Newsletter ASGI n. 5

Rassegna di segnalazioni normative e giurisprudenziali

a cura dell’Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione

31 maggio 2010

 

 

 

 

OSSERVATORIO CONTRO LE DISCRIMINAZIONI 

ITALIA

1.     Discriminatorie le norme della Federcalcio che impongono ai cittadini extracomunitari il possesso di un permesso di soggiorno valido almeno fino al termine della stagione sportiva corrente ai fini del tesseramento per società dilettantistiche

2.     Discriminazioni: Il TAR Lombardia sospende l’ordinanza del Sindaco del Comune di Brugherio che subordinava l’iscrizione anagrafica degli stranieri all’accertamento della salubrità e del decoro dell’alloggio

3.     Tribunale di Bergamo: Discriminatorio il regolamento del Comune di Palazzago che assegna dei contributi economici ai neonati e ai minori adottati purché almeno uno dei genitori sia di cittadinanza italiana

4.     Discriminazioni: Dal 2005 in vigore nel Comune di Adro (BS) due regolamenti comunali che prevedono sostegni alle locazioni abitative e l’erogazione di bonus bebè solo ai cittadini italiani o di Paesi dell’Unione europea.

5.     Discriminazioni: La PEC Posta Elettronica Certificata solo per i cittadini italiani. Il Ministro Brunetta se ne accorge e assicura il suo impegno perché il servizio venga esteso anche agli stranieri residenti

6.     Disponibile on-line il Codice contro le discriminazioni

 

NOTIZIE

1.     Permesso a punti : approvato lo schema di regolamento

2.     Accoglienza dei richiedenti asilo nel sistema SPRAR. Pubblicato il decreto del Ministero dell'Interno

3.     Dura nota del Consiglio d'Europa contro il governo italiano a causa delle estradizioni dei cittadini tunisini nonostante il parere contrario della CEDU

4.     UNHCR - In Somalia solo rimpatri volontari

 

SEGNALAZIONI NORMATIVE

 

CIRCOLARI AMMINISTRATIVE

 

GIURISPRUDENZA ITALIANA

REGOLARIZZAZIONE 2009

ESPULSIONI

ASILO – PROTEZIONE INTERNAZIONALE

SOGGIORNO

DIRITTI CIVILI

RICONGIUNGIMENTO FAMILIARE- MINORI

DIRITTI SOCIALI

PENALE

 

GIURISPRUDENZA EUROPEA

 

APPROFONDIMENTI

 

                                                    

 

 

 

 

 



 

 

OSSERVATORIO CONTRO LE DISCRIMINAZIONI

ITALIA

A cura di Walter Citti, Servizio di supporto giuridico contro le discriminazioni etnico-razziali e religiose, progetto ASGI- Fondazione Charlemagne ONLUS

 

 

1. Discriminatorie le norme della Federcalcio che impongono ai cittadini extracomunitari il possesso di un permesso di soggiorno valido almeno fino al termine della stagione sportiva corrente ai fini del tesseramento per società dilettantistiche

 

Il Tribunale di Lodi, con ordinanza depositato il 13 maggio 2010, ha accolto il ricorso presentato congiuntamente da un calciatore togolese richiedente asilo in Italia e dall'ASGI e da LODI PER MOSTAR ONLUS, e ha dichiarato discriminatorie le norme  della Federazione Italiana Gioco Calcio (FIGC) che  impongono ai cittadini stranieri extracomunitari che richiedono il tesseramento per società della Lega Nazionale Dilettanti il possesso di un permesso di soggiorno valido fino al termine della stagione sportiva corrente (Art. 40 c. 11 N.O.I.F.).Il Tribunale di Lodi ha concluso che tale normativa, che limita la possibilità di svolgere l'attività sportiva dei calciatori stranieri pur regolarmente residenti in Italia, costituisce una violazione del diritto anti-discriminatorio (art. 43 T.U. immigrazione, d.lgs. n. 215/2003) in quanto limita irragionevolmente l'esercizio di diritti fondamentali dei cittadini stranieri regolarmente residenti in Italia che intendano svolgere l'attività e la pratica sportiva di calciatore.Infatti, secondo il Tribunale di Lodi non è ravvisabile una ragionevole causa giustificatrice nel requisito temporale di validità e durata del permesso di soggiorno richiesto dalla Federcalcio in aggiunta alla regolarità del soggiorno del calciatore straniero al momento del tesseramento. Anzi, secondo il Tribunale di Lodi, proprio le giustificazioni addotte dalla Federcalcio nel corso del giudizio, tra cui quella di voler "tutelare i vivai nostrani", e dunque di privilegiare i calciatori italiani,  rivelerebbero un intento di per sé discriminatorio ed etnocentrico contrario al diritto anti-discriminatorio internazionale, europeo e nazionale e al principio costituzionale di uguaglianza. Proprio in riferimento al principio di eguaglianza costituzionale, che trova applicazione innanzitutto nell'ambito dei diritti fondamentali, escludendo ogni possibile discriminazione tra cittadini e stranieri regolarmente soggiornanti, il Tribunale di Lodi, inoltre, afferma come il diritto alla pratica sportiva costituisca un diritto fondamentale perché attraverso la pratica sportiva trova espressione la personalità dell'individuo e l'attività sportiva costituisce certamente uno strumento di integrazione sociale così come una possibilità di fonte di reddito e di accesso al lavoro. Accertando dunque la discriminazione compiuta nei confronti del calciatore di origine togolese, il Tribunale di Lodi ha ordinato il tesseramento del medesimo per la società di Lodi per la stagione 2009/2010, nonché la pubblicazione della sintesi dell'ordinanza, a spese della FIGC, sul quotidiano "La Gazzetta dello Sport", nonché ha condannato la FIGC al pagamento delle spese legali. Grande soddisfazione è stata espressa dai legali dell'ASGI, Avv. Alberto Guariso e Livio Neri del foro di Milano, che hanno considerato tale ordinanza come una significativa vittoria di civiltà  per la causa dell'integrazione sociale dei cittadini stranieri in Italia, attendendosi quindi una revisione di tutte le normative delle federazioni sportive italiane che contengono simili clausole restrittive alla pratica sportiva degli stranieri regolarmente residenti nel nostro Paese.

 

L’ordinanza del Tribunale di Lodi, ordinanza dd. 13.05.2010 (N.R.G. 898/2010, S.I.B.K. c. FIGC)


Sull'argomento si segnala l'articolo comparso sulla rivista on-line: http://www.ilsalvagente.it : Condannata la Fgci, Shaib potrà giocare al calcio in Italia .

 

19 maggio 2010 - Comunicato stampa - ASGI - Regolamento sul tesseramento discriminatorio verso gli stranieri con permessi di soggiorno di durata limitata: si rispettino le decisioni del giudice

14 maggio 2010 - Comunicato stampa - FIGC, regolamento sul tesseramento discriminatorio verso gli stranieri con permessi di soggiorno di durata limitata : accolto il ricorso dell’ASGI e dell’associazione LODI PER MOSTAR ONLUS

 

 

2. Discriminazioni: Il TAR Lombardia sospende l’ordinanza del Sindaco del Comune di Brugherio che subordinava l’iscrizione anagrafica degli stranieri all’accertamento della salubrità e del decoro dell’alloggio

Con ordinanza depositata il 21 maggio 2010, la sez. III del TAR Lombardia ha accolto l'istanza incidentale di sospensione proposta dalla CGIL nel ricorso presentato contro l'ordinanza del Sindaco del Comune di Brugherio (MI), emanata nel febbraio 2010, che prevedeva per i soli immigrati che l'iscrizione all'anagrafe fosse subordinata non soltanto alla verifica dei tradizionali requisiti previsti dalla legge, ma anche all'accertamento, effettuato da parte del Comune, del decoro e delle condizioni di salubrità della dimora.

Il collegio del tribunale amministrativo lombardo ha motivato l'ordinanza affermando di "dubitare, prima facie, che sussistano i presupposti per l'adozione delle ordinanze sindacali di cui agli artt. 50 e 54 d.lgs. n. 267/2000, sia che tra le attribuzioni dell'ente locale rientri  il potere di regolamentare le materie dell'immigrazione, dell'anagrafe, dei rapporti dello Stato con l'Unione europea, del diritto di asilo e della condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea".

 

Sull'argomento dell'iscrizione anagrafica dei cittadini stranieri, si ricorda che l'art. 1 co. 18 della legge n. 94/2009 ha modificato l'art. 1 della legge n. 1228/54 in materia di ordinamento delle anagrafi della popolazione residente, aggiungendo che  "l'iscrizione e la richiesta di variazione anagrafica possono dar luogo alla verifica, da parte dei competenti uffici comunali, delle condizioni igienico-sanitarie dell'immobile in cui il richiedente intende fissare la propria residenza, ai sensi delle vigenti norme sanitarie".

Questa disposizione riguarda tutti i cittadini, italiani, comunitari e stranieri.  Si ricorda che la formulazione originaria della norma subordinava l'iscrizione anagrafica alla verifica dell'idoneità dell'alloggio, mentre nel corso del dibattito parlamentare che ha portato all'approvazione della legge n. 94/09,  la verifica della idoneità dell'alloggio ha assunto un carattere solo discrezionale, e comunque non condizionante  il  diritto all'iscrizione anagrafica. In altri termini,  le amministrazioni comunali possono  decidere se e come procedere in tal senso  nelle singole realtà locali e  la verifica della idoneità igienico-sanitaria dell'alloggio, qualora disposta dai competenti uffici comunali, costituisce un procedimento diverso e separato dal procedimento di iscrizione anagrafica, che resta inalterato nelle modalità e nei presupposti e vincolato unicamente al criterio di accertamento della dimora abituale, anche nel caso in cui l'alloggio risulti eventualmente inidoneo. Peraltro, qualora l'immobile risultasse inabitabile per ragioni igieniche, il Sindaco potrebbe ordinarne  lo sgombero ai sensi dell'art. 22 del r.d. 27.7.1934 n. 1265 (Testo unico leggi sanitarie) e tale atto potrebbe de facto, anche solo potenzialmente, produrre effetti anche nel procedimento anagrafico, nel momento in cui ne conseguisse l'irreperibilità del richiedente già occupante l'immobile sgomberato in sede  di controlli disposti dall'ufficiale di anagrafe  ai fini dell'accertamento della dimora.

Riguardo ai criteri per la verifica delle condizioni igienico-sanitarie degli alloggi,  il TULS (testo unico leggi sanitarie ) prevede all'art. 218 l'emanazione da parte del Sindaco, su approvazione della giunta comunale,  di regolamenti locali di igiene e sanità che stabiliscano, tra l'altro, anche le norme per la salubrità delle abitazioni; detti regolamenti devono contenere le norme dirette  ad assicurare che le abitazioni siano provviste di aerazione ed illuminazione naturale, di acqua potabile, di servizi igienici e scarichi per le acque "bianche" e "nere"; essi inoltre devono altresì rispettare , sostanzialmente, le istruzioni del Ministero della Sanità, all'uopo impartite con il d.m. 5.7.1975 che definiscono alcune condizioni ulteriori rispetto al citato art. 218 e pure riferibili alla igiene e salubrità nella stretta accezione del termine quali ad es. la dotazione del riscaldamento, l'aerazione naturale o meccanica dei servizi igienici, l'aspirazione forzata sul "posto di cottura" eventualmente annesso al locale di soggiorno. Non si ritiene invece che possano ricondursi ai ristretti criteri igienico-sanitari richiamati dalla norma di cui alla legge n. 94/09,  i parametri  dimensionali degli alloggi pure previsti dal  D.m. 5.7.1975.

Come già accennato all'inizio, la nuova norma in materia di iscrizione anagrafica è applicabile a tutte le nuove richieste di iscrizione o variazione anagrafica, a prescindere dalla cittadinanza dei richiedenti.  Un'eventuale applicazione discrezionale della facoltà di accertamento delle condizioni igienico-sanitarie dell'alloggio riconducibile a criteri di mera appartenenza etnico-nazionale, cioè effettuata con l'intento di monitorare prevalentemente o esclusivamente le condizioni alloggiative di richiedenti l'iscrizione anagrafica di nazionalità straniera o appartenenti a determinate nazionalità o gruppi etnici o religiosi, costituirebbe una discriminazione illegittima e vietata dall'art. 43 del T.U. immigrazione (divieto di discriminazioni su base etnico-razziale, religiosa o di nazionalità) ovvero una forma di molestia etnico-razziale, pure vietata dal d.lgs. n. 215/03.

 

L’ ordinanza del TAR Lombardia - sez. III, ordinanza n. 461/2010 dd. 21.05.2010


Il comunicato stampa della CGIL Lombardia

 


3.
Tribunale di Bergamo: Discriminatorio il regolamento del Comune di Palazzago che assegna dei contributi economici ai neonati e ai minori adottati purchè almeno uno dei genitori sia di cittadinanza italiana


Contrarie ai diritti umani e alla Costituzione le argomentazioni del Comune che giustificavano l’esclusione per garantire una “salvaguardia minima della caratteristiche storiche e sociali della comunità locale”.Il Tribunale di Bergamo, con ordinanza depositata il 17 maggio 2010, ha accolto il ricorso presentato da ASGI e ANOLF Bergamo contro il regolamento comunale adottato dal Comune di Palazzato (prov. di Bergamo)  già nel 2001 che aveva istituito un contributo economico ai neonati e ai minori adottati purchè almeno uno dei genitori sia di cittadinanza italiana oppure l'abbia richiesta al momento della presentazione dell'istanza.

Il Comune di Palazzago, con apposita delibera,  aveva giustificato tale esclusione dei non cittadini italiani dal contributo con l'esigenza di promuovere una "salvaguardia minima delle caratteristiche storiche e sociali della comunità locale", mentre la possibilità di accedere al contributo da parte di chi avesse presentato richiesta di acquisto della cittadinanza italiana veniva giustificata dal Comune con l'obiettivo di "incentivare la volontà di cittadinanza e di stabilità delle cellule fondamentali della società civile ... a tutto vantaggio della coesione sociale".Il giudice di Bergamo ha dichiarato quale discriminatorio e dunque illegittimo il regolamento del comune di Palazzago in quanto il principio di eguaglianza, di parità di trattamento e di non discriminazione è previsto dal sistema internazionale ed europeo dei diritti umani, nonché fa parte dell'ordinamento comunitario e di quello costituzionale italiano quale principio fondamentale. Ne consegue che la finalità espressa dal Comune di Palazzago di promuovere la coesione sociale e la famiglia attraverso l'esclusione dei cittadini stranieri dalle misure assistenziali  è  inconciliabile ed irragionevole in relazione ai richiamati principi fondamentali del diritto internazionale, europeo e costituzionale italiano. Secondo il giudice di Bergamo, inoltre, l'asserita finalità di incentivare l'accesso degli stranieri alla cittadinanza italiana non può certamente   essere legittimamente perseguita discriminando chi ne è privo e non può o non vuole acquisirla e ciò senza considerare l'irragionevolezza di ritenere che i cittadini stranieri possano essere sollecitati ad accedere all'istituto della cittadinanza italiana in virtù del contributo erogato dal Comune, in relazione all'evidente incommensurabilità del valore civile, politico, culturale e strettamente personale della cittadinanza rispetto al contributo comunale una tantum pari a circa 250 euro.Insomma, il giudice di Bergamo, con la sua ordinanza, ha dato una lezione di civiltà ad amministratori politici locali  ostinati a voler perseguire politiche di esclusione e marginalizzazione della popolazione immigrata con argomenti che, con sempre maggiore grettezza culturale, intendono veicolare  l'idea di una minore dignità sociale degli immigrati e di una loro presunta  e irriducibile diversità ed inconciliabilità con la popolazione e la c.d. "cultura locale".Il giudice di Bergamo ha dunque ordinato al Comune di Palazzago di riconoscere  il contributo per l'anno 2009 anche ai destinatari stranieri che siano in possesso degli altri requisiti richiesti, di astenersi da analoghi atti di discriminazione e di ritorsione per gli anni futuri ed in particolare per l'assegnazione del contributo per l'anno 2010, di far pubblicare a proprie spese l'ordinanza sul quotidiano locale "L'Eco di Bergamo " e di provvedere al pagamento delle spese legali sostenute dai ricorrenti.

 

L’ordinanza del Tribunale di Bergamo, ordinanza dd. 17.05.2010, ASGI e ANOLF c. Comune di Palazzago

 

Si ringrazia per la segnalazione l'avv. Alberto Guariso di Milano.




4.
Discriminazioni: Dal 2005 in vigore nel Comune di Adro (BS) due regolamenti comunali che prevedono sostegni alle locazioni abitative e l’erogazione di bonus bebè solo ai cittadini italiani o di Paesi dell’Unione europea.
Cinque cittadini stranieri appoggiati dall’ASGI e dalla Fondazione Piccini per i diritti umani inoltrano un ricorso al Tribunale di Brescia per far cessare la discriminazione.

 

Dal 2005 sono in vigore nel Comune di Adro (prov. di Brescia), due regolamenti comunali che contengono disposizioni discriminatorie a danno dei cittadini di Paesi terzi non appartenenti all'Unione europea. Il primo regolamento  istituisce un Fondo integrativo comunale per il sostegno alle locazioni  a favore di nuclei familiari  a basso reddito. Possono beneficiare del contributo soltanto i conduttori di immobili e quindi i titolari di contratti di locazione che siano cittadini di uno Stato facente parte dell'Unione europea.

Il secondo regolamento  prevede l'erogazione di un contributo economico alla famiglia per i nuovi nati e i minori adottati. Condizione per l'accesso a tale beneficio, oltre alla residenza del neonato o dell'adottato nel comune di Adro,  sono il rapporto di coniugio dei genitori e la cittadinanza di entrambi i genitori di uno Stato dell'Unione europea, oltreché la residenza nel comune di Adro da almeno cinque anno di almeno uno dei genitori.

Cinque cittadini stranieri residenti nel Comune di Adro hanno presentato, assieme all'ASGI e alla Fondazione Piccini per i diritti umani ONLUS di Brescia, un ricorso ex art. 44 del T.U. immigrazione (azione giudiziaria anti-discriminazione). I legali dei ricorrenti, avv. Guariso e Zucca, ritengono che la clausola di nazionalità, che esclude dai suddetti benefici i cittadini extracomunitari, sia in violazione di norme costituzionali (art. 2 e 3 Cost) in quanto priva di una ragionevole causa giustificatrice, nonché di norme di legge sovraordinate quali gli artt. 2 c. 2 e 3 d.lgs. n. 286/98 (principio di uguaglianza tra lavoratori italiani e stranieri), l'art. 43 del d.lgs. n. 286/98 (divieto di discriminazioni), l'art. 41 del d.lgs. n. 286/98 (parità di trattamento in materia di prestazioni di assistenza sociale), nonché di norme di diritto internazionali relative al trattamento dei minori (Convenzione di New York sui diritti del fanciullo).

I ricorrenti hanno dunque richiesto al Tribunale di Brescia di accertare la discriminazione e di  ordinare al Comune di Adro di rimuovere la condizione discriminatoria di cittadinanza, anche retroattivamente, in relazione ai bandi già definiti negli anni precedenti, consentendo alle persone escluse di parteciparvi.

 

 5. Discriminazioni: La PEC Posta Elettronica Certificata solo per i cittadini italiani. Il Ministro Brunetta se ne accorge e assicura il suo impegno perché il servizio venga esteso anche agli stranieri residenti

La presa di posizione di Brunetta a seguito della protesta di un cittadino albanese residente in Italia. Secondo il Ministro la normativa attuale non consente l’estensione del servizio agli stranieri.

Il 26 aprile scorso il Ministro per la Pubblica Amministrazione e l'Innovazione Renato Brunetta ha dato il via al nuovo servizio di Posta Elettronica Certificato, che consentirà al cittadino di dialogare con gli uffici della Pubblica Amministrazione,  inviando  e ricevendo messaggi di testo ed allegati con lo stesso valore  di una raccomandata con avviso di ricevimento.

Peccato che il servizio è riservato ai soli cittadini italiani maggiorenni e ne vengono esclusi in maniera assoluta i cittadini stranieri, comunitari ed extracomunitari, regolarmente residenti in Italia. Una discriminazione assolutamente irragionevole, come sottolineato dal un cittadino albanese, residente da molti anni in Italia, che ha interrogato il Ministro Brunetta con un messaggio inviato al sito del Ministro, il quale ha risposto prontamente concordando con il cittadino albanese che " i processi di innovazione e modernizzazione della Pubblica Amministrazione debbano andare a beneficio di tutti coloro che vivono e lavorano nel nostro Paese, indipendentemente dalla cittadinanza". Il Ministro Brunetta prosegue affermando che  "l'estensione del servizio Postacertificat@ a chi, straniero, risiede in Italia è impedita dalle previsioni di legge", ma che è sua intenzione modificare quanto prima questa situazione, presentando al Parlamento una modifica normativa e trovare fin da subito delle "soluzioni tecniche in grado di consentire il rilascio del servizio ai residenti che non sono cittadini italiani".

Difatti, il decreto legge 29 novembre 2008, n. 185 (art. 16 bis), presentato dunque dal Governo, di cui fa parte il Ministro Brunetta, e poi il D.P.C.M. 6 maggio 2009 ("Disposizioni in materia di rilascio e di uso della casella di posta elettronica certificata assegnata ai cittadini"), che vede lo stesso Brunetta quale firmatario, prevedono come assegnatari del servizio i "cittadini", piuttosto che i "residenti", dando così origine all'esclusione dei cittadini stranieri.

Con riferimento ai cittadini di altri paesi membri dell'Unione europea regolarmente residenti in Italia, tale esclusione appare in palese violazione delle norme di diritto europeo ed in particolare  con il principio di parità di trattamento e di non-discriminazione, che , a seguito dell'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, lo scorso 1 dicembre, ha assunto il rango di diritto fondamentale dell'Unione.

Con riferimento agli altri cittadini stranieri regolarmente residenti in Italia, l'esclusione dal servizio di Posta certificata appare in palese violazione del principio di uguaglianza, in quanto non sussiste una ragionevole causa giustificatrice dello sfavorevole trattamento riservato allo straniero rispetto al cittadino, alla luce dei parametri sanciti dalla giurisprudenza della Corte costituzionale con la sentenza n. 432/2005.

Insomma, un'altra misura discriminatoria varata dal Governo italiano, che ora, tardivamente e con un certo risalto mediatico, cerca di prenderne le distanze.

 

 

Decreto-legge 29.11.2008, n. 185 (art. 16 bis)

 

Informazioni sulla PEC dal sito del Ministero per la Pubblica Amministrazione e l'innovazione

 

La risposta del Ministro Brunetta alla protesta del cittadino albanese sull'esclusione dei cittadini stranieri dal servizio

 

Il D.P.C.M. 6 maggio 2009. "Disposizioni in materia di rilascio e di uso della casella di posta elettronica certificata assegnata ai cittadini"

Tutti i riferimenti normativi  

 

6. Disponibile on-line il Codice contro le discriminazioni

 

Raccolta di tutta la normativa internazionale, europea, nazionale e regionale in materia di contrasto alle discriminazioni per ragioni di disabilità, differenza di genere, razza, gruppo culturale, etnia, nazionalità, religione e nell'accesso al lavoro. Iniziativa dell'Ufficio del Difensore civico della Regione Emilia-Romagna.

La normativa a contrasto delle discriminazioni è ricca e variegata, frutto di processi sociali complessi e ripresa da fonti diverse, a livello sovranazionale, europeo, nazionale e regionale. Per un operatore non è sempre facile reperire ciò di cui ha bisogno.

Da oggi è possibile la consultazione di un materiale organico, trasversalmente alle diverse forme di discriminazione. L'ufficio del Difensore civico della Regione Emilia-Romagna, infatti, ha curato la stesura di un Codice contro le discriminazioni che, dopo una sezione generale, abbraccia i campi della disabilità, differenza di genere, razza, gruppo culturale, etnia, nazionalità, religione, e diritto di accesso al lavoro per tutti i cittadini.

 

 

Il Codice contro le discriminazioni

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NOTIZIE

 

 


1.Permesso a punti : approvato lo schema di regolamento


Previsto dalla legge 94/2009 contiene i criteri per la sottoscrizione di un accordo cosiddetto d'integrazione per gli stranieri che entreranno in Italia . Illustrato anche il Piano nazionale per l’integrazione nella sicurezza.

Il Consiglio dei Ministri ha approvato uno schema di regolamento, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri e del Ministro dell’interno, inteso a stabilire i criteri e le modalità per la sottoscrizione, contestualmente alla presentazione della richiesta del permesso di soggiorno da parte dei cittadini stranieri  che faranno ingresso in Italia e chiederanno il primo permesso di soggiorno a partire dalla data di entrata in vigore del regolamento. L'accordo, articolato per crediti, da conseguire nel periodo di validità del permesso di soggiorno dovrà acquisire i prescritti i pareri di Conferenza Unificata e Consiglio di Stato e successivamente essere approvato nuovamente da parte del Consiglio dei Ministri .Entrerà in vigore dopo 120 giorni dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, Maurizio Sacconi, ha poi illustrato il Piano nazionale per l’integrazione nella sicurezza. Il Piano, collegato all’accordo di integrazione, riassume la strategia che il Governo intende perseguire in materia di politiche di integrazione, individuando le principali linee di azione e gli strumenti da adottare per promuovere un efficace percorso integrativo degli stranieri immigrati, coniugando accoglienza e sicurezza nel rispetto delle procedure previste dalla vigente legislazione.


 

Fonte : Comunicato stampa del Consiglio dei Ministri del 20 maggio 2010

 

 



2. Accoglienza dei richiedenti asilo nel sistema SPRAR. Pubblicato il decreto del Ministero dell'Interno
Prevista una triennalità degli interventi per il periodo 2011-2013 per una distribuzione di 3.000 posti complessivi.

E' stato pubblicato il decreto del Capo Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del ministero dell'Interno, prefetto Mario Morcone, ai sensi dell'articolo 2 del decreto ministeriale del 22 luglio 2008. Il decreto dispone le due condizioni, di cui terrà conto il prossimo bando per l'accesso al Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell'asilo e che caratterizzeranno la futura composizione la rete dello SPRAR. Nell'articolo unico del decreto si prevede una triennalità degli interventi di accoglienza, per il periodo 2011/2013, e una distribuzione dei posti nel numero di 2.500  destinati alle cosiddette "categorie ordinarie" e 500 per le "categorie più vulnerabili".

 

Il testo del decreto

Per maggiori informazioni consultare http://www.serviziocentrale.it/index.asp

 

 

3.Dura nota del Consiglio d'Europa contro il governo italiano a causa delle estradizioni dei cittadini tunisini nonostante il parere contrario della CEDU

Il Segretario Generale del CdE profondamente preoccupato per le avvenute esecuzioni di provvedimenti espulsivi da parte delle autorità italiane nei confronti di cittadini tunisini nonostante le indicazioni contrarie della CEDU. Il Segretario Generale Thorbjorn Jagland si è detto profondamente preoccupato per la decisione delle autorità italiane di estradare verso la Tunisia, il 1° maggio, il Sig. Mannai, nonostante le indicazioni contrarie della Corte europea dei Diritti dell’Uomo. “È fondamentale che le misure adottate dalla Corte, riconosciute come giuridicamente vincolanti per la totalità delle Parti alla Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo, siano rispettate da ogni Stato membro. Qualsiasi azione contraria rischia di compromettere il sistema dei diritti umani, essenziale per la tutela di tutti i cittadini europei”, ha precisato nella dichiarazione del 19 maggio. Questo il  contenuto della dichiarazione: “Suscita in me profonda preoccupazione la decisione delle autorità italiane di estradare il 1° maggio il Sig. Mannai, cittadino tunisino, nel paese d’origine, nonostante la richiesta della Corte europea dei Diritti dell’Uomo di non procedere all’esecuzione dell’espulsione. La Corte aveva ritenuto che vi fossero validi motivi di temere che il Sig. Mannai potesse essere sottoposto a maltrattamenti in Tunisia. L’espulsione del Sig. Mannai ha avuto luogo successivamente ad una recente sentenza pronunciata dalla Corte nel caso Trabelsi. In tale occasione la Corte aveva concluso che, procedendo all’espulsione del ricorrente, l’Italia avesse violato la Convenzione. Ugualmente era accaduto per il Sig. Ben Khemais, la cui causa era ancora pendente innanzi alla Corte, che nel mese di giugno 2008 veniva estradato verso la Tunisia, malgrado una misura provvisoria e in violazione alla Convenzione.In qualità di Segretario generale del Consiglio d’Europa, sono profondamente rammaricato nel constatare il ripetersi di simili azioni da parte delle autorità italiane. È fondamentale che le misure adottate dalla Corte, riconosciute come giuridicamente vincolanti per la totalità delle Parti alla Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo, siano rispettate da ogni Stato membro. Qualsiasi azione contraria rischia di compromettere il sistema dei diritti umani, essenziale per la tutela di tutti i cittadini europei.”Il Sig. Mannai, cittadino tunisino, è stato arrestato in Austria, il 20 maggio 2005, sulla base di un mandato d’arresto emesso dalle autorità italiane nell’ambito di un’indagine sul terrorismo internazionale. Il Sig. Mannai è stato estradato in Italia il 20 luglio 2005 e condannato a cinque anni di detenzione in seguito ad una sentenza del 5 ottobre 2006. Detta sentenza prevedeva l’espulsione del Sig.Mannai una volta scontata la pena. Il 19 febbraio 2010, la Corte europea dei Diritti dell’Uomo ha chiesto alle autorità italiane di non procedere all’espulsione del ricorrente in Tunisia fino a nuovo ordine (misura provvisoria adottata ai sensi dell’art.39 del Regolamento della Corte).

 

Vedere anche la sentenza della Corte di Cassazione – Sezione VI - n. 20514 del 28 aprile 2010 – depositata il 28 maggio 2010 (Sezione Sesta Penale, Presidente G. Lattanzi, Relatore F. Ippolito)

http://www.cortedicassazione.it/Notizie/GiurisprudenzaPenale/SezioniSemplici/SchedaNews.asp?ID=1576

 

Fonte : Antonella Mascia

 

4. UNHCR - In Somalia solo rimpatri volontari

L'UNHCR si appella a tutti gli stati affinché si attengano ai loro doveri internazionali sul principio di non-refoulement. I rimpatri nella Somalia centrale e meridionale devono avvenire su base rigorosamente volontaria.

 L’11 maggio 2010  l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) aveva già pubblicato delle linee guida sulla protezione delle persone in fuga dalla Somalia .
Il giorno successivo aveva espresso ai donatori le sue gravi preoccupazioni sul deteriorarsi della situazione in Somalia.

La prassi di valutazione dei bisogni di protezione seguita dagli stati è purtroppo molto varia. Nei mesi recenti si sono verificati diversi episodi di rimpatri. Da quando sono state pubblicate le linee guida c’è stato un altro episodio di espulsione: oltre 100 somali che sono stati rimandati a Mogadiscio dall’Arabia Saudita a metà maggio.

L’UNHCR è preoccupato per la grave situazione in cui versano i somali a livello globale e ritiene necessario un approccio coerente a livello internazionale che assicuri la protezione internazionale ai rifugiati somali. Pertanto chiede nuovamente a tutti i governi di attenersi rigorosamente alle sue nuove linee guida di eleggibilità.

 

 

Il documento -  Linee guida dell'UNHCR sulla protezione delle persone in fuga dalla Somalia

 

 

SEGNALAZIONI NORMATIVE

 

 

NORME ITALIANE

 

1.Pubblicato il decreto per l'ingresso di studenti stranieri

Pubblicato il 27 aprile 2010 nella Gazzetta Ufficiale il decreto riguardante l’ingresso degli studenti per l’accesso all’istruzione universitaria e di alta formazione artistica, musicale e coreutica per l’anno accademico 2009-2010.

 

Per gli atenei statali statali e non statali autorizzati al rilascio di titoli di studio aventi valore legale, saranno 45.210 i visti per potranno essere rilasciati, mentre per le istituzioni di Alta formazione artistica musicale e coreutica, nazionali statali e non statali, i posti disponibili saranno 6.210, per un totale di 51.420.

Un decreto quasi del tutto inutile per un semplice motivo. Il decreto ricalca che è possibile per gli studenti iscriversi a qualsiasi facoltà delle nostre università italiane ed è diretto agli studenti stranieri residenti all’estero e, visto che le preiscrizioni per quest’anno anno accademico andavano fatte lo scorso maggio, la partita è praticamente chiusa. E’ stata già effettuata una graduatoria degli studenti stranieri che potranno entrare ed iscriversi all’Università.

Per chi lo volesse può comunque comunicare la propria intenzione di iscriversi all’università, facendo richiesta di visto di ingresso per studio ai consolati.


 

Vedi il decreto del 9 marzo 2010 (G.U. n. 97 del 27 aprile 2010)

Fonte : Immigrazione.biz

 

 

 

CIRCOLARI AMMINISTRATIVE

 

2.INPS - Disoccupazione: spetta al cittadino comunitario anche se non iscritto nello schedario della popolazione temporanea

Il diritto del lavoratore comunitario alle prestazioni di disoccupazione, sussistendo tutti i requisiti normativamente previsti per la fruizione del beneficio, è riconosciuto indipendentemente dalla sua iscrizione nello schedario della popolazione temporanea e dalla iscrizione anagrafica.

Tali norme hanno infatti esclusivo rilievo in materia di sicurezza interna e la loro applicazione in materia previdenziale (nella specie, requisiti di accesso alle prestazioni di disoccupazione) si porrebbe in contrasto con i principi di libera circolazione e soggiorno dei cittadini dell’Unione europea sanciti dal Regolamento CE n. 883/2004 del 29 aprile 2004, relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale, e dal relativo Regolamento CE di applicazione n. 987/2009 del 16 Settembre 2009.
Al riguardo si rammenta che il Regolamento 883/2004, relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale, disciplina anche i casi in cui i soggetti in stato disoccupazione, a seguito della cessazione dell’attività lavorativa in uno Paese dell’Unione europea, si rechino in un altro Paese comunitario in cerca di impiego (articoli 61 – 65).
In particolare l’istituzione competente di uno Stato membro, la cui legislazione subordina l’acquisizione, il mantenimento, il recupero o la durata del diritto alle prestazioni al maturare di periodi di assicurazione, di occupazione o di attività lavorativa autonoma, tiene conto, dei periodi di assicurazione, di occupazione o di attività lavorativa autonoma maturati sotto la legislazione di qualsiasi altro Stato membro, come se fossero maturati sotto la legislazione che essa applica.

Tuttavia, quando la legislazione applicabile subordina il diritto alle prestazioni al maturare di periodi di assicurazione, i periodi di occupazione o di attività lavorativa autonoma maturati sotto la legislazione di un altro Stato membro sono considerati a condizione che tali periodi sarebbero stati considerati periodi di assicurazione se fossero maturati ai sensi della legislazione applicabile. Tale disciplina è subordinata alla condizione che l’interessato abbia maturato da ultimo, conformemente alla legislazione ai sensi della quale le prestazioni sono richieste:

- periodi di assicurazione, se tale legislazione richiede periodi di assicurazione,

- periodi di occupazione, se tale legislazione richiede periodi di occupazione,

oppure

- periodi di attività lavorativa autonoma, se tale legislazione richiede periodi di attività lavorativa autonoma.

Tali requisiti , afferma il  Messaggio Inps del 30 aprile 2010, n. 11662, non sono invece richiesti per il disoccupato, residente in uno Stato membro diverso dallo Stato membro competente e continua a risiedere in tale Stato membro o ritorna in tale Stato si mette a disposizione degli uffici del lavoro nello Stato membro di residenza, nel caso in cui riceva le prestazioni in base alla legislazione dello Stato membro di residenza come se fosse stato soggetto a tale legislazione durante la sua ultima attività subordinata o autonoma. Tali prestazioni sono erogate dall’istituzione del luogo di residenza.

 

Messaggio INPS del 30 aprile 2010 n. 11662
L'indennità di disoccupazione spetta anche al/alla cittadino/a comunitario/a non iscritto/a nello schedario della popolazione temporanea.

 

Fonte: Teleconsul, Deaweb

 

 

 


3.
Nuove procedure e nuovi formulari per i lavoratori distaccati in seno all’UE a seguito dell’entrata in vigore del Regolamento CE n. 883/2004

Dal 1° maggio 2010 sono entrate  in vigore le nuove disposizioni in materia di legislazione applicabile ai lavoratori che si spostano all'interno dell'Unione Europea, contenute nel titolo II del Regolamento (CE) n. 883/2004 (artt. da 11 a 16) e nel titolo II del Regolamento di applicazione n. 987/2009 (artt. da 14 a 21). Le nuove disposizioni (art. 12) hanno esteso la durata massima del distacco da dodici a ventiquattro mesi. Nel comunicato diramato dal Ministero del Lavoro si precisano i nuovi formulari da utilizzare per le comunicazione con le direzioni regionali INPS.
Il comunicato ricorda, che i nuovi regolamenti non si applicano:

- ai tre Paesi che hanno aderito all'Accordo sullo Spazio Economico Europeo (Accordo SEE): Islanda, Liechtenstein, Norvegia;
-alla Svizzera, alla quale la normativa comunitaria di sicurezza sociale è stata estesa, a decorrere dal 1° giugno 2002, in base all'Accordo stipulato tra la Confederazione elvetica e gli Stati dell'Unione europea.

Nei rapporti con tali Stati continuano, pertanto, a trovare applicazione le disposizioni contenute nei regolamenti (CE) nn. 1408/71 e 574/72.I regolamenti nn.1408/71 e 574/72 continuano ad essere applicati anche ai cittadini degli Stati terzi alle condizioni previste dal regolamento (CE) n. 859 del 14 maggio 2003.

 

 

Comunicato Ministero del Lavoro - Direzione politiche previdenziali, Divisione II dd. 13.04.2010

 

 


4. I documenti ufficiali moldavi legalizzati attraverso la c.d. "apostille" sono pienamente validi

Lo ribadisce il Ministero dell'Interno che ricorda la validità della legalizzazione attraverso apostille avendo la Moldavia aderito alla Convenzione dell'Aja. L’Ambasciata della Repubblica di Moldova in Italia ha segnalato la mancata accettazione da parte di alcune autorità comunali dei documenti ufficiali moldavi legalizzati attraverso la cd. “Apostille”. Al riguardo il ministero dell'Interno italiano evidenzia che la Repubblica di Moldova ha sottoscritto la Convenzione dell’Aja sull[e] Apostille del 5 ottobre 1961 (che, per parte moldova, è entrata in vigore dal 16 marzo 2007), accordo che, come è noto, dispone tra i paesi firmatari, in luogo della legalizzazione, questa forma particolare di certificazione dell’atto ai fini della legalità dell’atto stesso all’estero. Pertanto, gli atti ufficiali moldavi autenticati con la procedura dell’apostille, che viene apposta da parte degli uffici del Ministero della Giustizia, autorità competente in Moldova, devono essere ricevuti dagli ufficiali dello stato civile senza richiedere alcuna ulteriore formalizzazione degli stessi, potendo tra l’altro, a titolo aggiuntivo, verificare anche on-line la correttezza dei timbri apostille applicati, accedendo al seguente sito internet: http://apostila.qov.md/en/start.

Sull’argomento, ad ogni buon conto, si richiama il contenuto della circolare della Direzione Centrale per i servizi demografici n. 6 del 25 febbraio 2010, concernente la nuova procedura della Repubblica di Moldova di rilascio di nulla osta per i cittadini moldavi che intendono sposarsi in Italia, dove è stato accuratamente evidenziato che detti certifica, conformemente a quanto sopra espresso, devono essere apostillati.

 

Circolare del Ministero Interno, dir. centrale servizi demografici - stato civile, n. 14 dd. 04.05.2010


Fonte : moldweb.eu

 

 


4. Legalizzazione dei documenti cinesi. Circolare del Ministero dell'Interno
. A seguito di lamentele da parte dell'Ambasciata della Repubblica Popolare Cinese, il Ministero dell'Interno ha precisato che gli ufficiali di stato civile dei comuni italiani non possono richiedere che documenti formatisi in Cina e già legalizzati dalle autorità diplomatiche o consolari italiane in Cina debbano essere nuovamente legalizzati dalle autorità diplomatiche cinesi in Italia.

 

 

Circolare del Ministero dell'Interno, Dip. affari interni e territoriali - stato civile, dd. 06.04.2010 n. 3950

 


5.L’autorità di polizia o quella giudiziaria devono informare la rappresentanza consolare dell’arresto dello straniero, a meno che si tratti di stranieri che chiedano o abbiano ottenuto la protezione internazionale ovvero si dichiarino contrari alla comunicazione


Una circolare del Ministero di Giustiizia  rammenta che gli articoli 2, comma 7, D.Lgs. 25 luglio 1998 n. 286 e 4 D.P.R. 31 agosto 1999 n. 394 stabiliscono a carico dell'autorità giudiziaria e dell'autorità di pubblica sicurezza l'obbligo di informare la rappresentanza diplomatica o consolare più vicina tutte le volte in cui un cittadino straniero venga sottoposto ad un qualsiasi provvedimento in materia di libertà personale, salvi i casi di esigenze di tipo umanitario ivi previste ovvero di espressa dichiarazione contraria da parte dell'interessato. La comunicazione non deve avere luogo nei casi  si tratti di stranieri che abbiano presentato una domanda di asilo, di stranieri ai quali sia stato riconosciuto lo status di rifugiato o nei cui confronti sono state adottate misure di protezione temporanea per motivi umanitari (art. 2, comma 7, cit.) ovvero che ricorra pericolo di persecuzione dell'interessato o di suoi familiari per motivi di razza, sesso, lingua, religione, opinioni politiche, origine nazionale e condizioni personali o sociali (art. 4 cit.).

 

 

Circolare del Ministero della Giustizia, Dipartimento per gli affari di giustizia - Direzione generale della giustizia penale, dd. 22 marzo 2010

 

GIURISPRUDENZA ITALIANA

 

REGOLARIZZAZIONE 2009

 

Regolarizzazione 2009: La condanna per l'inottemperanza all'ordine del questore di lasciare il territorio nazionale a seguito di espulsione non è ostativa all'emersione dal lavoro irregolare


Il TAR Toscana ed il TAR Veneto ordinano la sospensione di alcuni provvedimenti di rigetto alla sanatoria 2009 perchè il delitto di cui all'art. 14 c. 5-ter non rientra nelle fattispecie ostative previste dagli artt. 380 e 381 c.p.p.. Per il TAR Emilia Romagna se la condanna risale a più di cinque anni orsono si deve comunque ritenere estinta. In Parlamento, in risposta ad un'interpellanza dell'on. Turco, il Sottosegretario agli Interni difende la "circolare Manganelli". Il TAR Toscana ordina la sospensione di alcuni provvedimenti di rigetto alla sanatoria 2009 perché il delitto di cui all'art. 14 c. 5-ter non rientrerebbe tra le fattispecie previste dagli artt. 380 e 381 c.p.p. ostative alla regolarizzazione.    Analoga ordinanza emanata dal TAR Veneto (n. 265/2010, sez. III). Per il TAR Emilia Romagna, sezione I, se la condanna per il delitto di inottemperenza all'ordine del questore di lasciare il territorio nazionale in quanto espulso risale a più di cinque anni orsono, deve ritenersi comunque estinta e dunque ininfluente ai fini delle condizioni ostative alla regolarizzazione (TAR E.R., sez. I Bologna, sentenza n. 3531/2010)..

 

 

TAR Veneto, ordinanza di sospensiva n. 265/2010

 

TAR Emilia Romagna, sentenza n. 3531 dd. 15.04.2010

 

TAR Toscana, sez. II, ordinanza di sospensiva n. 296 dd.21.04.2010  

TAR Toscana, sez. II, ordinanza di sospensiva n. 497 dd. 21.04.2010

TAR Toscana, sez. II, ordinanza di sospensiva n. 301 dd. 21.04.2010

 

Risposta del Sottosegretario di Stato per l'Interno all’interpellanza dell’on. Livia Turco sulla regolarizzazione, 29 aprile 2010


Regolarizzazione colf e badanti: le ragioni per contrastare la "circolare Manganelli", commento dell'Avv. Guido Savio )

 

 

ESPULSIONI


Corte di Appello di Trento: Non è consentita l’estradizione verso un Paese ove l’interessato potrebbe essere condannato ai lavori forzati


L’eventuale condanna alla pena dei lavori forzati, prevista dal codice penale dell’Ucraina, renderebbe l’estradizione verso quel paese in violazione dell’art. 4 c. 2 della CEDU.

La Corte di Appello di Trento, con sentenza n. 48 dd. 31 marzo 2010, ha negato il consenso all'estradizione verso l'Ucraina di un cittadina ucraina ricercata nel paese di origine per il reato di furto aggravato in quanto il paese richiedente non garantisce i diritti fondamentali della persona sanciti dalla Convenzione europea dei diritti dell'Uomo e della libertà fondamentali, e vi sarebbe il rischio di una condanna alla pena dei lavori forzati

 

 

Corte di Appello di Trento, sez. Bolzano, sent. n. 48 dd. 31.03.2010

 

 

 

ASILO – PROTEZIONE INTERNAZIONALE


Corte di Appello di Napoli: Status di protezione sussidiaria al richiedente asilo che venne costretto a combattere come bambino soldato durante la guerra civile in Sierra Leone


Il richiedente asilo sarebbe esposto a possibili azioni ritorsive nel Paese di origine perchè un suo parente stretto è stato un dirigente del RUF, i cui leader sono stati condannati per crimini di guerra.

La Corte di Appello di Napoli, con sentenza n. 38/2010 depositata il 21 aprile scorso, ha accolto il reclamo presentato da un richiedente asilo della Sierra Leone avverso la sentenza del Tribunale di Napoli, che aveva confermato il diniego alla protezione internazionale deciso dalla Commissione territoriale asilo di Caserta. Di conseguenza, la Corte di Appello di Napoli  ha riconosciuto all'interessato lo status di protezione sussidiaria di cui agli artt. 17 e s.s. del d.lgs n. 251/07.

La Corte di Appello di Napoli, contrariamente alle conclusioni della Commissione territoriale asilo di Caserta e del Tribunale di Napoli, ha considerato credibile il racconto dell'interessato  circa il suo vissuto di bambino soldato durante il conflitto civile in Sierra Leone, ritenendo che le cicatrici presenti sul suo corpo e le analisi medico-psicologiche confermanti la sofferenza da "disturbo post-traumatico da stress" suffragassero sufficientemente quanto da lui dichiarato in merito ad identità e provenienza. Ulteriormente, la Corte di Appello di Napoli ha ritenuto credibile anche la parte del racconto dell'interessato in cui egli ha riferito che il fratello era un comandante del RUF, le forze di guerriglia  che durante il conflitto civile nel Paese si sono rese responsabili di efferati ed atroci crimini e i cui dirigenti sono stati recentemente condannati per crimini di guerra e che, per tale ragione, il richiedente asilo  può legittimamente vantare un fondato timore di essere esposto ad azioni ritorsive in caso di rientro nel Paese di origine senza la possibilità di ricevere adeguata protezione dalle istituzioni del medesimo. In tal modo, secondo la Corte di Appello di Napoli , è da ritenersi giustificata l'attribuzione all'interessato della protezione sussidiaria.

 

 

Corte di Appello di Napoli, sentenza n. 38/2010 dd. 21.04.2010

 

SOGGIORNO

 


TAR Liguria: Illegittimo il diniego del rinnovo del pds in risposta ad una richiesta di rilascio della carta di soggiorno (Pds CE lungo periodo)
Una sentenza del Tar Liguria si pronuncia contro una decisione della Questura di Imperia (TAR Liguria, sentenza n. 1654 dd. 14.04.2010).

 

La questione riguarda uno straniero titolare di permesso di soggiorno per lavoro autonomo che richiedeva il rilascio della carta di soggiorno alla competente questura. Istruita la pratica per accertate la sussistenza dei requisiti per il nuovo titolo, la Pubblica Amministrazione rigettava la richiesta di carta di soggiorno e con lo stesso atto rifiutava anche il rinnovo del permesso di soggiorno, di fatto estendendo il provvedimento finale a una diversa istanza mai presentata, nella specie il rinnovo del titolo in possesso. Il giudice amministrativo ha censurato tale provvedimento sotto il profilo della carenza di motivazione in quanto la Questura ha di fatto traslato le risultanze istruttorie del procedimento relativo alla carta di soggiorno al diverso procedimento di rinnovo, senza fornire autonoma motivazione sulla insussistenza dei presupposti. In conclusione la pubblica amministrazione non può negare la carta di soggiorno (ora permesso CE di lungo periodo) e nello stesso provvedimento negare anche il rinnovo del permesso in possesso senza una specifica e autonoma valutazione dei presupposti.

 

 

Sentenza del Tar Liguria n. 1654 del 14 aprile 2010

 

Fonte : Avv. Angelo Massaro, melting pot

 




Consiglio di Stato : Il reddito minimo richiesto ai fini del rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro autonomo non può essere ridotto anche se lo straniero non ha soggiornato per l'intero annuo in Italia


La sentenza del Consiglio di Stato afferma un principio di rigido automatismo nella valutazione del reddito in contrasto con precedenti pronunce (Consiglio di Stato , sent. n. 1238/2010).

Con la sentenza n. 1238 dd. 3 marzo 2010, il Consiglio di Stato ha affermato che il requisito della dimostrazione del reddito  pari almeno al  livello previsto dalla legge per l'esenzione della partecipazione alla spesa sanitaria, ai sensi dell'art. 26 del d.lgs. n. 286/98 ai fini del rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro autonomo, non può subire eccezioni e riduzioni proporzionali nel caso in cui lo straniero non abbia soggiornato per l'intero anno sul territorio italiano.  Il tal senso, il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso proposto dall'Amministrazione dell'Interno contro la sentenza del TAR Liguria, n. 38/2004 che invece aveva dichiarato illegittimo il diniego al rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro autonomo ad un cittadino straniero per mancanza di reddito sufficiente, in quanto  lo straniero aveva dimostrato di essersi allontanato dall'Italia per un paio di mesi, e dunque  l'ammontare del reddito minimo poteva essere  ridotto proporzionalmente  in base all'effettiva sua permanenza in Italia.

Secondo il Consiglio di Stato, invece, la norma di cui all'art. 26 d.lgs. n. 286/98 non ammetterebbe eccezioni  perché altrimenti verrebbe meno il principio della certezza del diritto e del buon andamento dell'amministrazione (art. 97 Cost.) con conseguente venir meno della tutela dell'interesse protetto ad un equilibrato sviluppo del sistema previdenziale ed assistenziale.

La sentenza del Consiglio di Stato suscita perplessità perché sembra introdurre criteri rigidi ed automatismi nelle procedure di valutazione dei requisiti ai fini del rinnovo dei permessi di soggiorno. Questo appare  in contrasto con precedenti e consolidate pronunce del medesimo organismo giurisdizionale che invece avevano sottolineato  l'esigenza di considerare il requisito dei mezzi di sostentamento secondo criteri di flessibilità, tali da includere la considerazione di situazioni di insufficienza solo temporanea del reddito dovuta ad es. a situazioni di forza maggiore (infortuni, malattia) o anche al semplice fatto dell'avviamento dell'attività e dunque delle iniziali e temporanee difficoltà connesse all'avvio di un'attività imprenditoriale o professionale autonoma.  Si possono al proposito citare la sentenza del Cons. Stato 25 giugno 2008, n. 3239, quella 5 aprile 2006, n. 1755, Cons. Stato 25.5.2006, n. 3125, o Cons. Stato 22.4.2008, n. 1840 riferita in particolare ad un diniego opposto a due coniugi titolari di un'impresa che aveva realizzato una perdita di esercizio, ma che potevano provare  un reddito in via di formazione).

 

 

Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza n. 1238 dd. 03 marzo 2010

TAR Liguria, sez. II, sentenza n. 38/2004 dd. 16.01.2004

 

In proposito si rimanda a Marco Paggi, Il rinnovo del permesso di soggiorno durante la crisi economica, in Diritto Immigrazione e Cittadinanza, n. 3/2009, pp. 66-88, Franco Angeli editore.

 

 


Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Sicilia: l’avvio di un procedimento di separazione dal coniuge cittadino italiano non è ostativo al rinnovo del permesso di soggiorno

 

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana ha confermato la sentenza di primo grado del TAR Sicilia (n. 24/07 dd. 5 gennaio 2007), con la quale era stato annullato il diniego al rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di famiglia notificato dalla Questura di Ragusa ad una cittadina straniera coniugata con un cittadino italiano. Tale diniego era stato emanato perché l'istanza di rinnovo del permesso di soggiorno non era stata presentata entro i termini previsti dall'art. 5  c. 4 del d.lgs. n. 286/98 e perché l'interessata  era risultata assente dal territorio nazionale per un periodo di circa otto mesi, con questo la questura constatando la violazione dell'art. 13 c. 4 del d.P.R. n. 394/99. Infine, la questura aveva motivato il diniego con l'avvenuto avvio di un procedimento di separazione giudiziale dal marito cittadino italiano.

Il Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione Siciliana ha confermato le motivazioni del TAR Sicilia riguardo all'illegittimità del provvedimento amministrativo della questura di Rovigo, in quanto il termine di cui all'art. 5 c. 4 del d.lgs. n. 286/98 non è perentorio, ma solo indicativo, perché l'interessata era rimasta all'estero per un periodo prolungato per un comprovato motivo (la grave malattia della madre) e perché l'avvio di  procedimento di separazione giudiziale non scioglie certamente il vincolo coniugale e non  può  quindi ritenersi ostativo alle possibilità di rinnovo del permesso di soggiorno.

 

Si ricorda in proposito che lo status del coniuge straniero di cittadino italiano è regolato dal d.lgs. n. 30/2007 che prevede il rilascio della carta di soggiorno per familiare di cittadino comunitario (art. 10 in combinato disposto con l'art. 23 d.lgs. n. 30/2007).  Le condizioni per il mantenimento del diritto di soggiorno in caso di decesso del coniuge cittadino italiano o comunitario, di sua partenza dal territorio nazionale o di divorzio o annullamento del matrimonio sono stabilite dagli artt. 11 e  12 del d.lgs. n. 30/2007.

 

 

Sentenza del Consiglio di Giustizia Amministrativa della Regione Sicilia, n. 265 dd. 3.03.2010

 

 


TAR Campania: La condanna per furto aggravato non è ostativa al rinnovo del permesso di soggiorno se ricorre la circostanza attenuante della lieve entità del danno cagionato alla persona offesa
L’interpretazione letterale dell’art. 380 c. 2 lett. e) esclude l’applicazione dell’art. 4 c. 3 del T.U. immigrazione .

Il TAR Campania, con sentenza n. 1972 dd. 14.04.2010, ha accolto il ricorso presentato da un cittadino straniero che si era visto revocare il permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato a seguito dell'avvenuta condanna per il reato di furto aggravato.

Il TAR Campania ha annullato il provvedimento di revoca del permesso di soggiorno in quanto non conforme alle norme di legge in materia di revoca o mancato rinnovo del permesso di soggiorno allo straniero che sia stato condannato per determinati reati penali. Infatti è certamente vero che l'art. 4 c. 3 del T.U. immigrazione, in combinato disposto con l'art. 5 c. 5 del T.U. medesimo,  prevede  l'ostatività al rinnovo del permesso di soggiorno dello straniero che sia stato condannato, anche con sentenza non definitiva, tra l'altro per uno dei reati previsti dall'art. 380 c. 1 e 2 del c.p.p.. Tuttavia, l'art. 380 c. 2 lett. e) include in detto elenco il delitto di furto quando ricorre la circostanza aggravante prevista dall'articolo 4 della legge 8 agosto 1977, n. 533, o taluna delle circostanze aggravanti previste dall'articolo 625, primo comma, numeri 2), prima ipotesi, 3) e 5), del codice penale, salvo che ricorra, in questi ultimi casi, la circostanza attenuante di cui all'articolo 62, primo comma, numero 4), del codice penale (delitto patrimoniale aggravato ma con lievità del danno cagionato alla persona offesa). Proprio questa era la fattispecie contestata all'interessato, condannato al reato di furto aggravato ma con l'applicazione della circostanza attenuante suddetta.

 

 

Sentenza del TAR Campania,  n. 1972 dd. 14.04.2010

 

 

 

DIRITTI CIVILI

 


Tribunale di Ragusa: Ha diritto a sposarsi lo straniero anche se ha  presentato con ritardo la richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno


Illegittima la circolare del Min. Interno n. 19/2009 che impone agli ufficiali di stato civile di verificare se lo straniero abbia presentato istanza di rinnovo del permesso di soggiorno entro i termini di legge.

Con decreto datato 16 aprile 2010, il Tribunale di Ragusa ha ordinato al Comune di Ragusa di celebrare il matrimonio tra una cittadina italiana ed un cittadino albanese.  La celebrazione del matrimonio era stata negata dall'ufficiale di stato civile del Comune di Ragusa, in quanto  alla data inizialmente fissata per la celebrazione, lo sposo era risultato era in possesso di una ricevuta attestante l'istanza di  rinnovo di un permesso di soggiorno presentata con circa tre anni di ritardo rispetto alla scadenza del titolo originariamente  posseduto. Di conseguenza, l'ufficiale di stato civile del comune siciliano aveva ritenuto che il nubendo si trovasse in posizione di irregolarità sul territorio italiano e dunque il matrimonio non potesse essere celebrato ai sensi dell'art. 116 c.c., così come novellato dalla legge n. 94/2009, che subordina la capacità dello straniero extracomunitario a contrarre matrimonio in Italia, tra l'altro,  al possesso di "un documento attestante la regolarità del soggiorno nel territorio italiano". Secondo le istruzioni impartite dal Ministero dell'Interno con circolare n. 19 dd. 07.08.2009, nel caso di nubendi stranieri che si trovino nella fase di rinnovo del permesso di soggiorno, la posizione di regolarità di soggiorno richiesta ai fini della capacità matrimoniale deve essere attestata non solo dalla ricevuta attestante l'avvenuta presentazione dell'istanza di rinnovo del permesso, ma anche dal permesso di soggiorno da rinnovare "al fine di verificare che la presentazione dell'istanza sia avvenuta nei termini di legge".

Accogliendo il ricorso presentato dalla coppia ex art. 112 c.c., il tribunale di Ragusa ha  considerato illegittimo il comportamento dell'ufficiale di stato civile, in quanto la rigida applicazione di quanto previsto dalla circolare ministeriale determina un'interpretazione  irragionevolmente restrittiva e dunque non condivisibile della normativa.

Secondo il Tribunale di Ragusa, infatti, la posizione dello straniero, già legalmente entrato e soggiornante in Italia e che abbia richiesto con ritardo il rinnovo del permesso di soggiorno non può  di per sé e tout court essere assimilata a    quella di uno straniero irregolare. Secondo infatti una linea interpretativa  giurisprudenziale, il tardivo rinnovo della domanda di soggiorno non esclude automaticamente la possibilità del rinnovo e non implica automaticamente l'espulsione dello straniero, dovendo l'amministrazione valutare le ragioni del ritardo (Consiglio di Stato,  17.08.2000 n. 368, Consiglio di Stato 09. 12.2002, n. 6687).  Unico organo deputato a tale valutazione è il Questore.

Di conseguenza, il  collegio giudicante di Ragusa ha ritenuto che il comportamento dell'ufficiale di stato civile, sebbene in linea con l'interpretazione ministeriale contenuta nella circolare dell'agosto 2009,  ha ristretto ulteriormente ed illegittimamente la portata dell'art. 116 c.c., nonché ha ecceduto ai poteri e alle attribuzioni di competenza in quanto l'ufficiale di stato civile ha compiuto una valutazione attinente alla regolarità del soggiorno dell'interessato nel territorio nazionale che non gli spettava.

Il Tribunale di Ragusa non è entrato nel merito della costituzionalità del nuovo art. 116 c.c. e della sua compatibilità  con i principi costituzionali ed il sistema internazionale ed europeo dei diritti umani,  in quanto è risultato sufficiente constatare l'illegittimità del rifiuto alla celebrazione del matrimonio opposto dal Comune di Ragusa sotto il profilo del contrasto con lo stesso art. 116 c.c.. Questo mediante un'interpretazione costituzionalmente orientata dalla norma, secondo cui la condizione di uno straniero che presenta tardivamente l'istanza di rinnovo del permesso di soggiorno non può essere assimilata a quella dello straniero irregolare.

In altri termini, il Tribunale di Ragusa ha sostenuto che in virtù di una lettura costituzionalmente orientata dell'art. 116 c.c., è sufficiente "disapplicare" nella fattispecie  in questione  la circolare del Ministero dell'Interno dd. 7.8.2009, senza mettere in discussione la legittimità costituzionale della norma.

 

 

Tribunale di Ragusa, decreto 16 aprile 2010

 

Per un commento sul nuovo art. 116 c.c. si rimanda al contributo di Annamaria Casadonte e Mariarosa Pipponzi, Il divieto di accesso agli atti di stato civile, sul numero 4/2009 della rivista "Diritto, Immigrazione e Cittadinanza".

 

 

 

 

 

 

 

 

 

RICONGIUNGIMENTO FAMILIARE - MINORI

 


Cassazione: La condanna penale per uno dei reati citati dall'art. 4 c. 3 T.U. immigrazione è automaticamente ostativa all'ingresso in Italia per ricongiungimento familiare


L'interpretazione offerta dalla Cassazione in evidente contrasto con le disposizioni della direttiva europea n. 2003/86/CE .

La Suprema Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 10880/2010 depositata il 6 maggio scorso, ha respinto il ricorso proposto da una cittadina albanese avverso il diniego al rilascio del nulla osta al ricongiungimento familiare  a favore del coniuge, sempre di cittadinanza albanese, in quanto già condannato, con sentenza definitiva a pena detentiva di anni sette e mesi otto per un reato inerente agli stupefacenti, e dunque per una fattispecie penale ostativa in linea generale all'ingresso in Italia ai sensi dell'art. 4 comma  3 del  d.lgs. n. 286/98.

Il ricorso contro il diniego della Prefettura di Genova era stato inizialmente accolto dal Tribunale di Genova, ma il provvedimento del giudice di primo grado era stato ribaltato dalla Corte di Appello di Genova, che aveva accolto il reclamo del Ministero dell'Interno.

La Corte di Cassazione ha dunque confermato il provvedimento della Corte di Appello, sostenendo che l'amministrazione può legittimamente ed automaticamente negare il rilascio del nulla osta all'ingresso per riunificazione familiare in presenza di una condanna  penale per uno dei reati previsti dalla parte prima dell'art. 4 c. 3 d.lgs. n. 286/98, anche senza verificare se sussista l'elemento della minaccia concreta ed attuale per l'ordine pubblico o la sicurezza dello Stato, essendo le due condizioni ostative previste dalla norma tra loro alternative e non cumulative, così come invece sosteneva la ricorrente.

La decisione della Cassazione e la lettura offerta dell'art. 4  c. 3 d.lgs. n. 286/98, appaiono in evidente contrasto con una interpretazione letterale e sistemica della direttiva europea n. 86/2003/CE, recepita in Italia con il d.lgs. n. 5/2007. L'art. 6 della direttiva infatti prevede la possibilità per gli Stati membri di respingere una domanda di ingresso e soggiorno dei familiari per ragioni di ordine pubblico, di sicurezza pubblica o di sanità pubblica. Nell'adottare una decisione di diniego all'esercizio del diritto al ricongiungimento familiare, gli Stati tengono conto della gravità o del tipo di reato  contro l'ordine pubblico o la sicurezza pubblica commesso dal familiare o dei pericoli rappresentati da questa persona, ma comunque  debbono bilanciare  le esigenze di ordine e  sicurezza pubblica con quelle di rispetto della vita familiare dell'interessato quale diritto umano fondamentale (art. 17 direttiva) e dunque prendere nella dovuta considerazione nel contempo la natura e solidità dei vincoli familiari della persona, nonché l'esistenza di legami familiari, culturali o sociale con il Paese d'origine, secondo il quadro interpretativo offerto dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti umani.

Una lettura dell'art. 4 c. 3 del d.lgs. n. 286/98 compatibile con le norme comunitarie  esclude dunque ogni automatismo del diniego al ricongiungimento familiare in conseguenza della presenza di condanne per uno  reati penali elencati nella prima parte della norma, richiedendosi invece una valutazione, legata alle circostanze personali di ogni singolo caso, volta a bilanciare il pericolo rappresentato dall'interessato per l'ordine e la sicurezza pubblica, secondo una valutazione prognostica che necessariamente deve tenere conto della gravità dei precedenti penali, con l'interesse ed il diritto dei singoli al rispetto della vita familiare.

Non interpretando la normativa interna in maniera conforme ai contenuti della  direttiva europea n. 86/2003, che esclude chiaramente ogni automatismo tra reato penale e diniego al ricongiungimento,   l'orientamento espresso dalla Cassazione non appare certamente corretto e condivisibile.

 

 

Suprema Corte di Cassazione, I sez. civile, sentenza n. 10880 dd. 06 maggio 2010

 

 

 

 

 

 


Corte di Appello di Genova: Il parente legalmente soggiornante in Italia a cui sia stato affidato un minore dall’autorità giudiziaria del Paese di origine ha diritto ad ottenerne il ricongiungimento familiare


Il Ministero degli Esteri può rifiutare il visto di ingresso solo se è in grado di provare che l’affidamento è contrario all’interesse del minore.

La Corte di Appello di Genova, con decreto depositato il 13 marzo 2010,  ha respinto il reclamo proposto dal Ministero degli Affari Esteri italiano avverso il provvedimento emesso il 6 agosto 2009 dal Tribunale di Genova, con il quale era stato accolto il  ricorso di una cittadina ecuadoregna e dichiarato  illegittimo il diniego al rilascio del visto di ingresso per ricongiungimento familiare oppostole dall'autorità diplomatica italiana in Ecuador nei confronti del di lei nipote, che gli era stato affidato con decisione dell'autorità giudiziaria ecuadoregna.

L'autorità diplomatica italiana aveva rilevato che il provvedimento di affido del minore alla nonna residente in Italia , deciso dall'autorità giudiziaria ecuadoregna su istanza dei genitori, non poteva essere riconosciuto dall'autorità italiana in quanto assimilabile ad un "atto di cessione" della potestà parentale strumentale allo scopo di aggirare la normativa sull'immigrazione in Italia e dunque contrario all'ordine pubblico interno.

La Corte di Appello di Genova ha sostanzialmente confermato le censure al comportamento dell'autorità diplomatica italiana in Ecuador espresse dal giudice di primo grado, ritenendo non condivisibili  le argomentazioni mosse dall'amministrazione.

In primo luogo, la Corte di Appello di Genova, confermando il giudizio espresso dal giudice monocratico nel primo grado di giudizio, ha rilevato che l'art. 29 comma II del T.U. immigrazione equipara - ai fini del ricongiungimento - ai "figli di età inferiore ai 18 anni", i "minori adottati o  affidati o sottoposti a tutela", senza che la norma preveda che i ricongiungendi siano conviventi. Pertanto, la Corte di Appello rileva che l'amministrazione non poteva che prendere atto del provvedimento emesso dalla competente autorità giudiziaria dell'Ecuador, con il quale il minore veniva affidato alla nonna paterna. La Corte di Appello di Genova, inoltre, rileva che in queste situazioni, l'Amministrazione potrebbe rifiutare  il visto di ingresso solo se fosse  in grado di provare che il ricongiungimento non corrisponderebbe all'interesse del minore anche in relazione ad carattere esclusivamente  strumentale e pretestuoso del provvedimento di affido, che però non può essere desunto in astratto.

La posizione espressa dal Ministero degli Esteri italiano che un provvedimento di affido di un minore da parte di un'autorità giudiziaria straniera senza che vi sia convivenza, trovandosi l'affidatario all'estero, risulterebbe di per sé in contrasto con il principio dell'ordine pubblico interno non ha trovato accoglimento da parte della Corte di Appello di Genova, sul presupposto che nel nostro ordinamento sussiste l'istituto dell'"affidamento parentale libero", seppure riservato ai familiari del minore entro il quarto grado.

 

 

Corte di Appello di Genova, decreto dd. 13.03.2010

 

Tribunale di Genova, decisione del 6 agosto 2009

 

 

 

Corte di Appello di Trento: l’istituto di diritto islamico della Kafalah, anche se solo consensuale, riconoscibile in Italia ai fini del ricongiungimento familiare.


L’istituto non è contrario all’ordine pubblico interno anche perché ricompreso tra le misure di protezione sostitutiva dei minori dalla Convenzione ONU di New York sui diritti dei fanciulli.

La Corte di Appello di Trento ha respinto il reclamo opposto dal Ministero degli Esteri italiano contro l'ordinanza emessa dal Tribunale di Rovereto n. 200/2009  che aveva riconosciuto  ad un cittadino marocchino regolarmente residente in Italia il diiritto al rilascio di  un visto di ingresso per motivi di ricongiungimento familiare a favore di un minore  che gli era stato affidato in Marocco dai genitori naturali attraverso l'istituto di diritto islamico della Kafalah. Sebbene in questo caso l'affidamento in Marocco attraverso l'istituto della Kafalah non abbia riguardato un minore abbandonato, bensì sia avvenuto in forma consensuale, cioè mediante un accordo diretto tra i  genitori naturali  e la famiglia di accoglienza, il Tribunale di Rovereto aveva  ritenuto di dover riconoscere l'istituto di diritto islamico ai fini del ricongiungimento in Italia, ritenendo soddisfatte le garanzie richieste dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 7472/2008. Nel caso in questione, infatti, la Kafalah non ha avuto una base esclusivamente negoziale, in quanto l'accordo di affidamento tra le due famiglie, sottoscritto presso un notaio, ha avuto l'omologazione del tribunale marocchino.

Secondo la Corte di Appello di Trento la regolamentazione dell'istituto della kafalah da parte della legislazione marocchina, con la previsione di una procedura di affidamento da parte del tribunale marocchino, in caso di minore abbandonato, non ha escluso nell'ordinamento marocchino la possibilità della kafalah consensuale che si realizza mediante un accordo diretto tra la famiglia di origine del minore e la famiglia di accoglienza, successivamente omologato dall'autorità giudiziaria. Pertanto, contrariamente alla tesi sostenuta dal Consolato italiano in Marocco, la kafalah consensuale  è pienamente compatibile con l'ordinamento giuridico marocchino.  Secondo la Corte di Appello di Trento, la kafalah  è ugualmente compatibile con l'ordine pubblico interno in quanto viene ricompresa dalla Convenzione di New York sui diritti del fanciullo tre le misure di "protezione sostitutiva" accanto all'affidamento familiare e all'adozione.
In questo senso, le esigenze di protezione dei minori debbono prevalere su quelle attinenti al controllo e contenimento dei flussi migratori.Di conseguenza, il minore sottoposto a kafalah è pienamente assimilabile al minore affidato ed in quanto tale può essere soggetto passivo della procedura di ricongiungimento familiare esercitata dall'affidatario regolarmente residente in Italia e titolare dei requisiti di reddito e abitativi richiesti dalla normativa sull'immigrazione.

Si ricorda che,  di recente,  la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 4868/2010 (depositata il 01.03.2010), ha respinto l'istanza   di un cittadino italiano di origini marocchina volta ad ottenere il visto per ricongiungimento familiare a favore di un minore marocchino che gli era stato  affidato secondo l'istituto della Kafalah dai suoi genitori sulla base della decisione di un tribunale marocchino. La Corte di Cassazione ha sostenuto che l'ingresso e soggiorno dei familiari di Paesi terzi del cittadino italiano e del cittadino comunitario residente in Italia sono regolati esclusivamente dalle norme del d.lgs. n. 30/2007, di recepimento della direttiva europea n. 2004/38. Pertanto, tra il novero dei familiari di cui agli art. 2 e 3 del d.lgs. n. 30/2007, possono essere certamente ricompresi i minori del cittadino italiano o comunitario adottati od adottanti che fanno ingresso in Italia acquisendo lo status di minore in affidamento familiare alla stregua delle previsioni del titolo III della legge n. 184/1983, come modificato dalla legge n. 476/1998 di esecuzione della Convenzione dell'Aja del 19.05.1993 sull'adozione internazionale. Secondo la Cassazione , invece, non possono ritenersi invece familiari ai sensi del d.lgs. n. 30/2007  i minori stranieri di paesi terzi semplicemente affidati al di fuori di un procedimento di adozione internazionale, categoria alla quale possono ritenersi assimilati i minori  oggetto dell'istituto di diritto islamico della Kafalah, secondo un indirizzo consolidato della stessa Cassazione (sentenze n. 21395/05, 7472/2008, e 18174/2008).

In altri termini, secondo l'orientamento della Suprema Corte,  il ricongiungimento familiare del minore affidato in base all'istituto della kafalah consensuale può avere luogo solo se l'affidatario è un cittadino straniero, mentre se questi possiede anche la cittadinanza italiana, il visto di ingresso per coesione familiare ai sensi della normativa sull'immigrazione non potrà essergli rilasciato, essendo esercitabile soltanto il procedimento di adozione internazionale.

 

 

Corte di Appello di Trento, decreto dd. 30.10.2009 (kafalah)

 

 


Cassazione: sull'interpretazione dell'art. 31 T.U. decidano le Sezioni Unite


Un’ordinanza della I.a sezione della Suprema Corte rimette gli atti al Primo Presidente affinchè rimetta la questione alle Sezioni Unite vista la difformità di posizioni espresse e la conseguente incertezza nell’ interpretazione della norma.

La questione riguarda l'interpretazione dell'art. 31, comma 3, del TU immigrazione d.lgs.286/98, il quale, in deroga alle ordinarie regole per l'ingresso ed il soggiorno, consente al familiare (privo di permesso di soggiorno) del minore straniero di ottenere dal Tribunale per i minorenni una speciale autorizzazione all'ingresso o al soggiorno "per gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico e tenuto conto dell'età e delle condizioni di salute del minore che si trova nel territorio italiano". Se tale autorizzazione è accordata, la questura rilascia al genitore un permesso di soggiorno "per assistenza minore, rinnovabile, di durata corrispondente a quella stabilita dal Tribunale per i minorenni. Il permesso di soggiorno consente di svolgere attività lavorativa ma non può essere convertito in permesso per motivi di lavoro" (art. 29, co. 6 TU immigr.).

Al riguardo, la Corte di Cassazione ha espresso posizioni divergenti.  Da un lato è emersa un'interpretazione  secondo la quale la norma dovrebbe trovare un'applicazione eccezionale, tale da non lasciar spazio ad interpretazioni estensive che possano rispondere a situazioni ordinarie di completamento del ciclo scolastico o del percorso formativo del minore (da ultime pronunce n. 5856 e 5857/2010). Dall'altro, recenti pronunce (sentenza n. 22080/2009 e ordinanza n. 823/2010) hanno invece adottato soluzioni diverse, volte ad interpretare la norma come fondata sull'esigenza, sempre ed in ogni caso, di rispondere alle esigenze di protezione dell'interesse del minore a vivere con entrambi i genitori.

La Corte di Cassazione, sez. I, con l'ordinanza n. 8881 del 14 aprile 2010, pur sposando la prima tesi, rileva che  tale difformità di posizioni in seno alla giurisprudenza della Suprema Corte crea un ‘ obiettiva incertezza giuridica riguardo alla questione e dunque ritiene opportuno rimettere gli atti al suo presidente affinchè rimetta la questione alle Sezioni Unite.

 

 

Corte di Cassazione, sez. I, ordinanza n. 8881

 

Sulla questione si veda un commento dell'Avv. Nazzarena Zorzella, del Foro di Bologna

 

 

 

 

DIRITTI SOCIALI

 


Tribunale di Verona: il cittadino marocchino regolarmente soggiornante in Italia ha diritto alle indennità per i ciechi ex lege n. 382/70 anche se non è titolare di carta di soggiorno


La clausola di parità di trattamento in materia di sicurezza sociale prevista dagli accordi di associazione euromediterranei tra CEE e Marocco ha diretta applicazione nell’ordinamento italiano in quanto norma di diritto comunitario.

Con ordinanza n. 745/2009 depositata il 14.01.2010, il giudice del lavoro di Verona ha accolto il ricorso proposto da un cittadino marocchino avverso il diniego opposto dall'INPS al riconoscimento dell'indennità speciale per i ciechi parziali prevista dalla legge n. 382/1970, per il mancato possesso della carta di soggiorno o permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti previsto dall'art. 80 c. 19 della legge n. 388/2000. Il giudice del lavoro di Verona ha accolto le istanze del ricorrente, secondo le quali la norma di cui alla legge n. 388/2000 che prevede per gli stranieri extracomunitari la condizione del possesso della carta di soggiorno o permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti di cui all'art. 9 del d.lgs. n. 286/98 ai fini dell'accesso alle prestazioni sociali che costituiscono diritti soggettivi ai sensi della legislazione vigente, incluse  quelle  per i ciechi, non deve trovare applicazione nei confronti  dei lavoratori di nazionalità marocchina regolarmente residenti in Italia. Questo perché tali lavoratori possono godere del principio di parità di trattamento in materia di sicurezza sociale previsto dall'art. 65 primo comma dell'Accordo di Associazione tra le Comunità Europee e i loro Stati membri e il Regno del Marocco firmato a Bruxelles il 28 gennaio 1996.E' opportuno ricordare al riguardo l'orientamento ormai consolidato della giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea, secondo la quale la nozione di   "sicurezza sociale" contenuta nei citati Accordi euromediterranei  - ed ancor prima negli accordi di cooperazione che li hanno preceduti- deve essere intesa allo stesso modo dell'identica nozione contenuta nel regolamento Ce n. 1408/71. Come abbiamo visto in precedenza, tale regolamento, dopo le modifiche apportate dal Regolamento del Consiglio 30/4/1992 n. 1247, include  nella nozione di "sicurezza sociale" le "prestazioni speciali a carattere non contributivo", [incluse quelle] destinate alla tutela specifica delle persone con disabilità,   [...] ed elencate nell'allegato II bis", che per quanto concerne l‘Italia, menziona espressamente quelle prestazioni che costituiscono diritti soggettivi in base alla legislazione vigente in materia di assistenza sociale cioè la pensione sociale, le pensioni e le indennità ai mutilati ed invalidi civili, ai sordomuti, ai ciechi civili, gli assegni per assistenza ai pensionati per inabilità. Inoltre,   in virtù della dinamica espansiva della nozione di sicurezza sociale da parte della giurisprudenza comunitaria, la sfera di applicazione ratione materiae del Regolamento comunitario n. 1408/71 deve intendersi estesa a tutte le prestazioni sociali a carattere non contributivo previste dal diritto interno qualora i criteri e requisiti soggettivi e oggettivi per l'erogazione delle medesime siano fissati dalla legislazione  e non derivino invece da una valutazione individualizzata delle condizioni di bisogno delle persone lasciata alla discrezionalità degli enti locali , anche qualora  lo Stato membro non provveda all'aggiornamento dell'apposito elenco di cui all'allegato II bis del regolamento comunitario e pertanto dette prestazioni non vi  vengano incluse.La norma sulla  parità di trattamento in materia di sicurezza sociale contenuta negli accordi euro mediterranei di associazione tra CE e Marocco è dunque a pieno titolo una norma di immediata e diretta applicazione negli ordinamenti interni degli Stati membri dell'UE e pertanto, qualsiasi norma di diritto interno ad essa incompatibile deve trovare disapplicazione, senza necessità di un suo rinvio alla Corte Costituzionale.

Per tale ragione, dunque, il giudice del lavoro di Verona ha condannato l'INPS all' l'erogazione a favore del cittadino marocchino dell'indennità speciale per ciechi parziali, con decorrenza dalla data di presentazione dell'istanza, inclusi gli interessi legali.

Clausole  di "non discriminazione" in materia di sicurezza sociale sono contenute anche negli  Accordi di  Associazione  euromediterranei stipulati tra la Comunità Europea  e rispettivamente la Repubblica Tunisina e l'Algeria, tutti ratificati con legge e vincolanti per l'Italia in quanto membro dell'Unione Europea.  Un'analoga clausola di parità di trattamento in materia di sicurezza sociale è contenuta nella Decisione del Consiglio di applicazione dell'Accordo di Associazione CE-Turchia.

L'ordinanza del Tribunale di Verona segna un secondo precedente favorevole alla diretta applicazione della clausola di parità di trattamento in materia di sicurezza sociale contenuta in uno degli Accordi di associazione euro mediterranei che la prevedono. Il primo precedente è stata l'ordinanza del Tribunale di Genova del 3 giugno 2009.

 

 

Tribunale di Verona, ordinanza dd. 14.01.2010 n. 745/09

 

Per ulteriori approfondimenti:

 

L'accesso alle prestazioni di assistenza sociale
Scheda pratica a cura di Walter Citti e Paolo Bonetti (Aggiornata al 9.09.2009)

 

http://www.emiliaromagnasociale.it/wcm/emiliaromagnasociale/home/antidiscriminazioni/Casi/invalidita.htm

 

 

PENALE


Corte di Cassazione: Al contrario di "sporco negro", l’ingiuria “Italiano di merda” non ha una connotazione razzista perché nel contesto italiano non può essere associata ad un pregiudizio di inferiorità razziale


Secondo la Corte di Cassazione, al contrario dell'espressione "sporco negro",  l'ingiuria "italiano di merda" non ha una connotazione razzista e dunque non determina l'applicazione della circostanza aggravante prevista dalla legge n. 205/1993 ("legge Mancino").

Secondo la Suprema Corte infatti, l'ingiuria connotata in termini razzisti implica una esteriorizzazione immediatamente percepibile, nel contesto in cui è maturata, avendo riguardo al comune sentire, di un sentimento di avversione o di discriminazione fondato sulla razza, l'origine etnica o il colore (Cassazione, sez. V, 11 luglio 2006, n. 37609), che dunque veicoli l'espressione di un pregiudizio di inferiorità  e di negazione dell'uguaglianza. Se, dunque,  l'espressione "sporco negro" integra l'aggravante della connotazione razzista dell'ingiuria perché è correlata nel contesto territoriale ad un pregiudizio di inferiorità razziale, come riconosciuto dalla Cassazione con la sentenza n. 9381/2006, lo stesso- secondo la cassazione- non può dirsi per la frase ingiuriosa "italiano di merda" in quanto nel comune sentire del nostro Paese il riferimento all'italiano non è connaturato ad una situazione di inferiorità, essendo  la comunità etnica italiana maggioritaria e politicamente egemone nel nostro Paese.

Così ha deciso la Corte di Cassazione, nella sentenza della sez. V., n. 11590 dd. 25 marzo 2010, respingendo il ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica di Trieste avverso la sentenza del Giudice di pace  di Pordenone.

 

 

Corte di Cassazione, sez. V penale, sentenza n. 11590 dd. 25 marzo 2010

 

 


Apostasia e reato penale di minaccia grave. Una sentenza del Tribunale di Bologna
E' grave la minaccia proferita nei confronti di una persona per aver abbandonato la fede islamica, se a commetterla è un credente islamico e quindi consapevole che l’apostasia è passibile di morte secondo la legge islamica. Il giudice penale di Bologna, con sentenza depositata già il 24 giugno 2009, ha pronunciato condanna nei confronti di un cittadino marocchino per il delitto  di minaccia grave  di cui all'art. 612 c. 2 c.p. commesso  nei confronti di una connazionale cui aveva indirizzato alcune lettere per posta elettronica nelle quali la accusa di essere una musulmana apostata divenuta cristiana, esprimendo giudizio di valore negativi nei suoi confronti e della fede cristiana e concludendo che Allah l'avrebbe punita .Poiché la minaccia può consumarsi anche con locuzioni verbali che in modo indiretto rappresentino il male minacciato (minaccia implicita), secondo il giudice di Bologna la frase incriminata,  per cui  Allah avrebbe punito la donna a causa della sua apostasia, concretizzerebbe il reato di minaccia di morte. Il giudice penale di Bologna ha ritenuto infatti  che l'autore della minaccia, essendo un credente islamico, doveva certamente essere consapevole del fatto che l'apostasia è passibile di morte secondo la legge islamica, e negli ordinamenti di vari Stati islamici, incluso il Marocco all'epoca dello svolgimento dei fatti, facendo così sussistere l'elemento soggettivo del dolo.

 

 

Tribunale penale di Bologna, sentenza 24 giugno 2009

 

 

 

GIURISPRUDENZA EUROPEA

 

CEDU: La dichiarazione dinanzi alle autorità di stato civile della propria fede religiosa ai fini della sua menzione sulla carta di identità, prevista dalla legislazione della Turchia, è contraria alla Convenzione europea dei diritti dell’Uomo


Secondo la Corte di Strasburgo la legislazione turca viola l’art. 9 della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo. La decisione della Corte su un ricorso promosso da un cittadino turco di fede alevita.

La Corte di Strasburgo, con la sentenza del 2 febbraio 2010 (ricorso n. 21924/05,  Sinan Isik c. Turchia), ha concluso che la legislazione turca che prevede l'obbligo di una dichiarazione dinanzi alle autorità di stato civile della propria fede religiosa, ai fini della menzione della medesima sulla carta di identità, fatta salva la possibilità di richiedere che nessuna menzione di appartenenza venga riportata nell'apposito spazio, viola il diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di fede religiosa di cui all'art. 9 della Convenzione europea dei diritti dell'Uomo.

Secondo la Corte di Strasburgo, infatti, l'art. 9 della Convenzione europea in materia di  libertà religiosa proibisce qualsiasi atto da parte delle autorità statuali volto ad obbligare la persona a dichiarare o divulgare pubblicamente la propria fede religiosa o le proprie convinzioni. Ulteriormente, secondo la Corte europea, la menzione delle convinzioni religiose nella  carta di identità o in altri documenti ufficiali, unitamente all'uso frequente di tali documenti nei rapporti istituzionali, espone gli interessati a rischi di discriminazione, ponendosi dunque in contrasto con gli standard internazionali in materia di diritti umani.

Il ricorso dinanzi alla Corte di Strasburgo è stato originato da un caso di un cittadino turco di fede alevita (una minoranza religiosa influenzata dal sufismo) che aveva richiesto alle autorità turche che la menzione "islam" riportata nella casella relativa all'appartenenza religiosa sulla sua carta di identità venisse sostituita da quella "alevita" o, in subordine, non venisse fatta menzione della fede religiosa nella carta di identità dei cittadini turchi. L'istanza era stata respinta dalle autorità amministrative e giudiziarie turche dopo il parere espresso da un organo ministeriale turco, la direzione degli affari religiosi, che aveva rigettato l'istanza con la motivazione che il movimento religioso alevita sarebbe una tendenza interna all'islam ovvero un'interpretazione particolare dell'islam influenzata dal sufismo, ma non una religione a sé stante.  Anche a questo riguardo, la Corte di Strasburgo ricorda nella sentenza la sua linea interpretativa consolidata, secondo la quale "il dovere di neutralità e di imparzialità dello Stato è incompatibile con qualsiasi potere di apprezzamento dello Stato riguardo alla legittimità dei credi religiosi", per cui in caso di conflitti all'interno di movimenti religiosi, "le autorità non possono privilegiare delle interpretazioni della religione a scapito di altre, o adottare delle misure che mirino a costringere una comunità divisa o una parte di essa a porsi, contro la sua volontà, sotto una direzione unica", bensì  le autorità possono o hanno anche l' obbligo di adoperarsi affinchè  tali gruppi, opposti gli uni agli altri, si tollerino vicendevolmente.

 

 

Corte europea dei diritti dell'Uomo, sentenza dd. 02.02.2010, caso Isik c. Turchia (n. 21924/05)

 

 

CEDU - condanna della Corte europea dei diritti dell’uomo contro l’Italia in materia di diritto ad un equo processo

 

 Nel caso Udorovic c. Italia (ricorso n. 38532/02), la CEDU con sentenza del 18 maggio 2010, ha accertato la violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione che garantisce l’equità della procedura, avendo la Corte d’Appello a suo tempo adita dal ricorrente, valutato in modo inesatto fatti da ritenersi invece importanti.Il ricorso era stato presentato da un cittadino italiano appartenente alla comunità zingara dei Sinti che nel 1995 risiedeva in un campo nomadi di Roma, autorizzato dal Comune. All’epoca la polizia municipale effettuò dei controlli e successivamente l’autorità municipale ordinò lo sgombero del campo, sostenendo che lo stesso non era fornito di acqua potabile e non era dotato di fognature. Contro i provvedimenti del Comune, il ricorrente promosse due procedure, una davanti all’autorità giudiziaria amministrativa e l’altra davanti all’autorità giudiziaria ordinaria.Un primo ricorso fu infatti presentato al Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio (“T.A.R.”), che in data 19 gennaio 2000 accoglieva l’istanza di sospensiva del provvedimento impugnato. Il Comune di Roma fece appello al Consiglio di Stato, che in data 20 marzo 2000 respinse l’opposizione, confermando la decisione del T.A.R.Il ricorrente iniziò anche una procedura davanti al Tribunale civile di Roma, ai sensi degli articoli 43 e 44 del decreto legislativo n. 286 del 1998. Secondo le disposizioni di legge citate, la procedura si svolse in camera di consiglio. Con ordinanza del 12 marzo 2001, il Tribunale respinse il ricorso affermando che i provvedimenti impugnati non erano discriminatori dato che avevano lo scopo di garantire la salute pubblica dei cittadini residenti vicino al campo nonché quella degli occupanti dello campo stesso. Il ricorrente fece opposizione, presentando reclamo alla Corte d’Appello di Roma. In particolare il ricorrente lamentava anche l’illegittimità di una decisione comunale del 1996. Anche tale procedura si tenne in camera di consiglio, in conformità di legge. La Corte d’Appello di Roma respinse il reclamo e inoltre, non si pronunciò sulla legittimità della decisione del 1996.Il ricorrente si era lamentato dell’iniquità della procedura svoltasi davanti all’autorità giudiziaria ordinaria dato che il processo si era svolto in camera di consiglio. La CEDU non ha ravvisato per questa parte del ricorso alcuna violazione, mentre invece ha accertato la violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione perché la Corte d’Appello non ha statuito sulla parte della domanda proposta dal ricorrente riguardante la legittimità della decisione del 1996.

 

 

Case Udorovic vs Italy
violation de l'article 6 § 1 de la Convention pour appréciation indéniablement inexacte de certains faits importants par la cour d'appel 

 

 



 

APPROFONDIMENTI

 

DOCUMENTI E RAPPORTI

 

05.05.2010
Consiglio d'Europa: I respingimenti in Libia sono illegittimi perchè negano un accesso effettivo al sistema internazionale di protezione dei rifugiati

Rapporto del Comitato per la prevenzione della tortura (CPT) del Consiglio d'Europa sui respingimenti in mare effettuati dall'Italia nel luglio 2009 e la risposta del Governo italiano.

 

20.05.2010
Rapporto della Commissione europea sulle politiche europee in materia di immigrazione e asilo
Asilo, immigrazione, controllo delle frontiere e partnership con paesi di origine e transito i temi principali del rapporto annuale.

 

04.05.2010
Rapporto dell’Agenzia europea sui diritti fondamentali sul trattamento dei minori non accompagnati richiedenti asilo nei Paesi dell’Unione europea

Resa pubblica la sintesi del rapporto del FRA, la cui versione completa sarà diffusa in giugno. Il rapporto è basato su interviste con 336 minori richiedenti asilo e 302 adulti responsabili dei servizi e mette in evidenza le deficienze del sistema di accoglienza.

 

 

Newsletter a cura di Silvia Canciani e Walter Citti  della segreteria organizzativa dell’A.S.G.I. - Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione

ASGI- Segreteria Organizzativa  - Udine - tel/fax  +39.0432.507115 - cell. 3470091756 - e-mail, info@asgi.it

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