Newsletter
periodica d’informazione
(aggiornata
alla data del 31 ottobre 2010)
Caritas/Migrantes - Dossier Statistico Immigrazione 2010
Stranieri regolari oltre
quota 5 milioni. Producono l’11% del Pil, versano 11 miliardi di tasse e 7,5
miliardi in contributi previdenziali. Guadagnano un quarto in meno degli
italiani
Sommario
o
Dipartimento Politiche
Migratorie – Appuntamenti pag. 2
o
Società –
Dossier Statistico Immigrazione 2010 pag. 2
o
I numeri fondamentali
dell’immigrazione pag. 3
o
Dai territori –
Palermo: boom di romeni pag. 6
o
Dai territori –
Veneto: la crisi frena gli arrivi pag. 7
o
Società –
Zingare che creano moda a Roma pag. 8
o Foreign
Press – The Economist:
skilled immigration, Green –card blues pag. 9
A
cura del Servizio Politiche Territoriali della Uil
Dipartimento
Politiche Migratorie
Rassegna
ad uso esclusivamente interno e gratuito, riservata agli iscritti UIL
Tel.
064753292- 4744753- Fax: 064744751
n.
294
Dipartimento Politiche Migratorie: appuntamenti
Roma, 3 novembre 2010, ore 15, C.so
Vittorio Emanuele II, 101
Incontri con controparti
datoriali in materia di immigrazione: incontro con Confagricoltura
(Guglielmo Loy, Giuseppe Casucci)
Bruxelles, 05 novembre 2010, ore
09.00
Seminario CES: “Domestic Workers’ Rights”
(Giuseppe Casucci)
Timisoara (Romania), 9 – 11 Novembre 2010
Parsec - ricerche e interventi sociali- Seminario sulle
vittime di tratta
(Angela Scalzo)
Roma, 18 novembre 2010, ore 16 sede BNL via Crescenzo Del Monte,
27
Seminario UNAR: “Diversità al lavoro”
(Angela Scalzo)
Società
In
Italia, negli ultimi 20 anni, la popolazione immigrata è cresciuta di quasi 20
volte. Secondo la stima del Dossier Statistico Immigrazione
2010 Caritas/Migrantes presentato oggi, «includendo tutte
le persone regolarmente soggiornanti, le presenze sono 4 milioni e 919 mila (1
immigrato ogni 12 residenti), contro il dato dell'Istat che all'inizio del 2010
ha registrato 4 milioni e 235 mila stranieri residenti in Italia.
«Questa realtà nel panorama europeo si caratterizza - afferma il rapporto
promosso dai due organismi della Cei - anche per il notevole dinamismo:
l'aumento è stato di circa tre milioni di unità nel decennio e di quasi 1
milione nell'ultimo biennio». In crescita, secondo il dossier,
anche i matrimoni misti contratti tra il 1996 e il 2008, che
sono stati circa 250 mila, mentre più di mezzo milione di persone hanno
acquisito la cittadinanza, al ritmo di oltre 50 mila l'anno; oltre 570.000
stranieri sono nati direttamente in Italia; quasi 100 mila arrivano a essere i figli
di madre straniera ogni anno; più di 100 mila gli ingressi per ricongiungimento
familiare. «In un'Italia alle prese con un elevato e crescente ritmo di
invecchiamento, dove gli ultrasessantacinquenni superano già i minori di 15
anni, gli immigrati - commenta il rapporto - sono un fattore
di parziale riequilibrio demografico, influendo positivamente anche sulla forza
lavoro. I contatti quotidiani in azienda e nei luoghi di
socializzazione, la scuola, l'associazionismo, il volontariato, la pratica
religiosa, le famiglie miste stanno facendo dell'immigrazione una realtà
organica alla società italiana». La maggiore concentrazione di
immigrati è in Lombardia (23%), seguita da Lazio (11,8%), Veneto (11,3%) ed
Emilia Romagna (10,9%), evidenziando una distribuzione
della popolazione straniera soprattutto al Nord e Centro Italia. Per la prima
volta, poi, la provincia di Roma perde il primato rispetto a Milano (405.657
presenze rispetto a 407.191).
Gli immigrati irregolari
presenti in Italia sono 500-700 mila, tendenzialmente
in calo (lo scorso anno le stime ipotizzavano circa un milione). Ciò è dovuto
agli effetti dell'ultima regolarizzazione (300 mila) oltre al fatto che la
crisi economica ha attratto di meno gli immigrati. All'origine dell'illegalità
non ci sono gli sbarchi ma l'entrata legale. Ossia arrivi per turismo, affari,
visita e altri motivi che una volta scaduti diventa clandestinità. Il rapporto
ribadisce che il «rigore» contro la clandestinità «va unito al rispetto del
diritto d'asilo e della protezione umanitaria, di cui continuano ad avere
bisogno persone in fuga da situazioni disperate e in pericolo di vita».
Rispetto ai «flussi imponenti, e non eliminabili, anche la punta massima di
sbarchi raggiunta nel 2008 (quasi 37 mila persone) è ben poca cosa. Risulterà
inefficace il controllo delle coste, come anche di quelle terrestri, se non si
incentiveranno i percorsi regolari dell'immigrazione». Ciò - prosegue il
rapporto - «induce a pensare in maniera innovativa la flessibilità delle quote,
le procedure d'incontro tra datore di lavoro e lavoratore». Le casse
pubbliche ricevono ogni anno dagli stranieri un regalo di circa un miliardo di
euro per via del gettito fiscale, continua il dossier
Caritas/Migrantes, secondo il quale le entrate assicurate dagli immigrati sono
11 miliardi di euro (10,827) mentre le spese per servizi a loro destinati
ammontano a neanche 10 miliardi.
La retribuzione media annuale per immigrato è 12.000 euro, i
contributi quasi 4.000 euro. Gli immigrati sono il 10% degli occupati dipendenti,
il 3,5%
dei titolari di impresa; incidono per l'11,1% sul Pil;
pagano 7,5 miliardi di contributi previdenziali; dichiarano al fisco un
imponibile di oltre 33 miliardi (i dichiaranti stimati in quasi 2,7 milioni).
Le uscite sono circa 10 miliardi di euro: 2,8 miliardi per sanità (2,4 per i
regolari, 400 milioni per gli irregolari); 2,8 miliardi per scuola, 450 milioni
per servizi sociali comunali, 400 milioni politiche abitative, 2 miliardi dal
Ministero della Giustizia (tribunale e carcere), 500 milioni dal Ministero
dell'Interno (Cie e Cda), 400 milioni per prestazioni familiari e 600 milioni
per pensioni a carico dell'Inps. Il dossier sottolinea poi che negli
anni 2000 il bilancio Inps è risultato in attivo (fino a 6,9 miliardi) grazie
ai contributi degli immigrati. Si stima che
nel periodo 2011-2015 chiederanno la pensione circa 110 mila stranieri, il 3,1%
di tutte le richieste. Dai 15 mila pensionamenti nel 2010 (2,2%) si passerà a
61 mila nel 2025 (7%). Ora, tra gli immigrati è pensionato 1 ogni 30 mentre tra
gli italiani 1 ogni 4. Nel 2025, i pensionati stranieri saranno circa 625 mila
(l'8% degli stranieri); ci sarà 1 pensionato ogni 12, tra gli italiani 1 ogni
3.
Il tasso di occupazione per gli stranieri è passato dal 67,1%
del 2008 al 64,5% del 2009 (quello degli italiani è sceso al 56,9% dal 58,1%),
mentre quello di disoccupazione è aumentato dall'8,5% (media 2008) all'11,2%
(dal 6,6% al 7,5%). Nel 2010, ogni 10 nuovi disoccupati 3 sono immigrati. In
pratica, si registra un aumento degli occupati immigrati (147.000) ma anche dei
disoccupati per via della crisi (77.000). Fra gli stranieri è più elevata la
percentuale dei non qualificati (36%), spesso perchè sottoinquadrati (41,7%
rispetto alla media del 18%). Inoltre, 4 su 10 lavorano in orari disagiati. Nei
primi cinque mesi del 2010 le imprese con a capo uno straniero sono aumentate
del 13,8%, e a ritmi ancora superiori in Toscana e nel Lazio.
Dentro il dossier
I numeri
fondamentali dell’immigrazione: immigrati oltre quota 5 milioni
All’inizio
del 2010 l’Istat ha registrato 4 milioni e 235mila residenti stranieri, ma,
secondo la stima del Dossier, includendo tutte le persone
regolarmente soggiornanti seppure non ancora iscritte in anagrafe, si arriva a
4 milioni e 919mila (1 immigrato ogni 12 residenti). L’aumento dei residenti è
stato di circa 3 milioni di unità nel corso dell’ultimo decennio, durante il
quale la presenza straniera è pressoché triplicata, e di quasi 1 milione
nell’ultimo biennio. Intanto, però, complice la fase di recessione, sono
cresciute anche le reazioni negative. Gli italiani sembrano lontani, nella loro
percezione, da un adeguato inquadramento di questa realtà. Nella ricerca Transatlantic
Trends (2009) mediamente gli intervistati hanno ritenuto che gli
immigrati incidano per il 23% sulla popolazione residente (sarebbero quindi
circa 15 milioni, tre volte di più rispetto alla loro effettiva consistenza) e
chei “clandestini” siano più numerosi dei migranti regolari (mentre le stime
accreditano un numero attorno al mezzo milione). Su questa distorta percezione
influiscono diversi fattori, tra i quali anche l’appartenenza politica. La
Lombardia accoglie un quinto dei residenti stranieri (982.225, 23,2%). Poco più
di un decimo vive nel Lazio (497.940, 11,8%), il cui livello viene quasi
raggiunto da altre due grandi regioni di immigrazione (Veneto 480.616, 11,3%) e
Emilia Romagna (461.321, 10,9%), mentre il Piemonte e la Toscana stanno un po’
al di sotto (rispettivamente 377.241, 8,9% e 338.746, 8,0%). Roma, che è stata
a lungo la provincia con il maggior numero di immigrati, perde il primato
rispetto a Milano (405.657 rispetto a 407.191). L’incidenza media sulla
popolazione residente è del 7%, ma in Emilia Romagna, Lombardia e Umbria si va
oltre il 10% e in alcune province anche oltre il 12% (Brescia, Mantova,
Piacenza, Reggio Emilia). Le donne incidono mediamente per il 51,3%, con la
punta massima del 58,3% in Campania e del 63,5% a Oristano, e quella più bassa
in Lombardia (48,7%) e a Ragusa (41,5%). I nuovi nati da entrambi i genitori
stranieri nel corso del 2009 sono 77.148 (21mila in Lombardia, 10mila nel
Veneto e in Emilia Romagna, 7mila in Piemonte e nel Lazio, 6mila in Toscana,
almeno mille in tutte le altre regioni italiane, fatta eccezione per il Molise,
la Basilicata, la Calabria e
la Sardegna. Queste nascite incidono per il 13% su tutte le nascite
e per più del 20% in Emilia Romagna e Veneto. Se si aggiungono altri 17.000
nati da madre straniera e padre italiano, l’incidenza sul totale dei nati in
Italia arriva al 16,5%. Il numero sarebbe ancora più alto se considerassimo anche
i figli di padre straniero e madre italiana, per quanto tra le coppie miste
prevalgono quelle in cui ad essere di origine immigrata è la donna (nel 2008
erano 23.970 figli nati da coppie miste in Italia, 8 su 10 da padri italiani e madri
straniere). Diversificata è anche l’incidenza dei minori, in tutto quasi un
milione (932.675): dalla media del 22% (tra la popolazione
totale la percentuale scende al 16,9%) si arriva al 24,5% in
Lombardia e al 24,3% in Veneto, mentre il valore è più basso in diverse regioni
centro-meridionali, e segnatamente nel Lazio e in Campania (17,4%) e Sardegna
(17%). Oltre un ottavo dei residenti stranieri (572.720, 13%) è di seconda
generazione, per lo più bambini e ragazzi nati in Italia, nei confronti dei
quali l’aggettivo “straniero” è del tutto inappropriato, in quanto accomunati
agli italiani dal luogo di nascita, di residenza, dalla lingua, dal sistema
formativo e dal percorso di socializzazione. A differenza della chiusura su
altri aspetti, gli italiani sembrano essere più propensi alla concessione della
cittadinanza a chi nasce in Italia seppure da genitori stranieri. I figli degli
immigrati iscritti a scuola sono 673.592 e incidono per il 7,5% sulla popolazione
scolastica. I dati mettono in evidenza un ritardo scolastico tre volte più
elevato rispetto agli italiani, sottolineando la necessità di dispiegare più
risorse per il loro inserimento nel caso in cui giungano per ricongiungimento
familiare. Nel 2009 l’apposito Comitato ha censito 6.587 minori non
accompagnati, dei quali 533 richiedenti asilo, provenienti da 77 paesi (Marocco
15%, Egitto 14%, Albania 11%, Afghanistan 11%), in prevalenza maschi (90%) e di
età compresa tra i 15 e i 17 anni (88%). Tra i di essi non sono più inclusi i
romeni (almeno un terzo del totale), che in quanto comunitari vengono presi in carico
dai servizi comunali. Non sempre, al raggiungimento del 18° anno, le condizioni
attualmente previste (3 anni di permanenza e 2 anni di inserimento in un percorso
formativo) consentono di garantire loro un permesso di soggiorno.
Gli aspetti economici dell’immigrazione.
Gli
immigrati assicurano allo sviluppo dell’economia italiana un contributo notevole:
sono circa il 10% degli occupati come lavoratori dipendenti, sono titolari del
3,5% delle imprese, incidono per l’11,1% sul prodotto interno lordo (dato del 2008),
pagano 7,5 miliardi di euro di contributi previdenziali, dichiarano al fisco un
imponibile di oltre 33 miliardi di euro. Il rapporto tra spese pubbliche
sostenute per gli immigrati e i contributi e le tasse da loro pagati (2.665.791
la stima dei dichiaranti) va a vantaggio del sistema Italia, specialmente se si
tiene conto che le uscite, essendo aggiuntive a strutture e personale già in
forze, devono avere pesato di meno. Secondo le stime riportate nel Dossier le
uscite sono state valutate pari a circa 10 miliardi di euro: (9,95): 2,8
miliardi per la sanità (2,4 per gli immigrati regolari, 400 milioni per gli
irregolari); 2,8 miliardi per la scuola, 450 milioni per i servizi sociali
comunali, 400 milioni per politiche abitative, 2 miliardi a carico del
Ministero della Giustizia (tribunale e carcere), 500 milioni a carico del
Ministero dell’Interno (Centri di identificazione ed espulsione e Centri di
accoglienza), 400 milioni per prestazioni familiari e 600 milioni per pensioni
a carico dell’Inps. Le entrate assicurate dagli immigrati, invece, si
avvicinano agli 11 miliardi di euro (10,827): 2,2 miliardi di tasse, 1 miliardo
di Iva, 100 milioni per il rinnovo dei permessi di soggiorno e per le pratiche
di cittadinanza, 7,5 miliardi di euro per contributi previdenziali. Va
sottolineato che negli
anni 2000 il bilancio annuale dell’Inps è risultato
costantemente in attivo (è arrivato a 6,9 miliardi), anche grazie ai contributi
degli immigrati. Per ogni lavoratore, la cui retribuzione
media è di 12.000 euro, i contributi sono pari a quasi 4.000
euro l’anno. Nel 2008 le compravendite immobiliari sono state 78.000 (-24,3%).
Nel periodo 2004-2009 sono stati quasi 700mila gli scambi immobiliari con
almeno un protagonista straniero, per un volume di oltre 75 mila miliardi di euro.
Ancora oggi il loro influsso è rilevante, anche se la loro quota sui mutui è
scesa dal 10,1% del 2006 al 6,6% del 2009. L’impatto positivo degli immigrati
trova una significativa conferma dal confronto dell’andamento pensionistico tra
gli immigrati e gli italiani. Sulla base dell’età pensionabile si può stimare
che nel quinquennio 2011-2015 chiederanno la pensione circa 110mila stranieri,
pari al 3,1% di tutte le nuove richieste di pensionamento. Dai 15mila pensionamenti
nel 2010, pari al 2,2% di tutte le richieste, si passerà ai 61mila nel 2025,
pari a circa il 7%. Attualmente è pensionato tra gli immigrati 1 ogni 30
residenti e tra gli italiani 1 ogni 4. Nel 2025, i pensionati stranieri saranno
complessivamente circa 625mila (l’8% dei residenti stranieri). A tale data, tra
i cittadini stranieri vi sarà circa 1 pensionato ogni 12 persone, mentre tra
gli italiani il rapporto sarà di circa 1 a 3.
Gli aspetti dell’occupazione immigrata in UE. In
tutta Europa la crescita dell’occupazione è legata ai lavoratori immigrati.
Essi sono circa 17,8 milioni, dei quali circa 2 milioni in Italia. Nel 2008 è
stato varato l’ultimo decreto flussi per lavoratori dipendenti (150mila
persone), mentre nel 2009 è seguito un decreto flussi solo per gli stagionali (80.000
unità), e infine nel mese di settembre 2009 è stata approvata la
regolarizzazione degli addetti al settore domestico e di cura alla persona
(295.000 domande presentate). Secondo i dati Istat, nel 2009, un anno in cui
l’occupazione complessiva è diminuita di 527.000 unità, i lavoratori stranieri
occupati sono aumentati di 147mila unità, arrivando a quota 1.898.000, con una
incidenza dell’8,2% sul totale degli occupati (nell’anno precedente l’incidenza
era del 7,5%). Il loro tasso di occupazione, rispetto al 2008, è passato dal
67,1% al 64,5% (quello degli italiani è sceso al 56,9% dal 58,1%), mentre
quello di disoccupazione è aumentato dall’8,5% (media 2008) all’11,2% (per gli
italiani il cambiamento è stato dal 6,6% al 7,5%). Nel 2010, ogni 10 nuovi
disoccupati 3 sono immigrati e, tuttavia, il fatto che svolgono mansioni umili
ma essenziali è servito a proteggerli da conseguenze più negative. Un mercato
così frastagliato spiega l’accostamento di dati abbastanza disparati: aumento
degli occupati immigrati (147.000), ma anche dei disoccupati a seguito della
crisi (77.000 in più) e degli inattivi (aumentati di 113.000 unità). Inoltre,
tra i lavoratori immigrati è più elevata la percentuale dei non qualificati
(36%), molto spesso perché sotto inquadrati (il 41,7% rispetto alla media del
18%). Il sottoinquadramento non diminuisce in modo significativo anche quando
si risiede da molti anni in Italia. Rilevante anche la quota dei
sottoutilizzati (il 10,7% rispetto alla media del 4,1%). Inoltre, 4 stranieri
su 10 lavorano in orari disagiati (di sera, di notte, di domenica). La
retribuzione netta mensile degli immigrati nel 2009 è stata di 971 euro per gli
stranieri e 1.258 euro per gli italiani (media di 1.231 euro), con una
differenza a sfavore degli immigrati del 23%, di ulteriori 5 punti più alta per
le donne straniere. L’archivio dell’Inail (che sovrastima la presenza straniera
di circa 1 milione di unità in quanto include anche gli italiani nati
all’estero) consente di ripartire gli occupati anche per continente di origine:
Europa 59,2%, Africa 16,8%, Asia 13,3%, America 9,8%, Oceania 0,3% (0,5 non
attribuiti). Più in particolare, i lavoratori comunitari sono oltre un terzo
(36,3%) e i nordafricani un decimo dell’intera forza lavoro (11,1%). I saldi
occupazionali (differenza tra i lavoratori assunti e licenziati nell’anno)
attestano l’andamento negativo di questa fase occupazionale (98.033 nel 2007,
34.207 nel 2008, 14.096 nel 2009). Al 31 maggio 2010 sono risultate iscritte
213.267 imprese con titolare straniero, 25.801 in più rispetto allo stesso periodo
dell’anno precedente, un aumento che attesta la dinamicità del settore anche in
periodo di crisi; in particolare, nei primi cinque mesi del 2010 le imprese
sono aumentate al ritmo del 13,8%, e a ritmi ancora superiori in Toscana e nel
Lazio. Queste imprese incidono, come precisato, per il 3,5% su tutte le imprese
operanti in Italia e per il 7,2% su quelle artigiane. È molto dinamico anche il
settore delle imprese cooperative (69.439 soci), sia di produzione che di
consumo. Se, oltre che dei titolari e dei soci, si tiene conto degli
amministratori (87.485), delle altre funzioni societarie (18.622) e di 131
figure la cui funzione non è stata classificata, si arriva a un totale di
388.944 posizioni lavorative e a un complesso occupazionale che include oltre
mezzo milione di posizioni, tenendo conto anche dei lavoratori dipendenti.
Tra demografia, intercultura e contrasto della irregolarità.
Gli immigrati assicurano un valido sostegno demografico all’Italia.
Tra la popolazione residente in Italia, tra il 2000 e il 2009 sono aumentate di
2 milioni le persone con più di 65 anni, di solo 1 milione quelle in età
lavorativa e neppure di mezzo milione quelle con meno di 14 anni. L’età media è
salita da 31,5 a 43,3 anni. Gli ultra sessantacinquenni sono il 2,2% tra gli
stranieri e il 20,2% tra l’insieme della popolazione residente. Il tasso di
fecondità è di 1,33 per le donne italiane e di 2,05 per le donne straniere (media
1,41). I matrimoni celebrati in Italia sono scesi dai 418.4944 del 1972 al
246.613 del 2008, con una diminuzione specialmente dei primi matrimoni, un
aumento delle seconde nozze (un sesto del totale) e dell’età media degli sposi
(30 anni per le donne e 33 anni per gli uomini). Nel periodo 1996-2008 sono
stati celebrati 236.405 matrimoni misti. Nel 1995 erano misti solo 2 matrimoni
su 100, ora sono 10 su 100 e non risulta statisticamente fondata l’idea che
falliscano con molta più facilità del resto delle unioni. Nel 2008 su 100
matrimoni, 15 riguardano almeno un coniuge straniero e di questi 5 riguardano
due sposi stranieri. Secondo i dati dell’Unar gli atti di discriminazione, non
solo in ambito lavorativo, colpiscono maggiormente gli africani, i romeni, i
cinesi, i marocchini, i bangladesi. Ricordiamo, per
esempio,
che alcune compagnie di assicurazione praticano agli immigrati polizze RC auto
più costose per il cosiddetto “rischio etnico”. La regolarizzazione di
settembre 2009 (quasi 300mila domande) ha consentito di abbassare il livello
della irregolarità, anche se il provvedimento, limitato (ufficialmente) al
settore familiare, ha avuto una efficacia parziale, per quanto non
trascurabile, soprattutto in ragione del limite di reddito previsto (20 mila
euro), limite che è stato superato mediamente nel 2008 solo da due regioni,
oltre che per il fatto che l’assunzione, per un minimo 20 ore, è stata riferita
a un solo datore di lavoro; non stupisce quindi che, secondo il Censis (luglio 2010),
2 addette su 5 nel settore domestico lavorerebbero ancora in nero. Nel 2009
sono stati registrati 4.298 respingimenti e 14.063 rimpatri forzati, per un
totale di 18.361 persone allontanate. Le persone rintracciate in posizione
irregolare, ma non ottemperanti all’intimazione di lasciare il territorio
italiano, sono state 34.462. Il rapporto tra persone intercettate e persone
rimpatriate è andato diminuendo nel corso degli anni (dal 57% nel 2004 al 35%
nel 2009). Le persone trattenute nei centri di identificazione e di espulsione
sono state 10.913, tra le quali anche diverse persone già ristrette in carcere,
dove non era stata accertata la loro identità. Nell’insieme il
58,4% non è stato rimpatriato. L’Italia è anche uno snodo e meta
forzata per donne, uomini e minori, vittime della tratta a fini di sfruttamento
sessuale e, sempre più spesso, lavorativo (soprattutto in agricoltura), che si
cerca di contrastare anche con la concessione del permesso di soggiorno per
protezione sociale (810 permessi) e con l’intervento del Fondo Europeo per i Rimpatri.
Nel corso del 2009 sono stati aperti 212 procedimenti per reati di tratta e si
sente l’esigenza di contrastare maggiormente questo fenomeno in crescita. La
ricerca Transatlantic Trends. Immigrazione 2009 ha posto in
evidenza che metà dei nordamericani e degli europei, italiani compresi, vedono
l’immigrazione come un problema. Si può inquadrare in questo modo una realtà
della quale si ha bisogno? Dalla “sindrome dell’invasione” bisogna passare alla
mentalità dell’incontro e del dialogo.
di CLAUDIA BRUNETTO, La Repubblica
Palermo, 28
ottobre 2010 - Soppiantano gli africani e si fanno strada nel mondo del lavoro,
conquistando ruoli spesso indispensabili nell'organizzazione delle famiglie
siciliane. Sono i romeni residenti nell'Isola che secondo i dati dell'ultimo
dossier Caritas Migrantes sono i primi nella classifica dei cittadini stranieri
con 34 mila presenze. Soltanto nella provincia di Palermo se ne contano 5 mila,
quasi tutte donne. Prova del fatto che la maggior parte di loro trova impiego
soprattutto nei campi legati all'assistenza della persona e della cura della
casa. Sono badanti, collaboratrici domestiche e infermiere a domicilio che
hanno incrementato il numero delle domande presentate nel 2009 per la
regolarizzazione in questi settori: 12 mila in Sicilia, 3 mila fra Palermo e
Catania. Metà delle quali aspettano ancora di essere esaminate. "La
pressione migratoria dell'est - dice Santino Tornesi, direttore dell'ufficio
regionale per le migrazioni della conferenza episcopale siciliana - ha
raggiunto anche la Sicilia. E la forte presenza femminile dei romeni sta
cambiando il fenomeno. Per cui l'immigrazione è sempre più stabile, europea e
dunque più radicata. La comunità africana, invece, sta perdendo spazio nel
mondo del lavoro, e sta cambiano il suo flusso migratorio". Ma come si
organizzano i romeni che arrivano in città per trovare un primo impiego? Si
affidano al passa parola e alla chiesa di Santa Maria in Valverde a largo
Cavalieri di Malta. Poi anche alle agenzie e ai patronati. Il giovedì e la
domenica pomeriggio girano per la città attraversando i posti di ritrovo della
comunità rumena come il Giardino Inglese e la stazione centrale alla ricerca di
un lavoro. Tante rumene trovano così un posto come badante a casa di qualcuno
anche con l'opzione vitto e alloggio inclusi. Un impegno mensile per uno
stipendio che oscilla fra 500 e 600 euro, o anche a ore con una tariffa che si
aggira intorno ai 7 euro. La chiesa, però, con Ionel Sorinel Barbarasa,
arciprete della diocesi ortodossa romena d'Italia, rimane l'attracco più
sicuro. "Indirizziamo sempre gli ultimi arrivati in chiesa - dice Rodica
Agape, presidente di un'associazione che offre un supporto burocratico a chi
arriva in città - il nostro prete cerca sempre di dare una mano, prova a
trovare un lavoro e una sistemazione a chi ha lasciato la Romania e ancora non
conosce una sola parola di italiano". Gli stessi romeni, però, denunciano
una forma di racket legato alla ricerca del lavoro. Una sorta di pizzo sugli
ingaggi. "Chi non ha punti di riferimento - dice Mariana che adesso lavora
come collaboratrice domestica - finisce nelle mani sbagliate. Anche nelle
realtà religiose o nelle associazioni, gestite da romeni, è facile che ti
chiedano dei soldi per trovarti un lavoro. Minimo cento euro. Ti garantiscono
delle cose che poi non sono vere. Intanto, però, hanno guadagnato qualcosa. Spesso
parlano di "offerta", di "donazione" alla comunità
religiosa dei romeni. In realtà sono solo connazionali che sfruttano la
disperazione dei loro simili".
Venezia, 27 ottobre 2010 - Un
passo indietro, questa volta c’è stato. Meno lavoro per tutti, meno assunzioni
e l’esplosione della crisi: un mix economico con il segno meno che ha rallentato
in modo sensibile i flussi migratori facendo registrare al Veneto il dato più
basso di nuovi arrivi rispetto a tutta la Penisola. L’incremento percentuale
dei cittadini immigrati residenti Veneto nel 2009, secondo il Rapporto Caritas
Migrantes, presentato ieri a Venezia, si attesta al +5,8% contro il 12,5 del
2008 e facendo scivolare la regione al terzo posto (era al secondo, subito dopo
la Lombardia) quanto a presenza di residenti stranieri, calcolati in poco più
di 480 mila. Nuovi arrivi in calo, dunque, ampiamente al di sotto della media
italiana (+8,8%), e qualche ritorno di troppo al paese d’origine. «Il problema
è legato alla crisi economica - spiega Alessandro Sovera, redattore del dossier
- chi viene in Italia lo fa per cercare lavoro, se il tasso occupazionale
generale scende il cittadino immigrato è il primo a rischiare il posto. Senza
contare che, senza lavoro, mette a rischio anche il permesso di soggiorno».
Licenziamenti, problemi legati ai permessi, e così, accanto ad una brusca frenata
negli arrivi, si prolungano anche i periodi lontani dall’Italia. «Non mancano
le situazioni in cui i ricongiungimenti familiari si trasformano in nuove
separazioni - spiega Gianfranco Bonesso, del servizio immigrazione del Comune
di Venezia - c’è chi prova a rimanere qui per un po’ con moglie e figli, poi
però, tra affitto e spese, non ce la fa e così la famiglia è costretta a
tornare indietro». Cittadini stranieri e veneti, insomma, uniti dagli effetti
della crisi, come segnala il dato Inail 2009 sugli occupati stranieri, per la
prima volta, nell’ultimo decennio, negativo (-0,9%).
Meno
lavoratori stranieri, ma più specializzati, queste le
richieste delle imprese, secondo quanto rilevato dallo studio di Unioncamere
Veneto: «I posti di lavoro sono diminuiti (da 27.400 nel 2007 a 8.550 nel 2009)
ma la richiesta si è alzata in termini qualitativi, - spiega Serafino Pitingaro
del centro studi Unioncamere -.Le aziende sono più disposte a formare il
personale straniero, al quale viene richiesto perciò un livello di
professionalità più elevato». E se il saldo occupazionale rimane negativo in
tutte le provincie venete (con l’eccezione di Rovigo), il gap nel reddito tra
lavoratori stranieri e italiani raggiunge un massimo storico: 10mila euro
l’anno per gli uomini e 4.616 euro per le donne. Piccole e medie imprese con
esuberi occupazionali da recessione da un lato, lavoratori immigrati licenziati
dall’altro: «E’ un fenomeno di cui dovremmo tener conto - dice Sandro
Simionato, vicesindaco e assessore alla politiche sociali del comune di
Venezia, - questo è un territorio che ha grandi possibilità di assorbimento ma
evidentemente non le sfrutta fino in fondo. Le incertezze lavorative possono
essere fattori esplosivi nelle dinamiche locali (anche di sicurezza)». «Questo sarà
l’inverno peggiore degli ultimi due anni - dice Monsignor Dino Pistolato,
direttore della Caritas veneziana - siamo ancora in una fase di discesa, le
cessazioni dei rapporti di lavoro sono in aumento.
Le
reti sociali però funzionano sul breve periodo, 6-12 mesi, se
parliamo di anni, la rete non tiene più. Queste persone devono potersi inserire
veramente, farsi una vita qui, altrimenti la qualità della vita si abbassa ed è
il tessuto sociale stesso a rischiare». Una fotografia a tinte fosche, dunque, che
racconta specificità diverse a seconda delle province. Vicenza, con il 16,8%
sul totale di stranieri è la provincia veneta e triveneta che ha più immigrati
di seconda generazione (e quindi nati nel periodo 2002/2009), mentre nel
Bellunese c’è la concentrazione più alta di straniere, con un’incidenza (54,4%)
ben più alta rispetto alla media regionale (49,2%). A Venezia invece il primato
di «natalità immigrata». Nel 2009, in tutta la regione, i figli di immigrati
sono stati 10.295, a fronte dei 10.043 dell’anno precedente. La differenza, in
positivo è di 250 unità, cui hanno contribuito in larghissima parte gli
stranieri residenti nel Veneziano: nel 2009, qui, un saldo positivo di 226
nati. «Quelle veneziane sono famiglie giovani e arrivate da poco - spiega
Bonesso - i neonati delle altre province hanno registrato un boom negli scorsi
anni ». E mentre la situazione familiare e lavorativa dei genitori diventa più
precaria, si contrae anche il numero degli alunni stranieri, dopo il boom delle
annate precedenti, specie nella scuola primaria. Sono 81.004 gli alunni
stranieri in Veneto, con un aumento di 3.923 ragazzi (contro gli oltre 6600
dell’anno precedente), e picchi di aumento soltanto nelle province di nuova
migrazione, (+ 4,8% a Treviso, +5,2% a Vicenza, +1,9% a Verona, +9,6% a Rovigo,
+6,9% a Venezia e Padova e + 5,2% a Belluno). «Gli alunni stranieri sono una
realtà di cui adesso dovremmo smettere di preoccuparci soltanto a livello
linguistico - dice Carmela Palumbo, direttore generale dell’Ufficio scolastico
regionale - i ragazzi che arrivano in età avanzata sono molti meno rispetto ai
bambini più piccoli. Dovremmo cominciare a pensare più seriamente non solo
percorsi relativi all’insegnamento dell’italiano, insomma, ma fare anche un
progressivo sforzo di riorganizzazione dei saperi in chiave interculturale».
Società
«Ho quattro bambine, vanno tutte a
scuola e spero che non si sposino mai. Se proprio devono, che lo facciano
almeno a vent'anni». E Magdalena, che di anni ne ha 33, sistema con uno
strattone l'orlo della borsa che sta cucendo. La numero dieci delle 500 che lei
e la sua amica, collega e coetanea Nadja devono cucire per il teatro Kismet di
Bari, insieme ad altrettanti portacellulari. Ma nel portfolio delle due sarte
dell'"Antica Sartoria Rom"
di Roma ci sono anche e soprattutto gonne con le balze, abiti per i bambini,
corpini ricamatissimi «che non hai idea che figurone fanno sopra i jeans»,
sorride Magdalena. Oggi ci sono soltanto loro nel laboratorio artigianale che
dal 1997 fa moda gitana per i rom, ma non solo. La loro sede sulla via
Nomentana, vicina al campo nomadi dove le signore vivono, si è allagata prima
dell'estate. Hanno salvato macchine da cucire, forbici, fili e tessuti e ora
sono ospiti nella sede di Rifondazione Comunista a due passi dalla basilica di
San Giovanni, «dove trovi i rom che chiedono l'elemosina», osservano, e dai
quali prendono decisamente le distanze. Il busto in gesso di Lenin segue le
loro mani veloci e un tomo del Capitale regge una stampella con
un abito a fiori da bambina. Sono venute in Italia dalla Romania otto anni fa e
da quattro lavorano nella sartoria, 6 ore al giorno per 500 euro al mese con
eventuali straordinari e contratto a tempo determinato. Più un'orgogliosa riga
con scritto "professione: sarta" sulla carta d'identità, italiana. «Facciamo abiti secondo il nostro stile
tradizionale, ma anche secondo gli altri - dice Nadja – perché
ci piacciono tutti». In effetti appese ci sono giacche che sembrano pronte
per una boutique di Jil Sander, tanto sono minimal e castigate, ma
anche reggiseni che brillano di perline da sfoggiare nelle feste rom oppure
gonne ricamate con virtuosismi tali da far invidia al pallio natalizio di un
vescovo. Il tutto a partire da circa 50 euro. E poi modelli più costosi, come
quelli per gli abiti da sposa tutti ricamati in perle di vetro
(quello scelto dalla sorella di un assessore romano costa 3500 euro) e per i
costumi teatrali: ne hanno cuciti per compagnie di Roma, Milano e Perugia e
entro dicembre altri 30 dovranno essere pronti per essere spediti a un teatro
del Nord. Certo, sarebbe meglio tornare a lavorare nella sede di prima, dove
c'erano addirittura una saletta-archivio delle creazioni e un'altra per
divertirsi a sperimentare i modelli. Ma sistemarla costa, e la crisi si è fatta
sentire anche per loro. «Fino a pochi anni fa, quando sfilammo al Macro di
Testaccio con Romeo Gigli e all'Auditorium su invito di AltaRoma, le
nostre sarte erano venti - racconta Alessandra Carmen Rocco, vicepresidente
della Sartoria ma anche sistematrice di macchine da cucire, all'occorrenza
– ora le commissioni per i pezzi importanti sono calate, e anche per noi
pagare 9 euro un sacchetto di perline è una bella spesa. Quindi ci siamo
adeguate, come personale e come produzione. E oggi le creazioni più ricercate
sono gli accessori, le borse, appunto, ma anche le sciarpe, i fazzoletti e le
tovaglie». Carmen per Madgalena e Nadja è la "gagé" del gruppo,
l'unica non rom della cooperativa a cui fa capo il marchio, e che fra le sue
molteplici attività si occupa anche di procurare i tessuti per la sartoria:
«Noi usiamo solo tessuti naturali - dice Magdalena - per una sarta sono i più
belli da lavorare». E se quella della Sartoria Rom può definirsi una «moda
ecologica» non è solo per questo: in laboratorio entrano solo tessuti di
seconda mano, oppure scarti di aziende tessili o di sartorie che chiudono i
battenti, «purtroppo sempre più numerose», osserva Carmen. Intanto, anche se
il giro d'affari è piccolo, l'attività è ben avviata, tanto da
ricevere ordinazioni via telefono; e un po' di sostegno dalle istituzioni non
farebbe male. Ma le ragazze ce la fanno lo stesso, e si divertono anche. Un
giorno magari torneranno a essere di più. Intanto Nadja si accende un'altra
Marlboro rossa, con scritto "il fumo uccide" in rumeno, per fare una
pausa dall'ipnotico ritmo della macchina Pfaff. E Madgalena già pensa al
prossimo corpetto da ricamare e ai compiti da far fare alle bambine.
Foreign Press
Green-card blues
Oct 28th 2010 | Washington, dc
BAD as relations are between business and the Democrats,
immigration was supposed to be an exception. On that topic the two have long
had a marriage of convenience, with business backing comprehensive reform in
order to obtain more skilled foreign workers. That, at least, was what was
meant to happen. In March Chuck Schumer, a Democratic senator, and Lindsey
Graham, a Republican, proposed a multi-faceted reform that would toughen border
controls and create a path to citizenship for illegal immigrants while granting
two longstanding goals of business: automatic green cards (that is, permanent
residence) for students who earned advanced degrees in science, technology,
engineering or maths in America, and an elimination of country quotas on green
cards. The quotas bear no relationship to demand, leaving backlogs of eight to
ten years for applicants from China and India. Barack Obama immediately
announced his support. But the proposal never became a bill, much less law. Mr
Graham developed cold feet and withdrew his support; he was concerned that the
Democrats were moving too quickly, as the economic misery that has turned
Americans against foreign trade spread to dislike of foreign workers. Last year
Congress made it harder for banks that had received money from the Troubled
Asset Relief Programme to hire workers on H-1B visas, the most popular type for
skilled foreign workers. In January the Citizenship and Immigration Service
barred the use of H-1Bs for workers based on a client’s premises instead of
their own company’s, a move aimed at outsourcing companies, many of them based
in India. In August even Mr Schumer, needing to look tough on outsourcing,
pushed through a bill sharply raising H-1B fees on firms that depend heavily on
the visas. Perhaps the most naked election-year hostility to foreigners
appeared during the debate in September over a Democratic bill in the Senate
that would have rewarded companies for firing foreign-based workers and
replacing them with Americans. Charles Grassley, a Republican senator,
responded with a proposal to prohibit any company that had laid off Americans
from hiring visa workers at all. The bill did not win enough votes to break a
filibuster. Tightened restrictions, political aggravation and economic
conditions seem to be having an effect. In 2009 the number of employment-based
green cards and H-1B visas was the lowest in years (see chart). It took an
unusually long time for the quota of H-1Bs for the fiscal year that ended on
September 30th to be used up. Several Indian outsourcing companies have made a
point of boosting local hiring at American facilities. This is partly the
result of the recession, which has hurt demand for all types of workers. But in
a recent report the Hamilton Project, a moderately liberal research group,
notes that the number of foreign workers in America has been declining for some
time. This might reflect America’s diminished appeal to the world’s most
sought-after workers, as well as brightening prospects in their own countries.
A survey for the pro-immigration Kauffman Foundation in 2007 found that only a
tiny proportion of foreign students planned to stay in the United States. This
almost certainly extracts an economic toll, since immigrants are more likely
than others to start businesses or file patents. America’s immigration policies
have long put a higher priority on family reunification than on employment.
Legal immigrants to the country are more likely to have failed to finish high
school than either native-born Americans or immigrants to other
English-speaking countries. Immigrants to Canada are far more likely to have a
college degree. Legislators from both parties have at various times advanced
proposals that would smooth the way for skilled migrants, but they have usually
foundered on the more intractable problem of dealing with illegal immigration.
“These two issues can and should be separate,” says Michael Greenstone of the
Hamilton Project. “We are giving up economic growth by putting the two issues
together.” Democratic Hispanic legislators oppose separating them for fear of
losing business support for comprehensive reform. In principle, then, a
Republican takeover of the House might increase the likelihood of a stand-alone
bill on skilled immigration. That, however, is not the Republicans’ priority.
Lamar Smith, the Republican who would probably become chairman of the House
judiciary committee, is more focused on deporting illegal immigrants and
strengthening the border. Still, it would be premature to write off the odds of
immigration reform. If Mr Obama is to accomplish anything in the next Congress,
he needs to find common ground with Republicans on something. Business-friendly
immigration reform might just qualify.