Newsletter periodica d’informazione

(aggiornata alla data del 25 giugno 2010)

 

L’Italia immobile ridimensiona il sogno degli immigrati

 

Censis, Ismu, Iprs: stranieri sempre più simili agli italiani: il 32% ha lavorato in nero, sono in cerca di stabilità, trovano lavoro grazie al passaparola, 3 su 10 guadagnano meno di 800 euro al mese

 

Sommario

o       Dipartimento Politiche Migratorie – Appuntamenti                                                                             pag. 2

o       Prima pagina: Costituzione del Coordinamento Nazionale UIL Immigrazione                                         pag. 2

o       Prima pagina – Ismu, Censis, Iprs: rapporto sul lavoro degli immigrati                                                              pag. 3

o       Prima pagina – Uil di Trieste: grave errore la chiusura dell’ambulatorio per stranieri                           pag. 4

o       Rifugiati – Carcere Libia, il rapporto di Amnesty International                                                                         pag. 4

o       Società – 40 miliardi di euro il reddito straniero; convegno OIL sui  cinesi in Italia                               pag. 6

o       Sindacato – OIL, i lavori della Commissione “decent work for domestic workers”                                  pag. 9

 

A cura del Servizio Politiche Territoriali della Uil

Dipartimento Politiche Migratorie

Rassegna ad uso esclusivamente interno e gratuito, riservata agli iscritti UIL

Tel. 064753292- 4744753- Fax: 064744751

E-Mail polterritoriali2@uil.it    

                                                                                             n. 282



Dipartimento Politiche Migratorie: appuntamenti


Roma, 30 giugno 2010, ore 12.00 – sede AICCRE

Conferenza Stampa sulla conclusione del Progetto NIrva – Ritorno Volontario Assistito

(Giuseppe Casucci)

Roma, 1° luglio 2010, sede Nazionale UIL

Riunione nazionale: costituzione del Coordinamento nazionale UIL Immigrati

(Guglielmo Loy, Giuseppe Casucci)

Roma, 5 luglio 2010, Ministero del Lavoro, Via Fornovo, ore 10.00

Incontro con il nuovo direttore per l’Immigrazione, Natale Forlani

(Guglielmo Loy, Giuseppe Casucci)

Roma, 13 luglio 2010, ore 10.30 sede Cnel

Conferenza Stampa: “VII Rapporto sugli indici di integrazione degli stranieri in Italia”

(Angela Scalzo)


 

   Prima Pagina


Giovedì 1° luglio 2010, sede nazionale UIL, Roma

Costituzione del Coordinamento Nazionale UIL Immigrazione

Di Guglielmo Loy, Segr. Confederale UIL


Come già anticipato in una precedente circolare del 13 maggio u.s., per la data del 1° luglio 2010 è stata convocata presso la nostra sede centrale di Roma una riunione nazionale di quadri e dirigenti UIL impegnati nelle categorie e nei territori in materia di immigrazione. Come tra l’altro deciso nel nostro ultimo Congresso, la riunione è preparatoria di un’assemblea nazionale sull’immigrazione che intendiamo realizzare nell’autunno prossimo, nonché la costituzione di un Coordinamento nazionale UIL Immigrati, composto da quadri e dirigenti stranieri ed italiani, organo che si riunirà periodicamente ed avrà varie funzioni, tra cui:

a)     Analizzare la situazione nel nostro Paese, dal punto di vista dell’immigrazione, anche alla luce della presente crisi economica ed occupazionale, del suo impatto sul mercato del lavoro e sulla società, e dei rischi di dumping sociale conseguenti ad un mancato governo dei flussi migratori d’ingresso;

b)    Analizzare i provvedimenti presi dall’Esecutivo in materia, elaborare proposte e costruire un percorso di governance del fenomeno migratorio all’insegna del dialogo, della ricerca di soluzioni concordate e della costruzione di condizioni di civile convivenza;

c)     Costruire un percorso di azione possibilmente comune con gli altri sindacati, con l’obbiettivo di aprire momenti di confronto e trattativa formale, sia nei confronti degli altri interlocutori sociali, sia con il Governo e le altre Istituzioni, nazionali e locali;

d)    Aprire all’interno della UIL un dibattito approfondito e  produttivo sul futuro multi etnico della nostra società, sui cambiamenti strutturali in corso nel mercato del lavoro oggi e nel futuro,   nonché sulla necessità di aprire maggiormente le strutture della nostra Organizzazione ai quadri e dirigenti di origine straniera che si avvicinano o già operano all’interno della UIL, come cerniere di mediazione culturale tra gli italiani ed i nuovi cittadini.

Come già detto in passato, è importante definire  bene la natura di questo coordinamento nazionale:  chi vi dovrà partecipare; ogni quanto tempo si dovrà riunire; gli obiettivi  e gli strumenti di azione che ne caratterizzeranno la natura; i mezzi e le risorse che avrà a disposizione, le prerogative la portata ed i limiti di azione dello stesso, anche in rapporto con le strutture politiche ed organizzative con le quali  la UIL già opera. Per questo motivo, consideriamo la riunione del 1° luglio 2010 un momento importante di riflessione sia sulla situazione politica, relativamente all’immigrazione, sia come strumento interno di analisi ed elaborazione di proposte concrete.

La riunione, che  si svolgerà a Roma il 1 Luglio, a partire dalle 09.30, presso la sede della UIL nazionale in  via Lucullo (sala Bruno Buozzi, 6° piano), avrà in mattinata un momento di confronto con la nuova Direzione  Generale per l’immigrazione del Ministero del Lavoro, mentre la seconda parte della riunione sarà dedicata alla preparazione dell’Assemblea Nazionale sull’immigrazione e la costituzione del coordinamento.


 

          


Ismu, Censis, Iprs: rapporto sui percorsi lavorativi degli immigrati


 (www.programmaintegra.it) Roma, 17 giugno 2010 - Vivono in Italia in media da 7 anni, hanno titoli di studio paragonabili a quelli della popolazione italiana (il 40,6% è diplomato o laureato, rispetto al 44,9% degli italiani), nel 32% dei casi hanno sperimentato in passato forme di lavoro irregolare (dato che sale al 40% al Sud), e oggi il 29% fa l'operaio, il 21% è colf o badante, il 16% lavora in alberghi e ristoranti, con una retribuzione netta mensile che nel 31% dei casi non raggiunge gli 800 euro. È questo il ritratto degli immigrati che lavorano nel nostro Paese che emerge dall'indagine svolta su un campione di circa 16 mila stranieri da Ismu, Censis e Iprs per il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Siamo sempre più una società multietnica. Gli immigrati presenti in Italia sono poco meno di 5 milioni, aumentati negli ultimi quattro anni di quasi 1,6 milioni (+47,2%), con un forte incremento sia dei residenti (+56,5%), sia dei regolari che non risultano ancora iscritti in anagrafe (+48,7%). Gli irregolari sono invece 560 mila, pari all'11,3% degli stranieri presenti sul nostro territorio. Il 77% degli immigrati maggiorenni svolge un'attività lavorativa regolare. Più di due terzi sono impiegati nel settore terziario, nell'ambito dei servizi (40,7%) e del commercio (22,5%). I mestieri più ricorrenti sono: addetto alla ristorazione e alle attività alberghiere (16%), assistente domiciliare (10%, ma 19% tra le donne), operaio generico nei servizi (9%), nell'industria (8,3%, ma 11,5% tra gli uomini) e nell'edilizia (8%, ma 15,3% tra gli uomini). Tra le figure meno diffuse vi sono quelle più qualificate: le professioni intellettuali (2,4%), gli operai specializzati (2,2%), i medici e paramedici (1,7%), i titolari di impresa (0,5%) e i tecnici specializzati (0,2%). Dal punto di vista della condizione lavorativa, prevalgono gli occupati a tempo indeterminato (sono il 49,2% del totale), il 24,8% ha un impiego a tempo determinato, il 9,7% svolge un lavoro autonomo o ha un'attività imprenditoriale. La metà degli immigrati che lavorano in Italia dichiara di percepire una retribuzione netta mensile compresa tra 800 e 1.200 euro, il 28% ha un salario inferiore, compreso tra 500 e 800 euro, il 3% guadagna meno di 500 euro. Solo il 13,3% ha una retribuzione netta mensile che va da 1.200 a 1.500 euro, e appena l'1,2% guadagna più di 2.000 euro. I risultati dell'indagine sfatano il mito secondo il quale gli immigrati sono coinvolti in forti processi di mobilità sociale: l'Italia non è l'America per loro. Prevalgono i percorsi di mobilità orizzontale (il 66,6% dei cambiamenti di lavoro non determina una modifica sostanziale della loro posizione sociale), solo nel 21,5% dei casi si verificano percorsi di mobilità ascendente e nell'11,9% il cambiamento porta addirittura a un peggioramento della propria condizione lavorativa. I fenomeni di dequalificazione professionale e mobilità discendente risaltano ancora di più se si considera che il 59,8% degli stranieri che lavorano in Italia aveva già una occupazione nel Paese di origine. Le carriere lavorative degli immigrati sono piuttosto semplici, composte da una sola esperienza di lavoro (nel 33% dei casi) o al massimo due (40,4%), il 19,2% dichiara di aver cambiato tre impieghi e soltanto il 7,4% quattro o più occupazioni. Generalmente le loro esperienze di lavoro si concludono a seguito del presentarsi di un'offerta più vantaggiosa (39,9%), per il mancato rinnovo di un contratto a tempo determinato (17%), a causa di un licenziamento (16%) o a seguito della chiusura dell'azienda presso la quale sono impiegati (4,6%).
L'indagine evidenzia una prevalenza dei canali informali di accesso al mercato del lavoro, tra i quali al primo posto si trova il passaparola, attraverso il quale il 73,3% dei lavoratori stranieri dichiara di aver trovato l'impiego attuale (e la percentuale sale tra quanti svolgono lavori poco qualificati o di cura e assistenza alle persone). Seguono gli intermediari privati e le agenzie di lavoro interinale (9%), le parrocchie (6,1%) e i sindacati (2,9%). Sono poco efficaci le inserzioni sui giornali o su Internet, attraverso le quali ha trovato lavoro solo il 2,9% degli immigrati, ma anche i Centri per l'impiego (1,9%). Questi rappresentano però un presidio territoriale dove il 30% degli immigrati si reca per cercare informazioni, compiere adempimenti burocratici, usufruire dei servizi offerti. Il requisito fondamentale per raggiungere la piena integrazione degli stranieri è la conoscenza della nostra lingua, acquisita dalla maggior parte dei lavoratori immigrati. Il 42,8% ne ha una conoscenza sufficiente, il 33,1% buona, l'8,9% ottima, mentre il livello di apprendimento è ancora insufficiente solo per una minoranza pari al 15,1%. Questi sono i principali risultati della ricerca sui percorsi lavorativi degli stranieri immigrati realizzata da Ismu, Censis e Iprs per il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, resi noti oggi a Roma durante il convegno di presentazione in cui sono intervenuti, tra gli altri, il Direttore Generale del Censis Giuseppe Roma, il Segretario Generale dell'Ismu Vincenzo Cesareo, il Presidente dell'Iprs Raffaele Bracalenti, il Direttore Generale della Dg Immigrazione del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali Natale Forlani, il Segretario Generale della Confartigianato Cesare Fumagalli, il Segretario Generale della Coldiretti Franco Pasquali, con le conclusioni del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali Maurizio Sacconi.


 


Trieste. La Uil: "Grave errore chiusura ambulatorio per stranieri"

"Apre uno scenario di incertezza rispetto alla tutela della salute dei singoli e della collettività"


Trieste, 23 giugno 2010 - La Uil di Trieste stigmatizza la delibera dell'Azienda sanitaria numero 1 Triestina di chiudere, dal 21 giugno scorso, l'ambulatorio per stranieri della città, dopo quelle già avvenute nelle altre tre province della regione: Udine, Gorizia e Pordenone. ''La chiusura dell'ambulatorio per gli stranieri di Trieste - afferma il sindacato in una nota - e' un grave errore e apre uno scenario di incertezza rispetto alla tutela della salute dei singoli e della collettività''. La decisione segue la comunicazione inviata dall'avvocatura regionale che, interpellata dopo lo scontro politico innescato dal capogruppo della Lega Nord in Consiglio regionale, Danilo Narduzzi, ha affermato il principio per cui non possono esistere servizi e strutture specificamente dedicati a tipologie di utenti quali gli stranieri non regolarmente soggiornanti. Michele Berti, responsabile Immigrazione della Uil di Trieste, commenta così la chiusura: "la scelta dell'ASS numero 1 di allestire un ambulatorio dedicato, percepito come luogo protetto, gestito da personale competente e affidabile, in cui e' garantita la privacy, ha rappresentato per più di 10 anni una soluzione efficace, in grado di tutelare il principio della salvaguardia della salute individuale e collettiva. Giova ricordare - prosegue Berti - che il regolamento di applicazione della Bossi-Fini sullo specifico punto afferma esplicitamente che le regioni individuano le modalità più opportune per garantire l'erogazione delle cure urgenti, essenziali e continuative agli stranieri irregolari. Dunque, non di privilegi a favore degli stranieri irregolari si trattava, bensì solo di scelte di politica sanitaria finalizzate a garantire che determinati diritti di soggetti deboli, comunque costituzionalmente tutelati, fossero garantiti. Ora, azzerata questa prassi, e' appena da capire - conclude il sindacalista - se gli stranieri irregolari si sentiranno sufficientemente sicuri nell'accedere ai servizi sanitari attraverso modalità ordinarie''.


 

Rifugiati


Carcere Libia, il rapporto di Amnesty


Un rapporto di Amnesty International appean uscito e dedicato alla situazione dei diritti umani in Libia permette di capire meglio la situazione di uno dei "partner" prediletti dell'Italia, assai coccolato per il suo ruolo nella lotta all'immigrazione clandestina e per molteplici alleanze economiche. Malgrado il colonnello Gheddafi nelle sue visite italiane ostenti liberalità il rapporto, intitolato ‘La Libia di domani: quale speranza per i diritti umani?’, denuncia abitudini assai poco liberali come il ricorso alle frustate per punire le adultere, la detenzione a tempo indeterminato e le violenze nei confronti di migranti, richiedenti asilo e rifugiati così come i casi irrisolti di sparizioni forzate di dissidenti. Tutto questo nella totale impunità interna e nella assordante indifferenza degli "amici". In particolare,  Hassiba Hadj Sahraoui, vicedirettrice del Programma Medio Oriente e Africa del Nord di Amnesty International, appunta l'attenzione sull’Agenzia per la sicurezza interna (Asi), che pare avere "poteri incontrastati di arrestare, imprigionare e interrogare persone sospettate di essere dissidenti o di svolgere attività legate al terrorismo. Queste persone possono essere trattenute senza contatti con l’esterno per lunghi periodi di tempo, torturate e private dell’assistenza legale". Ricorda un po' Guantamano, e non è un confronto edificante e nemmeno una scusa. Centinaia di persone in Libia restano in prigione anche dopo la fine della pena o dopo essere state assolte da un giudice. Amnesty cita il caso di Mahmut Hamed Matar, in prigione dal 1990. Dopo 12 anni di carcere in attesa di giudizio, è stato condannato all’ergastolo al termine di un processo gravemente irregolare, in cui sono state utilizzate come prove dichiarazioni rese sotto tortura. Suo fratello, Jaballah Hamed Matar, un dissidente, è stato vittima di sparizione forzata nel 1990 al Cairo, Egitto. Le autorita’ libiche non hanno fatto nulla per indagare sulla sua scomparsa. Nel corso della sua visita alla prigione di Jdeida, nel maggio 2009, Amnesty International ha incontrato sei donne condannate per ‘zina’ (relazione sessuale tra un uomo e una donna al di fuori di un matrimonio legale). Quattro erano state condannate a periodi di carcere tra tre e quattro anni, le altre due a 100 frustate. Altre 32 donne erano in attesa del processo per la medesima imputazione. Mouna è stata arrestata nel dicembre 2008 dopo aver partorito. La direzione ospedaliera del Centro medico di Tripoli avrebbe informato la polizia che c’era stato un parto al di fuori del matrimonio. Mouna è stata arrestata mentre era ancora ricoverata, sottoposta a un breve processo e condannata a 100 frustate.
Naturalmente il grande alibi è la mitica guerra al terrore. All’indomani degli attacchi dell’11 settembre 2001 negli Usa, le autorita’ libiche hanno fatto ricorso a questo argomento per giustificare la detenzione arbitraria di centinaia di persone considerate voci critiche o una minaccia alla sicurezza nazionale. E gli Usa hanno volentieri rinviato in Libia alcuni cittadini libici, precedentemente detenuti a Guantánamo o in carceri segrete. Tra questi, Ibn Al Sheikh Al Libi, che si sarebbe poi suicidato nel 2009 nella prigione di Abu Salim. Nessun particolare delle indagini condotte sulla sua morte è stato reso noto, qui la privacy funziona a meraviglia.
I cittadini libici sospettati di attività legate al terrorismo rimandati nel paese continuano a rischiare la detenzione senza contatti con l’esterno, la tortura e processi gravemente irregolari. Amnesty International, prosegue il rapporto, ha riscontrato un modesto aumento della flessibilità delle autorità libiche nei confronti di coloro che le criticano. Dalla fine del giugno 2008, hanno permesso lo svolgimento delle proteste da parte delle famiglie dei prigionieri uccisi nel 1996 ad Abu Salim, il carcere in cui si ritiene che fino 1200 detenuti siano stati vittime di esecuzioni extragiudiziali. Gli attivisti per i diritti umani, tuttavia, subiscono ancora persecuzioni e arresti mentre le autorità continuano a non rispondere alla loro richiesta di verità e giustizia. Negli ultimi due anni, la Libia ha rilasciato una quindicina di prigionieri di coscienza ma non li ha risarciti per le violazioni subite nè ha riformato le draconiane norme che limitano severamente i diritti alla libertà d’espressione e di associazione. E in quanto ai migranti, rifugiati e richiedenti asilo, in maggior parte provenienti dall’Africa e in cerca di salvezza in Italia e in altri paesi dell’Unione europea che volentieri li consegnano all'amico Gheddafi, ebbe in Libia trovano ad aspettarli arresti, detenzioni a tempo indeterminato e violenze. Il Paese infatti non ha firmato la Convenzione delle Nazioni Unite sullo status di rifugiato dl 1951 e ha le mani libere. Per eliminare l'ultimo possibile testimone all’inizio di giugno le autorità libiche hanno comunicato all’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati che doveva lasciare il Paese. La pena di morte continua a essere usata in modo massiccio, in particolar modo nei confronti dei cittadini stranieri, e può essere applicata per un’ampia gamma di reati, comprese attività che corrispondono al pacifico esercizio dei diritti alla liberta’ d’espressione e d’associazione. Il direttore generale della polizia giudiziaria ha informato Amnesty International che, nel maggio 2009, i prigionieri nei bracci della morte erano 506, circa la metà dei quali cittadini stranieri.
"I partner internazionali della Libia non possono ignorare l’agghiacciante situazione dei diritti umani in nome dei loro interessi nazionali – dice Hassiba Hadj Sahraoui. Come membro della comunita’ internazionale, la Libia ha la responsabilità di rispettare gli obblighi in materia di diritti umani e occuparsi delle violazioni anziché nasconderle. La contraddizione di un Paese che contemporaneamente fa parte del Consiglio Onu dei diritti umani e rifiuta le visite dei suoi esperti indipendenti sui diritti umani, è stridente. Il rapporto diffuso oggi e aggiornato fino a metà maggio 2010, è basato in parte su una visita di Amnesty International in Libia, la prima in cinque anni, durata una settimana nel maggio 2009. La visita era stata preceduta da lunghi negoziati con le autorità di Tripoli. Amnesty International aveva chiesto di visitare non solo la capitale ma anche le città del Sud-est e dell’Est del paese. Alla fine, l’itinerario e’ stato limitato a Tripoli e a una breve visita a Misratah.
La visita è stata facilitata dalla Fondazione internazionale Gheddafi per la beneficenza e lo sviluppo, un organismo diretto da Saif al-Islam al-Gheddafi (figlio del leader libico, il colonnello Mu’ammar al-Gheddafi) che ha agevolato l’accesso di Amnesty International in alcuni centri di detenzione e collaborato ad assicurare il rilascio di alcuni detenuti. I delegati di Amnesty International hanno discusso con alti funzionari governativi le preoccupazioni di lunga data per le violazioni dei diritti umani, hanno incontrato esponenti delle istituzioni della società civile e ottenuto di visitare alcuni prigionieri detenuti per motivi di sicurezza o in quanto migranti irregolari. Le autorità competenti per la sicurezza hanno impedito ai delegati di Amnesty International di recarsi a Bengasi, come invece previsto, per incontrare i familiari di vittime di sparizioni forzate e hanno negato loro di visitare svariati prigionieri. Nell’aprile 2010, Amnesty International ha inviato le sue conclusioni alle autorità libiche dicendosi disponibile a integrarle con eventuali osservazioni da parte loro, ma non ha ricevuto alcuna risposta.


 

Società


I redditi degli immigrati? 40 miliardi di euro

Fondazione Moressa: “Fanno crescere l’economia”


Roma – 22 giugno 2010- Quaranta miliardi di euro. È il reddito dichiarato nel 2008  dai contribuenti nati all’estero, per la  maggioranza immigrati, secondo un’elaborazione pubblicata ieri dalla Fondazione Leone Moressa. Secondo la ricerca, i contribuenti nati all’estero rappresentano il 7,8% dei contribuenti totali in Italia e dichiarano il 5,2% dei redditi complessivi. Sia in termini di numero di contribuenti che di redditi dichiarati, si osserva una loro maggiore concentrazione nelle aree settentrionali del nostro Paese con Lombardia, Veneto e Emilia Romagna che da soli raccolgono il 41,4% dei contribuenti nati all’estero e il 46,3% dei redditi da essi dichiarati. Il reddito medio di questi contribuenti è di 12.639€ all’anno (contro i 18.873 dei nati in Italia), ma per la metà di loro si scende sotto i 10.000 €, con differenziali evidenti a livello territoriale. Il reddito è più elevato nelle aree del Nord rispetto a quelle del Sud, con Lombardia e Calabria che sono le regioni nel limite (rispettivamente superiore e inferiore) di questo rank. I nati all’estero dichiarano prevalentemente redditi da lavoro dipendente (87,9%) e in parte anche redditi da fabbricati e terreni (19,3%), mentre sono marginali i redditi da impresa e da lavoro autonomo. Romania, Albania e Marocco sono i primi tre paesi di provenienza, e raggruppano quasi un terzo dei contribuenti “La rappresentazione dello straniero come colui che va a scuola, mangia,beve e va all’ospedale, il tutto pesando sulle spalle dello Stato, è sempre meno fondata. Anche e soprattutto perché produrre reddito, sia esso da lavoro dipendente, da impresa o da proprietà immobiliari, significa contribuire alla crescita complessiva dell’economia” commentano gli esperti della Fondazione. Senza contare quanto ancora potrebbe entrare nelle casse dello Stato dando un permesso di soggiorno a tutti gli immigrati che lavorano. “Ci si potrebbe aspettare un’incidenza addirittura più elevata se solo il lavoro sommerso venisse regolarizzato. Operazione, questa, a tutela degli immigrati, ma anche a beneficio dell’intera collettività”.



Capacity Building for Migration Management in China

Convegno OIL: “I cittadini cinesi in Italia”

di Angela Scalzo


Roma, 21 giugno 2010-   Al seminario di due giorni a Roma, organizzato all’interno  del  progetto  di collaborazione   tra comunità europea  e Cina, intitolato  “Capacity Building for Migration Management in China”, che chiude un lavoro sull’inserimento lavorativo  dei cittadini cinesi in Europa,  e che ha visto coinvolti oltre all’ILO,  l’OIM, il Ministero dell’Interno e una folta rappresentanza del governo  cinese italiano, per le rappresentanze sindacali   hanno partecipato Angela Scalzo e Maura Tabacco, rispettivamente in rappresentanza del Dipartimento  Politiche Migratorie del sindacato  UIL   e del Patronato ITAL Nazionale. Per inquadrare la realtà cinese in Italia, la relazione parte con alcuni dati  quantitativi,   soprattutto,  in rapporto al ruolo che esercita il sindacato ed alla loro partecipazione. I cittadini cinesi residenti in Italia al 1 gennaio 2009 sono 170.265 (Istat), quantitativamente rappresentano la quarta nazionalità straniera residente in Italia dopo la Romania, l’Albania e il Marocco. La maggior parte risiede in Lombardia, Toscana e Veneto. Mentre il Lazio  si posiziona al sesto posto.

Cinesi residenti per regione. Istat al 01/01/2009

 

v.a.

v.%

Piemonte

11422

6,7

Valle D'Aosta

153

0,1

Liguria

2652

1,6

Lombardia

37454

22,0

Trentino A.A

1453

0,9

Veneto

24782

14,6

Friuli V.G.

2461

1,4

Emilia Romagna

19351

11,4

Toscana

26052

15,3

Marche

7279

4,3

Umbria

1330

0,8

Lazio

10783

6,3

Abruzzo

3982

2,3

Molise

195

0,1

Campania

7280

4,3

Puglia

3408

2,0

Basilicata

689

0,4

Calabria

2088

1,2

Sicilia

5137

3,0

Sardegna

2314

1,4

Italia

170265

100,0

Dati  che  di per se leggono la presenza cinese ma non il grado di partecipazione socio- istituzionale o socio-lavorativa dei cittadini cinesi nel nostro paese. Un dato negativo  quello della partecipazione che  relega la comunità cinese in un’area marginale, se confrontata con le altre comunità. Etichettata  spesso come  comunità chiusa ed isolata. Stereotipata come solitaria, asociale ed introversa. Basti pensare alla leadership  non rappresentativa del loro universo, bensì  legata a rappresentanze  etniche  di per se marginali,   come l’area di provenienza ad esempio dei cittadini  cinesi presenti a Roma, nella maggioranza provenienti dalla Regione dello Zhejiang. Un universo concentrato in determinati luoghi (come l’Esquilino a Roma) ma allo stesso tempo isolato, appartato  dal resto delle comunità immigrate  residenti e dagli stessi autoctoni. Una realtà inserita qualitativamente nell’area del commercio, dei servizi  in particolare la ristorazione, soprattutto nella capitale dove , in una nostra indagine abbiamo riscontrato  moltissimi esercizi commerciali e  altrettanti numerosi  ristoranti in un numero pari a 141 unità regolarmente costituite . Si tratta di imprese che per circa il 90% sono legate all’abbigliamento ed il circa 10% nella ristorazione. Importante  sottolineare come la comunità risponde alle accuse di chiusura con una notevole attività di stampa. Periodici indirizzati non solo alla comunità ma anche agli italiani. Oggi la stampa cinese all’estero è così prolifica da aver registrato, solo all’inizio degli anni ’90 un volume di circa 300 diversi organi di stampa in tutto i paesi di insediamento.

 Non stupisce dunque che anche Roma, con i suoi circa 8000 residenti di origine cinese, abbia visto nascere dal 1997 una discreta mole di organi  di questo tipo. I caratteri generali degli organi di stampa romani (due giornali bisettimanali e tre riviste) rientrano nel profilo tipico di questo settore: essi sono infatti mirati ad informare la comunità circa i principali eventi che hanno luogo nel paese ospitante e all’interno della comunità stessa, cercano di guidare, spesso in modo molto pratico, alla vita nel contesto d’accoglienza e servono da strumento per mantenere un legame con il paese di origine, sia attraverso le informazioni relative agli avvenimenti in patria, sia mantenendo vivo il contatto con la cultura di origine proponendo pagine di svago ed intrattenimento concepite in un’ottica culturalmente e tradizionalmente cinese. Io stessa sono direttore responsabile della rivista cinese bilingue  “la Cina in Italia”.  La relazione ha  affrontato  poi quantitativamente il rapporto  del Patronato con la Comunità cinese soprattutto in merito alla sua mission e per  la convenzione sottoscritta con il ministero degli Interni  in merito  alle pratiche di rinnovi , ricongiungimenti, ecc.

  

Nr Ut. cinesi

 Inc. %

PIEMONTE

1.307

   36,59

VALLE D'AOSTA

6

     0,17

LIGURIA

11

     0,31

LOMBARDIA

418

   11,70

VENETO

450

   12,60

TRENTINO A. A.

28

     0,78

FRIULI V. G.

80

     2,24

EMILIA ROMAGNA

362

   10,13

TOSCANA

153

     4,28

MARCHE

71

     1,99

UMBRIA

3

     0,08

LAZIO

334

     9,35

ABRUZZO

45

     1,26

MOLISE

3

     0,08

CAMPANIA

29

     0,81

PUGLIA

90

     2,52

BASILICATA

7

     0,20

CALABRIA

24

     0,67

SICILIA

100

     2,80

SARDEGNA

51

     1,43

TOTAL

3.572

 100,00

L’Ital ha assistito oltre 3.500 cittadini cinesi. La maggior parte sono stati assistiti nella regione Piemonte (36,6%). Segue il Veneto (12,6%), la Lombardia (11,7%), l’Emilia Romagna (10,1%) e il Lazio (9,3%). Nelle restanti Regione il numero dei cinesi assistiti dal Patronato Ital è piuttosto basso se rapportato alla loro presenza sul territorio.

 

Il 92,1% delle richieste di assistenza all’Ital ha riguardato i titoli di soggiorno. Nello specifico i cinesi hanno chiesto assistenza all’Ital per la compilazione e l’inoltro delle istanze di rilascio/rinnovo del permesso di soggiorno, del permesso di soggiorno CE per soggiornati di lungo periodo (ex carta di soggiorno), ricongiungimento familiare. Il restante 8,0% ha riguardato pratiche relative alle richiesta di prestazioni previdenziali e assistenziali (pensione di vecchiaia, assegni familiari, indennità di disoccupazione, indennità per maternità, riconoscimento danno biologico, riconoscimento dello stato di handicap, invalidità civile, assegno sociale). Torino è la provincia che ha assistito il più alto numero di cittadini cinesi sul territorio nazionale (il 32,1% di tutti i cinesi assistiti dall’Ital risiedono nella provincia di Torino). In termini percentuali a Torino quasi un quinto (18,5%) dei cittadini cinesi residenti ha richiesto assistenza all’Ital. Anche Verona presenta un dato in positivo: il 6,6% dei cinesi residenti si è rivolto all’Ital. Nelle restanti province non si registrano presenze significative. Nella provincia di Roma sono stati assistiti l’8,9% dei cinesi assistiti in tutta Italia. Se paragonato alla presenza dei cinesi residenti sul territorio romano osserviamo che si è rivolto al Patronato Ital solamente il 3,2% dei residenti. Esempi significativi di questo fenomeno sono la provincia di Prato e quella di Teramo. A fronte di una significativa presenza di cinesi nella provincia di Prato solamente lo 0,4% si è rivolto all’Ital, mentre a Teramo a fronte di una più modesta ma importante presenza di cittadini cinesi solamente lo 0,1% si è rivolto all’Ital. A Milano solamente l’1,1% dei residenti cinesi ha chiesto assistenza all’Ital. E’ evidente che  la comunità si rivolge maggiormente a canali  legati al passa parola dei connazionali stessi (spesso  professionisti privati). Interessante , altresì, il lavoro svolto  dal sindacato e  dal patronato insieme in Val Vibrata, in provincia di Teramo  dove La comunità cinese rappresenta la terza nazionalità presente dopo quella albanese e quella romena. I 2.242 cinesi residenti (Istat, 31 dicembre 2007) corrispondono al 12,6% di tutti gli immigrati presenti in provincia. Dato particolarmente significativo se paragonato alla media nazionale (4,6%) e regionale (5,9%). La maggior parte dei cinesi risiede nella Val Vibrata, una vasta area composta da più comuni appartenenti alla provincia di Teramo, in cui sono presenti molte aziende tessili, dell'abbigliamento e della pelletteria.  Attraverso un mediatore  linguistico culturale cinese in raccordo con  sindacato e patronato hanno promosso un’azione  tesa ad abbattere  stereotipi  e pregiudizi degli italiani e resistenze da parte dei cinesi. Un lavoro di mediazione durato molti mesi che ha portato ,attraverso una riflessione seminariale, la messa a punto unitaria di  reciproche conoscenze, al fine di  eliminare le alterne barriere intellettive e comportamentali. “Condividere l'integrazione” è appunto il titolo del convegno tenuto il 4 giugno 2009 a Martinsicuro . E’ emerso come le differenze linguistiche, non solo tra noi italiani e i cinesi ma anche tra gli stessi cinesi appartenenti a più etnie, ognuna con una propria lingua, e le differenze culturali dovute alla diversa concezione che i cinesi hanno dello Stato, delle regole e del ruolo della famiglia costituiscono le principali barriere all'integrazione. Un'integrazione che pertanto non sembra passare solamente attraverso l'apprendimento della lingua italiana da parte della comunità cinese ma anche mediante la conoscenza e la valorizzazione delle differenze culturali da parte degli italiani.  In materia di immigrazione, è stata ricordata la proposta della UIL  utile all’emersione  anche dei cinesi irregolari, di far partire il permesso semestrale di ricerca di occupazione, solo al termine della fruizione dell’indennità di disoccupazione (almeno altri otto mesi). L’importanza del ruolo sindacale  risiede, quindi,  nelle azioni positive tendenti a far emergere il lavoro nero e la politica dei flussi devono considerare la specifica ed estrema situazione di bisogno dei nuovi cittadini.

Si tratta sicuramente di un momento molto importante per le politiche di integrazione socio-lavorativa messe in atto dal sindacato e dal patronato  Uil oggi sono sicuramente più vicine alla comunità cinese


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sindacato


99ma sessione della International Labour Conference  (Ginevra, 1 – 11 giugno 2010).

I lavori della Commissione “Decent work for domestic workers”

(di Giuseppe Casucci)


Roma,  18 giugno 2010 – La 99ma Conferenza internazionale del Lavoro degli Stati che aderiscono all’OIL, è iniziata a Ginevra, a partire dal primo di questo mese, e conclude  i lavori nella giornata di oggi, avendo affrontato molti temi rilevanti. Quest’anno, all’ordine del giorno c’erano: la situazione economica internazionale ed i suoi riflessi sull’occupazione,  la situazione HIV/Aids a livello di mondo del lavoro, la dichiarazione 1998 sui principi e diritti fondamentali sul lavoro e, least but no last,  la necessità di una convenzione per garantire ai lavoratori domestici in tutto il mondo condizioni di lavoro dignitoso. A quest’ultima commissione (lavoro domestico) la UIL è stata presente, attraverso la mia partecipazione ai lavori, dal 1° all’11 giugno, sessione conclusa con l’approvazione formale di un primo draft di Convezione e di Raccomandazione, denominato: “lavoro dignitoso per i lavoratori domestici”.  Il testo, poi approvato dall’Assemblea plenaria nella giornata di ieri, verrà  perfezionato nel corso dei prossimi mesi e nuovamente votato durante la  Conferenza Internazionale sul Lavoro di giugno del 2011. Se approvato, poi, dovrà essere ratificato dagli singoli Stati aderenti a ILO e trasferito nelle rispettive legislazioni nazionali, a meno che le leggi esistenti in un Paese non contengano già condizioni normative superiori a quelle approvate dalla Convenzione. Per quanto riguarda la presenza del sindacato italiano, oltre a me a rappresentanza della UIL, erano presenti Marjorie Burgos e Leopoldo Tartaglia della Cgil. La Cisl era assente per cause di forza maggiore. Nel corso dei lavori è stata presentata da parte della nostra delegazione sindacale una protesta formale all’OIL per violazione – da parte del Governo Italiano – dei principi di proporzionalità nella composizione delle delegazioni. In effetti il nostro Esecutivo – presente con vari funzionari ai lavori – ha deciso di coprire le spese solo per una persona per ciascuna delle due delegazioni, sindacale ed imprenditoriale, in evidente sproporzione numerica con la propria partecipazione in quanto Governo. Per quanto riguarda la nuova Convenzione sul lavoro domestico, si tratta della stesura di norme minime a difesa delle condizioni di lavoro e di vita di un  “esercito invisibile”, com’è stato definito, spesso privo dei diritti minimi fondamentali. Ragazze giovani, a volte bambine, costrette a lavorare quasi sempre senza contratto, a condizioni ben al di sotto degli standard a cui gli europei sono abituati, con orari quasi sempre superiori alle norme contrattuali, a cambio del pagamento di un salario misero, o addirittura di un piatto di minestra ed un giaciglio in cui dormire. In effetti non è un’eccezione nei Paesi del Terzo Mondo la pratica del cosiddetto pagamento in natura (lavoro in cambio di cibo, un posto dove vivere e qualche capo di vestiario). E non è nemmeno un’eccezione dover lavorare in una casa in cui si deve sempre rimanere a disposizione della famiglia per cui si lavora, dalle 6 del mattino fino a sera tarda. Ci sono poi le situazioni estreme (nei Paesi in Via di Sviluppo, come nel nostro cosiddetto Primo Mondo), in cui alle lavoratrici vengono confiscati documenti e biglietti di viaggio, per costringerle ad accettare condizioni inumane di lavoro e di vita, sempre sotto la minaccia di essere denunciate e magari espulse dal Paese, quando non si arriva all’estremo delle molestie e degli abusi sessuali. Eccezioni, certo. Ma comunque una realtà in certe aree del nostro pianeta. Ecco perché l’OIL quest’anno ha deciso di mettere assieme, governi e parti sociali di tutto il mondo per stabilire un salario e condizioni minime di lavoro e di vita degne di essere chiamate umane e dignitose. Secondo i dati dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, il settore del lavoro domestico (che comprende dalle colf, alle badanti, dalle guardie agli autisti di case private, dalle baby sitter, al giardinaggio, ecc.) dà lavoro a livello mondiale ad oltre 100 milioni di persone, di cui 90% donne, e la maggioranza migranti. Il settore domestico – secondo l’ONU -  assorbe una proporzione significativa della forza lavoro con percentuali che vanno dal 4 al 10% della forza lavoro totale nei Paesi in via di Sviluppo e dal 3 al 5% nel mondo industrializzato. Un aspetto patologico che riguarda questo universo  è il fatto che si tratta di un settore in gran parte sommerso. Se in Italia oggi possiamo dire che l’irregolarità lavorativa di colf e badanti è al di sotto del 25%, in alcune aree geografiche come l’Africa, l’Asia o l’America Latina si arriva fino all’80 o 90% del totale della forza lavoro in nero. La decisione di produrre una nuova Convenzione (accompagnata da una Raccomandazione) da parte dell’OIL viene dunque dai dati drammatici di questa realtà, a difesa dei diritti minimi in quelle aree del mondo dove non esistono contratti di lavoro, né una legislazione capace di inquadrare funzioni, diritti e doveri in questo settore e dove spesso i diritti umani e civili, a cominciare da quelli dell’infanzia, vengono disattesi. Un tema delicato in quanto tocca gli aspetti inerenti ai processi migratori, ma anche alla piaga del lavoro minorile. Inoltre, tutto viene reso più difficile e complicato dal carattere personale del rapporto tra lavoratrice e datore di lavoro (quasi sempre una famiglia) e dalla conseguente difficoltà di rappresentanza sindacale in un mondo così atomizzato (sia delle organizzazioni dei lavoratori, ma anche da parte delle associazioni imprenditoriali di settore). Bisogna anche aggiungere che nei Paesi Industrializzati questo lavoro viene fatto soprattutto da donne migranti, spesso ricattate dalla necessità di dover rinnovare il permesso di soggiorno e quindi costrette ad accettare condizioni d’impiego e di retribuzione spesso ben al di sotto dei livelli minimi contrattuali. C’è chi per mettere insieme uno stipendio deve lavorare con più di un datore di lavoro, in parte in nero. Non c’è da meravigliarsi dunque se il sindacato incontra molte difficoltà per raggiungere e tutelare questa parte importante del mondo del lavoro, in un ambiente in cui l’inviolabilità del domicilio domestico rende difficili le ispezioni  e dove a volte l’azione di agenzie di intermediazione rende difficile l’attribuzione di responsabilità in caso di vertenze di lavoro. La Convenzione in teoria intende tutelare tutti, lavoratori in regola e non. Abbiamo fatto osservare, comunque, che di fatto chi è in condizione di clandestinità in un Paese diverso dal suo o vive una situazione di segregazione, rischia di non poter godere della protezione offerta da questo strumento dell’OIL. Abbiamo fatto osservare, nel corso delle sedute di lavoro a Ginevra,   come accanto alla Convenzione vada attuata una forte sensibilizzazione dei Governi interessati perché applichino misure (fiscali, di controllo, ma anche misure premiali che sono spesso più efficaci delle altre) con l’obiettivo di far emergere il settore dalla palude del lavoro nero e della invisibilità dei diritti. La commissione “lavoro domestico”, dunque ha preso in carico una bozza di “conclusioni proposte” elaborate a partire dal 2008: 22 articoli compongono la Convenzione ed altri 23 la Raccomandazione. Si è discusso e si sono presentati emendamenti e si è votato su tutti gli articoli in  lunghe sessioni giornaliere. La commissione era composta inizialmente da 181 membri (85 esponenti di governi, 32 rappresentanti dei datori di lavoro e 64 rappresentanti dei sindacati). Per attribuire peso proporzionale, le rappresentanze sono state poi modificate e le rappresentanze, datoriali e sindacali, sono scesi a 23 ciascuna. Questi tra i principali gli argomenti contenuti nell’insieme di Convenzione e Raccomandazione

Definizione di lavoro domestico e lavoratrice domestica

a) Lavoro domestico: “lavoro realizzato per e nell’ambito di una o più famiglie”;

b) Lavoratore domestico: “persona impegnata in lavoro domestico, nell’ambito di una relazione di lavoro”;

c) Una persona che realizzi lavoro domestico solo occasionalmente o sporadicamente, e non su basi occupazionali, non può essere definita lavoratore domestico.

Principi fondamentali a diritti dell’ILO che debbono essere applicati al lavoro domestico

Condizioni di lavoro, vita e di sicurezza sociale

o  Ogni Stato Membro deve definire una età minima per il lavoro domestico, in accordo con le normative internazionali e, in caso di lavoro al di sotto dei 18 anni, garantire che esso non interferisca con il diritto allo studio ed alla formazione del giovane;

o  Ogni Stato Membro deve garantire condizioni eque di occupazione, nonché condizioni di lavoro e di vita dignitose; sicurezza sul posto di lavoro e sicurezza sociale, compresa la protezione della maternità, sia per full-time e lavoratori che operano part-time con diversi datori di lavoro

o  Va garantita l’uguaglianza con gli altri lavoratori rispetto a standard minimi di lavoro e in alcuni casi, stabilire standard più elevati per tenere conto delle condizioni particolari in cui operano i lavoratori domestici e la difficoltà in molti casi di accesso alla contrattazione collettiva in parte  delle legislazioni nazionali;

o  Va garantito l’accesso alle informazioni sui diritti ed alle organizzazioni che possono fornire loro informazioni e sostegno, in quanto migranti (consolati) e in quanto lavoratori (sindacati);

o  I datori di lavoro domestico devono informare i propri lavoratori dei  termini e delle condizioni d’impiego, come ad esempio il tipo di lavoro da eseguire, compresi i compiti esclusi dal contratto; il normale orario di lavoro, ecc;

o  Va garantita la protezione contro tutte le forme di abuso e molestia, anche fisica, verbale, l'abuso sessuale e molestie mentali;

o  I lavoratori non possono essere obbligati a rimanere in casa durante il periodo di riposo giornaliero o settimanale;

o  I periodi di reperibilità devono essere considerati come orario di lavoro nella misura determinata dalle leggi e dai regolamenti nazionali, dai contratti collettivi o qualsiasi altro mezzo conforme alla prassi nazionale;

o  I lavoratori debbono sempre rimanere in possesso dei propri documenti di identità e di viaggio;

Agenzie d’impiego

o      I lavoratori reclutati o collocati da agenzie d’impiego, in particolare i lavoratori domestici migranti, debbono essere protetti adeguatamente contro pratiche abusive da parte di queste agenzie;

o      Vanno rese effettivamente disponibili e fruibili da parte dei lavoratori domestici, le informazioni sui propri diritti, sulle procedure di reclamo e sulle informazioni di  contatto con i gruppi ed i sindacati che operano a loro tutela;

Lavoratori domestici migranti

o      Le leggi ed i regolamenti nazionali dovrebbero esigere che i lavoratori domestici migranti ricevano un contratto scritto contenente i termini e le condizioni minime di occupazione,  condizioni che debbono essere concordate prima che il lavoratore migrante attraversi  i confini nazionali;

o      I lavoratori domestici migranti dovrebbero poter godere del diritto al rimpatrio, senza alcun costo per loro, alla scadenza o risoluzione del contratto di lavoro;

o      Dovrebbe essere vietata ai datori di lavoro la pratica di trattenere documenti di viaggio e di identità dei lavoratori domestici ;

o      I paesi di origine e di destino dovrebbero collaborare tra loro per garantire che i  lavoratori domestici migranti possano  godere di vantaggi e benefici comparabili a quelli degli altri cittadini e lavoratori nazionali;

o      I lavoratori oggetto di casi di abuso o maltrattamento dovrebbero poter godere di uno status di immigrazione protetta;

Implementazione e supporto all’applicazione delle misure

 (per prendere in visione il resoconto dell’intera discussione della Commissione sul lavoro domestico, scarica da: http://www.ilo.org/wcmsp5/groups/public/---ed_norm/---relconf/documents/meetingdocument/wcms_141639.pdf )