Newsletter
periodica d’informazione
(aggiornata
alla data del 27 aprile 2010)
Sommario
o
Sindacato – Primo
Maggio a Rosarno pag. 2
o
Prima pagina – Schiavitù
a Rosarno, le testimonianze pag. 3
o
Prima pagina –
Immigrati sfruttati: 31 arresti
pag. 4
o
Prima pagina –
Rosarno, tornano gli africani pag. 5
o
Società – Immigrati
a voce alta pag. 6
o
Società –
Demoskopica, 290 milioni di euro in proventi illegali pag. 8
o
Discriminazioni –
Medico di famiglia? No se sei
extra UE
pag. 9
A cura
del Servizio Politiche Territoriali della Uil
Dipartimento
Politiche Migratorie
Rassegna
ad uso esclusivamente interno e gratuito, riservata agli iscritti UIL
Tel.
064753292- 4744753- Fax: 064744751
n.
276
Sindacato
Primo Maggio a Rosarno, all’insegna della solidarietà, del
lavoro e della legalità
Quest’anno Cgil, Cisl e Uil celebrano a Rosarno il May Day, per
ribadire la necessità di mettere la legalità del lavoro e l’integrazione al
primo posto
Roma, 23
aprile 2010 - Si sono riuniti la scorsa settimana a Lamezia Terme i
segretari regionali di Cgil, Cisl e Uil, Sergio Genco, Paolo Tramonti e Roberto
Castagna per mettere a punto gli ultimi aspetti organizzativi in vista della
Manifestazione Nazionale del 1° Maggio che questo anno si svolgerà a Rosarno
alla presenza dei tre segretari nazionali Epifani, Bonanni e Angeletti. Dopo gli
avvenimenti dello scorso gennaio, che hanno portato all’attenzione dei media
nazionali ed internazionali la città della Piana per i gravi episodi di
sfruttamento che si sono consumati verso gli immigrati di colore impegnati per
pochi soldi nella raccolta degli agrumi ed in condizioni di vita al limite dei
diritti umani fondamentali, le tre Confederazioni hanno deciso di affermare da
lì, da Rosarno, luogo simbolico delle contraddizioni sociali e della negazione
dei diritti del lavoro e di cittadinanza, la battaglia generale del movimento
sindacale per il lavoro, la legalità e la solidarietà. Per i segretari
regionali Genco, Tramonti e Castagna, la manifestazione del 1° Maggio
rappresenta un’importante occasione in cui il movimento sindacale regionale, in
quanto mette in luce i problemi e le contraddizioni sociali che vive la
Calabria all’interno dei problemi più generali del Paese e del Mezzogiorno.
Sarà infatti occasione per porre all’attenzione del Governo l’esigenza di
destinare verso la Regione politiche e risorse necessarie per affrontare i
ritardi strutturali che oggi condizionano il suo reale sviluppo, a partire da
un piano strutturale per il lavoro, per le infrastrutture e per una sana
crescita del sistema imprenditoriale dentro un contesto di garanzie per il contrasto
allo strapotere della 'ndrangheta nella vita economica, politica e sociale dei
calabresi. Dentro questo quadro, Cgil, Cisl e Uil hanno messo a punto, ogni
aspetto organizzativo per garantire la più ampia partecipazione unitaria dei
lavoratori, dei giovani, degli studenti, dei migranti e dei pensionati
calabresi alla manifestazione che inizierà puntuale alle ore 9.00 con
concentramento delle delegazioni regionali e nazionali nel luogo simbolo
dell’ex stabilimento «Rognetta» di Rosarno per giungere con corteo in Piazza
Valarioti dove alle ore 10.30 avranno inizio gli interventi dei segretari
nazionali, con diretta televisiva. Genco, Tramonti e Castagna hanno evidenziato
quanto stia crescendo in queste ore il lavoro organizzativo nei territori e
l’attenzione attorno alla manifestazione da parte dei soggetti istituzionali,
dei partiti, delle scuole, dell’associazionismo calabrese che hanno a cuore
l’obiettivo di condividere e di concorrere a portare all’attenzione nazionale,
nella grande giornata di festa per il lavoro, i problemi che vivono i territori
della Calabria tra la perdita continua di posti di lavoro, l’indebolimento del
tessuto produttivo, lo spopolamento dei paesi interni, la fragilità del sistema
di Welfare regionale e per la precarietà sociale in cui vengono soffocate le
speranze di tante generazioni. In un clima unitario di intenso e positivo
lavoro, i segretari regionali hanno infine annunciato lo svolgimento
dell’attivo unitario regionale dei quadri e dei delegati di Cgil, Cisl e Uil a
Rosarno per il prossimo 21 aprile per la definizione ultima degli aspetti
politici ed organizzativi in vista della giornata del 1° Maggio che vedrà il
sindacato calabrese grande protagonista per la battaglia di avanzamento dei
diritti e del lavoro.
Prima Pagina
Schiavitù
a Rosarno, le testimonianze
I racconti degli immigrati: «Ci
trattavano come bestie»
ROSARNO, 26 aprile 2010 - In
relazione agli elementi di prova tesi a dimostrare la qualità di irregolari dei
lavoratori collocati ed avviati al lavoro nelle forme illecite che saranno
volta, per volta evidenziate, si riporta uno stralcio delle dichiarazioni di Ramli
Abdelaziz alla PS di Gioia Tauro. «Personalmente
ho lavorato per i caporali che ho indicato con il nome di Dokkali, Brahim,
Farouk e Sadraoui Mohamed. Voglio precisare, che questi caporali mi portavano
sui terreni a lavorare con i mezzi che ho già indicato nei precedenti verbali e
Brahim con il furgone che ho sopra citato. Sul veicolo che mi portava al lavoro
erano presenti altri extracomunitari comunque, per come ho già dichiarato delle
etnie marocchine, algerini, tunisini, egiziani e solo il Sadraoui Mohamed aveva
10 operai sub sahariani. Queste persone che con me hanno lavorato sono quasi
per la maggior parte senza permesso di soggiorno e il caporale era a conoscenza
di questo. Preciso che anche qualche caporale è privo del regolare permesso.
(...) Voglio aggiungere che i caporali preferivano quelli senza permesso di
soggiorno perché ogni sopruso che loro commettevano non poteva essere denunciato.
La mancanza di permesso di soggiorno del lavoratore impiegato è garanzia di
impunità del caporale a fronte di qualunque sopruso possa essere commesso dal
medesimo caporale. Perché è impossibile che il lavoratore senza permesso di
soggiorno vada a denunciare presso le forze dell’ordine».
Si riporta, di seguito una parte delle sommarie informazioni rese da
Ramli Abedelaziz in data 24 gennaio:
«Dal 1997 sono presente sul territorio italiano con regolare permesso di
soggiorno per motivi di lavoro . Lo stesso non mi è stato più rinnovato da
circa tre anni poiché in base alla legge Bossi -Fini avendo perso il lavoro non
rientravo più nelle condizioni soggettive per ottenere il relativo rinnovo. Da
allora vivo in giro per l’Italia facendo lavori saltuari e stagionali. Alla
fine di Novembre dello scorso anno, per la prima volta sono giunto a Rosarno
ove ho trovato rifugio presso la ex fabbrica Pomona ove vi alloggiavano altri
miei connazionali . Per l’alloggio di fortuna ove abito non pago nessuna cifra
nè ai legittimi proprietari del fondo rustico che non conosco nè ad altre
persone. Divido detto alloggio con altre 20 persone circa le quali come me sono
alla ricerca del lavoro giornaliero nei campi. Sono a conoscenza che queste
altre persone di varie etnie ovvero Egiziani, Algerini, Tunisini e Marocchini
sono, per la maggior parte, in regola con il permesso di soggiorno. Dal mio
arrivo a Rosarno ho sempre lavorato nelle campagne a raccogliere prima olive e
poi agrumi. Prima della rivolta riuscivo a lavorare circa quattro giorni su
sette alla settimana, mentre dopo la rivolta non sono più riuscito a trovare
una giornata di lavoro. Io riuscivo a lavorare perché altre persone di varie
etnie ovvero algerini, tunisini e marocchini mi portavano a lavorare con loro nei
vari fondi agricoli di persone di nazionalità italiana che io non conosco e che
a volte ho visto girare per i terreni ma che non sono in grado di riconoscere.
Era l’intermediario straniero che mi pagava: ciò avveniva alla fine della
giornata ovvero delle giornate per le quali lavoravo. L’orario di lavoro era il
seguente: dalle prime luce dell’alba al tramonto, praticamente si smetteva di
lavorare qando non si vedeva più. L’intermediario che la mattina passava a
prendere sia me che altri extracomunitari la sera ci riaccompagnava a Rosarno.
La paga era varia in base agli accordi che si raggiungevano con
l’intermediario, ovvero 25 al giorno oppure 1 euro a cassetta. Dalla cifra
complessiva di 25 euro bisognava detrarre 3 euro per l’intermediario, così anche
se si lavorava a cassetta, bisognava dare tre euro sempre all’intermediario
sulla cifra complessiva. Debbo comunque precisare che mi è capitato di lavorare
anche direttamente per qualche italiano di cui per qualcuno non so indicare il
nome di un altro mi ricordo nome e cognome e precisamente Nicola Cuccomarino e
questi mi pagava 30 o 35 euro al giorno. Pertanto considerato che gli italiani
ci pagavano 30 o 35 euro al giorno e quindi la paga per una giornata lavorativa
era questa, presumo che quando lavoravo alle dipendenze dell’intermediario
straniero il quale mi dava 22 euro, tale intermediario si tratteneva altri
soldi oltre i tre euro fissi che pretendeva per il trasporto e per averci fatto
lavorare. Quando si lavorava direttamente con un italiano proprietario del
terreno, gli orari lavorativi erano migliori ovvero si lavorava per un massimo
di sette ore al giorno. «Con l’intermediazione del lavoro
attraverso i caporali posso affermare che siamo trattati peggio degli schiavi
perché oltre a lavorare dalla mattina presto a tarda sera, a volte per
riscuotere quei pochi soldi di lavoro dobbiamo pregare il caporale che ce li
versa a poco la volta ed addirittura a qualcuno sono stati negati. (...) Voglio
precisare che i caporali anche quando si lavora a casetta ci rubano i soldi nel
senso che rubano le cassette da noi raccolte e li mettano sul loro conto.
Pertanto o lavorare a cassetta o lavorare a giornata è la stessa cosa perché
non ci pagano più di 20 o 30 cassette pur raccogliendone il doppio».
Dal verbale di SIT rese in data 26 gennaio u.s. da Baridi
Mohamed
«Questo è il primo anno che sono venuto a lavorare a Rosarno e
precedentemente ho lavorato a Milano e a Torino ed in altre località del nord.
Rimasto senza lavoro al nord tramite un mio connazionale sono arrivato a
Rosarno a fine dicembre del 2009. A Rosarno tramite un mio connazionale ho
preso contatti con un tunisino di nome Mohamed del quale posso dire che è una
persona di mezza età, di corporatura robusta. Ho trovato lavoro per la raccolta
di mandarini e arance. Ho lavorato in nero e mi pagava Mohamed a cassetta e
precisamente 40 centesimi a cassetta di arance e 1 euro a cassetta per i
mandarini. Al Mohamed dovevo versare una cifra di euro 3 al giorno per il
trasporto. I fondi sui quali ho lavorato sono di 4 italiani dei quali due sono
fratelli e gli altri due non lo so. Uno dei due fratelli ho sentito chiamarlo
Giorgio ma su di loro non so dare alcuna indicazione poiché io tutti i contatti
lavorativi li avevo con Mohamed. I terreni sui quali ho lavorato sono dalla
Pomona andando verso Nicotera ma non sono in grado di indicarli precisamente.
Dopo la rivolta dei neri avvenuta a Rosarno, il Mohamed poiché io sono in
regola con il permesso di soggiorno, mi ha dato un foglio con il quale mi ha
detto che ero in regola con il lavoro. Vi fornisco copia di questo foglio. Il
foglio di assunzione comunque mi è stato fornito dal Mohamed successivamente ad
un incidente che ho avuto sul lavoro. Infatti in data 20 gennaio sono caduto da
un albero e Sadraoui Mohamed e l’altro Mohamed del quale ho parlato e che è il
caporale con il quale io sono entrato in contatto per lavorare mi hanno portato
alla Pomona da dove successivamente altri miei connazionali hanno chiamato
un’autoambulanza per portarmi in ospedale., a Polistena, ove mi hanno
riscontrato un trauma alla spalla come da referto medico che vi consegno. Da
circa due giorni i due Mohamed mi chiedono indietro il contratto di lavoro
dicendomi che mi pagano i sette giorni di infortunio e mi danno subito i soldi
che da loro avanzo e che ammontano a circa 250 euro. Mi hanno minacciato
dicendomi che se non gli do il contratto non mi danno i soldi che io avanzo e
che io non lavorerò più da nessuna parte. Per questa ragione io penso che a
breve come starò meglio andrò via da Rosarno».
Immigrati sfruttati a Rosarno: 31
arresti
Reggio Calabria, 26 aprile 2010 - E' in corso a Rosarno
un'operazione, denominata Migrantes, per l'esecuzione di 31 ordinanze di
custodia cautelare nei confronti di altrettante persone accusate a vario titolo
di associazione per delinquere, violazione della legge sul lavoro e truffe nel
settore dell'agricoltura. All'operazione stanno partecipando agenti della
squadra mobile di Reggio Calabria, carabinieri e militari della guardia di
finanza. Le ordinanze di custodia cautelare sono state emesse dal Gip del
tribunale di Palmi che ha accolto la richiesta della Procura della Repubblica.
Le indagini hanno avuto inizio nel gennaio scorso, quando a Rosarno si verificò
la rivolta degli extracomunitari impegnati nella raccolta degli agrumi. Gli
investigatori hanno individuato una presunta organizzazione che si occupava di
reclutare e sfruttare i lavoratori stranieri impiegati nel settore
dell'agricoltura. Tra i destinatari dei provvedimenti restrittivi ci sono sia
italiani che extracomunitari.
IN UN
DOSSIER STORIA MIGRANTI E LORO SFRUTTAMENTO
Le condizioni di vita e di lavoro, i tentativi di estorsione e
lo sfruttamento degli immigrati di Rosarno sono raccontate in un dossier
'Arance insanguinate - Dossier Rosarno' realizzato dall'Associazione Onlus
daSud e da Stopndrangheta.it. Il dossier - curato da Danilo Chirico e Alessio
Magro - ricostruisce l'inferno di Rosarno dai primi articoli apparsi nel 2006
fino ai drammatici fatti del gennaio 2010, passando in rassegna reportage e
documenti ufficiali che inchiodano ciascuno alle proprie responsabilità. I
fatti vengono ricostruiti attraverso una raccolta di analisi, articoli, testi,
fotografie sui fatti di Rosarno, disponibile anche in versione telematica su
www.stopndrangheta.it. Tra il materiale raccolto ci sono anche testimonianze
sulle proteste antirazziste di associazioni e movimenti (il manifesto
"Troppa (in)tolleranza e nessun diritto", il "No-mafia
day"), la reazione del teatro italiano ("Nei ghetti d'Italia questo
non è un Uomo"), l'apporto del mondo culturale (i libri di Antonello
Mangano e Carlo Rovelli) e universitario (il manifesto antirazzista
dell'Università della Calabria). Non è stata tralasciata l'esistenza di una
Rosarno coraggiosa e civile, con molte testimonianze dell' ex sindaco ed ex
deputato del Pci Peppino Lavorato.
SEQUESTRATI
BENI PER 10 MILIONI DI EURO - Venti aziende e duecento terreni,
per un valore complessivo di circa 10 milioni di euro, sono stati sequestrati
nel corso dell'operazione. Nel corso delle indagini gli investigatori hanno
compiuto accertamenti patrimoniali nei confronti degli indagati ed hanno potuto
ricostruire la quantità di beni mobili ed immobili ritenuti frutto di illecito
arricchimento e, soprattutto, funzionale alla realizzazione delle condizioni di
impiego di manodopera in nero. Sono state scoperte anche numerose presunte
truffe compiute nei confronti degli enti previdenziali.
SFRUTTAMENTO
LAVORO PROVOCO' RIVOLTA IMMIGRATI - Lo sfruttamento e le
condizioni inique in cui erano costretti a lavorare fu alla base della rivolta
degli immigrati avvenuta nei mesi scorsi a Rosarno. E' quanto emerso dalle
indagini che hanno portato stamani ad una operazione della squadra mobile, dei
carabinieri e dei finanzieri contro il fenomeno del caporalato. Gli
investigatori hanno accertato che alla base delle proteste e degli episodi di
violenza vi erano le condizioni di assoluta subordinazione in cui versavano gli
immigrati finiti nelle mani di persone che li costringevano a lavorare in condizioni
inique. Gli immigrati, inoltre, avrebbero subito anche ripetute minacce. I
lavoratori extracomunitari erano costretti, infatti, a lavorare mediamente
dalle 12 alle 14 ore al giorno ricevendo un compenso di una decina di euro. Gli
extracomunitari che si ribellavano subivano ritorsioni e minacce. La rivolta di
Rosarno, infatti, fu determinata proprio dal ferimento a colpi d'arma da fuoco
di due lavoratori extracomunitari.
Rosarno
(Rc) - È tornato tutto com’era, a Rosarno. Come prima della rivolta di gennaio,
gli africani vivono nei casolari abbandonati, senz’acqua, né luce. Se
possibile, in condizioni più disumane di prima. Devono nascondersi e
disperdersi per le campagne, altrimenti polizia e carabinieri li costringono a
sloggiare. Alle porte del paese, la vecchia fabbrica della Rognetta, dove si
erano accampati e dove almeno c’erano acqua corrente e bagni chimici, è stata
demolita. L’ex Opera Sila, 700 posti in un impianto abbandonato per la raffinazione
dell’olio, è frequentemente perlustrata dalle forze dell’ordine per impedire i
rientri, così come le casupole nei dintorni. E allora gli africani hanno
ripiegato per ricoveri di fortuna in luoghi più impervi, laddove i controlli
non arrivano, ma stentano a raggiungerli anche i pochi aiuti delle associazioni
di volontariato e della gente di buon cuore. E ogni giorno, per andare in
centro a cercare lavoro, i ragazzi di colore devono macinare chilometri e
chilometri, perlopiù a piedi. Certo, adesso sono rimasti davvero in pochi.
«Fino ad un mese erano circa 400 - spiega Giuseppe Pugliese dell’Osservatorio
Migranti di Rosarno - adesso saranno la metà. Anche la stagione delle arance è
finita e, come ogni anno in questo periodo, gli africani sono già in Puglia e
Campania dove comincerà la raccolta dei pomodori». Cosa resta della rivolta?
Per Giuseppe Pugliese, solo amarezza. «Sono stati scritti fiumi d’inchiostro,
abbiamo ascoltato le analisi e i commenti più disparati, ma qui non è cambiato
niente - sostiene il responsabile dell’Osservatorio Migranti - Aldilà della indignazione
e delle promesse, le condizioni di vita di questi ragazzi non hanno subito
alcun miglioramento. Chi di loro ha potuto, una volta rientrato dopo gli
sgomberi, ha affittato una piccola casa in paese, gli altri sono tornati a
vivere tra i cumuli di spazzatura. Continuano ad elemosinare un lavoro nei
campi: ora che la stagione degli agrumi si è conclusa, zappano, seminano,
ripuliscono dalle erbacce». A Rosarno, però, le rivolte dei neri - quella di
gennaio e l’altra del dicembre 2008, scatenate entrambe dalle pistolettate
esplose contro alcuni di loro - qualche beneficio l’hanno portato. Al Comune,
ancora commissariato per le infiltrazioni mafiose, stanno arrivando i milioni
di euro dei fondi europei. «Ora è partito il business dell’accoglienza -
afferma Pugliese - Gli stagionali sono stati mandati via, ma si aspetta il
milione e 900 mila euro del Pon Sicurezza per costruire un centro di
aggregazione e di accoglienza per immigrati regolari sui terreni confiscati al
clan Bellocco, in contrada Carmine». Un altro centro per stranieri e un’area
attrezzata per il mercato sono previsti alla Rognetta, l’ex stabilimento per la
trasformazione del succo d’arancia demolito subito dopo gli scontri. E con 200
mila euro, stanziati dal ministro Maroni per l’emergenza dello scorso anno,
sono stati acquistati sette containers con servizi igienici e docce che
dovevano essere sistemati nei siti popolati dagli africani e ora resteranno al
Comune. Insomma, gli aiuti agli stranieri si sono fermati alle intenzioni e
loro si sono arrangiati come hanno potuto, con il solo aiuto dei volontari,
come Norina Ventre. Gli Africani la chiamano “Mamma Africa” quest’ex insegnante
ottantenne che non si risparmia per accudirli: cucina pentoloni di pasta, carne
e legumi, distribuisce buste piene di viveri e vestiti, li cura e li ascolta.
Dopo la rivolta, qualcuno le distrusse la mensa che aveva allestito in una
piccola abitazione nel suo agrumeto, ma lei, caparbia, dopo qualche settimana
ha ricostruito tavoli e sedie ed ha riaperto il suo “ristorante” sotto gli
aranci. Una volta, la domenica in fila si contavano anche 200 africani, ore
sono poche decine, al massimo 60 persone. Norina non li abbandona, anche se la
fatica comincia a farsi sentire, ma continua pure a difendere i rosarnesi che
sono stati tacciati di razzismo. «A gennaio i ragazzi hanno esagerato - dice -
è normale che la gente sia insorta, ma nessuno dei rosarnesi per bene ha mai
sparato o picchiato uno di loro». A guardarlo ora, Rosarno, non sembra affatto
il paese degli scontri e della caccia al nero. Un giovanissimo africano
attraversa la strada in bicicletta, un altro cammina tranquillo con in mano una
busta colma dei prodotti del vicino discount. Per la gente di qui, abituata a
conviverci da ormai vent’anni, è come se anche loro facessero parte del
paesaggio.
Filippo
Marra Cutrupi, www.ilgiornale.it
Società
di Carlotta Mismetti Capua, L’Espresso
Per la prima volta, gli extracomunitari d'Italia si sono riuniti
a congresso.
Roma, 25 aprile 2010 - «Oggi è
la giornata della Liberazione dell'Italia e non è un caso», sorride Siddique
Nure Alam Bachu. Bengalese, Bachu presiede la sezione romana del Comitato
Immigrati, che dopo sette anni ha deciso di rendersi visibile a tutti e darsi
una missione politica, nel Primo Congresso nazionale degli immigrati che si è
tenuto a Roma durante lo scorso week end, ospitato dai salesiani. «E' la
liberazione oggi, ma ci sono libertà ancora non da ricordare ma da conquistare.
Vogliamo un'altra liberazione, quella della convivenza sociale», spiega. Il
primo congresso degli immigrati che si tiene in Italia sembra un'iniziativa più
sentita dello "sciopero degli
stranieri" del marzo scorso, almeno a guardare i
partecipanti: arrivati in duecento e più da tutta Italia, nel loro giorno di riposo,
in una notte di pioggia torrenziale. Nel cortile che fu dei ragazzi di Don
Bosco Bachu va su e giù per due giorni, calmo come un cerimoniere, ad
accogliere gli ospiti, richiamare all'ordine i partecipanti dei tavoli di
discussione, e smistare i giornalisti. L'atmosfera è informale, ma densa. Le
cose da dirsi sono tante e per nulla banali. «Quando manifestiamo non andiamo a
fare una passeggiata. Se uno va adun corteo e poi non chiede niente in maniera
forte e chiara allora vuol dire che non ha niente di importante da chiedere»,
spiega Mihai Muntean, presidente del Partito dei romeni d'Italia; nonostante la
sua comunità non sia più alle prese con permessi di soggiorno ed espulsioni
irregolari, continua a partecipare alla rete e alla lotta. Il loro partito per
ora è simbolico, dice. I delegati vengono quasi tutti dal Nord, dal Nord Est e
dal Centro: solo una persona dalla Puglia, una dalla Campania e una Calabria,
nulla per le altre regioni: silenzio anche dalla Sicilia, terra di sbarchi. Il consiglio direttivo è diviso per etnia e regione di
provenienza: quattordici nazionalità, otto regioni rappresentate. Molti degli
attivisti sono uomini, soprattutto dal Magreb, dall'Africa e Sud-America, le
donne sono sudamericane o dell'Est europeo. Pochi gli asiatici: «I filippini ci
sono, ma stavolta non sono potuti venire», spiega Romulo Sabio Salvador,
consigliere aggiunto del Comune di Roma. «Noi tra di noi siamo tutti stranieri,
e così qui ho scoperto anche io tante cose», racconta Roberto Montoya,
portavoce e giornalista della stampa estera per la "Republica del
Perù". «Andiamo spesso nelle sedi dei filippini o dei bengalesi, che sono
molto attivi. I sudamericani e gli africani, invece, sono più pigri o più
dispersi». Nei tavoli si parla di scuola, famiglia, tasse, permessi, sindacato
e di delusioni, tutti in cerchio. La lingua franca è l'italiano ma spesso anche
il dialetto: Oxana, la ragazza che si occupa dei temi femminili, è ucraina e
parla calabrese, Tahar è tunisino e spesso si esprime in veronese. Si parla di
politica, in un modo diverso da quello che si vede in tv, il tempo è poco e il
momento difficile. Lo ripetono tutti quelli che prendono la parola: «E' un
momento difficilissimo in Italia». In queste discussioni si racconta poco del
proprio paese e alla parola "immigrato" si preferisce quella
"emigrato". Nel documento di cui a tutti viene data una prima bozza
– che in sei tavoli tematici viene discussa dai delegati – il
Comitato si presenta, elenca le grandi tappe di sette anni di lavoro, le
manifestazioni nazionali che hanno significato qualcosa, i seminari con i Sans
papier francesi, svizzeri e spagnoli. Si elencano i numeri che dimostrano
economicamente la presenza degli immigrati in Italia, vengono citate le lotte
sindacali dei latino-americani negli Stati Uniti, rivendicata l'autonomia
assoluta dai partiti e si spiega chiaro e tondo per cosa si lotta qui. Con una
chiarezza esemplare, che nella politica della tv o dei comizi si è spesso
persa. Il documento è preciso e costruttivo. In pochi punti punti si spiega
perché è necessario che gli immigrati si auto-rappresentino. Punto uno, no al
pacchetto sicurezza introdotto da Maroni; punto due, abrogazione della legge
Bossi–Fini; punto tre, cancellazione del protocollo tra ministero
dell'Interno, Poste Italiane e patronato per il rinnovo dei permessi di
soggiorno, protocollo che ha regalato allo Stato 500 euro per ogni domanda di
regolarizzazione; punto quattro, rottura del legame tra permesso di soggiorno
contratto di lavoro, che ora con la crisi rende fragile la posizione anche di
quei lavoratori stranieri che sono qui da quindici anni, ma hanno perso il
posto e rischiano l'espulsione; punto cinque, una legge efficace per i
rifugiati e i richiedenti asilo, perché il diritto di asilo è un diritto
universale e i respingimenti hanno fatto si che le domande si siano dimezzate,
anche se secondo l'agenzia delle Nazioni Unite in Italia ve ne sono meno di 50
mila contro le 600 mila in Germania e le 300 mila nel Regno Unito; punto sei,
il diritto di voto per chi è residente qui e per i figli nati qui; punto sette,
la chiusura dei Centri di Identificazione ed Espulsione; punto otto, il
rispetto del diritto di istruzione di tutti bambini. Consulta degli Stranieri,
inventata da Veltroni, vista come un contentino al posto del diritto al voto:
«E' incostituzionale, che altro dire?» spiega Roberto Montoya. «Non mi sta bene
che si dica solo che siamo il 10 per cento del Pil italiano, siamo anche
cittadini, non conti correnti», si scalda una giovane africana venuta dalla Toscana.
E i politici? Doveva esserci Nichi Vendola, ma non è venuto. C'erano invece
Stefano Pedica dell'Italia dei Valori e Luigi Nieri di Sinistra e Libertà.
C'era poi Livia Turco, la cui vecchia legge sull'immigrazione non è mai
piaciuta e ora è responsabile per il Pd dei problemi dell'immigrazione: «Di
questo congresso penso tutto il bene possibile, è importante che gli immigrati
diventino protagonisti con le loro facce e le loro storie di una battaglia del
paese. Partiti e associazioni faranno la loro parte, il Pd non l'ha fatta, non
ho problemi a dirlo». E poi: «Chiedo il vostro aiuto, per fare delle proposte
in Parlamento. Aiutateci», dice alla platea, strappando l'applauso. Fischi
invece ogni volta che viene pronunciato il nome di Gianfranco Fini, seppure
assente: il presidente della Camera ha dato il suo nome a una legge che molti
patiscono sulla propria pelle, e degli strappi con Berlusconi qui non importa
niente a nessuno.
Immigrati/Calabria
Demoskopica, 290 milioni di euro in proventi
illegali
(ASCA) - Cosenza, 26 apr -
''Dall'immigrazione 290 mln euro di proventi illegali''. A tanto ammonterebbe
il business del caporalato controllato dalle 'ndrine'. Il mercato piu'
remunerativo riguarderebbe principalmente i migranti clandestini provenienti
dall'Oriente con in testa curdi, iracheni, pachistani, indiani ed egiziani.
Oltre il 65,1% parteggia per la regolarizzazione anche se il 55,1% e'
favorevole all'espulsione. Per 1 calabrese su 2 e' necessario far entrare
soltanto chi ha voglia di lavorare. E' quanto emerge da uno studio realizzato
dall'Istituto Demoskopika. Nell'ultimo decennio gli immigrati sbarcati sulle
coste calabresi e successivamente rintracciati sono stati oltre 19 mila.
Analizzando i flussi, emerge che il picco massimo e' stato raggiunto, dal punto
di vista quantitativo, nel biennio 2000-2001 rispettivamente con 5.045 soggetti
nel 2000 e 6.093 nel 2001 pari al 57,9 per cento sul totale degli sbarcati. Nell'ultimo
anno, inoltre, la Calabria ha visto diminuire il numero degli immigrati
sbarcati sulle sue coste di quasi 67 punti percentuali passando da 1.973
immigrati del 2007 ai 663 del 2008. Una riduzione direttamente legata alle
strategie della mafia calabrese sul territorio. ''La riduzione del traffico
clandestino di esseri umani - ha spiegato il presidente dell'istituto
Demoskopika, Raffaele Rio - e' stato volutamente deciso dalla criminalita'
organizzata calabrese per evitare la massiccia intensificazione dei controlli
da parte delle forze dell'ordine a presidio del territorio. La preoccupazione
delle ''ndrine riguarda principalmente il mercato degli stupefacenti il cui
giro d'affari e', senza alcun dubbio, piu' remunerativo dell'arrivo dei
clandestini in Calabria''. La regolarizzazione dei clandestini (65,1%) - emerge
dall'indagine dell'Istituto Demoskopika - trova piu' accordo della loro
espulsione (55,1%) ma raccoglie anche la piu' alta percentuale di coloro che
sono in completo disaccordo: il 20,3% contro l'11,4%. La terza e quarta
modalita' di risposta propongono situazioni piu' favorevoli agli immigrati
rispetto a quelle rese possibili dall'attuale legge sulla cittadinanza che
prevede che un extracomunitario possa richiedere la cittadinanza per
naturalizzazione solo dopo dieci anni di residenza. La differenza fra questi
due items consiste nel tenere o no legata la concessione della cittadinanza a
immigrati che risiedono da almeno cinque anni al fatto di non aver commesso
reati. Questo elemento sembra essere fondamentale per molti calabresi: infatti
solo il 22,9 per cento e' d'accordo con la frase ''e' giusto concedere la
cittadinanza agli immigrati che risiedono in Italia da 5 anni'', mentre ben il
58,2 per cento con l'affermazione ''e' giusto concedere la cittadinanza agli
immigrati che risiedono in Italia da 5 anni, purche' non abbiano commesso
reati''. Ma quali sono, infine, gli orientamenti dei calabresi sulle politiche
di ammissione, di regolamentazione del soggiorno e di attribuzione di diritti
agli stranieri considerato che la questione dell'entrata degli immigrati e,
specularmente, la questione della chiusura delle frontiere sono quotidianamente
al centro del dibattito politico? L'indagine dell'Istituto Demoskopika rileva
che in pochissimi hanno posto l'attenzione sulla libera circolazione (4,2%) e
pochi hanno scelto come politica piu' giusta la chiusura delle frontiere per
non perdere l'identita' nazionale (8,6%). La maggior parte degli intervistati
ha invece legato l'entrata degli immigrati in Italia al lavoro. La modalita'
che ha attratto piu' risposte e' quella che piu' delle altre fa leva sulle
paure nei confronti degli stranieri che non lavorando si pensa possano
delinquere: il 49,9% ha dichiarato di voler fare entrare solo chi ha voglia di
lavorare; il 33,5% ha invece privilegiato un'interpretazione utilitarista del
fenomeno dichiarando di voler regolamentare l'accesso in base al fabbisogno di
manodopera.
Discriminazioni
di MICHELE
BOCCI
Non può
diventare medico di famiglia perché è extracomunitario. Il giovane, un albanese
in Italia ormai da sette anni, non ha il permesso di soggiorno ma ha studiato e
si è laureato in medicina a Firenze. "Eppure potrei partecipare ad un
corso di specializzazione universitario per diventare cardiologo, medico
internista, nefrologo. Non capisco come sui possibile. Da poco è stato
pubblicato il bando di concorso per l'ammissione al corso triennale di
formazione in medicina generale che esclude la partecipazione a
extracomunitari". Da lungo le associazioni di medici stranieri in Italia
cercano di risolvere il problema. Visto che si tratta di un concorso
ministeriale, e non universitario come quelli per la specializzazione, al
tirocinio per medici di famiglia può partecipare solo chi ha preso la
cittadinanza. "Ma io devo aspettare almeno tre anni per sperare di
ottenerla. Ma nel frattempo non posso studiare. O trovo un lavoro in una
struttura privata o sono bloccato. Non mi sembra giusto discriminare per la
nazionalità di provenienza visto che insieme agli altri partecipanti al
concorso abbiamo seguito lo stesso percorso di studio". Il dottore Foad
Aodi, palestinese è presidente dell'Associazione medici d'origine straniera in
Italia, Amsi, che si batte contro quella che viene considerata una forma di
discriminazione. "Senza la cittadinanza i medici extracomunitari non
possono fare concorsi pubblici e questo ha impedito a molti di inserirsi veramente.
Noi siamo per un'immigrazione qualificata, che è l'opposto di quella
irregolare". Anche perché "se le iscrizioni annuali alle facoltà di
Medicina continueranno a essere 6.200 l'anno, presto l'Italia avrà un gran
bisogno di camici stranieri". Anche tra i medici di famiglia. "Ai
concorsi pubblici in tutta Europa si può accedere solo con la cittadinanza -
spiega il presidente dell'Ordine dei medici di Firenze, Antonio Panti - In
Italia per ottenerla obbiettivamente ci vuole di più di altri stati europei.
C'è lo stesso problema anche con il permesso di soggiorno per motivi di studio.
A noi capitano medici per cui questo documento scade, e sono costretti ad
aspettare sei mesi per il rinnovo. Sono problemi di burocrazia". Eppure di
camici bianchi stranieri ci sarebbe bisogno. "Proprio nella medicina
generale in questo periodo siamo in crisi di vocazione in tutto il paese -
prosegue il dottor Panti - Quindi ben venga chi la vuole studiare, il quale
ovviamente deve parlare bene la nostra lingua, cosa fondamentale in un lavoro
come il nostro. Altrimenti rischiamo di finire come l'Inghilterra, che invita
camici bianchi da tutto il mondo a lavorare nelle sue strutture. Ci vanno anche
molti italiani".