ARBEIT MACHT FREI 2 - IN LIBIA ANCORA RICATTI E IMBROGLI CONTRO GLI
ERITREI
Mentre i mezzi di informazione italiani, con l'eccezione dell'Unit, di
Raitre e di pochi altri, hanno steso una cortina di silenzio sulla sorte degli
oltre 200 eritrei detenuti e abusati nel carcere di Brak, in Libia, una agenzia
AFP chiarisce meglio la portata dell'accordo, un vero e proprio patto leonino
che il governo libico, con la mediazione dell'OIM, avrebbe imposto ad una parte
dei detenuti, mentre circa un terzo sembra che ancora si rifiuti di
sottoscrivere l'accordo di regolarizzazione, che secondo le autorit di quel
paese li sottrarrebbe alle bande di criminali trafficanti ovviamente, e
conterrebbe addiritturamisure per l'accoglienza e l'integrazione.
E' proprio il caso di ripetere, purtroppo, ARBEIT MACHT FREI, il
lavoro rende liberi. Secondo l'accordo imposto dal governo libico ad una parte
degli Eritrei, che probabilmente avrebbe firmato qualsiasi pezzo di carta pur
di lasciare il carcere militare di Brak nel quale vengono abusati da
giorni,l'ambasciata eritrea in Libia consegner dei documenti, e dunque
identificher, i detenuti al fine di permettere a quanti lo desiderano di
insediarsi in Libia.
L'insediamento dovrebbe avvenire non certo per libera scelta delle
persone ma esclusivamente all'interno di uno dei campi di lavoro socialmente
utile che la Libia esibisce con orgoglio per dimostrare il carattere socialista
del suo regime. Ma la sorte degli eritrei dispersi in questi campi ed affidati
alla rigida organizzazione dei tanti gerarchi libici appare segnata, ed una
volta considerati come migranti economici rimane ancora assai alto il rischio
che alla prima occasione vengano espulsi nel paese d'origine, dove ad
attenderli troverebbero carcere e torture. Il regime eritreo ha buona memoria.
E' rimasto in ombra in questa soluzione il ruolo dell'Italia, che pure
era stata sollecitata dal Commissario ai Diritti umani del Consiglio d'Europa
ad un chiarimento con la Libia sulla vicenda della deportazione degli eritrei
da Misurata a Brak.. Come sono rimasti inascoltati i numerosi appelli per un
ritrasferimento (resettlement) dei profughi dalla Libia in Italia, come gi
avvenuto negli anni passati, seppure in poche decine di casi.
Il capo della missione OIM in Libia Laurence Hart ha dichiarato, sempre
secondo l'AFP, che la soluzione stata individuata dalle autorit libiche per
integrare gli immigrati eritrei in attivit di lavoro socialmente utile, come
stato fatto in passato nel caso di altri immigrati somali. Tutti dovrebbero
sapere per la sorte di sfruttamento sistematico e di abusi quotidiani a danno
dei somali e degli eritrei in Libia, come si ricava dai rapporti di Human
Rights Watch e di Amnesty International. E come gli eritrei anche i somali
avrebbero avuto, ed hanno diritto, ad ottenere tutti non solo un permesso di
soggiorno per lavoro, magari in una condizione di grave sfruttamento, ma il
riconoscimento dello status di protezione internazionale, e dunque della libera
circolazione sotto la sorveglianza dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite
per i rifugiati. Un ruolo di garanzia che cessa quando un migrante non
riconosciuto come rifugiato ma come un comune migrante economico, magari da
fare rientrare nel paese di origine alla prima occasione. La soluzione adottata
dal governo libico mette fuori gioco ancora una volta l'UNHCR che peraltro in
Libia ha sempre avuto una limitata capacit di azione.
La stessa agenzia riferisce poi la vera ragione della chiusura della
piccola delegazione dell'UNHCR a Tripoli, che aveva riconosciuto lo status di
rifugiato a 8.951 persone e ne aveva riconosciuto altre 3.689 come richiedenti
asilo. Per il governo libico si trattava invece di immigrati clandestini, che
in nessun modo potevano essere considerati come rifugiati o richiedenti asilo
. Ecco perch all'inizio di giugno l'ufficio dell'UNHCR a Tripoli veniva
chiuso, proprio perch, a detta delle autorit libiche, avrebbe posto in essere
attivit illegali. Adesso sembrerebbe che sia stata consentita la riapertura
dell'ufficio, ma con un mandato limitato soltanto ai casi gi trattati in
passato. E poi, se tutti i potenziali richiedenti asilo sono considerati come
migranti economici, che senso pu avere la presenza dell'UNHCR a Tripoli?
Una domanda alla quale dovrebbe fornire risposta anche l'Ufficio
centrale dell'UNHCR a Ginevra, anche perch la Libia non ha ancora sottoscritto
la Convenzione di Ginevra..
E' caduto intanto nel
vuoto l'appello del Commissario ai diritti umani del Consiglio d'Europa Hammarberg che sollecitava l'Italia i
ministri Maroni e Frattini a chiarire la situazione con la Libia ed a
trasmettere informazioni allo stesso Consiglio d'Europa in merito alla vicenda
degli eritrei arrestati in Libia, anche alla luce dei numerosi report di
agenzie internazionali che indicavano tra i deportati eritrei trasferiti a Brak
ed a rischio di ulteriore deportazione nel loro paese di origine, anche
migranti che lo scorso anno avevano cercato di raggiungere l'Italia per
cercare di ottenere uno status di protezione internazionale ed erano stati
respinti in Libia senza avere la possibilit di inoltrare la relativa domanda.
Probabilmente, come ha detto lo stesso Gheddafi in diverse occasioni, in
particolare nel suo viaggio a Roma lo scorso anno, anche Maroni risponder
adesso al Consiglio d'Europa quanto affermato da Berlusconi lo scorso
anno, che in Libia non esistono
richiedenti asilo, che si tratta solo di migranti irregolari, anzi
clandestini, e che dunque non ci sono problemi di violazione di norme
internazionali.
Questi i fatti, e le menzogne, come sta venendo fuori dalle numerose
testimonianze che smentiscono Maroni e confermano che tra gli eritrei deportati
a Brak ve ne sono parecchie decine che lo scorso anno l'Italia ha intercettato
in acque internazionali, mentre cercavano di raggiungere l'Italia per chiedere
asilo, e che ha riconsegnato alle motovedette italo-libiche, che li hanno poi
ricondotti nei centri di detenzione come quello di Misurata. Persone che se
avessero raggiunto un qualunque paese europeo avrebbero avrebbero avuto diritto
al riconoscimento di uno status di protezione internazionale.
Ma sta succedendo qualcosa di ancora pi grave che i comunicati
ufficiali nascondono.
La circostanza che la maggior parte degli eritrei trasferiti da
Misurata a Brak si stia rivolgendo ( meglio, sia stata costretta con la forza a
rivolgersi) al proprio consolato per il rilascio di documenti identificativi, e
che questi documenti permetteranno l'inserimento in una comune di lavoro,
come quelle presenti in Libia, uno degli ultimi baluardi evidentemente del
socialismo ( e infatti in quel paese vietata la propriet privata della
terra), comporta alcune conseguenze assai gravi, che alleggeriscono le
responsabilit dei governi e costituiscono la premessa per la dispersione dei
duecento rifugiati eritrei, declassati adesso a semplici migranti economici,
che il magnanime governo libico accetterebbe di regolarizzare.
La identificazione di queste persone da parte del governo eritreo le
rende ricattabili a vita, anche per le attenzioni che questo governo riserva
a madri, mogli, figlie e sorelle di quanti tentano la via della fuga all'estero
in cerca di asilo. Inoltre avere accettato, meglio essere stati costretti dai
libici, con le violenze subite da giorni, a sottoscrivere un accordo di
integrazione fissa a tempo indeterminato gli eritrei nella comune di lavoro
nella quale verranno assegnati,ed impedisce loro qualsiasi futuro
riconoscimento dello status di rifugiato, sia per i ricatti che potrebbero
subire sui loro parenti in Eritrea, sia soprattutto perch una volta
qualificati come migranti economici, e dopo avere chiesto protezione,
attraverso la richiesta dei documenti identificativi, alla loro rappresentanza
diplomatica in Libia, potrebbe ritenersi venuta meno la ragione per riconoscere
loro, anche da parte dell'UNHCR, lo status di protezione internazionale.
Un trabocchetto in uso in Italia fino a qualche anno fa, quando ancora
non era entrata in vigore la normativa comunitaria attuata con il decreto
legislativo n.25 del 2008, consisteva nel chiedere e verbalizzare alle persone
appena sbarcate se volessero lavorare in Italia. Tutti naturalmente
rispondevano affermativamente, e tanto bastava alle forze di polizia per
respingere immediatamente e ritenere infondata la domanda di protezione
internazionale, con la successiva adozione di provvedimenti di espulsione o di
respingimento differito. Un trucchetto che il d.lgs n.25 del 2008 ha in
qualche modo ridimensionato, togliendo alla polizia di frontiera qualunque
potere discrezionale nell'esame della domanda di asilo che adesso di
pertinenza esclusiva della competente commissione territoriale. Ma
evidentemente la formazione congiunta italo-libica produce i suoi frutti ed
ecco che adesso la polizia libica, e il governo che la dirige, hanno imparato
lo stesso trucchetto che anni fa si praticava in Italia, e in certi casi,
come alle frontiere portuali dell'Adriatico, si continua a praticare ancora
oggi per impedire ai potenziali richiedenti asilo l'accesso alla procedura.
Per negare tutela e riconoscimento ai potenziali richiedenti asilo
basta considerarli e trattarli come migranti economici, e dunque
clandestini, se tentano di accedere al territorio senza i necessari documenti
di ingresso e soggiorno. Quello
che prima si faceva in Italia, a Lampedusa, adesso si fa in Libia, con
l'aggravante che le persone vengono trattenute in condizioni disumane, esposti
a continui abusi, cosa che capitava e capita anche in Italia, ma certamente non
ai livelli di raffinatezza della polizia libica. La scelta di passare per
migranti economici, e dunque di regolarizzarsi per andare a lavorare come
schiavi, potrebbe dunque apparire per gli eritrei di Brak l'unica via per porre
fine a giorni interminabili di torture e soprusi di ogni genere. E chiss che
fine faranno quelli che non firmeranno questi accordi di integrazione, e i
tanti che sono stati feriti e che vengono ancora picchiati se solo chiedono di
essere curati.
L'accordo di integrazione e dunque la regolarizzazione forzata, con
l'avvio degli eritrei ai campi di lavoro socialmente utile, ha altri
importanti risvolti che certo faranno dormire sonni pi tranquilli ai nostri
ministri che da anni negano la presenza in Libia di richiedenti asilo e
giustificano anche in questo modo i respingimenti collettivi in acque
internazionali, praticati con tanto successo, prima dalle nostre unit navali,
in particolare dalla Guardia di finanza, ed adesso subappaltati ai mezzi navali
donati ai libici. I quali non hanno certo problemi di doversi adeguare agli scomodi standard dell'Unione
Europea e del Consiglio d'Europa in materia di diritti umani, e alla
Convenzione di Ginevra, soprattutto per quanto concerne il divieto di
respingimento (refoulement) affermato dall'art.33 della stessa Convenzione. E
infatti, se di migranti economici si trattava, e dunque di irregolari, o di
clandestini,che magari avrebbero attentato alla sicurezza degli italiani,
anche nel caso di somali ed eritrei, come di nigeriani o togolesi, ben potevano
giustificarsi sia le retate a terra che la polizia di Gheddafi ha intensificato
proprio a partire dagli accordi con l'Italia, quanto i respingimenti collettivi
in acque internazionali, senza alcuna identificazione, vietati dall'art.4 del
protocollo 4 allegato alla Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti
dell'auomo e dall'art.19 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione
Europea, documenti che evidentemente sono carta straccia non solo per la Libia
ma anche per l'Italia.
Chiediamo ancora una volta che la Corte Europea dei diritti dell'uomo
pronunci finalmente la sua sentenza per i respingimenti collettivi in Libia
praticati il 6 e 7 maggio del 2009 dalla nave Bovienzo, altrimenti se passer
ancora del tempo, dopo fatti come la deportazione da Misurata, dei ricorrenti
non ne rester pi traccia.
Attendiamo adesso con angoscia crescente altre notizie sulla sorte dei
profughi eritrei, anche dopo la loro liberazione, magari per conoscere le
tappe della loro integrazione in Libia. E vorremmo anche avere notizie al pi
presto sulla sorte dei numerosi feriti di Brak e delle donne e dei bambini
rimasti a Misurata, come delle migliaia di migranti che la Libia continua a
trattenere nei propri centri di detenzione, ancora inaccessibili, a parte
qualche visita guidata, usata come al solito per ingannare l'opinione
pubblica internazionale, o almeno quanti si accontentano delle liturgie sulla
sicurezza recitate dai ministri sulla pelle di persone esposte giorno per
giorno a detenzione illegale e ogni sorta di trattamenti inumani o degradanti.
Vorremmo anche che l'OIM e l'UNHCR chiarissero il senso della loro
attuale presenza in Libia, magari facendo sapere quali garanzie sono previste
perch non venga coartata la scelta verso i cd.rimpatri volontari e quale
sorte attende coloro che ancora si trovano in quel paese e sarebbero nelle
condizioni di fare valere il diritto di asilo o un altro status di protezione
internazionale in un qualunque paese che aderisca, a differenza della Libia,
alla Convenzione di Ginevra.
Fulvio Vassallo Paleologo
Universit di Palermo