Divieti di reingresso
Scheda pratica a cura
di Sergio Romanotto e Paolo Bonetti (Aggiornata al 18.11.2009)
Sommario
1.
Divieto
di reingresso: ipotesi e durata.
2.
Il
reingresso regolare dello straniero espulso.
2.1. L'ingresso ed il soggiorno per motivi di
giustizia.
2.2. L’ingresso a seguito di nulla-osta al ricongiungimento
familiare.
2.3. L’autorizzazione ministeriale al reingresso.
2.4. L’ingresso dello
straniero espulso autorizzato dal tribunale per i minorenni per gravi motivi connessi
con lo sviluppo psicofisico del minore residente in Italia.
2.5. L’ingresso per richiesta di asilo.
3.
Il
reingresso non autorizzato dello straniero espulso: i reati, la nuova
espulsione e le conseguenze processuali.
1. Divieto di reingresso: ipotesi e durata.
Lo straniero extracomunitario che sia stato
effettivamente espulso dal territorio dello Stato italiano non può successivamente farvi rientro
(salvo i casi che verranno esaminati nel paragrafo successivo) per un
determinato periodo di tempo, la cui durata dipende dal tipo di espulsione di
cui è stato destinatario (art. 13 comma 13 del Testo unico delle disposizioni
legislative concernenti disciplina dell’immigrazione e condizione dello
straniero, approvato con D. Lgs. 25 luglio 1998, n. 286 e successive modifiche
ed integrazioni - di seguito indicato come “T.U.”).
In particolare:
A)
allo straniero colpito da provvedimento amministrativo di espulsione è fatto divieto di rientro legale in Italia per 10 anni (o per
il minor periodo, comunque non inferiore ai 5 anni, stabilito dal Prefetto
all'atto di adozione del decreto di espulsione in considerazione della
complessiva condotta tenuta dallo straniero nel periodo di permanenza in
Italia) dall'uscita dal territorio nazionale. E’ evidente anche che un
eventuale presentazione anche dall’estero ricorso giurisdizionale contro i provvedimenti
amministrativi di espulsione potrebbe essere finalizzato anche soltanto a fare
annullare o ridurre il periodo del divieto di rientro.
B)
allo straniero colpito da provvedimento giudiziale di espulsione è fatto divieto di rientro legale durante
un periodo determinato che è di:
a) almeno 5 anni se è espulso
a titolo di misura sostitutiva della pena detentiva inferiore a 2 anni o
della condanna per il reato di ingresso o soggiorno illegale nel territorio
dello Stato ai sensi dell’art.
10 –bis T.U., per un
periodo indicato nella sentenza del giudice (art. 16
comma 1 T.U.);
b) 10 anni, se è espulso
a titolo di misura alternativa alla detenzione;
c) 10 anni, se è espulso
a titolo di misura di sicurezza, salvo che nel decreto di espulsione sia
disposto un termine più breve, in ogni caso non inferiore a 5 anni, tenuto
conto della complessiva condotta tenuta dall’interessato nel periodo di
permanenza in Italia (art. 13,
commi 13, 13-bis, 14 T.U.).
Il periodo di divieto di rientro nel territorio
dello Stato decorre dalla data di esecuzione dell'espulsione attestata dal
timbro di uscita ovvero da ogni altro documento comprovante l'assenza dello
straniero dal territorio dello Stato; decorso il termine del divieto di rientro
lo straniero deve produrre idonea documentazione comprovante l'assenza dal
territorio italiano presso la rappresentanza diplomatica italiana del Paese di
appartenenza o di stabile residenza, che provvede, verificata l'identità del
richiedente, all'inoltro al Ministero dell'Interno (art. 19
del regolamento di attuazione del T.U. approvato dal D.P.R. n. 394/1999,
come modificato dal regolamento approvato con D.P.R.
n. 334/2004).
E’ evidente dunque che il divieto di rientro
decorre dopo che lo straniero abbia di fatto lasciato il territorio italiano,
sicché l’obbligo di allontanamento dello straniero espulso dal territorio dello
Stato, che è uno degli effetti tipici di ogni tipo di provvedimento di
espulsione, permane finché il provvedimento di allontanamento non sia eseguito
(così Cass. sez. I, n. 14540/2003). Pertanto il divieto di rientro perdura
finché non sia effettivamente eseguito il provvedimento espulsivo e non è certo
estinto allo spirare del medesimo periodo di tempo dalla data di adozione del
provvedimento espulsivo: l’obbligo di lasciare il territorio dello Stato e il
conseguente divieto di rientro dopo l’effettiva espulsione sono effetti tipici
dell’espulsione stessa che perdurano finché essa non sia effettivamente
eseguita.
In realtà nell’ordinamento giuridico italiano è
implicitamente previsto anche un divieto di reingresso dello straniero
extracomunitario più lungo o addirittura permanente o perpetuo, qualora, anche dopo la scadenza del
termine del divieto di rientro, lo straniero già espulso che si trovi
all’estero o alla frontiera o sul territorio dello Stato, (salvo che richieda
asilo o che nel Paese di provenienza rischi di subire persecuzioni o il rischio
di essere inviati verso Stati in cui non siano protetti da tale rischio), sia
considerato pericoloso per l’ordine pubblico o per la sicurezza nazionale o per
la sicurezza di altri Stati o delle relazioni internazionali ovvero qualora
risulti condannato per uno dei reati indicati nell’art. 3, comma 4 T.U., salvo
che siano intervenuti gli effetti dell’estinzione del reato o della
riabilitazione e salvi i casi di stranieri per i quali è richiesto il
ricongiungimento familiare. In tali ipotesi infatti lo straniero non può
comunque essere ammesso sul territorio dello Stato (art. 4,
commi 3 e 6 T.U.) e deve perciò essere respinto (art. 10 T.U.).
La vigente disciplina italiana del divieto di
reingresso per gli stranieri extracomunitari espulsi a seguito di provvedimento
amministrativo di espulsione appare non del tutto conforme al diritto
comunitario.
In proposito infatti si applica la direttiva
2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 dicembre 2008 recante
norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di
cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare (direttiva che deve
essere attuata entro il 24 dicembre 2010) il divieto di ingresso è obbligatorio
per ogni decisione di rimpatrio (la direttiva in base al suo art. 2, comma 2,
si applica soltanto ai provvedimenti che non siano effetto di condanne
giudiziarie per reati e dunque si applica soltanto ai divieti di rientro previsti
per gli espulsi mediante provvedimenti amministrativi di espulsione)
In generale peraltro l’art.
11, comma 1, della direttiva prevede due tipi di divieti di reingresso o,
meglio, di ingresso: uno obbligatorio e uno opzionale. A) un divieto
obbligatorio di ingresso nei casi in cui nella decisione di rimpatrio non sia
stato concesso un periodo per la partenza volontaria o nei casi in cui non sia
stato ottemperato all’obbligo di rimpatrio B) un divieto opzionale in cui ogni
Stato membro dell’Unione ha facoltà di corredare di un divieto di ingresso ogni
altro tipo di decisione di rimpatrio.
Invece l’art. 11, comma 2 della stessa direttiva
prevede che la durata del divieto d'ingresso è determinata tenendo debitamente
conto di tutte le circostanze pertinenti di ciascun caso e non supera di norma
i cinque anni, salvo che lo straniero extracomunitario costituisca una grave
minaccia per l'ordine pubblico, la pubblica sicurezza o la sicurezza nazionale.
Inoltre il comma 3 prescrive ad ogni Stato di
valutare la possibilità di revocare o sospendere un divieto d'ingresso disposto
nelle ipotesi opzionali qualora uno straniero extracomunitario possa dimostrare
di aver lasciato il territorio di uno Stato membro in piena ottemperanza di una
decisione di rimpatrio.
Si prevede altresì che ogni Stato ha facoltà di
astenersi per motivi umanitari dall'emettere, ovvero revocare o sospendere un
divieto d'ingresso, salvo che nei casi in cui lo straniero non abbia ottemperato all’obbligo di
lasciare spontaneamente il territorio dello Stato, nei confronti delle vittime
della tratta di esseri umani cui è stato concesso un permesso di soggiorno ai
sensi della direttiva
2004/81/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, riguardante il titolo di
soggiorno da rilasciare ai cittadini di paesi terzi vittime della tratta di
esseri umani o coinvolti in un'azione di favoreggiamento dell'immigrazione
illegale che cooperino con le autorità competenti, e purché lo stesso straniero
extracomunitario non rappresenti una minaccia per l'ordine pubblico, la
pubblica sicurezza o la sicurezza nazionale.
Ogni Stato in casi individuali o per talune
categorie di casi può altresì revocare o sospendere un divieto d'ingresso per
altri motivi.
Il comma 4 prevede altresì il caso in cui uno
Stato membro che preveda di rilasciare un permesso di soggiorno o un'altra
autorizzazione che conferisca il diritto di soggiornare ad uno straniero
extracomunitario colpito da un divieto d'ingresso disposto da un altro Stato
membro consulta preliminarmente lo Stato membro che lo ha disposto e tiene
conto degli interessi di quest'ultimo in conformità dell’art. 25 della
convenzione di applicazione dell’accordo di Schengen.
In ogni caso il comma 5 prevede che la disciplina
prevista dall’art. 11 della direttiva sul divieto di rientro non pregiudica
negli Stati membri il diritto alla protezione internazionale, quale definita
all'articolo 2, lettera a), della direttiva
2004/83/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, recante norme minime
sull'attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di
rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale,
nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta.
2. Il reingresso regolare dello straniero
espulso
Nell’ordinamento giuridico italiano lo straniero
extracomunitario già effettivamente espulso può fare successivamente
re-ingresso legale nel territorio nazionale anche prima della scadenza del
periodo di divieto di rientro nelle seguenti ipotesi
1) ingresso e soggiorno per motivi di giustizia;
2) ingresso al seguito di nulla-osta al ricongiungimento
familiare;
3) autorizzazione al rientro rilasciata dal
Ministro dell’Interno su richiesta presentata all’estero dallo stesso
straniero;
4) autorizzazione all’ingresso e al soggiorno
disposta dal tribunale per i minorenni in favore dell’adulto nell’interesse del
minore presente in Italia a causa di gravi motivi connessi col suo sviluppo
psico-fisico (art. 31 T.U.)
5) presentazione di domanda di asilo.
2.1. L'ingresso per motivi di giustizia.
L'art. 17
del T.U. prevede che lo straniero che sia parte offesa in un procedimento
penale ovvero esso stesso indagato o imputato è autorizzato a rientrare in
Italia per il tempo strettamente necessario per l'esercizio del diritto di difesa,
al solo fine di partecipare al giudizio o al compimento di atti per i quali è
necessaria la sua presenza.
L'autorizzazione
è rilasciata dal questore anche per il tramite di una rappresentanza
diplomatica o consolare su documentata richiesta della parte offesa,
dell'imputato o del difensore.
Per approfondimenti si veda la scheda “Ingresso e
soggiorno per motivi di giustizia”.
Peraltro dall’art. 17 T.U. si ricava che
l’autorizzazione al rientro dell’espulso per motivi di giustizia rilasciata dal
Questore non consente un definitivo rientro, bensì un rientro per un periodo
temporaneo che non estingue il divieto di reingresso, sicchè una volta conclusi
il giudizio o gli altri atti giudiziari che lo riguardano lo straniero espulso
deve comunque lasciare il territorio italiano, salvo che sia ormai trascorso il
periodo del divieto di rientro e lo straniero possa legalmente soggiornare ad
altro titolo.
2.2. L’ingresso a seguito di nulla-osta al
ricongiungimento familiare
Il divieto di reingresso non opera nei
confronti dello straniero per il quale è richiesto il ricongiungimento
familiare, ai sensi dell'art.
29 T.U., limitatamente alle ipotesi in cui lo straniero
extracomunitario era stato
precedentemente espulso con provvedimento amministrativo di espulsione adottato
per l’ingresso nel territorio italiano eludendo i controlli di frontiera o per
la revoca o l’annullamento del permesso di soggiorno o per la mancata
presentazione della domanda di rinnovo del permesso di soggiorno (art. 13,
comma 13 T.U., così come modificato da ultimo dal D. Lgs.
8 gennaio 2007 n. 5).
In tali ipotesi non opera infatti più
alcun automatismo tra precedente espulsione e divieto di reingresso, non
essendo lo straniero ammesso in Italia solo quando rappresenti una minaccia
concreta e attuale per l'ordine pubblico o la sicurezza dello Stato o di uno
dei Paesi con i quali l'Italia abbia sottoscritto accordi per la soppressione
dei controlli alle frontiere interne e la libera circolazione delle persone.
In materia la circolare
del Ministero dell’Interno 4 aprile 2008 ha specificato che, nelle ipotesi
in cui il familiare per il quale lo straniero chiede il ricongiungimento
risulti iscritto al Sistema Informativo Schengen (SIS) ai fini della non
ammissione, la Questura deve rilasciare un parere favorevole al
ricongiungimento familiare avente carattere provvisorio, salvo che riscontri
che lo stesso rappresenti una minaccia concreta ed attuale per l'ordine
pubblico o la sicurezza dello Stato.
Lo
Sportello Unico, ricevuto tale parere, invierà al richiedente il
ricongiungimento una nota con la quale lo si invita a comunicare al familiare
da ricongiungere di recarsi presso la rappresentanza diplomatica competente per
legalizzare la documentazione relativa alla consistenza dei rapporti familiari
esistenti con lo straniero richiedente.
La
comunicazione tra la rappresentanza diplomatica e la Questura consentirà la
cancellazione della segnalazione SIS e, successivamente, il rilascio del nulla
osta e del visto di ingresso.
Con circolare
del Ministero dell’Interno 17 febbraio 2009 si è inoltre specificato che la
cancellazione dal SIS dovrà avvenire solo dopo che siano stati verificati, con
esito positivo, la sussistenza dei requisiti di redditto e di alloggio
necessari al fine di ottenere il nulla-osta al ricongiungimento familiare.
2.3. L’autorizzazione ministeriale al
reingresso.
Lo straniero già espulso può fare rientro in
Italia, prima che sia concluso il periodo di divieto di reingresso, a seguito
di una speciale autorizzazione al rientro rilasciata dal Ministero
dell'interno. (art.
13 co. 13 e 14 T.U.).
La richiesta di autorizzazione speciale al rientro
in Italia è presentata dallo straniero espulso alla rappresentanza diplomatica
italiana dello Stato di appartenenza o di stabile residenza che provvede ad
inoltrarla al Ministero dell'Interno, previa verifica dell'identità e autentica
della firma del richiedente e acquisizione della documentazione attinente alla
motivazione per la quale si chiede il rientro, e provvede a notificare
all'interessato il provvedimento del Ministro dell'Interno (art. 19-bis del
regolamento di attuazione del T.U. approvato dal D.P.R.
n. 394/1999, introdotto dal regolamento approvato con D.P.R.
n. 334/2004).
E’ dunque evidente che la presentazione
dell’istanza per l’autorizzazione al reingresso deve essere presentata
all’estero personalmente dallo stesso espulso, il quale così facendo dimostra
di aver ottemperato all’obbligo di lasciare il territorio italiano previsto dal
provvedimento di espulsione.
Non è perciò possibile presentare una simile
istanza per delega o per posta, anche allorché lo straniero non abbia
effettivamente lasciato il territorio italiano.
La valutazione ministeriale in merito alla domanda
appare assai discrezionale, pur dovendo il Ministro soppesare da un lato i
motivi dell’espulsione e la sussistenza di eventuali cause ostative
all’ingresso, e dall’altro lato l’importanza, la consistenza e il grado di
tutela giuridica dei motivi addotti dallo straniero per rientrare in Italia
prima del decorso del periodo del divieto di rientro.
Il termine per la conclusione del procedimento è
di 120 giorni (D.M.
Interno 18 aprile 2000, n. 142, tabella A).
Il giudice competente contro il diniego
dell’autorizzazione ministeriale è il TAR Lazio ovvero il tribunale ordinario,
qualora sia coinvolto il diritto all’unità familiare (art. 30
u. c. T.U.).
L’autorizzazione ministeriale riguarda gli
stranieri espulsi per effetto dei provvedimenti amministrativi di espulsione
(ministeriali o prefettizi, mentre è assai dubbio che essa possa riguardare
anche gli stranieri espulsi per effetto di un provvedimento disposto
dall’autorità giudiziaria, sia perché l’art. 13, comma 13 T.U. è inserito
appunto un articolo che disciplina il provvedimento amministrativo di
espulsione, sia perché l’indipendenza costituzionale dell’ordine giudiziario da
ogni altro potere fa ritenere irrazionale che un’autorità nazionale di Governo
possa vanificare gli effetti di un provvedimento giudiziario.
2.4. L’ingresso dello straniero espulso
autorizzato dal tribunale per i minorenni per gravi motivi connessi con lo
sviluppo psicofisico del minore residente in Italia
L’ingresso e soggiorno dello straniero espulso, in
virtù dell’autorizzazione rilasciata dal tribunale per i minorenni perché
sussistono gravi motivi connessi con lo sviluppo psico-fisico del figlio o del
parente minorenne che già si trova in Italia(art. 31 T.U.) costituisce un'altra
ipotesi di rientro
2.5. Il reingresso per richiesta di asilo
Non è altresì illecito il rientro dello straniero
espulso che presenti domanda di protezione internazionale o comunque domanda di
asilo (cfr. art.
10, comma 4 T.U. e art. 7 d. lgs.
28 gennaio 2008, n. 25), sempre che la domanda abbia esito positivo, cioè
si concluda col riconoscimento dello status di rifugiato o dello status di
protezione sussidiaria o del permesso di soggiorno per motivi umanitari, perché
altrimenti lo straniero incorrerebbe nel reato di reingresso illegale (si veda
sotto).
3. Il reingresso non autorizzato dello
straniero espulso: i reati, la nuova espulsione e le conseguenze processuali.
Il rientro illegale dello straniero espulso prima
che sia esaurito il periodo previsto dal
divieto di reingresso costituisce un reato.
Più esattamente costituiscono due reati distinti
a) il rientro illegale dello straniero espulso, b) il rientro illegale di
straniero espulso nuovamente dopo essere stato già espulso ed essere già
rientrato illegalmente.
Tutti tali reati presuppongono 1) che lo straniero
sia stato già espulso; 2) che il provvedimento espulsivo sia già stato
effettivamente eseguito; 3) che il rientro sia avvenuto prima della scadenza
del periodo del divieto di rientro; 4) che il rientro sia avvenuto in mancanza
di un’autorizzazione concessa legalmente nei casi e nei modi indicati dalla
legge; 5) che lo straniero espulso sia effettivamente entrato nel territorio
dello Stato..
Perciò anzitutto lo straniero espulso che rientri
nel territorio italiano subisce sanzioni penali ed amministrative:
a)
lo straniero
destinatario di provvedimento amministrativo di espulsione è punito con la reclusione da un anno a quattro anni (art. 13
co. 13 T.U., come modificato dalla legge n. 189/2002) ed è inoltre
nuovamente espulso e allontanato con accompagnamento immediato alla frontiera (art. 13,
comma 13 T.U.); la
giurisprudenza dapprima ha ritenuto che la nuova espulsione sia una pena
accessoria che consegue necessariamente all’accertamento della responsabilità
per il rientro non autorizzato (Cass., sez. I,
1 aprile 2003-15 maggio 2003, n. 21382) e poi ha affermato la tsi della
natura di sanzione amministrativa accessoria (Cass. pen. 19
maggio- 16 giugno 2004, n. 27051) anche se nei confronti dello straniero
inottemperante al divieto di rientro a seguito di precedente espulsione deve in
ogni caso procedersi a nuovo procedimento amministrativo di espulsione da
eseguirsi con accompagnamento immediato alla frontiera, sicché in tali ipotesi
è illegittima l’adozione da parte del questore di un ordine di allontanamento
ai sensi dell’art. 14, comma 5-bis T.U. e dunque l’eventuale successiva inottemperanza a quest’ultimo
ordine non integra il reato previsto dall’art. 14, comma 5-ter T.U. (Cass. pen.,
sez. I, 26 settembre 2007, n. 40798);
b)
lo straniero
destinatario di un’espulsione disposta dal giudice (a titolo di
misura di sicurezza o di sanzione
sostituiva o di misura
alternativa alla detenzione) è punito con la reclusione da 1 a 4 anni di
reclusione (art.
13 co. 13 bis T.U., come modificato da ultimo dalla legge
12 novembre 2004 n. 271, e artt.
235, comma 2, e 312, comma 2, cod. pen., come
sostituito dall’art. 1, comm 1, lett. b) del D.L. 23
maggio 2008, n. 92, convertito con modificazioni nella legge
24 luglio 2008, n. 125);
c)
da 1 a 5
anni di reclusione se lo straniero espulso, già denunciato per il reingresso
illegale ed espulso (cioè effettivamente allontanato nuovamente dal territorio
italiano), abbia fatto reingresso sul territorio nazionale (art. 13
co. 13 bis T.U., come modificato da ultimo dalla legge
12 novembre 2004 n. 271). Quest’ultima norma è di dubbia costituzionalità
perché prevede una sanzione penale più grave soltanto sulla base di una
precedente denuncia (e non di una condanna definitiva), né è sicuro che sulla
precedente espulsione vi sia stato un effettivo e completo controllo
giurisdizionale prima della sua effettiva esecuzione.
In tutte le 3 ipotesi previste dall’art.
13, commi 13 e 13-bis T.U. lo
straniero deve essere arrestato
anche fuori della flagranza del fatto e si procede nei suoi confronti con rito
direttissimo (art.
13, comma 13-ter T.U., introdotto dalla legge n. 271/2004).
Dopo le modifiche del 2004 si tratta dunque di
reati istantanei seppur con effetti permanenti, che si consumano con il
reingresso illegale.
Il reingresso illegale dell’espulso produce
inoltre ulteriori conseguenze:
a) nei confronti dello straniero
espulso a titolo di sanzione sostitutiva (in sostituzione della pena detentiva inferiore
a 2 anni ovvero della pena pecuniaria per il reato di ingresso e soggiorno
illegale nel territorio dello Stato) si prevede che in caso di reingresso
illegale la sanzione sostitutiva sia revocata dal giudice competente (art. 16,
comma 4 T.U. ed art. 10-bis T.U., introdotto dalla legge
n. 94/2009);
b) nei confronti dello straniero espulso, già
denunciato per il reato di ingresso e soggiorno illegale
nel territorio dello Stato e il cui procedimento penale sia stato definito con
sentenza di non luogo a procedere proprio in virtù dell'avvenuta esecuzione del
procedimento di allontanamento, si
applica l’art. 345 cod.
proc. pen. (art. 10-bis
T.U., introdotto dalla
legge n. 94/2009), cioè si ripropone l’azione penale per il medesimo reato;
c) nei confronti dello straniero espulso, già
sottoposto a procedimento penale che sia stato definito
con sentenza di non luogo a procedere in virtù dell'avvenuta esecuzione del
procedimento di allontanamento (sentenza obbligatoria in tutte le ipotesi in
cui sia stata eseguita l'espulsione prima del provvedimento che dispone il
giudizio o della citazione diretta a giudizio – Così Corte
Costituzionale ordinanza 3 aprile 2006, n. 143), il quale rientri illegalmente nel territorio dello
Stato prima del decorso del periodo di divieto di rientro o, se di durata
superiore, prima del termine di prescrizione del reato più grave per il quale
si era proceduto nei suoi confronti, analogamente si applica l’art. 345 cod.
proc. pen. (cioè si ripropone l’azione penale per il medesimo reato) e, qualora
lo straniero sia stato scarcerato per decorrenza dei termini di durata massima
della custodia cautelare, la custodia cautelare è ripristinata ai sensi dell’art. 307
cod. proc. pen. (art. 13,
comma 3-quinquies T.U.,
introdotto dalla legge n. 189/2002).