Legislatura 16º - Aula - Resoconto stenografico della seduta n. 321 del 27/01/2010


SENATO DELLA REPUBBLICA
------ XVI LEGISLATURA ------

321a SEDUTA PUBBLICA

RESOCONTO

SOMMARIO E STENOGRAFICO

MERCOLEDÌ 27 GENNAIO 2010

(Antimeridiana)

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Presidenza del vice presidente NANIA,

indi della vice presidente MAURO

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N.B. Sigle dei Gruppi parlamentari: Italia dei Valori: IdV; Il Popolo della Libertà: PdL; Lega Nord Padania: LNP; Partito Democratico: PD; UDC, SVP e Autonomie: UDC-SVP-Aut; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-MPA-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MPA-AS.

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RESOCONTO SOMMARIO

Presidenza del vice presidente NANIA

La seduta inizia alle ore 9,32.

Il Senato approva il processo verbale della seduta antimeridiana del 21 gennaio.

Comunicazioni della Presidenza

PRESIDENTE. L'elenco dei senatori in congedo e assenti per incarico ricevuto dal Senato nonché ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicati nell'allegato B al Resoconto della seduta odierna.

Preannunzio di votazioni mediante procedimento elettronico

PRESIDENTE. Avverte che dalle ore 9,36 decorre il termine regolamentare di preavviso per eventuali votazioni mediante procedimento elettronico.

Seguito della discussione dei disegni di legge:

(1771) Disposizioni per garantire l'accesso alle cure palliative e alle terapie del dolore (Approvato dalla Camera dei deputati in un testo risultante dall'unificazione dei disegni di legge d'iniziativa dei deputati Binetti ed altri; Polledri ed altri; Livia Turco ed altri; Farina Coscioni ed altri; Bertolini ed altri; Cota ed altri; Di Virgilio ed altri; Saltamartini ed altri)

(66) TOMASSINI. - Disposizioni in materia di cure palliative domiciliari integrate per pazienti terminali affetti da cancro

(287) BAIO ed altri. - Disposizioni per la realizzazione della rete di cure palliative

(305) BIANCONI e CARRARA. - Disposizioni per l'assistenza globale dei pazienti in fase avanzata di patologia oncologica o degenerativa progressiva, necessitanti di cure palliative

(477) MASSIDDA. - Disposizioni in materia di cure palliative domiciliari integrate per pazienti terminali affetti da cancro

(Relazione orale)

Approvazione, con modificazioni, del disegno di legge n. 1771, con il seguente titolo: Disposizioni per garantire l'accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore

PRESIDENTE. Ricorda che nella seduta di ieri ha avuto luogo la votazione degli articoli e dei relativi emendamenti. Passa alla votazione finale.

BIANCHI (UDC-SVP-Aut). Il disegno di legge in esame, su cui si è svolto un dibattito approfondito in un clima di positiva collaborazione tra tutte le forze politiche, rappresenta uno dei provvedimenti più attesi ed importanti della legislatura e contiene norme che avranno grande incidenza sulla qualità della vita di molti malati cronici e terminali. Esso stabilisce che non soffrire è un diritto e pone il malato al centro dell'attenzione offrendo, a lui e alla sua famiglia, un sostegno medico, psicologico, spirituale e sociale, attraverso le strutture degli ospedali, degli hospice e dell'assistenza domiciliare. È importante la definizione di adeguati percorsi formativi di carattere interdisciplinare e multiprofessionale per il personale impegnato in questo delicato settore, così come la previsione di campagne di informazione rivolte ai pazienti e alle loro famiglie; appare altresì opportuno l'uso di un ricettario speciale per la prescrizione degli oppioidi e la previsione di un costante monitoraggio del livello del dolore nelle corsie di ospedale. È ora auspicabile che le misure contenute nel provvedimento non restino sulla carta, ma trovino concreta attuazione attraverso un adeguato stanziamento di risorse, così come è importante adottare interventi volti a superare la disomogeneità dei livelli di assistenza sanitaria offerti dalle diverse Regioni e a garantire un'attuazione uniforme del provvedimento su tutto il territorio nazionale. Annuncia quindi il voto favorevole del Gruppo UDC-SVP-Autonomie sul disegno di legge in esame. (Applausi dal Gruppo UDC-SVP-Aut e del senatore Mascitelli).

MASCITELLI (IdV). L'Italia dei Valori esprimerà un voto decisamente favorevole sul testo in esame. Si tratta di un provvedimento atteso da tempo, il cui esame si è svolto in un clima collaborativo e costruttivo sia in Commissione che in Aula, che ha permesso di migliorarne il testo e di giungere ad una sintesi soddisfacente. Va tuttavia rimarcato che nella giornata di ieri si sono registrate numerose assenze tra i banchi della maggioranza, che in occasione di altri provvedimenti è stata presente a ranghi molto più compatti. L'approvazione del disegno di legge rappresenta un importante atto di civiltà, che colma il grave ritardo dell'Italia nel settore delle cure palliative e della terapia del dolore. È necessario tuttavia che il Parlamento e il Governo non ritengano con questo di aver assolto completamente al proprio compito, ma si impegnino invece per garantire una concreta attuazione della nuova normativa e, soprattutto, per definire un sistema di supervisione che garantisca un'offerta omogenea di questo tipo di cure e di strutture su tutto il territorio nazionale. A tal fine, oltre ad un efficace sistema di controlli, appare indispensabile provvedere ad un'adeguata formazione professionale del personale e ad una capillare informazione rivolta ai cittadini. Inoltre, poiché risulta che la maggior parte dei malati terminali desidera trascorrere l'ultimo periodo di vita nella propria abitazione, è importante potenziare l'offerta e la qualità dell'assistenza domiciliare. (Applausi dai Gruppi IdV e PD e del senatore Fosson).

ASTORE (Misto). Il disegno di legge che l'Aula si accinge ad approvare rappresenta un importante provvedimento a favore dei cittadini, su cui si è raggiunta una positiva mediazione politica che sarebbe stata auspicabile anche nel caso di altri provvedimenti di argomento analogo, come il disegno di legge sul testamento biologico. È ora importante che le misure in esso contenute non restino inattuate e, soprattutto, che vi sia un impegno concreto, anche dal punto di vista economico, per superare la disomogeneità dei livelli di assistenza sanitaria offerti dalle diverse Regioni, prevedendo in particolare un piano di centri di eccellenza per il Meridione. L'assistenza sanitaria non può essere ricondotta unicamente a logiche di mercato, come purtroppo rischia sempre più spesso di accadere, ma deve avere come punti di riferimento la dignità della persona umana e la qualità della vita del paziente. Appare altresì indispensabile un migliore coordinamento tra i compiti e le responsabilità affidati ai diversi enti pubblici nell'ambito dell'offerta di cure mediche, possibilmente attraverso l'istituzione di un tavolo apposito. Altri punti di notevole importanza ai fini dell'attuazione del provvedimento sono rappresentati da un'adeguata formazione professionale del personale interessato e dall'individuazione di forme di controllo nei confronti delle Regioni inadempienti. (Applausi dal Gruppo PD e dei senatori Tomassini e De Lillo).

RIZZI (LNP). La soddisfazione per l'approvazione di una normativa attesa da troppi anni dai malati e dai medici chiamati a prestare le cure palliative e le terapie del dolore è in parte temperata dal rammarico per il fatto che i vincoli di bilancio imposti dalla crisi economica costringono a contenere le risorse messe a disposizione e, inevitabilmente, ad attenuare l'impatto innovativo della nuova legge. In particolare, c'è il rischio che, mantenendo separati gli ambiti in cui operano la rete nazionale per le cure palliative e quella per la terapia del dolore, si assicurino prestazioni valide ai malati terminali, ma si lasci in parte scoperta la cura del dolore cronico. Merita apprezzamento l'impianto federalista del disegno di legge che affida alle Regioni il compito di mettere in campo soluzioni adeguate, mentre compito delle istituzioni centrali è attuare un'azione di stimolo e controllo. (Applausi dal Gruppo LNP e dei senatori De Lillo e Tomassini. Congratulazioni).

BOSONE (PD). Il disegno di legge che il Senato si appresta ad approvare è motivo di soddisfazione perché, rappresentando un inequivocabile passo avanti nell'integrazione della cura del dolore all'interno del Servizio sanitario nazionale, dà un contributo al progresso civile del Paese. Il testo ha un alto valore simbolico, perché rappresenta la vittoria di quegli operatori sanitari che anni fa hanno iniziato ad affrontare il tema delle cure palliative, ma soprattutto perché afferma il diritto a tali cure, muove in direzione della semplificazione terapeutica e rifiuta tanto l'abbandono quanto l'accanimento terapeutico. Ma, proprio perché tale normativa è fortemente attesa da tanti operatori sanitari, dai malati e dai loro familiari, è motivo di rammarico che non si sia fatto di più per la cura del dolore e per esaltare la professionalità degli operatori del settore. In particolare, la semplificazione, che è parte essenziale del disegno di legge in esame, doveva essere affrontata con più coraggio, specie in riferimento alla possibilità di dotare tutti i medici abilitati del ricettario del Servizio sanitario nazionale. Il testo in votazione si basa sugli stessi principi ispiratori del disegno di legge sul testamento biologico: il diritto alle cure, il rispetto della dignità umana, la lotta al dolore, non solo quello fisico, ma anche quello psicologico. E' opportuno che ora il Parlamento avvii l'iter di altri importanti ed attesi provvedimenti, in particolare i disegni di legge di iniziativa parlamentare sulle malattie rare e sul rischio clinico. (Applausi dal Gruppo PD e del senatore Tomassini. Congratulazioni).

CALABRO' (PdL). Il disegno di legge sulle cure palliative e la terapia del dolore e la legge sulle dichiarazioni anticipate di trattamento dimostrano che, se da un lato il Parlamento ha inteso ribadire il rifiuto dell'eutanasia, dell'accanimento terapeutico e del suicidio assistito, dall'altro si è anche voluto far carico di non abbandonare i malati e le loro famiglie alle loro sofferenze e difficoltà. Una efficiente rete di cure palliative e di terapie antalgiche, contribuendo a diminuire il dolore del malato, aiuta a diminuire il senso di abbandono che può coglierlo e quindi a prevenire possibili richieste eutanasiche. Creando tale rete, il testo avvicina lo Stato al malato, ma per realizzare compiutamente tale obiettivo e rispettare i diritti che danno concretezza al principio di uguaglianza, andranno superate, pur nel rispetto delle autonomie regionali, le differenze esistenti sul territorio nazionale, dove i centri specializzati sono oggi localizzati prevalentemente al Nord. È necessario inoltre assicurare un'adeguata formazione agli operatori sanitari attraverso percorsi didattici specifici ed omogenei: per questo occorre che le università adeguino la loro offerta formativa. Si deve poi apprestare una campagna di comunicazione istituzionale che informi il cittadino che può contare su un'efficace rete di terapia antalgica e di cure palliative. Sottolinea, infine, l'importanza della semplificazione delle procedure per la prescrizione di farmaci antidolorifici attraverso l'utilizzo del ricettario del Servizio sanitario nazionale. Per queste ragioni e visto che l'esame da parte del Senato ha apportato alcuni miglioramenti al testo senza modificarne lo spirito, auspica l'approvazione all'unanimità del disegno di legge all'ordine del giorno, analogamente a quanto avvenuto alla Camera. (Applausi dai Gruppi PdL e PD. Congratulazioni).

Saluto ad una rappresentanza di studenti

PRESIDENTE. Saluta, a nome dell'Assemblea, una rappresentanza di studenti dell'istituto di istruzione superiore «Luigi Einaudi» di Canosa di Puglia, in provincia di Bari, presente nelle tribune. (Applausi).

Ripresa della discussione dei disegni di legge
nn.
1771, 66, 287, 305 e 477

FAZIO, ministro della salute. Il Governo, soddisfatto della discussione parlamentare sul disegno di legge, assicura il proprio impegno per l'effettiva applicazione della normativa in tutte le Regioni, stanziando le risorse necessarie e garantendo la possibilità di un effettivo controllo delle Camere. (Applausi dai Gruppi PdL e UDC-SVP-Aut e dei senatori Astore e Negri. Congratulazioni).

Il Senato approva la proposta di coordinamento C1 e il disegno di legge n. 1771, nel testo emendato, con il seguente titolo: «Disposizioni per garantire l'accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore», con l'intesa che la Presidenza è autorizzata ad effettuare gli ulteriori coordinamenti che si rendessero necessari.

PRESIDENTE. Restano pertanto assorbiti i disegni di legge nn. 66, 287, 305 e 477.

Per la fissazione di ulteriori tempi per la presentazione di emendamenti sul disegno di legge n. 1955

FINOCCHIARO (PD). Chiede che siano assegnati ai Gruppi ulteriori tempi per la discussione del disegno di legge n. 1955, il cosiddetto decreto mille proroghe, in ragione dei numerosi emendamenti presentati, alcuni dei quali contengono misure serie e gravi, su cui la Presidenza deve consentire un dibattito approfondito. (Applausi dal Gruppo PD).

BELISARIO (IdV). Si associa alla richiesta del Partito Democratico, auspicando che la Presidenza valuti con rigore l'ammissibilità di alcuni emendamenti presentati dal relatore, che stravolgono il provvedimento.

D'ALIA (UDC-SVP-Aut). Concorda con la richiesta di maggiori tempi e con l'auspicio di una valutazione rigorosa sull'ammissibilità degli emendamenti che esulano dal contenuto del decreto-legge, rendendo il provvedimento un surrogato della manovra finanziaria, che affronta temi di grande rilevanza in modo poco trasparente e carente di una visione d'insieme.

PRESIDENTE. Riferirà al Presidente del Senato le richieste dei Capigruppo della minoranza.

Discussione congiunta del disegno di legge:

(1781) Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee - Legge comunitaria 2009 (Approvato dalla Camera dei deputati) (Votazione finale qualificata ai sensi dell'articolo 120, comma 3, del Regolamento) (Relazione orale)

e del documento:

(Doc. LXXXVII, n. 2) Relazione sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea (anno 2008)

SANTINI, relatore. La discussione sulla legge comunitaria favorisce la riflessione su alcune questioni di carattere ordinamentale, al fine di rendere più efficace la partecipazione delle Camere alla formazione del diritto comunitario. In particolare sarebbe opportuno disgiungere l'esame della legge comunitaria dalla relazione annuale sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea, per esaltarne il valore politico e programmatico; assegnare in sede referente alla XIV Commissione i provvedimenti conseguenti ad atti normativi o sentenze comunitari; contrastare la tendenza a trasformare la stessa legge comunitaria in un provvedimento omnibus, che esula dal suo contenuto proprio. Il testo in esame mira a rafforzare il ruolo del Parlamento nella fase ascendente del processo legislativo comunitario, in coerenza con il Trattato di Lisbona, imponendo al Governo di tener conto dei pareri e degli atti di indirizzo delle Camere, di consultare tempestivamente il Parlamento nella predisposizione dei Programmi nazionali di riforma per l'attuazione della cosiddetta Strategia di Lisbona e di trasmettere al Parlamento gli atti e i documenti relativi alle procedure di infrazione. Alla relazione annuale sulla partecipazione dell'Italia all'Unione viene inoltre affiancata una nuova relazione, contenente le linee programmatiche del Governo per l'anno successivo. Vengono anche migliorate le procedure di controllo parlamentare del principio di sussidiarietà, prevedendo che l'Esecutivo fornisca alle Camere un'adeguata informazione sul contenuto e sui lavori preparatori relativi ai progetti di atto legislativo europeo, evidenziandone l'impatto sull'ordinamento interno. La legge comunitaria applica inoltre le direttive comunitarie sulla caccia, scongiurando così una pesante infrazione a carico del Paese, e sul divieto dell'uso di prodotti derivanti dall'uccisione delle foche. Opportune sono inoltre le norme in materia agricola, mentre ampio consenso ha ottenuto la disposizione che classifica come sottoprodotti alcuni materiali di scarto del settore agricolo e della lavorazione di marmi e pietre, sollevando gli imprenditori da onerose procedure di smaltimento. Vanno ricordate, infine, le norme di recepimento delle direttive quadro in materia di diritti civili, come quelle relative alla tutela della vittima nel procedimento penale, alle frodi e alla repressione del favoreggiamento del soggiorno illegale. (Applausi dal Gruppo PdL).

BOLDI, relatrice. Integra la relazione scritta sul documento del Governo sulla partecipazione dell'Italia all'Unione. La legge comunitaria propone importanti novità per quanto riguarda la partecipazione del Parlamento alla formazione e al recepimento del diritto comunitario, in coerenza con il Trattato di Lisbona recentemente entrato in vigore. Infatti, sebbene la Camera dei deputati stia lavorando ad una rielaborazione organica della cosiddetta legge Buttiglione, che richiederà tempi lunghi, il disegno di legge in esame propone significative modifiche a tale normativa, che consentiranno una migliore informazione e un maggior coinvolgimento del Parlamento. A tal proposito va ricordata la previsione di due distinte relazioni annuali alle Camere, con cui il Governo riferirà sull'operato dell'anno precedente e sulle linee programmatiche della politica europea per l'anno successivo. (Applausi dal Gruppo PdL).

PRESIDENTE. Comunica che è stata presentata la questione pregiudiziale QP1.

D'ALIA (UDC-SVP-Aut). Nonostante alcune apprezzabili modifiche introdotte dalla Camera dei deputati che parzialmente attuano le norme e i principi contenuti nel Trattato di Lisbona, con particolare riferimento al rafforzamento del ruolo dei Parlamenti nazionali nella fase ascendente di formazione delle norme comunitarie, il metodo adottato dal Governo nella legge comunitaria ancora risente dell'approccio precedente alla ratifica del Trattato. Infatti, l'eterogeneità e la pregnanza dei temi affrontati impongono la partecipazione attiva e in alcuni casi vincolante del Parlamento nazionale, che invece viene escluso dal ricorso sistematico alle deleghe in bianco al Governo, addirittura anche in materia penale. Tale modo di procedere risulta ancora più grave se si considera che spesso, allo scadere infruttuoso della delega, il Governo, con la scusa di evitare le procedure di infrazione, presenta alle Camere provvedimenti di urgenza per dare corso alla normativa europea, ma poi estende l'ambito normativo di questi provvedimenti, facendone lo strumento per introdurre norme che nulla hanno a che vedere con la legislazione comunitaria. Chiede pertanto che non si proceda all'esame del disegno di legge n. 1781. In caso di respingimento della questione pregiudiziale, chiederà lo stralcio dal provvedimento delle norme in materia penale. (Applausi dai Gruppi UDC-SVP-Aut e PD).

Con votazione seguita da controprova, chiesta dal senatore D'ALIA (UDC-SVP-Aut), il Senato respinge la questione pregiudiziale QP1.

PRESIDENTE. Dichiara aperta la discussione generale congiunta.

Presidenza della vice presidente MAURO

DE ECCHER (PdL). In coerenza con gli impegni assunti dinanzi all'elettorato di centrodestra, esprime forte dissenso dinanzi ad alcuni orientamenti manifestati dal Governo in ambito comunitario che emergono dalla Relazione del ministro Ronchi, in particolare con riferimento all'adesione della Turchia all'Unione europea. Non si possono sottovalutare, infatti, i rischi di tale processo, legati alla non appartenenza, neppure geografica, della Turchia all'Europa e al dilagare della cultura islamica nel continente, nonché alla legittimazione di correnti di pensiero ostili ai principi di democrazia e di laicità. Preferibile è la posizione della Francia e della Germania e di quei Paesi che insistono sul riconoscimento alla Turchia della condizione di partnenariato speciale, anziché di membro ufficiale dell'Unione, e che peraltro riflettono le posizioni della maggioranza dell'opinione pubblica europea, espresse in recenti sondaggi. Invita quindi il Governo ad abbandonare logiche leniniste che non appartengono al centrodestra e a farsi portavoce della volontà popolare mutando il proprio orientamento in questa delicata materia. (Applausi dal Gruppo PdL. Congratulazioni).

SPADONI URBANI (PdL). Dinanzi al ruolo sempre più penetrante svolto dall'Unione europea, soprattutto in termini di benefici economici e di qualificazione dell'ordinamento giuridico nazionale, è di stringente attualità il tema dell'assetto ordinamentale che regge il recepimento delle norme comunitarie nel diritto italiano. Anche se i margini propositivi riconosciuti al Parlamento sono effettivamente modesti, non è opportuno addivenire ad uno stravolgimento di tale ordinamento, ma è auspicabile che sia sempre garantito il ruolo dei Parlamenti nazionali nella fase ascendente della normativa dell'Unione, in cui ancora si può incidere in maniera significativa sul processo di formazione delle norme, e che l'interlocuzione con le istituzioni comunitarie non sia riservata ai comitati governativi ristretti, come previsto dal Trattato di Lisbona. Sarebbe utile che il Governo si dedicasse ad un effettivo monitoraggio per calcolare preventivamente gli effetti di ciascuna direttiva europea sulla legislazione nazionale. Sottolinea positivamente come l'approvazione alla Camera dei deputati di una modifica all'articolo 2, comma 1, lettera g) del provvedimento, abbia consentito l'introduzione nella legislazione del principio del coinvolgimento delle parti sociali nella predisposizione dei decreti legislativi di attuazione delle direttive in materia di lavoro e politiche sociali. Auspica che il Governo adempirà agli impegni impliciti in questa nuova indicazione, fornendo un modello per l'Europa e procedendo sulla strada faticosa del rafforzamento della democrazia. (Applausi dal Gruppo PdL).

DI GIOVAN PAOLO (PD). In difesa dei concreti ideali europeisti che da sempre informano il pensiero del Partito Democratico e che rifuggono alla retorica del centrodestra, non condivide la procedura vigente di esame della legge comunitaria che non tiene conto dei nuovi principi introdotti dal Trattato di Lisbona e del crescente ruolo di partecipazione e codecisione spettante ai Parlamenti nazionali nel processo di legislazione comunitaria. Invita, a tale proposito, la Lega Nord, convintamente federalista sul piano nazionale, a sostenere anche la prospettiva di istituire un Senato degli Stati e delle autonomie locali e regionali che vada a sostituirsi all'attuale Consiglio europeo degli Stati. La legge comunitaria è giunta dalla Camera dei deputati composta di soli 12 articoli, ma il volume dell'articolato è lievitato enormemente in fase di esame presso il Senato, a dimostrazione che il provvedimento è ancora considerato dal Governo uno strumento privilegiato per inserire celermente nella legislazione nazionale norme estranee ed eterogenee, privando il Parlamento dell'esercizio di controllo e della sovranità su alcune specifiche materie. A distanza di cinque anni dalle prossime elezioni europee, invita il Governo ad attivarsi per modificare l'attuale legge elettorale e consentire che i rappresentanti eletti nel Parlamento europeo abbiano un rapporto diretto con tutti gli elettori nel territorio nazionale e non solo con alcune Regioni. Vi sono numerose disposizioni all'interno della legge comunitaria, come la parte riguardante il nuovo servizio diplomatico europeo del Ministero degli affari esteri, che andrebbero affrontate diversamente; ma occorrerebbe andare più decisamente verso la creazione di Forze armate europee, di un meccanismo comune di cooperazione allo sviluppo, di un seggio unico nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Per i federalisti europei inizia una nuova battaglia per superare il sistema delle conferenze intergovernative e dare finalmente attuazione all'articolo contenuto nel Trattato di Lisbona per dare una Costituzione all'Europa. (Applausi dal Gruppo PD).

GERMONTANI (PdL). Con la presentazione del disegno di legge comunitaria il Governo adempie all'obbligo (previsto dalla legge Buttiglione del 2005) di predisporre annualmente un provvedimento legislativo volto ad assicurare l'adeguamento dell'ordinamento nazionale all'ordinamento comunitario. Non si tratta di un appuntamento puramente formale, ma di un momento sostanziale nell'ambito della partecipazione del Parlamento alle procedure decisionali e al processo di integrazione europeo. Tale partecipazione ha visto peraltro negli ultimi anni una rivalutazione della cosiddetta fase ascendente, con l'approvazione presso le Commissioni di merito di risoluzioni che garantiscono un maggiore e più incisivo coinvolgimento del Parlamento nella formazione del diritto comunitario. Nell'ambito delle modifiche che dovranno essere apportate al Regolamento del Senato per adeguarlo all'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, sarebbe auspicabile una revisione del criterio di ammissibilità degli emendamenti alla legge comunitaria, attualmente basato sull'adeguamento agli obblighi imposti dall'Unione europea; tale criterio non appare più opportuno nel momento in cui anche altri provvedimenti (esaminati da altre Commissioni di merito) provvedono a dare attuazione agli obblighi comunitari, senza soggiacere ai medesimi vincoli di ammissibilità. Va rilevato, in proposito, che il Trattato di Roma lascia gli Stati membri liberi di dare attuazione alle direttive comunitarie con le forme e i mezzi da essi ritenuti più idonei. Nel merito del provvedimento in esame, meritano di essere segnalati due emendamenti approvati in 14a Commissione, il primo dei quali prevede il rafforzamento dell'educazione e dell'informazione finanziaria quale strumento di tutela del consumatore, mentre il secondo dispone, ai fini di una maggiore trasparenza, la pubblicazione dei compensi dei manager delle società quotate in borsa.

FILIPPI Marco (PD). Particolarmente criticabile appare una prassi sempre più spesso adottata dal Governo ed adottata anche nella legge comunitaria in esame: la presentazione di emendamenti dal contenuto molto vario, attraverso i quali si conferiscono delle deleghe all'Esecutivo che rappresentano vere e proprie mini-riforme di settore. In tal modo si privano le Commissioni parlamentari di merito della possibilità di esprimersi su tali norme e di apportare ad esse delle modifiche, con evidente mortificazione del ruolo stesso del Parlamento e con il venir meno del principio della trasparenza e della tracciabilità dell'iter parlamentare di approvazione dei provvedimenti. Sarebbe pertanto opportuno che la Presidenza invitasse il Governo ad un uso più equilibrato ed appropriato dello strumento emendativo. Nel caso in esame, gli articoli 35 e 36 del disegno di legge (introdotti durante l'esame in 14a Commissione) recano importanti norme concernenti gli autotrasportatori e l'adeguamento delle tariffe aeroportuali, sulle quali l'8a Commissione non ha potuto pronunciarsi nel merito. Nell'ambito del settore dell'aviazione civile, peraltro, sarebbe opportuno svolgere un approfondimento sul funzionamento e sulla reale autonomia dell'ENAC, che attualmente non è dotato delle risorse umane ed economiche necessarie per svolgere adeguatamente i propri compiti. (Applausi dal Gruppo PD. Congratulazioni).

PEDICA (IdV). Nonostante le positive convergenze raggiunte alla Camera dei deputati e l'ottimo lavoro svolto dalla 14a Commissione del Senato, il disegno di legge comunitaria 2009 appare un provvedimento in tono minore, dal momento che il Governo continua a considerare l'Unione europea un peso piuttosto che una risorsa e continua a ritenere che l'ordinamento comunitario possa essere recepito in modo discrezionale, solo nei casi in cui fa comodo. Il Parlamento, d'altra parte, non può modificare l'impianto di base del provvedimento in esame. Se da un lato è positivo il recepimento della direttiva sui rifiuti e della direttiva che impone sanzioni ai datori di lavoro che assumono personale in modo non regolare, ingiustificabili ed inammissibili appaiono il rinvio al 2012 dell'entrata in vigore delle norme che tutelano la salute dei lavoratori esposti ai campi elettromagnetici e l'assenza di un accoglimento pieno della direttiva sul rimpatrio dei migranti, di cui solo alcune parti sono state recepite nel cosiddetto pacchetto sicurezza, mentre sono state del tutto trascurate le disposizioni concernenti i diritti dei migranti e il diritto all'asilo. Anche nel settore della finanza il recepimento delle norme comunitarie nell'ordinamento nazionale avviene in modo parziale e discrezionale, da parte di un Governo che persegue una politica di deregolamentazione dei capitali e di istigazione all'illecito finanziario e fiscale. (Applausi dal Gruppo IdV e della senatrice Biondelli).

PITTONI (LNP). Richiama l'attenzione dell'Aula su un disegno di legge, approvato dalla Camera dei deputati e attualmente all'esame del Senato, che prevede l'obbligo di fornire precise informazioni relative al processo di produzione sull'etichetta dei prodotti tessili e calzaturieri, al fine di prevenire e di contrastare la crescente presenza sul mercato interno di prodotti di bassa qualità e di dubbia provenienza recanti il marchio made in Italy. È auspicabile che al Senato, come è avvenuto alla Camera, vi sia un voto bipartisan su tale provvedimento e che il Paese sappia difendere con forza i propri interessi in sede comunitaria, così come fanno altri Stati membri. (Applausi dal Gruppo LNP).

ADAMO (PD). Nel quadro del rafforzamento delle istituzioni europee in atto, il metodo seguito dal Governo e dalla maggioranza nell'esame del disegno di legge comunitaria è inaccettabile, perché il Parlamento oggi dovrebbe essere chiamato ad esercitare un ruolo molto più incisivo nella formazione delle decisioni per garantire maggiore autorevolezza al funzionamento delle istituzioni dell'Unione europea, attraverso la capacità di fornire indirizzi nella fase ascendente di formazione del diritto comunitario. Allo stato attuale, peraltro, si sta trasferendo alla legislazione comunitaria un fenomeno deleterio che caratterizza la normativa italiana, ovvero lo smarrimento della tracciabilità del processo legislativo, a causa del quale il cittadino non sa quali disposizioni sono in vigore. In questo contesto, è scandaloso che il Parlamento sia chiamato ad esaminare il disegno di legge comunitaria 2009 in grave ritardo, quando ormai tutte le decisioni sono state assunte. In attesa che lo strumento attuale per l'adeguamento della legislazione italiana alla normativa europea sia modificato, si potrebbero pertanto modificare le azioni quotidiane ed in questo senso chiede alla Presidenza chiarimenti in ordine alla calendarizzazione del disegno di legge comunitaria 2009. (Applausi dal Gruppo PD).

PRESIDENTE. Chiarisce che il disegno di legge comunitaria 2009 viene discusso in questa fase, perché la Commissione di merito non poteva esaminarlo durante la sessione di bilancio.

POSSA (PdL). Sta suscitando viva preoccupazione la politica perseguita dall'Unione europea che, in determinati ambiti, sta emanando direttive sempre più dettagliate, lasciando poco margine di intervento ai singoli Paesi nel momento del recepimento delle stesse. Inoltre, la struttura non bipolare delle istituzioni di Bruxelles pone un freno al confronto ideologico e tende a limitare l'espressione della sovranità popolare. In particolare, l'Unione europea sta assumendo un atteggiamento centralistico e radicale sul tema del riscaldamento globale, rispetto al quale sta producendo un'attività legislativa e regolamentare farraginosa e frenetica. In tale ambito, infatti, l'Europa sta dando credito, in maniera dogmatica, ai documenti dell'Intergovernmental panel on climate change (IPCC) dell'ONU, secondo cui il riscaldamento globale è causato principalmente dalle attività umane ed in particolare dalla combustione di combustibili fossili, ma in realtà la base scientifica di tale ipotesi è ancora debole e le previsioni sul riscaldamento globale sono poco affidabili. È dunque auspicabile che l'obiettivo della sostenibilità energetica della civiltà industriale sia perseguito in maniera diversa da quella attuale. (Applausi dal Gruppo PdL. Congratulazioni).

PRESIDENTE. Dichiara chiusa la discussione generale congiunta. Rinvia il seguito dell'esame del disegno di legge e del documento in titolo alla seduta pomeridiana.

Per lo svolgimento di interrogazioni

LANNUTTI (IdV). Chiede alla Presidenza di sollecitare la risposta del Governo ai numerosi atti di sindacato ispettivo presentati sulle attività delle autorità di vigilanza, con articolare riferimento alla CONSOB. (Applausi del senatore Pedica).

PRESIDENTE. La Presidenza si farà carico di trasmettere la richiesta al Governo.

Dà annunzio degli atti di indirizzo e di sindacato ispettivo pervenuti alla Presidenza (v. Allegato B) e toglie la seduta.

La seduta termina alle ore 12,54.

RESOCONTO STENOGRAFICO

Presidenza del vice presidente NANIA

PRESIDENTE. La seduta è aperta (ore 9,32).

Si dia lettura del processo verbale.

THALER AUSSERHOFER, segretario, dà lettura del processo verbale della seduta antimeridiana del 21 gennaio.

PRESIDENTE. Non essendovi osservazioni, il processo verbale è approvato.

Comunicazioni della Presidenza

PRESIDENTE. L'elenco dei senatori in congedo e assenti per incarico ricevuto dal Senato, nonché ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicati nell'allegato B al Resoconto della seduta odierna.

Preannunzio di votazioni mediante procedimento elettronico

PRESIDENTE. Avverto che nel corso della seduta odierna potranno essere effettuate votazioni qualificate mediante il procedimento elettronico.

Pertanto decorre da questo momento il termine di venti minuti dal preavviso previsto dall'articolo 119, comma 1, del Regolamento (ore 9,36).

Seguito della discussione dei disegni di legge:

(1771) Disposizioni per garantire l'accesso alle cure palliative e alle terapie del dolore (Approvato dalla Camera dei deputati in un testo risultante dall'unificazione dei disegni di legge d'iniziativa dei deputati Binetti ed altri; Polledri ed altri; Livia Turco ed altri; Farina Coscioni ed altri; Bertolini ed altri; Cota ed altri; Di Virgilio ed altri; Saltamartini ed altri)

(66) TOMASSINI. - Disposizioni in materia di cure palliative domiciliari integrate per pazienti terminali affetti da cancro

(287) BAIO ed altri. - Disposizioni per la realizzazione della rete di cure palliative

(305) BIANCONI e CARRARA. - Disposizioni per l'assistenza globale dei pazienti in fase avanzata di patologia oncologica o degenerativa progressiva, necessitanti di cure palliative

(477) MASSIDDA. - Disposizioni in materia di cure palliative domiciliari integrate per pazienti terminali affetti da cancro

(Relazione orale) (ore 9,36)

Approvazione, con modificazioni, del disegno di legge n. 1771, con il seguente titolo: Disposizioni per garantire l'accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione dei disegni di legge nn. 1771, già approvato dalla Camera dei deputati in un testo risultante dall'unificazione dei disegni di legge d'iniziativa dei deputati Binetti ed altri; Polledri ed altri; Livia Turco ed altri; Farina Coscioni ed altri; Bertolini ed altri; Cota ed altri; Di Virgilio ed altri; Saltamartini ed altri, 66, 287, 305 e 477.

Ricordo che nella seduta di ieri ha avuto luogo la votazione degli articoli e dei relativi emendamenti.

Passiamo alla votazione finale.

BIANCHI (UDC-SVP-Aut). Domando di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BIANCHI (UDC-SVP-Aut). Signor Presidente, signor Ministro, colleghi, una legge che ha per titolo «Disposizioni per garantire l'accesso alle cure palliative e alle terapie del dolore» sollecita in tutti noi un forte senso di responsabilità, che si è tradotto in un dibattito approfondito e condiviso, prima alla Camera, poi in Commissione sanità del Senato, infine in quest'Aula.

Questa è una delle leggi più attese e più importanti di questa legislatura e contiene più di una svolta per i tanti malati cronici e terminali costretti spesso a difficili slalom per avere le cure necessarie per lenire sofferenze molte volte inutili.

Partendo dal presupposto che non soffrire deve essere un diritto, l'obiettivo è quello di offrire al paziente una dignitosa qualità della vita attraverso un'assistenza che varia in base ai bisogni del paziente e della sua famiglia. Questa legge interessa 250.000 persone che ogni anno si trovano in queste condizioni, tra le quali 11.000 bambini. Di queste, 160.000 sono malati terminali e la restante parte sono pazienti con patologie croniche, cardiache, respiratorie, neurologiche, metaboliche e anche infettive.

L'universo del malato terminale apre una serie di problematiche. È evidente infatti che la domanda di cura che ogni paziente rivolge al medico tende a differenziarsi in maniera sostanziale a seconda della malattia e del livello di sofferenza che provoca in lui e nella sua famiglia, ma anche a seconda degli stili di vita, dei suoi valori e della sua personalità.

Tutta la legge tende a mettere al centro dell'attenzione non la malattia, ma il paziente con tutti i suoi bisogni. È limitativo infatti parlare solo di dolore fisico o di terapia farmacologica. Il malato, soprattutto oncologico, manifesta una serie di bisogni fisici, funzionali, psicologici, esistenziali e sociali che vanno riconosciuti e affrontati nella loro complessità, specie nelle fasi avanzate-terminali, dove la sofferenza è totale e non solo fisica. Tanto che, non a caso, alle terapie farmacologiche è associata la possibilità di un sostegno psicologico, spirituale e sociale rivolto sia alla persona malata che, cosa importante, alla sua famiglia, a quella famiglia che rappresenta ancora oggi in Italia l'ammortizzatore sociale più importante di cui disponiamo.

È positiva la particolare rilevanza che si è data a quelle strutture che ospitano i minori, così come i soggetti diversamente abili, che alla loro condizione persistente associano una condizione nuova ancora peggiore. Mai come in questi casi la medicina può dimostrare il suo volto umano e l'attenzione per la dignità del vivere e del morire.

Secondo il testo, l'accesso alle prestazioni erogate dalla rete di cure palliative e dalla rete delle terapie contro il dolore è regolato dai principi generali dell'universalità, dell'equità e dell'appropriatezza. In modo corretto, si identificano due reti separate, una per le cure palliative e una per la terapia del dolore, facenti capo ad un'unica struttura dipartimentale, per agevolare la necessaria attività di coordinamento. Il circuito virtuoso della rete è composto dalla struttura ospedaliera, nei momenti di particolare criticità clinica, dall'hospice, cioè ospedale senza dolore, come luogo di accoglienza, e infine la propria abitazione (home), dove stare il più a lungo possibile godendo di tutte le cure di una buona assistenza domiciliare. Fanno parte della rete anche il medico di famiglia, i pediatri di libera scelta, un centro di telemedicina, la farmacia distrettuale e ospedaliera.

Detto questo, qualche cosa ci preoccupa vedendo i dati; faccio l'esempio del censimento degli hospice: 51 si trovano in Lombardia, 5 in Campania e 15 nel Lazio. Questo dato ci pone davanti il problema delle difformità regionali, quindi il rispetto del criterio di equità. Molte Regioni svantaggiate non sono in grado di assicurare un'assistenza domiciliare adeguata; non tutte le Regioni hanno concluso il sistema di accreditamento, per cui manca la possibilità di creare un unico modello nazionale della rete in considerazione dell'autonomia regionale. Inoltre, qualche problema potrebbe nascere dall'aver scelto nelle realtà più piccole l'istituzione delle due reti. Per questo ci sarebbe piaciuto, semmai, prevedere una serie di sanzioni per quelle Regioni che fossero inadempienti o usassero le risorse che noi proponiamo in questa legge per altri scopi. Naturalmente, in questo criterio di equità regionale rientra anche la formazione del personale impegnato nelle due reti. È indispensabile infatti costituire dei percorsi formativi di tipo interdisciplinare multiprofessionale.

Altra parte importante è rappresentata dalla necessità di informare i pazienti e le loro famiglie; infatti, purtroppo, solo il 60 per cento dei pazienti terminali e quasi tutti quelli che non hanno una malattia oncologica sfuggono oggi alla rete delle cure palliative. Ecco perché è necessaria una campagna di informazione ed educazione sulle potenzialità assistenziali delle cure palliative e dell'applicazione della terapia del dolore.

Nel provvedimento è poi prevista una semplificazione, che non vuol essere una liberalizzazione, per l'impiego delle sostanze stupefacenti a scopo sanitario. Sparirà il ricettario speciale per la prescrizione degli oppioidi. Il livello del dolore - credo che questo sia un aspetto importante - sarà costantemente monitorato nelle corsie degli ospedali; medici e infermieri dovranno costantemente riportarlo nella cartella clinica.

Considero questa una buona legge, soprattutto nei principi, che sono stati condivisi da tutti i rappresentanti politici, sia della maggioranza sia dell'opposizione. Se una critica posso muovere a questo provvedimento, oltre alla necessità di monitorare i risultati (e questo è un impegno che dobbiamo assumere tutti noi anche nei confronti delle Regioni), è l'aspetto economico. Noi speriamo che questa buona legge non rimanga un contenitore quasi vuoto, senza finanziamenti confacenti, e che sia fatto uno sforzo adeguato perché i bisogni di questi pazienti sono i bisogni di tante famiglie italiane.

Preannunciando il voto favorevole dell'UDC, SVP e Autonomie, vorrei sottolineare il clima positivo e collaborativo che si è instaurato su questo disegno di legge. Ringrazio il relatore, senatore De Lillo, l'intera Commissione sanità, il suo Presidente e il Ministro, che ha seguito i lavori costantemente, anche in Commissione. (Applausi dal Gruppo UDC-SVP-Aut e del senatore Mascitelli).

MASCITELLI (IdV). Domando di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASCITELLI (IdV). Signor Presidente, colleghi, il voto dell'Italia dei Valori su questo disegno di legge sarà un voto decisamente favorevole. Il nostro Gruppo ha lavorato sia in Commissione che in Aula, alla Camera e qui al Senato, con un atteggiamento costruttivo per giungere all'approvazione di una legge che è attesa ormai da molto tempo e da tanti italiani. Quindi, ringrazio anch'io il relatore, il collega De Lillo, per l'ottima capacità di sintesi, dal momento che questo testo, non dimentichiamolo, è il risultato dell'unificazione di più disegni di legge, come quelli presentati dal senatore Tomassini e dalla senatrice Bianconi e quelli di altri colleghi dell'opposizione. È quindi un testo che proviene da una sintesi di culture, di sensibilità, di esperienze diverse.

D'altronde, consentitemi di dire (senza alcun intendimento polemico) che anche nella giornata di ieri si è data dimostrazione del fatto che ci fosse un clima di grande positività e collaborazione costruttiva da parte dell'opposizione. Infatti, nel corso delle votazioni su emendamenti della maggioranza e dell'opposizione, attraverso i quali sono stati apportati miglioramenti, in Aula la maggioranza non era tale. Se avessimo chiesto una verifica del numero legale, ci saremmo accorti che questo mancava. Forse, di fronte ad una legge che molti italiani aspettano con grande sensibilità, la maggioranza si è presentata a ranghi meno compatti e blindati rispetto a ciò che è accaduto per altri provvedimenti di legge approvati in un recentissimo passato, che interessavano ben poche persone.

Ci sono però due errori che dobbiamo evitare. Il primo è quello di pensare che abbiamo assolto a tutto il nostro dovere, e quindi chiuderci in una sorta di autoreferenzialità pensando di poter stare a posto con la nostra coscienza. In realtà, oggi il Parlamento, con l'approvazione di questa legge, compie un atto di responsabilità nei confronti di tanti pazienti e cittadini che hanno bisogno di accedere alla medicina palliativa e alla terapia del dolore. I numeri sono già stati abbondantemente ricordati in Aula in più occasioni: ogni anno 150.000 italiani malati hanno bisogno di accedere al programma delle cure palliative e non hanno i punti di riferimento di strutture e di centri di assistenza. Ci sono tante famiglie che, come è stato più volte ricordato, si trovano spesso sole, abbandonate di fronte ai delicati risvolti affettivi e psicologici che comporta la cura di un malato terminale. Queste famiglie, di fronte alle carenze delle nostre istituzioni, assicurano una sorta di welfare fai da te. È un atto di civiltà: lo ha ricordato il ministro Fazio con grande onestà intellettuale, che gli deriva anche dalla professione che autorevolmente svolge. È un atto di civiltà perché il nostro Paese è tra i più arretrati in Europa rispetto alle garanzie di accesso alla medicina palliativa e alla terapia del dolore. Peraltro, ad oggi siamo inadempienti rispetto a una risoluzione estremamente importante approvata all'unanimità dal Consiglio d'Europa nel gennaio dell'anno scorso, nella quale si sottolinea un aspetto rilevante, ossia che la medicina palliativa e la terapia del dolore non sono solo una garanzia di cura, ma sono anche espressione di un diritto fondamentale: quello del rispetto della dignità della persona anche nei momenti più delicati.

Il secondo errore che possiamo commettere è quello di pensare - e sul punto vorrei che ci fosse un po' di attenzione da parte di tutti - che questo provvedimento di legge, certamente di buona qualità tecnica e migliorato nel corso dei lavori della Commissione e dell'Aula, sia di per sé sufficiente a garantire l'attuazione dei principi, degli standard e dei livelli che si devono raggiungere. Dico questo perché, nel nostro sistema legislativo, di provvedimenti e di disposizioni legislative sulla materia ne avevamo già tantissimi e da moltissimi anni. Nel 2001 un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri aveva già stabilito che l'assistenza domiciliare e quella residenziale e ambulatoriale nei confronti dei malati terminali dovessero essere ricomprese nei Livelli essenziali di assistenza. Dal 2001 in poi si sono succeduti altri provvedimenti, sino ad arrivare a uno degli ultimi, il decreto del Ministro della salute n. 43 del 2007, contenente disposizioni circa i livelli qualitativi relativi all'assistenza ai malati terminali in trattamento palliativo. Per non parlare poi della legge n. 39 del 1999 dell'allora ministro Bindi: anche quella era una legge che conteneva disposizioni sulla realizzazione di una rete di hospice nel nostro Paese.

Cos'è allora che non ha funzionato? Di hospice, sia pure pochi, sia pure in maniera disomogenea e disarticolata tra Nord e Sud, ne sono stati realizzati (gli ultimi dati del Ministero parlano di circa 126 hospice, di cui un'ottantina realizzati con fondi statali e il resto con fondi di diversa fonte, tra cui privati). Non ha funzionato una cabina di regia, anche a livello regionale, che creasse realmente una rete, una continuità di percorso assistenziale, tant'è che questi hospice sono diventati quasi dei punti di riferimento isolati rispetto ai bisogni e alla richiesta di assistenza dei pazienti. Ed allora, non basta semplicemente un provvedimento di legge per poter dire che potremo successivamente passare con tranquillità all'attuazione dei dispositivi importanti che in esso sono contenuti.

Vedete, questa legge contiene due aspetti molto significativi. In primo luogo, si stabilisce il diritto alla continuità assistenziale, cioè un percorso che dia la possibilità di integrare l'attività degli ospedali con quella degli hospice e delle residenze e con l'assistenza domiciliare. Il secondo diritto che viene stabilito in questa legge è la libertà del paziente di scegliere il luogo dove farsi curare, ma soprattutto dove poter vivere gli ultimi giorni della sua vita. Vorrei rivolgermi in modo particolare al rappresentante del Governo che avrà su di sé grandi responsabilità: nel nostro Paese, signor Ministro, il 75 per cento degli italiani che vivono questa situazione drammatica chiede di poter completare gli ultimi giorni della vita nella propria abitazione. Questa sensibilità va colta nella misura in cui sarà necessario, rispetto ad una rete di hospice, potenziare soprattutto l'assistenza domiciliare multidisciplinare ventiquattro ore su ventiquattro, per dare veramente la possibilità a chi soffre di avere la giusta risposta rispetto ad un proprio sacro diritto.

Noi dell'Italia dei Valori ci ritroviamo in questo impianto legislativo, a condizione però che vengano seguite tre direttrici importanti. La prima è quella dell'informazione. In un sondaggio svolto alcuni anni fa - lo dico al senatore De Lillo - la maggior parte degli italiani a cui fu chiesto che cosa era la medicina palliativa rispose di non saperlo. Quindi, informazione. Ma informazione anche alle Regioni, che hanno vissuto il delicato tema della sanità in una visione economicistica e minimalista, spesso abbandonando il paziente. La seconda direttrice è la formazione. Infatti, è inutile semplificare le procedure delle terapie del dolore permettendo l'uso di sostanze morfinosimili od oppiacee, se poi non prepariamo il personale sanitario a farne un uso adeguato. La terza direttrice, signor Ministro, è il controllo che voi, come Governo, dovrete eseguire, visto che non è stato possibile, a causa dell'autonomia delle Regioni, introdurre elementi sanzionatori per quelle inadempienti. È necessario che il Governo adotti gli strumenti per effettuare un serrato controllo rispetto all'adempienza delle Regioni. Noi, come Parlamento, sulla base della relazione annuale presentata dal Ministro alle Camere, svolgeremo a nostra volta per intero la nostra funzione di controllo.

Per tali ragioni, oggi preannunciamo un voto convintamente favorevole, ma condizionato alle attese che questo provvedimento suscita in tutti noi. (Applausi dai Gruppi IdV e PD e del senatore Fosson).

ASTORE (Misto). Domando di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ASTORE (Misto). Signor Presidente, onorevoli colleghi, qualche curioso mi ha chiesto a nome di chi intervengo: parlo per me stesso, ma questa volta ritengo di interpretare la volontà di tutto il Gruppo Misto, ormai giunto a 13 componenti.

Signor Presidente, sono contento che sia lei a presiedere questa Assemblea, perché credo che nella seduta pomeridiana di ieri abbiamo perso un'occasione: infatti, con questo dibattito potevamo puntare ad una mediazione seria sul testamento biologico, che ritengo andasse esaminato congiuntamente; oggi quel provvedimento, che ci ha visti ideologicamente divisi e lottare tra noi, è in discussione alla Camera dei deputati. Spero che il disegno di legge oggi al nostro esame non sia solo una legge manifesto. Esso, insieme a quello sul testamento biologico (che, ripeto, potevano essere esaminati con una discussione generalizzata in quest'Assemblea), poteva rappresentare una valida soluzione.

Il mio intervento sarà impostato in maniera molto diversa. Per la prima volta il Parlamento si occupa degli esclusi e degli emarginati; per la prima volta un provvedimento di questo genere è dalla parte dei cittadini e non solo a favore degli operatori sanitari. Ribadisco, dunque, il mio auspicio che non resti una legge manifesto, perché chi tratta o ha trattato la sanità negli anni passati avverte la possibilità che ciò accada. Il provvedimento in esame, invece, dovrebbe interpretare il cambiamento culturale che deve avvenire nel nostro Paese.

Ultimamente stiamo assistendo - mi riferisco, signor Presidente, in particolare a due episodi incredibili - all'emarginazione dei deboli, all'abbandono degli anziani e all'erigersi di steccati tra Regioni per la cura di alcune malattie. Credo che, invece, si debba recuperare la cultura della persona, alla cui valorizzazione è soprattutto indirizzato il provvedimento in esame. Il pericolo è che la sanità venga considerata come un mercato, e in Italia vi sono già i primi sintomi: l'assistenza ai malati terminali potrebbe essere inserita in quegli scandali generali che attraversano la sanità italiana. Bisogna recuperare il concetto di fondo, vale a dire che la cura e la sanità in generale appartengono alla persona, che deve essere rispettata, e non devono diventare un mercato. Bisogna intervenire, signor Ministro, in modo rigoroso perché - come osserviamo tutti i giorni - la sanità sta ormai scivolando verso il mercatismo più spietato: bisogna fermare questo processo! Questa legge, per non diventare un mero manifesto, deve essere un provvedimento a favore delle persone emarginate e più deboli.

Anche se definiamo LEA l'assistenza ai malati terminali e la terapia del dolore e puntiamo alla qualità della vita e a dare un supporto medico, psicologico, spirituale e sociale alla persona, ieri ho notato che qualcuno - soprattutto uomini del Sud - si è lamentato della mancanza di hospice. Ma l'hospice è l'ultima occasione di assistenza al malato terminale. Non è possibile che nella società moderna si deleghi la morte di una persona al di fuori della propria sfera familiare: questo è l'errore che si sta commettendo in alcune parti del mondo. Le persone che in certi luoghi vogliono morire in famiglia, nella propria casa, oggi non possono, perché il momento della morte viene spesso delegato all'esterno.

Dobbiamo portare avanti una cultura nuova perché, signor Ministro, in questa legge manca una cosa essenziale (lo hanno detto altri e non voglio quindi dilungarmi): il ruolo della famiglia. Credo che fosse necessario puntare sul ruolo della famiglia, che doveva essere parte essenziale di questa legge. Spesso, infatti, nel mondo moderno si tende a liberarsi della malattia. Non dimentichiamo l'anno 1999 - è stato citato ieri da un collega - quando tutti noi assessori ci trovammo di fronte alla necessità di fornire assistenza ai malati terminali e qualcuno affaristicamente tentò la cura Di Bella. Psicologicamente si farebbe qualunque cosa pur di uscire dal tunnel della malattia; ricordando, però, quei mesi bui della cura Di Bella, dovremmo riflettere.

Signor Ministro, mi rivolgo in particolare a lei, che conosce la stima che le porto e che lavora in un centro di eccellenza: mi dice perché non può essere realizzato un piano di centri di eccellenza anche nel Sud? Noi del Sud abbiamo tante colpe, anche nel campo della sanità, ma puntare a costruire centri di eccellenza a carico dello Stato, dell'intera Nazione eliminerebbe gli steccati tra Regioni. Signor Ministro, si comincia ad assistere al rifiuto dell'ammalato da parte di alcuni centri di eccellenza presenti in determinate Regioni. Insieme alle cure palliative e alle reti di cura credo sia essenziale puntare anche alla costruzione di centri di eccellenza, i cui DRG devono essere a carico del Fondo sanitario nazionale. Questa è la soluzione di queste problematiche sanitarie che attraversano il nostro Paese. Sono d'accordo sulle reti nazionali e su quelle regionali. È stato individuato dal Governo un escamotage per intervenire nei confronti delle Regioni, ma ipotizzare che la presa in carico di un ammalato nel più piccolo Comune della Calabria è la presa in carico al Sistema sanitario nazionale è la sfida che abbiamo davanti. Anche all'interno delle singole Regioni, un ammalato che si ricoveri in un ospedale periferico, per cambiare ospedale, spesso deve chiedere di essere dimesso e, nel caso dei minori, è richiesta la firma dei genitori. È essenziale affrontare la sfida tra ospedale e territorio e costruire la rete di cura per coloro che stanno vivendo gli ultimi mesi di vita.

Una cosa però non è stata detta, signor Ministro, e ci tengo a dirla perché credo sia il punto centrale della cura del dolore e delle cure palliative. Mi riferisco all'integrazione socio-sanitaria. Questa è la sfida che Governo e Regioni devono portare avanti. Non è possibile che si litighi per questioni di competenza. È stata denunciata la necessità di un'assistenza domiciliare al malato ventiquattro ore su ventiquattro. Spesso, signor Ministro, si litiga istituzionalmente tra chi dovrebbe assistere l'ammalato. Il Comune reclama solo alcune competenze e ne scarica altre. Allora qual è la sfida, qual è la rivoluzione? Presidente Tomassini, ne abbiamo parlato tante volte anche su questo provvedimento. È il tavolo per la cura alla persona. L'ammalato e la famiglia non possono assistere a sceneggiate su deleghe di responsabilità al Comune, alla ASL o altrove. È necessario mettersi attorno ad un tavolo, istituzionalmente ed economicamente, per individuare un progetto di cura alla persona, perché, quando arriva un'infermiera a casa, alla famiglia poco importa se è a carico del Comune, della ASL o di altri. Questa è la grande rivoluzione che dobbiamo portare avanti, ossia l'integrazione: da anni ne parliamo, ma non ci riusciamo. Credo sia importante ed essenziale che il progetto alla persona venga realizzato attorno a questo tavolo e che venga portata avanti la cura, soprattutto la cura terminale. Il tavolo deve servire anche al progetto economico.

Tutto va bene, ad esempio l'informazione, ma a mio avviso anche la formazione professionale. Viene specificato nel provvedimento. C'è però bisogno di fondi e di chi si interessa fortemente alla formazione continua del personale, che deve essere adeguato e preparato per poter aiutare la famiglia. Solo in questo modo la disparità tra le Regioni finirà.

Mi dispiace che sia stato soppresso l'articolo recante le misure di penalizzazione delle Regioni inadempienti. Inventiamo qualche altra cosa, ma è importante che si tolga questo steccato tra Regioni. Regionalizzare è un bene, ma la cura della persona penso appartenga all'intero Paese.

Per questo motivo, signor Ministro, forse è positivo il fatto che ci sarà prossimamente in Parlamento un dibattito generale sulla sanità, perché si notano dei punti di negatività e delle proposte, magari sottovoce, in cui si vuole andare a mio parere troppo verso il privato. Credo sia importante che il Parlamento faccia il punto sulla riforma sanitaria, ma soprattutto su quello che avviene sul "mercato" della sanità. Non si può più assistere all'utilizzo mercantile e strumentale dell'ammalato a vantaggio solo delle tasche di qualcuno. (Applausi dal Gruppo PD e dei senatori Tomassini e De Lillo).

RIZZI (LNP). Domando di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RIZZI (LNP). Signor Presidente, signor Ministro, onorevoli colleghi, oggi approviamo la legge per garantire l'accesso alle cure palliative e alle terapie del dolore. Dovrebbe essere un giorno di festa, un giorno che va a colmare un vuoto quasi ventennale, un giorno che gli operatori del settore e soprattutto un grande stuolo di pazienti stanno aspettando da tantissimi anni; eppure credo che in questa giornata non sia il caso di utilizzare toni trionfalistici, perché probabilmente approdiamo in Aula con questo provvedimento nel momento storico più sbagliato: un momento storico segnato da una forte crisi internazionale e da una forte crisi del bilancio nazionale, che giocoforza ha dovuto limitare i fondi a disposizione per questo disegno di legge, rendendolo da questo punto di vista probabilmente un incompiuto, un qualcosa che non dà una completa risposta e una completa soddisfazione alla risoluzione di questo tipo di problema. Mi riferisco fondamentalmente alla parte di dibattito sul disegno di legge in esame che anche ieri sugli emendamenti ha tenuto banco per buona parte della giornata.

Il grosso rischio è che questa legge possa mantenere nettamente separate le due reti: la rete delle cure palliative rispetto alla rete della terapia del dolore. È sicuramente vero che la maggior parte dei pazienti alle cui esigenze il provvedimento ha inteso principalmente andare incontro ha bisogno sia di cure palliative che di terapia del dolore: questa legge è imperniata infatti prevalentemente sul malato terminale, sul malato oncologico, e a questo riesce sicuramente a dare un'ottima risposta. Grazie a questa legge si auspica che si andrà a completare in maniera fattiva la rete degli hospice e quindi si riuscirà davvero ad implementare, a livello territoriale e ospedaliero, l'assistenza al malato terminale prevalentemente oncologico.

Resta però scoperta o comunque rischia di rimanere figlia di un Dio minore tutta la parte dedicata alla terapia del dolore tout court. Non dimentichiamoci, infatti, che non esiste solo il dolore oncologico del paziente terminale, ma esiste anche il dolore cosiddetto cronico-benigno: penso al dolore neuropatico, al dolore vascolare e a tanti altri dolori che sono addirittura peggiori rispetto a quello oncologico, avendo una durata nel tempo notevolmente più lunga e creando limitazioni funzionali veramente esagerate alla vita del paziente. Nei confronti di tali particolari problematiche questa legge non riesce a dare compiutamente una risposta fondamentalmente per quel limite economico - siamo dovuti passare sotto le forche caudine del bilancio per riuscire ad approvarla - e quindi le risorse non sono sufficienti per riuscire a coprire a 360 gradi tutte le richieste. In particolar modo, non sarà possibile mettere assieme l'offerta delle due reti delle cure palliative e della terapia del dolore. Questo è il grosso limite della legge, ma è anche la grande occasione che essa ci offre.

Come Lega Nord non possiamo che essere favorevoli e vedere molto bene questa possibile evoluzione: di fatto, è la prima volta che ci troviamo di fronte ad una legge delega in senso federalista della materia, e la sanità è ormai devoluta come competenza alle Regioni, le quali avranno da affrontare questa grossa sfida perché avranno la possibilità di stanziare risorse proprie, di interpretare tutto ciò che questa buona legge - lo ripeto - dà loro come possibilità per riuscire a mettere in campo soluzioni vincenti per i propri cittadini.

Parlandone in questi giorni con il ministro Fazio e conoscendo la sua serietà e professionalità, non ho dubbi che riuscirà in questo intento. Nella Conferenza Stato-Regioni, il compito del Ministero e dell'istituzione nazionale sarà proprio quello di spronare le Regioni a completare la gamma di offerta in maniera tale che si possa avere una copertura contro il dolore e a favore delle cure palliative su tutto il territorio nazionale.

Rimane il rammarico - lo raccontava anche ieri il collega Mascitelli - che a questa legge sia stato riconosciuto un quinto degli stanziamenti riservati al Comune di Catania e un decimo degli stanziamenti dati al Comune di Roma. Non è sicuramente un buon auspicio. Se dovessimo utilizzare il vecchio proverbio «chi ben comincia è a metà dell'opera», cominciamo veramente molto male. Auspico, però, che in sede di Conferenza Stato-Regioni e soprattutto per l'autoresponsabilizzazione delle Regioni stesse, mettendole anche in competizione l'una con l'altra per fare bella figura, si possa davvero riuscire a dare una risposta concreta a questo tipo di problema.

Concludo il mio intervento ringraziando tutti i colleghi della Commissione, a partire dal suo Presidente, e soprattutto il relatore De Lillo che è sapientemente riuscito a mettere assieme un testo particolarmente complesso, nonché il Governo e il ministro Fazio in particolare, il quale ci è stato molto vicino. Licenziamo oggi questo provvedimento - credo - con il massimo sforzo che potesse essere fatto dal Senato per sistemare alcune imperfezioni che ci sono giunte dalla Camera e per offrire alle Regioni una possibilità di lavoro veramente concreta. (Applausi dal Gruppo LNP e dei senatori Tomassini e De Lillo. Congratulazioni).

*BOSONE (PD). Domando di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOSONE (PD). Innanzitutto rivolgo un ringraziamento non rituale ai colleghi della Commissione, al relatore De Lillo, al presidente Tomassini e al Ministro il quale, senza grandi discorsi ma con i fatti, si è dimostrato estremamente collaborativo nella relazione con il Parlamento per poter migliorare il disegno di legge al nostro esame.

Quando si finisce un lavoro, anche legislativo - secondo me - dobbiamo però correttamente chiederci se avremmo potuto fare di più. La risposta - a mio avviso - è sì, potevamo fare di più questa volta. Infatti, al termine dell'esame di questo disegno di legge avverto certamente un sentimento di soddisfazione perché ci accingiamo ad approvare un disegno di legge molto atteso da tanti italiani, operatori sanitari, malati, famiglie, da anni ed è quindi una vittoria del Parlamento; d'altra parte però avverto anche il rammarico perché potevamo fare di più per esaltare meglio le professionalità che già operano nel campo delle cure palliative e inserirle più compiutamente nell'organizzazione delle due reti che prospettiamo (quella delle cure palliative e quella per la terapia del dolore); inoltre, potevamo fare di più per il dolore stesso.

La semplificazione, che è una parte fondamentale di questo disegno di legge, avremmo dovuto affrontarla con maggiore coraggio. Si tratta di una legge di iniziativa parlamentare e penso che il Parlamento ieri avrebbe dovuto osare di più. Forse siamo stati un po' timidi in tema di semplificazione.

Ipotizzato che il percorso per la terapia del dolore sia pari a 100, siamo partiti da 20, siamo arrivati a 50 e forse potevamo arrivare a 80. Ci siamo fermati. Senatore Azzollini, lei ieri ha distinto il ruolo tecnico dal merito, ma io non sono molto d'accordo su questa distinzione perché ritengo che quando svolgiamo il nostro ruolo di legislatori il merito debba sempre prevalere sul fatto tecnico, soprattutto se quest'ultimo è minimale, come quello che era in discussione: mi riferisco al fatto di allargare a tutti i medici che si occupano di cure palliative e di terapie del dolore l'accesso al ricettario. Era un segnale che poteva portarci da quel 50 all'80 nella lotta per il dolore nel Paese. Penso sempre che vi sia la necessità, da parte del legislatore, di rendere ogni provvedimento in discussione il più utile, accessibile e completo possibile, altrimenti non facciamo bene il nostro mestiere. E allora ieri qualcosa in più si poteva fare. Fermarci di fronte a fatti tecnici non sempre è positivo, anzi in questo caso ritengo sia stato estremamente limitativo e non soddisfacente. Questo è il mio più grande rammarico.

Certo, alla fine comunque la soddisfazione prevale. Innanzitutto perché si tratta di una legge di iniziativa parlamentare, uscita condivisa dalla Camera e condivisa anche qui: segno che il Parlamento può operare bene anche nel rapporto con il Governo. Di conseguenza, invito la Presidenza del Senato e tutti i colleghi a lavorare anche su altri disegni di legge di iniziativa parlamentare importanti che giacciono qui senza proseguire il loro percorso. Cito, al riguardo, due esempi sempre in ambito sanitario: il disegno di legge sulle malattie rare e quello sul rischio clinico, entrambi molto attesi dai malati e dagli operatori sanitari del Paese. Essi produrrebbero un miglioramento nell'accesso al nostro sistema sanitario e una migliore democrazia in questo settore. Ebbene, mi chiedo perché non vadano avanti questi disegni di legge di iniziativa parlamentare. Diamo un segno davvero, colleghi, che siamo in grado di legiferare per il bene di questo Paese. E quando il Parlamento vara leggi su cui si è lavorato insieme ho la sensazione - non so perché - che si approvino non leggi ad personam bensì ad gentes, cioè davvero utili al Paese.

Ebbene, su questa iniziativa e capacità legislative penso che dovremmo applicarci di più e che non basta - mi rivolgo al ministro Fazio - nasconderci dietro il problema dell'insufficienza economica. Sappiamo, infatti, quanti soldi in Italia vengono sprecati nella sanità e quanti milioni di euro sono stati buttati via, e non troviamo magari qualche decina di migliaia di euro per pagare le ricette ai pazienti e ai malati e per sostenere finanziariamente i provvedimenti sul rischio clinico e le malattie rare. Penso che su questo dobbiamo fare una riflessione.

Nel merito, questa legge rimane di alto valore simbolico, perché tutto sommato rappresenta oggi la vittoria di quelle persone che io ho definito pionieri: infermieri, medici, volontari, operatori sanitari che hanno cominciato anni fa a parlare di medicina e cure palliative, e se - come diceva il collega Mascitelli - ancora oggi pochi sanno a che cosa si fa riferimento, figuriamoci allora. Tali pionieri hanno interpretato il segno di un tempo che stava cambiando: la tecnica medica ci portava avanti, la cronicità diventava un problema nel Paese, questi pazienti non potevano essere abbandonati a se stessi e bisognava seguirli, negli ospedali, a domicilio, e bisognava allargare l'ambito delle cure di cui avevano bisogno, con particolare riferimento all'abbattimento del dolore.

Ci troviamo di fronte ad una legge che si basa su alcuni principi ispiratori condivisi. Peraltro, colleghi, paradossalmente sono gli stessi principi ispiratori della legge sul testamento biologico sulla quale - come ha ben detto il senatore Astore - bisognerebbe comunque chiederci se anche in quel caso avremmo potuto forse lavorare meglio e in modo ancora più condiviso. La mia risposta è sì, potevamo farlo, perché i principi ispiratori sono gli stessi.

Con il provvedimento in esame noi affermiamo il diritto alle cure, il libero accesso e la semplificazione terapeutica, il rispetto della dignità umana, dell'uomo malato e, soprattutto, malato nella sua fase terminale, quando soffre di più. Sanciamo il no all'abbandono terapeutico, evitando però l'accanimento e garantendo a tutti il sostegno vitale e le forme di cura necessarie alla riduzione del dolore. È proprio questo uno degli aspetti fondamentali: la riduzione e la lotta al dolore. Si sancisce, quindi, la presenza dell'ospedale senza dolore. Anche in questo caso, è un peccato che l'emendamento sul parto indolore, presentato dal senatore Rizzi e condiviso da tutti noi, non sia entrato a far parte di questo disegno di legge, anche se è stato accolto dal Governo un ordine del giorno in tal senso. È comunque un problema di democrazia e di libero accesso alle cure il fatto che a tutte le donne di questo Paese che lo vogliono sia riconosciuto il diritto di partorire senza dolore, senza se e senza ma.

Il disegno di legge in esame sancisce poi il principio che il dolore non è solo fisico ma anche psicologico. Sappiamo in particolare che nella sua fase terminale il malato vive il senso dell'abbandono e della solitudine che si aggiunge al dolore fisico e questo provvedimento stabilisce che il paziente deve essere seguito anche sotto questo profilo.

Per quanto poi riguarda l'aspetto organizzativo, ricordo che quando questi pionieri si sono mossi nella gestione delle cure palliative e della terapia del dolore, in Italia il sistema organizzativo si è mosso in modo disomogeneo: sono nati tanti hospice al Nord, nessuno al Sud. Questa legge sancisce l'uguaglianza organizzativa in tutto il Paese, ulteriore segnale di civiltà.

In conclusione, ritengo che, integrando le cure palliative e la terapia del dolore nel Servizio sanitario nazionale, facciamo un passo avanti inequivocabile. Mi rammarico del fatto che in ordine alla semplificazione del dolore avremmo potuto fare sicuramente di più. Ad ogni modo, il Senato oggi dà un importante contributo al progresso civile del nostro Paese e spero che il provvedimento che noi abbiamo migliorato possa essere definitivamente approvato dalla Camera in tempi brevi, diventando velocemente legge dello Stato per il bene ed il progresso civile del nostro Paese. (Applausi dal Gruppo PD e del senatore Tomassini. Congratulazioni).

CALABRO' (PdL). Domando di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CALABRO' (PdL). Signor Presidente, signor Ministro, onorevoli colleghi, credo che quest'oggi nell'Aula del Senato si stia finalmente completando la seconda tappa di un percorso legislativo ampio, iniziato con l'approvazione della legge sulle dichiarazioni anticipate di trattamento. Credo che da tutti noi, anche dai non addetti ai lavori, sia facilmente intuibile il fatto che l'approvazione del provvedimento sulle cure palliative e sulla terapia del dolore rappresenta per certi versi l'altra faccia della luna: entrambi si pongono un unico obiettivo; entrambi i provvedimenti mostrano che il Parlamento ha deciso in modo coerente e in modo fattivo di prendersi cura delle gravi disabilità, del fine vita, del dolore, del disagio e della sofferenza che spesso accompagnano l'ultimo tratto della nostra esistenza.

Se da una parte abbiamo voluto ribadire con la legge sulle dichiarazioni anticipate di trattamento il nostro rifiuto all'eutanasia, all'accanimento terapeutico, al suicidio assistito, ed affermare dall'altra con chiarezza che una vita umana conserva la sua piena dignità anche se vive in condizioni di sofferenza e di grave disabilità, non avremmo certo potuto lasciare il malato e la famiglia soli e abbandonati alle loro difficoltà, ai loro disagi, al loro dolore. La risposta del Parlamento sarebbe stata monca e incongruente; non c'è dubbio infatti che una buona rete di cure palliative e di terapie antalgiche non solo aiuta a controllare il dolore e la sofferenza del malato nella molteplicità delle sue manifestazioni, ma aiuta anche a superare quel rischioso senso di abbandono che può cogliere il malato sofferente e a prevenire così i momenti di crisi e possibili forme anche di richieste eutanasiche.

Consentitemi perciò innanzitutto e brevemente di riconoscere ai deputati di avere svolto un lavoro egregio, conclusosi con l'approvazione bipartisan e unamime del provvedimento che ci apprestiamo a votare questa mattina, e di testimoniare altresì che la Commissione igiene e sanità del Senato, il suo presidente, senatore Tomassini, e il relatore al provvedimento, senatore De Lillo, sempre in collaborazione con il ministro Fazio, hanno lavorato con attenzione e con il contributo prezioso di tutti i partiti, apportando miglioramenti ma senza intaccare i principi di fondo del disegno di legge licenziato dalla Camera dei deputati.

Il testo di oggi avvicina lo Stato al malato cronico, al malato sofferente, al malato terminale, che oggi, purtroppo, in assenza di una legge, non può contare né su una rete per le cure palliative né su un percorso chiaro per la terapia del dolore. Il malato attualmente non è in grado di incontrare strutture di assistenza, ad eccezione di pochi centri situati prevalentemente nel Nord del Paese. Allorché questo provvedimento potrà diventare legge, migliaia di pazienti con patologie croniche o dolorose e circa 250.000 pazienti in fase terminale - di cui 150.000 affetti da patologia oncologica - sentiranno finalmente la presenza del Servizio sanitario nazionale e si sentiranno meno soli.

Accennavo poc'anzi all'esistenza fino ad oggi di pochi centri specializzati e prevalentemente nel Nord d'Italia: una differenziazione geografica, quella tra il Settentrione e il Mezzogiorno, insopportabile, che viola il principio dell'uguaglianza dei diritti e in particolare del diritto alla salute che deve rimanere assoluto e a valere per tutti noi. È per questo che il provvedimento, pur nel rispetto delle autonomie regionali, prevede che spetti al Ministero della salute una funzione di controllo e di coordinamento sulla rete delle cure palliative e della terapia del dolore: si tratta di funzioni fondamentali per garantire un'assistenza omogenea sul territorio, ma anche per raggiungere due risultati. (Brusìo). Da oggi, su tutto il territorio nazionale, il paziente terminale sarà assistito, a seconda delle esigenze e delle condizioni cliniche, a casa, in day hospital, in ambulatorio, in ospedale e in hospice, senza essere costretto a vagare da una struttura sanitaria all'altra.

Certamente, uno degli aspetti più rilevanti del testo è che con l'istituzione di due reti, quella delle cure palliative e quella della terapia del dolore tra loro coordinate, si raggiungono i due risultati di cui parlavamo.

Saluto ad una rappresentanza di studenti

PRESIDENTE. Chiedo scusa per l'interruzione, senatore Calabrò. Sono presenti gli studenti dell'istituto di istruzione superiore «Luigi Einaudi» di Canosa di Puglia, in provincia di Bari ai quali va il saluto dell'Aula. (Applausi).

Facciamo vedere, colleghi, che siamo in grado di ascoltare l'intervento del senatore Calabrò quasi in silenzio.

Ripresa della discussione dei disegni di legge
nn.
1771, 66, 287, 305 e 477 (ore 10,28)

PRESIDENTE. Senatore Calabrò, la invito a riprendere la sua dichiarazione di voto.

CALABRO' (PdL). La ringrazio, signor Presidente: immagino che il suo intervento fosse volto anche a chiedere un maggiore silenzio dell'Aula, e per questo la ringrazio.

Dicevamo che uno degli aspetti più rilevanti del testo è che con l'istituzione delle due reti, quella delle cure palliative e quella della terapia del dolore, tra loro coordinate, si raggiungono due risultati: da una parte riporta, attraverso la rete nazionale, la responsabilità centrale dell'indirizzo del sistema sanitario nazionale, anche nell'attuazione delle singole Regioni, al Ministero; dall'altra, riuscirà a garantire la continuità assistenziale del malato dall'ospedale al suo domicilio in tutte le fasi della malattia.

La costituzione di hospice, servizi di assistenza domiciliare e centri di assistenza specialistica di terapia del dolore, con un percorso preordinato sulle esigenze cliniche del paziente, comporta un cambio sostanziale in uno dei settori più importanti e delicati dell'assistenza sanitaria, portando il paziente, e non più la struttura, al centro del sistema di assistenza. Sono convinto che solo così noi porremo fine ai disagi del paziente e della famiglia e anche agli sprechi di denaro pubblico e mostreremo, finalmente, il volto umano dell'assistenza sanitaria.

Ma, cari colleghi, nulla si fa, né si può immaginare di modificare, senza un'adeguata formazione degli operatori sanitari. Va pertanto dato merito al disegno di legge che stiamo per votare di aver previsto percorsi didattici specifici ed omogenei su tutto il territorio, perché gli enormi e continui progressi della medicina richiedono che il sistema sanitario, le università e le società scientifiche si adeguino, colmando quanto prima il ritardo nella formazione di questi particolari settori.

Nulla si riesce a fare senza una campagna di informazione istituzionale che dia notizia al cittadino della possibilità di usufruire di queste nuove realtà. Non si tratta soltanto di informare i cittadini sulle modalità di accesso alle prestazioni e neppure soltanto di coinvolgere i medici di medicina generale, finora purtroppo restii e timorosi nei confronti della terapia del dolore. Si tratta, invece, di rendere consapevole l'opinione pubblica che può contare su un'efficiente rete di terapia del dolore e delle cure palliative.

Signor Presidente, non occorre essere medici o operatori sanitari per comprendere l'importanza della semplificazione delle procedure, che in questo disegno di legge abbiamo ottenuto con chiarezza. Il disegno di legge prevede che la prescrizione di farmaci antidolorifici, attraverso l'utilizzo del ricettario del Servizio sanitario nazionale, superi le difficoltà presenti nella normativa attuale. Sono la medicina e la scienza, nella loro continua evoluzione, a chiederci di andare incontro al bisogno del malato, di scavalcare un inutile e dannoso iter burocratico che richiedeva bolli, copie e trafile varie.

Colleghi, questa è senz'altro una legge buona, che non può dividere, che non abbisogna di grande prove di dialogo tra maggioranza ed opposizione, perché tutti noi siamo uniti nella speranza di poter dare un sollievo a chi vive nel dolore. Pertanto, auspichiamo di licenziare il testo all'unanimità, reiterando quanto già avvenuto alla Camera. Un'unanimità che sarebbe senz'altro un segno di grande civiltà e un messaggio di speranza per il Paese. (Applausi dal Gruppo PdL. Congratulazioni).

PRESIDENTE. Ha chiesto di intervenire il Ministro della salute. Ne ha facoltà.

FAZIO, ministro della salute. Signor Presidente, desidero dire che per il Governo è un privilegio e un onore aver seguito, prima alla Camera e poi al Senato, l'iter di questo disegno di legge.

In particolare, vorrei segnalare un aspetto. Ho osservato che è stato rilevato, dall'opposizione ma anche dalla maggioranza, che forse si poteva fare di più. Vorrei comunicare al Parlamento che il Governo accoglie tale richiesta affinché questa non resti una legge manifesto. (Applausi dal Gruppo UDC e dei senatori Tomassini, Astore e Negri).

Il Governo si impegna a garantire, nell'ambito dell'intesa con le Regioni in sede di Conferenza Stato-Regioni, l'attuazione piena della legge in tutte le Regioni nell'ambito dei LEA e a promuovere, nell'ambito della Conferenza Stato-Regioni, se necessario, l'iniziativa a destinare risorse vincolate del Fondo sanitario nazionale.

Infine, il Governo si impegna affinché la relazione annuale alle Camere non sia un atto formale ma una reale verifica dell'implementazione delle reti di terapia del dolore e delle cure palliative nel nostro Paese. (Applausi dai Gruppi PdL e UDC-SVP-Aut. Congratulazioni).

PRESIDENTE. Metto ora ai voti la proposta di coordinamento C1, presentata dal relatore.

È approvata.

Metto ai voti il disegno di legge n. 1771, nel testo emendato, con il seguente titolo: «Disposizioni per garantire l'accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore», con l'intesa che la Presidenza si intende autorizzata ad effettuare gli ulteriori coordinamenti che si rendessero necessari.

È approvato.

Restano pertanto assorbiti i disegni di legge nn. 66, 287, 305 e 477.

Per la fissazione di ulteriori tempi per la presentazione
di emendamenti sul disegno di legge n. 1955

FINOCCHIARO (PD). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FINOCCHIARO (PD). Signor Presidente, nella Conferenza dei Capigruppo di ieri si sono stabiliti i tempi per la discussione del decreto milleproroghe, sul quale però sono stati presentati 650 emendamenti, alcuni dei quali, com'è facilmente rilevabile anche dalle notizie di stampa di oggi, molto seri e che noi definiremmo molto gravi. Quindi chiedo a lei, signor Presidente, di trasmettere al presidente Schifani la richiesta del nostro Gruppo di un'ulteriore fissazione dei tempi, perché con le due ore a disposizione del mio Gruppo non si può affrontare con l'approfondimento e con la compiutezza necessarie una materia che è diventata così complessa e anche, voglio ripeterlo, così densa di disposizioni serie e, addirittura, gravi. (Applausi dal Gruppo PD).

BELISARIO (IdV). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BELISARIO (IdV). Signor Presidente, colleghi, il Gruppo dell'Italia dei Valori si associa alla richiesta del Gruppo del Partito Democratico.

L'introduzione da parte del relatore di emendamenti che nulla hanno a che fare con il milleproroghe, che dovrebbe soltanto procedere a prorogare alcuni termini, merita una riflessione. Ancora una volta un decreto-legge nato con determinati obiettivi viene assolutamente stravolto con degli emendamenti del relatore che, secondo l'Italia dei Valori, devono essere dichiarati inammissibili dalla Presidenza.

D'ALIA (UDC-SVP-Aut). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

D'ALIA (UDC-SVP-Aut). Signor Presidente, concordo con la presidente Finocchiaro e con il presidente Belisario. Mi permetto di sottolineare che quello che sta capitando sul decreto milleproroghe non è altro che l'effetto della finanziaria light o presunta tale.

La maggioranza si è vantata di aver fatto una finanziaria semplice, con quattro norme essenziali, intelligibili, chiare e così via. La verità è che, con tutte le norme che sono state inserite nel milleproroghe, la finanziaria la stiamo esaminando ora, per di più in maniera assolutamente scoordinata, disorganica e poco trasparente dal punto di vista dell'iter legislativo, e senza avere alcuna visione di insieme dei problemi su cui si va ad incidere, con norme quali la proroga dello scudo fiscale, con norme che riguardano il reclutamento del personale la pubblica amministrazione, con norme che riguardano la reintroduzione dell'esenzione fiscale sul tartufo. Insomma, con tutto uno zibaldone di norme che non credo abbiano nulla a che vedere con la stretta interpretazione delle disposizioni che riguardano la proroga di alcuni termini la cui scadenza può pregiudicare seriamente l'andamento di una serie di attività delle amministrazioni dello Stato. Il tema è questo.

Allora, o la Presidenza utilizza i poteri che le sono conferiti dal Regolamento sotto il profilo delle censure di inammissibilità degli emendamenti e impone una regola che consenta al Parlamento, al Senato e alla Commissione di concentrarsi solo ed esclusivamente su quelle poche ed essenziali disposizioni che riguardano la proroga dei termini rispetto alle quali vi è un'oggettiva utilità, o ci troviamo a dover ampliare i termini, perché stiamo discutendo una nuova finanziaria. Lo stiamo peraltro facendo non considerando che abbiamo approvato una legge che ridisciplina e riforma sostanzialmente le procedure per l'approvazione del bilancio dello Stato e delle disposizioni finanziarie, e che dovremo esaminare alcune di queste norme, che sono state inserite o che verranno inserite in Commissione nel milleproroghe, senza avere un quadro dei collegati ordinamentali in cui naturalmente queste norme dovrebbero andare. È un modo di procedere che non ci può trovare d'accordo, perché non ci mette nelle condizioni di lavorare seriamente.

PRESIDENTE. La Presidenza prende atto della richiesta dei Capogruppo dell'opposizione e riferirà al Presidente del Senato.

Discussione congiunta del disegno di legge:

(1781) Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee - Legge comunitaria 2009 (Approvato dalla Camera dei deputati) (Votazione finale qualificata ai sensi dell'articolo 120, comma 3, del Regolamento) (Relazione orale)

e del documento:

(Doc. LXXXVII, n. 2) Relazione sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea (anno 2008) (ore 10,40)

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione congiunta del disegno di legge n. 1781, già approvato dalla Camera dei deputati, e del documento LXXXVII, n. 2.

Il relatore sul disegno di legge n. 1781, senatore Santini, ha chiesto l'autorizzazione a svolgere la relazione orale. Non facendosi osservazioni, la richiesta si intende accolta.

Pertanto, ha facoltà di parlare il relatore.

SANTINI, relatore. Signor Presidente, apriamo un dibattito sulla cosiddetta legge comunitaria che ci illudiamo - almeno noi che ci occupiamo di questa materia - possa indicare qualche sentiero nuovo, qualche idea innovativa per trattare questa complessa materia, soprattutto quest'anno, in un anno in cui la legge comunitaria si colloca in una fase di sensibili innovazioni per la cornice europea. Innanzitutto, è la prima dopo il recepimento del Trattato di Lisbona, in vigore dal 1° dicembre scorso. Inoltre coincide con il rinnovo dei membri della Commissione europea, con la grande riforma del Consiglio europeo, con un Presidente destinato a durare due anni e mezzo e con un Ministro degli esteri, che finalmente si può definire tale, quindi dotato di competenze reali. L'aspetto routinario della legge comunitaria, quindi, ne esce nobilitato, anche se siamo di fronte ad una seconda lettura.

Prima di entrare nel merito del provvedimento in esame, occorre ricordare che, ai sensi delle vigenti disposizioni del Regolamento del Senato, l'annuale disegno di legge comunitaria deve essere esaminato congiuntamente alla Relazione annuale sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea, compito assegnato quest'anno alla presidente Boldi.

Sulla base di questa disposizione, contenuta nell'articolo 144-bis del Regolamento, oggi noi ci troviamo ad esaminare, insieme al disegno di legge comunitaria 2009, anche la Relazione annuale relativa al 2008, sebbene solo alla fine dell'anno successivo a quello di riferimento.

Tale problematica temporale, unitamente alla considerazione della diversa natura dei due atti (meglio ricordare che la Relazione è più di carattere politico-programmatico e più attinente alla fase ascendente e che la legge comunitaria è relativa esclusivamente alla fase discendente), ha suggerito già da diversi anni l'opportunità di svincolare l'esame dei due documenti, magari abbinando l'esame della Relazione annuale all'esame dei documenti programmatici della Commissione europea e del Consiglio.

A tale riguardo si ricorda che nel febbraio scorso è stato trasmesso alla Presidenza del Senato un documento contenente alcune proposte di modifica regolamentare, a firma di tutti i membri della 14a Commissione, nel quale si propone tra l'altro una modifica all'articolo 144-bis del Regolamento, appunto nel senso di prevedere un esame disgiunto del disegno di legge comunitaria rispetto alla Relazione annuale sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea.

Una seconda questione, oggetto delle proposte di modifica, che riuscirei a spiegare molto bene, Presidente, se pregasse cortesemente i senatori di porre attenzione a ciò che sto per dire...

PRESIDENTE. Prego i senatori Cursi e Amoruso di ascoltare il relatore Santini.

SANTINI, relatore. La ringrazio, Presidente. Non avrei mai tollerato che questi due colleghi non avessero l'opportunità di ascoltarmi, dato che vi è una seconda questione, oggetto delle proposte di modifica, che riguarda la competenza della 14a Commissione sui provvedimenti ex articolo 10 della legge n. 11 del 2005, la cosiddetta legge Buttiglione, che prevede la possibilità di adottare dei «provvedimenti anche urgenti, necessari a fronte di atti normativi e di sentenze degli organi giurisdizionali delle Comunità europee e dell'Unione europea che comportano obblighi statali di adeguamento solo qualora la scadenza risulti anteriore alla data di presunta entrata in vigore della legge comunitaria relativa all'anno in corso».

La proposta di modifica regolamentare va nel senso di prevedere che quei provvedimenti di contenuto analogo a quello della legge comunitaria che siano finalizzati alla necessaria attuazione di obblighi comunitari siano anch'essi esaminati dalla 14a Commissione in sede referente. È in sostanza una rivendicazione di competenza per la Commissione che si occupa dei problemi comunitari.

Peraltro, si è consolidata negli ultimi anni una prassi di cui l'ultimo esempio è il cosiddetto decreto salva-infrazioni, il decreto-legge del 25 settembre 2009, n. 135, approvato dal Senato in prima lettura il 4 novembre. A tale riguardo, ritengo opportuno accennare ad una problematica di carattere ordinamentale emersa durante l'esame del citato decreto‑legge. Mi riferisco al cosiddetto oggetto proprio della legge comunitaria, in base al quale il contenuto di tale provvedimento deve essere limitato alle norme direttamente connesse con la necessità di ottemperare ad un obbligo attuale, ancora inevaso, derivante dall'ordinamento europeo. Tuttavia, di fatto, è spesso accaduto che il disegno di legge presentato dal Governo contenesse ab origine disposizioni che non rispondevano a tale necessità.

A tale riguardo, mentre il Regolamento consente di effettuare un vaglio di ammissibilità per estraneità di materia sugli emendamenti, lo stesso non è previsto anche per il testo del disegno di legge, che quindi, in passato, è giunto all'approvazione definitiva contenendo norme non rispondenti al criterio dell'oggetto proprio della legge comunitaria. Insomma, si è realizzato puntualmente il famoso provvedimento omnibus, sul quale ognuno caricava tutto e il contrario di tutto, magari recuperando qualche norma rimasta esclusa dalla legge finanziaria.

Tengo a precisare che questa mia osservazione, che ritengo del tutto pregnante nell'attuale congiuntura parlamentare, assume un valore squisitamente tecnico-politico, in quanto si riferisce ad un modus operandi fatto proprio negli ultimi anni da Governi di diverso orientamento politico, quindi sia di centrodestra sia di centrosinistra.

Una spinta ulteriore a trovare proposte capaci di semplificare ed accelerare la procedura deriva dall'applicazione del citato Trattato di Lisbona e dal più incisivo ruolo che esso assegna ai Parlamenti nazionali, soprattutto nella fase ascendente della formazione delle normative comunitarie.

Passiamo molto rapidamente all'esame del disegno di legge comunitaria per il 2009. Occorre ricordare che esso è stato presentato presso l'altro ramo del Parlamento il 19 maggio scorso e conteneva solo nove articoli. Oggi, all'esame di questa Assemblea, vi sono in totale 51 articoli, quindi il testo è stato arricchito di ben 42 articoli.

Non ritengo utile soffermarmi su ciascuno dei 51 articoli; preferisco piuttosto richiamare quelli che appaiono più rilevanti, raggruppandoli per argomenti, per categorie tematiche.

Una prima categoria è quella contenente le disposizioni ordinamentali di modifica della legge n. 11 del 2005, la nostra legge quadro, che disciplina il rapporto tra l'Italia e l'Unione europea.

Con l'articolo 6 del disegno di legge approvato dalla 14a Commissione del Senato si modifica l'articolo 2 della legge n. 11 del 2005, relativo ai compiti del CIACE (Comitato interministeriale per gli affari comunitari europei), obbligando il Governo a tener conto dei pareri espressi dal Parlamento nell'ambito dell'elaborazione delle linee politiche dell'Esecutivo relative alla fase ascendente del processo legislativo europeo. Analogamente, con l'articolo 7 approvato dalla Camera dei deputati si introduce nella legge n. 11 un nuovo articolo, che obbliga il Governo a tener conto degli atti di indirizzo emanati dalle Camere in fase ascendente, nell'ambito dei suoi rapporti con le istituzioni comunitarie.

Queste due disposizioni sono dunque dirette ad un rafforzamento del ruolo del Parlamento nella fase ascendente del processo legislativo comunitario, anche in considerazione dell'accresciuto ruolo, come si è detto, attribuito dal Trattato di Lisbona ai Parlamenti nazionali. Lo stesso articolo 7 obbliga il Governo ad assicurare la tempestiva consultazione ed informazione delle Camere per predisporre i programmi nazionali di riforma nell'attuazione della Strategia di Lisbona per la crescita e l'occupazione.

L'ultima parte dell'articolo 7, relativa alle informative al Parlamento sulle procedure giurisdizionali e di precontenzioso, prevede che il Governo, in relazione a specifici atti o procedure di infrazione, trasmetta tempestivamente - è enfatizzato questo avverbio - alle Camere, su loro richiesta o in casi di urgenza, non solo le informazioni - questa è una novità - ma anche i documenti sulle attività e sugli orientamenti che il Governo intende assumere. Ciò significa che la trasmissione degli atti delle procedure di infrazione acquisirebbe con questa norma una base giuridica legislativa.

Tale disposizione è stata estesa, grazie ad un emendamento approvato dalla 14a Commissione del Senato, anche alle procedure di infrazione che sono alla base di disposizioni legislative del Governo sottoposte all'approvazione del Parlamento. In tali casi, infatti, la nuova disposizione richiede che il Governo comunichi al Parlamento non solo le relative informazioni ma anche i relativi documenti più significativi. La 14a Commissione del Senato, inoltre, ha ritenuto opportuno precisare che la trasmissione al Parlamento delle informazioni e dei documenti relativi alle procedure di infrazione possa avvenire secondo le modalità di cui all'articolo 19, ovvero anche secondo modalità informatiche, nonché che il Governo possa raccomandarne l'uso riservato.

In merito alla Relazione annuale sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea, prevista dall'articolo 15 della legge n. 11 del 2005, l'articolo 8, introdotto dalla Camera dei deputati, affianca ad essa una nuova relazione annuale da presentarsi entro il 31 dicembre e contenente le linee programmatiche che il Governo propone per l'anno successivo. Questa nuova relazione programmatica rappresenta quindi un punto di sintesi importante per lo svolgimento di un approfondito dibattito parlamentare sulla politica europea italiana.

In riferimento invece alla consueta Relazione annuale sull'anno pregresso, c'è una novità importante che proponiamo come Commissione all'attenzione del Senato; potremmo essere gli apripista di una riforma che da tempo molti proponevano per recuperare un handicap denunciato inutilmente e che in questa comunitaria potremmo con il vostro voto anche colmare. In merito alla consueta Relazione annuale la Commissione ha approvato un emendamento che ne integra e precisa i contenuti, prevedendo che il Governo riferisca specificamente anche in merito ai lavori svolti presso il Consiglio europeo e il Consiglio dei ministri dell'Unione europea, nelle sue diverse formazioni, e soprattutto che esprima una valutazione di merito sull'efficacia e sui risultati delle singole politiche europee dal punto di vista dell'Italia.

Un'altra importante innovazione relativa alla legge n. 11 del 2005 riguarda le procedure per il controllo parlamentare del principio di sussidiarietà che, sulla base del Trattato di Lisbona, viene applicato in tutti gli Stati. Si tratta dell'articolo 9 del disegno di legge che, in vista della futura riforma della legge n. 11, introduce un principio fondamentale in relazione ai rapporti tra Governo e Parlamento nella fase ascendente. Nello spirito di una leale collaborazione tra l'Esecutivo e il côté parlamentare, si chiede al Governo di fornire, entro tre settimane dall'inizio dell'esame parlamentare di un progetto di atto legislativo europeo, un'adeguata informazione sui contenuti e sui lavori preparatori relativi a questo progetto, nonché sugli orientamenti che lo stesso Governo ha assunto o intende assumere in merito.

In particolare, tale informazione, che potrà essere fornita anche in forma scritta, dovrà contenere una valutazione complessiva del progetto europeo, con l'evidenziazione dei punti ritenuti conformi all'interesse nazionale e dei punti per i quali si ritengano necessarie opportune modifiche; dovrà evidenziarne l'impatto sull'ordinamento interno, anche in riferimento agli effetti sulle realtà regionali e territoriali, sull'organizzazione delle pubbliche amministrazioni e sulle attività dei cittadini e delle imprese; dovrà contenere una tavola di concordanza tra la proposta di atto legislativo dell'Unione europea e le corrispondenti disposizioni del diritto interno.

Anche in tale contesto, la 14a Commissione ha ritenuto di consentire al Governo di raccomandare l'uso riservato delle informazioni e dei documenti trasmessi.

Mi avvio alla conclusione trattando alcuni particolari temi su cui si è incentrato il dibattito in Commissione, ma anche all'esterno del Parlamento. Mi riferisco al famoso emendamento sulla caccia.

Oltre ai temi di carattere ordinamentale, il disegno di legge, durante l'esame nella 14a Commissione, è stato arricchito infatti di norme dirette al recepimento di nuove direttive, nonché di specifiche disposizioni concernenti singoli settori che necessitano di un adeguamento per risolvere procedure di infrazione o comunque per rispondere ad esigenze derivanti dall'ordinamento comunitario.

A tale riguardo non posso non citare un tema ormai annoso, quasi oggetto di un abbonamento, che rischia di diventare cronico se non viene risolto in questa sede, ovvero quello dell'adeguamento della legislazione italiana alla normativa europea in tema di gestione della caccia in rapporto alla tutela ambientale. Se preferite, si può anche invertire l'ordine dei fattori, ma il prodotto non cambia. Occorre, dunque, una decisione chiara.

La mancanza di serenità nel confronto delle parti coinvolte ha portato ad una esasperazione del problema, ben oltre i termini e i contenuti giuridici del provvedimento. Infatti, la decisione, presa durante l'esame della scorsa legge comunitaria per il 2008, di stralciare l'intero articolo, rinviando così la questione sine die, non ha risolto il problema, mantenendo aperta la procedura di infrazione per la non corretta trasposizione della direttiva della Comunità europea n. 409 del 1979 nella legge dello Stato n. 157 del 1992.

Nel 2006, la Commissione europea ha avviato la procedura di infrazione n. 2131 contro lo Stato italiano per la mancata o non corretta trasposizione di parti sostanziali della cosiddetta direttiva uccelli nella citata legge nazionale. Non solo: a questa infrazione, diretta al Governo centrale, se ne sono aggiunte altre tre, provocate da interpretazioni erronee delle deroghe previste dalla normativa europea da parte delle Regioni Sardegna, Liguria e Veneto (come è noto, le infrazioni a carico delle Regioni ricadono direttamente sul Governo).

A fronte di questa insostenibile situazione di incertezza, nel rispetto di posizioni soggettive, tutte degne di considerazione agli occhi del relatore, la Commissione ha privilegiato l'obiettivo di evitare le conseguenze dell'infrazione n. 2131, giunta alla terza fase della procedura prevista dalla Commissione europea, cioè alla Corte di giustizia, quindi alla fase sanzionatoria. Poiché le due precedenti non hanno convinto, la Commissione europea ci ha rinviato alla Corte di giustizia: dunque, se non approveremo questo emendamento, arriverà al nostro Paese una multa molto pesante.

L'articolo 38 del disegno di legge risulta dall'approvazione, in Commissione, di due emendamenti identici, che - ci tengo a sottolinearlo - non sono stati presentati dal relatore, come erroneamente ed in modo anche fazioso molti organi di stampa hanno continuato a scrivere. In realtà, il relatore aveva tentato l'equilibrismo di un emendamento di compromesso tra due categorie che hanno rivelato ancora una volta una totale incapacità di dialogo: quella dei cosiddetti ambientalisti, ai quali va tutto il rispetto, e quella dei cacciatori, ai quali va data la necessaria considerazione. Ebbene, il tentativo di mediazione e di compromesso è naufragato a fronte di possibili esposizioni a critiche da parte della Commissione europea e, quindi, di un prolungamento della procedura di infrazione. Il relatore, coscientemente e coerentemente, ha ritirato il proprio emendamento di compromesso, e sono stati approvati due emendamenti identici, con il parere favorevole del Governo e del relatore: questo, per verità di cronaca. Pertanto, in base a questi nuovi emendamenti, viene gestita una situazione che potrebbe quasi garantire il blocco della procedura di infrazione ed evitare all'Italia una multa milionaria per la non applicazione di una direttiva.

Viene gestito, secondo i dettami della direttiva e in base all'articolo 38, l'arco temporale previsto per il prelievo degli uccelli, e nel contempo si assicura la corretta applicazione della direttiva, richiamando anche la Guida interpretativa della Commissione, che in Italia non era mai stata adottata e che quindi era un ulteriore motivo a sostegno dell'infrazione comunitaria. Vi è inoltre un richiamo alla massima attenzione ad attività di ricerca scientifica e al rispetto del ciclo delle stagioni, alle esigenze di nidificazione e riproduzione e a tutte le attività di protezione della natura. Applicando questo articolo e accettando questi emendamenti, l'Italia non fa altro che applicare letteralmente la direttiva europea ed uniformarsi a quanto essa predispone per i Paesi del Mediterraneo. L'Italia, unico Paese, non aveva ancora ottemperato a questo obbligo; Francia, Spagna, Grecia e Portogallo stanno applicando da anni gli stessi principi.

Il riferimento alla Guida consentirà, inoltre, di interpretare la norma in maniera più stringente da parte delle Regioni ed evitare quelle interpretazioni troppo libere che hanno portato ad ulteriori infrazioni.

In tema di protezione ambientale, un argomento che ricorre in tutta Europa per la sua importanza, anche in modo un po' romantico, concerne l'uccisione delle foche. Abbiamo introdotto un emendamento, con l'unanime consenso della 14ª Commissione e il parere favorevole del Governo, che vieta anche in Italia l'uso di prodotti derivanti dall'uccisione delle foche. L'approvazione di questo emendamento, che ha dato luogo all'articolo 46 del disegno di legge, pone l'Italia in linea con tutti gli altri Paesi europei e rende esecutiva la fase sanzionatoria del regolamento europeo che scatta nel prossimo mese di agosto.

Altrettanto delicato è il tema dei rifiuti. Un problema che, nel giudizio della Commissione, ha trovato vasto consenso è il riconoscimento di determinati materiali di scarto del settore agricolo e della lavorazione di marmi e pietre come sottoprodotti per usi diversi, così da sollevare gli imprenditori da onerose procedure di smaltimento derivanti dalla classificazione degli stessi come rifiuti: quindi, non più rifiuti ma sottoprodotti, con tutte le analisi scientifiche e tecniche del caso. Si tratta in particolare dell'articolo 19 e dell'articolo 20, che anticipano alcune disposizioni di attuazione della direttiva sui rifiuti.

In tema di agricoltura non vi sono emendamenti di sostanziale importanza; tuttavia, interessanti correttivi riguardano la politica agricola, e spaziano da quelli relativi alla pesca e all'acquacoltura (articoli 23 e 26), alla classificazione delle carcasse suine (articolo 25), alla produzione delle uova (articolo 28), all'organizzazione comune di mercato dell'ortofrutta (articolo 30), agli organismi nocivi ai vegetali (articolo 31), e altre iniziative che interessano i perfezionamenti nel settore della OCM vino.

Per quanto riguarda il delicato campo dei diritti civili, non da ultimo sottolineiamo quegli articoli diretti ad adeguare l'ordinamento nazionale agli standard e alle procedure concernenti la tutela dei diritti civili. In questo contesto figura il recepimento delle decisioni quadro in materia di tutela della vittima nel procedimento penale, di lotta contro le frodi e le falsificazioni di mezzi di pagamento diversi dai contanti, di repressione del favoreggiamento dell'ingresso, del transito e del soggiorno illegali e di norme minime relative agli elementi costitutivi dei reati e alle sanzioni applicabili in materia di traffico illecito di stupefacenti (articoli 49 e 51).

A tali decisioni quadro si possono aggiungere anche altre normative europee, come la direttiva sulle sanzioni ai datori di lavoro che impegnano cittadini di Paesi terzi in soggiorno irregolare (articolo 48), la direttiva sul pieno completamento del mercato interno dei servizi postali comunitari, o altre direttive, in materia di liberalizzazione del mercato dell'energia elettrica e del gas, o in materia di fonti energetiche rinnovabili, in materia ambientale, dei trasporti, e molto altro ancora. Altri temi sono stati introdotti, come sempre accade, con gli ultimi emendamenti presentati sia dal Governo, sia da altre fonti, che hanno colmato alcune lacune che esistevano nella legge comunitaria.

Lasciate, infine, che il relatore esprima sincero rammarico per la forzata esclusione di numerosi emendamenti su temi vari, sicuramente innovativi, certamente migliorativi del lavoro che abbiamo fatto in Commissione, ma ritenuti improponibili in base all'articolo 81 sull'invarianza di bilancio, che la 5a Commissione ha applicato - diciamo con un pizzico di ironia - con grande attenzione e con grande prudenza.

Un ringraziamento sincero dal relatore a tutti i membri della 14ª Commissione, alla presidente Boldi, che ascolteremo fra poco, al personale degli uffici, che ha lavorato con grande impegno e ha portato a termine un lavoro davvero complesso: mettere d'accordo le normative europee, spesso individuate come ostili o comunque contrarie a certe esigenze territoriali, con le idee e le aspirazioni di molti colleghi non è stato facile.

Desidero inoltre ringraziare tutti i colleghi che da adesso in poi, con il dibattito e con l'illustrazione dei loro emendamenti, sicuramente renderanno migliore e più ricco questo documento. Vi ringrazio ancora e mi pongo all'ascolto delle vostre proposte. (Applausi dal Gruppo PdL).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per integrare la relazione scritta la senatrice Boldi, relatrice sul documento LXXXVII, n. 2. Ne ha facoltà.

BOLDI, relatrice. Signor Presidente, colleghi, credo non ci sia molto ancora da dire, dopo l'esaustiva relazione svolta dal vice presidente Santini.

Ritengo che nella legge comunitaria in esame, almeno nel testo proposto dalla Commissione, ci siano delle vere novità per quello che riguarda l'informazione e la partecipazione che il Parlamento deve e può dare, specialmente dopo l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, all'Europa e alle due fasi: la fase di formazione della legislazione europea e la fase di recepimento della legislazione europea.

Se approverete il testo che vi è stato sottoposto, questa è l'ultima volta che la Relazione sarà approvata con questi contenuti e in questi termini, perché - come è stato già spiegato - ci saranno due relazioni, una a consuntivo e un'altra che indicherà chiaramente quali sono gli obiettivi del Governo nell'anno a seguire. Credo veramente che ci siano molte novità dal punto di vista procedurale, novità indispensabili per adeguare i lavori parlamentari al Trattato di Lisbona.

So che, specialmente nell'altro ramo del Parlamento, si sta lavorando per una modifica più completa della legge Buttiglione; ma noi abbiamo ritenuto comunque di introdurre delle modifiche, perché questa rielaborazione richiederà giocoforza dei tempi che saranno più lunghi (ci vorrà almeno un anno ancora per arrivare ad una rielaborazione completa), mentre penso che le Aule parlamentari abbiano bisogno di poter lavorare da subito sugli argomenti europei, con le regole nuove che noi abbiamo introdotto.

Quando ci sarà la riformulazione e la revisione globale della legge n. 11 del 2005, queste regole nuove che abbiamo introdotto saranno eventualmente riassorbite. Nel frattempo, però, potremo già lavorare con maggiori informazioni, maggiore coinvolgimento e quindi con maggiore possibilità di capire che cosa può rappresentare l'Europa per l'Italia e che cosa possono dare le Camere parlamentari italiane come contributo alla legge europea. (Applausi dal Gruppo PdL).

PRESIDENTE. Comunico che è stata presentata la questione pregiudiziale QP1.

Ha chiesto di intervenire il senatore D'Alia per illustrarla. Ne ha facoltà.

D'ALIA (UDC-SVP-Aut). Signor Presidente, non vorrei disturbare il Ministro.

PRESIDENTE.Ministro Ronchi, il presidente D'Alia ha richiamato la sua attenzione.

D'ALIA (UDC-SVP-Aut). Questa è la prima legge comunitaria che noi esaminiamo dopo l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona.

Nonostante alcune apprezzabili modifiche introdotte dalla Camera dei deputati, che in qualche modo tentano di attuare, in maniera tenue e parziale, i principi e le norme contenute nel Trattato con riferimento al rafforzamento del ruolo dei Parlamenti nazionali nella fase ascendente di formazione delle norme comunitarie, ci apprestiamo in buona sostanza ad esaminare una disciplina complessa ed eterogenea nelle stessa forme che sono state utilizzate prima della ratifica del Trattato di Lisbona. Tutto questo non va bene, perché non è assolutamente conforme alla disciplina costituzionale. (Brusìo).

PRESIDENTE.Colleghi, dovreste liberare l'emiciclo perché il presidente D'Alia è disturbato dalla vostre conversazioni.

D'ALIA (UDC-SVP-Aut). Siccome l'illustrazione della questione pregiudiziale è propedeutica ad una richiesta di stralcio riguardante le deleghe sul complesso delle norme penali, e siccome credo sia un tema estremamente importante, mi scuso con i colleghi se insisto: ritengo che non sia una questione da trattare burocraticamente o come routinaria.

Le conseguenze che abbiamo nascono, infatti, proprio dalla patologia attraverso cui il Parlamento esamina e dà attuazione alle norme comunitarie, le quali ormai non rappresentano una sorta di diritto speciale e, quindi, una fetta piccola, parziale, del più complesso nostro ordinamento giuridico. Oggi la normativa comunitaria interessa il 100 per cento del nostro ordinamento giuridico. Ha un impatto immediato su tutto il sistema giuridico, e lo ha in maniera ancora più grave e più pesante, senza alcuna garanzia di carattere costituzionale, con riferimento al sistema penale. Siamo garantisti quando ci interessa; quando dobbiamo fare un ragionamento su come viene applicato in Italia il sistema penale comunitario, lo affidiamo a deleghe in bianco che poi riempirà il Governo.

Siccome il tema è abbastanza complesso, credo che quello da svolgere in questa sede sia un ragionamento più profondo, ed è questa la ragione per la quale ci siamo permessi di presentare la questione pregiudiziale di costituzionalità al nostro esame.

Non voglio entrare nel merito, perché non è questa né la sede né l'occasione per affrontare il complesso e il merito delle disposizioni contenute nella legge comunitaria. Mi limito solo a fare un ragionamento riguardante il complesso circuito della formazione e della integrazione nell'ordinamento interno del diritto comunitario.

Dopo la ratifica da parte del nostro Paese, dopo l'entrata in vigore, il 1° dicembre 2009, del Trattato di Lisbona, l'Unione europea ha attribuito ai Parlamenti nazionali un ruolo importante, che non è di mero indirizzo ai Governi, ma un ruolo pregnante nel processo di formazione della normativa comunitaria. Ha attribuito infatti ai Parlamenti nazionali il compito di intervenire anche, attraverso un complesso sistema di corresponsabilità e di verifica dell'attuazione concreta dei cosiddetti principi di sussidiarietà, nella fase in cui il Governo partecipa, in sede di Commissione e di Consiglio, alla formazione della normativa comunitaria.

Tutto questo non lo troviamo nel sistema che stiamo esaminando ed approvando per il recepimento della disciplina comunitaria, aggravando quindi la situazione di incostituzionalità del sistema delle deleghe che già riguarda la legge comunitaria. L'idea che il Parlamento si spogli definitivamente del ruolo di intervenire nel processo di attuazione della normativa, affidando con delega, in violazione dell'articolo 76 della Costituzione, al Governo il potere di disciplinare normativamente interi settori del nostro ordinamento giuridico, e che questo diventi lo strumento ordinario e permanente attraverso cui si recepisce la normativa comunitaria è certamente sbagliata, al di fuori del dettato costituzionale e del procedimento legislativo.

Ed è ancora più estranea alle norme costituzionali alla luce del Trattato, che prevede - come già detto - che, sotto il profilo degli indirizzi e dei contenuti della normativa, già i Parlamenti nazionali, nella fase di elaborazione delle norme, debbano avere un ruolo attivo e propositivo, anche vincolante, nei confronti degli Esecutivi nazionali e di chi, quindi, andrà poi a definire il complesso delle disposizioni.

Se così è - ed è così - è evidente che già ci troviamo di fronte ad un sistema rispetto al quale il Parlamento non ha più alcun ruolo nella produzione delle norme e questo, di per sé, non funziona. Tutto questo poi dà vita ad una serie di distorsioni che hanno una evidente natura e caratteristica di incostituzionalità. Pensiamo a ciò che sta accadendo in questo momento in 8a Commissione dove si discute uno schema di decreto legislativo che recepisce - o che ha la presunzione di recepirla - la normativa comunitaria nel sistema radiotelevisivo. Esso estende questa disciplina anche ad Internet, equiparando, sotto ogni profilo, alla disciplina prevista per le concessioni radiotelevisive l'uso, ad esempio, della piattaforma di Internet e della TV che si vede su Internet - si pensi a YouTube - condizionando la possibilità dell'uso di questo mezzo ad una preventiva autorizzazione governativa.

Non sfuggirà ai colleghi che, con questo tipo di disciplina, si incide profondamente sui diritti di libertà contenuti nella prima parte della Costituzione e lo si fa sottraendo al Parlamento - al quale la Costituzione affida una riserva di legge esclusiva in materia - il diritto-dovere di legiferare, sottraendo quindi la garanzia che l'esercizio dei diritti di libertà - di cui la libertà di manifestazione del pensiero è una parte importante - sia affidato al confronto nella sede esclusiva che la Costituzione ha stabilito, cioè le Aule di questo Parlamento.

Questo è il prodotto del modo in cui intendiamo procedere e legiferare in materia comunitaria. Questa è una delle distorsioni più evidenti; ma ve ne è un'altra, che è stata segnalata dall'Unione delle camere penali e che riguarda la circostanza che, con una o più deleghe inserite in questa legge comunitaria - deleghe i cui principi e criteri direttivi sono assolutamente fuori non dalla lettera, ma dallo spirito dell'articolo 76 della Costituzione - si conferisce al Governo il potere di legiferare in materia penale, senza alcun tipo di controllo da parte del Parlamento.

Rispetto a questo, credo che, se non vogliamo andare incontro all'ennesima sanzione da parte della Corte costituzionale, queste norme e queste disposizioni - e in tal senso si muove la richiesta che avanziamo oggi in Aula - dovrebbero essere stralciate dal testo relativo alla legge comunitaria. Ciò, perché è evidente che, tanto più è generica e ampia la delega che viene conferita in questa materia, tanto maggiore e discrezionale è il potere del Governo di intervenire sulle norme penali che comprimono i diritti di libertà.

Cari colleghi di maggioranza, voi che ritenete - e non siete i soli - che in questo Paese vi sia un problema che riguarda la giustizia: come potete consentire che passi un principio, che è totalmente fuori dalla Costituzione, in forza del quale è il Governo, eletto da una determinata maggioranza, che disciplina, senza alcun controllo parlamentare e fuori dalla Costituzione, i diritti di libertà e le sanzioni penali che comprimono questo tipo di diritto di libertà? Ma dove stiamo andando?

Io credo che su questo tema un attimo di riflessione dovremmo farlo, ma subito, qui e ora, non in altro tempo e in altro luogo. Con l'aggiunta - e concludo, signor Presidente - che un'altra delle distorsioni di questo modo di intervenire per il recepimento della normativa comunitaria riguarda le procedure di infrazione. Infatti, ogniqualvolta scade una delega e, quindi, si interviene per reiterare il tempo di durata e l'esercizio della stessa, poi si deve intervenire con i decreti correttivi e i testi unici, che non sono meramente compilativi ma conferiscono - anche qui - un potere discrezionale al Governo di legiferare sulla materia: quando tutto questo non avviene, o avviene in contrasto con la normativa comunitaria e con il Trattato, e la Corte di giustizia interviene sanzionando lo Stato italiano, che cosa si fa? Si interviene, anche in questo caso, con uno strumento che sottrae al Parlamento il controllo e l'esercizio della sovranità sulla materia: si interviene cioè con un decreto-legge che, con la scusa di dare corso alla normativa comunitaria per mettersi al riparo dalle procedure di infrazione e quindi restare in linea con quanto previsto dal Trattato e dalle decisioni della giurisprudenza europea, nel corso del suo esame parlamentare subisce poi un'estensione dell'ambito normativo di riferimento. Quindi, con questa scusa, in quella sede, nel momento in cui il Governo esercita la delega, si introducono delle norme che con la normativa comunitaria e la sua attuazione non hanno nulla a che vedere, ma che hanno un'incidenza sull'ordinamento giuridico nazionale.

Non voglio qui sottolineare anche la circostanza - perché ho grande rispetto della 14a Commissione, e ovviamente la questione non la riguarda - che tutte queste materie vengono esaminate e confluiscono, proprio per la specialità del procedimento, per un esame prioritario ed esclusivo alla 14a Commissione. Quest'ultima non ha - e non dovrebbe comunque avere - il compito proprio delle singole Commissioni di merito, che sono le uniche che possono garantire che il Parlamento esamini il merito delle singole questioni ed eserciti quel controllo che la Costituzione gli attribuisce.

Sono queste le ragioni per le quali, signor Presidente, a mio avviso non dobbiamo passare all'esame di questo provvedimento, cosa che noi chiediamo con la nostra pregiudiziale di costituzionalità, a garanzia del corretto uso delle regole che presiedono al corretto esercizio del potere legislativo. Oggi infatti noi siamo opposizione e domani potremmo essere maggioranza, ma, se passa questo precedente per cui ogni Governo si fa le sue norme penali a suo uso e consumo, dove andremo a finire? In quale Stato di diritto andremo a finire? Questo è il tema di fondo che sottopongo alla vostra attenzione.

Nel caso in cui la nostra pregiudiziale non dovesse trovare accoglimento da parte del Parlamento, noi riteniamo che le norme penali contenute nelle deleghe debbano comunque essere stralciate, per evitare di accedere ad un pericoloso precedente, che fa a cazzotti non solo con lo Stato di diritto e con la cultura garantista di cui, a volte e a senso unico, ci riempiamo la bocca, ma anche con l'esigenza di garantire un sistema di regole certe che il Parlamento è tenuto a rispettare. (Applausi dai Gruppi UDC-SVP-Aut e PD).

PRESIDENTE. Ricordo che, ai sensi dell'articolo 93 del Regolamento, nella discussione sulla questione pregiudiziale potrà intervenire un rappresentante per Gruppo per non più di dieci minuti.

Poiché nessuno domanda di parlare, metto ai voti la questione pregiudiziale QP1, avanzata dai senatori D'Alia e Bianchi.

Non è approvata.

D'ALIA (UDC-SVP-Aut). Chiediamo la controprova.

PRESIDENTE. Ordino la chiusura delle porte. Procediamo alla controprova mediante procedimento elettronico.

Non è approvata.

Dichiaro aperta la discussione generale congiunta.

È iscritto a parlare il senatore De Eccher. Ne ha facoltà.

Presidenza della vice presidente MAURO (ore 11,27)

DE ECCHER (PdL). Signora Presidente, colleghi senatori, nell'ambito dell'attività legata al nostro mandato ciascuno di noi è in qualche modo chiamato ad operare conformemente e coerentemente con le proprie convinzioni, con la propria visione del mondo, che i tedeschi definiscono Weltanschauung e, dall'altra parte, in assoluta coerenza con il mandato ricevuto e con gli impegni assunti con il proprio elettorato. Si può venir meno sotto questo duplice profilo in diversi modi. Il primo è quello di abbandonare il proprio Gruppo e approdare ad un altro: questo è un modello comportamentale che è stato praticato lungamente all'interno dei Gruppi parlamentari, e sul quale, a mio giudizio, non c'è stata quella censura, né da parte nostra, né da parte della pubblica opinione, che sarebbe stata invece necessaria, anche al fine di recuperare quel minimo di credibilità istituzionale di cui c'è assoluto bisogno. Un secondo modo, sicuramente meno appariscente e meno eclatante, è quello di non intervenire, di accettare in modo silenzioso delle scelte, delle posizioni che non si condividono, che sono contrarie al proprio sentire ed ai propri convincimenti.

Proprio per non rientrare con il mio comportamento in questa seconda fattispecie, ho scelto di intervenire per motivare il mio forte dissenso, non tanto rispetto alla legge comunitaria che ci troviamo a discutere, e che a mio giudizio è una sequenza di atti prevalentemente dovuti, quanto rispetto ad un passaggio della Relazione del ministro Ronchi sul quale voglio portare l'attenzione di questa Assemblea. In particolare, nella parte relativa al processo di allargamento dell'Unione europea il ministro Ronchi scrive che l'Italia ha sostenuto con piena convinzione le aspirazioni europee di Ankara e prosegue: «Il negoziato di adesione della Turchia all'Unione europea continua ad essere, in quanto tale, questione controversa all'interno dell'Unione stessa. Da un lato, l'Italia, il Regno Unito, la Svezia e la Spagna sostengono il processo di avvicinamento della Turchia all'Europa, proseguendo con determinazione la loro tradizionale politica di aperto favore per la prospettiva europea di quel Paese; dall'altro lato, si colloca in particolare la Francia, che insiste per la definizione di una forma di partenariato speciale, in alternativa alla piena adesione». Ebbene, io non posso, e non voglio, condividere gli indirizzi del Governo su questo passaggio e su questo punto. Io mi trovo assolutamente allineato con le posizioni, non solo della Francia, ma anche della Germania, dell'Austria e, soprattutto, di quella che è la nostra comunità di riferimento.

Voglio cercare di affrontare l'argomento ponendo l'attenzione su tre ragionamenti, su tre ambiti e su tre fronti. Il primo riguarda l'appartenenza, o meno, della Turchia all'Europa; il secondo riguarda il pericolo rappresentato dall'Islam; il terzo riguarda, infine, il rispetto che si deve alla pubblica opinione. Per quanto riguarda il primo punto, parto con la risposta dell'editorialista Piero Ostellino a un lettore che chiedeva per quali motivi la Turchia non dovrebbe entrare nell'Unione europea. Piero Ostellino risponde che la principale ragione contraria all'ingresso della Turchia è che la Turchia non è un Paese europeo ma asiatico. Sembra una risposta banale, ma in realtà è una risposta completa, semplice ma definitiva, perché, obiettivamente, la Turchia non è Europa dal punto di vista geografico. Forse qualcuno di voi ha reminiscenze degli studi delle scuole medie superiori: gli atlanti di un tempo qualificavano in maniera certa la Turchia nell'Asia minore, dal punto di vista culturale, religioso e storico. C'è, quindi, una convergenza di motivazioni che, in qualche maniera, dà una risposta.

Forse, se oggi non si condivide il senso di appartenenza all'Europa, è proprio perché mancano questi riferimenti forti a quella che è l'identità e a quelle che sono le radici. Probabilmente, da lì si dovrebbe partire e probabilmente da lì potrebbe rinascere, in qualche modo, il sentimento di appartenenza all'Europa. Su questo fronte, la CDU tedesca, con un documento preciso e puntuale, ha espresso la sua posizione. Il nuovo Presidente del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy, afferma che la Turchia non è parte dell'Europa e non lo sarà mai. Il presidente Sarkozy si esprime così: «L'Europa agli europei». Il no di Sarkozy è netto: al di là delle alleanza militari e di possibili forme di partnership privilegiata, le aperture sono possibili solo per Stati appartenenti «chiaramente» al continente europeo, come la Svizzera, la Norvegia e i Paesi dei Balcani. Il leader francese non ha precisato il senso di quel "chiaramente", ma sono sottintese le comuni radici geografiche e culturali.

Papa Ratzinger, poi, ribadisce che "La Turchia è un Paese che non ha radici cristiane ed è permeato, invece, dalla cultura islamica (...) L'identità dell'Europa può essere determinata solo dai contenuti e dalle norme della sua luminosa cultura (...) La Turchia ha rappresentato un continente diverso nella storia e i suoi valori sono diversi, per cui l'adesione sarebbe un grande errore, mentre sarebbe più opportuno offrirle un partenariato privilegiato".

Questo è il primo punto. Per quanto concerne il secondo punto, relativo ai pericoli provenienti dall'Islam, l'arcivescovo di Izmir, monsignor Giuseppe Bernardini così esordisce in una lettera: «Vivo da 42 anni in Turchia, Paese musulmano al 99,9 per cento e l'argomento del mio intervento è scontato: il problema dell'Islam in Europa, ora e nel prossimo futuro. (...) Il dominio musulmano è già cominciato con i petrodollari, usati non per creare lavoro nei Paesi poveri del Nord-Africa e del Medio Oriente, ma per costruire moschee e centri culturali islamici nei Paesi d'Europa». Più avanti riporta anche un parere espresso durante un incontro ufficiale da un autorevole esponente musulmano: «Grazie alle vostre leggi democratiche vi invaderemo; grazie alle nostre leggi religiose vi domineremo». Forse non tutti hanno la consapevolezza del fatto che il primo ministro Erdogan ed il suo partito sono stati ritenuti responsabili dalla Corte costituzionale turca di attività antilaiche per aver tentato di islamizzare la legislazione. Come forse non tutti conoscono la parte iniziale degli interventi di Erdogan in campagna elettorale, che così cominciava i suoi comizi: «I minareti sono le nostre baionette; le cupole i nostri caschi; le moschee le nostre caserme; i credenti il nostro esercito». Queste erano e sono le sue parole. Anche Ernesto Galli della Loggia, nell'articolo «Paura dell'Islam e scempio a Cipro», scrive: «Di oltre 500 edifici sacri - spesso antichissimi e ornati di mosaici e affreschi di valore inestimabile - solo tre hanno conservato la loro destinazione originale (...). Si tratta di uno scempio compiuto con (...) sistematicità (...)». Nello stesso articolo, egli parla inoltre di paura dell'Islam come di paura legittima, come di paura che ha una sua ragione.

Vengo all'ultimo punto, che riguarda invece il rispetto della volontà popolare. Ebbene, sul quotidiano «La Stampa» leggo che l'Istituto affari internazionali e l'Istituto per gli studi di politica internazionale, nell'ambito di un rapporto sulle percezioni delle opinioni pubbliche europea e turca, hanno riferito che il 43 per cento degli europei è favorevole ad un ulteriore allargamento dell'Unione, mentre il 46 per cento è contrario. Ma se, quando si tratta di Norvegia, Svizzera e Islanda, il consenso sul loro possibile ingresso è molto elevato (rispettivamente 78, 77 e 71 per cento), quando si tratta della Turchia il consenso è in fondo alla lista, con il 31 per cento: ripeto, 31 per cento. Più o meno analoghi dati vengono forniti da un sondaggio effettuato da Eurobarometro durante i mesi di maggio e giugno, che rivela una larga maggioranza - il 65 per cento - di europei contrari all'ingresso della Turchia nella UE, con un 35 per cento di favorevoli. L'impopolarità della candidatura turca raggiunge il massimo in Austria, con una percentuale dell'80 per cento, circa 24 punti in più rispetto al precedente sondaggio. Segue la Germania con il 74 per cento di no, mentre Francia e Grecia sono intorno al 70 per cento. Ma abbiamo un dato più recente, fornito dal «Corriere della Sera» del 9 aprile 2009 nella rubrica «Opinioni»: il 77,2 per cento dei lettori che hanno partecipato a questo sondaggio si è espresso contro l'ingresso della Turchia in Europa.

Credo che di questo si debba tener conto, perché è vero che sono solo sondaggi, ma sistematicamente esprimono un'opinione e un indirizzo e danno elementi di riflessione. Non vorrei che passasse anche nell'ambito del centrodestra una logica che non ci appartiene, la logica di tipo leninista; quella logica che abbiamo vista applicata a seguito del sondaggio in Svizzera, dove la popolazione si è espressa contro la costruzione di ulteriori minareti. È quella logica che ci porta a prendere delle posizioni molto diversificate: quando il popolo è in sintonia con il partito, quando è fortemente allineato, allora è maturo e abbiamo la sublimazione della democrazia; quando, viceversa, il popolo si esprime maniera difforme, va in qualche modo indirizzato, educato ed informato. Non è la nostra logica. Per tradizione e scelta siamo rispettosi della volontà popolare, e quando c'è una volontà popolare così forte e così definita dobbiamo necessariamente tenerne conto.

Chiudo questo mio intervento ribadendo con forza la mia contrarietà rispetto alle scelte del Governo su questo passaggio specifico. Ripeto, è un passaggio che riguarda esclusivamente la Relazione, nemmeno la legge comunitaria, però è l'occasione per esternare il mio pensiero e per farlo conoscere. Approfitto per invitare i colleghi che si sentono di condividere queste osservazioni e che hanno la mia medesima formazione culturale ad intervenire, non dico oggi, ma in tutte le opportune sedi, quelle che riterranno più idonee, per esprimere un parere conseguente. È bene che emerga una voce di dissenso nella nostra parte su questo argomento, perché tacere a mio giudizio è una delle forme nelle quali si possono perdere i propri riferimenti. Ripeto, su questi temi bisogna avere il coraggio di intervenire, di far conoscere il proprio pensiero e, soprattutto, di operare coerentemente rispetto ai propri principi. (Applausi dal Gruppo PdL. Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la senatrice Spadoni Urbani. Ne ha facoltà.

SPADONI URBANI (PdL). Signora Presidente, signor rappresentante del Governo - che non c'è -, colleghi senatori, nell'intervento che ho consegnato agli atti la prima volta in cui abbiamo affrontato la legge comunitaria in questa legislatura affermavo che l'attuazione del principio contenuto nell'articolo 10 della Carta costituzionale avrebbe potuto diventare uno dei motori per l'armonizzazione della legislazione, tra i vari Paesi e alle mutate condizioni sociali ed economiche. Oltre a ciò, rilevo ora anche un nuovo quadro politico che si va delineando a livello internazionale, dove l'Europa ha un importante ruolo. Il risultato di tale ruolo e del lavoro dell'Unione costituisce un beneficio per i nostri cittadini, non solo se si considera il costo economico del mancato adeguamento, ma anche e soprattutto per la qualificazione che l'ordinamento giuridico nazionale riceve da quello comunitario, che molte volte, però, ci impedisce di portare avanti i nostri punti politici importanti.

Proprio per questo diventa di stringente attualità il quesito che sollevai allora: cioè, se non si ritenga opportuno addivenire ad una sostanziale modificazione dell'attuale assetto ordinamentale che regge il recepimento delle norme comunitarie nel diritto italiano. Ho fatto parte della 14a Commissione - da cui sono dovuta andare via per altri impegni - e credo di evidenziare un'esigenza sentita da molti se affermo che sono necessari un intervento e un ruolo diverso da parte dei Parlamenti nazionali nella fase di formazione della legislazione comunitaria. Siamo infatti tutti consapevoli che quando si va a recepire la normativa comunitaria i margini propositivi sono ormai modesti. È nella fase cosiddetta ascendente della normativa dell'Unione che bisognerebbe svolgere un ruolo quanto meno interlocutorio con le istituzioni comunitarie: un nuovo ruolo per tutti i Parlamenti nazionali, e non limitato ai Comitati governativi ristretti, come previsto dal Trattato di Lisbona. È in questa fase che i Parlamenti nazionali possono effettivamente incidere in maniera significativa. Concordo, inoltre, con chi ritiene utile che il Governo - in via permanente e prescindendo dalla maggioranza politica del momento - possa realizzare un effettivo e aggiornato monitoraggio nelle varie fasi di concretizzazione di ciascuna direttiva che l'Italia deve introdurre nella propria legislazione. L'articolazione e gli effetti anche sulle legislazioni regionali, oltre che sull'ordinamento propriamente statale, sono innumerevoli e diventa sempre più complesso adeguare a posteriori realtà normative già stratificate.

Nel merito, voglio solo soffermarmi sul nuovo principio, introdotto con un emendamento approvato dalla Commissione lavoro della Camera dei deputati, all'articolo 2, comma 1, lettera g). Con tale criterio, unitamente ai due precedenti, si tende all'armonizzazione delle deleghe legislative: nello specifico, si intende stabilire il principio del coinvolgimento delle parti sociali nella predisposizione dei decreti legislativi di attuazione delle direttive in materia di lavoro e politiche sociali. Ritengo che ci si voglia riferire, in particolare, alla direttiva 2008/104/CE, relativa al lavoro tramite agenzia interinale, per la cui revisione dovrà essere assicurato il coinvolgimento delle parti sociali interessate. Ciò al fine dell'acquisizione, ove richiesto dalla complessità della materia, di un parere delle stesse parti sociali sui relativi schemi di decreti legislativi.

Il tema del lavoro, così sentito in Europa e ancora più in Italia, richiede sempre di procedere con il consenso di tutti, come ha sempre cercato di fare il nostro Governo. In tempi di crisi, quando il lavoro è minacciato da una situazione internazionale delicata, ciò appare ancora più importante e cogente. Sono certa che il Governo osserverà queste indicazioni non in senso formale, ma chiamando le parti sociali ad un sostanziale impegno, perché la nostra legislazione sia ancora una volta traino ed esempio per tanti Paesi europei che magari si affacciano ora nell'Unione, aspirando ai benefici che ciò comporta, inconsapevoli tuttavia del percorso culturale che sta dietro alle scelte che ci hanno visto antesignani fin dai Trattati di Roma. La democrazia, strada faticosa, richiede comunque una crescita, che la legge comunitaria può solo attestare. (Applausi dal Gruppo PdL).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Di Giovan Paolo. Ne ha facoltà.

DI GIOVAN PAOLO (PD). Signora Presidente, colleghi, è un passaggio importante quello della legge comunitaria, perché ci costringe a fare una riflessione - che è già cominciata con la relazione e con gli interventi dei colleghi - sul nostro europeismo, sull'europeismo concreto, cioè su come realizziamo concretamente l'idea europea nel nostro Paese, non su quello delle dichiarazioni o della retorica. Vorrei esporre il mio ragionamento, a nome del Gruppo ma anche mio personale, come europeista, come federalista europeo convinto, su due aspetti fondamentali, cioè un commento sulla legge e l'opportunità di fare di essa un'occasione politica.

La legge comunitaria è arrivata un po' al limite, lo hanno detto lo stesso relatore e la presidente della 14a Commissione, senatrice Boldi. È arrivata al suo limite, come sempre accade in Europa, anche per un eccesso di successo. La legge comunitaria che abbiamo conosciuto negli anni, che è stata riformata per ultimo dall'allora ministro per le politiche comunitarie Buttiglione, non teneva conto del Trattato di Lisbona, cioè del fatto che l'avanzamento dei negoziati, che ha portato l'Unione europea a 27 Paesi e ad una sempre maggiore codecisione, al contempo sta disegnando un ragionamento sul nuovo ruolo del Parlamento europeo e sul ruolo dei Parlamenti nazionali (di cui discuteremo), che va visto non in chiave di rilancio del nazionalismo ma in chiave di copartecipazione alle decisioni. Ciò condurrà ad un Senato degli Stati, che è in coerenza con un'idea federale e federalistica dell'Europa.

A questo proposito - e spero che sia così - vorrei che anche sull'idea di Europa i colleghi del Gruppo della Lega Nord, che al tema del federalismo prestano grande attenzione, si rendessero conto che, come in passato si diceva che non può darsi il socialismo in un solo Stato, non è oggi pensabile il federalismo in un solo Stato: non è cioè pensabile essere federalisti in un solo Stato senza essere federalisti europei. È questo un ragionamento di coerenza: non si può chiedere un Senato delle Regioni in un solo Stato se non si ha il coraggio di chiedere un'altra Camera, quella che sostanzialmente trasforma l'attuale Consiglio europeo degli Stati in un Senato degli Stati e delle autonomie locali e regionali europee. Se non c'è tale coerenza federalistica anche in Europa, il disegno in un solo Paese non funziona, perché deve funzionare all'interno di uno Stato di 27 o più Paesi.

È allora evidente che dopo l'entrata in vigore, il 1° dicembre 2009, del Trattato di Lisbona - e noi aggiungiamo anche della Carta di Nizza, così fondamentale sui diritti e sui doveri dei cittadini europei - che la legge comunitaria diventa strumento difficile. Lo diventa anche per motivi interni, perché, nella retorica che accompagna il pensiero unico pre-mercatista, e poi post-mercatista, del ministro Tremonti, la finanziaria light genera i mostri del milleproroghe che si allarga e di una legge comunitaria che - stiamo ai dati - ci arriva dalla Camera dei deputati con 12 articoli e ritorna alla Camera dei deputati con 53 articoli. Già solo questo dato dimostra che tale legge è diventata una sorta di autobus sul quale far salire norme, sulle quali si può anche concordare in linea teorica, ma che in realtà non dovrebbero farne parte per motivi di paletti costituzionali, e regolamentari del nostro Senato della Repubblica, e delle regole che ci siamo dati sulle leggi comunitarie.

Alla fine nessuno può essere contrario alle ipotesi delle quali ci troveremo a ragionare, per le quali ci possano essere più finanziamenti europei per una città, per la capitale, o altri emendamenti che vedremo; ma non ha senso inserirli all'interno della legge comunitaria quando è possibile durante tutto l'anno trasferire la normativa europea nel flusso annuale delle leggi, nell'attualità di tutti i giorni. Questa è allora la caratteristica che mette in difficoltà anche questa legge nel suo complesso, ed è la stessa per la quale la Presidenza del Senato, assieme alla Conferenza dei Capigruppo, ha deciso di modificare il Regolamento del Senato costituendo una Commissione apposita. Noi siamo stati promotori di tale riflessione. Ricordo l'intervento in Aula della mia capogruppo, la collega Marinaro, che l'anno scorso chiedeva in merito un cambiamento del Regolamento ed anche un'attenzione maggiore ai paletti della legge comunitaria. Siamo contenti che tale aspetto sia stato preso in considerazione; dobbiamo fare in modo che si possa continuare a dire quanto dicevamo all'inizio dell'esame della legge comunitaria, e cioè: «Che bello, quest'anno la legge comunitaria arriva nell'anno giusto e con pochi articoli!» (i 12 con cui era arrivata dalla Camera). Possiamo dirlo un po' meno, adesso che gli articoli sono 53, e probabilmente dovremo anche discutere della congruità di tale aspetto.

Allora, anche a beneficio del Governo e del ministro Ronchi, cui ho avuto modo in Commissione di dirlo, e affinché rimanga agli atti, voglio ricordare come la soluzione al problema delle infrazioni e delle sanzioni dell'Unione europea non sia quella di inserire tutto l'elenco delle direttive dell'Unione europea, fino a quelle di ieri mattina. Noi ci troviamo ancora oggi (e lo sanno bene soprattutto i valenti funzionari del Senato, che ringrazio per il loro lavoro), con sei-sette emendamenti proposti dal Governo praticamente all'apertura della seduta di questa mattina, alle ore 9,30; anzi, se non ricordo male, ieri sera, dopo la conclusione della seduta ho ascoltato per caso una conversazione con cui ci si dava appuntamento per la presentazione degli emendamenti del Governo anche con il relatore, il quale è costretto in pochi minuti a conoscere il senso di tali proposte. Ciò dimostra che è diventato un provvedimento omnibus, peraltro inadeguato rispetto a questo fatto. Infatti, ci troveremo a discutere di emendamenti e subemendamenti all'interno di un provvedimento che contiene un po' di tutto: dai rifiuti inerti alle grandi questioni europee.

Passo ora alla questione politica, che - a mio avviso - va affrontata e che riguarda la Relazione. Non a caso il nostro Gruppo aveva chiesto che la Relazione fosse separata dalla legge comunitaria per permettere un'analisi politica; verifichiamo, però, che ciò è stato talmente compreso da immaginare che vi fosse (a fronte della nostra richiesta di una relazione su ciò che è accaduto, non notarile) anche un intento programmatico del Governo. Come noto, la presenza in Europa, come la politica estera, non si basa sulle pacche sulle spalle o sull'amicizia personale con questo o quel leader; si basa invece sulla continuità con cui siamo presenti ai tavoli europei, sulla capacità per cui esprimiamo quanto meno una media presenza di politica estera e sulla nostra capacità di avanzare richieste in anticipo.

Allora, per quanto riguarda la politica, pur sintetizzando, vorrei sottolineare chiaramente che mancano cinque anni alle prossime elezioni europee: vogliamo tentare di cambiare la legge elettorale prima di arrivare a sei mesi dalle prossime elezioni europee ed affermare che non vi sono più i tempi? È evidente, infatti, che rispetto al Parlamento europeo abbiamo la necessità che non vi siano più i cinque collegi, per avere la possibilità che i rappresentanti del Parlamento, che rappresenta tutti i 27 Stati e i cittadini nel loro modo più forte, abbiano un rapporto diretto con i loro elettori e non con quattro o cinque regioni insieme. Oggi dobbiamo farlo: il Governo deve affrontare questa iniziativa, così come però ne deve affrontare altre.

Vi sono parti in questo provvedimento, come quella relativa alla riforma del Ministero degli esteri per la parte riguardante il nuovo servizio diplomatico europeo, che non andrebbero affrontate in questo modo, con una sorta di spezzatino istituzionale; tuttavia dobbiamo ricordarci che nel mondo vi sono 54 nuove sedi di ambasciata dell'Unione europea, soprattutto nel Sud-Est asiatico e in Africa. Ciò vuol dire che l'Unione europea è qualcosa di più; vuol dire che abbiamo bisogno dell'unione delle Forze armate europee, di un servizio diplomatico efficiente per tutto quello che riguarda l'Europa e - concludo - di una cooperazione internazionale di aiuto che sia unita. Abbiamo bisogno anche di un seggio unico al Fondo mondiale e nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.

Onorevoli colleghi, dopo il Trattato di Lisbona inizia una nuova battaglia per i federalisti europei, quella cioè di finirla con le Conferenze intergovernative (il Trattato di Lisbona deve essere l'ultima) e di attivare l'articolo contenuto nel Trattato di Lisbona fino a giungere ad una convenzione che dia una Costituzione all'Europa. Quello che potevamo avere dalle conferenze intergovernative lo abbiamo ottenuto con il Trattato di Lisbona. Signora Presidente, per l'Unione europea vi è la necessità che si faccia un salto di qualità, adottando una Costituzione per l'Europa e modificando questa legge comunitaria. (Applausi dal Gruppo PD).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la senatrice Germontani. Ne ha facoltà.

GERMONTANI (PdL). Signora Presidente, onorevoli colleghi, con il disegno di legge n. 1781 il Governo adempie all'obbligo di proporre al Parlamento l'approvazione del provvedimento legislativo, la legge comunitaria annuale, che la cosiddetta legge Buttiglione, cioè la legge n. 11 del 2005 - che reca le norme generali sulla partecipazione dell'Italia al processo normativo dell'Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari - individua come strumento normativo cardine diretto ad assicurare il periodico adeguamento dell'ordinamento nazionale all'ordinamento comunitario. Il provvedimento affronta i profili relativi alla formazione del diritto comunitario (fase ascendente), al recepimento del diritto comunitario (fase discendente), alla procedura di partecipazione di Regioni, enti locali e parti sociali al processo di integrazione dell'ordinamento interno con quello dell'Unione europea.

In riferimento alla fase ascendente, le ragioni di opportunità che hanno condotto alla riforma del 2005 sono da collegare a diverse esigenze. In primo luogo, si è avvertita la necessità di rendere maggiormente funzionale la partecipazione italiana alla formazione del diritto comunitario e sono stati creati nuovi strumenti procedurali per garantire non solo la partecipazione del Parlamento, ma anche delle Regioni e degli enti locali.

In secondo luogo, è stato necessario adeguare gli istituti posti dalla legge n. 86 del 1989 alle modifiche apportate al Titolo V della Costituzione e, quindi, regolamentare in modo differente i rapporti tra le diverse realtà istituzionali chiamate a partecipare alla definizione del diritto comunitario. Sullo sfondo c'è stata la considerazione del processo di riforma dell'Unione europea, soprattutto per il ruolo di crescente centralità riservato ai Parlamenti nazionali.

Il Parlamento italiano ha per molto tempo trascurato la fase ascendente, forse proprio perché non appariva visibile il processo di europeizzazione del nostro ordinamento. Con l'entrata in vigore della legge n. 11 del 2005 (legge Buttiglione) la situazione è cambiata. E ciò in ragione del clima di rinnovato interesse suscitato dall'approvazione del Trattato costituzionale, che tra le sue norme più qualificanti ha previsto proprio il rafforzamento del ruolo dei Parlamenti nazionali. L'approvazione della legge comunitaria rappresenta comunque, nonostante le critiche avanzate nel corso dei precedenti interventi, un momento di consapevole partecipazione del Parlamento al processo di integrazione europea. L'importanza di tale passaggio è tanto maggiore se si tiene conto degli appuntamenti istituzionali che attendono l'Unione europea nei prossimi mesi, a partire dalla recente entrata in vigore del Trattato di Lisbona, che ridisegna l'impalcatura costituzionale dell'Unione europea.

Il nuovo Trattato rappresenta una svolta reale per i cittadini del Vecchio continente. È stato abbandonato il Trattato di Nizza, negoziato nel 2000 in Costa Azzurra, fatto per un'Europa a 15 e che necessariamente non teneva conto di tutti gli avvenimenti, anche tragici, accaduti successivamente. Certo, non sarà il nuovo trattato a risolvere i tanti problemi. Ma sicuramente con Lisbona i 500 milioni di europei non rappresentano più solo il mercato unico più importante del pianeta, ma avranno la chance di diventare dei policy makers. Le nuove norme, infatti, attribuiscono maggiori poteri al Parlamento di Strasburgo, che avrà facoltà di codecisione rispetto al Consiglio europeo. È proprio in quest'ottica che la legge comunitaria deve diventare, non un adempimento burocratico - e questo deve essere l'impegno di tutti noi - ma un provvedimento che costituisce uno dei passaggi di maggiore importanza per la nostra partecipazione al processo di integrazione europeo.

A tal proposito vorrei esprimere alcune considerazioni e riflessioni che spero possano essere utili a quel Comitato che avrà il compito di modificare il Regolamento del Senato in attuazione del Trattato di Lisbona. Questo riguarda in particolare i criteri di ammissibilità e inammissibilità di alcuni emendamenti presentati in Commissione e in Aula. Un punto riguarda il criterio finora utilizzato: infatti, il criterio dell'adeguamento agli obblighi imposti dall'Unione europea è senz'altro giusto allorché la legge comunitaria si pone come l'unico strumento di adeguamento a tali obblighi. Però, se questo strumento non è più l'unico - e abbiamo approvato di recente un decreto-legge che sostituiva la legge comunitaria per le procedure di infrazione - allora bisogna chiedersi se ha ancora senso vincolare la legge comunitaria al rispetto del principio dell'obbligo di adeguamento quando gli altri provvedimenti che danno attuazione al diritto comunitario non soggiacciono a tale tagliola regolamentare. Se poi si considera che la 14a Commissione esamina solo la legge comunitaria in sede referente, ci si accorge che, limitando la sua emendabilità, si rischia di privare la 14a Commissione della possibilità di apportare modifiche importanti per ragioni di carattere meramente formale.

L'interpretazione del diritto comunitario, dunque, non deve più essere valutata nella sola prospettiva di un'attuazione letterale delle direttive, ma in un'attuazione attenta anche ai profili di apprestamento delle strutture e dei mezzi necessari, non già e non tanto per dare attuazione al diritto comunitario, quanto per assicurare l'applicazione dello stesso, come l'articolo 9 della legge Buttiglione, coerentemente con il principio di effettività, prevede. E, d'altra parte, l'articolo 249 del Trattato di Roma impone agli Stati membri di realizzare il risultato voluto dalle direttive, ma li lascia liberi di perseguire tale risultato con le forme e i mezzi da essi ritenuti più rispondenti. E anche le decisioni quadro, secondo l'articolo 34 del Trattato sull'Unione europea, sono vincolanti per gli Stati membri quanto al risultato da ottenere, «salva restando la competenza delle autorità nazionali in merito alla forma e ai mezzi». Se si considera questo, il criterio dell'adeguamento agli obblighi imposti dalla Comunità europea lascerebbe preferire un'interpretazione più ampia del concetto di attuazione.

Vorrei esprimere la mia soddisfazione, in quanto in Commissione, in sede di discussione e di approvazione di emendamenti, è stato approvato un mio emendamento volto ad affermare e rafforzare il ruolo dell'educazione finanziaria «quale strumento di tutela del consumatore, attribuendo il potere», come previsto nell'articolo 13, così come modificato, «di promuovere iniziative di informazione ed educazione volte a diffondere la cultura finanziaria fra il pubblico». Si tratta di un emendamento importante; il richiamo all'educazione finanziaria è stato più volte rivolto anche dal Governatore della Banca d'Italia e il mio emendamento - ripeto - andava nella direzione di affermare e rafforzare il ruolo dell'educazione finanziaria come strumento di tutela del consumatore.

Vorrei infine soffermarmi sull'emendamento presentato dal Governo che prevede la pubblicazione dei compensi dei manager delle società quotate in Borsa. Credo che tale disposizione sia molto importante; ricordo che essa è già prevista nel codice di autodisciplina delle società quotate, ma è adottata solo su base volontaria.

Inoltre, per garantire la trasparenza dell'attuazione della politica di remunerazione, è previsto che «la relazione sulla remunerazione illustri in apposita sezione i compensi corrisposti nell'esercizio di riferimento a qualsiasi titolo e in qualsiasi forma ai componenti degli organi di amministrazione e controllo, dei direttori generali e dei dirigenti con responsabilità strategiche». E l'assemblea dei soci «dovrà essere coinvolta nell'approvazione della politica di remunerazione». Si tratta, quindi, di un passo importante. I consumatori e gli azionisti potranno valutare direttamente se i compensi elargiti ai vertici delle società siano commisurati ai risultati ottenuti; quindi si tende a dare ad essi lo strumento per tale valutazione. A mio avviso, è un ulteriore passo avanti dell'Esecutivo sulla strada della trasparenza e della chiarezza, della quale il nostro Governo ha fatto un cavallo di battaglia.

Da ultimo, vorrei fare un riferimento ulteriore al discorso della maggiore importanza e forza che devono avere i Parlamenti nazionali rispetto alla normativa comunitaria. Come ho detto, la fase ascendente va in questo senso. Al Senato abbiamo già adottato - sia in sede di 6a Commissione, sia in sede di 14ª Commissione - importanti ed incisive risoluzioni delle quali il Governo e il Parlamento europeo hanno tenuto conto. Mi auguro che si continui su questa strada, perché è chiaro che, così come diciamo sempre che il Parlamento nazionale deve avere un suo ruolo importante rispetto all'azione del Governo, un maggiore coinvolgimento e una maggiore incisività dei Parlamenti nazionali devono esservi anche in sede europea.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Filippi Marco. Ne ha facoltà.

FILIPPI Marco (PD). Signora Presidente, onorevoli colleghi, rappresentanti del Governo, vorrei porre all'attenzione dell'Aula, e nello specifico della Presidenza, un aspetto di metodo, prima ancora che di merito, sugli articoli che avrebbero dovuto riguardare l'8a Commissione. Avrebbero, appunto, perché così non è stato.

Infatti, nel tempo ogni provvedimento omnibus è stato avvertito come un'occasione da parte del Governo di turno per ottenere deleghe dal Parlamento o, più recentemente, come l'occasione per introdurre emendamenti, strappate la necessità e l'urgenza con il decreto-legge, che hanno costituito vere e proprie mini-riforme di settore. Si tratta di norme rilevanti per importanza e implicazioni, su cui le Commissioni di merito non solo non hanno l'opportunità di intervenire correggendo o integrando l'oggetto della delega o della mini-riforma, a seconda delle circostanze, ma più spesso non hanno neppure la possibilità di discuterne e parlarne.

Mi domando, e domando ai colleghi di maggioranza: ma di questo passo, così facendo e così continuando a fare, a che cosa servono e a che cosa serviranno le Commissioni di merito? Guardate, non è una domanda né retorica né provocatoria, ma solo una richiesta di senso al ruolo che dovremmo essere chiamati a svolgere e che ci vede invece sistematicamente esclusi dall'esercizio della nostra funzione e dalla possibilità di apportare il nostro contributo a provvedimenti importanti e significativi.

Ritengo che la prassi invalsa di introdurre emendamenti del relatore in Commissione referente in occasione dell'esame di provvedimenti omnibus (quali per loro natura sono il milleproroghe o la legge comunitaria, appunto) o di quelli che diventano tali - come dicevo - dopo che, come più di recente, i decreti hanno strappato i requisiti di necessità ed urgenza ha finito per collocare la funzione di questo Parlamento in un ruolo improprio rispetto al dettato della nostra Carta costituzionale.

Il tema che sollevo, peraltro, non è nuovo ed è stato reiteratamente sollevato anche da esponenti del mio Gruppo più autorevoli di me in più di una circostanza. Esso sta nei fatti assumendo un ruolo davvero intollerabile, tanto più quando talvolta è utilizzato per deleghe che spesso non vengono necessariamente utilizzate successivamente o che, quando lo sono, vengono talvolta stravolte, come nel caso più recente del decreto legislativo di attuazione della direttiva comunitaria sugli audiovisivi (attualmente all'esame della 8a Commissione), di fatto per gran parte estranea ai contenuti stessi della delega precedentemente ricevuta.

Come è evidente, quello che sta venendo meno è il principio di trasparenza e di tracciabilità dell'iter parlamentare di approvazione dei provvedimenti, tanto più grave quanto più rilevante è il provvedimento che viene di fatto approvato, per così dire, sotto traccia.

Nello specifico e nel merito del provvedimento adesso all'esame dell'Aula, mi riferisco in particolare a due articoli della legge comunitaria che, a mio avviso, avrebbero dovuto avere ben altra considerazione e spazio di trattazione nell'8a Commissione. Si tratta degli articoli 35 e 36, che, presentati come emendamenti, suppongo direttamente dal relatore in 14a Commissione, non hanno consentito il minimo esame in Commissione di merito.

Ritengo che l'8a Commissione non sia stata l'unica ad aver subito passivamente l'utilizzo, mi sia consentito, opportunistico della procedura che ho descritto e temo che, in occasione della legge comunitaria, non sia stata neppure la prima volta, lo dico molto francamente. Tuttavia credo che questo non ci debba indurre a non modificare nel modo più opportuno questa prassi consolidata che, a mio avviso, è assolutamente infelice e inopportuna. Mi sento allora di sollecitare la Presidenza al fine di raccomandare al Governo un uso più equilibrato della facoltà emendativa. Mi risulta infatti che, nella giornata di ieri, si sono aggiunti altri due rilevanti emendamenti del Governo riguardanti il tema delle infrastrutture di trasporto (nello specifico i corridoi TEN, tema certo non banale), e altri sembrano doversi aggiungere nella giornata di oggi (spero di no).

In ultimo, vengo davvero al merito degli articoli che ho indicato e segnalo le contraddizioni in essi contenute, ovviamente a mio avviso.

L'articolo 35 riguarda alcune norme inerenti ai requisiti di accesso per gli autotrasportatori. Senza entrare nel merito, mi limito ad osservare e a constatare che tale norma è già nella già nella sostanza contenuta nel disegno di legge n. 1720, riguardante la sicurezza stradale, che l'8a Commissione sta peraltro esaminando da diversi mesi. Ad essere benevoli mi viene da dire che non se ne comprende davvero la ratio.

L'articolo 36 contiene, invece, una norma inerente agli adeguamenti delle tariffe aeroportuali, provvedimento - è bene essere chiari - in sé giusto, visto il lungo tempo da cui non sono state più adeguate e che le configura tra le più basse a livello comunitario, fattore che ha certamente concorso anche alla mancanza di investimenti che si è registrata in questi anni negli scali aeroportuali. Il punto, però, che mi permetto di attenzionare all'Aula e alla Presidenza, anche a futura memoria, dato che questi non saranno temi che lasceremo di certo cadere, concerne la finalizzazione dei proventi derivanti dall'incremento tariffario dei diritti aeroportuali.

In conclusione, pongo alcune questioni.

È mai possibile che, a fronte di una destinazione così aleatoria degli investimenti da realizzare, siano solo e soltanto le risorse provenienti dalle tariffe o dalla fiscalità generale a costituire il capitale di rischio per l'impresa, sia essa pubblica o privata, e non anche l'apporto di capitali privati delle stesse società di gestione degli scali aeroportuali?

È mai possibile che quando si richiede il ruolo di un'agenzia, di un'authority autonoma e indipendente si pensi ormai, nei fatti, ad agenzie governative il cui ruolo di autonomia e indipendenza, come purtroppo anche nel caso dell'ENAC, se non compromesso con la vicenda degli slot di Alitalia - e non solo - è di fatto decisamente indebolito?

Noi riteniamo che la delega richiesta ed ottenuta nei fatti dal Governo in materia non possa non indurre nella Commissione competente la richiesta di un approfondimento di merito sull'ENAC, sul suo funzionamento, sul suo organico, sulla sua adeguatezza e, in particolare, sul suo nuovo regolamento - lo dico in maniera netta - per verificarne l'effettiva rispondenza ai criteri di autonomia e di indipendenza che sono prerogativa essenziale per ogni autorità di vigilanza che si rispetti.

Mi permetto infine di segnalare che sulla questione dei diritti aeroportuali forse sarebbe stato più opportuno definire il piano degli aeroporti, commissionato da tempo dai soggetti deputati quali Governo ed ENAC, ma le cui risultanze sono, al di là degli annunci, ancora lettera morta.

Il nuovo codice della navigazione ha riordinato il sistema di aviazione civile indicandone in ENAC l'autorità unica di regolazione e controllo. Non ha però risolto la questione relativa al ruolo e agli effettivi poteri dell'ENAC. Infatti, per esercitare i poteri di autorità di regolazione e controllo occorrono risorse (in particolare umane) di alta professionalità. Attualmente l'ENAC è soggetto ai meccanismi di blocco delle assunzioni a causa dell'ordinamento giuridico di appartenenza (ente pubblico non economico). Ciò comporta che, da un lato, l'ENAC viene chiamato a svolgere complesse istruttorie sul sistema tariffario aeroportuale e, dall'altro, si deve avvalere di limitatissime professionalità con esperienza nel settore della regolazione economica pressoché nulla. Inoltre, non può ricorrere ad advisor esterni a causa dei vincoli di spesa determinati dalle varie leggi finanziarie.

L'attribuzione all'ENAC del ruolo di autorità di vigilanza in materia tariffaria aeroportuale, così come previsto dalla direttiva comunitaria, lo ripeto, è condivisibile dal punto di vista del principio di ricondurre ad un unico soggetto tutte le competenze in materia di presidio dell'aviazione civile, ma è in palese contrasto con la debolezza strutturale che caratterizza purtroppo l'ente. (Applausi dal Gruppo PD. Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Pedica. Ne ha facoltà.

PEDICA (IdV). Signora Presidente, colleghi, rappresentanti del Governo, la legge comunitaria per il 2009 appare a mio giudizio come una legge in tono minore. Nonostante l'ottimo lavoro della Commissione politiche europee, rimane un pregiudizio fondamentale al provvedimento che ci è stato consegnato dall'Esecutivo: il Governo non ha ancora capito che l'Unione europea, con le sue leggi e le sue istituzioni, non è un fardello che l'Italia deve sopportare, ma una risorsa fondamentale senza la quale il peso internazionale dell'Italia sarebbe inesorabilmente sceso nel contesto mondiale. Una risorsa in termini di legislazione, di finanziamenti economici, che arrivano in Italia con i fondi strutturali, e di apporto culturale dato alla nostra politica.

Ma soprattutto l'Europa è un impegno. Un impegno che il popolo italiano ha preso nel 1957, con il Trattato di Roma, quando ha accettato di aderire a valori e principi comunitari, limitando la propria sovranità ex articolo 11 della Costituzione.

Cari colleghi, tale impegno prevede che gli Esecutivi nazionali adeguino i propri ordinamenti in tutte quelle materie sulle quali l'Unione europea emette norme derivate vincolanti, regolamenti o direttive che siano, per non parlare dei Trattati istitutivi. Non vi è spazio per la discrezionalità e nemmeno per la furbizia. Non si può, cioè, scegliere quali direttive recepire e quali far scadere, e non si può neppure, nel recepimento delle direttive, far finta di adottarne alcune parti e poi tradirne lo spirito di fondo, mantenendo norme italiane correlate con disposizioni in totale difformità.

Purtroppo questo Esecutivo ha la brutta abitudine di mettere in pratica entrambi i vizi originali. Ed il Parlamento, nonostante abbia apprezzato davvero sinceramente il tentativo della 14aCommissione e della presidente Boldi di ovviare ad alcune mancanze e di correggere altre storture, non può cambiare l'impostazione di fondo che caratterizza la legge comunitaria licenziata dal Governo.

Sull'impianto generale, per ciò che attiene il lavoro della mia Commissione, è da rilevare positivamente il rafforzamento del ruolo del Parlamento nazionale nel processo normativo dell'Unione europea, che è previsto agli articoli 7 e 9 della legge comunitaria. Così come è da apprezzarsi il coinvolgimento del Parlamento nella predisposizione dei programmi nazionali di riforma per l'attuazione in Italia della Strategia di Lisbona per la crescita e l'occupazione, nonché delle relazioni annuali di attuazione. Anche se, cari colleghi, si deve rilevare che, benché venga previsto l'obbligo di informativa del Governo al Parlamento in merito alle procedure giurisdizionali e di precontenzioso riguardanti l'Italia, mettendo a disposizione del Parlamento i relativi documenti, questi vengono limitati solo «ai più significativi», solo ad alcune materie (escludendo lavoro ed ambiente, ad esempio), e viene imposto ai parlamentari l'obbligo della segretezza. A noi dell'Italia dei Valori tali limitazioni appaiono come incompatibili con il ruolo del parlamentare, che è quello di rappresentante dei cittadini, e quindi tenuto all'informazione nei loro confronti.

Passando all'analisi dei contenuti del provvedimento, di grande significato è stato, sempre per ciò che attiene al lavoro della Commissione, aver recepito la cosiddetta direttiva sanzioni, che impone sanzioni ai datori di lavoro non regolare. I recenti fatti di cronaca - mi riferisco alla bruttissima pagina di Rosarno - hanno mostrato come il fenomeno dell'immigrazione irregolare sia sfruttato dalla criminalità organizzata per avere forza lavoro senza diritti e senza identità. Inserire norme che puniscono questo sfruttamento e che obbligano i datori di lavoro a corrispondere all'immigrato il trattamento economico previsto anche qualora decada il rapporto di lavoro potrà essere uno strumento fondamentale sia per far emergere il lavoro nero che per colpire le cosche che se ne avvalgono.

Ritengo rilevante, inoltre, avere previsto una normativa sul trattamento dei rifiuti, poiché la materia è sempre più oggetto di speculazioni e anche di traffici illeciti (vedi il fenomeno delle ecomafie).

E pur tuttavia, come dicevo in apertura del mio discorso, colleghi, rimangono nel testo criticità davvero forti e inqualificabili assenze di direttive.

In generale, si potrebbe dire che il Governo appare più solerte a recepire quelle direttive che prorogano i termini entro i quali far entrare in vigore le disposizioni europee piuttosto che le direttive vere e proprie, di merito. Mi riferisco, ad esempio, all'articolo 11, che pospone dal 2008 al 2012 i termini per adottare norme importanti come quella sulle prescrizioni minime di sicurezza e salute dei lavoratori esposti ai rischi derivanti dai campi elettromagnetici.

L'Italia dei Valori è fermamente convinta che, per ciò che riguarda la tutela della salute dei lavoratori, non ci possano essere indugi o ritardi, anche in considerazione del già altissimo livello di morti sul lavoro e della fortissima incidenza di patologie legate all'usura o alla mancanza di cautele e precauzioni sul luogo di lavoro. Lo Stato dovrebbe avere fra le sue missioni fondamentali la tutela dei lavoratori esposti ai rischi e ai pericoli, e dovrebbe pertanto adottare un principio di

precauzione. Ripetere gli errori fatti nel passato - penso, ad esempio, all'amianto - e disattendere il principio della cautela rispetto agli effetti dei campi elettromagnetici sarebbe un errore imperdonabile. Ed invece l'Esecutivo, appena se ne offre la possibilità, si avvale, purtroppo e sempre, delle proroghe.

Insomma, la ratio del Governo è di prendere più tempo possibile per adeguare il sistema italiano a quello europeo laddove la politica comunitaria non sia perfettamente corrispondente a quella della maggioranza.

Cari colleghi, sinceramente, non sono le disposizioni sui prodotti vinicoli o caseari o sulla combustione delle deiezioni dei volatili che mi preoccupano, anche se queste certamente sortiscono effetti economici ed ambientali che debbono essere valutati attentamente nel rispetto degli operatori economici del settore e dei cittadini che hanno diritto ad un ambiente salubre. Il problema diventa più rilevante in settori che sono stati spesso strumentalizzati dall'Esecutivo e che anche in questo caso continuano ad essere oggetto di speculazione: mi riferisco alla politica dell'immigrazione, a quella del lavoro e a quella sulla fiscalità, che sono parole sconosciute, a volte, ascoltando i commenti della maggioranza.

Su questi punti di forte interesse nazionale le criticità ci sono, e sono rilevanti. Mi preme innanzitutto sottolineare come anche in questa legge comunitaria ci sia un grande assente: la direttiva rimpatri, ossia la direttiva n. 115 del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare. Di questa direttiva soltanto alcune disposizioni sono state recepite dal nostro Governo, attraverso norme come quelle del pacchetto sicurezza che vi si sono ispirate. Queste disposizioni sono tuttavia soltanto quelle che, fra molte presenti nella direttiva, permettevano alla componente xenofoba della maggioranza di portare avanti le demagogiche promesse fatte al suo elettorato. La direttiva n. 115 conteneva infatti anche disposizioni di salvaguardia dei diritti dei migranti, di tutela del trattamento che essi ricevono e di garanzia del loro diritto alla salute e all'asilo, che sono state - immagino volontariamente, e lo sottolineo - ignorate. Il risultato di questa omissione, associata ai respingimenti selvaggi che (anche il cardinal Bagnasco ieri è tornato a criticare) e alla legge Bossi-Fini, è stato quello di criminalizzare l'immigrazione, emarginandola e facendola finire nel mercato del lavoro nero e, forse, nella devianza, come Rosarno purtroppo ha dimostrato.

Altro aspetto problematico è quello relativo ai mezzi di pagamento diversi dai contanti. All'articolo 49 si delega il Governo a recepire la decisione quadro n. 413 del 2001. Orbene, io ed il partito dell'Italia dei Valori siamo certamente favorevoli al fatto che si introducano controlli e sanzioni su chi falsifica tali mezzi di pagamento elettronici o informatici, ma cosa dovremmo dire dei mezzi più ordinari, quelli in contanti, il cui controllo invece è stato abbassato eliminando i tetti massimi che aveva introdotto il ministro Padoa-Schioppa e tutti gli adempimenti legati alla titolarità dei pagamenti? Forse recepire la decisione quadro potrebbe essere un buono spunto per il Governo per ripristinare i controlli anche sui pagamenti in contanti, ma dubito che nell'ormai conclamata politica del Governo di deregolamentazione dei capitali e di istigazione all'illecito finanziario e fiscale (vedi lo scudo fiscale) si proceda in tale senso.

Rilevanti elementi di difformità emergono tra il contenuto della direttiva n. 104 del 2008 e la normativa italiana attualmente vigente, soprattutto in materia di nullità delle clausole dirette a limitare, anche indirettamente, la facoltà dell'utilizzatore di assumere il lavoratore al termine del contratto di somministrazione, nonché in materia di rappresentanza dei lavoratori circa la salute e la sicurezza sul lavoro nell'ambito dell'esecuzione dei contratti di somministrazione. Non potrebbe essere, la direttiva in questione, un buono spunto per procedere ad una riforma del settore e per dare maggiori garanzie a questo mondo sommerso di lavoro senza diritti?

Cari colleghi, nonostante i rilievi critici che come opposizione attenta e vigile non potevo non porre, ho grande fiducia nel Parlamento, e una convergenza di intenti virtuosa si è già verificata alla Camera, dove molti degli emendamenti dell'Italia dei Valori sono stati accolti, riuscendo ad inserire parte del cosiddetto pacchetto clima nella legge comunitaria. Auspico che lo stesso possa avvenire qua, riuscendo a far sì che si giunga ad una norma che permetta al nostro ordinamento di essere conforme a quello comunitario e non ancora più lontano. (Applausi dal Gruppo IdV e della senatrice Biondelli).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Pittoni. Ne ha facoltà.

PITTONI (LNP). Signora Presidente, rappresentanti del Governo, colleghi senatori, i lavoratori di molte fabbriche denunciano da tempo il trasferimento delle lavorazioni all'estero, specie in Cina, pratica che si sta rivelando devastante per l'economia del territorio.

Al riguardo, c'è ora un primo importante provvedimento, di cui primo firmatario è l'onorevole Reguzzoni, approvato quasi all'unanimità (543 favorevoli e 2 astenuti) alla Camera dei deputati, che introduce l'etichettatura obbligatoria sui prodotti tessili, dell'abbigliamento, dell'arredo casa, delle calzature e della pelletteria. Adesso il disegno di legge è passato all'esame del Senato e le premesse per un risultato positivo sono più che buone.

Per la prima volta si stabilisce che nell'etichetta l'impresa produttrice deve fornire in modo chiaro e sintetico informazioni specifiche sulla conformità dei processi di lavorazione alle norme vigenti in materia di lavoro, sulla certificazione di igiene e di sicurezza dei prodotti, sull'esclusione dell'impiego di minori nella produzione, sul rispetto della normativa europea e sul rispetto degli accordi internazionali in materia ambientale.

Della denominazione «made in Italy» potranno fregiarsi solo prodotti realizzati per almeno due delle fasi di lavorazione sul nostro territorio, mentre per le rimanenti dovrà essere verificabile la tracciabilità.

A livello nazionale, i settori interessati a questa legge danno lavoro a circa un milione di persone, ma l'iniziativa è destinata a coinvolgere progressivamente buona parte della produzione nazionale.

Basta prodotti di bassa qualità e di dubbia provenienza spacciati come prodotti tipici del nostro Paese! Se noi, rappresentanti della Lega Nord, ne parliamo oggi, in occasione della discussione sulle disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dalla nostra appartenenza alla Comunità europea, è per fare appello a un voto bipartisan, quando sarà il momento, come alla Camera, per presentarci con la massima forza quando sulla questione ci sarà da affrontare l'Europa. La circolazione delle merci è infatti sottoposta alla sovranità comunitaria. E questo è uno dei casi in cui c'è da prendere esempio da Paesi come la Francia, la Germania e la Gran Bretagna, che hanno più volte dimostrato di saper difendere i propri interessi. (Applausi dal Gruppo LNP).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la senatrice Adamo. Ne ha facoltà.

ADAMO (PD). Signora Presidente, come è stato detto dallo stesso relatore, mentre si rafforzano le strutture comunitarie che seguono il progredire del percorso tracciato a Lisbona (che è un progredire lento e non secondo il disegno di qualche anno fa, ma è comunque pur sempre il progredire di questo disegno), noi ci presentiamo a questo appuntamento con un anno di ritardo.

Sempre il relatore diceva che questo quadro, così positivo e del quale citava alcuni elementi, nobilita in qualche modo il carattere routinario dell'esame della legge comunitaria. Mi permetto di dissentire dal giudizio del relatore, perché proprio il quadro di cui egli ha richiamato gli elementi rende inaccettabile il metodo seguito dal Governo (non mi riferisco solo al signor Ministro, ancorché non mi stia ascoltando, ma al Governo nel suo insieme) e, soprattutto,dalla maggioranza.

Infatti, come ha già ricordato il senatore D'Alia nell'illustrare la questione pregiudiziale, noi siamo chiamati, sempre di più come Parlamento, a esercitare un ruolo molto più incisivo nel processo di formazione delle decisioni per garantire una base democratica vera e, quindi, un'autorevolezza politica diversa al funzionamento delle istituzioni dell'Unione europea, attraverso la capacità di dare indirizzi al nostro Governo sulle politiche comunitarie, e a contribuire, settore per settore, alla cosiddetta fase ascendente, cioè alla determinazione delle linee che poi permettono la decisione finale.

Come dicevo, in questo quadro è ancora più scandaloso, e non certo consolatorio, il fatto che, in primo luogo, ci presentiamo con un anno di ritardo: come la nottola di Minerva, noi spicchiamo il volo al tramonto, quando è già finito tutto, sono già state assunte le decisioni e modificate le direttive. Noi esaminiamo la legge comunitaria praticamente celebrandone l'anniversario. In secondo luogo, ancora manteniamo congiunto l'esame della Relazione e della legge comunitaria e lo facciamo anche in violazione - mi permetto di ricordarlo - di quanto deciso da questa Assemblea all'unanimità, invitando a separare i due momenti per cogliere il senso della specificità dell'atto e la reciproca relazione.

Tutti diciamo che la legge comunitaria deve essere superata. Tuttavia, nell'attesa di questo cambiamento, che arriverà attraverso i nuovi regolamenti su cui sta studiando la Presidenza, possiamo anche modificare nel concreto, nell'azione quotidiana, il nostro operare in modo da cominciare a costruire lo spirito di questa modifica che sicuramente ci chiederà un lavoro più lungo. Ebbene, non credo che questo ritardo di un anno vi sia stato per un destino cinico e baro.

A me dispiace che sia la collega Mauro a presiedere la seduta, e non perché non mi faccia piacere vedere dirigere i lavori dell'Aula da una donna, ma perché sono ancora in attesa di una risposta da parte del presidente Schifani, che credo lei non sia in grado di darmi, neanche in questa sede, sul motivo per il quale la Presidenza del Senato ha deciso di assegnare alla nostra Assemblea e alle nostre Commissioni prima il decreto-legge n. 135 del 25 settembre 2009 (Disposizioni urgenti per l'attuazione di obblighi comunitari e per l'esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee) e, poi, questo provvedimento. Nonostante fosse arrivato dalla Camera prima del decreto - anche se, per carità, con un ritardo di mesi sulla legge Buttiglione - il disegno di legge n. 1781 è stato trattenuto ed è stato assegnato dopo. La legge comunitaria è stata tenuta in Presidenza, non so, probabilmente per un attento esame, mentre procedeva l'iter dell'altro provvedimento. Questo, oltretutto, ci è costato del lavoro in più, con doppioni e sovrapposizioni, per questioni di pulizia di testo, ed è servito - da strumento legislativo non parlamentare, ma, come decreto - per introdurre, per esempio, un pezzo di riforma dei servizi pubblici locali (materia che non presentava alcun problema nei rapporti con l'Unione europea), norme sull'Expo e di altro genere. È un dibattito che ci ha tenuto qui e ci ha appassionato per diverse sedute. Adesso, dopo che abbiamo fatto quella forzatura sulla modifica della norma che riguarda i servizi pubblici locali, abbiamo in Commissione la direttiva su tali servizi.

Stiamo trasferendo dal diritto italiano a quello comunitario quello che il collega Marco Filippi diceva molto bene prima, cioè lo smarrimento della tracciabilità del processo normativo e legislativo. Tradotto in parole molto semplici, ciò vuol dire che anche nel diritto comunitario i cittadini non sanno più qual è la norma in vigore, quali sono i loro diritti, quali sono i loro benefici e a quali eventuali multe o altre sanzioni ancora più pesanti vanno incontro in caso di eventuali violazioni. Non lo sa il singolo cittadino, non lo sanno le categorie produttive.

Non basta l'importante provvedimento sull'etichettatura dei prodotti, di cui parlava prima il collega Pittoni, per dire che abbiamo fatto una buona legge comunitaria, se poi da 12 articoli passiamo a 53 e tutte le volte creiamo questa specie di nebbia, per cui al cittadino che domanda quali diritti ha e che cosa va incontro la risposta da parte nostra ormai è: che giorno è? A seconda del giorno in questo Paese hai dei diritti e dei doveri. Da domani non si sa. (Applausi dal Gruppo PD).

PRESIDENTE. Senatrice Adamo, desidero informarla che la Presidenza non c'entra molto, dal momento che il provvedimento è stato trasmesso in data 23 settembre e assegnato alla 14ª Commissione il giorno successivo. Subito dopo è iniziata la sessione di bilancio, e chiaramente la Commissione non ha potuto esaminare il disegno di legge. Ecco perché ha esaminato prima il decreto-legge.

ADAMO (PD). A settembre e ottobre si è esaminato il decreto-legge per una scelta politica!

PRESIDENTE. La Commissione non poteva esaminarlo in sessione di bilancio. (Commenti della senatrice Adamo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Possa. Ne ha facoltà.

POSSA (PdL). Signora Presidente, signori rappresentanti del Governo, Ministro, colleghe e colleghi, l'esame della legge comunitaria 2009 è anche un occasione per una valutazione della politica europea, in particolare di alcuni suoi recenti sviluppi che suscitano - almeno in me - una viva preoccupazione.

Quest'anno la legge comunitaria 2009 prevede delega al Governo per l'attuazione di 31 direttive dell'Unione europea, 7 nell'Allegato A e 24 nell'Allegato B. È più o meno lo stesso numero di direttive da recepire degli anni scorsi, ma devo osservare che man mano che passano gli anni, le direttive dell'Unione europea sono a maglia sempre più stretta. Anzi, alcune direttive emanate nel 2009 sono ormai leggi molto dettagliate. Mi riferisco, ad esempio, alla direttiva 2009/28/CE, emanata il 23 aprile del 2009, sulla promozione delle energie rinnovabili, che è in sostanza una minuziosa legge in cui i Governi sono trattati come uffici periferici alle dipendenze dell'Unione europea.

Non si tratta di un esempio isolato. Il problema è l'atteggiamento radicale assunto dall'Unione europea sulla questione del riscaldamento globale. Come ricordiamo, la svolta della politica europea su questa questione è stata decisa nel Consiglio di primavera dell'8 e 9 marzo del 2007, in cui i Capi di Governo dei 27 Paesi dell'Unione hanno approvato gli ormai famosi obiettivi vincolanti "20-20-20" da conseguire entro il 2020. Aver fissato in termini vincolanti obiettivi molto difficili da conseguire sta inevitabilmente determinando autoritarismo centralistico, tecnocrazia, appesantimento burocratico.

Alcuni esempi di questa frenetica e farraginosa attività legislativa e regolamentare europea sulla questione del riscaldamento globale sono il dirigistico ed autoritario regolamento della Commissione n. 244/09 sulla progettazione e produzione delle lampadine per uso domestico, emanato il 18 marzo 2009 (che, tra l'altro, ha messo fuori produzione dal 1° settembre 2009 tutte le lampadine ad opalescenza, prive ancora di decenti sostituti a basso consumo; e ne vedremo delle belle anche qui al Senato); il duro regolamento n. 443/2009 che definisce il livello di prestazione in materia di emissione delle autovetture (vedremo anche in questo caso i problemi causati da questo duro regolamento quando entrerà in funzione); il dettagliato piano di lavoro 2009/2011 sulla progettazione e produzione ecocompatibile (documento COM (2008) 660 del 21 ottobre 2008), che prevede la severa regolamentazione di varie decine di gruppi di prodotti; il dettagliatissimo modulo per i piani di azione nazionali per le energie rinnovabili, di cui alla decisione cogente C (2009) 5174 del 30 giugno 2009, una incredibile espressione di dirigismo centralistico. Da leggere!

Segnalo al riguardo che i regolamenti della Commissione europea sui prodotti che comportano il consumo di energia e che la Commissione europea, al di là del funzionamento autonomo del mercato, si è proposta di rendere ecocompatibili sono decisi dalla Commissione europea senza alcun controllo, né da parte del Parlamento europeo né da parte dei Consigli dei Ministri competenti, sulla base di una semplice delega in bianco contenuta all'articolo 16 della direttiva 2005/32/CE.

Devo altresì osservare che, mentre la struttura bipolare dei sistemi politici nazionali rende possibili importanti modificazioni o anche radicali cambiamenti delle leggi nazionali, consentendo sempre l'espressione della sovranità popolare, le direttive europee invece sono sostanzialmente immodificabili da parte dei cittadini. In qualche modo, la struttura non bipolare dell'Unione europea e della Commissione europea costituisce un grosso freno alla dialettica e al confronto ideologico e tende ad impedire la piena espressione politica dei cittadini. Il problema, già grave adesso, sarà sempre più grave in futuro, quanto più l'Unione europea assumerà obiettivi vincolanti ed impegnativi. Il conseguimento di tali obiettivi comporta inevitabilmente autoritarismo e centralismo burocratico. È in sostanza una lesione alla democrazia.

Vorrei fare ora una seconda serie di osservazioni. In innumerevoli documenti, la Commissione europea e l'Unione europea hanno mostrato di credere senza il minimo dubbio alla linea di pensiero espressa nei documenti periodici dell'IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) dell'ONU, l'ultimo dei quali è del 2007. In tali documenti, non solamente si ritiene che la causa principale del riscaldamento globale in atto (peraltro finora modesto, limitato com'è a pochi decimi di grado) sia dovuta all'anidride carbonica emessa nell'atmosfera a seguito della combustione dei combustibili fossili, ma si è anche dato credito a catastrofiche previsioni di sviluppo del riscaldamento globale relative a questo secolo (previsioni fatte dall'IPCC e anche espresse in documenti veramente poco scientifici di appoggio, come il Rapporto Stern) e si è infine ritenuto poco efficace l'adattamento delle popolazioni agli eventuali futuri riscaldamenti.

Va invece sottolineato con vigore, signor Ministro, che la base scientifica dell'attribuzione del riscaldamento in atto ai gas serra antropogenici è ancora a tutt'oggi piuttosto debole, che i codici di calcolo utilizzati per le previsioni dei futuri sviluppi del riscaldamento non sono affatto sufficientemente affidabili e che le capacità di adattamento dell'uomo ai cambiamenti climatici si sono storicamente sempre dimostrate straordinarie. In sostanza, nella questione estremamente complessa del riscaldamento globale, l'atteggiamento della Commissione europea e dell'Unione europea è stato incredibilmente dogmatico.

Per inciso, la mozione approvata in quest'Aula il 1° aprile 2009, in cui veniva rivolto un invito al Governo perché sottolineasse a Bruxelles l'importanza di un molto maggiore affidamento su questa questione alle risultanze della scienza, quella vera, non quella resa succube della politica, non ha avuto alcun seguito. Anzi, continuano ad essere approvati (anche recentemente a Copenaghen) slogan propagandistici di basso livello, come quello dell'obiettivo del massimo incremento tollerabile della temperatura media dell'atmosfera terrestre al suolo di due gradi (incremento da misurarsi a partire dai valori di temperatura dei lontani tempi dell'inizio della rivoluzione industriale).

Nessuno si preoccupa del fatto che la misura della temperatura media dell'atmosfera terrestre al suolo è assai difficile. Nessun istituto italiano è in grado di effettuare questa misura relativa ad oggi, figurarsi se relativa agli anni passati. In Europa, vi è un solo istituto che dice di essere in grado di effettuare queste misure, ma un recente grave scandalo che lo ha toccato solleva dubbi circa la correttezza di tali misure.

Nessuno poi ci dice quale rapporto ci sia tra la concentrazione di gas serra antropogenici nell'atmosfera e il valore della temperatura media dell'atmosfera terrestre al suolo. A ben vedere, questo sbandierato obiettivo dei due gradi centigradi è di difficilissima e questionabile misura e non chiaramente legato ai nostri comportamenti.

In sostanza, l'Unione europea guidata da Gordon Brown e Angela Merkel giustifica il perseguimento del valido fine di una maggiore sostenibilità energetica della nostra civiltà tecnologica con i mezzi non corretti della forzatura scientifica, del dogmatismo, della tecnocrazia centralistica, del dirigismo burocratico. Ma, anche in questo caso, il fine non giustifica i mezzi.

Questa politica europea, apparentemente così illuminata, sta esponendo l'Unione europea a cospicui pericoli. Ne vedo innanzitutto uno nell'ovvio contenzioso con i Paesi in via di sviluppo, ma ce n'è un altro: è il collasso motivazionale di fiducia nell'Unione europea, se questa si appoggia a basi assolutamente poco credibili. (Applausi dal Gruppo PdL. Congratulazioni).

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la discussione generale congiunta.

Apprezzate le circostanze, rinvio il seguito della discussione del disegno di legge e del documento in titolo ad altra seduta.

Per lo svolgimento di interrogazioni

LANNUTTI (IdV). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LANNUTTI (IdV). Signora Presidente, colleghi, chiedo ancora una volta che il Governo risponda a numerose interrogazioni parlamentari, presentate nelle sedute nn. 78, 241, 259, 293, 307, 314 e 319, sul ruolo delle autorità vigilanti, in particolar modo della CONSOB, che invece di prevenire truffe e frodi finanziarie e industriali a danno dei risparmiatori e lavoratori va a braccetto con i banchieri e gli imprenditori senza adempiere al proprio mandato di terzietà.

Le interrogazioni riguardano il crac Freedomland, dove la CONSOB è stata condannata dal tribunale e addirittura ritenuta responsabile della falsità del prospetto, per non aver esercitato la doverosa diligenza: un crac che riguardò qualcosa come 20.000 risparmiatori. Ma se andiamo ai tempi più recenti, di crac ve ne sono uno al giorno. Mi riferisco alla vicenda di Mariella Burani, che vede coinvolti dei lavoratori e delle banche, che dovrebbero impedire il fallimento e ilcrac di quell'azienda: anche in questo caso non c'è stata vigilanza. Mi riferisco ai lavoratori di Eutelia: decine di migliaia di lavoratori sono in mezzo a una strada, e non ricevono il loro stipendio. Mi consenta, signora Presidente, di concludere citando questa vicenda, che ricordiamo tutti: invece di controllare che l'azienda non venisse spogliata, addirittura sono stati distratti dei fondi e messi in un trust inglese, in uno scantinato della periferia londinese. Questa CONSOB non fa nulla. Sollecito quindi il Governo, perché ci sono anche altre vicende molto più recenti (pensiamo ad OmniaNetwork: anche in questo caso, analogo a quello di Eutelia, si tratta di migliaia di lavoratori). Sono tutte aziende quotate in Borsa. E cosa fanno questi signori della CONSOB se non esercitano il loro dovere?

Chiudo, signora Presidente, citando un articolo di due pagine di Adriano Buonafede sul supplemento «Affari & Finanza» del quotidiano «la Repubblica»: è un articolo istruttivo da cui emerge la responsabilità di questi signori, di questo Lamberto Cardia (il cui figlio, lo ricordo ancora una volta, è a libro paga delle aziende controllate) e degli altri commissari che non fanno nulla. È una cosa scandalosa.

Signora Presidente, la prego di sollecitare il Governo. Abbiamo il diritto di ricevere risposte, e non tanto noi, ma quei risparmiatori truffati, quei lavoratori che sono stati messi sul lastrico, in mezzo a una strada. Questi signori, che prendono stipendi e prebende molto elevati, devono cominciare a rispondere e a pagare. (Applausi del senatore Pedica).

PRESIDENTE. Senatore Lannutti, la Presidenza si farà carico di sollecitare la risposta alle sue interrogazioni.

Interrogazioni, annunzio

PRESIDENTE. Comunico che sono pervenute alla Presidenza interrogazioni, pubblicate nell'allegato B al Resoconto della seduta odierna.

Ricordo che il Senato tornerà a riunirsi in seduta pubblica oggi, alle ore 16,30, con lo stesso ordine del giorno.

La seduta è tolta (ore 12,54).

Allegato A

DISEGNO DI LEGGE

Disposizioni per garantire l'accesso alle cure palliative e alle terapie del dolore (1771)

(V. nuovo titolo)

Disposizioni per garantire l'accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore (1771)

(Nuovo titolo)

PROPOSTA DI COORDINAMENTO

C1

Il Relatore

1) L'emendamento 10.0.200, dispone come segue: "al comma 1, dopo la lettera a) inserire la seguente:

a-bis) Nel Titolo II, dopo l'articolo 25, è inserito il seguente:

"Art. 25-bis

(Distruzione delle sostanze e delle composizioni in possesso dei soggetti di cui all'articolo 17 e delle farmacie)

        1. Le sostanze e le composizioni scadute o deteriorate non utilizzabili farmacologicamente, limitatamente a quelle soggette all'obbligo di registrazione, in possesso dei soggetti autorizzati ai sensi dell'articolo 17 sono distrutte previa autorizzazione del Ministero della salute.

        2. La distruzione delle sostanze e composizioni di cui al comma 1 in possesso delle farmacie è effettuata dall'azienda sanitaria locale (ASL) ovvero da un'azienda autorizzata allo smaltimento dei rifiuti sanitari. Delle operazioni di distruzione di cui al presente comma è redatto apposito verbale e nel caso in cui la distruzione avvenga per il tramite di un'azienda autorizzata allo smaltimento dei rifiuti sanitari, il farmacista trasmette all'ASL il relativo verbale. Gli oneri di trasporto, distruzione e gli altri eventuali oneri connessi sono a carico delle farmacie richiedenti la distruzione.

        3. Le forze di polizia assicurano, nell'ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente, adeguata assistenza alle operazioni di distruzione di cui al presente articolo";

        2) L'emendamento 10.0.201, dispone come segue:" al comma 1, dopo la lettera a) è inserita la seguente:

a-bis) all'articolo 38 del testo unico il primo e il secondo periodo del comma 1 sono sostituiti dal seguente: "La vendita o cessione, a qualsiasi titolo, anche gratuito, delle sostanze e dei medicinali comprese nelle tabelle I e II, sezioni A, B e C, di cui all'articolo 14 è fatta alle persone autorizzate ai sensi del presente testo unico in base a richiesta scritta da staccarsi da apposito bollettario "buoni acquisto" conforme al modello predisposto dal Ministero della salute";

        3) L'emendamento 10.0.202, dispone come segue:" al comma 1, dopo la lettera a) è inserita la seguente:

a-bis) all'articolo 41, comma 1-bis, le parole: "di pazienti affetti da dolore severo in corso di patologia neoplastica o degenerativa" sono sostituite dalle seguenti: "di malati che hanno accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore secondo le vigenti disposizioni";

e, inoltre, dopo la lettera b), è inserita la seguente:

b-bis) all'articolo 43, commi 7 e 8, le parole:" di pazienti affetti da dolore severo in corso di patologia neoplastica o degenerativa" sono sostituite dalle seguenti: "di malati che hanno accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore secondo le vigenti disposizioni";

        4) Gli emendamenti 10.0.207 (testo corretto), 10.0.208 (testo corretto), 10.0.209 (testo corretto) rispettivamente dispongono come segue: "dopo la lettera d), è inserita la seguente:

d-bis) all'articolo 60 sono apportate le seguenti modificazioni:

        1) al comma 1, sono aggiunti, infine, i seguenti periodi: "Lo stesso termine é ridotto a due anni per le farmacie aperte al pubblico e per le farmacie ospedaliere.

I direttori sanitari e i titolari di gabinetto di cui all'articolo 42, comma 1, conservano il registro di cui al presente comma per due anni dal giorno dell'ultima registrazione";

        2) il comma 2 è sostituito dal seguente:" I responsabili delle farmacie aperte al pubblico e delle farmacie

ospedaliere nonché delle aziende autorizzate al commercio all'ingrosso, riportano sul registro il movimento dei medicinali di cui alla tabella II, sezioni A, B e C, secondo le modalità indicate al comma 1 e nel termine di 48 ore dalla dispensazione";

        3) al comma 4, dopo le parole "Ministero della salute", sono aggiunte le seguenti:" e possono essere composti da un numero di pagine adeguato alla quantità di stupefacenti normalmente detenuti e movimentati";

        5) L'emendamento 10.0.210 (testo corretto) dispone come segue:" dopo la lettera d), è inserita la seguente:

d-bis) all'articolo 62, comma 1, le parole: "sezioni A e C," sono sostituite dalle seguenti: "sezioni A, B e C,";

        6) L'emendamento 10.0.211 (testo corretto) dispone come segue:" dopo la lettera d), è inserita la seguente:

d-bis) all'articolo 63 sono apportate le seguenti modificazioni:

                1) al comma l è aggiunto, in fine, il seguente periodo: "Tale registro è conservato per dieci anni a far data dall'ultima registrazione.";

                2) il comma 2 è abrogato;

        7) L'emendamento 10.0.212 (testo corretto) dispone come segue:" dopo la lettera d), è inserita la seguente:

d-bis) all'articolo 64, comma 1, le parole: "previsto dagli articoli 42, 46 e 47" sono sostituite dalle seguenti: "previsto dagli articoli 46 e 47";

        8) L'emendamento 10.0.213 (testo corretto) dispone come segue:" dopo la lettera d), è inserita la seguente:

        d-bis) all'articolo 68, dopo il comma 1, è aggiunto il seguente:

                «1-bis. Qualora le irregolarità riscontrate siano relative a violazioni della normativa regolamentare sulla tenuta dei registri di cui al comma 1, si applica la sanzione amministrativa del pagamento della somma da euro 500 a euro 1.500»".

DISEGNI DI LEGGE DICHIARATI ASSORBITI A SEGUITO DELL'APPROVAZIONE DEL DISEGNO DI LEGGE N. 1771

Disposizioni in materia di cure palliative domiciliari integrate per pazienti terminali affetti da cancro (66)

ARTICOLI DA 1 A 6

Art. 1.

(Oggetto e finalità della legge)

    1. È istituito il programma di cure palliative domiciliari integrate per i pazienti affetti da cancro in fase terminale al fine di:

        a) permettere ai malati terminali assistenza e cure in un ambiente, il domicilio, più sereno e confortevole da un punto di vista psicologico per affrontare la gravità della malattia;

        b) fornire un adeguato sostegno alle famiglie interessate dalle problematiche sanitarie, socio-assistenziali e psicologiche relative ai pazienti terminali;

        c) razionalizzare e coordinare le iniziative già operanti nel Servizio sanitario nazionale, fornendo supporti tecnico-professionali adeguati;

        d) stimolare e sostenere le associazioni di volontariato attive nel settore dell'aiuto ai pazienti in fase avanzata e terminale;

        e) diffondere la cultura della solidarietà nei confronti dei malati terminali.

    2. Per pazienti affetti da cancro in fase terminale si intendono i pazienti con prognosi di vita eguale o inferiore a tre mesi.

Art. 2.

(Programma di cure e assistenza per i malati terminali)

    1. Sono demandati alle regioni, nell'ambito della programmazione degli interventi sanitari e sociali, l'organizzazione ed il funzionamento di servizi per il trattamento a domicilio di pazienti in fase terminale colpiti da neoplasie nel caso di dimissione dal presidio ospedaliero pubblico o privato e della prosecuzione delle necessarie terapie in sede domiciliare.

    2. Le regioni predispongono, entro quattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, un programma pluriennale che definisca l'assetto organizzativo, le modalità e le risorse dell'intervento delle aziende sanitarie locali, delle aziende ospedaliere e degli enti di volontariato specializzati nel settore della cura palliativa domiciliare oncologica.

    3. Il programma definisce altresì i caratteri generali delle possibili convenzioni tra amministrazioni pubbliche e volontariato, le modalità e i requisiti connessi all'erogazione delle prestazioni di tale forma di assistenza, i criteri di verifica dell'attività svolta, sia sul piano tecnico sia amministrativo.

    4. Nell'ambito del programma sono definiti i criteri per l'eventuale erogazione di adeguati incentivi, anche economici, alla famiglia.

Art. 3.

(Requisiti e criteri per le cure palliative domiciliari integrate)

    1. Al fine di ottenere le cure palliative domiciliari integrate occorre:

        a) la presenza di una malattia neoplastica;

        b) la necessità di trattamenti specialistici in base alle conoscenze e alle tecniche delle cure palliative;

        c) il consenso informato del paziente;

        d) la non autosufficienza del paziente;

        e) il disagio di accedere alle strutture sanitarie;

        f) l'ambiente abitativo e familiare idoneo.

    2. Le cure palliative domiciliari integrate sono attivate su richiesta del paziente o della sua famiglia, sentito il parere del medico di base o del medico del reparto ospedaliero presso il quale il paziente è in cura e previa autorizzazione degli enti preposti alla gestione delle cure palliative domiciliari di cui al comma 2 dell'articolo 2.

    3. Il paziente ha il diritto di scegliere i sanitari di fiducia che devono assisterlo.

    4. Il trattamento a domicilio ha luogo mediante l'impiego di personale qualificato e specializzato in collaborazione con i medici di base e con i medici ospedalieri che hanno avuto in cura il paziente. L'ente preposto garantisce presso il domicilio la presenza continuativa di un sanitario; un servizio di pronto soccorso nel caso di emergenza; i servizi specialistici indispensabili alla cura dei malati terminali.

    5. Sono predisposti presso il Ministero della salute e presso gli assessorati regionali della sanità appositi elenchi dei medici operanti nell'ambito del programma.

Art. 4.

(Verifica e controllo di gestione)

    1. Il programma di cui all'articolo 2 definisce i parametri di riferimento per quanto concerne la determinazione dei costi a carico del Fondo sanitario nazionale per le prestazioni sanitarie a domicilio tenendo conto dell'intensità e della durata dell'assistenza.

    2. Per la programmazione e la verifica delle modalità di gestione, il programma determina indicatori di riferimento sui quali effettuare le necessarie valutazioni in termini di efficienza, efficacia e gradimento. A tal fine il programma prevede la predisposizione dei necessari dati conoscitivi epidemiologici e statistici, nonché l'approntamento di apposite modalità di verifica dei livelli di gradimento da parte delle famiglie dei pazienti.

    3. Le regioni provvedono a periodiche verifiche in ordine alla realizzazione del programma e all'aggiornamento del medesimo.

Art. 5.

(Formazione del personale)

    1. Le regioni istituiscono scuole di formazione professionale per la preparazione del personale da destinare alla realizzazione del programma di cui all'articolo 2.

Art. 6.

(Finanziamento del programma)

    1. Al finanziamento del programma di cui all'articolo 2 provvedono annualmente le regioni, a carico della quota loro spettante del Fondo sanitario nazionale.

    2. In sede di prima attuazione del programma, è attribuito alle regioni un apposito finanziamento di lire 15 milioni di euro nel triennio 2008-2010, in ragione di 5 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008, 2009 e 2010, ripartito con i criteri adottati per il Fondo sanitario nazionale. Alla copertura del relativo onere si provvede mediante corripondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2008-2010, nell'ambito del fondo speciale di parte corrente dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al medesimo Ministero.

    3. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

Disposizioni per la realizzazione della rete di cure palliative (287)

ARTICOLI DA 1 A 16

Capo I

DISPOSIZIONI GENERALI

Art. 1.

(Finalità)

    1. La presente legge tutela il diritto del cittadino ad accedere alle terapie del dolore.

    2. La presente legge tutela e garantisce, in particolare, il diritto di accesso alla rete di cure palliative, di seguito denominata: «rete», da parte del malato in fase terminale, in ottemperanza ai princìpi indicati nei livelli essenziali di assistenza (LEA) assicurati dal Servizio sanitario nazionale, nonché per garantire il rispetto della dignità della persona umana, il bisogno di salute, l'equità nell'accesso all'assistenza, la qualità delle cure e la loro appropriatezza riguardo alle specifiche esigenze, ai sensi dell'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni.

    3. Ai fini di cui ai commi 1 e 2, la rete, attraverso un'équipe multiprofessionale specializzata in cure palliative, definisce un programma di cura individuale per il paziente e per la sua famiglia, nel rispetto dei seguenti princìpi fondamentali:

        a) presa in carico della persona malata e dei suoi familiari;

        b) tutela della dignità del paziente e rispetto della sua volontà;

        c) salvaguardia e valorizzazione della qualità di vita nella fase terminale della malattia.

    4. Ai fini di cui ai commi 1, 2 e 3, con la presente legge si intende:

        a) definire le caratteristiche essenziali per la realizzazione della rete al fine di poter garantire una continuità socio-assistenziale al paziente e alla sua famiglia nelle diverse fasi della malattia terminale;

        b) stabilire requisiti e criteri di qualità per le cure palliative domiciliari e residenziali;

        c) individuare le figure professionali necessarie per la formazione di un'équipe multiprofessionale specializzata nell'assistenza socio-sanitaria in cure palliative;

        d) istituire percorsi formativi per il personale medico e sanitario del Servizio sanitario nazionale affinché gli operatori sanitari impegnati nei programmi di cure palliative o nell'assistenza ai malati terminali conseguano un'adeguata formazione nel trattamento del paziente in fase terminale e nell'applicazione della terapia del dolore;

        e) semplificare ed agevolare l'accesso dei pazienti alla rete;

        f) garantire la distribuzione e la gratuità dei presidi e dei farmaci impiegati nella terapia del dolore, mantenendo controlli adeguati volti a prevenirne abusi o distorsioni;

        g) promuovere una campagna di informazione, ad opera del Ministero della salute, come strumento di informazione ed educazione sulle potenzialità assistenziali delle cure palliative e dell'applicazione della terapia del dolore.

Art. 2.

(Definizioni)

    1. Ai sensi della presente legge si intende per:

        a) cure palliative: l'insieme degli interventi terapeutici e assistenziali, rivolti sia alla persona malata sia al suo nucleo familiare, finalizzati alla cura attiva e totale di quei pazienti la cui malattia di base, caratterizzata da una rapida evoluzione e da prognosi infausta, non risponda più a trattamenti specifici;

        b) terapia del dolore: l'insieme di interventi diagnostici e terapeutici volti ad approfondire i meccanismi patogenetici di forme morbose croniche e le relative terapie farmacologiche, chirurgiche, strumentali, psicologiche, riabilitative tra loro variamente integrate;

        c) malato in fase terminale: la persona affetta da una patologia cronica evolutiva in fase avanzata, per la quale non esistano o siano sproporzionate terapie con l'obiettivo di una stabilizzazione della malattia o di un prolungamento significativo della vita. Questa fase temporale viene stabilita indicativamente con un criterio temporale in novanta giorni per i pazienti oncologici;

        d) indice di Karnofsky: lo strumento di misura multidimensionale indicante le funzioni fisiche del paziente, usato in particolar modo per i pazienti oncologici;

        e) assistenza domiciliare in cure palliative: assistenza sociosanitaria erogata ventiquattro ore su ventiquattro al domicilio del paziente, senza soluzione di continuità, da équipe multiprofessionali specializzate;

        f) assistenza residenziale in cure palliative: assistenza socio sanitaria erogata ventiquattro ore su ventiquattro presso una struttura, detta hospice, dove vengono accolti pazienti che non possono più essere curati presso il proprio domicilio. L'assistenza viene erogata da équipe multiprofessionali specializzate;

        g) dimissione protetta in cure palliative: garanzia della continuità assistenziale del paziente dall'atto della dimissione dalla struttura ospedaliera all'accesso alla rete.

Art. 3.

(Prosecuzione del programma nazionale per la realizzazione di strutture per le cure palliative)

    1. Al fine di consentire la prosecuzione degli interventi di cui all'articolo 1 del decreto-legge 28 dicembre 1998, n. 450, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1999, n. 39, è autorizzata la spesa di 2 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008 e 2009.

    2. Con accordo da concludere in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, è adottato il programma nazionale per la realizzazione, in ciascuna regione e provincia autonoma, in coerenza con gli obiettivi del Piano sanitario nazionale, di nuove strutture dedicate all'assistenza palliativa e di supporto per i pazienti la cui patologia non risponda ai trattamenti disponibili e che necessitino di cure finalizzate ad assicurare una migliore qualità della loro vita e di quella dei loro familiari.

    3. Con l'accordo di cui al comma 2 sono individuati i requisiti strutturali e tecnologici, per l'esercizio delle attività sanitarie da parte delle strutture dedicate all'assistenza palliativa.

    4. L'accesso alle risorse di cui al comma 1 è subordinato alla presentazione al Ministero della salute di appositi progetti regionali, redatti secondo i criteri e le modalità di cui all'articolo 1, commi 3 e 4, del citato decreto-legge n. 450 del 1998, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 39 del 1999.

Art. 4.

(Campagna di informazione)

    1. Il Ministero della salute promuove la realizzazione di una campagna di comunicazione destinata ad informare i cittadini sulle modalità e sui criteri di accesso alle prestazioni ed ai programmi di assistenza della rete.

    2. Nella campagna di cui al comma 1 è inclusa una specifica comunicazione sull'importanza del corretto utilizzo dei farmaci impiegati nelle terapie del dolore e dei rischi connessi ad un abuso o ad un uso non appropriato delle sostanze in essi contenuti.

Capo II

DEFINIZIONE E ORGANIZZAZIONE DELLA RETE DI CURE PALLIATIVE

Art. 5.

(Definizione della rete di cure palliative)

    1. Al fine di garantire il costante adeguamento delle strutture e delle prestazioni sanitarie alle esigenze dei cittadini utenti del Servizio sanitario nazionale, in ottemperanza a quanto stabilito dall'articolo 3, comma 3, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 14 febbraio 2001, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 129 del 6 giugno 2001, la rete si articola nelle seguenti strutture e figure professionali dedicate alle cure palliative:

        a) hospice o centro di assistenza residenziale;

        b) unità di cure palliative domiciliare;

        c) centro di telemedicina;

        d) ambulatorio di cure palliative;

        e) day hospice in cure palliative;

        f) medico di famiglia;

        g) équipe multiprofessionale in cure palliative;

        h) farmacia distrettuale ovvero ospedaliera.

    2. Sono parte della rete anche il paziente, i familiari, i volontari, le associazioni di volontariato e i gruppi di auto-aiuto e mutuo-aiuto nell'elaborazione del lutto, che abbiano ricevuto la formazione di cui all'articolo 14, comma 5.

    3. La rete garantisce al paziente in fase terminale le seguenti tipologie di assistenza:

        a) assistenza ambulatoriale;

        b) assistenza domiciliare;

        c) monitoraggio della situazione clinica individuale;

        d) ricovero ospedaliero in regime ordinario o day hospital;

        e) assistenza in hospice;

        f) terapia del dolore;

        g) supporto di tipo psicologico, spirituale e sociale rivolto sia alla persona malata sia al nucleo familiare.

    4. La rete per i pazienti in fase terminale è coordinata da un dirigente medico, individuato tra quelli che già operano nelle strutture coinvolte nella rete di assistenza.

    5 . Entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Ministero della salute definisce, con proprio decreto, d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, le modalità organizzative necessarie per l'accreditamento delle strutture di assistenza ai malati in fase terminale già esistenti sul territorio nazionale presso ogni regione, al fine di costituire una rete di cure palliative, ai sensi del comma 1.

    6. Il decreto di cui al comma 5 deve prevedere tra le modalità organizzative per l'accreditamento come rete di cure palliative l'immediata obbligatorietà d'integrazione tra le strutture di assistenza residenziale e le unità operative di assistenza domiciliare.

Art. 6.

(Segreteria centrale operativa della rete di cure palliative)

    1. È istituita, all'interno delle strutture di assistenza residenziale, la Segreteria centrale operativa della rete, di seguito denominata «Segreteria centrale» al fine di coordinare tutti i servizi assistenziali previsti all'articolo 5, comma 3.

    2. La Segreteria centrale svolge le seguenti funzioni:

        a) informa sui servizi di assistenza e sul funzionamento della rete;

        b) svolge un ruolo di supporto logistico alla famiglia o al paziente per le pratiche di accesso alla rete o per le pratiche necessarie alle dimissioni protette, qualora il paziente provenga da strutture ospedaliere;

        c) riceve le richieste di assistenza ed effettua una prima valutazione sulle prestazioni adeguate;

        d) effettua una prima valutazione del paziente nonché della situazione sociale e familiare, segnalando la richiesta di assistenza all'équipe multiprofessionale, anche secondo parametri di tempo d'intervento;

        e) adotta protocolli per l'accoglienza, l'integrazione e il coordinamento delle informazioni relative al paziente in carico presso le strutture della rete, garantendo continuità assistenziale nelle diverse fasi della malattia;

        f) provvede a realizzare adeguate forme di supporto psicologico in considerazione dell'elevato livello di impegno psico-emozionale richiesto alle équipe multiprofessionali che operano nella rete.

    3. Le figure minime necessarie da impiegare nella Segreteria centrale sono: un medico che già opera nelle strutture coinvolte nella rete di assistenza, un infermiere, un operatore socio-sanitario e un assistente sociale, esperti in cure palliative.

    4. I protocolli di cui al comma 2, lettera e), devono prevedere una specifica fase operativa preposta all'accoglienza, alla valutazione e presa in carico del paziente nonché alla formulazione del piano terapeutico individualizzato, ai sensi dell'articolo 7, comma 3, lettera a).

Art. 7.

(Équipe multiprofessionale in cure palliative)

    1. L'équipe multiprofessionale di base, che opera nella rete di cure palliative, è composta da medico e infermiere esperto in cure palliative, paziente e medico di base.

    2. L'équipe di cui al comma 1 deve essere ampliata con la partecipazione di alcune delle seguenti figure professionali esperte in cure palliative: fisioterapista, terapista occupazionale, psicologo, assistente sociale, operatore socio-sanitario.

    3. L'équipe multiprofessionale, nella composizione di cui al comma 1 ovvero al comma 2, in accordo con il medico di base o il medico della divisione ospedaliera a cui afferisce il paziente, una volta preso in carico il paziente, svolge le seguenti funzioni:

        a) formula un programma individualizzato e multidimensionale per la cura globale del malato, improntato a criteri di qualità, tempestività e flessibilità, individuando il sistema assistenziale più adeguato alle sue esigenze;

        b) dispone una cartella clinica del paziente;

        c) verifica la qualità delle prestazioni erogate, secondo quanto stabilito dall'accordo tra il Governo, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano del 13 marzo 2003 concluso ai sensi del decreto del Ministro della sanità 28 settembre 1999, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 55 del 7 marzo 2000;

        d) somministra la terapia del dolore, ai sensi della legge 8 febbraio 2001, n. 12;

        e) svolge, coadiuvata dai volontari e dai gruppi di auto-aiuto e mutuo-aiuto, una funzione di supporto psicologico al paziente e ai familiari nelle differenti fasi della malattia.

Art. 8.

(Centro di telemedicina)

    1. Al fine di favorire un adeguamento dell'offerta di servizi alle specifiche esigenze assistenziali dei pazienti affetti da malattia in fase terminale e alle loro famiglie è istituito, all'interno delle strutture di assistenza residenziale, il Centro di telemedicina.

    2. Il Centro di telemedicina svolge le seguenti funzioni:

        a) monitora telefonicamente la situazione clinica dei pazienti, che abbiano un indice di Karnofsky maggiore o uguale a 50, in attesa di assistenza o che abbiano avuto un miglioramento a seguito di assistenza residenziale o domiciliare;

        b) organizza day hospice presso le strutture della rete.

    3. Il personale del Centro di telemedicina può essere personale infermieristico già impiegato nelle strutture residenziali di cure palliative.

Art. 9.

(Condizioni di accesso alla rete di cure palliative)

    1. Al fine di accedere alla rete è necessario possedere i seguenti requisiti:

        a) malattia progressiva e in fase avanzata, a rapida evoluzione e a prognosi infausta, per la quale ogni terapia finalizzata alla guarigione o alla stabilizzazione della patologia non è possibile né appropriata;

        b) consenso informato da parte del paziente;

        c) indice di Karnofsky minore o uguale a 50;

        d) richiesta del medico di famiglia o dimissione protetta dal reparto ospedaliero unita a richiesta del medico di famiglia;

        e) scelta libera da parte del paziente.

Capo III

PROGETTO OSPEDALE SENZA DOLORE

Art. 10.

(Misure a sostegno del progetto «Ospedale senza dolore»)

    1. Per la prosecuzione e l'attuazione del progetto «Ospedale senza dolore» previsto dall'Accordo sancito tra il Ministro della sanità, le regioni, e le province autonome di cui al provvedimento della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, 24 maggio 2001, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 149 del 29 giugno 2001, è autorizzata la spesa di 1.000.000 di euro per ciascuno degli anni 2008, 2009 e 2010 per complessivi 3.000.000 di euro.

    2. Le risorse di cui al comma 1, sono ripartite tra le regioni con accordo stipulato in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano.

Art. 11.

(Coordinamento della rete di cure palliative e del progetto «Ospedale senza dolore»)

    1. Il Ministro della salute, con proprio decreto stabilisce, previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, i criteri e le modalità per coordinare le finalità di cui al capo II e al presente capo.

Capo IV

REQUISITI E CRITERI DI QUALITÀ PER LE CURE PALLIATIVE RESIDENZIALI E DOMICILIARI

Art. 12.

(Requisiti e criteri di qualità per le cure palliative residenziali)

    1. Al fine di garantire a livello nazionale l'omogeneità qualitativa e quantitativa dell'assistenza residenziale, sulla base degli standard di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 20 gennaio 2000, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 67 del 21 marzo 2000, con particolare attenzione agli aspetti organizzativi, i soggetti erogatori di assistenza residenziale accreditati devono possedere i seguenti requisiti minimi:

        a) requisiti strutturali stabiliti dal citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 20 gennaio 2000;

        b) pianta organica degli operatori sanitari adeguata al numero dei pazienti residenti nella misura seguente: un medico ogni dieci pazienti, un infermiere per ogni cinque pazienti, un operatore socio sanitario ogni otto pazienti;

        c) disponibilità delle seguenti figure professionali: fisioterapista, psicologo, assistente sociale, assistente spirituale, terapista occupazionale e medici di diversa specializzazione;

        d) distribuzione gratuita di farmaci e presidi medici per il trattamento del dolore severo;

        e) sostegno psicologico dedicato esclusivamente agli operatori sanitari impiegati nella struttura;

        f) carta dei servizi e protocollo di accoglienza;

        g) strumenti valutativi dell'assistenza erogata;

        h) piano programmatico di riunioni di équipe per la valutazione delle condizioni cliniche dei pazienti in carico alla struttura residenziale e per la definizione degli obiettivi qualitativi e quantitativi delle équipe, coordinate dal dirigente medico della rete.

Art. 13.

(Requisiti e criteri di qualità per le cure palliative domiciliari)

    1. Al fine di garantire e ottenere cure palliative di qualità, tutte le unità di cure palliative domiciliari devono essere in possesso dei requisiti indicati all'articolo 12, comma 1, lettere da b) a h).

    2. Per garantire le finalità di cui al comma 1 è inoltre necessario:

        a) programmare un minimo di accessi a domicilio nella misura di due visite mediche e tre infermieristiche settimanali;

        b) garantire una reperibilità ventiquattro ore su ventiquattro dell'équipe che ha in carico il paziente.

    3. Il piano assistenziale delle cure palliative domiciliari deve essere concordato dall'équipe multiprofessionale in accordo con il paziente e i suoi familiari.

Capo V

FORMAZIONE

Art. 14.

(Formazione ed aggiornamento del personale medico e sanitario sulle cure palliative)

    1. Il Ministro dell'università e della ricerca, di concerto con il Ministro della salute, ai sensi dell'articolo 17, comma 95, della legge 15 maggio 1997, n. 127, e successive modificazioni, individua con uno o più decreti i criteri per la disciplina degli ordinamenti didattici di specifici corsi universitari in medicina e cure palliative ai quali possano accedere tutti coloro in possesso di diploma di maturità o titolo equipollente.

    2. Nell'attuazione dei programmi di formazione continua in medicina di cui all'articolo 16-bis del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni, la commissione nazionale per la formazione continua provvede affinché il personale medico e sanitario già impegnato e operante in una rete consegua ogni anno crediti formativi pari a quaranta crediti per l'educazione continua in medicina (ECM) in materia di cure palliative presso strutture accreditate UNI EN ISO 9001:2000.

    3. A partire dalla data di entrata in vigore della presente legge, la partecipazione alle attività di formazione di cui ai commi 1 e 2 è requisito indispensabile per svolgere attività professionale nell'ambito della rete in qualità di dipendente o di libero professionista, per conto delle aziende ospedaliere, delle università, delle aziende sanitarie locali, delle associazioni e delle strutture sanitarie private.

    4. La formazione di cui al comma 2, nonché un tirocinio obbligatorio della durata di cinque anni presso una delle strutture della rete è inoltre requisito indispensabile per ricoprire incarichi dirigenziali nella stessa.

    5. Il Ministero della salute, d'intesa con il Ministero delle politiche per la famiglia, coadiuvato dalle organizzazioni non profit maggiormente rappresentative nell'ambito delle cure palliative, definisce i percorsi formativi per i volontari nella rete.

Capo VI

DISPOSIZIONI FINALI

Art. 15.

(Osservatorio nazionale permanente per le cure palliative)

    1. È istituito, presso il Ministero della salute, l'Osservatorio nazionale permanente per le cure palliative al fine di monitorare lo sviluppo omogeneo della rete sul territorio nazionale.

    2. Il Ministro della salute, con proprio decreto da adottare entro due mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, definisce l'organizzazione e le funzioni dell'Osservatorio istituito ai sensi del comma 1, anche ai fini del collegamento con gli osservatori istituiti dalle regioni con propri provvedimenti.

Art. 16.

(Entrata in vigore)

    1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

Disposizioni per l'assistenza globale dei pazienti in fase avanzata di patologia oncologica o degenerativa progressiva, necessitanti di cure palliative (305)

ARTICOLI DA 1 A 8

Art. 1.

(Finalità della legge)

    1. È riconosciuto e tutelato il diritto del singolo di accedere alle cure palliative per la gestione dei sintomi psicofisici di qualsiasi origine, con particolare riguardo al dolore severo negli stati di patologia oncologica e degenerativa progressiva e nel dolore severo cronico di origine neuropatica.

    2. Ai fini di cui al comma 1, la presente legge ha lo scopo di:

        a) promuovere l'adeguamento strutturale del Servizio sanitario nazionale (SSN) alle esigenze assistenziali connesse al trattamento dei pazienti in fase inguaribile e progressiva di patologia cronica degenerativa;

        b) incentivare la realizzazione, a livello regionale, delle reti di cure palliative e di progetti indirizzati al miglioramento del processo assistenziale rivolto al controllo del dolore di qualsiasi origine;

        c) perseguire l'aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza (LEA) in cure palliative quale strumento di adeguamento dell'offerta di servizi alle specifiche esigenze assistenziali dei pazienti in fase terminale e delle loro famiglie;

        d) promuovere la realizzazione di programmi regionali di cure domiciliari palliative integrate;

        e) semplificare le procedure di distribuzione e facilitare la disponibilità dei medicinali utilizzati nel trattamento del dolore severo al fine di agevolare l'accesso dei pazienti alle cure palliative, mantenendo controlli adeguati volti a prevenirne abusi e distorsioni;

        f) promuovere il continuo aggiornamento del personale medico e sanitario del SSN sui protocolli diagnostico-terapeutici utilizzati in cure palliative e nella terapia del dolore;

        g) utilizzare la comunicazione istituzionale come strumento di informazione ed educazione sulle potenzialità assistenziali delle cure palliative e della terapia del dolore e sul corretto utilizzo dei farmaci in esse impiegati.

Art. 2.

(Prosecuzione del programma nazionale per la realizzazione di strutture per le cure palliative)

    1. Al fine di consentire la prosecuzione degli interventi di cui all'articolo 1 del decreto-legge 28 dicembre 1998, n. 450, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1999, n. 39, è autorizzata la spesa di due milioni di euro per ciascuno degli anni 2008, 2009 e 2010.

    2. Con accordo da stipulare in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, è adottato il programma nazionale per la realizzazione, in ciascuna regione e provincia autonoma, in coerenza con gli obiettivi del Piano sanitario nazionale, di nuove strutture dedicate all'assistenza palliativa e di supporto per i pazienti la cui patologia non risponda ai trattamenti disponibili e che necessitino di cure finalizzate ad assicurare una migliore qualità della loro vita e di quella dei loro familiari.

    3. Con l'accordo di cui al comma 2 sono individuati i requisiti strutturali, tecnologici ed organizzativi minimi per l'esercizio delle attività sanitarie da parte delle strutture dedicate all'assistenza palliativa.

    4. L'accesso alle risorse di cui al comma 1 è subordinato alla presentazione al Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali di appositi progetti regionali, redatti secondo i criteri e le modalità di cui all'articolo 1, commi 3 e 4, del citato decreto-legge n. 450 del 1998, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 39 del 1999.

Art. 3.

(Progetto «Ospedale senza dolore»)

    1. Per la prosecuzione ed attuazione del progetto «Ospedale senza dolore» di cui all'accordo sancito dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano del 24 maggio 2001, è autorizzata la spesa di un milione di euro per ciascuno degli anni 2008, 2009 e 2010.

    2. Le risorse di cui al comma 1 sono ripartite tra le regioni con accordo stipulato in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano. Con il predetto accordo sono altresì stabilite le modalità di verifica dello stato di attuazione a livello regionale del progetto di cui al medesimo comma 1, ed individuate periodiche scadenze per il monitoraggio delle azioni intraprese per l'utilizzo delle risorse disponibili.

Art. 4.

(Livelli di assistenza in materia di cure domiciliari palliative integrate)

    1. Entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, con le procedure di cui all'articolo 54 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, si provvede alla revisione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 29 novembre 2001, pubblicato nel supplemento ordinario n. 26 alla Gazzetta Ufficiale n. 33 dell'8 febbraio 2002, relativamente ai livelli essenziali di assistenza sanitaria e sociosanitaria a favore dei malati terminali, al fine di agevolare l'accesso dei pazienti affetti da sintomi severi e da dolore conseguenti a patologie oncologiche o degenerative progressive o dolore severo cronico di origine neuropatica a cure domiciliari palliative integrate.

    2. Nell'ambito dei livelli assistenziali di cui al comma 1 e degli ulteriori livelli di assistenza eventualmente individuati a livello regionale, le regioni adottano, nell'ambito della programmazione degli interventi sanitari e sociali, uno specifico programma pluriennale che definisca l'organizzazione ed il funzionamento dei servizi per il trattamento a domicilio di pazienti in fase terminale colpiti da neoplasie o altre patologie degenerative progressive e di pazienti colpiti da dolore severo cronico di origine neuropatica nel caso di dimissione dal presidio ospedaliero pubblico o privato e della prosecuzione in sede domiciliare delle terapie necessarie.

    3. Il programma di cui al comma 2 definisce i criteri e le procedure per la stipula di convenzioni tra le regioni e le organizzazioni private senza scopo di lucro operanti sul territorio, funzionali alla migliore erogazione dei servizi di cui al presente articolo. In particolare, il predetto programma definisce i requisiti organizzativi, professionali ed assistenziali che le organizzazioni private devono possedere ai fini della stipula delle convenzioni e specifica le modalità di verifica dell'attività svolta dalle medesime, sia sul piano tecnico che amministrativo.

    4. Ai fini del coordinamento e dell'integrazione degli interventi sanitari ed assistenziali nei programmi di cure domiciliari palliative, le regioni promuovono la stipula di convenzioni con gli enti locali territorialmente competenti.

Art. 5.

(Semplificazione delle procedure di accesso ai medicinali impiegati nelle terapie del dolore)

    1. Al testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, di seguito denominato «testo unico», sono apportate le seguenti modificazioni:

        a) all'articolo 43, dopo il comma 4 è inserito il seguente:

    «4-bis. Per la prescrizione nell'ambito del Servizio sanitario nazionale di farmaci previsti dall'allegato IIl-bis per il trattamento di pazienti affetti da dolore severo, in luogo del ricettario di cui al comma 1, contenente le ricette a ricalco di cui al comma 4, può essere utilizzato il ricettario del Servizio sanitario nazionale disciplinato dal decreto del Ministero dell'economia e delle finanze del 18 maggio 2004, pubblicato nel supplemento ordinario n. 159 alla Gazzetta Ufficiale n. 251 del 25 ottobre 2004. In tal caso, ai fini della prescrizione si applicano le disposizioni di cui al citato decreto del 2004, ed il farmacista conserva copia o fotocopia della ricetta sia ai fini del discarico nel registro di cui all'articolo 60, comma 1, che ai fini della dimostrazione della liceità del possesso dei farmaci consegnati dallo stesso farmacista al paziente o alla persona che li ritira».

        b) ferme restando le disposizioni di cui all'articolo 13 del testo unico, comma 1, secondo periodo, alla tabella II, sezione B, allegata al medesimo testo unico, dopo la voce: «denominazione comune: Delorazepam» è inserita la seguente: «denominazione comune: Delta-8-tetraidrocannabinolo (THC)».

Art. 6.

(Formazione ed aggiornamento del personale in cure palliative)

    1. Nell'attuazione dei programmi di formazione continua in medicina di cui all'articolo 16-bis del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni, la Commissione nazionale per la formazione continua, di cui all'articolo 16-ter del medesimo decreto legislativo n. 502 del 1992, e successive modificazioni, provvede affinché il personale medico e sanitario impegnato nei programmi di cure palliative domiciliari o impegnato nell'assistenza ai malati terminali consegua crediti formativi in cure palliative e terapia del dolore

    2. Le regioni, nell'ambito della loro competenza in materia di istruzione e formazione professionale, valutano l'opportunità di procedere all'istituzione di scuole di formazione professionale per la preparazione del personale da destinare alla realizzazione del programma di cure palliative domiciliari integrate di cui all'articolo 4, comma 2.

    3. È istituita la scuola di specializzazione in cure palliative per la formazione di medici specialisti in grado di porre in atto assistenza dei casi complessi e consulenze per i colleghi dei diversi assetti ospedalieri, residenziali e domiciliari, e di effettuare ricerca e formazione continua in cure palliative.

Art. 7.

(Campagne informative)

    1. Lo Stato e le regioni, negli ambiti di rispettiva competenza, promuovono la realizzazione di campagne istituzionali di comunicazione destinate ad informare i cittadini sulle modalità e sui criteri di accesso alle prestazioni ed ai programmi di assistenza in materia di trattamento del dolore severo nelle patologie neoplastiche o degenerative progressive e del dolore severo cronico di origine neuropatica. Nelle predette campagne è inclusa una specifica comunicazione sull'importanza di un corretto utilizzo dei farmaci impiegati nelle terapie del dolore e sui rischi connessi ad un abuso o ad un uso non appropriato delle sostanze in essi contenuti.

    2. Le regioni, le aziende sanitarie ed ospedaliere e le altre strutture sanitarie di ricovero e cura garantiscono agli utenti la massima pubblicità del servizio relativo ai processi applicativi adottati in attuazione del progetto «Ospedale senza dolore» di cui all'articolo 3, attivando specifici meccanismi di misurazione del livello di soddisfazione del paziente e di registrazione di eventuali disservizi.

Art. 8.

(Copertura finanziaria)

    1. Agli oneri derivanti dall'attuazione della presente legge, valutati in tre milioni di euro per ciascuno degli anni 2008, 2009 e 2010, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2008-2010, nell'ambito del fondo speciale di parte corrente dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per gli anni 2008, 2009 e 2010, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero della salute.

Disposizioni in materia di cure palliative domiciliari integrate per pazienti terminali affetti da cancro (477)

ARTICOLI DA 1 A 6

Art. 1.

(Oggetto e finalità)

    1. È istituito il programma di cure palliative domiciliari integrate per i pazienti affetti da cancro in fase terminale, ai sensi del comma 2, al fine di:

        a) permettere ai malati terminali assistenza e cure in un ambiente, il domicilio, più sereno e confortevole da un punto di vista psicologico per affrontare la gravità della malattia;

        b) fornire un adeguato sostegno alle famiglie interessate dalle problematiche sanitarie, socio-assistenziali e psicologiche relative ai pazienti terminali;

        c) razionalizzare e coordinare le iniziative già avviate nel Servizio sanitario nazionale, fornendo supporti tecnico-professionali adeguati;

        d) stimolare e sostenere le organizzazioni di volontariato attive nel settore dell'aiuto ai pazienti in fase avanzata e terminale;

        e) diffondere la cultura della solidarietà nei confronti dei malati terminali.

    2. Per pazienti affetti da cancro in fase terminale si intendono i pazienti con prognosi di vita eguale o inferiore a tre mesi.

Art. 2.

(Programma di cure e di assistenza per i malati terminali)

    1. Sono demandati alle regioni, nell'ambito della programmazione degli interventi sanitari e sociali, l'organizzazione ed il funzionamento di servizi per il trattamento a domicilio di pazienti in fase terminale colpiti da neoplasie nel caso di dimissione dal presidio ospedaliero pubblico o privato e della prosecuzione delle necessarie terapie in sede domiciliare.

    2. Le regioni predispongono, entro quattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, un programma pluriennale che definisce l'assetto organizzativo, le modalità e le risorse dell'intervento delle aziende sanitarie locali, delle aziende ospedaliere e delle organizzazioni di volontariato specializzate nel settore della cura palliativa domiciliare oncologica.

    3. Il programma di cui al comma 2 definisce altresì i caratteri generali delle possibili convenzioni tra amministrazioni pubbliche e enti od organizzazioni di volontariato, le modalità e i requisiti connessi all'erogazione delle prestazioni di tale forma di assistenza, nonché i criteri di verifica dell'attività svolta, sia sul piano tecnico che amministrativo.

    4. Nell'ambito del programma di cui ai commi 2 e 3 sono definiti i criteri per l'eventuale erogazione di adeguati incentivi, anche economici, alle famiglie dei malati terminali.

Art. 3.

(Requisiti e criteri per le cure palliative domiciliari integrate)

    1. Al fine di ottenere le cure palliative domiciliari integrate è necessario il possesso dei seguenti requisiti:

        a) presenza di una malattia neoplastica;

        b) necessità di trattamenti specialistici in base alle conoscenze e alle tecniche delle cure palliative;

        c) espressione, da parte del paziente, del consenso informato;

        d) situazione di non autosufficienza;

        e) disagio di accedere alle strutture sanitarie;

        f) ambiente abitativo e familiare idoneo.

    2. Le cure palliative domiciliari integrate sono attivate su richiesta del paziente o della sua famiglia, sentito il parere del medico di base o del medico del reparto ospedaliero presso il quale è in cura e previa autorizzazione degli enti preposti alla gestione delle cure palliative domiciliari di cui al comma 2 dell'articolo 2.

    3. Il paziente ha il diritto di scegliere i sanitari di fiducia che devono assisterlo.

    4. Il trattamento a domicilio ha luogo mediante l'impiego di personale qualificato e specializzato in collaborazione con i medici di base e con i medici ospedalieri che hanno avuto in cura il paziente. L'ente preposto deve garantire presso il domicilio: la presenza continuativa di un sanitario; un servizio di pronto soccorso, nel caso di emergenza; servizi specialistici indispensabili alla cura dei malati terminali.

    5. Sono predisposti presso il Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali e presso gli assessorati regionali alla sanità appositi elenchi dei medici operanti nell'ambito del programma di cui all'articolo 2.

Art. 4.

(Verifica e controllo di gestione)

    1. Il programma di cui all'articolo 2 definisce i parametri di riferimento per quanto concerne la determinazione dei costi a carico del Fondo sanitario nazionale per le prestazioni sanitarie a domicilio tenendo conto dell'intensità e della durata dell'assistenza.

    2. Per la programmazione e la verifica delle modalità di gestione il programma determina indicatori di riferimento sui quali effettuare le necessarie valutazioni in termini di efficienza e di gradimento. A tale fine il programma prevede la predisposizione dei necessari dati conoscitivi epidemiologici e statistici, nonché l'approntamento di apposite modalità di verifica dei livelli di gradimento da parte delle famiglie dei pazienti.

    3. Le regioni provvedono a periodiche verifiche in ordine alla realizzazione del programma e all'aggiornamento del medesimo.

Art. 5.

(Formazione del personale)

    1. Le regioni istituiscono scuole di formazione professionale per la preparazione del personale da destinare alla realizzazione del programma di cui all'articolo 2.

Art. 6.

(Finanziamento del programma)

    1. Al finanziamento del programma di cui all'articolo 2 provvedono annualmente le regioni, a carico della quota loro spettante del Fondo sanitario nazionale.

    2. In sede di prima attuazione del programma, è attribuito alle regioni un apposito finanziamento di 15 milioni di euro nel triennio 2008-2010, ripartito con i criteri adottati per il Fondo sanitario nazionale. Alla copertura del relativo onere si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2008-2010, nell'ambito dell'unità previsionale di base di parte corrente «Fondo speciale» dello stato di previsione del Ministro dell'economia e delle finanze per l'anno 2008, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al medesimo Ministero in ragione di 5 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008, 2009 e 2010.

    3. Il Ministro dell'economia delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

DISEGNO DI LEGGE

Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee - Legge comunitaria 2009 (1781)

DOCUMENTO

Relazione sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea (anno 2008) (Doc. LXXXVII, n. 2)

PROPOSTA DI QUESTIONE PREGIUDIZIALE

QP1

D'ALIA, BIANCHI

Il Senato,

        premesso che:

            il 1º dicembre 2009 è entrato in vigore sul piano internazionale il Trattato di Lisbona, che modifica il Trattato sull'Unione europea e il Trattato che istituisce la Comunità europea e alcuni atti connessi, con atto finale, protocolli e dichiarazioni;

            alcune disposizioni del Trattato e i Protocolli addizionali sul ruolo dei parlamenti nazionali e sull'applicazione dei principi di sussidiarietà e proporzionalità, attribuiscono un nuovo e più incisivo ruolo ai parlamenti nazionali nel processo di formazione delle decisioni per garantire una maggiore democraticità al funzionamento delle istituzioni dell'Unione europea. I Parlamenti nazionali nella fase di formazione delle decisioni (ed. Fase ascendente) non sono solo chiamati ad intervenire sui governi indirizzandoli ma, attraverso procedure di collegamento, possono intervenire direttamente entro limiti determinati nell'iter decisionale;

            il disegno di legge n. 1781 recante «disposizioni di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee - legge comunitaria 2009» presenta diversi profili di incostituzionalità ancora più accentuati alla luce dell'evoluzione del diritto comunitario;

            nello specifico è in via generale censurabile per la salvaguardia delle prerogative del Parlamento l'ampio utilizzo che viene fatto dello strumento della delega legislativa in quanto:

                trasferisce la competenza normativa primaria al Governo riducendo il ruolo del Parlamento. Pertanto si pone nel senso inverso rispetto all'evoluzione dell'ordinamento comunitario che amplia il ruolo dei parlamenti nazionali estendendo le competenze al processo decisionale delle istituzioni dell'Unione europea;

                non consente l'adempimento degli obblighi in quanto non attua e non da esecuzione alle norme comunitarie ma ne dispone il rinvio ad altro atto;

                non definisce nelle disposizioni che contengono «principi e criteri direttivi generali della delega legislativa» utilizzabili indistintamente per le numerose deleghe gli elementi richiesti dall'articolo 76 e l'ambito con riferimento all'oggetto e alla delimitazione dei principi e criteri direttivi;

                dispone l'attuazione di decisioni quadro adottate nell'ambito della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale (Capo III del disegno di legge) che, implicando interventi sul diritto penale sostanziale e processuale, dovrebbe essere effettuata con appositi disegni di legge approvati dal Parlamento;

            più specificamente oltre le ragioni di opportunità evidenziate alcune disposizioni presentano profili di incostituzionalità:

                l'articolo 1 (delega al Governo per l'attuazione di direttive comunitarie) comma 5 viola l'articolo 76 della Costituzione in quanto, nel conferire una delega «generalizzata» relativa tutti i decreti legislativi emanati in applicazione della delega conferita con l'articolo 1, non indica principi e criteri direttivi limitandosi a delegare il Governo all'introduzione disposizioni «Integrative e correttive» e configura nella sostanza una «delega in bianco»;

                l'articolo 2 (principi e criteri direttivi generali della delega legislativa) comma 1 lettera c) nella parte in cui consente «ove necessario per assicurare l'osservanza delle disposizioni contenute nei decreti legislativi» di introdurre sanzioni amministrative e penali sulla base di principi generali e senza l'indicazione delle fattispecie. Tale delega, tenuto conto che il diritto comunitario non interviene direttamente in materia penale, appare ancora troppo generica per soddisfare quanto richiesto dall'articolo 76 della Costituzione. Si aggiunga che le direttive attuate con delega toccano materie eterogenee e differenti per importanza e per tipologia di intervento;

                ancora più incisivi sono i rilievi relativi all'articolo 3 (delega al Governo per la disciplina sanzionatoria di violazioni di disposizioni comunitarie) per il quale da una parte valgono le considerazioni fatte per l'articolo 2 comma 1 lettera c), la disposizione infatti è richiamata per la determinazione dei principi e criteri direttivi, ma la delega si presenta ancora più indeterminata nell'oggetto in quanto il Governo è delegato ad adottare disposizioni recanti sanzioni penali o amministrative per la violazione di obblighi contenuti in direttive comunitarie attuate in via regolamentare o amministrativa;

                allo stesso modo l'articolo 5 (delega al Governo per il riordino normativa nelle materie interessate dalle direttive comunitarie), con il quale si conferisce al Governo la delega ad adottare testi unici non meramente compilativi per il coordinamento delle disposizioni normative vigenti con quelle introdotte con l'esercizio della delega, non contiene principi e criteri direttivi atteso che il coordinamento comporta la modifica di disposizioni primarie;

            delibera di non procedere alla discussione del disegno di legge n. 1781 .

Allegato B

Congedi e missioni

Sono in congedo i senatori: Alberti Casellati, Bornacin, Boscetto, Caliendo, Caselli, Castelli, Ciampi, Ciarrapico, Davico, Dell'Utri, Giovanardi, Malan, Mantica, Mantovani, Mugnai, Palma, Pera, Vallardi e Viespoli.

Sono assenti per incarico avuto dal Senato i senatori: Adragna (dalle ore 10.15), Paolo Franco (dalle ore 12.15) e Paravia, per attività di rappresentanza del Senato; Cabras e Torri, per attività della delegazione italiana presso l'Assemblea parlamentare NATO; Carloni, Chiti, Crisafulli, Giaretta, Marcenaro, Nessa, Russo, Santini, Saro e Tofani, per attività dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa-UEO.

Governo, trasmissione di atti

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, con lettere in data 9 e 23 dicembre 2009, ha trasmesso - ai sensi dell'articolo 9 della legge 24 gennaio 1978, n. 14 - le comunicazioni concernenti le nomine:

dell'ingegner Domenico Totaro a Commissario straordinario dell'Ente parco nazionale dell'Appennino lucano - Val D'Agri - Lagonegrese (n. 50);

del dottor Silvio Vetrano a Commissario straordinario dell'Ente parco nazionale dell'Asinara (n. 51);

dell'avvocato Giacomo Diego Gatta a Commissario straordinario dell'Ente parco nazionale del Gargano (n. 52);

del dottor Arturo Diaconale a Commissario straordinario dell'Ente parco nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga (n. 53).

del professor Pierleonardo Zaccheo a Commissario straordinario dell'Ente parco nazionale della Val Grande (n. 54).

Tali comunicazioni sono trasmesse, per competenza, alla 13a Commissione permanente.

Interrogazioni

GHEDINI, BUBBICO, ROILO, TREU, NEROZZI, PASSONI - Ai Ministri dello sviluppo economico e del lavoro e delle politiche sociali - Premesso che:

il 12 febbraio 2009 la Ittierre SpA viene ammessa alla procedura di amministrazione controllata con decreto del Ministro dello sviluppo economico, emanato sulla base dello stato di insolvenza dichiarato dalla società, che presenta un indebitamento superiore ai 300 milioni di euro a cui si aggiungono garanzie per oltre 300 milioni rilasciate a favore di altre società del gruppo;

la suddetta società, sita a Pettoranello del Molise (Isernia), con i suoi 836 dipendenti, rappresenta il cuore del gruppo industriale che da anni lavora nel campo dell'alta moda, fornendo capi alle più importanti griffe in campo internazionale;

il gruppo Ittierre rappresenta, per il Molise e non solo, il punto di riferimento della filiera tessile nata intorno l'azienda che ad oggi conta più di 1.000 addetti;

dalla data del fallimento tutto l'indotto, che lavora in regime di monocommittenza, è caduto nella più grave crisi di commesse degli ultimi 20 anni;

il vertice commissariale, dopo l'accertamento dei debiti, ha presentato un piano industriale di risanamento dell'azienda, piano che ancora non è stato discusso con le parti sociali e, in merito al quale, ad oggi, non si conoscono dati ufficiali;

considerato che:

attualmente 160 lavoratori sono in cassa integrazione ordinaria e la riorganizzazione aziendale avverrà attraverso un taglio drastico del personale;

il vertice aziendale sta cercando di condurre la vertenza al fine di poter garantire agli esuberi una cassa integrazione straordinaria per 2 anni per poi proseguire con la mobilità;

l'azienda è in contatto con la Regione Molise per considerare un piano di intervento sugli esuberi attraverso forme incentivanti di politica attiva;

la Regione Molise ha garantito interventi sul capitale umano, sotto forma di ammortizzatori sociali, ma non risulta aver formalizzato una proposta sul tema del rilancio aziendale;

il processo di riorganizzazione aziendale sta passando attraverso la cessione dei marchi (It distribuzione srl, Manifatture Associate c.f. sas, Mac Marbella srl, Malo SpA, Plus It SpA, It commercial service srl, Ittierre suisse s.a., It Asia p.l., Ittierre moden gmbh, Ittierre France s.a., Extè srl, ITC SpA, Gianfranco Ferrè SpA); tale processo comporta il rischio di trasformazione dell'impresa in un'azienda di contoterzismo, con limitazione della funzione produttiva al confezionamento, dequalificazione del profilo produttivo aziendale e probabile drastico ridimensionamento dei livelli occupazionali; la riduzione della specializzazione potrebbe aumentare l'esposizione dell'azienda al rischio di chiusura,

si chiede di sapere:

quali siano le valutazioni in merito al piano industriale presentato dai commissari nel mese di novembre 2009;

quali siano le valutazioni del Governo sulle numerose richieste di acquisto dell'azienda che sono state avanzate;

quale sia complessivamente lo stato del procedimento di gestione della crisi aziendale;

quali misure intenda predisporre o favorire per conservare e rilanciare il patrimonio produttivo e garantire l'occupazione nel territorio interessato.

(3-01131)

BERSELLI - Al Ministro della giustizia - Premesso che:

i sostituti procuratori della Repubblica presso il Tribunale di Bologna dottor Luigi Persico e dottor Massimiliano Serpi chiesero a giudizio dell'interrogante inopinatamente ed affrettatamente al giudice per le indagini preliminari l'archiviazione del procedimento che vedeva coinvolto il sindaco di Bologna Flavio Delbono;

dopo che il giudice per le indagini preliminari dottor Giorgio Floridia respinse al mittente tale richiesta, la Procura ha ripreso le indagini con i sostituti procuratori dottor Massimiliano Serpi e dottoressa Morena Plazzi, avendo quest'ultima sostituito il dottor Persico passato nel frattempo alla Procura generale;

da quel momento le indagini hanno ripreso ben altra spinta e vigore con la contestazione a Delbono dei reati prima di abuso d'ufficio e di peculato, poi di truffa aggravata;

a quanto consta all'interrogante l'indagine però sembra condotta dal solo Pubblico ministero dottoressa Plazzi mentre dell'attività del dottor Serpi è non si ha notizia,

si chiede di sapere:

se risulti al Ministro in indirizzo che il Pubblico ministero dottor Serpi avrebbe richiesto di essere esonerato dall'indagine;

in caso positivo, se sia a conoscenza delle specifiche ragioni addotte dal Pubblico ministero e se tale richiesta sia stata accolta.

(3-01133)

Interrogazioni orali con carattere d'urgenza ai sensi dell'articolo 151 del Regolamento

LANNUTTI, GIAMBRONE - Al Ministro per i beni e le attività culturali - Premesso che:

l'Istituto superiore per la conservazione ed il restauro (ISCR, già Istituto centrale del restauro) sta per essere sfrattato, con sentenza passata in giudicato e uso della forza pubblica, dalla sua sede storica a Roma in piazza San Francesco di Paola, a causa di un annoso contenzioso di natura economica tra il Ministero per i beni e le attività culturali e l'ordine religioso che ne è proprietario;

fu lo stesso Cesare Brandi, fondatore dell'Istituto centrale del restauro nel 1939, a volere l'assegnazione del cinquecentesco palazzo Borgia Cesarini e di una parte del convento seicentesco annesso, e a curarne l'allestimento e l'adeguamento funzionale per realizzare la sua pionieristica idea di un istituto multidisciplinare;

nel corso degli anni cospicue risorse economiche dello Stato sono state impiegate per la conservazione e l'ammodernamento tecnologico di ambienti ed impianti, indispensabili per le finalità di ricerca, formazione e restauro che l'Istituto da sempre svolge in Italia e nel mondo;

fin dagli anni '80 parte dell'Istituto venne trasferito in alcuni spazi del complesso monumentale di San Michele, in attesa del completamento del restauro di altri corpi di fabbrica, che avrebbero permesso la sua riunificazione in un'unica sede: riunificazione che non è mai avvenuta poiché, di volta in volta, le aree destinate all'ISCR sono state assegnate ad altri uffici e istituzioni, disattendendo in un caso un decreto ministeriale dell'allora ministro Giovanna Melandri;

ora si prospetta un trasloco a tappe forzate, da attuarsi nel giro di poche settimane, negli spazi residuali del San Michele, dove personale e attrezzature verrebbero dislocati in modo frammentario e inadeguato, con grave penalizzazione dell'operatività dell'Istituto, che per la sua peculiare fisionomia - basti pensare ai laboratori scientifici e agli archivi - necessita di spazi consoni: una simile eventualità comprometterebbe gravemente l'attività della struttura, tra l'altro proprio alla vigilia della riapertura della celebre Scuola di alta formazione di restauro, e ne tradirebbe l'identità e lo spirito originario, che ne fecero e ne fanno ancora un'istituzione la cui eccellenza tutto il mondo riconosce;

nella sede storica dell'ISCR sopravvivono, dell'originario allestimento, la biblioteca "Adolfo Venturi" nonché alcune particolari strumentazioni di grandi dimensioni realizzate per importanti interventi del passato, prototipi dello sviluppo tecnologico nel campo della conservazione, da salvaguardare e tali da poter costituire il nucleo di un futuro museo del restauro,

si chiede di sapere:

se il Ministro in indirizzo intenda accertare motivazioni e responsabilità della situazione descritta in premessa;

perché il Ministero non abbia predisposto per tempo adeguate soluzioni;

se il Governo intenda stanziare risorse economiche adeguate per il definitivo ricongiungimento dell'ISCR nel suo insieme in una sede appropriata.

(3-01132)

Interrogazioni con richiesta di risposta scritta

LATRONICO - Al Ministro dell'economia e delle finanze -

(4-02606)

(Già 3-00166)

LANNUTTI, GIAMBRONE - Ai Ministri dell'interno e delle infrastrutture e dei trasporti - Premesso che:

da un'indagine condotta dall'agenzia di stampa Adnkronos sui bilanci dei Comuni italiani, è emerso che questi fanno cassa con le multe stradali: in particolare nel 2008 le multe sono state 12,6 milioni, 1.427 all'ora, ovvero circa 24 al minuto. In media 76 euro per ogni italiano munito di patente, mentre ogni vigile avrebbe compilato verbali per un ammontare di 43.000 euro;

è evidente che le entrate per le infrazioni degli automobilisti sono diventate una voce irrinunciabile per i conti comunali e le amministrazioni indicano in bella evidenza il gettito previsto per i prossimi esercizi nei bilanci di previsione: il Comune di Verona, per esempio, dalla voce «sanzioni al codice della stra­da» conta di in­cassare nel 2010 13,2 milioni di euro contro i 10 milioni del 2009, il Comune di Salerno prevede un aumento del gettito delle multe dagli 11 milioni del 2009 ai 15 milioni del 2010. La tendenza rimane inalterata anche prendendo in considerazione i Comuni minori;

considerato che:

data la situazione, può crescere anche il rischio di truffe ai danni degli automobilisti, come nel caso dei sensori collocati sui semafori: la Corte di cassazione con una sentenza del 30 ottobre 2009 ha dichiarato nulle le multe in caso di assenza del vigile urbano, ma i verbali continuano ad arrivare e l'impugnativa al giudice di pace è di fatto impedita a causa dei costi elevati;

l'articolo 208 del Codice della strada (di cui al decreto legislativo n. 285 del 1992 e successive modificazioni ed integrazioni) prevede che i proventi delle multe siano reinvestiti in attività a favore della sicurezza e della prevenzione degli incidenti stradali, prescrizione che viene spesso disattesa: come evidenzia uno studio della fondazione Caracciolo dell'Aci sui piccoli Comuni e polizie locali, il 50 per cento dei Comuni non utilizza le risorse derivanti dai suddetti proventi come previsto dalla legge. Altrettanto evidente è la mancata applicazione della direttiva del Ministro dell'interno 14 agosto 2009, che impone di installare gli autovelox su strade ad alto rischio di incidenti,

si chiede di sapere:

se, per quanto di loro competenza, i Ministri in indirizzo non intendano assumere le necessarie iniziative per indurre i Comuni ad evitare l'interpretazione distorta di una norma del Codice della strada, che prevede l'uso della strumentazione per il controllo della velocità al solo fine di prevenire gli incidenti stradali e disincentivare l'alta velocità;

se non intendano provvedere alla verifica dell'effettiva destinazione dei proventi delle violazioni al codice della strada;

quali iniziative urgenti di competenza intendano assumere, al fine di evitare ai cittadini il rischio di essere vessati dalle amministrazioni locali, nel caso ad esempio che le multe incassate risultino inferiori alla cifra indicata nei bilanci di previsione.

(4-02607)

PETERLINI - Al Ministro per i beni e le attività culturali - Premesso che:

Vittorio Calvaruso, titolare firmatario dell'omonima impresa individuale che esercita l'attività di spettacolo viaggiante/mostra faunistica, gestisce il Victor - lo spettacolo delle meraviglie - mostra faunistica itinerante che rientra perfettamente nella fattispecie dell'elenco delle attività spettacolari, attrazioni e trattenimenti di cui all'art. 4 della legge 18 marzo 1968, n. 337, ovvero: "Mostre Faunistiche Zoo che l'art. 1 del decreto ministeriale 23 ottobre così descrive: "Trattasi di strutture, padiglioni o di automezzi o rimorchi aperti da un lato, riparati con sbarre di ferro o vetri, nell'interno dei quali sono posti animali feroci o non, o riproduzioni di animali, anche animate, con eventuale esibizione davanti al pubblico";

il 27 maggio 2009 tutti gli animali del Victor sono stati posti sotto sequestro dall'Asl di Montecatini (Pistoia), dagli agenti del NIRDA (Nucleo investigativo reati a danno di animali) del Corpo forestale dello Stato (CFS) e dal Comando regionale del CITES del CFS;

il sequestro preventivo e probatorio è stato convalidato dalla Procura della Repubblica di Pistoia in data 29 maggio 2009, ma non è stato possibile trasferire subito gli animali in strutture adeguate in quanto, dagli accertamenti sanitari eseguiti, sono emerse zoonosi (quali la clamidiosi e la salmonellosi) a causa delle quali si è reso necessario porre il circo in quarantena;

successivamente il Tribunale del riesame, con sentenza del 19 giugno 2009, ha annullato il sequestro di alcuni animali confermando quello di tutti i volatili, giudicati veramente, ed ingiustificatamente, sofferenti in quanto sottoposti a comportamenti inidonei alle loro caratteristiche etologiche;

in data 4 agosto 2009, espletata la profilassi sanitaria, sono stati trasferiti presso centri idonei 82 animali, dei 103 presenti al Victor, i quali hanno iniziato un percorso di monitoraggio per verificare le fasi di acclimatamento, ed è stata effettuata un'indagine per accertarne lo stato di salute visibilmente compromesso, ed in alcuni casi anche gravemente, come emerso dagli atti di indagine;

a quanto risulta all'interrogante, il signor Calvaruso è attualmente indagato per: maltrattamento di animali, spettacoli e manifestazioni vietate, esposizione di esemplari per scopi commerciali privi della prevista certificazione CITES, detenzione di animali in condizioni incompatibili, truffa, abbandono di rifiuti;

il Victor ha ricominciato i suoi spettacoli itineranti con gli animali rimasti ma, in breve tempo, sono stati introdotti nuovi uccelli e, a quanto risulta all'interrogante, come emerge dalla relazione, corredata da materiale video/fotografico, del dottor Vincenzo Ferri, erpetologo ed attuale membro dello IUCN/SSC Tortoise and freshwater turtle specialist group, durante lo spettacolo delle ore 17,15 del 6 novembre 2009 a Civita Castellana (Viterbo), vengono esibiti ben 13 appartenenti alle medesime specie di quelli oggetto del precedente sequestro;

non risulta all'interrogante che le autorità competenti stiano intervenendo per impedire il perpetrarsi di una nuova fattispecie di maltrattamento a carico di nuovi uccelli;

l'Ente nazionale circhi, in base ad un'agenzia di stampa del 20 marzo 2009 a seguito della proiezione dello spettacolo del Circo Victor, ne ha preso le distanze auspicando maggiori e sempre più severi controlli "nei confronti di mostre faunistiche o similari che con il circo hanno in comune poco o niente" ed ha invitato le autorità competenti a predisporre i provvedimenti necessari nei confronti di chi non rispetta la legge;

è indubbio che il Ministero per i beni e le attività culturali, attraverso le competenze affidate alla Direzione generale per lo spettacolo dal vivo, intervenga nei confronti di circhi e spettacoli viaggianti unicamente attraverso l'erogazione di contributi, ma è pur vero che tali attività rientrano nella propria sfera di dipendenza e che, per tale motivo, se ne deve quindi valutare proprio la valenza culturale;

di più, il decreto ministeriale 20 novembre 2007, recante i criteri e le modalità di erogazione di contributi in favore delle attività circensi e di spettacolo viaggiante, seppur riconducibili ad un effetto meramente economico, individua, all'art. 2, comma 3, gli obbiettivi perseguiti dal Ministero, tra cui: favorire la qualità artistica dello spettacolo circense ed il costante rinnovamento dell'offerta di spettacolo viaggiante e dell'arte circense italiana; consentire ad un pubblico sempre più ampio di accedere alla cultura circense e promuovere, nella produzione dello spettacolo circense e viaggiante la qualità, la ricerca, la sperimentazione di nuove tecniche e nuovi stili;

lo stesso decreto, all'art. 7, rubricato "Decadenza dal contributo", cita, al comma 2, "Per i contributi al settore circense, la decadenza è disposta anche nel caso di condanna definitiva per i delitti di cui al Titolo IX-bis del libro II del codice penale, o di ogni altra violazione di disposizioni normative statali e dell'Unione europea in materia di protezione degli animali",

si chiede di sapere:

se il Ministro in indirizzo non intenda prendere misure straordinarie nei confronti di strutture, quali il Victor, che nulla hanno di culturale e che lucrano unicamente attraverso lo sfruttamento degli animali, prevedendo l'introduzione dell'istituto della sanzione;

se non ritenga di assegnare in tal senso compiti di monitoraggio alla Consulta per i problemi dello spettacolo presso la Direzione generale per lo spettacolo dal vivo.

(4-02608)

SERAFINI Anna Maria - Al Presidente del Consiglio dei ministri - Premesso che:

in occasione della Conferenza nazionale sull'infanzia e l'adolescenza, tenutasi a Napoli lo scorso novembre 2009, il Governo si è impegnato a proseguire il percorso per l'adozione del piano nazionale d'azione per l'infanzia e l'adolescenza e a giungere, entro fine gennaio 2010, ad una nuova convocazione dell'Osservatorio nazionale;

sono ancora molti i nodi irrisolti che rendono difficile la vita e lo sviluppo armonioso dei bambini e degli adolescenti;

le associazioni e le organizzazioni che hanno sottoscritto, in occasione della Conferenza nazionale, il documento "Batti il cinque!", hanno preso l'impegno di dare attenzione costante, puntuale e rigorosa al processo di redazione del piano nazionale d'azione e di seguirne attivamente l'attuazione, affinché esso contribuisca significativamente al rispetto della Convenzione internazionale dell'ONU sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza;

in particolare il documento "Batti il cinque!", sottoscritto da 50 fra associazioni e organizzazioni e quasi 200 operatori, chiede di rispettare: il diritto alla vita, alla sopravvivenza e allo sviluppo; il superiore interesse del bambino e dell'adolescente; il principio di non discriminazione; il principio dell'ascolto delle opinioni del bambino e dell'adolescente, nonché di adottare, finanziare, monitorare il Piano nazionale dei diritti dei bambini e degli adolescenti;

considerato inoltre che:

la legge n. 451 del 1997 prevede l'adozione del piano nazionale d'azione per l'infanzia e l'adolescenza a cadenza biennale;

l'ultimo piano per l'infanzia approvato dal Governo risale invece al periodo 2002-2004;

le associazioni ed organizzazioni che hanno sottoscritto il documento "Batti il cinque!" ritengono fondamentale utilizzare il lavoro svolto dell'Osservatorio nazionale nella stesura di bozza del piano nazionale d'azione;

l'Osservatorio ha individuato le seguenti direttrici: a) favorire la partecipazione per la costruzione di un patto intergenerazionale; b) promuovere l'interculturalità; c) consolidare la rete integrata dei servizi e il contrasto all'esclusione sociale; d) rafforzare la tutela dei diritti;

nel corso del 2010, il Comitato ONU sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza analizzerà i rapporti sullo stato di attuazione in Italia della Convenzione ONU sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza,

si chiede di sapere:

se il Governo intenda rispettare i tempi annunciati in occasione della Conferenza di Napoli, affinché si arrivi al più presto all'approvazione del piano nazionale d'azione per l'infanzia e l'adolescenza;

se le istituzioni preposte intendano rispettare l'impegno assunto di riconvocare l'Osservatorio nazionale per l'infanzia e l'adolescenza entro la fine del mese di gennaio 2010; in particolare, se intendano seguire le direttrici d'azione proposte dall'Osservatorio nazionale, e valorizzare il lavoro svolto nell'individuazione di azioni;

se abbia intenzione di destinare risorse adeguate all'attuazione delle misure previste nel piano e di monitorare la sua attuazione, garantendo la piena esigibilità dei diritti per tutti i minori presenti a qualunque titolo sul territorio nazionale, superando quindi le logiche di finanziamenti residuali e dipendenti dalle "risorse disponibili";

se intenda promuovere, nella formulazione, nell'attuazione e nella valutazione del piano d'azione, la partecipazione dei bambini e dei ragazzi;

se, per la definizione dei contenuti del piano, intenda rispettare, in particolare, le raccomandazioni che formulerà il Comitato ONU e gli impegni assunti in sedi internazionali;

se intenda valorizzare il lavoro e le proposte delle associazioni che hanno sottoscritto il documento "Batti il cinque!";

se, per la definizione dei contenuti del piano, intenda prestare la dovuta attenzione alla ricchezza del dibattito e delle proposte elaborate, in particolare, dal coordinamento Pidida, dal Forum permanente del terzo settore, dal gruppo CRC (2° rapporto supplementare alle Nazioni Unite sul monitoraggio della Convenzione sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza in Italia) e dalle altre organizzazioni.

(4-02609)

GIULIANO - Ai Ministri della giustizia, dell'economia e delle finanze e per i beni e le attività culturali - Premesso che:

in data 12 dicembre 2006 l'interrogante presentò, come primo firmatario, un'interrogazione al Presidente del Consiglio dei ministri e ai Ministri della giustizia, dell'economia e delle finanze e delle infrastrutture, con la quale si chiedeva un'allocazione logisticamente e funzionalmente idonea per la sede meridionale della Scuola superiore della magistratura di cui alla legge n. 150 del 2005, proponendo di valutare l'ipotesi del Castello aragonese di Aversa (Caserta), sede della Scuola di formazione della Polizia penitenziaria, una soluzione che, a parte ogni altra considerazione, sarebbe avvenuta quasi a costo zero;

tra il 1996 e il 2007 ha conosciuto progressiva attuazione il processo, ad oggi quasi completo, di trasferimento degli uffici della Corte d'appello di Napoli dal complesso monumentale di Castel Capuano al nuovo palazzo di giustizia, sito nel centro direzionale della città;

il palazzo di Castel Capuano, di origine normanna, risalente al XII secolo, ricade nel perimetro del centro storico di Napoli dichiarato patrimonio dell'Unesco ed è, per il suo elevato valore storico-architettonico, sottoposto alla tutela del Ministero per i beni e attività culturali;

nei locali di Castel Capuano sono tuttora ospitate la Presidenza e la Direzione amministrativa della Corte d'appello e gli uffici di gestione del personale dell'intero distretto giudiziario;

il programmato ed imminente trasferimento presso il centro direzionale degli uffici ancor oggi operanti in Castel Capuano aggraverà, tra gli altri, i problemi di manutenzione dell'edificio e, nel comportare la presumibile dismissione dell'attuale presidio della Polizia di Stato, porrà altresì problemi di sorveglianza dell'immobile e dei suoi contenuti, di elevato valore storico ed artistico;

il palazzo di Castel Capuano (circa 12.000 metri quadrati utili), recentemente svuotato, come detto, della sua funzione storica da cinque secoli legata alla giustizia, versa attualmente in condizioni di grave degrado;

Castel Capuano è ubicato a circa sette chilometri dall'aeroporto internazionale di Capodichino e a poche centinaia di metri dalla stazione ferroviaria centrale di Piazza Garibaldi, oggi snodo dei treni Nord-Sud ad alta velocità;

con decreto interministeriale 27 aprile 2006 si individuava nella città di Catanzaro la sede meridionale, delle tre previste a livello nazionale dalla legge n. 150 del 2005, della Scuola superiore della magistratura, alla quale, nel suo complesso, è affidato il compito di formazione degli uditori giudiziari e di aggiornamento dei magistrati in servizio, anche ai fini della progressione in carriera;

con sentenza n. 3087 del 2009, il TAR Lazio ha caducato il successivo decreto interministeriale n. 26 del 30 novembre 2006, nella parte in cui individuava in Benevento, in luogo di Catanzaro, la sede meridionale della Scuola superiore della magistratura;

da affidabili calcoli, basati su parametri quantitativi (numero dei magistrati in servizio presso i distretti di Corte d'appello dell'Italia meridionale più la Sicilia) e qualitativi (progressione in carriera, passaggio alle funzioni superiori, eccetera), si può prevedere che la sezione Sud della Scuola superiore della magistratura dovrà ogni anno ospitare 600-700 magistrati;

notizie di stampa riferiscono che il Ministero della giustizia starebbe studiando nuove soluzioni alla questione relativa alla sede meridionale della Scuola superiore della magistratura,

si chiede di sapere:

se sia in corso alcuna valutazione di carattere strategico in merito al recupero e alla futura destinazione dello storico palazzo di Castel Capuano;

se, in considerazione del legame storico tra il complesso monumentale di Castel Capuano e la funzione "giustizia", nonché della felice ubicazione del sito rispetto a fondamentali nodi del trasporto nazionale ed internazionale, non ritengano di rilanciare strategicamente il prestigioso complesso monumentale, in una prospettiva che sia coerente con la sua tradizionale vocazione, e quindi di provvedere al più presto al restauro dell'edificio per destinarlo ad un ruolo di primo piano nella formazione degli avvocati e/o degli stessi magistrati;

se, alla luce della richiamata sentenza del Tar Lazio e delle problematiche che ne sono sorte, nonché dell'immediata ed agevole fruibilità a costo zero del Castello aragonese di Aversa, non sia opportuno allocarvi, nel frattempo e, semmai, provvisoriamente, la sede meridionale della Scuola superiore della magistratura.

(4-02610)

PALMIZIO - Al Ministro della giustizia - Premesso che:

le recenti dimissioni volontarie annunciate dal Sindaco di Bologna Flavio Delbono si sono originate a seguito dell'inchiesta della Magistratura per eventuali illeciti commessi quando Delbono era Vicepresidente della Regione Emilia-Romagna;

già durante la campagna elettorale per la scorsa tornata di elezioni amministrative il "Caso Delbono" era stato reso di dominio pubblico dallo sfidante alla carica di primo cittadino di Bologna Alfredo Cazzola, e la Procura della Repubblica di Bologna, nelle persone dei magistrati dottor Luigi Persico e dottor Massimiliano Serpi, aveva iniziato un'indagine poi conclusasi con richiesta di archiviazione;

la richiesta di archiviazione della Procura della Repubblica di Bologna non è stata accolta dal giudice per le indagini preliminari dottor Giorgio Floridia il quale ha disposto ulteriori indagini ai sensi dell'art. 409 codice di procedura penale e ciò sulla base degli stessi documenti del fascicolo dei pubblico ministero, non essendo il giudice per le indagini preliminari in possesso di fascicoli autonomi;

non si comprendono le dichiarazioni rese al "Corriere della Sera" (edizione di Bologna) il 23 gennaio 2010 dal magistrato dottor Luigi Persico, all'epoca titolare dell'inchiesta su Flavio Delbono condivisa con il procuratore aggiunto dottor Massimiliano Serpi e sfociata nella richiesta di archiviazione, nella quale si dice testualmente, tra l'altro, che "quello su cui si indaga oggi non è stato oggetto dell'inchiesta mia e di Serpi. Come avremmo potuto? Nessuno ce ne parlò. Nessuno ci mise sul tavolo la questione delle spese di rappresentanza, per esempio. Il tema che ci venne posto fu quello delle indennità delle missioni ufficiali e noi indagammo su quello, non trovando anomalie chiedemmo l'archiviazione";

alla luce delle dichiarazioni rilasciate dal dottor Luigi Persico nell'articolo sopraccitato emerge un'autodifesa, a giudizio dell'interrogante, inconsistente, contraddittoria e potenzialmente fuorviante, dal momento che il giudice per le indagini preliminari, nel disporre nuove indagini si è basato sugli stessi documenti esaminati dai pubblico ministero;

a quanto consta all'interrogante, la seconda indagine, affidata al pubblico ministero dottoressa Morena Plazzi e nuovamente al Procuratore aggiunto Massimiliano Serpi, è stata affrontata sulla base degli stessi documenti del fascicolo precedente e non su altri fascicoli autonomi;

sempre da notizie di stampa, risulta che il Procuratore aggiunto dottore Massimiliano Serpi, che all'epoca condivise l'indagine con il dottore Persico e che oggi condivide con il pubblico ministero dottoressa Morena Plazzi la nuova inchiesta nata su impulso del giudice per le indagini preliminari, avrebbe presentato istanza scritta di esonero. E che tale istanza, a quanto consta all'interrogante, parrebbe essere procedura assolutamente anomala,

si chiede di sapere:

se il Ministro in indirizzo intenda promuovere iniziative di ispezione presso la Procura della Repubblica di Bologna per accertare eventuali omissioni o comportamenti censurabili dei Pubblici Ministeri dottor Luigi Persico e dottor Massimiliano Serpi nella conduzione della prima indagine su Delbono;

se ritenga opportuno promuovere iniziative di ispezione intese a chiarire i motivi che avrebbero determinato la richiesta scritta di esonero del dottor Massimiliano Serpi dalla seconda indagine condotta insieme alla dottoressa Morena Plazzi.

(4-02611)

Interrogazioni, da svolgere in Commissione

A norma dell'articolo 147 del Regolamento, le seguenti interrogazioni saranno svolte presso le Commissioni permanenti:

2a Commissione permanente (Giustizia):

3-01133, del senatore Berselli, sulle indagini che vedono coinvolto Flavio Delbono;

10a Commissione permanente (Industria, commercio, turismo):

3-01131, dei senatori Ghedini ed altri, sulla crisi dell'azienda della moda Ittierre SpA di Isernia.