DIRITTO DI ASILO IN FRANTUMI. GLI ERITREI ANCORA NELLE GABBIE
LIBICHE.
Un silenzio plumbeo continua a gravare sulla sorte dei
circa duecento eritrei deportati da Misurata a Brak, in pieno deserto, per
avere rifiutato di firmare, con il pretesto di una offerta di regolarizzazione
per lavoro, dei moduli di identificazione predisposti dalla loro ambasciata. Adesso anche gli ultimi
telefoni tacciono, e probabilmente le guardie libiche, che finora hanno fornito
satellitari e vie di fuga, a pagamento naturalmente, hanno ricevuto nuovi
ordini, di impedire qualsiasi comunicazione con l'esterno. Intanto sembra
ancora in corso la raccolta delle adesioni all'accordo di integrazione che
dovrebbe permettere agli eritrei di uscire dal carcere militare nel quale sono rinchiusi
per essere trasferiti in un comune libico nel quale sarebbero obbligati a
svolgere lavori socialmente utili sotto il controllo della locale prefettura.
Un accordo truffa che passa attraverso la rinuncia alla richiesta di asilo, che
consentir la identificazione dei profughi da parte dell'ambasciata eritrea, e
che permetter a Gheddafi e a Berlusconi di continuare a dire che in Libia non
esistono richiedenti asilo, e che dunque le pratiche di respingimento
collettivo, e quindi di detenzione, si rivolgono soltanto verso migranti
illegali, che vanno puniti per avere fatto ingresso irregolare in Libia e
deportati nei paesi di origine. Anche se si tratta di somali, sudanesi,
nigerini, togolesi, nigeriani o eritrei che potrebbero chiedere asilo o un altro
status di protezione internazionale. Anche se le punizioni con i bastoni o con
i manganelli elettrici violano i pi elementari diritti dell'uomo.
Tutti assimilati dunque alla comoda (per governi e
polizie) categoria di migrante economico (da sfruttare e) da respingere, quando
la sua presenza non conviene pi, una logica che l'Europa ha insegnato agli
stati africani, prima paesi di transito, adesso come la Libia, anche paesi di
destinazione. E
da giorni circola sui giornali italiani, persino sul Giornale di Sicilia di
Palermo, la falsa notizia della soluzione del problema, con l'annuncio
del rilascio ai profughi eritrei
di permessi di soggiorno per lavoro. Un annuncio che non ha significato la
libert per nessuno. Una realt di
comodo nella quale tutti i principali attori di questa vicenda recitano le
parti a memoria, con un alternarsi sistematico di abusi e violenze ai limiti (
e oltre) della tortura, seguiti poi da gesti di apparente apertura, come le
visite guidate in alcuni centri di detenzione che le autorit libiche
concedono periodicamente per tentare di dimostrare il pieno rispetto dei
diritti umani dei detenuti. Secondo le ultime notizie di fonte libica, gli
eritrei sarebbero ospiti temporanei della Grande Jamahiria, trattati con
tutti i riguardi, al punto che persino le organizzazioni umanitarie consorziate
con l'IOPCR, ente libico che dovrebbe assistere i migranti, come l'OIM, la
Mezza Luna Rossa, e fino a poco tempo fa anche l'UNHCR, Alto Commissariato
delle Nazioni Unite per i rifugiati, li possono visitare, garantendo in questo
modo che non fossero esposti ad abusi. Adesso, dopo l'ennesima visita guidata
di qualche ora, avvenuta forse in una giornata di domenica, ripeteranno la
stessa litania, buona solo per i tanti che si sentono con la coscienza a posto
solo perch queste tragedie avvengono in un paese africano, ormai lontano dalle
pulsioni dell'opinione pubblica e
senza scomodi testimoni.
Addirittura, dopo il clamore suscitato dalla vicenda,
secondo una ANSA dell'11 luglio, che cita come fonte l'agenzia di stampa libica
Jana, Gheddafi, avrebbe ordinato venerd sera a Tripoli, un'inchiesta sulla
situazione degli emigrati eritrei che si trovano in Libia. Come riferisce l'ANSA, in un recente comunicato del
Ministero degli esteri libico, anch'esso apparso sulla Jana, la Libia ha
smentito con vigore le informazioni riportate dalla stampa straniera sul
trattamento degli emigrati eritrei rinchiusi nei centri di detenzione. Questi
eritrei, riporta il comunicato del Ministero degli Esteri libico, sono 400 e
soggiornano nei campi di detenzione per un periodo che va dai 6 mesi ai 2 anni
durante i quali sono trattati, sempre secondo la nota, in un'ottica
umanitaria, come ospiti in attesa di ritornare nel loro Paese d'origine.
Ospiti che quando saranno ricondotti nel loro paese di origine, magari dopo
essere stati costretti a firmare richieste di rimpatrio, o essere stati per
qualche tempo comuni migranti economici, potranno essere sottoposti ad altre
violenze e torture.
Secondo la Reuters, che cita la stessa agenzia di
stampa libica Jana, "ci sono circa 400 migranti illegali dell'Eritrea
detenuti in centri in Libia e vengono trattati come ospiti temporanei".
"Le autorit libiche hanno aperto i centri di
detenzione agli organismi umanitari e ai rappresentanti diplomatici perch
testimonino le condizioni e il trattamento dei migranti", ha detto
l'agenzia. "E' una cosa che di per s smentisce le accuse di
maltrattamento".
Insomma l'opinione pubblica italiana pu dormire sonni
tranquilli, il sonno dell'ignoranza e della vergogna, i clandestini dalla
Libia non arriveranno pi ed bene che vadano isolati quei pochi mestatori che
si ostinano a chiedere il riconoscimento del diritto di asilo dei profughi
eritrei detenuti in quel paese ed il loro trasferimento in un paese firmatario
della Convenzione di Ginevra, in grado di garantire effettivamente la
protezione internazionale. Anche se in questo senso si espresso anche ECRE
che costituisce il massimo organismo a livello comunitario per la difesa dei
rifugiati. E alcuni deputati europei hanno richiesto di convocare i
rappresentanti della Libia e dell'Italia davanti alla Commissione per i diritti
dell'Uomo del Parlamento Europeo, per chiarire la vicenda degli eritrei
deportati da Misurata a Brak. Magari, tra qualche giorno, qualcuno ci verr a
raccontare che a Brak gli eritrei sono alloggiati in un albergo a cinque stelle
e che questa emergenza se la sono inventata i giornalisti e gli antirazzisti
italiani..
Alcuni dati certi smentiscono le informazioni pi
ottimistiche di fonte libica, date per buone, oltre che dalla maggior parte
della stampa italiana, dai nostri esponenti di governo, preoccupati soltanto di
non guastare il clima di collaborazione instauratosi con Gheddafi dopo il
Trattato di amicizia del 2008 , un accordo internazionale che coster agli
italiani cinque miliardi di euro in venti anni. n Libia le retate, gli arresti sommari e
le deportazioni continuano fino a questi giorni e le conferme non vengono solo
dai rapporti di Amnesty International (2010), e di Human Rights Watch (2009) ma
dal governo libico e dalle missioni dell'Agenzia FRONTEX e del Parlamento
Europeo.
Innanzitutto provato che la Libia pratica da anni e
su vasta scala arresti e deportazioni di massa, anche se le missioni
internazionali non si accorgono sempre che tra i cd. migranti economici
illegali che vengono deportati ve ne sono a migliaia che potrebbero chiedere
asilo o protezione internazionale.
Per confermare questo dato basta leggere il Report
della Missione tecnica inviata in Libia dal 28 maggio al 5 giugno del 2007
dall'agenzia comunitaria per il controllo delle frontiere esterne FRONTEX,
secondo la quale nel solo 2006 erano stati 32164 i migranti illegali detained
in Libia e 53842 quelli deported verso i paesi di origine. E sono noti i dati
contenuti nelle relazioni per il 2005 ed il 2006 della Corte dei Conti che ha
documentato il finanziamento da parte italiana di oltre 5300 rimpatri dalla
Libia verso i paesi di origine. Altro che ospiti! E sono tutte circostanze ben
note al nostro governo, anche se negli ultimi anni si tolto alla Corte dei
Conti il potere di indagare su queste operazioni di vera e propria
deportazione. Nel settembre del 2009, Human Rights Watch ha pubblicato un
rapporto, "Scacciati
e schiacciati",
che documentava la politica di interdizione dell'Italia e il rinvio sommario di
migranti e richiedenti asilo in Libia. Il rapporto documentava inoltre i
frequenti abusi subiti dai migranti durante la detenzione in Libia, cos come
la pratica generale di detenere i migranti irregolariper periodi
indefiniti. E gli stessi abusi
sono confermati da un rapporto ancora pi recente di Amnesty
International.
Secondo Bill Frelick, direttore del Refugee Program di
Human Rights Watch Il governo
italiano dovrebbe offrire immediatamente accoglienza ad almeno 11 Eritrei che
aveva respinto, in precedenza, in Libia, dove ora sono detenuti con la minaccia
di deportazione in Eritrea. "L'Italia non ha
mai dato a questi individui la possibilit di chiedere asilo, e adesso essi
corrono il grave rischio di ritrovarsi scaricati nel deserto o deportati in
Eritrea," ha dichiarato Frelick, "L'Italia responsabile per le
persone che ha respinto in Libia, un Paese senza legge sull'asilo che li ha
brutalizzati. l'Italia che li ha esposti a questo pericolo, ed l'Italia che
da tale condizione dovrebbe toglierli." Alcuni di loro sono stati in grado
di contattare Human Rights Watch. Hanno dichiarato il timore che riempiendo con
le proprie generalit questi moduli forniti dall'ambasciata Eritrea, metteranno
in pericolo le proprie famiglie in Eritrea e forse spianeranno la strada per la
propria deportazione. "Il governo eritreo considera coloro che
scappano dal Paese come dei traditori" ha detto Frelick, "Che la
Libia richieda loro di fornire al governo da cui sono scappati le proprie
generalit, dimostra che sono ancora in pericolo in Libia."
Secondo i media
italiani, 140 dei detenuti eritrei rinchiusi a Misurata hanno firmato i moduli.
Alcuni di loro hanno riferito a Human Rights Watch che quanti hanno firmato lo
hanno fatto sotto costrizione o per inganno, e che hanno paura delle
conseguenze per le proprie famiglie ancora in Eritrea. Sempre secondo HRW, le autorit libiche stanno usando mezzi durissimi sui
detenuti per costringerli a firmare i moduli. I detenuti hanno informato Human
Rights Watch che 10 dei 205 Eritrei che erano stati trasferiti dal centro di
detenzione di Misurata a quello di Brak ( Al Biraq), erano stati portati
all'aperto e picchiati. Il 7 luglio, un gruppo rimasto a Misurata, composto da
31 uomini, 13 donne e 7 bambini, ha detto di essere stato picchiato dopo aver
rifiutato nuovamente di riempire i moduli.
Il ministro Vito in un recente dibattito parlamentare, pochi giorni
fa alla Camera, ha invece riferito come il 24 giugno scorso, l'assistente
dell'Alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati abbia incontrato a
Tripoli il Ministro degli esteri libico ed ha espresso la gratitudine
dell'Alto commissariato per la sensibilizzazione svolta dal Ministro Frattini
nei confronti delle autorit libiche. Con quali risultati si gi visto e,
purtroppo, lo si vedr ancora in futuro.
Lo stesso ministro ha poi comunicato che l'Alto commissariato potr proseguire
ufficiosamente nell'assistenza dei rifugiati in Libia e, contestualmente,
avvier un negoziato per un memorandum di intesa, che costituisca il
quadro giuridico per l'operativit in Libia in forma ufficiale.
Secondo Vito, in merito, poi, al trasferimento di immigrati
irregolari eritrei dal centro di Misratah a quello di Sebha, il Ministero degli
affari esteri fa sapere che, secondo la nostra ambasciata, vi sarebbero stati
tumulti nel centro di Misratah dovuti, verosimilmente, alla distribuzione, da
parte delle autorit libiche, di formulari per selezionare personale da adibire
a lavori socialmente utili. Gli interessati, per, avrebbero scambiato tali
formulari per documenti finalizzati al rimpatrio in Eritrea. Sempre secondo
Vito, Il nostro ambasciatore ha incontrato il Viceministro degli esteri
libico, il quale ha confermato che le autorit libiche stanno completando la
raccolta dei dati personali degli immigrati eritrei, per poi affidarli a
diverse shabe (una sorta di prefetture) ed avviarli a lavori
socialmente utili. Dunque anche per l'Italia, come per Gheddafi, i migranti
eritrei non sono richiedenti asilo, ma soltanto dei migranti economici ai
quali, se va bene, pu essere concesso al massimo un permesso di soggiorno per
lavoro. Esattamente quello che da settimane con violenze ed abusi indicibili i
libici stanno cercando di estorcere agli eritrei detenuti a Misurata ed adesso
trasferiti per punizione a Brak.
Il rappresentante del governo d poi notizia del negoziato in corso tra
Libia ed Unione europea per un accordo quadro che comprende un ampio capitolo
migratorio, aggiungendo che la Commissione europea impegnata, conformemente
al mandato del Consiglio, ad ottenere dalle autorit libiche anche garanzie
sulla tutela delle persone che necessitino di protezione internazionale.
Peccato che nessuno ricordi in Italia la Risoluzione del Parlamento Europeo del
17 giugno scorso, che di fatto impone una sospensione dei negoziati fino a
quando la Libia non garantir il pieno rispetto dei diritti umani.
E invece il governo italiano ha approvato il Decreto legge 6 luglio
2010 , n. 102 che proroga degli interventi di cooperazione allo sviluppo e a
sostegno dei processi di pace, di stabilizzazione e delle missioni
internazionali delle Forze armate e di polizia. All'art. 4 (Missioni internazionali delle Forze
armate e di polizia) si autorizza la spesa di euro 2.023.691 per la proroga
della partecipazione di personale del Corpo della guardia di finanza alla
missione in Libia, di cui all'articolo 5, comma 22, del decreto-legge 1
gennaio 2010, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 5 marzo 2010, n.
30, e per garantire la manutenzione ordinaria e l'efficienza delle unita'
navali cedute dal Governo italiano al Governo libico, in esecuzione degli
accordi di cooperazione sottoscritti tra la Repubblica italiana e la Grande
Giamahiria araba libica popolare socialista per fronteggiare il fenomeno
dell'immigrazione clandestina e della tratta degli esseri umani.
Questa la risposta, con i fatti, che il governo italiano fornisce
oggi a quanti hanno criticato, anche a livello internazionale gli accordi di
respingimento collettivo avviati nel 2007 e perfezionati nel febbraio del 2009
dal ministro Maroni in missione a Tripoli. Una risposta che produrr altri
respingimenti, altri arresti, ed altre deportazioni come quella, violenta ed
ingiustificata, subita dagli eritrei di Misurata.
Nel 2009
l'Alto Commissario Onu per i diritti umani, Navi Pillay denunciava le
politiche nei confronti degli immigrati che "con una chiara violazione del
diritto internazionale, vengono abbandonati e respinti senza un'adeguata
verifica del fatto che stiano o meno fuggendo da persecuzioni". Il 15
settembre 2009 la Pillay citava la "tragica evenienza" del
gommone di eritrei rimasto senza soccorsi tra la Libia, Malta e l'Italia nel
mese di agosto dello stesso anno. E osservava come "la pratica della
detenzione dei migranti irregolari, della loro criminalizzazione e dei
maltrattamenti nel contesto dei controlli delle frontiere deve cessare.(...)
Che cosa rimasto oggi di quella severa denuncia della detenzione arbitraria,
dei respingimenti collettivi in acque internazionali e dei ripetuti casi di
omissione di soccorso?
Nei mesi scorsi
l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per Rifugiati (UNHCR ) aveva anche
raccomandato che gli stati di
transito si astenessero dal rinviare con la forza in Eritrea persone ai quali
fosse stato negato asilo, per il pericolo che gli Eritrei respinti potessero
essere sottoposti a detenzione e tortura.
Eppure il 5 luglio l'ufficio di Ginevra
dell''UNHCR, quando era gi in corso la deportazione degli eritrei da Misurata,
si limitava ad auspicare soltanto il reinsediamento di coloro che non possono
rientrare nel paese di origine e si trovano in paesi terzi che, come la Libia,
non garantiscono il diritto di asilo ed il rispetto dei pi elementari diritti
dell'uomo, auspicando un maggiore impegno dei paesi europei nell'accoglienza
delle persone ridislocate ( resettlement), mentre in un precedente comunicato
dello scorso anno si osservava come the number of individuals resettled
from Libya remains low
non pi di qualche decina all'anno. A differenza dello scorso anno, silenzio
totale da parte dell'Ufficio UNHCR di Roma sulla deportazione violenta degli
eritrei in un carcere militare. Un silenzio assordante mentre i profughi da
Brak continuano a chiedere aiuto. E non certo per trovare un posto di lavoro.
Si pu immaginare che siano in corso trattative
riservate per restituire almeno
una parvenza di operativit all'Ufficio di Tripoli, almeno per i casi gi
esaminati, anche se la Libia continua a non sottomettersi a nessuna Convenzione
internazionale che preveda un qualche riconoscimento effettivo del diritto di
asilo. Ma con quali prospettive,viene da chiedersi, quando le pratiche dei
respingimenti collettivi, delle retate indiscriminate e delle deportazioni di
massa continuano, e soprattutto quando l'Italia e la Libia negano persino
l'esistenza in Libia di richiedenti asilo e la stessa Libia non intende aderire
alla Convenzione di Ginevra?
A queste condizioni sarebbe forse meglio che
l'Ufficio centrale di Ginevra dell'UNHCR denunci le gravi violazioni dei
diritti dei rifugiati in Libia, in particolare per quanto riguarda gli eritrei
e tutti coloro che non sono di fede musulmana, piuttosto che continuare a
seguire una linea di basso profilo che non sembra pi in grado di garantire una
tutela effettiva alle migliaia di richiedenti asilo rinchiusi ed abusati nelle
carceri e nei centri di detenzione di Gheddafi.
Si pu comunque rilevare lo stretto collegamento tra
gli attacchi all'Alto Commissariato portati avanti da Maroni e La Russa lo
scorso anno, dopo la denuncia dei respingimenti collettivi di richiedenti asilo
in acque internazionali effettuati da mezzi della Guardia di Finanza, ed adesso
la temporanea chiusura degli uffici UNHCR a Tripoli, voluta dai libici perch
l'UNHCR, assistendo i richiedenti asilo avrebbe posto in essere attivit
illegali. Si tratta di fatti incontrovertibili che dimostrano la perfetta
sinergia tra il governo italiano e quello libico nel negare persino
l'esistenza di richiedenti asilo e dunque nel cancellare, non solo in Libia, ma
anche nel Mediterraneo ed in Italia,
quel poco che rimane del diritto di asilo, un diritto fondamentale della
persona affermato, non solo dalla Convenzione di Ginevra del 1951 e dalle
direttive comunitarie, ma anche dall'art. 10 della Costituzione italiana.
L'Unione Europea dovrebbe adottare sanzioni per la
violazione dei principi di libert e non respingimento affermati nella carta
dei Diritti fondamentali, e la Corte Europea dei diritti dell'Uomo dovrebbe
finalmente condannare l'Italia per i respingimenti collettivi effettuati lo
scorso anno a partire dal 6 maggio. Sempre che nel frattempo i libici non
riescano a fare scomparire i ricorrenti, dando modo al governo italiano di
chiedere la cancellazione della causa dal ruolo, come si verificato altre
volte in passato.
Fulvio Vassallo Paleologo
Universit di Palermo