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13/04/2010
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Immigrazione. Perché legge e accoglienza non siano nemiche

Regolari e clandestini, legalità e cultura dell’integrazione. Ne hanno discusso il ministro Maroni e Don Colmegna sul palco di Economia e società aperta

Legalità e integrazione: sulle due facce dell’immigrazione, complementari e necessarie l’una all’altra, si è incentrata la sesta conversazione di Economia e società aperta, ieri in Bocconi. Protagonisti, insieme, a Francesco Billari, direttore del Centro Dondena Bocconi di ricerca sulle dinamiche sociali, il ministro dell’Interno Roberto Maroni e il presidente di Casa della Carità di Milano, Don Virginio Colmegna, moderati dal vicedirettore del Corriere, Daniele Manca.

L’introduzione di Billari pone l’attenzione sul fatto che l’immigrazione velocissima che ha contraddistinto l’Italia negli ultimi trenta anni (dai 210 mila stranieri del 1981 ai 4,3 milioni del 2010) è stata una sorta di correttivo demografico per riempire la carenza di autoctoni che si affacciano al mondo del lavoro. Billari cita la letteratura in tema di immigrazione e la ricerca e sottolinea poi: “È da rigettare il legame causale tra immigrazione e criminalità”.
 
È proprio sul tema della legalità, o meglio della distinzione tra immigrazione regolare e irregolare, che parte il dibattito tra Maroni e Colmegna. Maroni specifica tale distinzione e commenta che, invece, tale nesso causale “c’è tra immigrazione clandestina e criminalità”. Il ministro, tuttavia, sottolinea come i reati compiuti da immigrati siano diminuiti rispetto al 2008 e più dei reati commessi da italiani, legando questo risultato al fatto che gli sbarchi, nello stesso periodo, “sono diminuiti del 90%”. Ciò è stato possibile “principalmente grazie a una politica di accordi bilaterali con i paesi di provenienza e tali politiche rientrano nel quadro europeo del Patto europeo sull’immigrazione e sull’asilo, patto che evita le regolarizzazioni generalizzate e procede invece caso per caso”. Riguardo all’asilo, Maroni ha rimarcato come in Italia, dove vi sono circa 100 mila rifugiati, “il tempo medio tra la richiesta di asilo e la decisione relativa è di sei mesi, ossia meno della metà della media europea”. Il punto nodale in tema di immigrazione, resta poi ciò che è stato fatto con la legge Bossi-Fini, per il ministro: “Legare l’ingresso a un regolare contratto di lavoro. Penso che non ci sia nulla di più efficace”. Maroni porta l’esempio di altri paesi europei: “Anche la Spagna ha scelto la stessa strada, mentre Gran Bretagna e Germania obbligano anche la conoscenza fluente della lingua”. Infine, cita alcuni dati sulle concessioni della cittadinanza: “Sono aumentate di circa 2 mila unità negli ultimi tre anni, nel 2009 sono state 42.121. Ciò dimostra che politiche di rigore riducono i matrimoni di comodo ma favoriscono la cittadinanza”.
 
“L’immigrazione è un fenomeno complesso, che richiede un approccio strutturale”, ribatte Don Colmegna citando la sua esperienza, e quella, di Milano, di 81 nazionalità diverse. Concorda sul fatto che “la regolarità debba essere l’elemento primario e che l’irregolarità porta con sé un tasso di criminalità”, ma ribadisce quanto anche la stessa clandestinità nasconda in sé situazioni molto diverse tra loro, non tutte legate a un intento criminale. Soprattutto, rifiuta l’idea che chi accoglie sia implicitamente contro la legalità. “Dobbiamo saldare la cultura della regolarità con una cultura dell’accoglienza molto forte”, dice. “Il problema immigrazione va assimilato in termini positivi, di risorsa, evitando tanto l’ingenuità che l’ideologia”. D’accordo con Maroni sul fatto che “il lavoro sia tema fondamentale, tenendo presente però che dietro il lavoro ci sono persone con molte storie”. Importante è per Don Colmegna, “smontare l’idea dell’immigrato povero, quando magari nel proprio paese ha due lauree, smantellare la cultura della paura verso lo straniero, che si abbatte se c’è sforzo di creare relazioni, e far emergere il lavoro nero. Non c’è cantiere che non ne abbia”. E importante è il dialogo con le istituzioni e le forze di polizia incaricate del controllo, in un clima di fiducia reciproca, anche per favorire l’emergere di una capacità di denuncia delle irregolarità che provenga dagli immigrati stessi.
 
Arrivano le domande e, tra le prime, si pone la questione delle attese e delle code per il permesso di soggiorno. Maroni: “Dal 2006 il permesso di soggiorno è elettronico e, a quella data, il tempo medio di attesa per il rilascio è passato dai precedenti 12-18 mesi a 300 giorni. Oggi poi, questo tempo è sceso a 45-100 giorni. L’obiettivo è di portarlo a 30 giorni. Poiché il problema è però soprattutto il rinnovo, stiamo negoziando il coinvolgimento dell’Anci, per far sì che la pratica di rinnovo sia gestita dai comuni, cosa che permetterebbe di spalmarle su 5 mila comuni e non solo su 104 questure”. “Non tutto ciò che ha fatto il Centrosinistra è stato negativo, dunque”, commenta Manca a proposito delle norme del 2006. “Non tutto, d’altronde io ho un approccio laico su queste cose”. E se Maroni sottolinea il lavoro in tema di permesso di soggiorno, Don Colmegna ribadisce le difficoltà di altri fronti burocratici. “È il caso dei romeni, che ora che sono entrati nell’Unione europea hanno maggiori problemi a ottenere la tessera sanitaria, rispetto a quando erano extracomunitari e accedevano a quella stp, destinata agli stranieri temporaneamente presenti”.
 
Ma come fa un africano ad avere un contratto prima di arrivare in Italia, domandano dal pubblico? “Deve trovare un imprenditore che lo chiami”, dice Maroni. Il pubblico non concorda, ma il ministro spiega: “È il sistema precedente, quello di entrata in cerca di lavoro, che ha contribuito a creare la sacca di 400 mila irregolari in Italia”. Storce il naso anche Don Colmegna, sottolineando il caso delle badanti, per le quali la relazione con il datore di lavoro può avvenire solo dopo conoscenza. “Si crea la situazione per cui il datore di lavoro deve rimandarle a casa per poi richiamarle ufficialmente”. C’è però una best practice, sottolinea Maroni: “È quella degli stagionali, per i quali sono state coinvolte e responsabilizzate le associazioni di categoria, che vanno nei paesi di origine e selezionano degli stranieri da chiamare”.
Andrea Celauro

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