ASGI

 

 

La prostituzione straniera

 

 

 

Scheda pratica a cura di Francesca Nicodemi  e Paolo Bonetti (Aggiornata al 30.10.2009)

 

 

 

Sommario

 

 

 

1.     La legislazione vigente in materia di prostituzione.

 

    1.1. Il fenomeno e la disciplina della prostituzione: i diversi approcci possibili.

 

    1.2. La legge 20 marzo 1958 n. 75.

 

    1.3. I reati di tratta di persone e riduzione o mantenimento in schiavitù.

 

    1.4. La prostituzione minorile.

 

2.     L’esercizio della prostituzione quale possibile motivo di diniego di rilascio, di rinnovo o di  revoca del titolo di soggiorno o quale possibile causa di  provvedimento amministrativo di espulsione delle persone sottoponibili a misure di prevenzione.

 

3.     Il favoreggiamento dell’immigrazione di stranieri da destinare alla prostituzione o allo sfruttamento della prostituzione.

 

4.     Il dibattito sul tema della prostituzione. Le proposte di modifica.

 

5.     Le ordinanze dei sindaci in materia di sicurezza urbana che riguardano la      prostituzione.

 

   5.1. I fondamenti normativi: il nuovo art. 54 del Testo unico dell’ordinamento degli enti locali ed il Decreto del Ministro dell’interno 5 agosto 2008.

 

   5.2. I contenuti delle ordinanze.

 

 

1.     La legislazione vigente in materia di prostituzione.

 

1.1. Il fenomeno e la disciplina della prostituzione: i diversi approcci possibili.

 

Il fenomeno della prostituzione ha rappresentato per l’intera Europa, nel corso degli ultimi secoli, una materia nei confronti della quale ogni Stato ha assunto politiche diverse e diverse risposte in ordine alla considerazione, anche criminogena, del fenomeno.

La prostituzione si colloca al confine tra l’intramontabile pratica di costume e il focolaio di reati contro la libertà individuale, l’identità sessuale, i reati connessi con la tratta degli stranieri e con lo sfruttamento delle condizioni delle persone più disagiate e ciò ha spinto i diversi ordinamenti ad atteggiare la propria legislazione penale secondo visioni diverse.

In effetti il fenomeno, nel corso degli anni, ha subito importanti modificazioni, tali per cui le persone che oggi sono dedite alla prostituzione sono in gran parte straniere, cittadine di Stati non appartenenti all’Unione Europea ovvero dei paesi recentemente entrati nell’Unione.

Ancora oggi il fenomeno è variamente affrontato dagli Ordinamenti europei seguendo quattro modelli generali di politiche in materia, tuttora esistenti, che rispondono ad altrettante visioni giuridico-morali, sociologico- culturali e general-preventive del fenomeno.

- L’approccio abolizionista, (seguito da Polonia, Portogallo, Repubblica Ceca, Repubblica Slovacca, Slovenia e Spagna) è quello che tollera il fenomeno e si astiene completamente dall’intervento in materia. La prostituzione non è quindi punita in sé ma lo è lo sfruttamento, per il suo rilievo criminologico.

- Il Neo-abolizionismo (tra gli altri: Belgio, Cipro, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Lussemburgo e Italia) è uno sviluppo del modello abolizionista. Secondo questa politica, la prostituzione è tollerata come pratica di costume e non può essere criminalizzata in sé e per sé poiché libera scelta dell’esercizio della propria sessualità, né può comunque essere tutelata. Pertanto l’ordinamento si astiene dal disciplinare il fenomeno; tuttavia, la pratica “istituzionalizzata” della prostituzione in luoghi chiusi, appartamenti, case di tolleranza o locali appositamente adibiti viene esplicitamente vietata.

- La politica Proibizionista (Irlanda, Lituania, Malta, Svezia) non ammette l’esistenza della prostituzione, spesso perché retaggio e simbolo del disvalore attribuito alla relazione extraconiugale o immorale. Considera il fenomeno come giuridicamente rilevante e lo vieta in ogni sua manifestazione, tanto che i soggetti interessati dal mercato del sesso possono subire sanzioni amministrative o penali.

- Il Regolamentarismo (adottato  da Austria, Germania, Grecia, Lettonia, Paesi Bassi, Regno Unito, Ungheria) è l’ordinamento che, fondandosi sulla naturalità dell’istinto sessuale che deve comunque essere soddisfatto in modo da non turbare l’ordine sociale e la struttura familiare, decide di disciplinare il fenomeno, che talvolta arriva ad assurgere quindi a mestiere. I soggetti esercenti la prostituzione sono talvolta registrati dalle autorità amministrative e sono autorizzati previo l’adempimento all’obbligo di sottoporsi ad accertamenti medico-sanitari e sociali.

 

 

 

 

 

1.2. La legge 20 marzo 1958 n. 75.

 

Con una scelta neo-abolizionista, in Italia, la legge 20 marzo 1958 n. 75 (c.d. “Legge Merlin”, dal nome della Senatrice socialista che, sin dal 1948, presentò al Senato il progetto di legge) ha abrogato il precedente sistema regolamentarista in vigore sotto il regime fascista, sicché oggi la prostituzione in luoghi pubblici o aperti al pubblico non è vietata, mentre lo è se esercitata in case di tolleranza o luoghi specificamente adibiti. Se si escludono i meri disegni di legge ed i recenti interventi normativi sui temi connessi, della prostituzione minorile (l. n. 269/1998), riduzione in schiavitù e tratta di esseri umani (l. 228/2003), si tratta della legislazione italiana tuttora vigente in materia.

Con l’art 3, la legge n. 75/1958 punisce con la reclusione da 2 a 6 anni e con la multa da € 258 ad € 10.329 molteplici ipotesi delittuose legate all’esercizio della prostituzione al chiuso, al suo favoreggiamento o al suo sfruttamento (n. 8).

In particolare, il favoreggiamento si colloca proprio come valvola di chiusura di tutto il sistema repressivo.

Segnatamente, è punito:

1) chiunque (…) abbia la proprietà o l'esercizio, sotto qualsiasi denominazione, di una casa di prostituzione, o comunque la controlli, o diriga, o amministri, ovvero partecipi alla proprietà, esercizio, direzione o amministrazione di essa;

2) chiunque avendo la proprietà o l'amministrazione di una casa od altro locale, li conceda in locazione a scopo di esercizio di una casa di prostituzione;

3) chiunque, essendo proprietario, gerente o preposto a un albergo, casa mobiliata, pensione, spaccio di bevande, circolo, locale da ballo, o luogo di spettacolo, o loro annessi e dipendenze o qualunque locale aperto al pubblico od utilizzato dal pubblico, vi tollera abitualmente la presenza di una o più persone che, all'interno del locale stesso, si danno alla prostituzione;

4) chiunque recluti una persona al fine di farle esercitare la prostituzione, o ne agevoli a tal fine la prostituzione;

5) chiunque induca alla prostituzione una donna di età maggiore, o compia atti di lenocinio, sia personalmente in luoghi pubblici o aperti al pubblico, sia a mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità;

6) chiunque induca una persona a recarsi nel territorio di un altro Stato o comunque luogo diverso da quello della sua abituale residenza, al fine di esercitarvi la prostituzione ovvero si intrometta per agevolarne la partenza;

7) chiunque esplichi un'attività in associazioni ed organizzazioni nazionali ed estere dedite al reclutamento di persone da destinare alla prostituzione od allo sfruttamento della prostituzione, ovvero in qualsiasi forma e con qualsiasi mezzo agevoli o favorisca l'azione o gli scopi delle predette associazioni od organizzazioni;

8) chiunque in qualsiasi modo favorisca o sfrutti la prostituzione altrui.

In tutti i casi previsti nel n. 3) alle pene in essi comminate, si aggiunge la perdita della licenza d'esercizio e potrà anche essere ordinata la chiusura definitiva dell'esercizio. I delitti previsti dai nn. 4) e 5), se commessi da un cittadino in territorio estero, sono punibili in quanto le convenzioni internazionali lo prevedano.

Per quanto qui interessa, vengono in rilievo i nn. 6 e 7 dell’art. 3, i quali tutelano il duplice interesse di:

- impedire i movimenti di mercato delle persone dedite alla prostituzione che incrementano e alimentano la prostituzione stessa, in qualsiasi forma associativa volta al suo reclutamento al suo sfruttamento, e, nello stesso tempo

- tutelare la dignità della persona impedendone l’allontanamento dal proprio ambiente e relativo controllo sociale.

A tenore dell’art. 4, sono previste delle aggravanti speciali comportanti un raddoppio di pena nel caso in cui:

1) il fatto è commesso con violenza minaccia, inganno;

2) il fatto è commesso ai danni di persona minore degli anni 21 o di persona in stato di infermità o minoranza psichica, naturale o provocata;

3)  il colpevole è un ascendente, un affine in linea retta ascendente, il marito, il fratello, o la sorella, il padre o la madre adottivi, il tutore;

4) al colpevole la persona è stata affidata per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza, di custodia;

5) il fatto è commesso ai danni di persone aventi rapporti di servizio domestico o d'impiego;

6)  il fatto è commesso da pubblici ufficiali nell'esercizio delle loro funzioni;

7) il fatto è commesso ai danni di più persone;

7 bis) il fatto è commesso ai danni di una persona tossicodipendente.

Con le previsioni dell’art. 5 sembra ugualmente sanzionato l’”adescamento” ed il c.d. “invito al libertinaggio”, sotto diverse forme e modalità. Il primo consiste nella condotta di chi capta e attira l’interesse dell’avventore che usufruirà della prestazione sessuale, il secondo intende anche gli atti richiesti insistentemente dal cliente. Tali concetti hanno prodotto un notevole dibattito in dottrina e in giurisprudenza, anche a causa del fatto che la norma, che originariamente prevedeva una contravvenzione, anticipava la soglia della tutela penale ad un fenomeno meramente prodromico all’esercizio della prostituzione. In seguito all’intervento del D. Lgs. 30 dicembre 1999 n. 507 detti illeciti sono stati depenalizzati, talché, se prima si prevedeva, in caso di violazione dell’art. 5, l’arresto fino ad otto giorni e l’ammenda da 10.000 lire a 25.000 lire, oggi è prevista la sola sanzione amministrativa pecuniaria.

Come si evince dall’art. 6, i delitti previsti e menzionati possono presentarsi sia nella forma consumata sia nella forma tentata.

L’art. 538 c.p. prevede l’applicazione facoltativa della misura di sicurezza detentiva in caso di condanna per il delitto previsto dall’art. 531 c.p., precedente alla modifica intervenuta con la l. 75/1958. Dottrina e giurisprudenza si sono comunque orientate a ritenere che la disposizione sia applicabile a tutte le ipotesi previste dalla Legge Merlin corrispondenti alle figure criminose del codice sostituite, e che essa non sia applicabile in caso di condanna per delitto tentato.

Disposizioni connesse allo sfruttamento e ai reati legati alla prostituzione sono previste anche in materia di prostituzione minorile (art. 600-bis c.p.). In questo caso le pene previste sono maggiori e colpiscono chiunque induca il soggetto passivo infradiciottenne a prostituirsi, ne favorisca o sfrutti la prostituzione, con la reclusione da 6 a 12 anni (cfr. par. 1.4).

 

 

 

 

 

 

 

    1.3. I reati di “riduzione o mantenimento in schiavitù” e “tratta di persone”.

 

I delitti sanzionati con il nome di “Tratta di persone” e “Riduzione e mantenimento in schiavitù” rappresentano due momenti di un fenomeno che affonda le sue radici in contesti storici e sociologici risalenti e concettualmente distanti, in cui la disuguaglianza permeava l’intera struttura sociale.

Intramontabili retaggi di pratiche mai estintesi, entrambi i reati si sono evoluti nella storia da simbolo colonialista ad attuale oggetto e mezzo operativo delle moderne organizzazioni criminali transnazionali, interessando così il sistema repressivo penale degli ordinamenti interni come della Comunità Internazionale.

Le previsioni di entrambi i reati in questione costituiscono infatti adempimento di obblighi comunitari e internazionali: la Convenzione ONU contro la criminalità organizzata transnazionale, con i due protocolli, sulla tratta di persone, ratificata e resa esecutiva con legge  16 marzo 2006 n. 146 -  all’art. 4 prevede l’obbligo per ogni Stato, di adottare le misure legislative e di altro tipo necessarie per conferire il carattere di reato alla condotta di tratta, di cui al precedente art. 3, quando essa è posta in essere intenzionalmente - e sul traffico di migranti, sottoscritti nel corso della Conferenza di Palermo del 12-15.12.2000. Inoltre, nell’ambito dell’UE la Decisione Quadro n. 629 del 19.7.2002 fissa gli standard a cui gli Stati membri devono uniformarsi nell’elaborazione degli strumenti normativi a contrasto del fenomeno della tratta.

In Italia la legge 11 agosto 2003 n. 228 recante “Misure contro la tratta di persone”, in conformità con il Protocollo delle Nazioni Unite, ha modificato i reati di cui agli artt. 600, 601 e 602 del codice penale, così riformulando i delitti di riduzione o mantenimento in schiavitù, tratta di persone e acquisto o alienazione di schiavi, adeguando le figure delittuose alla realtà fenomenologica attuale.

 

a)   Il delitto di “Riduzione o mantenimento in schiavitù” (art. 600 c.p.)

 

La figura delittuosa di “riduzione e mantenimento in schiavitù” prevista e punita dall’art. 600 c.p. è considerata in dottrina la figura chiave per la comprensione di tutti gli strumenti repressivi di cui è dotato l’ordinamento per il contrasto dell’intero ciclo criminoso dello sfruttamento-asservimento e tratta di persone, in adempimento degli obblighi internazionali assunti. E’ spesso sulla base delle due condotte penalmente rilevanti ivi previste, infatti, che nella legislazione in materia si è sviluppato il sistema punitivo ad hoc, ivi compresi gli articoli successivi al 600 c.p.

Il soggetto passivo può essere qualsiasi persona. In particolare la vittima può essere un cittadino italiano, comunitario, extracomunitario o apolide.

Si puniscono le seguenti condotte:

a)   colui che esercita “poteri corrispondenti al diritto di proprietà”, con una terminologia e impostazione risalente all’edizione del codice del 1930;

b)   colui che “riduce o mantiene una persona in stato di soggezione continuativa, costringendola a prestazioni lavorative o sessuali ovvero all’accattonaggio o comunque a prestazioni che ne comportino lo sfruttamento”. Quanto al concetto di sfruttamento, l’elemento che costituisce l’evento del reato, può identificarsi come il vantaggio procurato senza giusta causa né titolo, ottenuto attraverso l’uso di altrui capacità e garantito dalla condizione minorata del soggetto passivo,

Quanto alle modalità con cui avvenga il mantenimento in soggezione, (in ottemperanza al protocollo addizionale alla Convenzione sul crimine organizzato transnazionale di Palermo) la nuova condotta penale di riduzione o mantenimento in servitù richiede analiticamente che la soggezione sia procurata con modalità precise, anche se non si specifica il contenuto della soggezione. Lo stato di soggezione deve essere ottenuto attraverso una delle seguenti modalità:

a) violenza, minaccia, inganno;

b) abuso di autorità (intendendosi per autorità qualsiasi situazione in cui - in forza di un rapporto di gerarchia, potestà o altro genere di facoltà - un individuo si trova legittimamente soggetto al potere di un'altra persona);

c) approfittamento di una situazione di inferiorità fisica o psichica o di una situazione di necessità (intendendosi con tale indeterminata espressione finanche le più svariate cause e situazioni dovute al vissuto socio-culturale dei soggetti interessati);

d) la promessa o la dazione di somme di denaro o di altri vantaggi a chi ha autorità sulla persona.

In ordine alle “prestazioni” che costituiscono lo scopo della soggezione si fa riferimento a:

a)   prestazioni lavorative o sessuali (con una accezione, quest’ultimo termine di portata più ampia che non il semplice concetto di “prostituzione”, che costituisce peraltro uno specifico motivo di aggravamento della pena);

b)   accattonaggio;

c)   altre forme di sfruttamento.

Ai fini della punibilità dell’esecutore materiale si considera penalmente punibile, trattandosi di delitti dolosi, chi abbia commesso il fatto con un minimo di coscienza e volontà di realizzare la condotta sanzionata, con particolare attenzione al grado di alterazione volitiva e di autodeterminazione causato dallo stato di soggezione.

La pena prevista è la reclusione dagli otto ai venti anni. La pena è aumentata da un terzo fino alla metà qualora i delitti siano commessi a danno di minori o siano diretti allo sfruttamento della prostituzione o al fine di sottoporre la persona offesa al prelievo di organi.

E’ configurabile il tentativo, cioè l’esperimento di condotte idonee e dirette in modo non equivoco alla commissione di tali delitti.

 

 

b)    Il delitto di “Tratta di persone” (art. 601 c.p.)

 

Il delitto di tratta di persone, disciplinato all’art. 601 del codice penale, è fortemente collegato al reato di cui all’art. 600 c.p., integrandone nella pratica frequentemente la conseguenza, il presupposto o l’evoluzione criminosa.

In base all’art. 3 del Protocollo addizionale alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale, costituisce Tratta di persone “...il reclutamento, trasporto, trasferimento, l’ospitare o accogliere persone, tramite l’impiego o la minaccia di impiego della forza o di altre forme di coercizione, di rapimento, di frode, inganno, abuso di potere o di una posizione di vulnerabilità e tramite il dare o ricevere somme di denaro o vantaggi per ottenere il consenso di una persona  che ha autorità sull’altra a scopo di sfruttamento. Lo sfruttamento comprende, come minimo, lo sfruttamento della prostituzione altrui o altre forme di sfruttamento sessuale, il lavoro forzato o prestazioni forzate, schiavitù o pratiche analoghe, l’asservimento o il prelievo di organi. Il reclutamento, trasporto, trasferimento, l’ospitare o accogliere un bambino (ovvero persona al di sotto di anni 18) ai fini dello sfruttamento sono considerati “tratta di persone” anche se non comportano l’utilizzo di nessuno dei mezzi sopraindicati sulla nozione “tratta di persone”.

L’art. 601 c.p., in adesione alle previsioni anzidette, costituisce uno dei primi reati transnazionali previsti dal nostro codice.

Riformulato dall’art. 2 della legge 11 agosto 2003 n. 228, definisce due diverse condotte, rispettivamente individuabili come l’antecedente o la conseguenza criminosi della riduzione in schiavitù o servitù. Per entrambe le condotte, la norma prevede l’eguale pena della reclusione da otto a venti anni prevista per i delitti di cui all’art. 600 c.p.

1) La prima ipotesi concerne la commissione di “tratta” delle persone che si trovino nelle condizioni di schiavitù ai sensi dell’art. 600 c.p. Soggetto passivo della prima ipotesi incriminatrice può essere il cittadino o lo straniero o apolide che si trovi nelle condizioni di schiavitù o servitù incriminate dall’art. 600 c.p..

L’art. 15 comma 6 della legge n. 228/2003 dispone per i medesimi reati la comunicazione al tribunale per i minorenni quando si procede per fatti commessi in danno di minori.

2) La seconda, sanziona invece chi, al fine di commettere i delitti di riduzione o mantenimento in schiavitù o servitù “ induce mediante inganno o costringe mediante violenza, minaccia, abuso di autorità o approfittamento di una situazione di inferiorità fisica o psichica o di una situazione di necessità, o mediante promessa o dazione di somme di denaro o di altri vantaggi alla persona che su di essa ha autorità, a fare ingresso o a soggiornare o a uscire dal territorio dello Stato o a trasferirsi al suo interno”. Questa condotta interessa un soggetto passivo (ancora) estraneo allo sfruttamento. E’ dunque evidente che il legislatore abbia voluto punire con una pena unica anche la condotta di chi costringe o induce con l’inganno una persona libera, allo scopo di poterla sfruttare in un momento successivo. La norma in esame punisce, dunque, un fenomeno prodromico allo sfruttamento e alla riduzione in schiavitù o servitù, sanzionando quindi una condotta a che è stata definita di “circolazione” (intendendo con questo il complesso di movimenti quali l’ingresso, il soggiorno, il trasferimento e l’uscita dal territorio italiano) commessa con le modalità previste ai danni di persone libere.

Sulla base della terminologia utilizzata, la norma opera una chiara equivalenza tra la tratta interna ed il soggiorno forzato, il che evidenzia che lo scopo della norma è quello non tanto di garantire il controllo del territorio dello Stato, quanto piuttosto quello di tutelare il diritto personale alla libera autodeterminazione.

Una circostanza aggravante speciale è inserita qualora le condotte previste siano commesse “in danno di minore degli anni diciotto o siano diretti allo sfruttamento della prostituzione o al fine di sottoporre la persona offesa al prelievo di organi”.

L’art. 13 della legge 11 agosto 2003 n. 228 ha istituito uno speciale programma di protezione per le vittime dei reati previsti dagli artt. 600 e 601 c.p. Si veda la scheda sulle Misure di protezione sociale.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

    1.4. La prostituzione minorile.

 

L’introduzione dell’art. 600-bis del codice penale, che punisce la prostituzione minorile, è stata indotta dal complesso scenario criminologico recente, segnato da una preoccupante crescita di quelle tendenze a ricercare nell’individuo di minore età l’oggetto di sfruttamenti, maltrattamenti, tratta, turismo internazionale o anche semplici prestazioni sessuali per fini di lucro.

Proprio per prevenire e punire questi orientamenti e per tutelare “l’integrità e lo sviluppo fisico, psicologico, spirituale morale e sociale del minore”, e anche su impulso di strumenti internazionali quali la Convenzione Onu sui diritti del fanciullo, ratificata e resa esecutiva dall’Italia con la legge 27 maggio 1991 n. 176, la Dichiarazione finale della Conferenza di Stoccolma, adottata il 31 agosto 1996, e in adesione al considerando n. 4 della Decisione Quadro 2004/68/GAI del Consiglio d’Europa, la legge 3 agosto 1998 n. 269 ha previsto e sanzionato, con l’inserimento nel codice penale del nuovo art. 600bis, le condotte di induzione, sfruttamento e favoreggiamento, fruizione e pratica della prostituzione minorile.

Il primo comma dell’art. 600-bis c.p. prevede che “Chiunque induce alla prostituzione una persona di età inferiore agli anni diciotto ovvero ne favorisce o sfrutta la prostituzione è punito con la reclusione da sei a dodici anni e con la multa da euro 15.493  a euro 154.937”.

Secondo la previsione contenuta nel secondo comma, inoltre, tra l’altro, “chiunque compie atti sessuali con un minore di età compresa fra i quattordici ed i sedici anni, in cambio di denaro o di altra utilità economica, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni o con la multa non inferiore ad euro 5.164”.

Per la prima volta l’ordinamento punisce il cliente o fruitore della prestazione in sé, scelta di per sé estranea alla tradizione giuridica dell’ordinamento italiano e al modello classico di politiche prostituzionali. Questi è dunque soggetto alla pena prevista “salvo che il fatto non costituisca più grave reato”.

Soggetto attivo delle fattispecie previste è “chiunque”.

Soggetto passivo è il minore. La scelta di fissare la soglia di età del soggetto passivo nel compimento del diciottesimo anno di età è suggerita dagli strumenti internazionali anzidetti.

Il sinallagma “prestazione sessuale-corrispettivo economico” richiesto dalla norma incriminatrice include nel concetto di “corrispettivo” qualsiasi utilità suscettibile di valutazione in termini economici.

Entrambi i reati previsti dall’art. 600-bis cod. pen. sono puniti a titolo di dolo generico, non rinvenendosi ipotesi di sfruttamento per ragioni specifiche.

Le condotte collaterali di induzione, sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione minorile costituiscono fattispecie autonome di reato, che contribuiscono a configurare un delitto unico che si può realizzare attraverso una pluralità di comportamenti tipici alternativi, con la conseguenza che tra le diverse ipotesi criminose non può ipotizzarsi un concorso di reati.

Ciascuna fattispecie configura inoltre un reato eventualmente abituale, talché quando si verifichi la reiterazione di simili condotte il reato resta comunque unico. Tali condotte sono inoltre accomunate nella risposta sanzionatoria.

Secondo l’art 600-sexies del codice penale, circostanze aggravanti sono previste per il delitto di sfruttamento se il fatto è commesso a danno di minore di anni quattordici.

Ancora maggiore è l’aumento della pena se lo stesso reato è commesso in danno di minore in stato di infermità o minoranza psichica naturale o provocata ovvero se la condotta è posta in essere da specifiche categorie di soggetti, quali l’ascendente, un adulto al quale il minore è stato per le ragioni espresse affidato, il pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio nell’esercizio delle loro funzioni o, ancora, se il fatto è commesso con violenza o minaccia.

L’attenuante ad effetto speciale della pena è disposta qualora il soggetto agente si adoperi concretamente in modo che il minore riacquisti la propria autonomia e libertà.

Dal punto di vista processuale, la massima attenzione dell’ordinamento al fenomeno comporta che i reati previsti e puniti dal primo comma dell’art. 600-bis c. p. sono di competenza del Tribunale in composizione collegiale, mentre il reato previsto dal comma 2 rientra nelle attribuzioni del Tribunale in composizione monocratica, a meno che non ricorrano le aggravanti anzidette.

Ulteriori attenzioni sono riservate alla tutela dell’integrità psico-fisica della vittima, prevedendosi ad esempio la deroga alla pubblicità del dibattimento e una serie di garanzie nell’escussione della persona offesa minore.

Il contrasto al fenomeno di diffusione globale, anche fuori dai confini nazionali, ha indotto  a stabilire, nell’art 604 c.p., che le previsioni in materia si applichino altresì “quando il fatto è commesso all’estero da cittadino italiano, ovvero in danno di cittadino italiano, ovvero dallo straniero in concorso con cittadino italiano”. In quest’ultima ipotesi lo straniero è punibile quando si tratta di delitto per il quale è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni e quando vi è stata la richiesta di procedibilità da parte del Ministro della Giustizia. Alo straniero deve essere equiparato l’apolide ai sensi dell’art. 1 del testo unico delle disposizioni legislative concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sullo straniero, approvato con d. lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (di seguito definito come “T.U.”).

L’art. 1, comma 29 della legge 15 luglio 2009 n. 94, recante disposizioni in materia di sicurezza pubblica, prevede ora una norma specifica relativa al rimpatrio assistito dei minori non accompagnati cittadini dell’Unione europea trovati ad esercitare la prostituzione sul territorio italiano.

Si stabilisce che “Nei limiti delle risorse assegnate per le finalità di cui all’art. 45 del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286, nell’ambito delle risorse del Fondo nazionale per le politiche sociali di cui all’art. 20 comma 8 della legge 8 novembre 2000 n. 328, le disposizioni relative al rimpatrio assistito di cui all’art. 33, comma 2bis, del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 286 del 1998 si applicano ai minori cittadini dell’Unione europea non accompagnati presenti nel territorio dello Stato che esercitano la prostituzione, quando sia necessario nell’interesse del minore stesso, secondo quanto previsto dalla Convenzione sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, ratificata ai sensi della legge 27 maggio 1991 n. 176”.

Si estendono pertanto le disposizioni contenute nell’art. 33, commi 2 e 2-bis T.U. relative al rimpatrio assistito dei minori stranieri non accompagnati ad una specifica categoria di minori comunitari.

L’intento del legislatore è stato evidentemente quello di assicurare adeguata tutela ad una categoria considerata particolarmente vulnerabile di minori, ritenendo che l’esercizio della prostituzione sia riconducibile a situazioni di grave disagio, spesso connesse a vicende di sfruttamento e di tratta.

Detta previsione, tuttavia, non può che lasciare perplessi sotto il profilo delle misure maggiormente adeguate per il minore coinvolto in tali vicende, anche in considerazione della vigenza nel nostro ordinamento di norme che garantiscono efficaci misure di protezione e assistenza delle vittime di tratta, ivi compresi i cittadini dell’Unione Europea (art. 18 comma 6-bis T.U.) e tra questi sicuramente anche i minori.

 

 

 

2.    L’esercizio della prostituzione quale possibile motivo di diniego di rilascio, di rinnovo o di  revoca del titolo di soggiorno o quale possibile causa di provvedimento amministrativo di espulsione delle persone sottoponibili a misure di prevenzione.

 

La circostanza che la persona straniera eserciti la prostituzione ha costituito talvolta, in giurisprudenza, motivo ostativo al rilascio e al rinnovo del permesso di soggiorno.

Sebbene l’esercizio della prostituzione non sia attività penalmente rilevante nel nostro ordinamento giuridico, salvo le fattispecie di cui all’art. 3 della legge n. 75/1958, e dunque non possano venire in rilievo le ipotesi previste dal testo unico quali motivi ostativi al rilascio del permesso di soggiorno sotto il profilo di condanna per alcune tipologie di reato, più volte il giudice amministrativo ha ritenuto legittimi i provvedimenti del Questore che hanno ritenuto di non rilasciare o di non rinnovare ovvero ancora di revocare il permesso di soggiorno di cui erano titolari stranieri ove fosse accertato che svolgessero attività di meretricio.

Detti provvedimenti, nella maggior parte dei casi si fondano sulla circostanza secondo la quale in tali casi risultava essere venuto meno uno dei requisiti necessari per il soggiorno sul territorio dello Stato degli stranieri extracomunitari, ossia la disponibilità dei mezzi leciti di sussistenza sufficienti per la durata del soggiorno, requisito previsto all’art. 4 comma 3 e 5 comma T.U.

In particolare a proposito del rilascio del permesso di soggiorno, il Consiglio di Stato, in casi in cui la persona straniera era stata sorpresa a svolgere attività di meretricio e quindi attività diversa da quella per la quale aveva chiesto il rilascio di permesso di soggiorno, ha più volte affermato, sulla base dell’interpretazione degli artt. 4 comma 3 e 5 comma 5 T.U., che l’indisponibilità, da parte della persona interessata, di mezzi leciti di sussistenza sufficienti per la durata del soggiorno comportasse la mancanza del requisito richiesto per il soggiorno sul territorio e legittimasse l’emanazione del provvedimento del questore. (Consiglio di Stato, sez. VI, decisione 10 maggio 2007, n. 2231; Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 20 luglio 2006, n. 4599; Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 10 giugno 2004, n. 3716).

Analogamente, in ordine ad ipotesi di revoca del permesso di soggiorno, il Consiglio di Stato si è pronunciato nel senso di ritenere che l’attività di meretricio sia incompatibile con la presenza regolare sul territorio di un cittadino straniero, non potendo considerarsi il reddito dallo stesso percepito derivante da fonti lecite.

La sentenza Consiglio di Stato, sez. VI, 3 marzo 2007, n. 1024 ha ritenuto legittimo il provvedimento di revoca del permesso di soggiorno in un caso di tal genere sulla base di una duplice motivazione: l’attività effettivamente svolta “indipendentemente da ogni collegamento con il mutevole concetto del buon costume”, non si può catalogare tra le fonti lecite di guadagno e si configura come “ontologicamente diversa da quella ipoteticamente giustificante il rilascio del permesso di soggiorno”.

Ancora la sentenza Consiglio di Stato 4 aprile 2007, n. 1516 ha ritenuto legittimo il provvedimento del questore che aveva revocato il permesso di soggiorno di una cittadina straniera poiché, in seguito ad alcuni accertamenti, era emerso che essa esercitava attività di meretricio. La decisione è stata assunta sulla base della argomentazione per cui la ricorrente svolgeva attività diversa da quella per la quale era stato rilasciato il permesso di soggiorno ed aveva utilizzato il permesso stesso “per dedicarsi ad occupazione diversa, notoriamente contigua alla malavita”.

La sentenza T.A.R. Piemonte, 12 novembre 2008, n. 3063 ha respinto il ricorso avverso un provvedimento di rifiuto al rinnovo di permesso di soggiorno per motivi di lavoro presentato da una donna straniera dopo che era stato accertato che non svolgeva alcuna attività di lavoro subordinato ma piuttosto attività di prostituzione. Nel caso in esame la domanda non poteva essere accolta, ad avviso del Tribunale amministrativo, non soltanto perché la ricorrente era prostituta ma altresì perché non risultava sussistere alcun rapporto di lavoro, e, in virtù della prima circostanza, non disponeva  di mezzi leciti per il proprio sostentamento.

In senso contrario, si segnala infine la sentenza del Consiglio di Stato, sez. VI, 27 luglio 2007, n. 4164 che ha dichiarato illegittimo il provvedimento del questore di rifiuto al rinnovo del permesso di soggiorno motivato dalla circostanza che la persona era stata sorpresa a svolgere attività di prostituzione. In tale caso tuttavia il Consiglio di Stato non ha del tutto escluso il carattere ostativo di una simile circostanza al rinnovo del permesso ma si è limitato a ritenere che “l’accertamento di una singola occasione dello svolgimento dell’attività di meretricio non dimostra l’abitualità della prestazione e dunque non è sufficiente ad escludere il possesso di una regolare attività lavorativa”.

Un caso isolato costituisce l’ordinanza del Tribunale ordinario di Genova del 27 dicembre 2007 che ha annullato un provvedimento di allontanamento di una cittadina comunitaria, nella specie romena, disposto dall’art. 20 commi 7- bis e 7-ter D. Lgs. n. 30/2007 (così come modificato dal D.L. n. 181/2007). Il provvedimento del Prefetto adduceva quale motivazione lo svolgimento da parte dell’interessata dell’attività di prostituzione e dunque la sussistenza di motivi incompatibili alla presenza sul territorio della stessa in considerazione di imperativi motivi di pubblica sicurezza. Il Tribunale ha ritenuto che “la donna che si prostituisce (quanto meno in assenza di modalità tali da integrare fattispecie di reato, che, come si è detto, nel caso in esame non sono state minimamente dimostrate), non solo non pone in essere un'attività di per sé «pericolosa» per l'ordine pubblico o per pubblica sicurezza pubblica, ma neppure tale da ledere o da compromettere la «dignità umana»”. Di particolare interesse la decisione del Tribunale di Genova relativamente all’analisi dei beni giuridici protetti in tali fattispecie ed alla interpretazione della normativa di riferimento, nella parte in cui precisa che “«l'allarme sociale», richiamato dal decreto opposto, anche ove concretamente dimostrato, sarebbe privo di rilevanza giuridica ai fini che qui interessano. Per completezza si può rilevare che tale «allarme sociale», genericamente inteso, nulla sembra avere a che vedere con quel bisogno di sicurezza del cittadino che, in quanto collegato ad una effettiva mancanza di sicurezza, intesa come paura di vedere violata la propria libertà e la propria incolumità, laddove si tratti di fenomeno reale e giustificato, è, in tale caso, davvero riconducibile a un diritto fondamentale della persona costituzionalmente garantito”.

E’ opportuno infine ricordare che l'art. 13, 2° comma lettera c) T.U. consente al prefetto di espellere lo straniero che appartiene a taluna delle categorie indicate nell'articolo 1 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, come sostituito dall'art. 2 della legge n. 3 agosto 1988, n. 327, recante "misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e la pubblica moralità".

L’art. 1 della legge n. 1423/1956 prevede le seguenti fattispecie:

1)     coloro che debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che sono abitualmente dediti a traffici delittuosi;

2)     coloro che per la condotta ed il tenore di vita debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi delle attività delittuose;

3)     coloro che per il loro comportamento debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che sono dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l’integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica.

Ove pertanto si ritenesse che le persone dedite alla prostituzione rientrino nelle fattispecie indicate all’art. 1 della predetta legge, dovrebbe considerarsi legittima la misura dell’espulsione adottata dal Prefetto nei confronti di una persona straniera per il solo fatto che questa sia stata trovata nell’atto di prostituirsi.

Da segnalarsi che nella fase precedente all’emanazione del decreto legge 23 maggio 2008, n. 92 (c.d. decreto sicurezza) era stata presentato un emendamento contenente una proposta di modifica della legge del n. 1423/56 sulle misure di prevenzione, che prevedeva l’inserimento delle prostitute nella categoria delle persone pericolose. L'emendamento, successivamente non approvato, prevedeva che dovesse essere considerato soggetto pericoloso per la sicurezza e moralità anche chi vive "del provento della propria prostituzione e venga colto nel palese esercizio di detta attività"'.

 

 

 

3. Il favoreggiamento dell’immigrazione di stranieri da destinare alla prostituzione o allo sfruttamento della prostituzione

 

In presenza del crescente numero di persone, soprattutto donne, di nazionalità straniera che vengono condotte in Italia al fine di essere avviate alla prostituzione, occorre ricordare che l’art. 12 comma 3ter T.U. - comma introdotto dal D.L. 12 settembre 1004 n. 241 convertito con modificazioni nella legge 12 novembre 2004 n. 271 e recentemente modificato ad opera della legge 15 luglio 2009 n. 94 - prevede un’aggravante speciale del delitto di favoreggiamento all’ingresso illegale del cittadino straniero ove la finalità dell’ingresso sia il reclutamento per l’avvio alla prostituzione o allo sfruttamento sessuale.

Le norme internazionali mirano a punire il fenomeno criminale consistente nel procurare l’ingresso di persone straniere in un paese terzo, distinguendo una duplice fattispecie a seconda che vi sia lo scopo ultimo dello sfruttamento ovvero questo non sussista.  La convenzione delle Nazioni Unite sul crimine organizzato transnazionale del 2000 ha distinto efficacemente le due fattispecie del trafficking of human beings (la tratta di persone) e dello smuggling of migrants (il favoreggiamento all’immigrazione illegale), con ciò evidenziando l’elemento ulteriore che deve necessariamente sussistere nel reato di tratta con riferimento allo scopo ultimo che la condotta dell’autore mira a perseguire.

Gli ordinamenti nazionali hanno recepito tale distinzione legata alle due forme di movimento transnazionale di migranti: così in Italia  il reato di tratta di persone trova disciplina nell’art. 601 c.p. come modificato dalla legge n. 228/2003 e il favoreggiamento all’immigrazione illegale è sanzionato dall’art. 12 T.U.

Quest’ultima norma è stata oggetto di modifiche da parte della legge n. 94/2009 recante misure in materia di sicurezza pubblica.

Oggi l’art. 12 comma 1 stabilisce che “salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, in violazione delle disposizioni del presente testo unico, promuove, dirige, organizza, finanzia o effettua il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato ovvero compie altri atti diretti a procurarne illegalmente l'ingresso nel territorio dello Stato, ovvero di altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa di 15.000 euro per ogni persona”.

Il comma 3 dell’art. 12 prevede inoltre che “salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, in violazione delle disposizioni del presente testo unico, promuove, dirige, organizza, finanzia o effettua il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato ovvero compie altri atti diretti a procurarne illegalmente l'ingresso nel territorio dello Stato, ovvero di altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente, è punito con la reclusione da cinque a quindici anni e con la multa di 15.000 euro per ogni persona nel caso in cui:

a)      il fatto riguarda l'ingresso o la permanenza illegale nel territorio dello Stato di cinque o più persone;

b)     la persona trasportata è stata esposta a pericolo per la sua vita o per la sua incolumità per procurarne l'ingresso o la permanenza illegale;

c)      la persona trasportata è stata sottoposta a trattamento inumano o degradante per procurarne l'ingresso o la permanenza illegale;

d)     il fatto è commesso da tre o più persone in concorso tra loro o utilizzando servizi internazionali di trasporto ovvero documenti contraffatti o alterati o comunque illegalmente ottenuti;

e) gli autori del fatto hanno la disponibilità di armi o materie esplodenti

Il comma 3 ter, lett. a) prevede che la pena detentiva sia aumentata da un terzo alla metà e che si applichi la multa di 25.000 euro per ogni persona se i fatti di cui ai commi 1 e 3 sono commessi al fine di reclutare persone da destinare alla prostituzione o comunque allo sfruttamento sessuale o lavorativo ovvero riguardano l’ingresso di minori da impiegare in attività illecite al fine di favorirne lo sfruttamento.

E’ in effetti frequente nella prassi dei tribunali, la duplice contestazione, nei casi di donne straniere vittime di vicende dello sfruttamento della prostituzione, dei reati, in concorso tra loro, di cui all’art. 3 L. n. 75/1958 e all’art. 12 comma 3 ter T.U.  

In tal senso la giurisprudenza ha chiarito che i reati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e di induzione a recarsi nel territorio di un altro Stato per esercitarvi la prostituzione o comunque di sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione possono concorrere tra loro, poiché gli interessi tutelati dalle norme di riferimento e le condotte penalmente rilevanti assumono connotazioni diverse (Cass. Pen., Sez. III, 10 maggio 2000, n. 8358).

Circa gli elementi del reato, si richiede, rispetto al reato di cui all’art. 12 commi 1 e 3, un ulteriore elemento della condotta, cioè il dolo specifico consistente non soltanto nella finalità di trarre profitto ma altresì in quella del reclutamento di persone da destinare alla prostituzione o allo sfruttamento sessuale. Dunque la finalità del profitto si specifica nelle modalità con cui essa è perseguita, modalità che possono prevedere in astratto anche l’intervento successivo di terze persone che realizzano materialmente la condotta.

In tale ipotesi si prevede un aumento di pena da un terzo alla metà, nonché l’applicazione di una multa di euro 25.000 per ogni persona.

Stante la gravità delle condotte previste dalla previsione contenuta nell’art. 12, comma 3 ter, T.U., al fine di impedire che, in caso di eventuale sussistenza di circostanze attenuanti, si addivenga a pene troppo miti, il legislatore ha previsto, all’art. 12, comma 3-quater, T.U. un sistema di bilanciamento delle circostanze in deroga alla previsione generale contenuta nell’art. 69 c.p.: si stabilisce infatti che le circostanze attenuanti concorrenti con le aggravanti di cui ai commi 3 bis e 3 ter non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a queste e le diminuizioni di pena si operano sulla quantità di pena risultante dall’aumento conseguente alle predette aggravanti.

Il comma 3- quinquies dell’art. 12 T.U., infine, introduce una previsione di natura premiale in favore dei soggetti che collaborino con la polizia o l’autorità giudiziaria per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, aiutando concretamente nella raccolta di elementi di prova decisivi per la ricostruzione dei fatti, per l’individuazione o la cattura di uno o più autori di reati e per la sottrazione di risorse rilevanti alla consumazione dei delitti. In tali casi si prevede che le pene sono diminuite fino alla metà di quelle previste per i reati di cui ai commi precedenti. Trattasi di circostanza speciale e diversa rispetto a quella di cui all’art. 62 n. 6 c.p. in quanto assume rilevanza il risultato perseguito volto all’agevolazione dell’individuazione dei responsabili o dell’accertamento dei reati.

 

 

4. Il dibattito sul tema della prostituzione. Le proposte di modifica.

 

Il fenomeno della prostituzione è spesso al centro del dibattito politico anche a seguito delle trasformazioni che questo ha subito nel corso del tempo, sicché da un lato vi è chi manifesta la necessità di contrastare e punire più efficacemente i comportamenti criminali volti a trarre profitto dalla prostituzione e dall’altro lato vi è chi talvolta ha messo in discussione l’approccio neoabolizionista adottato dalla legge Merlin, nata in un contesto storico profondamente diverso da quello attuale.

L’emergenza di punire le forme organizzate di sfruttamento della prostituzione di persone, prevalentemente straniere, ha condotto a importanti interventi legislativi.

In particolare la legge 11 agosto 2003 n. 228 ha modificato i reati di riduzione o mantenimento in schiavitù e di tratta di persone e il D.L. 12 novembre 2004, n. 271 ha introdotto l’art. 12, comma 3-ter T.U.. Tuttavia la difficoltà di approccio a questo tema, dovuta alla natura poliedrica del fenomeno nonché a elementi connessi a diverse sensibilità, convinzioni, prospettive, ha avuto come unica conseguenza il proliferare, nel corso delle legislature, di molti disegni di legge che tuttavia non hanno mai condotto ad una revisione della normativa vigente.

Ancora oggi i tentativi di mettere mano alla legge attualmente vigente si prepongono di rispondere alla necessità di riflettere sulla politica da adottare relativamente alla libera scelta di usufruire dietro corrispettivo di una prestazione sessuale, in particolare con riferimento al luogo in cui ritenere lecita o illecita tale condotta.

Nel corso degli anni molte proposte di riforma della legge Merlin si sono orientate verso i diversi modelli di politiche in materia di prostituzione esistenti in Europa, sposando talvolta l’approccio proibizionista (divieto di prostituzione tanto outdoor che indoor) ovvero introducendo forme di regolamentarismo tali per cui si propone di introdurre norme che regolino l’esercizio del meretricio mediante eventuali iscrizioni in appositi registri o ancora proponendo un modello neo-abolizionista, come quello attuale, basato tuttavia su regole diverse.

I recenti progetti di legge, dunque, affrontano variamente il tema con soluzioni diversificate in particolare sotto il profilo del luogo in cui la prostituzione è considerata attività illecita.

Non poche proposte prevedono la modifica della legge Merlin nel senso di prevedere il divieto di prostituzione in luogo pubblico o aperto al pubblico – salvo talvolta affiancare a tale divieto la possibilità di prevedere zone specifiche eventualmente individuate dall’ente locale,  in cui l’attività sia consentita -  con un diversificato apparato sanzionatorio, prevedendosi alternativamente sanzioni penali o amministrative.

Tra queste, alcune affiancano, in un’ottica neo-regolamentista, la previsione di specifiche modalità con cui l’attività, consistente nel fornire prestazioni sessuali remunerate tra persone maggiorenni e consenzienti, può lecitamente realizzarsi nei luoghi chiusi (in forma autonoma e individuale; in forma associata con eventuale previsione di un numero massimo di persone che all’interno dell’immobile possono esercitarvi la prostituzione; la previsione di cause di non punibilità per la reciproca assistenza e agevolazione, senza fini di lucro, della prostituzione altrui; previsione di sistemi di registrazione, pagamento di oneri e di imposte; obbligo di controlli sanitari periodici) .

In un’ottica di gradualità delle possibili previsioni in materia, sotto il profilo del maggior numero di condotte vietate, si segnalano infine proposte, in linea con la scelta proibizionista, che vietano l’esercizio della prostituzione tanto in luoghi pubblici quanto in luoghi privati.

Nel corso della XV legislatura, il Ministro dell’Interno Amato aveva promosso uno studio approfondito sul fenomeno della prostituzione al fine di tentare un approccio al problema e verificare quali iniziative fosse necessario assumere, anche eventualmente mediante una proposta di legge. A tal fine, con decreto del 18 gennaio 2007, aveva istituito l’Osservatorio sulla prostituzione e sui fenomeni delittuosi ad essa connessi, incardinato nel Dipartimento della Pubblica Sicurezza, presieduto dal Sottosegretario di Stato e composto da rappresentanti dei Dipartimenti di pubblica sicurezza e per le libertà civili e l’immigrazione, del Comando generale dell’Arma dei Carabinieri e da rappresentanti di organizzazioni non governative impegnate nel settore. Il decreto ministeriale istitutivo affidava all’Osservatorio il compito di studiare le misure già esistenti, anche quelle di assistenza e tutela delle vittime e di formulare, a riguardo, pareri e proposte per favorirne il miglioramento.

Svolto un primo lavoro di analisi e approfondimento l’Osservatorio presentò una relazione sulle attività svolte a conclusione del 1^ semestre 2007 (pubblicato sul sito del Ministero dell’Interno).

La relazione, dopo un’approfondita analisi della legislazione italiana all’interno delle norme internazionali e comunitarie, considerava la realtà attuale della prostituzione come poliedrica, necessitante un approccio che individui un complesso di misure sociali di riduzione del danno, che impediscano e prevengano l’ingresso in clandestinità del fenomeno e sottolineava l’attualità della politica neo abolizionista della legge Merlin, sostenendone la validità pur nel contesto attuale.

Nell’attuale XVI legislatura sono state presentate varie proposte di legge che mirano alla modifica parziale ovvero all’abrogazione della legge n. 75/1958.

Attualmente le Commissioni riunite I e II del Senato stanno esaminando congiuntamente in sede referente sette disegni di legge (AA.SS. 125, 674, 756, 776, 1027, 1079, 1093), tra i quali spicca il disegno di legge governativo (AS n. 1079, recante “misure contro la prostituzione”, presentato dal Ministro per le pari opportunità e dal Ministro della Giustizia, di concerto con il Ministro dell’Interno, il Ministro degli affari esteri ed il Ministro dell’economia e delle finanze).

Il disegno di legge governativo prevede, all’art. 1, una modifica sostanziale della legge n. 75/1958, aggiungendo, all’art. 1 della stessa legge, i seguenti commi:

“Chiunque esercita la prostituzione ovvero invita ad avvalersene il luogo pubblico o aperto al pubblico è punito con l’arresto da cinque a quindici giorni e con l’ammenda da euro 200 a euro 3.000.

Alla medesima pena prevista al secondo comma soggiace chiunque in luogo pubblico o aperto al pubblico si avvale delle prestazioni sessuali di soggetti che esercitano la prostituzione o le contratta”.

Si introduce pertanto il reato di prostituzione in luogo pubblico o aperto al pubblico, prevedendo una contravvenzione, in caso di violazione, tanto per chi esercita la prostituzione che per chi ne usufruisca, ossia il cliente.

L’art. 2 del disegno di legge sostituisce l’art. 600bis c.p., in materia di prostituzione minorile e prevede il rimpatrio assistito per i minori stranieri non accompagnati che esercitino la prostituzione, demandando ad un regolamento, da adottarsi ai sensi dell’art. 17 della legge 23 agosto 1988 n. 400, l’individuazione di procedure accellerate e semplificate per l’adozione del provvedimento di rimpatrio.

L’art. 3 inserisce un nuovo comma all’art. 416 c.p., introducendo un aggravante speciale del delitto di associazione a delinquere quando l’associazione sia finalizzata a commettere delitti in materia di prostituzione.

L’art. 4 reca disposizioni di carattere finanziario, prevedendo che non vi siano ulteriori oneri a carico dello Stato e l’abrogazione dell’art. 5 della legge 75/58.

Tale disegno di legge ha suscitato critiche da gran parte del mondo dell’associazionismo, in particolare da molti degli enti che si occupano della tutela delle persone dedite alla prostituzione e nello specifico della protezione delle vittime di sfruttamento, che hanno redatto un documento recante il titolo “Prostituzione e tratta, diritti e cittadinanza – Le proposte di chi opera sul campo” a cui hanno aderito 116 enti pubblici e del privato sociale.

Tra esse anche A.S.G.I., che ha altresì redatto un documento tecnico contenente osservazioni al disegno di legge, in particolare sotto il profilo dei rischi che deriverebbero dall’approvazione della legge  per la tutela dei diritti delle vittime di grave sfruttamento e tratta, relativamente all’art. 1, e dei minori stranieri non accompagnati, per quanto previsto all’art. 2 comma 2.

 

 

5. Le ordinanze dei sindaci in materia di sicurezza urbana che riguardano la prostituzione.

 

Già in passato, con il crescente manifestarsi, in seguito ai grandi flussi migratori, del fenomeno della prostituzione di strada, lo strumento dell’ordinanza del sindaco è stato utilizzato per tentare di rimediare alla percezione di disagio che essa può generare nella popolazione.

Sin dalla fine degli anni ’90 alcuni comuni hanno adottato provvedimenti che vietavano la contrattazione di prestazioni sessuali a pagamento sulla pubblica via, invocando le norme del codice della strada a tutela della circolazione stradale (art. 7 D.Lgs. n. 285/1992) ovvero le norme a protezione del demanio pubblico (art. 823 cod.civ.).

Tuttavia tali tentativi hanno avuto vita piuttosto breve, perché erano prive di un solido fondamento legislativo, sicché l’Autorità Giudiziaria aveva spesso dichiarato l’illegittimità, per eccesso di potere, di tali provvedimenti che di fatto costituivano un tentativo di perseguire un bene giuridico (l’ordine pubblico) diverso da quello dichiarato (la circolazione stradale) senza che al sindaco la legge attribuisse tale facoltà. (si veda Cass., sez. I, sent. 5 ottobre 2006, n. 21432).

Recentemente nuovi tipi di ordinanze sindacali c.d. “antiprostituzione” sono nuovamente divenute lo strumento privilegiato ad uso delle amministrazioni locali, stante anche la legittimazione concessa ai sindaci grazie al mutamento intervenuto nel panorama normativo.

Presupposto giuridico delle nuove ordinanze è il nuovo art. 54 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, emanato con d. lgs. 18 agosto 2000, n. 267, di seguito definito “T.U.E.L.”,  nel nuovo testo sostituito dal D.L. 23 maggio 2008 n. 92, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008 n. 125 http://www.asgi.it/home_asgi.php?n=documenti&id=379&l=it , sulla base del quale tali ordinanze in materia di prostituzione sono state espressamente legittimate dal Decreto del Ministro dell’Interno 5 agosto 2008: le ordinanze in questione trovano la competenza e fondano il loro contenuto precettivo sul nuovo concetto di “incolumità pubblica e sicurezza urbana” così come integrato dalle definizioni fornite da tale Decreto Ministeriale (cfr. par. 5.1).

Tali ordinanze incidono, variamente atteggiandosi, sullo sfruttamento, sull’esercizio e sulla fruizione della prostituzione, prevedendo sanzioni pecuniarie tanto a carico di coloro che esercitano la prostituzione quanto dei clienti.

 

 

   5.1. I fondamenti normativi: il nuovo art. 54 del Testo unico dell’ordinamento degli enti locali ed il Decreto del Ministro dell’interno 5 agosto 2008

 

L’art. 54 T.U.E.L., nella vecchia formulazione,  attribuiva al Sindaco, accanto ad un potere ordinario (e delegato) di adottare provvedimenti costituenti esercizio locale di servizi vigilati dallo Stato - quali la tenuta dei registri di stato civile e di popolazione o adempimenti demandatigli dalle leggi in materia elettorale, di leva militare e di statistica – un potere eccezionale ed autonomo, concorrente, di emanare “provvedimenti contingibili e urgenti” al fine di prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciassero “l'incolumità dei cittadini”, per l’esecuzione dei quali il Sindaco poteva richiedere l’assistenza della forza pubblica e quindi un’esecuzione coercitiva.

Il fine era quello di preservare l’incolumità fisica dei cittadini, in una interpretazione costituzionalmente orientata tutelando il bene giuridico della salute pubblica previsto dall’art. 32 Cost. nel senso più ampio della sua accezione.

Caratteristiche di tali provvedimenti amministrativi eccezionali erano:

-     L’essere adottabili in deroga ai vincoli procedimentali ordinari e nelle more dell’approntamento di ordinari strumenti, in virtù della sussistenza di presupposti di urgenza e imprevedibilità,

-     l’efficacia temporalmente limitata,

-     l’essere privi di contenuto predeterminato a differenza degli altri provvedimenti amministrativi ai quali è imposto un contenuto tipico secondo il principio di legalità.

Il nuovo testo dell’art 54 T.U.E.L. introdotto nel 2008 amplia molto il potere del Sindaco, dando veste diversa ai provvedimenti che il primo cittadino oggi ha facoltà di emanare.

In virtù di quanto previsto dal comma 4 così come riformulato, dell’art. 54, oggi il sindaco può adottare con atto motivato provvedimenti “anche contingibili e urgenti, nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento, al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana”.

Il nuovo testo della norma introduce pertanto le seguenti novità:

- il potere del sindaco di emanare le ordinanze suddette è esercitabile ora anche in via ordinaria e non più solo d’urgenza, è quindi un suo potere primario e non residuale;

- i provvedimenti in questione possono non avere più efficacia temporalmente limitata ma sono suscettibili di mantenere la loro forza nel tempo;

- l’ambito di competenza delle ordinanze è mutato e ampliato: dalla materia dei “gravi pericoli per l’incolumità dei cittadini” alla più generica materia della “tutela della incolumità pubblica e sicurezza urbana”;

Non è mutato invece il carattere di provvedimenti privi di predeterminazione del contenuto precettivo, con la conseguenza che oggi il sindaco può intervenire con un simile strumento – un tempo legittimato in virtù della sussistenza dell’urgenza e dell’eccezionalità – anche in via ordinaria ed al fine di tutelare beni giuridici diversi, che rimandano ad ambiti inevitabilmente più estesi.

In relazione a tale ultimo aspetto, ai sensi del comma 4-bis dell’art. 54 T.U.E.L., si prevede che “con decreto del Ministro dell'interno [sia] disciplinato l'ambito di applicazione delle disposizioni di cui ai commi 1 e 4 anche con riferimento alle definizioni relative alla incolumità pubblica e alla sicurezza urbana”.

In effetti il Decreto del Ministro dell’Interno 5 agosto 2008 (pubblicato in G.U. n. 186 del 9 agosto 2008) prevede che;

- per “incolumità pubblica” si intende l'integrità fisica della popolazione,

- per “sicurezza urbana” si intende un bene pubblico da tutelare attraverso attività poste a difesa, nell'ambito delle comunità locali, del rispetto delle norme che regolano la vita civile, per migliorare le condizioni di vivibilità nei centri urbani, la convivenza civile e la coesione sociale.

Tale ultimo concetto apre pertanto la strada ad un nuovo concetto di sicurezza, non più necessariamente connessa al tradizionale bene dell’ordine pubblico.

Il successivo art. 2 del Decreto citato individua cinque ambiti di intervento del nuovo potere sindacale. Essi costituiscono ad un tempo il canone interpretativo ed il contenuto integratrice delle fattispecie-illeciti amministrativi oggetto dei precetti emanabili con le ordinanze in questione. Essi sono:

a) le situazioni urbane di degrado o di isolamento che favoriscono l'insorgere di fenomeni

criminosi, quali lo spaccio di stupefacenti, lo sfruttamento della prostituzione, l'accattonaggio con impiego di minori e disabili e i fenomeni di violenza legati anche all'abuso di alcool;

b) le situazioni in cui si verificano comportamenti quali il danneggiamento al patrimonio pubblico e privato o che ne impediscono la fruibilità e determinano lo scadimento della qualità urbana;

c) l'incuria, il degrado e l'occupazione abusiva di immobili tali da favorire le situazioni indicate ai punti a) e b);

d) le situazioni che costituiscono intralci alla pubblica viabilità o che alterano il decoro urbano, in particolare quelle di abusivismo commerciale e di illecita occupazione di suolo pubblico;

e) i comportamenti che, come la prostituzione su strada o l'accattonaggio molesto, possono offendere la pubblica decenza anche per le modalità con cui si manifestano, ovvero turbano gravemente il libero utilizzo degli spazi pubblici o la fruizione cui sono destinati o che rendono difficoltoso o pericoloso l'accesso ad essi.

Sebbene il decreto ministeriale miri a prevedere i contenuti dei concetti della incolumità pubblica e della sicurezza urbana e a specificare gli ambiti di intervento che sarebbero espressione concreta di tali beni giuridici da tutelarsi attraverso le ordinanze sindacali, tali concetti appaiono troppo generici ed indeterminati.

Il sindaco dunque ha una discrezionalità notevolmente ampia, sia circa l’opportunità di adottare simili ordinanze, sia circa il contenuto dell’ordinanza  eventualmente adottata.

La norma incide pertanto a tal punto nel sistema dell’ordinamento amministrativo, fondato sul principio di legalità dell’azione amministrativa, in base al quale ogni provvedimento amministrativo deve essere sempre predeterminato dalla legge, che ha già sollevato in dottrina seri dubbi di legittimità costituzionale sotto il profilo della violazione degli artt. 23 e 97 Cost.

A ciò si aggiunga che le ordinanze sindacali in materia di prostituzione da un lato possono configurarsi tra quei provvedimenti adeguati che le legge deve stabilire ai sensi dell’art. 21, comma 6 Cost., a prevenire e a reprimere le violazioni alle norme che vietano manifestazioni contrarie al buon costume, ma dall’altro lato finiscono col creare limiti alla libertà di circolazione che l’art. 16 Cost. consente sì alla legge di adottare per motivi di sicurezza o sanità, ma soltanto in via generale e non già con provvedimenti adottabili caso per caso sul territorio nazionale pur in presenza del verificarsi dei medesimi fenomeni.

L’inottemperanza di singoli individui determinati ai provvedimenti sindacali emanati, è sanzionata, secondo il nuovo comma 7 dell’art. 54 T.U.E.L., con provvedimenti emessi d'ufficio a spese degli interessati, senza pregiudizio dell'azione penale per i reati in cui siano incorsi.

In carenza di ulteriori indicazioni reperibili all’art. 54 citato, ma considerando le ordinanze in questione nel numero dei provvedimenti esercitati nelle funzioni di governo locale di cui al T.U.E.L., devono piuttosto individuarsi sanzioni amministrative in riferimento all’art. 7-bis T.U.E.L. che disciplina in generale le sanzioni pecuniarie per le violazioni alle disposizioni ivi previste.

Si applica pertanto la sanzione amministrativa pecuniaria da 25 euro a 500 euro.

Per quanto riguarda le modalità di estinzione della sanzione da parte del trasgressore, in riferimento al comma 1 dell’art. 16 della legge n. 689/1981, (modificato dalla stessa legge n. 125/2008) si ammette il pagamento di una somma in misura ridotta pari alla terza parte del massimo della sanzione prevista per la violazione commessa o, se più favorevole e qualora sia stabilito il minimo della sanzione edittale, pari al doppio del relativo importo oltre alle spese del procedimento, entro il termine di sessanta giorni dalla contestazione immediata o, se questa non vi è stata, dalla notificazione degli estremi della violazione.

A norma del comma 2 dello stesso art. 16 della legge n. 689/1981, così come riformulato dal D.L. n. 92/2008, tuttavia occorre ricordare che la Giunta Comunale (o provinciale) ha oggi il potere di determinare l’entità della sanzione con minimi edittali diversi da quelli in generale previsti per le sanzioni amministrative, finanche, come è accaduto presso alcune amministrazioni comunali, a far coincidere l’importo della c.d. “misura ridotta” con lo stesso massimo edittale.

 

 

5.2. I contenuti delle ordinanze

 

In base ai dati forniti dalla ricerca effettuata da ANCI–Cittalia risultava che al 9 marzo 2009, delle 581 ordinanze reperite tra quelle emesse sul territorio nazionale in virtù del novellato art. 54 T.U.E.L., il 15,8% riguardava la materia della prostituzione.

Dalla seconda indagine aggiornata all’ottobre 2009 si può invece ricavare che delle 788 ordinanze comunali in materia di sicurezza urbana rilevate quelle che si occupano di prostituzione sono scese al 13%.

I sindaci che hanno ritenuto di intervenire prioritariamente in tale settore perseguono l’obiettivo di limitare o ridurre la diffusione della prostituzione sulle strade.

I provvedimenti si differenziano tra di loro – sebbene molti abbiano contenuto analogo evidentemente perché gli uni ispirati agli altri - per le motivazioni addotte in premessa, il comportamento sanzionato, i destinatari e gli ambiti, temporale e spaziale, di intervento.

Dalla citata ultima indagine di Cittalia si ricava che gli obiettivi perseguiti dalle amministrazioni locali con tali ordinanze mirano a

A) farsi carico del disagio dei cittadini residenti, diminuire il senso di insicurezza e allarme sociale generato dal fenomeno e favorire la convivenza civile e la coesione sociale;

B) ridimensionare il fenomeno, contrastare la riduzione in schiavitù delle prostitute e combattere il rischio di contiguità del mercato del sesso con altri mercati illegali e fenomeni criminali come il commercio abusivo, lo spaccio di droga, ecc.;

C) affrontare il degrado urbano legato alla visibilità sociale raggiunta dalla prostituzione straniera di strada, allo scandalo morale e al danno di immagine della città;

D) tutelare la pubblica decenza;

E) combattere la grave turbativa della circolazione, i rischi rispetto alla sicurezza stradale e dunque tutelare la pubblica sicurezza;

F) combattere situazioni igienico-sanitarie pericolose per la salute pubblica;

G)  tutelare e conservare i beni demaniali.

I comportamenti sanzionati dalle ordinanze sono prevalentemente i seguenti:

1) divieti di arrestarsi o fermarsi, a piedi o con veicoli anche temporaneamente, e contattare soggetti che sostano ed occupano prolungatamente tali spazi con atteggiamenti o manifestazioni congruenti allo scopo di offrire prestazioni di meretricio e contrattare tali prestazioni, ma anche semplicemente contattare o intrattenersi per chiedere informazioni;

2) divieti di assumere atteggiamenti, modalità comportamentali o di indossare abbigliamenti che manifestino inequivocabilmente l’intenzione di adescare o esercitare l’attività di meretricio, o mostrarsi in pubblico con abiti che offendano il pubblico pudore;

3) divieto a tutti i soggetti sostare ed occupare prolungatamente gli spazi delle zone contemplate, senza causa o motivo, con modalità che possono incidere negativamente sulla libera e corretta fruizione degli spazi, rendere difficoltoso o pericoloso l’accesso;

4) divieto di fermare gli autoveicoli nei pressi dei soggetti che sostano nelle strade con atteggiamenti o manifestazioni, anche dati dall’abbigliamento, congruenti allo scopo di offrire prestazioni sessuali, ed altresì, di concedere ospitalità a bordo del proprio autoveicolo.

Gli spazi contemplati sono:

1) spazi pubblici, ovvero pubblica strada e in tutte le adiacenze ad essa che siano soggette a pubblico passaggio e che siano facilmente accessibili dalla pubblica via;

2) sia spazi pubblici che privati di tutto il territorio comunale.

Infine per ciò che riguarda i soggetti destinatari dell’ordinanza, è prevista la punizione sia del cliente sia di coloro che esercitano la prostituzione anche se quest’ultima previsione è minoritaria rispetto a coloro che accedono alle prestazioni del meretricio.

In ordine alle motivazioni contenute nella premessa, nella quasi totalità dei casi si richiamano, seppur con sfumature diverse, i concetti espressi nel Decreto del Ministro dell’Interno 5 agosto 2008, con particolare riferimento agli obiettivi che il sindaco è chiamato a perseguire mediante gli interventi di cui all’art. 2 lett. a), b), c) ed e).

Ben quattro dei cinque ambiti di intervento che il decreto ministeriale ha individuato per l’attribuzione del potere di ordinanza al sindaco, dunque, trovano sede nei provvedimenti emessi in materia di prostituzione.

Si ritiene pertanto che il fenomeno della prostituzione di strada incida negativamente sui beni giuridici quali la “incolumità pubblica” e la “sicurezza urbana”, poiché è capace di creare situazioni di degrado che favoriscono l’insorgere di fenomeni criminosi, impediscono la fruibilità del patrimonio, creano disagio sotto il profilo della circolazione stradale e offendono la pubblica decenza.

Si vedano, a titolo di esempio, l’ordinanza emanata dal sindaco di Roma in base alla quale l’esercizio della prostituzione, che si manifesta spesso con atteggiamenti indecorosi e indecenti, offende la pubblica sensibilità e genera episodi di tensione nella cittadinanza; produce gravi situazioni di turbativa alla sicurezza stradale a causa dei comportamenti gravemente imprudenti di coloro che sono alla ricerca di prestazioni sessuali; produce situazioni igienico-sanitarie pericolose per la collettività, stante i rifiuti e i residui organici che vengono reperiti nei luoghi abitualmente frequentati dalle persone dedite alla prostituzione.

L’ordinanza emanata dal sindaco di Milano il 4 novembre 2008, n. 29 richiama anch’essa situazioni di disturbo alla quiete pubblica, di offesa alla pubblica decenza, di degrado igienico e urbano.

Nell’ordinanza emanata dal sindaco di Pisa si legge, in premessa che il fenomeno della prostituzione, per le modalità del suo esercizio, offende la pubblica decenza; turba gravemente il libero esercizio degli spazi pubblici rendendo difficoltosa la fruizione degli stessi; favorisce il verificarsi di situazioni igienico-ambientali pericolose per la salute pubblica; costituisce grave pregiudizio per la circolazione stradale; crea disagio e allarme nella popolazione perché idoneo a facilitare l’insorgenza di gravi fenomeni criminosi. quali sfruttamento, omicidi, atti di violenza e rapine;

L’ordinanza emanata dal sindaco di Verona attribuisce al fenomeno addirittura “effetti devastanti” per la sicurezza urbana, conclamati da episodi criminali legati allo sfruttamento e conseguenze sulla circolazione stradale, stanti i comportamenti imprudenti e imprevedibili di coloro che, alla guida di veicoli, sono alla ricerca di prestazioni sessuali.

Molte ordinanze fanno espresso riferimento al fenomeno dello sfruttamento della prostituzione, ritenendo peraltro che il divieto imposto nell’ordinanza possa costituire da deterrente e favorire la cessazione del fenomeno stesso e addirittura la fuoriuscita delle vittime mediante l’accesso ai programmi di assistenza ed integrazione sociale previsti dall’art. 18 T.U. (si veda la scheda sulle misure di integrazione sociale).

I comportamenti sanzionati sono in gran parte analoghi.

In alcuni casi si fa divieto di esercitare attività di meretricio con qualsiasi modalità in luoghi pubblici, negli spazi aperti al pubblico o visibili dal pubblico (p. es. Milano).

Nella maggior parte dei casi si rivolge il divieto a coloro che intendono usufruire delle prestazioni sessuali, e dunque ai clienti, vietando loro di “contrattare o concordare prestazioni sessuali a pagamento, ovvero intrattenersi anche dichiaratamente solo a chiedere informazioni, con soggetti che esercitano l’attività di meretricio o che per l’abbigliamento o le modalità comportamentali manifestano l’intenzione” (es. Milano, Verona, Brescia, Rho, Perugia, Roma).  In alcuni casi si vieta addirittura di fermare il veicolo per contattare o comunque intrattenersi con soggetti che sostano ed occupano prolungatamente gli spazi pubblici con atteggiamenti congruenti allo scopo di offrire prestazioni di meretricio (p.es. Milano).

Talvolta il divieto è rivolto altresì a coloro che offrono la prestazione sessuale: in linea generale si vieta di assumere atteggiamenti, modalità comportamentali o di indossare abbigliamenti che manifestino inequivocabilmente l’intenzione di adescare o di esercitare l’attività di meretricio. In altri casi il divieto è ancor più generale, proibendo a tutti i soggetti di sostare e occupare prolungatamente gli spazi sulla strada. (p.es. Milano).

Dunque alcune ordinanze hanno come destinatari soltanto i clienti, altre ordinanze hanno come destinatari sia i clienti (anche potenziali), sia coloro che esercitano la prostituzione.

Nella maggior parte dei casi (p. es. Milano) il divieto si estende su tutto il territorio comunale, mentre alcune ordinanze delimitano l’ambito di applicazione ad alcune zone e strade della città (a titolo di esempio, l’ordinanza di Roma si estende a tutte le aree soggette a pubblico passaggio con particolare riferimento alle vie consolari dove è maggiore il rischio di incidenti stradali; l’ordinanza di Pisa si sofferma in particolare sulla SS1 “Aurelia”);

In virtù di quanto oggi consentito dopo la riforma dell’art. 16 della legge n. 689/1981, che consente di determinare l’entità della sanzione con minimi edittali diversi da quelli in generale previsti per le sanzioni amministrative, le sanzioni irrogate, in relazione all’importo in misura ridotta, variano di comune in comune, da 25,00 euro a 500,00 euro (p. es. a Milano è fissata in 500 euro). 

Nella quasi totalità dei casi - Roma costituisce un’eccezione - le ordinanze non prevedono termini finali, per cui, così come consentito dalla nuova normativa, hanno un ambito temporale illimitato.

Ad oggi risultano essere stati presentati due ricorsi giurisdizionali, rispettivamente contro l’ordinanza di Roma e quella di Verona.

Se nel primo caso T.A.R. Lazio sentenza 17 dicembre 2008, n. 12222 ha rigettato il ricorso che chiedeva l’annullamento dell’ordinanza emanata dal sindaco di Roma Alemanno, non rinvenendo profili di illegittimità, nel secondo caso T.A.R. del Veneto, ordinanza 8 gennaio 2009 n. 22  ha concesso la sospensiva in ordine alla ordinanza n. 81/08 emanata dal sindaco di Verona Tosi, ritenendo che sussistessero vizi di legittimità in particolare sotto il profilo dell’eccesso di potere. Il Giudice amministrativo ha in effetti rilevato come il provvedimento del sindaco vietasse l’attività riguardante prestazioni sessuali, che peraltro non è prevista come reato dal nostro ordinamento, prescindendo dall’accertamento di situazioni specifiche e come la sanzione riguardasse condotte che, descritte in modo approssimativo e generico, sarebbero potute risultare in concreto non lesive degli interessi riconducibili al concetto di sicurezza urbana.

In seguito alla pronuncia del TAR Veneto, il sindaco di Verona ha emesso una nuova ordinanza, la n. 3/09 , limitandosi ad indicare alcuni elementi a supporto dell’istruttoria esperita per monitorare il fenomeno e delimitando il divieto sotto un profilo spaziale riferendolo in particolare ad alcune zone della città.

Resta da capire se tali interventi siano realmente efficaci e soprattutto quali conseguenze stiano producendo sotto il profilo della tutela dei diritti delle persone maggiormente vulnerabili, quali le persone straniere vittime di sfruttamento. 

Sebbene la minaccia di ricevere una sanzione pecuniaria non abbia alcun effetto deterrente - stante la possibilità, spesso, di non pagarla senza rischiare alcunché, data la irregolarità di molte di queste persone sul territorio dello Stato e dunque la loro irreperibilità anagrafica - l’aumento delle forze dell’ordine in strada, ivi compreso il personale della Polizia municipale, e dunque l’aumento dei controlli, anche solo a scopo identificativo, comporta un aumento del rischio per queste persone di essere espulse dal territorio dello Stato per irregolarità del soggiorno e/o di essere denunciate per il nuovo reato di permanenza irregolare nel territorio dello Stato previsto dall’art. 10-bis T.U., introdotto dalla legge n. 94/2009.

Dalle cronache e dall’esperienza svolta sulle strade dalle associazioni che aiutano gli stranieri sembra potersi concludere che in realtà la persona che svolge attività di prostituzione si allontana dalla strada, o, nella maggior parte dei casi, è fatta allontanare da coloro che la controllano e sfruttano. L’attività dunque si sposta in luoghi chiusi, il che può comportare conseguenze  negative sia per le eventuali vittime dello sfruttamento della prostituzione, le quali così diventano oggetto di maggior controllo da parte degli sfruttatori e sono impossibilitate ad accedere ai servizi delle unità di strada e ai programmi di protezione predisposti ai sensi dell’art. 18 T.U., sia per l’intera collettività sotto il profilo della tutela della salute, poiché viene a cessare l’attività di prevenzione sanitaria spesso svolta dalle unità mobili delle associazioni.