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Interventi e interviste

Interventi - Sottosegretario Alfredo Mantovano

11.01.2010

Immigrazione e identità nazionale. Verso un modello italiano

E' il titolo del convegno tenutosi a Roma e promosso dalla Fondazione Nuova Italia

L’Italia è una Nazione che, rispetto ad altri partner europei, Francia e Regno Unito in testa, affronta la questione immigrazione da un tempo relativamente recente: appena vent’anni. Per questo, dopo aver superato una serie di emergenze (da ultima, quella degli sbarchi), oggi essa è in condizione di giocare la partita dell’integrazione puntando alla elaborazione di un proprio “modello”, che faccia tesoro delle esperienze degli altri Paesi, e che tenga conto della propria identità.

Chi oggi viene in Europa da aree meno sviluppate pensa di stabilirsi mediamente solo in un terzo dei casi: l’altro 70% si pone l’obiettivo di mettere da parte dei risparmi, di acquisire mestieri e/o professionalità, di far frequentare ai figli le nostre scuole, quindi di rientrare dopo un numero apprezzabile di anni nel Paese d’origine per far fruttare i risparmi e le conoscenze apprese. A che cosa serve a costoro la cittadinanza? Chi di loro realmente la chiede o la desidera?

In tal senso va perseguita – e può costituire un pilastro del “modello italiano” – una politica di reinserimento dei lavoratori immigrati nei paesi di origine, che punti a garantire nei fatti l’equilibrio tra la soddisfazione in modo flessibile del fabbisogno di mano d’opera dell’economia italiana e la necessità di nuove opportunità di lavoro dei Paesi di provenienza. Va costruita quella che potrebbe definirsi una “immigrazione rotazionale”, basandola su un doppio binario: percorsi di inserimento non virtuale di chi viene in Italia e in Europa e percorsi di rientro incentivato nei luoghi di provenienza, tesi a collocare nel modo più adeguato e soddisfacente chi ha maturato competenze e capacità di contribuire allo sviluppo del proprio Paese. Ciò richiede in modo decisivo il rafforzamento della cooperazione, indirizzando le scelte sia delle istituzioni comunitarie, sia degli enti territoriali italiani, sia – per quanto si lascino coinvolgere – delle istituzioni degli Stati di provenienza.

Governo dell’immigrazione significa però, oltre che collegare la disciplina dei flussi a procedure meno burocratizzate, non agganciarsi esclusivamente agli indici del mercato del lavoro. Quello su cui è necessario riprendere una riflessione non sommaria né demonizzante è tentare di orientare gli arrivi nei differenti Paesi europei sulla base di consonanze culturali in senso lato, proprio per permettere la migliore integrazione: non si tratta di promuovere impossibili preferenze etniche, ma di essere consapevoli che la convivenza riesce meglio quanti più numerosi sono gli elementi che si hanno in comune. Una ipotesi del genere, lungi dal possedere connotazioni di discriminazione razziale, è l’esito del buon senso: per ragioni ovvie, un somalo ha una facilità di integrazione in Italia certamente superiore rispetto a un maghrebino, mentre in Francia chi proviene dalla Tunisia trova un terreno più favorevole rispetto a chi proviene dallo Sri Lanka.

In quest’ottica, non dobbiamo temere di riaffermare la nostra identità culturale: anzi, dobbiamo convincerci che l’immigrazione pone a rischio le società che non riescono a mantenere in modo chiaro e deciso la propria identità.





   
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