
con decorrenza 1° gennaio 2009, se non vi saranno progressi. a prossima
relazione della Commissione è prevista entro il 30 giugno 2009 [Estratto da http://europa.eu/rapid/searchResultAction.do?search=OK&query=justice&username=PROF&advanced=0&guiLanguage=en]
Si è tenuto lo scorso 12 settembre un
dibattito in seno al Parlamento europeo sulle caratteristiche della politica
dell’Unione europea di immigrazione, di asilo e di integrazione. Varie le
posizioni espresse dai parlamentari che hanno affrontato i vari temi suddivisi
in gruppi di lavoro distinti.
[Estratto tratto dalle conclusioni del Consiglio]. Il Consiglio ha preso atto della relazione del Gruppo sul futuro (Polizia e immigrazione) e dei contributi dei vari Stati membri. Ha deciso di trasmettere la relazione e i contributi alla Commissione, affinché ne tenga conto nell'elaborare il programma che farà seguito al programma dell'Aia per il periodo 2010-2014. La relazione fa riferimento alle nuove possibilità di azione che potrebbero essere prese in considerazione nell'ambito di un nuovo quadro giuridico. Ovviamente il riferimento lascia del tutto impregiudicato l'esito del processo di ratifica del trattato di Lisbona. Nella riunione informale dei ministri degli affari interni e dell'immigrazione dei paesi dell'UE, tenutasi nel gennaio 2007 (a Dresda), il ministro tedesco degli affari interni e il vicepresidente della Commissione hanno proposto di creare un gruppo informale a livello ministeriale con l'incarico di studiare il futuro del settore della libertà, sicurezza e giustizia. Negli intenti, i risultati dei lavori e le raccomandazioni dovrebbero apportare un contributo importante e una fonte di ispirazione per le proposte della Commissione relative al prossimo programma pluriennale (2010-2014) nel settore della giustizia e degli affari interni. Il gruppo era presieduto congiuntamente dal vicepresidente della Commissione e dal ministro degli affari interni del paese che esercitava la presidenza in quel momento. Il gruppo comprendeva altresì i ministri degli affari interni dei due trii di presidenza del periodo in cui si sono svolti i lavori (Germania, Portogallo, Slovenia; Francia, Repubblica ceca, Svezia) e un rappresentante del trio di presidenza successivo (Spagna, Belgio, Ungheria). Ai lavori hanno parimenti partecipato il Segretariato generale del Consiglio e il Parlamento europeo. Il gruppo sul futuro della polizia e dell'immigrazione ha individuato quattro sfide orizzontali essenziali per preservare e completare il settore degli affari interni:
– preservare il "modello europeo" realizzando un equilibrio tra mobilità, sicurezza e vita privata;
– far fronte alla crescente interdipendenza tra la sicurezza interna e la sicurezza esterna;
– assicurare il miglior flusso di dati possibile in seno alle reti europee di informazione;
– far convergere meglio tra di loro gli interventi operativi delle forze di polizia nazionali.
[Estratto tratto dalle conclusioni
del Consiglio]. Il Consiglio ha adottato le conclusioni seguenti:
"1. La situazione vigente in Iraq ha
importanti ripercussioni a livello umanitario: circa 4,7 milioni di iracheni
sono stati strappati alla loro terra; secondo le stime dell'UNHCR il numero
degli sfollati interni supera oggi i 2,7 milioni ; circa 2 milioni di Iracheni
risultano vivere, secondo la stessa fonte, negli Stati limitrofi.
2. In tale contesto il Consiglio
rammenta le proprie conclusioni del 26 e 27 maggio 2008, nelle quali esprimeva
preoccupazione per la situazione degli iracheni sfollati nel loro paese e dei
rifugiati iracheni nei paesi limitrofi, in particolare Giordania e Siria. Come
già dichiarato in occasione delle conferenze ministeriali allargate dei paesi
limitrofi dell'Iraq, il governo iracheno e la comunità internazionale hanno
l'obbligo di proteggere e assistere gli iracheni sfollati in patria e nei paesi
limitrofi, rispondendo ai loro bisogni immediati e prevedibili e garantendone
la sicurezza. Il Consiglio incoraggia ancora una volta vivamente il governo
iracheno ad utilizzare le sue risorse per assistere i paesi limitrofi nel far
fronte al carico supplementare di rifugiati e rammenta che si è impegnato ad
apportare ulteriori contributi per aiutare a rendere più sopportabile la
situazione umanitaria degli interessati. Il Consiglio rileva che, dal 2006, il
sostegno finanziario comunitario erogato a favore dei rifugiati, delle persone
rientrate nel paese e degli sfollati interni, compreso l'aiuto umanitario e
l'aiuto allo sviluppo al fine di pervenire a soluzioni durevoli, ammonta a
86,48 milioni di EUR.
3. Il Consiglio ribadisce che
l'obiettivo principale è quello di creare le condizioni atte a permettere a
coloro che sono sfollati all'interno dell'Iraq o che si sono rifugiati nei
paesi limitrofi di ritornare nelle loro case in condizioni di sicurezza,
adoperandosi per tutelare e difendere i diritti dell'uomo per tutti gli
iracheni, con un' attenzione particolare per i gruppi vulnerabili.
4. Il Consiglio rileva che alcuni
Stati membri stanno già accogliendo dei rifugiati iracheni, in particolare nel
quadro dei loro programmi di reinsediamento. Reputa necessario proseguire i
contatti con le autorità irachene e con l'Alto Commissariato delle Nazioni
Unite per i rifugiati per concordare le forme di solidarietà più adeguate nei
confronto di tutti gli iracheni. Decide di tornare sulla questione nella
prossima sessione alla luce di tali contatti.
5. Il Consiglio sottolinea che esistono
possibilità di finanziamento dei reinsediamenti di rifugiati nel quadro della
decisione 573/2007/CE del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce il
Fondo europeo per i rifugiati per il periodo 2008-2013[1].
6. Il Consiglio si rallegra infine
del fatto che la Commissione abbia presentato, il 17 giugno 2008, il
piano d'azione in materia di asilo, in cui essa prevede di presentare nel 2009
delle proposte finalizzate all'elaborazione di un programma comunitario di
reinsediamento, cui gli Stati membri potranno partecipare su base volontaria.
"
La Commissione Libertà civili del
Parlamento europeo ha adottato una relazione che modifica il regolamento
sull’inserimento dei dati biometrici nei passaporti e documenti di viaggio dei
cittadini europei. Secondo la proposta di regolamento ciascuna persona dovrà
avere un proprio passaporto ma, in
base alle modifiche apportate dalla Commissione del Parlamento europeo e
concordate con Consiglio, ai minori di anni 12 non saranno rilevate le impronte
digitali soprattutto perché destinate a modificarsi con la crescita. I
passaporti rilasciati a minorenni dovranno contenere anche il nome dei genitori e se il minore circoli fuori
dall’Unione accompagnato da una persona diversa dal genitore dovrà esserci una
speciale autorizzazione.
La Commissione europea ha lanciato oggi la nuova edizione del suo concorso giornalistico "Si alle diversità – No alle discriminazioni". Per il quinto anno consecutivo la Commissione invita infatti i giornalisti della stampa stampata ed elettronica ad inviare i propri lavori su questo tema. Il concorso intende premiare i giornalisti Web o della carta stampata che tramite il loro lavoro contribuiscono a diffondere nell’opinione pubblica una migliore comprensione dei vantaggi della diversità e della lotta contro la discriminazione, che siano basate su razza, origine etnica, religione, convinzioni personali, età, handicap e orientamento sessuale. Possono partecipare al concorso tutti gli articoli pubblicati nell'Unione europea tra il 1° gennaio e il 31 ottobre 2008, sia su carta stampata che su internet; gli articoli devono essere inviati per via elettronica. Dopo il termine d'invio degli articoli, nei 27 Stati membri dell'UE si riuniranno altrettante giurie nazionali per scegliere i rispettivi articoli vincenti. Fra questi 27 vincitori nazionali una giuria europea designerà i tre migliori articoli, tra i quali verrà infine scelto il vincitore del concorso europeo di giornalismo. I vincitori riceveranno in premio importi in denaro per un valore massimo di 4500 euro. Come già nelle scorse edizioni, la Commissione europea assegnerà un premio speciale a un tema specifico. Il premio speciale di quest'anno è dedicato agli articoli sulla discriminazione nei confronti della comunità ROM. In numerosi paesi europei i Rom – che collettivamente costituiscono la più grande minoranza etnica nell'UE allargata – sono fatti frequentemente oggetto di atti di violenza razzista, discorsi di incitamento all’odio e discriminazioni nell’accesso all’occupazione, all’istruzione e ai servizi sanitari, pubblici e sociali. Secondo un recente sondaggio Eurobarometro, il 77% degli europei ritiene che essere un Rom rappresenti uno svantaggio nella società. Quest'anno il concorso può contare sul sostegno di molte prestigiose associazioni di giornalisti, fra cui European Youth Press (stampa giovanile europea) e l'Associazione dei giornalisti europei. La Commissione europea è determinata a sradicare la discriminazione in tutte le sue forme. Il concorso di giornalismo è una delle iniziative prese dall'Unione europea per promuovere un cambiamento di atteggiamento nel quadro della campagna d'informazione quinquennale "Si alle diversità – No alle discriminazioni". [Estratto da http://europa.eu/rapid/searchResultAction.do?search=OK&query=justice&username=PROF&advanced=0&guiLanguage=en]
La Commissione
europea ha organizzato il primo
vertice a europeo dedicato al miglioramento della situazione delle comunità Rom
nell'Unione europea. La manifestazione ha lo scopo di promuovere un impegno
comune da parte dei rappresentanti nazionali, europei e della società civile
per affrontare il fenomeno sempre più diffuso di discriminazione ed esclusione
nei confronti di milioni di europei di origine Rom (si veda anche MEMO/08/559).
Con questo vertice è la prima volta che le istituzioni europee, i governi
nazionali e le organizzazioni della società civile che rappresentano la
comunità Rom in tutta Europa si riuniscono ad altissimo livello per discutere
la situazione dei Rom nell'UE e per trovare i mezzi per migliorarla. Ogni
discriminazione basata sulla razza o l'origine etnica è vietata nell'Unione
europea in tutti i settori della vita sociale (direttiva 2000/43/CEE). Eppure la
discriminazione nei confronti dei Rom persiste e il 77% degli europei. Nell'Agenda
sociale del 2 luglio 2008 la Commissione ha ribadito il rinnovato impegno per
la non discriminazione in generale e per l'azione volta a migliorare la
situazione dei Rom in particolare. Il documento di lavoro che è stato
presentato esamina gli strumenti e le politiche disponibili a livello UE per
promuovere l'integrazione dei Rom (IP/08/1072,
MEMO/08/462).
Essa giunge alla conclusione che esiste una salda base di strumenti legislativi,
finanziari e di coordinamento politico disponibili e che questi elementi sono
utilizzati in misura crescente, ma negli Stati membri sussistono ancora lacune
sul piano dell'attuazione. [Estratto da http://europa.eu/rapid/searchResultAction.do?search=OK&query=justice&username=PROF&advanced=0&guiLanguage=en]
Il Primo ministro danese Rasmussen ha affermato che
la Danimarca non cambierà la propria politica sull’immigrazione in seguito alla
recente sentenza della Corte di giustizia relativa al diritto di soggiorno del
coniuge di cittadino dell’Unione europea che ha sostanzialmente ritenuto non
conformi alle norme UE la normativa irlandese, molto simile a quella danese (sentenza nelle cause riunite Metock e altri, Causa
C-127/08, per la quale si veda anche supra). Il Premier Rasmussen ha affermato che si adopererà
attraverso le istituzioni europee al fine di evitare qualsiasi cambiamento alla
normativa danese conseguente alla sentenza della Corte. Il potenziale contrasto
tra le norme danesi e quelle dell’Unione europea riguarda il divieto per i
cittadini minori di 24 anni di ricongiungersi con il proprio coniuge cittadino
di un Paese terzo; divieto introdotto per ostacolare i matrimoni fittizi. Tale
divieto riguarda anche le coppie miste che abbiano vissuto in un Paese dell’Unione
europea [fonte, www.EuObserver.com]
La Commissione europea ha affermato attraverso un proprio portavoce che le recenti normative italiane sul censimento nei campi nomadi, inclusi i minori, non sono discriminatorie. L’affermazione si basa sul rapporto che il Governo ha inviato alla Commissione europea su richiesta della stessa, all’indomani dell’adozione della controversa normativa e della sua prima attuazione. Secondo il portavoce non vi sono violazioni dei diritti umani e in particolare del diritto a non essere discriminati anche grazie alla cooperazione tra il Governo italiano e la Commissione europea che ha consentito di modificare alcune misure ritenute più critiche. Il Parlamento europeo ha deciso di condurre una propria autonoma inchiesta con una delegazione di parlamentari che visiterà i campi anche per conoscere i dettagli sulla pratica attuazione di questo censimento [fonte, www.EuObserver.com] . La delegazione che è stata in Italia dal 18 al 20 settembre ha incontrato le Commissioni affari costituzionali di Camera e Senato (http://www.radioradicale.it/questione-rom-ecco-la-registrazione-clandesinta-dellincontro-informale-tra-una-delegazione-del-parlamento-europeo-e-le-c) ed anche il Ministro Maroni (http://www.ansa.it/opencms/export/site/notizie/rubriche/altrenotizie/visualizza_new.html_763418554.html)