Assessorato Promozione dei servizi sociali e della salute

 

 

 

 

 

Un nuovo Piano Sociale

per Roma Capitale

 

 

 

STRUMENTO DI LAVORO

PER IL CONFRONTO E LA PROPOSTA

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Roma, 25 ottobre 2010


INDICE

A. INTRODUZIONE   ……………………………………………………………………..4

B. GLI SCENARI  ……………………………………………………………………………..8

C. I PRINCIPI E LE FINALITÀ GENERALI  …………………………………………….10

C.1 I principi 10

C.2 Le finalità generali 11

D. IL PROFILO DEMOGRAFICO DELLA CITTÀ   …………………………………….15

D.1 La popolazione residente. 15

D.2 Le famiglie. 16

D.3 Le età. 19

D.4 La cittadinanza. 24

D.5 Le previsioni demografiche. 26

E. IL SISTEMA CITTADINO DEI SERVIZI SOCIALI  …………………………………….31

E.1 Servizi multiutenza di carattere generale. 32

E.1.1. Servizi informativi e di orientamento. 32

E.1.2. Servizi per la presa in carico e l'accompagnamento assistenziale. 33

E.1.3. Servizi di tutela pubblica. 34

E.1.4. Servizi per l'emergenza sociale. 35

E.1.5. Spunti operativi 36

E.2 Servizi e interventi per il contrasto della povertà e dell'esclusione sociale. 37

E.2.1 La povertà e il disagio abitativo. 37

E.2.2 La violenza sulle donne. 39

E.2.3 L'esclusione sociale. 40

E.2.4 Gli interventi per il contrasto della povertà e del disagio sociale. 41

E.2.5 Spunti operativi 45

E.3 Servizi e interventi per le persone sottoposte a misure giudiziarie. 46

E.3.1 I dati essenziali 46

E.3.2 Un approccio integrato. 46

E.3.3 Le macro aree d’intervento. 47

E.3.4 I minori sottoposti a procedimento penale. 51

E.3.5 L'esecuzione penale esterna. 53

E.3.6 Spunti operativi 54

E.4 Servizi e interventi per i migranti, richiedenti asilo e rifugiati 55

E.4.1 I migranti a Roma. 55

E.4.2 I richiedenti asilo e rifugiati 55

E.4.3 Il modello di intervento. 57

E.4.4 Un nuovo approccio. 61

E.5 Servizi per la salute e per le persone con disabilità e disagio psichico. 64

E.5.1 I bisogni di salute. 64

E.5.2 Le persone con disabilità. 65

E.5.3 Le persone con disagio psichico. 67

E.5.4 I punti di forza del sistema. 68

E.5.5 Elementi di criticità e nodi da sciogliere. 71

E.5.6 Un nuovo approccio alla disabilità. 72

E.5.7 Spunti operativi 73

E.6 Servizi e interventi per le famiglie. 75

E.6.1 I bisogni sociali delle famiglie. 75

E.6.2 I servizi e gli interventi sociali per le famiglie. 76

E.6.3 Una strategia per la famiglia. 78

E.6.4 Un "Piano cittadino per la famiglia". 79

E.6.5 Spunti operativi 81

E.7 Servizi e interventi per le persone in età evolutiva. 82

E.7.1 Interventi sociali realizzati in favore dei minori 83

E.7.2 Minori accolti in strutture residenziali o in affidamento familiare. 87

E.7.3 Minori vittime di violenza. 90

E.7.4 Il programma "Roxanne". 91

E.7.5 Minori stranieri non accompagnati 93

E.7.6 Un nuovo Piano per l'attuazione della legge 285/97. 94

E.7.7 Spunti operativi 98

E.8 Servizi e interventi per le persone anziane. 101

E.8.1 Le persone anziane: una risorsa per la città. 101

E.8.2 I bisogni sociali delle persone anziane. 102

E.8.3 I servizi e le prestazioni sociali per le persone anziane. 105

E.8.4 I punti di forza e buone prassi 109

E.8.5 Spunti operativi 111

F. LA PROGRAMMAZIONE DELLE AZIONI  …………………………………………...116

G. L’INNOVAZIONE DEL SISTEMA   …………………………………………………...119

G.1 L'architettura e la governance del sistema. 120

G.2 La qualità sociale. 121

G.3 L'integrazione dei sistemi 123

G.3.1 Integrazione con il sistema sanitario. 123

G.3.2 Integrazione con mondo del lavoro e della produzione. 125

G.3.3 Integrazione con le politiche abitative e del patrimonio. 126

G.3.4 Integrazione con i sistemi dell'istruzione e della formazione. 127

G.3.5 Integrazione con i sistemi della Sicurezza e della Giustizia. 128

H. LE RISORSE   …………………………………………………………………………..130

H.1 Le risorse professionali 130

H.1.1 La distribuzione territoriale. 130

H.1.2 Gli obiettivi di miglioramento. 132

H.2 Le risorse finanziarie. 133

H.2.1 La spesa sociale e le risorse finanziarie. 133

H.2.2 Gli obiettivi 135

I ALLEGATI  …………………………………………………………………………………..138

I.1 Interventi per le popolazioni Rom.. 138

I.1.1 I Rom in Europa e in Italia. 138

I.1.2 I Rom a Roma. 139

I.1.3 Caratteristiche socio-culturali dei gruppi Rom.. 141

I.1.4 Gli interventi realizzati 141

I.1.5 Dati sulla scolarizzazione dei minori Rom.. 143

I.1.6 Il "Piano Rom". 147

I.2 Interventi per il contrasto delle dipendenze. 153

I.2.1 Lo stato dell'arte. 153

I.2.2 I servizi dell'Agenzia Comunale per le Tossicodipendenze. 154

I.2.3 Le nuove dipendenze patologiche. 157

I.2.4 Il “Piano Programma” dell’Agenzia Comunale per le Tossicodipendenze. 158

 


A. INTRODUZIONE

Uno strumento per la partecipazione

Il presente documento[1] costituisce uno strumento di lavoro per la preparazione del nuovo Piano Sociale della città di Roma. In particolare, si propone come una piattaforma operativa per un confronto aperto con tutti i soggetti che si occupano, a vario titolo, dell'assistenza sociale sul territorio romano.

Il documento è stato redatto dal Nucleo Direzionale[2] sulla base dei dati e delle analisi dei Gruppi di lavoro tematici, organizzati dalla Commissione di Piano.

Le diverse istituzioni, i sindacati, le imprese, le associazioni, gli organismi del volontariato e della "cittadinanza attiva" che operano a Roma, insieme con le famiglie e i singoli cittadini, sono chiamati a partecipare attivamente in questo processo, offrendo il loro contributo per:

ð    proporre integrazioni, correzioni e modifiche al presente documento;

ð    indicare punti di forza da mettere in evidenza e criticità da superare;

ð    formulare proposte per il miglioramento dei servizi in risposta ai problemi evidenziati;

ð    fornire indicazioni in merito ai servizi e alle prestazioni da considerare “essenziali”;

ð    evidenziare le interconnessioni “trasversali” in relazione al lavoro di rete con altri soggetti.

Il primo Piano cittadino e i Piani municipali

A Roma il processo di programmazione del sistema locale integrato di interventi e di servizi sociali era stato avviato nell'autunno 2001, sulla base delle indicazioni della legge-quadro 328/2000.

Il percorso di preparazione, che ha visto il coinvolgimento di circa 600 organizzazioni e oltre 6.000 persone, è sfociato poi nello Schema del Piano Regolatore Sociale, approvato dalla Giunta comunale il 2 agosto 2002[3]. È stato successivamente discusso e approvato, con emendamenti, dal Consiglio Comunale con Deliberazione n. 35/2004.

Nel quadro del Piano Regolatore Sociale cittadino è stata avviata anche la pianificazione dei servizi e degli interventi sociali a livello territoriale, con l'approvazione dei Piani di zona in ciascuno dei 19 Municipi romani.

In armonia con quanto disposto dalla Deliberazione del Consiglio comunale n. 124 del 3 luglio 2006, ripreso dalla Memoria di Giunta del 7 marzo 2007, i Consigli Municipali, tra la fine del 2007 e l'inizio del 2008 hanno ripreso e aggiornato i Piani di zona (ridenominati “Piani Regolatori Sociali Municipali”) per il periodo 2008-2010. Tali Piani sono stati poi aggiornati, sia in considerazione delle risorse trasferite con cadenza annuale dalla Regione Lazio, sia in relazione all’evoluzione dei progetti inseriti in tali Piani.

Il Piano Regolatore Sociale cittadino, invece, non è mai stato formalmente aggiornato. Si tratta dunque di una pianificazione sociale obsoleta, fondata su analisi datate e quindi non rispondenti alle attuali esigenze.

Non esistono valutazioni formali sull'attuazione del Piano. Da una analisi empirica, risulta che solo una parte delle azioni sono state avviate. Certamente, a partire dal 2002, in concomitanza con l'approvazione dello Schema di Piano, sono stati implementati molti nuovi servizi. A livello centrale, a titolo meramente esemplificativo, si possono ricordare:

ü    la riforma dei servizi di emergenza sociale, che ha dato vita alla Sala Operativa Sociale,

ü    il Centro cittadino per le migrazioni di via Assisi,

ü    nuovi servizi per anziani e Centri di sollievo Alzheimer,

ü    il progetto sulle dimissioni protette,

ü    l'avvio della "Casa del volontariato", con alcuni servizi di "welfare leggero",

ü    il progetto "Insieme si può" per sostenere le famiglie che impiegano collaboratrici familiari,

ü    la riforma dell'accreditamento, con l'introduzione dei "pacchetti di servizi".

Nonostante ciò, sono molte le azioni programmate nell'ambito del Piano Regolatore Sociale che non sono mai state avviate. Come, ad esempio, la prevista riserva del 5% sugli appalti del Comune di Roma per la cooperazione sociale, o le indicazioni sulla riforma del bilancio relativo ai servizi sociali. In genere i rilievi critici si concentrano non tanto sui servizi che sono stati previsti, quanto sulla capacità del Piano di innovare il modello di assistenza e sulla mancata implementazione delle azioni. Per questo motivo, da alcuni viene ritenuto, più che uno strumento di programmazione operativa, un "libro dei sogni".

La costruzione del nuovo Piano

Il processo di costruzione del nuovo Piano Sociale cittadino è stato avviato dall’Assessore alle Politiche sociali e della salute nella primavera del 2009, sulla base delle indicazioni contenute nel Documento di Programmazione Finanziaria 2009-2011 (Deliberazione del Consiglio comunale n. 66 del 12-13 dicembre 2008).

La graduale attuazione dell'articolo 24 della legge 5 maggio 2009, n. 42 trova nell’approvazione del Decreto Legislativo 17 settembre 2010 n. 156 il concreto avvio del percorso di avvicinamento del Comune di Roma ai nuovi assetti istituzionali della Città metropolitana di Roma Capitale della Repubblica. Tale percorso produrrà sostanziali cambiamenti nell’assetto amministrativo ed organizzativo della città ed è perciò del tutto evidente che il nuovo Piano Regolatore Sociale dovrà essere predisposto in sinergia con gli organi dell’amministrazione capitolina deputati a gestire il percorso istitutivo di Roma Capitale.

Il compito di guidare il percorso è stato affidato al Nucleo Direzionale, composto dall’Assessore (che lo presiede), dal Direttore del Dipartimento Promozione dei servizi sociali e della salute e da tre esperti esterni, a titolo gratuito, selezionati sulla base del loro curriculum, previo avvio della procedura prevista dal Regolamento comunale.

Le funzioni del Nucleo Direzionale, oltre a quelle relative all’elaborazione della struttura generale del Piano sulla base degli indirizzi del Consiglio comunale (in particolare attraverso la Commissione Politiche Sociali), sono: organizzare e coordinare i Tavoli di governance; indirizzare e coordinare i lavori della Commissione di Piano; definire le azioni per l’innovazione del sistema dei servizi e degli interventi sociali; redigere la bozza di Piano da sottoporre all’esame della Giunta comunale.

I Tavoli di governance costituiscono il luogo di confronto e partecipazione degli stakeholders istituzionali e dei corpi intermedi nel settore dei servizi sociali. Nella fase preparatoria sono stati realizzati incontri con i seguenti soggetti:

ü     Alcuni Assessori comunali i e Direttori dei rispettivi Dipartimenti,

ü     Consiglieri delegati per la salute e l’handicap, delegati del Sindaco nei rapporti con le ASL, direttori ASL, Farmacap, Agenzia Comunale per le Tossicodipendenze,

ü     Assessori alle politiche sociali dei Municipi e dirigenti UOSECS,

ü     Sindacati maggiormente rappresentativi,

ü     Ordini e associazioni professionali dell’area sociale e sanitaria,

ü     IPAB, Centrali cooperative, Forum del Terzo Settore e Centri Servizi Volontariato.

Altre istituzioni e organizzazioni saranno coinvolte successivamente (ad esempio.

La Commissione di Piano è composta da esperti esterni, individuati in base alle rispettive conoscenze, esperienze e capacità in relazione alla pianificazione sociale territoriale e/o al sistema dei servizi sociali all’interno delle aree tematiche in cui si articola il sistema dei servizi sociali. Opera in stretto contatto con il Nucleo Direzionale e l’Ufficio "Azioni di sistema" del Dipartimento ed assolve i seguenti compiti:

ð    raccolta di dati ed elaborazione di analisi sulla condizione sociale della città, sui bisogni e sulla domanda di prestazioni, sul sistema di servizi ed interventi sociali a Roma;

ð    predisposizione di un quadro generale dei servizi e degli interventi sociali,

ð    presentazione di proposte finalizzate al miglioramento dei servizi e degli interventi sociali, in termini di equità, qualità ed efficienza,

ð    organizzazione di momenti di confronto con gli attori sociali operanti nel territorio,

ð    collaborazione nella stesura della bozza del nuovo Piano.

La Commissione di Piano ha selezionato e coordinato Gruppi di lavoro, formati da tecnici ed esperti nel settore, i quali hanno raccolto e sistematizzato, per ciascun tema, dati e informazioni relative al contesto e alla normativa di riferimento, alla domanda e ai bisogni sociali, ai servizi e agli interventi sociali promossi dall’Amministrazione comunale (e in alcuni casi anche da altre Istituzioni e Organizzazioni), ai punti di forza e alle criticità particolarmente significative.

Per diverse settimane complessivamente oltre 100 persone, organizzate in cinque Gruppi, hanno lavorato intorno ai seguenti temi: Povertà, disagio ed emergenze sociali; Immigrati e richiedenti asilo; Salute, disabilità e disagio psichico; Famiglie e minori; Persone anziane. I risultati dei Gruppi sono confluiti in Documenti tematici, che sono serviti come base per la redazione del presente documento. Essi sono a disposizione dei “Forum tematici”, che sono chiamati a contribuire alla preparazione del Piano, in un ampio e pubblico dibattito.

I "Forum" sono formati dai principali stakeholders del welfare cittadino. Sono aperti a chiunque intenda partecipare, sulla base di autocandidature formalmente espresse, a partire dal Convegno cittadino di presentazione del percorso di costruzione del nuovo Piano.

Il cronogramma seguente presenta offre un quadro sintetico del percorso programmato per la preparazione del nuovo Piano.

Programmazione novembre 2010 - maggio 2011

Azione

Nov.

Dic.

Gen.

Feb.

Mar.

Apr.

Mag.

Lavori dei “Forum tematici” e acquisizione osservazioni e proposte

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Redazione dello "Schema del nuovo Piano"

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Presentazione dello "Schema" ai "Tavoli di Governance"

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Redazione del testo definitivo da presentare alla Giunta comunale

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Avvertenze generali

1.     Il presente documento è stato elaborato sulla base di numerosi testi di varia natura, predisposti dalla Commissione di Piano e da altri esperti. Si possono riscontrare pertanto sia diversità di stili espositivi, sia ripetizioni di alcuni dati e concetti.

2.     Il documento è organizzato con una struttura che, dal punto di vista formale, si avvicina a quella ipotizzata per il Piano Regolatore Sociale. Ciò per favorire una visione d'insieme di come questo potrà essere successivamente costruito.

3.     Dal punto di vista sostanziale, il documento non è però "la bozza del Piano". Più semplicemente, è uno "strumento" per il confronto cittadino sui dati, sulle analisi e su alcune proposte dei gruppi di lavoro.

4.     In considerazione di ciò, il presente documento - - non esprime necessariamente, in ogni sua singola parte, il pensiero ufficiale dell'Amministrazione Capitolina.

5.     Si richiama inoltre l'attenzione sul fatto che molte competenze in materia di politiche sociali sono attualmente in corso di modificazione a seguito dell’applicazione dei decreti attuativi di "Roma Capitale". E' probabile pertanto che il documento contenga denominazioni, espressioni e indicazioni programmatiche che sono state o saranno superate in seguito alle nuove normative. Tutto ciò sarà evidentemente corretto e precisato nel testo del nuovo Piano Regolatore Sociale.

6.     Si ringrazia per ogni segnalazione di errori formali o sostanziali presenti nel testo.


B. GLI SCENARI

Il contesto internazionale ed europeo

Le dinamiche che riguardano la costruzione del sistema cittadino dei servizi e degli interventi sociali si inquadrano nel contesto internazionale e nelle strategie europee di regolazione del welfare territoriale. Non si tratta solo di considerare gli obiettivi comunitari che trovano nel Metodo Aperto di Coordinamento[4] e nei i loro riferimenti programmatici. I processi di unificazione europea influenzano sempre più le policies locali di accoglienza e protezione sociale, basti pensare all'impatto che ha avuto sulla città di Roma l'ampliamento dell'Unione Europea verso i Balcani.

I fattori che devono essere considerati nella pianificazione sociale di Roma Capitale sono molteplici. Si va dagli effetti della crisi economico-finanziaria, con le sue ricadute in termini di aumento dei bisogni sociali e di riduzione delle risorse pubbliche, ai mutamenti accelerati in alcuni flussi migratori; dai diversi modelli di welfare che influenzano sempre più la cultura assistenziale italiana, ai programmi di inclusione sociale finanziati con i fondi strutturali. E gli esempi si potrebbero moltiplicare. Di tutto questo si dovrà tener conto, sullo sfondo, se si vuole pianificare un sistema in grado di affrontare le sfide di un mondo sempre più globalizzato.

Le politiche nazionali

La Legge 8 novembre 2000 n. 328[5] disegna i principi, gli obiettivi e le regole di funzionamento del sistema integrato di interventi e servizi sociali. Essa porta a compimento e inserisce in un quadro unitario un percorso normativo più che decennale, che aveva precedentemente definito singoli ambiti del welfare, sia dal punto di vista dei destinatari degli interventi (persone con disabilità, tossicodipendenti, immigrati, minori, ecc.), sia da quello degli attori sociali coinvolti nella programmazione e realizzazione degli interventi (volontariato, cooperazione sociale, ONLUS, associazionismo di promozione sociale).

Questo impianto normativo rimanda a successivi passaggi attuativi, prevedendo una serie di decreti e/o atti di indirizzo da parte del governo. Sono alcuni di questi sono stati però effettivamente approvati[6]. Non sono stati invece realizzati dispositivi importanti previsti dalla legge, come il decreto sulle professioni sociali, quello sul sistema informativo sociale, il riordino degli emolumenti per le invalidità, ecc.. Si tratta di misure la cui mancanza ha determinato un forte rallentamento nel percorso attuativo della legge.

L'attuazione della legge 328/00 è stata influenzata dalla riforma costituzionale[7], che riserva la materia dei servizi sociali all'esclusiva competenza delle Regioni. Lo Stato invece ha il compito di determinare i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. Spetta dunque ad una legge dello Stato definire tali livelli, ma purtroppo la previsione costituzionale non è stata ancora attuata.

E’ inoltre importante sottolineare quanto previsto dal nuovo articolo 118 della Costituzione in merito al ruolo attivo dei cittadini, singoli e organizzati, nello svolgimento di funzioni di interesse pubblico. La Carta costituzionale richiede una piena assunzione, da parte di tutti i livelli istituzionali, del principio della “sussidiarietà orizzontale” tra poteri pubblici e dimensione civica. Tale indicazione non comporta un arretramento delle responsabilità istituzionali, quanto piuttosto l'integrazione di queste con quelle dei cittadini, per la promozione e la tutela del bene comune.

Più recentemente, le politiche nazionali sul welfare sono state definite nel “Libro bianco sul futuro del modello sociale"[8] e nel "Piano d'Azione Nazionale"[9]. Si rimanda pertanto a tali documenti l'analisi del quadro di riferimento nazionale. Ulteriori informazioni ufficiali sono contenute nel"Rapporto sulla non autosufficienza in Italia 2010"[10] e nell'indagine Istat sulle spese dei comuni destinate alle attività socio-assistenziali.

Infine, il quadro di riferimento nazionale è completato con la legge 42/09 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale), che introduce un nuovo ordinamento per Roma Capitale (art. 24). Tale normativa, attualmente in fase di attuazione, determinerà conseguenze importanti nell'architettura e nel funzionamento del sistema locale dei servizi sociali, in quanto dovrà ridefinire le competenze e le funzioni degli organi amministrativi di "Roma capitale" e dei Municipi.

Le politiche regionali

A livello regionale, si deve registrare una sostanziale staticità rispetto alle riforme introdotte dalla legge 328. La legge regionale di riferimento[11] infatti, approvata nel 1996, non è mai stata aggiornata. Un recente disegno di legge predisposto dalla precedente consiliatura non ha concluso l'iter di approvazione. Anche sul versante programmatico si riscontra una carenza di indicazioni. L'unico Piano socio-assistenziale approvato dalla Regione infatti risale al 1999[12]. La programmazione sociale - e il relativo riparto dei fondi - è stata perciò attuata con Delibere di Giunta.

Il nuovo Piano Regolatore Sociale di Roma costituisce un'occasione importante per affermare un più incisivo raccordo con la Regione Lazio per un diverso impianto del sistema di welfare locale, in particolare nell'ambito dell'integrazione tra il sistema dei servizi sociali e quelli sanitari.

 

Uno sguardo al futuro della città: il progetto Millennium[13]

Il Progetto Millennium ha lo scopo di avviare una riflessione sul futuro di Roma, che individui in quali direzioni orientare decisioni, risorse ed energie nei prossimi anni. Il processo di riflessione sullo sviluppo della città sfocerà nella progettazione del Piano Strategico 2010-2020. E’ per condividere questo percorso che sono stati pensati gli "Stati Generali della città di Roma": un dialogo con la società civile, un confronto sulle prospettive di crescita e miglioramento.

La Commissione per il futuro di Roma Capitale, istituita dal sindaco Alemanno, ha coinvolto esperti in materia di economia, territorio, urbanistica, infrastrutture, archeologia, cultura, turismo, sport, al fine di individuare gli snodi principali dello sviluppo della città nei prossimi anni. I lavori della Commissione hanno prodotto 139 progetti su diverse aree tematiche (tra cui alcuni nell'ambito dell'obiettivo "Ridurre il disagio sociale e tutelare le fasce deboli").

 


C. I PRINCIPI E LE FINALITÀ GENERALI

C.1 I principi

Dignità e diritti

L'azione socio-assistenziale promossa dal Comune di Roma si fonda sul riconoscimento della dignità inalienabile di ogni persona e dei suoi diritti. In particolare, il Comune di Roma assume come propri i princìpi contenuti negli articoli 2, 3 e 38 della Costituzione e negli articoli 1 e 2 della legge 328/00, impegnandosi - nell’ambito delle proprie competenze e in sinergia con le altre Istituzioni della Repubblica - ad assicurare alle persone e alle famiglie un sistema integrato di interventi e servizi sociali per prevenire, eliminare o ridurre le condizioni di bisogno e di disagio derivanti da inadeguatezza di reddito, difficoltà sociali e condizioni di non autonomia.

Le prestazioni sociali, secondo i livelli essenziali determinati dalla normativa, sono rivolte a tutti i cittadini che si trovano in condizione di bisogno, senza alcune discriminazione. Ad esse hanno accesso prioritariamente i soggetti in condizioni di maggiore bisogno.

Il Comune adotta le misure necessarie per assicurare il più alto livello possibile di equità sociale, sia per quanto riguarda la distribuzione dei servizi e delle risorse, sia per ciò che concerne l’accesso alle prestazioni. A tal fine, il nuovo Piano Regolatore Sociale prevede, in via generale, la compartecipazione parziale o totale ai costi dei servizi sociali da parte degli utenti o delle loro famiglie, a seconda delle loro disponibilità economiche, fatti salvi i casi previsti per l'esclusione da tale obbligo.

Il nuovo Piano Regolatore Sociale si propone di superare una concezione “pauperista” dei servizi sociali che li concepisce come spesa improduttiva. Promuove perciò un approccio che li coglie come investimento per la crescita del “capitale sociale” della città. In particolare, il nuovo Piano intende realizzare interventi in grado di promuovere l’autonomia delle persone, delle famiglie e dei gruppi sociali, superando i rischi dell’assistenzialismo, che genera dipendenza e passività.

L'azione solidale è invece decisiva per lo sviluppo e la crescita - anche economico-produttiva - della città. Importanti economisti hanno messo in evidenza l’importanza della cultura della reciprocità e del dono. A livello internazionale, le comunità più forti sono anche quelle più competitive economicamente e ciò significa che crescita economica e coesione sociale non sono obiettivi contrastanti. Né sono contraddittorie tra loro la cultura del dono e quella del diritto. In passato, sono state spesso messe in opposizione, come se l'una dovesse necessariamente negare l'altra. Il nuovo sistema dei servizi sociali della città di Roma nasce all'insegna dell'et-et, non dell'aut-aut: diritti sociali riconosciuti, prestazioni concretamente "esigibili", insieme con relazioni di gratuità e di solidarietà conviviale. È da questa sintesi che può nasce un nuovo welfare comunitario.

Un patrimonio da salvaguardare e far crescere

La storia della città di Roma è intessuta di accoglienza e solidarietà. Si tratta di un vero e proprio patrimonio, non meno importante di quello culturale, ereditato da secoli di impegno civile e religioso di migliaia uomini e donne di tutti i ceti sociali e provenienti dai territori più diversi. Questa "buona tradizione" è la base di partenza per continuare a costruire, con nuove risorse, un sistema di protezione e di assistenza solidale, moderno ed efficace.

Il nuovo Piano si pone in un'ottica di "innovazione nella continuità". L'impegno a rinnovare il sistema dei servizi sociali della città, a renderlo più efficiente e a migliorare gli interventi non si traduce in un mancato riconoscimento della "solidità" e della validità de risposte che la cittadinanza e le istituzioni romane hanno costruito sul territorio nei decenni e in qualche caso anche nei secoli scorsi. È invece da guardare con simpatia la lunga e ricca storia di impegno civico e caritativo con cui si è concretizzata nella "città eterna" l'attenzione e la cura alle persone più fragili. Ne sono rimaste tracce importante, non solo nelle opere e nelle organizzazioni che vantano una lunga tradizione di assistenza, ma anche nell’umanità degli atteggiamenti e nei saperi diffusi delle famiglie, delle formazioni sociali, del volontariato romano. Certo, non tutto in passato è stato positivo, anzi! Ma il ricco patrimonio che ci è stato lasciato in eredità dalle generazioni passate non va “buttato via”. Si deve piuttosto valorizzare, reinterpretare e arricchire. Solo così è da sperare che una nuova linfa animi il vecchio tronco delle realtà che nel tempo hanno saputo farsi carico e prendersi cura delle persone più fragili e in difficoltà.

Sussidiarietà e corresponsabilità

Il Comune di Roma, riconoscendo che i servizi sociali dell’amministrazione comunale sono solo una parte – seppur importante e necessaria – del più vasto sistema di protezione e di assistenza sociale, intende valorizzare e sostenere concretamente l’autonoma iniziativa sociale dei cittadini, delle famiglie, dei corpi sociali intermedi e delle altre Istituzioni, sulla base del principio costituzionale della sussidiarietà orizzontale e verticale.

Il nuovo Piano Regolatore Sociale si fonda su un approccio multistakeholders, che prevede la partecipazione attiva dei rappresentanti di diversi settori e interessi in tutte le fasi di costruzione e realizzazione del sistema. Alla base c'è il concetto di corresponsabilità: sono infatti diversi i soggetti (famiglia, scuola, associazionismo, volontariato, comunità religiose e altri corpi sociali) chiamati ad esercitare il diritto-dovere dell’assistenza e della tutela dei membri più deboli della comunità locale. Per tale motivo, il Piano intende promuovere sinergie con le forze attive della città, chiamando alla propria responsabilità sociale anche le imprese, pubbliche e private.

Il nuovo Piano intende sviluppare il lavoro di rete e l’integrazione delle politiche sociali non solo con quelle sanitarie, ma anche con quelle dell’istruzione e della formazione, del lavoro, della casa, della sicurezza, delle pari opportunità. Nella programmazione, nell’organizzazione e nella gestione del sistema integrato di interventi e servizi sociali, il Comune riconosce, agevola e sostiene il ruolo delle cooperative, associazioni ed enti di promozione sociale, delle fondazioni e degli enti di patronato, delle organizzazioni di volontariato, degli enti riconosciuti delle confessioni religiose con le quali lo Stato ha stipulato patti, accordi o intese.

Autonomia e libertà di scelta

Il Comune, in tutti i casi in ciò è possibile e opportuno, intende ampliare la libertà di scelta dei servizi da parte dei cittadini. A tal fine introduce misure regolative finalizzate a favorire la libera e corretta concorrenza di tutti i soggetti in grado di offrire servizi di qualità a condizioni economicamente vantaggiose per i cittadini, senza preconcette e obsolete opposizioni ideologiche.

Ciò non significa, in alcun modo, abbandonare il cittadino in difficoltà a sé stesso. Anzi. Ma "farsi carico" non significa, se non in casi limitati, sostituirsi alla responsabilità, all'iniziativa, alla volontà della persona assistita. L'attenzione alla dignità e alla diversità di ogni persona esige che siano prese in considerazione e sostenute professionalmente le sue scelte riguardo agli interventi o prestazioni di cui ha bisogno, senza proporre o accettare deleghe, né prolungare supplenze inappropriate. Se si insiste su questo punto è perché non si possono sottovalutare i rischi di un'assistenza meramente burocratica, che può facilmente tradursi in un “maternage” deresponsabilizzante di servizi autoreferenziali.

C.2 Le finalità generali

Le direttrici programmatiche

Il nuovo Piano Regolatore Sociale si propone l'obiettivo di far evolvere l'insieme dei servizi e degli interventi sociali verso un vero e proprio "sistema cittadino", articolato e coerente, in grado di generare sinergie finalizzate al benessere delle persone e delle famiglie che vivono a Roma, ed in particolare a prevenire e superare le situazioni di maggior disagio.

La finalità del nuovo Piano Regolatore Sociale è dunque quella di proseguire nei processi di attuazione della legge 328/2000, razionalizzando il sistema dei servizi, rendendolo più efficiente, sostenibile ed equo. In particolare, intende predisporre un'offerta equilibrata di servizi e prestazioni sociali, distribuiti equamente in tutti i quartieri, in modo da rispondere in modo coerente ai bisogni dei cittadini, assicurando livelli quantitativi e qualitativi omogenei.

Il nuovo Piano, che vuole essere uno strumento concreto e pragmatico, intende muoversi sulle seguenti direttrici strategiche:

1.    Stabilizzazione e consolidamento dei servizi sociali essenziali.

2.    Estensione di tali servizi ad una platea più ampia degli aventi diritto, compatibilmente con le risorse disponibili.

3.    Definizione sperimentale e graduale dei livelli essenziali delle prestazioni sociali che dovranno essere assicurate in modo uniforme su tutto il territorio del Comune di Roma (nelle more dei provvedimenti che lo Stato assumerà a livello nazionale in questo campo).

4.    Approccio strategico, con interventi mirati all'aumento della qualità; alla semplificazione delle procedure; al miglioramento dell’efficienza, mediante un’adeguata architettura organizzativa ed un riparto razionale ed equo delle risorse umane e finanziarie.

5.    Avvio di programmi e progetti innovativi, in grado di rispondere in modo appropriato ai nuovi bisogni sociali di una città in rapida evoluzione.

L'attuale sistema, infatti, si configura strutturalmente come emergenziale e reattivo: a partire dall'accettazione acritica dei servizi "storici", si tende inevitabilmente ad incrementarli, sulla base di pressioni interne ed esterne. Ciò porta ad un aumento progressivo dei servizi e dei relativi costi, a rischi di inappropriatezza e inequità. Si tratta di un approccio che dà scarso valore all'azione preventiva, al metodo della programmazione, alla conoscenza dei dati, al rapporto costo-benefici, al controllo di gestione, alla valutazione.

Il nuovo Piano Regolatore Sociale costituisce per la città l'occasione propizia per "un salto di qualità" del welfare locale, superando l'approccio tradizionale con un vero e proprio cambio di paradigma, centrato sul rapporto tra i bisogni della popolazione e l'offerta territoriale dei servizi e delle opportunità.

Le finalità generali

In questo quadro, le finalità generali del nuovo Piano Regolatore Sociale, nell'ambito delle Linee di indirizzo del Consiglio comunale, possono essere ipotizzate sinteticamente nel seguente modo:

1.    migliorare i dispositivi di prevenzione

2.    aumentare l'efficacia degli interventi

3.    assicurare un accesso più equo ai servizi

4.    costruire un sistema realmente sussidiario

5.    modernizzare e rendere più efficiente il sistema

6.    assicurare la sostenibilità del sistema

Finalità n. 1: migliorare i dispositivi di prevenzione

Già il DPR 616 fin dal 1977 indicava tra i compiti degli Enti locali l'adozione di misure di prevenzione del disagio. Purtroppo questo impegno ha trovato finora una scarsa attuazione nei programmi attuativi riguardanti il sistema dei servizi e degli interventi sociali. Ciò è causa di conseguenze negative: si interviene spesso su situazioni di emergenza, con interventi tardivi e onerosi, comunque insufficienti alla luce dei bisogni espressi. La costruzione di una rete di interventi atti a conoscere aree e rischi di disagio, la diffusione di informazioni idonee a rendere consapevoli servizi e cittadini di tali rischi, la previsione delle manifestazioni di sofferenza mediante reti in grado di intercettarne le manifestazioni iniziali costituiscono, oltre che un atto dovuto per legge, anche lo strumento più utile per eliminare o comunque limitare la produzione di danni talvolta irreversibili.

Finalità n. 2: aumentare l'efficacia degli interventi

Per molto tempo si è centrata l'attenzione solo sulla domanda esplicita e sull'utenza in entrata (liste d'attesa). Ora è necessario spostare il baricentro della "filiera" dei servizi, mettendo l'accento sia sui bisogni non espressi e "sommersi", sia sull'efficacia e sulla velocizzazione dei processi, in modo da rendere più tempestiva l'uscita dal circuito assistenziale (ovviamente nei casi in cui ciò sia realisticamente possibile). In questa direzione vanno alcune iniziative prese dal Comune di Roma, come il progetto “RETIS” - Rete di Inclusione Sociale, nonché la riserva alla cooperazione sociale (di tipo B) del 5% degli appalti di beni e servizi da parte del Comune e delle sue Agenzie. Solo un più incisivo raccordo con il mondo del lavoro può favorire l'uscita dai circuiti dell'assistenza, mediante metodologie in grado di generare un aumento delle capacità della persona in difficoltà e lo sviluppo delle risorse del contesto in cui vive.

Finalità n. 3: assicurare un accesso più equo ai servizi

Non si tratta di agire solo sul versante dell'efficacia. Il nuovo Piano si prefigge anche una maggiore equità nella disponibilità e nell'accesso ai servizi. Per ottenere questo risultato si porrà mano, in modo graduale ma deciso, alla revisione dei criteri di riparto delle risorse umane e finanziarie. In questo ambito spesso prevale la "logica del precedente", con rischio di ritardi nell'adeguamento dei servizi ai reali bisogni della popolazione, oppure di perpetuare e aggravare situazioni paradossali di carattere discriminatorio. L'obiettivo da raggiungere è quello di assicurare gli stessi livelli essenziali di prestazioni - dal punto di vista della quantità e della qualità - a tutti i cittadini che hanno i medesimi bisogni sociali, a prescindere dal quartiere o dal Municipio in cui vivono.

Finalità n. 4: costruire un sistema realmente sussidiario

Nel welfare locale, il Comune ha un ruolo insostituibile, ma è solo uno degli attori. Il sistema si regge solo se tutti assumono le loro responsabilità e mettono in campo le risorse di cui dispongono. In questa logica l'Ente locale assume il ruolo di "committente principale", capace di promuovere una leale e fattiva collaborazione con la Sanità, la Giustizia, le IPAB, le fondazioni, le imprese, l'associazionismo e il volontariato. All'interno dell'Amministrazione comunale, poi, l'Assessorato preposto alla promozione dei servizi sociali e della salute si pone come "perno" con le altre politiche di sviluppo urbano (istruzione, formazione e lavoro, sicurezza, patrimonio, risorse umane, ecc.). In una cultura che da sempre assegna alle famiglie un compito importante di cura dei suoi membri più fragili, è importante soprattutto collegare le politiche sociali con le politiche familiari. Il Terzo Settore deve essere aiutato ad assumere un ruolo più autonomo e incisivo, superando il rischio di appiattimento nei confronti della Pubblica Amministrazione. Ciò sarà possibile solo se la cooperazione sociale assumerà una specifica cultura di impresa, capace di coniugare in modo originale le esigenze del mercato con la solidarietà sociale, in un'alleanza libera e dinamica con la mission delle Istituzioni. Il nuovo Piano si propone come uno strumento per un nuovo "Patto per la crescita del "Capitale sociale" della Città", in cui valorizzare e sviluppare il patrimonio di esperienze e di solidarietà delle famiglie e la variegata e dinamica presenza delle istituzioni, delle parti sociali, degli organismi no profit, delle organizzazioni caritative della Chiesa cattolica e di altre confessioni religiose.

Finalità n. 5: modernizzare e rendere più efficiente il sistema

Il sistema dei servizi sociali, nella logica "incrementale" che lo ha sempre caratterizzato, porta con sé una dose notevole di inefficienza. Bisogna accelerare i processi di miglioramento del sistema, mediante la razionalizzazione dei regolamenti, la semplificazione delle procedure e la standardizzazione degli strumenti. E' questo un compito non facile, che può essere svolto solo con un'alleanza positiva tra le professioni amministrative e quelle sociali. Un aspetto che sarà attentamente controllato è quello dell'analisi dell'appropriatezza e della qualità delle prestazioni: solo se questo avviene assume un senso l'analisi dei costi standard delle stesse prestazioni, così come previsto dalla legge sul "federalismo fiscale". In caso contrario, si rischia di confrontare (e quindi standardizzare) i costi unicamente sulla base del prezzo, senza valutare il rapporto costi/benefici e quindi la reale economicità dell'intervento. L'aumento dell'efficienza non può andare a scapito della qualità. Per questo saranno utilizzate metodologie improntate sulla programmazione e il management, valorizzando la “cultura del dato”, con un’analisi attenta dei bisogni sociali e dell’offerta dei servizi. L'ampliamento della platea dei fornitori di servizi potrà contribuire alla selezione dei migliori gestori, con una ben regolata concorrenza, in grado di garantire il miglior rapporto costo-benefici, salvaguardando il diritto di scelta e di continuità assistenziale dell'utente. Inoltre sarà incentivata la cultura del monitoraggio e della valutazione dei processi e dei risultati, identificando indicatori oggettivamente controllabili. In questo contesto, è di fondamentale importanza un'informazione completa, affidabile e tempestiva. I diversi flussi informativi oggi esistenti saranno integrati in un Sistema Informativo Sociale centralizzato, informatizzando i sistemi di raccolta, archiviazione e gestione dei dati.

Finalità n. 6: assicurare la sostenibilità del sistema

L’evoluzione demografica e le tendenze socio-economiche in atto rendono sempre più urgente il tema della sostenibilità del sistema di protezione sociale a medio e lungo termine. In questo contesto, nell’am­bito del nuovo Piano saranno adottate le misure necessarie non solo per evitare sprechi e diseconomicità, ma anche per adeguare le risorse disponibili, ampliando il ventaglio delle fonti finanziarie e favorendo circuiti positivi (effetto-leva, effetto-moltiplicatore, diffusione di buone prassi, ecc.).

I fattori esterni

Queste finalità, pur essendo ambiziose, potrebbero comunque essere realistiche. Il loro raggiungimento sarà reso più agevole se si daranno alcune condizioni, che non dipendono solo dalle decisioni dell'Amministrazione comunale. Se ne possono enumerare alcune:

ü     attuazione lineare del percorso istitutivo di "Roma capitale";

ü     definizione a livello nazionale degli obblighi e dei limiti dell'assistenza sociale pubblica, cioè dei "livelli essenziali" delle prestazioni sociali (LEP) previsti dalla Costituzione e dalla legge 328;

ü     previsione delle risorse finanziarie esterne al Comune di Roma (ad es. trasferimenti dalla Regione o dallo Stato) disponibili con buoni margini di anticipazione e di certezza, relativi a tempi congrui (almeno triennali) e con trasferimenti tempestivi;

ü     semplificazione della normativa amministrativa nel settore dei servizi alla persona, in grado di prevedere, ad esempio, la conciliazione equilibrata del principio della libera concorrenza degli enti gestori con il diritto alla libertà di scelta e alla continuità assistenziale da parte dell'utente;

ü     forte investimento della Regione Lazio nella creazione di un sistema informativo sociale efficiente a livello regionale;

ü     definizione dei profili professionali dell'area sociale e realizzazione di programmi di aggiornamento e di formazione continua degli operatori e dei dirigenti;

ü     individuazione di regole e adozione di misure idonee per l'integrazione effettiva dei servizi socio-sanitari;

ü     convinta e attiva partecipazione di tutti gli attori sociali del territorio ai processi di miglioramento dei servizi e degli interventi sociali.


D. IL PROFILO DEMOGRAFICO DELLA CITTÀ

Questa sezione, che presenta i dati e le tendenze demografiche in atto nella città di Roma non sono un semplice "corollario" del documento, ma costituiscono la base su cui fondare l'analisi dei bisogni sociali della popolazione. Le principali dinamiche che influenzano il welfare locale sono infatti di tipo demografico:

·      una persistente bassa natalità, che non assicura il ricambio della popolazione, destinata a ridursi drasticamente nei prossimi decenni, se non debitamente compensata da "nuove entrate";

·      il crescente numero di persone in età molto avanzata, con le prevedibili conseguenze in termini di non autosufficienza e di dipendenza;

·      il flusso costante di immigrati, l'aumento della loro incidenza sul totale dei residenti e la crescita degli stranieri di seconda generazione;

·      la fragilità delle relazioni familiari e la tendenza all'atomizzazione della famiglia, che comporta anche l'indebolimento delle sue tradizionali capacità di "prendersi cura" dei suoi membri più fragili.

Con questi fenomeni Roma dovrà "fare i conti", adottando un sistema di servizi capace di fronteggiare le nuove sfide e di rispondere ai nuovi bisogni sociali. È questa la ragione per cui si è voluto dare un ampio spazio alle dinamiche demografiche, per "guardarle da vicino".

D.1 La popolazione residente[14]

Al 31/12/2008 i residenti a Roma erano 2.844.821, di cui 47,3% maschi e 52,6 % femmine.

Come è noto, la città è suddivisa attualmente in 19 Municipi (di cui 16 con una popolazione superiore ai 100.000 abitanti) con una densità abitativa[15] che in qualche caso sfiora i 157 ab/ha (Municipio 9). Comprensibilmente, i Municipi più centrali riportano i valori più elevati di densità abitativa, mentre quelli posti nel corollario esterno con la tipica forma “a spicchio” con il vertice rivolto verso il centro della città registrano una minore densità abitativa.

Nell’ultimo decennio la popolazione è rimasta sostanzialmente stabile. La diminuzione della popolazione italiana è stata infatti riequilibrata dall’aumento della componente straniera, dovuta sia a nuovi arrivi che a nuove nascite (Grafici 1, 2 e 3)

 

Grafico 1 Popolazione totale iscritta in anagrafe: periodo 1998-2008

 

Grafico 2 Popolazione italiana iscritta in anagrafe: periodo 1998-2008

Grafico 3 Popolazione straniera iscritta in anagrafe: periodo 1998-2008

Il saldo naturale della popolazione negli ultimi anni è stato sostanzialmente negativo (le nascite sono state inferiori ai decessi), mentre il saldo migratorio (differenza tra iscritti e cancellati in Anagrafe) è stato di segno lievemente positivo.

D.2 Le famiglie

Nel Comune di Roma vivono 1.323.208 famiglie[16] (2008).

Il numero delle famiglie è in crescita, a parità di persone residenti, dal momento che si sta riducendo il numero dei suoi componenti. Il numero medio dei componenti di una famiglia a Roma, la cosiddetta “ampiezza delle famiglie”, è poco superiore a 2 (2,15) per ogni nucleo familiare. In altre parole, per ogni 100 persone residenti in città, vi sono quasi 50 famiglie.

I grafici seguenti illustrano in modo evidente le recenti evoluzioni nel numero e nell'ampiezza delle famiglie romane.

 

Grafico 4 N° famiglie per 100 abitanti alla data dei censimenti ISTAT

 

Grafico 5 Ampiezza media delle famiglie alla data dei censimenti ISTAT

 

I dati statistici sulle famiglie nel Comune di Roma hanno registrato negli anni recenti una sensibile trasformazione della struttura familiare: sono diminuite sensibilmente le famiglie “tradizionali” con genitori e figli, mentre sono aumentate in pari misura le famiglie con un solo componente. I dati evidenziano due tendenze: da un lato, la forte crescita delle famiglie composte da anziani soli; dall’altro, la crescente difficoltà di formazione di nuove famiglie da parte delle giovani coppie e la preoccupante fragilità dei matrimoni.

 

Tabella 1 Tipologie di famiglie residenti (v.a. e v. %)

Famiglie per tipologia

v.a.

%

persone sole

565.939

42,8

solo coniugi

158.448

12,0

coniugi con 1 figlio

129.528

9,8

coniugi con 2 figli

118.786

9,0

genitore femmina con 1 figlio

91.701

6,9

coniugi con figli e altri

56.408

4,3

persone conviventi con altri né coniugi né figli

51.498

3,9

genitore femmina con 2 figli

39.276

3,0

genitore femmina con figli e altra persona

25.022

1,9

genitore maschio con 1 figlio

23.724

1,8

coniugi con 3 figli

17.935

1,4

genitore maschio con figli e altra persona

16.210

1,2

genitore maschio con 2 figli

10.151

0,8

coniugi con altri non figli

7.132

0,5

genitore femmina con 3 figli

5.775

0,4

altre tipologie (complessivamente)

5.675

0,3

Totale

1.323.208

100,0

 

La famiglia “tipo” quindi si evolve, diminuisce il numero dei suoi componenti e si riduce la possibilità di contatti prolungati e costanti tra le generazioni all'interno del nucleo familiare. Accanto alla famiglia tipo si presentano nuove tipologie familiari, sempre meno minoritarie. Da queste situazioni emergono spesso nuclei monogenitoriali (quasi sempre al femminile) con un reddito instabile e significative pressioni emotive sull’età evolutiva dei minori.

Le persone sole sono ormai più del 40% delle famiglie romane, 565.939, il 35,47% dei quali sono anziani, e sono in costante crescita. Un altro indicatore dell’invecchiamento delle famiglie romane è la scarsa presenza di minori. In media solo due famiglie su dieci hanno al proprio interno un minore. I Municipi che sono sopra la media sono l’VIII e il XIII, che negli ultimi 20 anni hanno registrato saldi demografici positivi con alti tassi di natalità, in parte sostenuti dalle donne immigrate. Emerge con chiarezza di come la periferia sia scelta sempre più dalle giovani coppie. I motivi di tale attrazione sono da ricercarsi soprattutto nella ricerca di una casa ad affitti calibrati al costo della vita.

Le famiglie numerose di 5 componenti e più sono il 3,72% (49.252), mentre quelle estese che corrispondono a quelle tipologie familiari all’interno delle quali si individuano persone conviventi con altri né coniugi né figli, coniugi con altri non figli, genitore maschio con figli e altro, genitore femmina con figli e altro rappresentano il 7,55% delle famiglie (99.945).

Complessivamente si stimano 600.916 nuclei familiari, cioè coppie con figli o senza o nuclei monogenitore. Il 26,37% è rappresentato da coniugi senza figli, il 44,82% da coppie con figli e il 28,81 da nuclei monogenitore. I nuclei monogenitore risultano di poco inferiori alle 210.000 unità. La maggioranza dei genitori soli è composta soprattutto da donne (75,8%).

 

Tabella 2 Famiglie monogenitoriali per sesso del genitore (v.a. e v. %)

Genitore femmina

Genitore maschio

TOTALE

v.a.

v. %

v.a.

v. %

v.a.

v. %

158.799

75,8%

50.598

24,2%

209.397

100,0 %

 

L’incidenza delle famiglie straniere va da un minimo del 6,7% del Municipio X a un picco del 32,3% nel Municipio I, con una media del 12,8% sul totale delle famiglie residenti a Roma.

 

Tabella 3 Famiglie italiane e straniere per Municipio (v.a. e v. %)

Municipio

Famiglie

italiane

Famiglie

straniere

Totale

Famiglie straniere/totale *100

1

49.128

23.431

72.559

32,3

2

53.190

11.231

64.421

17,4

3

24.618

3.495

28.113

12,4

4

85.191

7.411

92.602

8,0

5

72.560

6.540

79.100

8,3

6

51.382

7.545

58.927

12,8

7

47.981

6.401

54.382

11,8

8

78.523

13.056

91.579

14,3

9

58.047

6.078

64.125

9,5

10

75.158

5.366

80.524

6,7

11

59.285

7.685

66.970

11,5

12

67.418

7.029

74.447

9,4

13

82.670

11.672

94.342

12,4

15

60.900

7.289

68.189

10,7

16

60.409

6.844

67.253

10,2

17

32.403

4.564

36.967

12,3

18

53.265

7.532

60.797

12,4

19

73.746

10.053

83.799

12,0

20

55.454

13.147

68.601

19,2

Non localizzati

12.307

3.205

15.512

20,7

Totale

1.153.635

169.574

1.323.209

12,8

 

D.3 Le età

La distribuzione per classi di età

Complessivamente le classi di età più numerose sono quelle centrali (dai 35 ai 49 anni); parallelamente si registra una certa consistenza anche delle classi più anziane. È da sottolineare che nelle fasce ultrasettantenni l’incidenza della popolazione femminile aumenta progressivamente, fino a raggiungere quasi il 63% negli over 80.

 

Grafico 6 Popolazione iscritta in Anagrafe per sesso e fascia di età (al 31/12/2008)

 

E' interessante osservare la distribuzione della popolazione nei Municipi, secondo alcune particolari fasce di età.

 

Tabella 4 Incidenza % di alcune classi di età sul totale della popolazione, per Municipi

Municipio

% da 0 a 4 sul tot. Mun.

% 50 - 64 su tot. Mun.

% 65 e + su tot. Mun.

1

3,40%

20,60%

22,50%

2

4,00%

20,40%

25,20%

3

3,60%

20,90%

25,10%

4

4,30%

20,10%

22,90%

5

4,20%

20,60%

19,50%

6

3,90%

18,40%

24,50%

7

4,50%

18,30%

20,50%

8

5,80%

16,90%

14,60%

9

3,80%

19,90%

25,60%

10

4,60%

19,20%

21,00%

11

4,20%

20,20%

24,40%

12

5,00%

19,60%

18,00%

13

5,30%

18,20%

17,40%

15

4,60%

18,40%

21,80%

16

4,30%

19,50%

24,70%

17

3,50%

20,80%

26,90%

18

4,60%

18,80%

22,20%

19

4,70%

18,40%

21,00%

20

4,80%

19,00%

19,70%

Media

4,40%

19,40%

22,00%

 

I minori

Le persone minori di età iscritte nell'anagrafe del Comune di Roma il 31 dicembre 2008 erano 444.599 (156 minori ogni 1000 residenti).

Il numero complessivo dei minori negli ultimi anni è leggermente aumentato, così come la loro incidenza sul totale della popolazione, soprattutto per l’aumento dei minori stranieri.

I minori stranieri in meno di dieci anni sono più che raddoppiati (nel 2008 erano quasi 45.000), passando dal 5,2% di tutti i minori nel 2000 al 10,1% nel 2008.

I minori italiani nello stesso periodo sono invece diminuiti di quasi 2.500 unità.

 

Tabella 5 La popolazione minorile a Roma: anni 2000 e 2008

Anni

Minori

di 18 anni

% < 18 anni

sulla popolazione

Minori di 18 anni italiani

Minori di 18 anni stranieri

% minori stranieri

sul totale minori

2000

424.678

15,0

402.365

22.313

5,2 %

2008

444.599

15,6

399.880

44.719

10,1 %

Diff.

+ 19.921

+ 0,6

- 2.485

+ 22.406

+ 4,9 %

 

Grafico 7 Popolazione minorile italiana

residente a Roma (Periodo 2000-2008)

Grafico 8 Popolazione minorile straniera

residente a Roma (Periodo 2000-2008)

L’incidenza dei minori sulla popolazione straniera presente è un indicatore del radicamento territoriale: una presenza significativa di figli di immigrati, in quanto costituisce al tempo stesso un effetto e una condizione di integrazione nel Paese accoglienza, è una caratteristica di collettività straniere che hanno trasformato il proprio progetto migratorio da transitorio a lungo termine.

Come evidenziato dalla Caritas[17], i minori stranieri maggiormente presenti a Roma afferiscono all’area dei Paesi entrati di recente nell’Unione Europea e dell’Asia orientale. Differenze interessanti tra i diversi gruppi esteri a maggiore incidenza di minori emergono laddove si consideri il luogo di nascita dei minori stessi (se all’estero oppure in Italia, a indicare rispettivamente che la loro presenza è il risultato di un processo di ricongiungimento oppure l’esito della formazione di una famiglia in Italia)[18].

La situazione è naturalmente molto differenziata all'interno della città. La tabella 6 delinea il quadro della distribuzione della popolazione minorile nei diversi Municipi, precisando anche l'incidenza dei minori stranieri sul totale dei minori residenti in ciascun Municipio.

 

Tabella 6 Distribuzione della popolazione minorile per Municipio, % sul totale della popolazione iscritta all’anagrafe e % dei minori stranieri sul totale dei minori (2008)

MUNICIPIO

Minori

di 18 anni

% minori di 18 anni

sul totale popolazione

% minori 18 anni stranieri

sul totale minori di 18 anni

1

14.239

11,2

16,5

2

18.133

14,8

8,9

3

6.960

13,0

6,8

4

29.236

14,6

6,1

5

27.730

15,5

6,3

6

17.257

14,0

16,7

7

19.638

16,1

14,9

8

42.115

18,7

14,3

9

16.924

13,4

8,9

10

28.825

15,8

6,3

11

19.396

14,3

9,0

12

30.744

17,9

6,1

13

38.946

18,0

7,6

15

23.325

15,5

12,6

16

21.211

14,9

7,6

17

8.772

12,4

8,1

18

20.883

15,5

10,3

19

30.146

16,6

9,7

20

24.917

16,9

14,8

Non localizzati

5.202

15,7

19,7

Totale

444.599

15,6

10,1

 

Gli anziani

A Roma risiedono circa 600mila persone con più di 65 anni, pari al 22% della popolazione (1° gennaio 2009), ripartiti quasi in parti uguali tra la fascia d’età 65-74 (“giovani anziani”) e over 75 (“grandi anziani”).

E' interessante osservare due dati di particolare importanza: l'indice di dipendenza economica[19] e il rapporto tra anziani (65 anni o più) e bambini con meno di 6 anni. A Roma vi sono in media 4 anziani per ogni bambino, ma nell’8°, il Municipio più “giovane” ve ne sono 2,1 mentre nel 17° (il Municipio più “vecchio”) ve ne sono ben 6,6.

 

Tabella 7 N° anziani per bambino < 6 anni e indice dipendenza economica (2008)

Municipio

Anziani per bambino

Indice dipendenza economica

1

5,5

46,8

2

5,3

59,9

3

5,9

55,7

4

4,6

53,9

5

3,9

47,7

6

5,4

56,5

7

3,9

51,0

8

2,1

43,5

9

5,7

58,1

10

3,8

51,9

11

5,0

57,1

12

3,0

49,1

13

2,8

48,4

15

4,1

53,4

16

4,9

59,1

17

6,6

59,0

18

4,2

54,2

19

3,8

53,4

20

3,5

50,9

Roma

4,0

52,1

 

Grafico 9 N° anziani per bambino < 6 anni per Municipio (2008)

 

Le classi di età più giovani crescono ad un ritmo molto inferiore rispetto a quelle anziane, se non addirittura restano stabili nella numerosità, e sempre meno riescono a garantire il tasso di sostituzione necessario per il fisiologico ricambio generazionale della popolazione.

Nel 2008, il tasso di ricambio[20] era pari a 1,4, indicando come lo squilibrio tra le classi influenzi anche il mercato del lavoro, dove per ogni persona che entra nell’età attiva (classe 15-19 anni) ve ne sono 1,4 che stanno per iniziare il periodo di quiescenza. Questo, come è noto, può creare forti tensioni all’interno del sistema del welfare; sia per il potenziale squilibrio economico-finanziario relativo al versante previdenziale sia, conseguentemente, sulle difficoltà del welfare ad adeguarsi ai mutati bisogni della popolazione anziana.

Se si tiene in considerazione l’incidenza delle classi da 0 a 4 anni e dai 50 anni in su rispetto al totale della popolazione del Municipio si ottengono alcune informazioni strutturali sui residenti. Queste particolari classi di età possono dare informazioni rispetto all’evoluzione dei bisogni della popolazione, attraverso la distribuzione territoriale dei molto giovani o dei molto anziani che soprattutto per il sistema locale di welfare costituiscono dei referenti specifici portatori di bisogni peculiari.

In un’ottica complessiva, spicca la situazione di alcuni Municipi, come il Municipio VIII, che è al primo posto per incidenza della popolazione da 0 a 4 anni e all’ultimo posto per l’incidenza della popolazione da 50 a 64 e da 65 anni in su. Si tratta dunque di un Municipio giovane, che tra l’altro è anche il primo per numerosità assoluta della popolazione (224.672 abitanti). Accanto ad esso, anche il Municipio XIII presenta un profilo più giovane rispetto agli altri territori; posizionandosi al secondo posto per incidenza dei bambini fino a 4 anni e al penultimo posto per incidenza della popolazione dai 50 anni in su.

Specularmente, la popolazione di altri Municipi, come il XVII, il I ed il III, è più fortemente caratterizzata dalla presenza anziana; ad esempio nel Municipio XVII l’incidenza della classe oltre i 65 anni è del 26,9%, ciò significa che più di un quarto della popolazione di quel territorio è anziana e incide significativamente sulla tipologia di bisogni che cercano nei servizi sociali e sanitari una risposta.

 

Tabella 8: Incidenza % di alcune classi di età sul totale della popolazione residente (2008)

Municipio

% da 0 a 4 sul tot. Municipio

% da 50 a 64 sul tot. Municipio

% 65 e oltre sul tot. Municipio

1

3,4

20,6

22,5

2

4,0

20,4

25,2

3

3,6

20,9

25,1

4

4,3

20,1

22,9

5

4,2

20,6

19,5

6

3,9

18,4

24,5

7

4,5

18,3

20,5

8

5,8

16,9

14,6

9

3,8

19,9

25,6

10

4,6

19,2

21,0

11

4,2

20,2

24,4

12

5,0

19,6

18,0

13

5,3

18,2

17,4

15

4,6

18,4

21,8

16

4,3

19,5

24,7

17

3,5

20,8

26,9

18

4,6

18,8

22,2

19

4,7

18,4

21,0

20

4,8

19,0

19,7

Media

4,4

19,4

22,0

 

D.4 La cittadinanza

Anche a Roma, come del resto in tutto il Paese, l’incidenza della popolazione straniera su quella italiana è andata costantemente aumentando. Negli ultimi 10 anni è di fatto raddoppiata, passando dai 145.289 cittadini stranieri del 1998 ai 293.948 del 2009[21]. L’aumento della componente straniera è dovuta sia a nuovi arrivi che a nuove nascite.

Fra gli stranieri la componente femminile è numericamente più consistente di quella maschile e rappresenta il 53,1% dei residenti con cittadinanza estera, anche se si riscontrano ancora notevoli differenze tra le varie nazionalità.

In termini percentuali, l’incidenza è passata dal 5,2% al 10,3% e, parallelamente, il peso della popolazione italiana è sceso quasi degli stessi punti percentuali. L’incidenza percentuale degli stranieri residenti a Roma sulla popolazione complessiva, dunque, continua ad essere superiore rispetto alla media nazionale, che all’inizio del 2009 era pari al 6,5%.

 

Grafico 10 Percentuale popolazione italiana iscritta in Anagrafe: periodo 1998-2008

Grafico 11 Popolazione straniera iscritta in Anagrafe: periodo 2000-2009

 

È interessante notare la presenza di 190 comunità nazionali differenti, con circa 84 lingue parlate, a testimonianza di un’elevatissima diversificazione culturale del territorio, distribuita abbastanza uniformemente in tutto il Comune.

In termini di presenza l’area geografica più rappresentata è quella dell’Europa comunitaria (32%), in cui sono confluite anche la comunità rumena che è la più numerosa (41.997 individui, pari al 15,6% del totale, con un incremento del 31,5% rispetto al 2007) e quella polacca (13.448 persone residenti, pari al 5%). Se si considerano invece solo i cittadini stranieri dell’Unione Europea a 15 (che costituiscono il 9,4% dell’universo degli stranieri), le collettività più consistenti sono quelle dei francesi (5.638) e degli spagnoli (5.114).

L’Europa centro-orientale è rappresenta dall’8,3% dei residenti (principalmente Albania, Ucraina, ex Repubblica jugoslava di Macedonia e Moldova) che contano complessivamente circa 22.874 iscritti in anagrafe.I cittadini dei Paesi Ue di nuova adesione, anch’essi appartenenti prevalentemente all’area geografica dell’Europa centro orientale, rappresentano il 22,4% degli stranieri, con oltre 60 mila residenti.

Gli stranieri di cittadinanza africana sono più di 40 mila (in termini relativi il 14,9% del totale, con un incremento del 5,8% rispetto all’anno precedente); di questi i cittadini egiziani rappresentano la collettività più numerosa (il 23,8% dell’intero continente africano e il 3,6% degli stranieri residenti in Italia), ma anche i cittadini del Marocco e dell’Etiopia sono ben rappresentati (4.075 residenti per i primi e 3.579 per i secondi), seguiti dai cittadini nigeriani (2.897 unità).

Roma presenta anche comunità di origine asiatica: gli stranieri provenienti da questo continente sono 75.782 (28,1%) e, tra questi, i cittadini filippini, insieme a quelli cinesi e a quelli del Bangladesh, costituiscono oltre la metà della popolazione asiatica residente nella città (il 65,6%).

I cittadini americani, invece, costituiscono il 13,9% dell’universo di riferimento. In particolare, i sudamericani sono i più rappresentati con il 56% del continente e, tra questi ultimi, la comunità più numerosa risulta essere quella peruviana (11.013 persone), seguita dalla collettività ecuadoriana e da quella brasiliana (rispettivamente con 6.466 e 3.627 persone). Per l’America settentrionale, invece, i cittadini statunitensi rappresentano il gruppo stranieri più consistente (4.957 individui contro 66 canadesi).

La distribuzione degli stranieri per classi di età mostra che oltre la metà dei residenti (55,6%) ha un’età inferiore ai 40 anni. Scendendo più nel dettaglio, si può osservare che il 15,2% degli stranieri è minorenne e il 7,3% ultrasessantaquatrenne, mentre si registra una significativa percentuale di persone con un’età compresa tra i 20 e i 39 e tra i 40 e i 64 anni (rispettivamente il 39% e il 37,1%). La maggior parte degli stranieri presenti è dunque in piena età da lavoro.

La struttura per stato civile evidenzia che gran parte dei cittadini stranieri residenti sono celibi o nubili (56,4%) e coniugati (39,7%), mentre la restante quota si distribuisce tra i divorziati (2,4%) e i vedovi (1,6%). Il 18% di tutti i matrimoni celebrati a Roma hanno almeno uno sposo straniero.

La ripartizione degli stranieri sul territorio mostra per il 2008 la concentrazione in tre aree, l’una centrale e le altre alla periferia della città: si tratta dei Municipi I e XX, luoghi storici di insediamento, ai quali si aggiunge l’VIII. Tali Municipi, rispettivamente con 31.457, 21.988 e 21.240 persone non italiane, accolgono oltre un quarto degli stranieri residenti a Roma (rispettivamente l’11,7%, l’8,2% e il 7,9%).

Oltre alle due aree di maggior concentrazione, i cittadini stranieri residenti a Roma vivono principalmente nei Municipi II, XIII, XVIII e XIX. L’insediamento della popolazione straniera raggiunge il minimo nel III e nel XVII Municipio, che sono anche i meno estesi territorialmente.

La presenza elevata di stranieri nel centro storico di Roma è dovuta anche alla presenza di associazioni di volontariato che permettono a una quota di essi di fissare la residenza presso le proprie sedi.

La popolazione straniera nel suo processo di stabilizzazione tende a divenire parte strutturalmente significativa della cittadinanza. I dati ci parlano di un’immigrazione romana che si sta territorializzando, è una popolazione, cioè, che aumenta il proprio tasso di residenzialità e la lega sempre di più, sia come vita privata che come attività, al territorio in cui vive e lavora.

 

Grafico 12 Popolazione iscritta all’anagrafe per Municipio e % stranieri (2008)

D.5 Le previsioni demografiche

In futuro, oltre che dalla numerosità della popolazione e dalla sua distribuzione territoriale, la domanda di diversi servizi nel territorio comunale sarà fortemente condizionata dal peso che verrà assunto dalle fasce di popolazione in età prescolare e scolare, in età lavorativa e in età postlavorativa. Le strutture prescolastiche e scolastiche, i sistemi di assistenza sociale e sanitaria per gli anziani e di sostegno alle famiglie, i servizi necessari per far fronte alla crescita numerica dei residenti in stato di disabilità o di non autosufficienza nelle classi di età molto avanzata, possono essere più adeguatamente programmati in base alle grandezze e alle caratteristiche dell’utenza potenziale prevista nel prossimo futuro.

Per questo si è ritenuto utile, ai fini della pianificazione dei servizi sociali, presentare in questa sede i risultati di un programma di ricerche sul tema “Previsioni demografiche per Roma” svolto dal Centro di ricerca su Roma dell’Università La Sapienza, in collaborazione con l’Ufficio di Statistica e Censimento del Comune di Roma.

La ricerca

Un attento controllo condotto in questa occasione ha consentito di evidenziare la presenza in anagrafe di un consistente numero di soggetti non raggiunti dalla rilevazione censuaria della popolazione di Roma effettuata nel 2001. Un’accurata ricerca della sopravvivenza in termini amministrativi di tali soggetti ha confermato l’ipotesi di un sovradimensionamento della popolazione anagrafica nella misura di circa centomila individui. Tale entità demografica è stata analizzata allo scopo di correggere, ai soli fini della ricerca, lo stock di individui da assumere come base di partenza delle previsioni. I controlli incrociati hanno suggerito di prendere le mosse della previsione dall’anno 2005 per il quale si è pertanto assunta in partenza la popolazione anagrafica stimata nella sua suddivisione per sesso, età, cittadinanza, municipio di domicilio. Su tale base si è quindi proceduto ad elaborare le previsioni demografiche per Municipio e per l’intero comune.

Le previsioni della popolazione residente al 2020 sono state sviluppate sulla base di sei scenari derivanti dalla combinazione di un ventaglio di ipotesi adottate sui principali fenomeni che contribuiscono alla dinamica della popolazione: fecondità, mortalità, emigrazioni, immigrazioni, cambiamenti di domicilio. Per economia di spazio ci si limita qui a presentare i risultati per due soli scenari (alto e basso), valori estremi delle previsioni.

Gli scenari presentano le medesime ipotesi su mortalità (graduale allungamento della vita), emigrazione (stabilità dei tassi di emigrazione) e cambiamenti di domicilio (stabilità dei tassi di interscambio tra municipi). Si sono invece ipotizzate differenti evoluzioni della fecondità e delle immigrazioni. Lo scenario “alto” prevede una graduale crescita della fecondità e il mantenimento dell’ammontare delle immigrazioni fatte registrare nell’ultimo quinquennio. Lo scenario “basso” ipotizza la costanza dei tassi di fecondità[22] e un ridimensionamento delle iscrizioni anagrafiche da altri comuni e dall’estero.

Al riguardo, sulla base delle dinamiche osservate tra il 2000 e il 2006 è emersa una tendenza alla contrazione della fecondità delle straniere (intorno a 2,2 figli per donna al 2006) e ad una sostanziale stabilità di quella delle italiane (1,2). Per entrambe le componenti l’età media alla maternità – intorno ai 29 anni nel caso delle straniere e a 32 per le italiane – risulta in lieve aumento, mentre l’età media alla maternità complessivamente intesa appare in leggera diminuzione a causa dell’ampliarsi della componente, quella straniera, caratterizzata da un indicatore più contenuto.

La popolazione

Gli scenari prospettano una popolazione romana al 2020 compresa tra 2.683mila e 2.774mila unità. Rispetto ai 2.720mila residenti del 2005, la forbice di variazione in termini assoluti si colloca tra +54mila e –37mila abitanti (Grafici 13 e 14).

 

Grafico 13 Popolazione residente a Roma secondo le due ipotesi previsionali (scenario alto e scenario basso). Anni 2005-2020

 

Grafico 14 Popolazione residente a Roma secondo le due ipotesi previsionali. Variazione in termini assoluti rispetto al 2005. Anni 2005-2020.

La struttura per sesso ed età della popolazione romana negli anni 2005 e 2020 è illustrata dalle piramidi delle età nei grafici 15 e 16[23]. Ad un quindicennio di distanza, oltre all’infoltirsi della popolazione anziana, è evidente lo slittamento verso l’alto delle classi di età centrali. Se nel 2005 le classi più numerose, sia per gli uomini che per le donne, erano la 35-39 e la 40-44, nel 2020 diventeranno la 45-49 e la 50-54. Il restringimento alla base della piramide del 2020 è preoccupante, perché indica che le nuove generazioni tendono ad essere meno numerose di quelle che le precedono. La recente ripresa delle nascite, favorita soprattutto dall’apporto dei cittadini stranieri, negli ultimi anni ha allargato la base della piramide, ma tale cambiamento non sarà duraturo. L’ingresso in età riproduttiva di una generazione poco numerosa di donne, quelle nate negli anni ottanta e novanta, condurrà ad un numero di nascite più contenuto anche in presenza di una crescita della loro fecondità, cioè di un numero medio di figli per donna più elevato.

 

Grafico 15 Popolazione di Roma al 2005. Struttura per sesso ed età.

Grafico 16 Popolazione di Roma al 2020. Struttura per sesso ed età. Scenario alto

 

Il futuro ammontare dei residenti romani appare poco sensibile ad eventuali cambiamenti nei modelli riproduttivi, mentre muterà in maniera sostanziale in relazione al volume delle immigrazioni. Qualora gli ingressi da un altro comune italiano o dall’estero si mantengano ai livelli osservati nell’ultimo quinquennio (54mila unità), la popolazione è destinata a crescere di oltre 50mila unità a fine periodo, come ipotizzato nello scenario “alto”. Se avrà luogo una contrazione delle immigrazioni ne conseguirà un calo dei residenti, tanto più intenso quanto maggiore sarà tale decremento. Una diminuzione delle immigrazioni ad una quota media di 48mila ingressi annui produrrà un calo di circa 40mila residenti nel 2020 (scenario “basso”).

L'invecchiamento

Prosegue il processo di invecchiamento della popolazione romana, sia in termini assoluti che relativi. L’aumento percentuale degli over 65 non si deve solo alla longevità della popolazione, ma anche alla contrazione delle generazioni più giovani, conseguenza del calo della natalità.

Osservando la struttura per età della popolazione romana attuale e quella prevista nel 2020 è evidente il verificarsi di due tipologie di invecchiamento: una nella sommità della "piramide"[24], dovuta ad una crescita di anziani di circa 60mila unità, concentrata tra gli over 80; l’altra appare alla base della piramide, ed è legata al ridimensionamento delle classi di età più giovani. A questi due tipi di invecchiamento demografico è possibile aggiungerne un altro, osservabile nelle età centrali, dovuto al rapido ridimensionamento del numero di donne in età riproduttiva (usualmente comprese tra i 15 e i 49 anni) che si verificherà nei prossimi anni. La riduzione delle residenti sarà particolarmente forte proprio in quelle età (tra i 25 e i 35 anni) che forniscono il contributo maggiore in termini di nascite. Ciò porterà inevitabilmente ad un numero di nascite inferiore rispetto ad oggi e ad un ulteriore incremento della percentuale di anziani.

L’indice di vecchiaia[25] che era appena superiore a 150 nel 2005, sarà compreso tra 181 e 193 nel 2020. L’ammontare della popolazione anziana è quindi sempre più vicino a raddoppiare quello dei giovani con meno di 15 anni. Lo scenario alto mostra una struttura di popolazione più giovane rispetto allo scenario basso, che essendo basato su immigrazioni decrescenti e fecondità stabile, produce una struttura demografica relativamente più invecchiata.

 

Grafico 17 Indice di vecchiaia secondo le due ipotesi previsionali. Anni 2005-2020

 

La distribuzione territoriale

Le previsioni al 2020 confermano le tendenze diffusive degli insediamenti già osservate nell’area negli ultimi decenni, con un centro cittadino che deve la sua vivacità demografica alla dinamica migratoria, una città consolidata che continua a perdere residenti e una periferia anulare sempre più popolata. Entrambi gli scenari danno in crescita il Municipio 1, i Municipi esterni (8 e 13) e quelli che hanno un’ampia porzione di territorio esterna al Gra (Municipi 12 e 20). Le rimanenti aree perderanno residenti e in alcuni casi (Municipi 6 e 7) la diminuzione potrebbe essere particolarmente consistente, anche superiore al 10% della popolazione del 2008.

Lo scenario alto, che ipotizza una stabilizzazione delle immigrazioni su livelli elevati, prospetta un incremento anche dei residenti nei Municipi 2, 10 e 19. I Municipi 8 e 13 nel periodo 2005-20 faranno registrare una crescita di oltre 40mila residenti rispetto ad oggi. Si prevede un incremento più moderato per alcuni Municipi settentrionali (1, 2, 19 e 20) e meridionali (10 e 12). I Municipi 3, 11, 15, 16, 17 e 18 subiranno una lieve perdita di popolazione, mentre il decremento sarà più intenso per un’ampia fascia di aree che comprende i Municipi 4, 5, 6, 7 e 9. La popolazione dei due Municipi più esterni (8 e 13) crescerà di un quinto (+21%), mentre il decremento più forte sarà in alcuni Municipi semicentrali (3, 6, 7 e 17), che perderanno il 5-10% dei residenti.

 

Tabella 9 Variazione percentuale della popolazione residente nei Municipi per alcune fasce di età. Periodo 2005-2020 (ipotesi alta)

Municipio

Variazione percentuale per fascia di età (2005-2020)

Popolazione totale

Prescolastica (0-4)

Scolastica

(5-14)

Lavorativa (15-64)

Anziani

(65-79)

Grandi anziani (80+)

1

-5,5

-0,2

11,9

4,5

14,4

9,5

2

-12,6

1,7

2,2

1,3

10,8

2,1

3

-11,1

-5,8

-7,6

-2,2

8,3

-5,5

4

-11,8

3,1

-9,1

-0,7

55,1

-3,4

5

-18,0

-12,5

-13,3

10,6

99,5

-6,0

6

-14,7

-11,4

-11,6

-24,2

40,5

-10,9

7

-14,8

-10,7

-10,3

-11,6

54,0

-7,7

8

6,6

21,7

18,5

22,4

119,6

21,4

9

-14,6

-6,6

-7,5

-9,8

12,1

-6,6

10

-11,1

5,3

-1,8

-0,7

70,2

1,9

11

-15,0

1,9

-7,5

-5,5

28,6

-4,3

12

-20,7

-3,5

3,0

18,5

107,5

6,7

13

-4,4

20,9

16,2

30,9

128,0

21,1

15

-20,8

-1,4

-7,7

-9,1

91,0

-3,9

16

-20,3

-5,6

-6,0

-12,9

42,1

-4,8

17

-14,5

-4,6

-9,0

-6,3

16,8

-6,3

18

-15,5

2,8

-2,3

-6,9

58,1

-0,1

19

-14,5

0,2

0,8

-2,9

53,9

2,1

20

-6,3

3,4

5,6

3,6

69,0

7,2

ROMA

-11,7

1,9

-0,7

0,5

54,4

2,0

 

Con l’eccezione del Municipio 8, la popolazione prescolastica dovrebbe subire ovunque una flessione, in alcuni casi di dimensioni tali da ridurre di un quinto la domanda potenziale di posti nelle strutture pubbliche, come nel caso dei Municipi 5, 12, 15 e 16. Nel complesso del comune di Roma la diminuzione dei residenti tra 0 e 4 anni dovrebbe superare il 10 %. L’incremento degli over 80 sarà particolarmente forte nei Municipi più “giovani” (8, 12, 13), meno attraversati finora dal processo di invecchiamento. In queste aree la presenza dei grandi anziani è destinata a raddoppiare rispetto al 2005. La crescita nei Municipi più “anziani” della città (1, 2, 3, 9, 17) si prospetta meno intensa. Nel complesso gli over 80 dovrebbero aumentare del 54%.

Il prossimo futuro demografico della Capitale, oltre che ad eventuali modificazioni nei comportamenti riproduttivi degli autoctoni che potranno avere effetti consistenti solo a lungo termine, sarà strettamente legato all’evoluzione dei flussi migratori. Il mantenimento degli attuali livelli nelle iscrizioni anagrafiche di immigrati può evitare la diminuzione della popolazione e attutire l’invecchiamento relativo, compensando parte del calo previsto nell’ammontare dei residenti in età lavorativa.


E. IL SISTEMA CITTADINO DEI SERVIZI SOCIALI

Per raggiungere gli obiettivi "di sistema" delineati all'inizio di questo documento, è necessario avere un quadro complessivo, anche se sintetico, dell'ampia gamma di servizi ed interventi promossi dal Comune di Roma, nell'ambito delle sue responsabilità istituzionali. In questo modo è possibile rendersi conto dell'ampiezza dell'oggetto del Piano Regolatore Sociale e della sua complessità organizzativa.

Dal punto di vista territoriale, caso praticamente unico in Italia, il sistema dei servizi sociali è articolato in almeno tre livelli:

·      a livello di singolo Municipio sono collocati tutti i servizi e gli interventi sociali di base;

·      a livello di "quadrante" (5 territori, coincidenti con quelli di competenza di ciascuna ASL) sono presenti alcuni ambiti di programmazione e monitoraggio di interventi specialistici (ad es. le UIM, per l'area minori);

·      a livello cittadino (dipartimentale) vengono gestiti gli interventi e i servizi che per dimensione o per altre ragioni non possono essere decentrati e sono collocate le azioni regolative e di supporto tecnico che devono assicurare funzionalità e coerenza all'intero sistema cittadino.

Nelle pagine seguenti si presenta un'ampia descrizione, anche se certamente non esaustiva, dei principali interventi sociali che si sono stratificati nel tempo sul territorio romano. Nello stesso tempo, vengono presentate alcune analisi e proposte che potranno servire come base per il confronto e la messa a punto. Si tratta dunque della sezione centrale, il "cuore" del nuovo Piano.

La sezione è articolata per tipologia di destinatari dei servizi[26]:

1.    Servizi multiutenza di carattere generale

2.    Servizi e interventi per il contrasto della povertà e dell'esclusione sociale

3.    Servizi e interventi per le persone sottoposte a misure giudiziarie

4.    Servizi e interventi per i migranti, richiedenti asilo e rifugiati

5.    Servizi per la salute e per le persone con disabilità e disagio psichico

6.    Servizi e interventi per le famiglie

7.    Servizi e interventi per le persone in età evolutiva

8.    Servizi e interventi per le persone anziane

I capitoli relativi agli interventi per le popolazioni Rom e ai servizi e interventi per la prevenzione e il contrasto delle dipendenze patologiche sono presentati in allegato (allegate 1 e 2), in ragione della loro specificità e del fatto che i relativi ambiti di competenza fanno capo ad Istituzioni ed Agenzie specifiche (rispettivamente il Commissario straordinario del Governo per l'emergenza Rom e l'Agenzia Comunale per le Tossicodipendenze),

L'articolazione proposta, che ha evidenti finalità espositive, non va interpretata accentuando la distinzione e la separatezza tra le diverse aree, come se fossero "mondi" autonomi. Diversi temi e gruppi target rimandano infatti a settori diversi. Gli esempi sono facilmente osservabili: i minori stranieri non accompagnati "interessano" sia in quanto minori, sia in quanto stranieri; gli anziani a basso reddito rientrano in due gruppi target (anziani e poveri), la stessa cosa può dirsi per i Rom sottoposti a misure giudiziarie, oppure per le persone senza fissa dimora con problemi di tossicodipendenza, e così via. D'altronde la "multi-problematicità" è una costante ben conosciuta dagli operatori sociali.

Era comunque necessario, per approfondire adeguatamente le diverse aree, operare delle distinzioni, che favorissero l'analisi e la proposta. È quanto si tenterà di fare nelle pagine seguenti.

E.1 Servizi multiutenza di carattere generale

In questo capitolo sono brevemente descritti i servizi sociali di carattere generale, rivolti all'intera cittadinanza. Si tratta dei servizi informativi e di orientamento; della presa in carico e dell'accompagnamento assistenziale; dei servizi di tutela pubblica e di quelli per l'emergenza sociale.

E.1.1. Servizi informativi e di orientamento

In ogni Municipio, coerentemente con quanto previsto dalla legge 328 (art. 22) e dal primo Piano Regolatore Sociale, è presente un Segretariato sociale. Lo scopo del servizio è informare e orientare tutti gli abitanti del Municipio sui servizi socio-assistenziali e socio-sanitari presenti nel territorio, favorendo l'accesso alle prestazioni a cui hanno diritto. Normalmente le attività si svolgono in locali del Municipio opportunamente predisposti per accogliere le persone in condizioni che garantiscano la tutela della riservatezza. In alcuni casi, per ragioni di necessità o di opportunità, il servizio è collocato in sedi diverse.

Gli operatori del servizio sono in genere assistenti sociali, personale amministrativo opportunamente formato, operatori di sportello con varie professionalità. Nello svolgimento del loro lavoro, gli operatori si raccordano con i servizi sanitari e altri servizi municipali e del territorio.

Ogni Municipio ha adottato proprie modalità organizzative. Nella maggior parte dei casi la gestione è diretta (in house), in altri è affidata in convenzione a organismi del Terzo settore. Gli orari d’apertura sono prestabiliti e comprendono normalmente alcune mattine e almeno un pomeriggio. L’accesso al servizio, diretto e/o telefonico durante gli orari d’apertura, non richiede appuntamento o particolari procedure.

In linea di massima, il Segretariato sociale svolge le seguenti attività:

ü     raccoglie e aggiorna le informazioni di carattere sociale utili al cittadino;

ü     informa e orienta i cittadini sul ventaglio delle opportunità disponibili nel territorio, sulla base delle specifiche richieste e dei bisogni espressi;

ü     accompagna gli utenti nel percorso di accesso ai servizi, fino all'eventuale “presa in carico”;

ü     raccoglie dati sulla domanda espressa dagli utenti e sulle risposte attivate;

ü     attiva e coordina le reti sociali del territorio.

A partire dal 2004, l'azione dei Segretariati sociali è stata integrata dalle "Porte sociali", rete di sportelli attivata in diversi territori attraverso Protocolli di sperimentazione. Nella realizzazione delle Porte sociali partecipano, oltre al Dipartimento per la Promozione dei servizi sociali e della salute e i Segretariati sociali dei Municipi (i quali a loro volta coordinano la "microrete" a livello locale), diversi organismi, come l'IPAB ISMA (partner del Comune di Roma e co-finanziatore del progetto), la Caritas Diocesana di Roma, la "Rete Penelope" promossa dall'associazione "Città Visibile Onlus", i Patronati ACLI, INCA, INAC, ITAL e INAS, la ASL RM D, l'Ordine degli Psicologi, gli Ospedali "Bambino Gesù" e Policlinico "Gemelli", gli Sportelli-Famiglia dell'associazione “ La Mela Blu”, l'associazione "Il Raggio Verde", la "Casa del Volontariato".

Per rispondere alle richieste dei cittadini che accedono agli sportelli decentrati, le "Porte sociali" utilizzano un banca dati cittadina che contiene informazioni sulle strutture e i servizi sociali presenti sul territorio. La "scheda sociale", prevista inizialmente per la registrazione delle domande e delle richieste dei cittadini non è ancora stata implementata, in quanto si è ritenuto opportuno utilizzare la "cartella sociale"[27].

E.1.2. Servizi per la presa in carico e l'accompagnamento assistenziale

Il Servizio sociale professionale[28], presente in ogni Municipio, ha lo scopo di accogliere e sostenere le persone e le famiglie che vivono in condizione di disagio sociale. Costituisce lo “snodo” e la "regia" del sistema territoriale degli interventi e delle prestazioni sociali. Il Servizio valuta le domande e le problematiche sociali presenti sul territorio ed eventualmente “prende in carico” le persone e le famiglie che vivono in condizione di disagio sociale, predisponendo interventi personalizzati. Nel breve periodo, il servizio è finalizzato a identificare e contenere la situazione di rischio, mentre nel medio-lungo periodo si pone in un’ottica promozionale, volta al superamento delle cause del disagio e al miglioramento della qualità della vita.

Il Servizio è svolto principalmente da assistenti sociali e da istruttori amministrativi. In alcuni casi vi operano anche educatori e psicologi. Nello svolgimento delle proprie funzioni, gli operatori si avvalgono spesso della collaborazione di altri servizi territoriali, coordinandosi con i servizi sanitari, la Giustizia, la Scuola, gli organismi del Terzo settore e del volontariato.

In generale, realizza le seguenti azioni:

-       valutazione multidimensionale della domanda espressa e dello stato di bisogno effettivo;

-       consulenza alle famiglie e agli operatori di altre istituzioni;

-       "presa in carico" della persona ed eventualmente della sua famiglia;

-       elaborazione di progetti personalizzati di intervento;

-       adozione delle misure previste dalla normativa sociale (sostegno economico, assistenza domiciliare, inserimento in servizi semi-residenziali o in strutture residenziali, ecc.), in funzione delle necessità dell'utente;

-       accompagnamento durante tutto il percorso assistenziale;

-       sostegno per l'uscita dal circuito assistenziale, anche mediante l'attivazione di misure di reinserimento socio-lavorativo;

-       attività connesse alle richieste dell'autorità giudiziaria.

La raccolta standardizzata e informatizzata delle informazioni sugli utenti dei servizi sociali e sulle prestazioni loro erogate avviene attraverso la “Cartella Sociale". L'implementazione di questo strumento, promosso dalla Regione Lazio, è avvenuta finora in forma parziale e sperimentale. Nel 2010 è iniziata la fase di estensione dell’uso della Cartella sociale a tutti i servizi sociali del Comune (contestualmente all'estensione a tutti i Comuni del Lazio). In prospettiva, sarà utilizzata anche come "scheda utente" nelle "Porte Sociali".

Il servizio normalmente è attivo in tutti i giorni feriali. È aperto al pubblico secondo quanto previsto dal regolamento di apertura e chiusura di uffici e servizi del Comune di Roma, oppure dall’organizzazione del Municipio.

Ogni Servizio in questi anni ha assunto caratteristiche organizzative e funzionali proprie, che difficilmente possono essere rappresentate in modo standardizzato. Esistono generalmente tre diverse modalità di accesso al servizio: tramite il Segretariato sociale, attraverso richieste dirette della famiglia e/o del cittadino; su attivazione autonoma del servizio, in seguito a segnalazione dei cittadini e di altre istituzioni; su richiesta delle Autorità Giudiziarie.

E.1.3. Servizi di tutela pubblica

Il Codice Civile[29] prevede gli istituti giuridici dell’interdizione (legale e giudiziale), dell’inabilitazione e dell’Amministrazione di Sostegno. Nei casi di inabilitazione viene nominato un curatore, poiché non si ravvisa una totale capacità (quindi, con possibilità per l’inabilitato della gestione “ordinaria” dei propri beni e interessi), mentre nei casi di interdizione vi è invece la nomina di un "tutore", poiché è stata ravvisata una totale incapacità dell’interessato a gestire la propria vita e i propri interessi, sia ordinari che straordinari.

Per gli adulti "interdetti" e i minori nel cui ambito parentale non vi sono figure idonee a svolgere i compiti previsti dall’esercizio della tutela, questa generalmente viene affidata dalle Autorità Giudiziarie al Sindaco, il quale, a sua volta, delega l’Ufficio Tutela Pubblica, che designa di volta in volta un dipendente comunale (di categoria “C” o “D”) con particolari competenze, che abbia offerto disponibilità.

La gestione tutelare comporta interventi mirati alla cura della persona sotto l’aspetto psico-fisico, socio-assistenziale, scolastico ed educativo, nonché all’amministrazione dei suoi beni. La tutela pubblica, pur assicurando gli interventi previsti dalla legge, non può essere assimilata strettamente a quella esercitata in qualità di tutela privata che, viceversa, prevede la possibilità di un reale rapporto uno a uno tra esercente la tutela e tutelato.

Per quanto riguarda gli adulti, i servizi interessati sono prevalentemente i servizi di salute mentale preposti al progetto di cura dei soggetti e le strutture residenziali presso le quali sono inseriti. Più ampia è la funzione amministrativa, fiscale e patrimoniale, poiché il tutore gestisce il patrimonio dell’interdetto con tutti i relativi atti necessari di natura amministrativa e fiscale.

Non tutti i tutelati sono inseriti in strutture residenziali, alcuni continuano a vivere presso il proprio domicilio con l’aiuto di assistenti familiari o cooperative di assistenza domiciliare attivate dai servizi sociali municipali.

Gli operatori delegati dell’Ufficio svolgono anche le funzioni di Amministratore di Sostegno per beneficiari per i quali il Giudice Tutelare ritiene opportuno provvedimenti di nomina al Sindaco. Esiste, infatti, un nuovo istituto giuridico, introdotto nell’ordinamento dall’art. 3 della Legge 6/2004, che si propone di offrire a chi si trovi nell’impossibilità di provvedere ai propri interessi, uno strumento flessibile di assistenza e agile nella procedura applicativa.

Il Comune di Roma dal 2005 ha adottato misure per favorire l’applicazione di tale istituto al fine di sostenere le persone fragili per le quali si ritenga necessaria la nomina di un amministratore di sostegno. A tal fine ha sviluppato un programma sperimentale per l’individuazione e la formazione di volontari disponibili a ricoprire l’incarico di amministratore di sostegno. A tal fine è stato istituito “il Registro degli Amministratori di Sostegno Volontari del Comune di Roma” (Determinazione Dirigenziale n. 3251/09), è stato elaborato un protocollo d’intesa con i Giudici Tutelari del Tribunale di Roma per definire le procedure di assegnazione dei volontari alle funzioni di Amministratore di Sostegno ed è stato implementato un ufficio di supporto tecnico.

L’istituzione del Registro, la sua organizzazione, il monitoraggio e il coordinamento di tutte le attività correlate sono curate dall'Ufficio Tutela Pubblica, U. O. Minori e Famiglie del Dipartimento Promozione dei servizi sociali e della salute, che sta anche predisponendo le Linee Guida per la gestione del Registro (requisiti di accesso per l’iscrizione, mantenimento ed eventuale cancellazione dei volontari, ecc.).

E.1.4. Servizi per l'emergenza sociale

La Sala Operativa per l’emergenza Sociale (SOS) ha lo scopo di affrontare le emergenze di carattere sociale che si verificano sul territorio cittadino ed è finalizzata a intercettare il disagio, laddove si manifesta, attivando percorsi volti a dare una risposta efficace alle persone in difficoltà. Il servizio si rivolge a tutti i cittadini, istituzioni e servizi che intendono segnalare situazioni di emergenza sociale.

Il servizio ― primo in Italia ― è stato attivato in via sperimentale nel febbraio del 2002 ed è affidato a organismi del Terzo Settore in convenzione con il Comune di Roma. L’accesso avviene mediante contatto telefonico al Call Center della Sala Operativa Sociale, mediante il numero verde 800.440022, attivo tutti i giorni, 24 ore su 24. Non esistono requisiti formali per accedere al servizio, che è gratuito.

Il servizio dispone di un Front Office con un coordinatore di Sala e 14 operatori telefonici esperti con specifica formazione in counsellig (ascolto, filtro valutazione e invio), che attraverso una turnazione coprono le 5 postazioni telefoniche e un Back Office con un coordinatore di Servizio Sociale, 3 assistenti sociali e 6 Unità di Strada, di cui 5 diurne e una attiva nell’orario notturno.

Le principali attività realizzate dal servizio sono: decodifica e valutazione della richiesta telefonica; sostegno telefonico; orientamento e informazione; coordinamento delle attività legate a emergenze di carattere sociale; invio dell’unità di strada per verifica della situazione segnalata; inserimento in strutture d’accoglienza; attivazione dei servizi territoriali e della rete formale e informale; assistenza e collocamento di minori non accompagnati; gestione del Data-Base; presa in carico temporanea in attesa dell’attivazione dei Servizi Sociali e Sanitari preposti; prestazioni specifiche secondo le necessità: ricovero ospedaliero o presso altre strutture (per esempio case di cura, case famiglia per minori) e altre necessità.

In ogni situazione di emergenza segnalata alla Sala Operativa intervengono le Unità mobili, mediante sopralluoghi congiunti con il Nucleo Assistenza Emarginati (NAE) del Corpo di polizia urbana e, se necessario, con le forze dell’ordine. Esse svolgono un monitoraggio costante del territorio in relazione al disagio urbano estremo e, oltre a provvedere alla fornitura di beni di prima necessità nelle situazioni più estreme, acquisiscono elementi informativi utili ad impostare l’intervento e indirizzano l’utente ai servizi territoriali.

Mediante uno specifico data base, ogni situazione segnalata viene relazionata e registrata nel rispetto della privacy e delle norme di accesso ai documenti. Il sistema informativo della Sala Operativa rappresenta uno strumento utile per seguire gli utenti nel tempo e per programmare interventi personalizzati. In occasione di particolari periodi dell'anno, un ulteriore programma informatico collegato ai centri di accoglienza consente di conoscere in tempo reale la disponibilità dei posti e di accogliere tempestivamente le persone in stato di bisogno.

 

Tab. 10 Attività della Sala Operativa Sociale (anni 2006-07-08)

anno

n. utenti registrati

n. telefonate ricevute

n. contatti attivati nella rete dei servizi, per interventi sugli utenti

n. interventi diretti su utenti

2006

13.465

86.108

97.750

19.950

2007

12.578

91.785

100.000

19.398

2008

11.489

103.000

92.560

18.328

 

E.1.5. Spunti operativi

Al fine di migliorare i servizi di carattere generale, illustrati sinteticamente nelle pagine precedenti, nell'ambito del Piano Regolatore Sociale, sulla base delle indicazioni che emergeranno dal confronto cittadino e nel rispetto delle Linee di indirizzo del Consiglio comunale, potrebbero essere adottate le seguenti misure:

a)    Coordinamento e messa in rete dei Segretariati sociali[30]

Nell'ambito del progetto "Porte sociali", sarà rafforzato il lavoro in rete dei Segretariati sociali municipali, attraverso un confronto sistematico dei modelli organizzativi e funzionali adottati, la condivisione della strumentazione adottata, lo scambio di buone prassi, l'organizzazione di momenti formativi, il collegamento con la rete degli sportelli attivi sul territorio (ad es. sportelli EDA, Informagiovani, Punti famiglia, Sportelli H, Sportelli per immigrati, ecc.).

b)    Definizione di un modello organizzativo cittadino di Servizio sociale

In assenza di un modello organizzativo definito centralmente, ciascun Municipio in questi anni ha assunto un proprio modello per il funzionamento del Servizio sociale (personale, funzioni, tempi, etc.). Il "Servizio sociale" viene spesso immedesimato nella figura dell’“assistente sociale”. Tale equivoco è primaria causa di distorsione di energie e competenze e rende possibile anche illegittime “esternalizzazione” di funzioni istituzionali, conseguenza dell’accentramento delle complesse funzioni del servizio in un’unica figura professionale.

La costruzione di un modello organizzativo non può prescindere dall'individuazione delle tipologie delle figure professionali necessarie; dalla classificazione delle funzioni proprie, inalienabili e non esternalizzabili, rispetto a quelle opportunamente delegabili; dall'individuazione del modello di riferimento (criterio di suddivisione territoriale, piuttosto che per area di utenza, piuttosto che per funzioni, etc.) e dalla definizione dei livelli di responsabilità e di relativo coordinamento. A tal fine, sarà predisposto uno "Schema di riferimento per un modello organizzativo di servizio sociale", con il contributo di tutte le parti interessate, tenendo conto delle innovazioni che saranno adottate nell'ambito dell'istituzione di "Roma capitale", ai sensi della legge 42/2009.

c)    Decentramento delle funzioni di Tutela pubblica.

Una delle criticità rilevate in questo settore riguarda l'organizzazione del servizio: la maggior parte dei casi relativi a persone adulte sono infatti impropriamente attribuite all’Ufficio Tutela della U. O. Minori del Dipartimento. La necessità di coinvolgere le risorse territoriali indicherebbero che questa competenza dovrebbe essere decentrata ai servizi municipali, almeno per i gruppi target già seguiti da questi. In sub-ordine, le funzioni di tutela pubblica per i minori potrebbero essere gestite dalle UIM[31], anche per un raccordo più intenso con i servizi sanitari.

Particolare rilevanza assume, per il settore degli interdetti, un rapporto strutturato con i Servizi di Salute Mentale dei Distretti e i Servizi Disabili Adulti delle ASL. Attualmente, i rapporti sono improntati a collaborazioni personali, non sanciti da atti formali tra istituzioni.

Il decentramento del Servizio favorirebbe inoltre la collaborazione con altri servizi municipali, in modo da fornire supporto e snellezza nell’iter burocratico in alcune situazioni (soprattutto uffici anagrafici, atti notori, carte d’identità, gestioni e manutenzioni immobili case popolari ecc.).

In questa ipotesi, l'Ufficio Tutele del Dipartimento continuerebbe a seguire le persone in carico ai servizi centrali e a svolgere azioni di coordinamento e assistenza tecnica ai servizi municipali, assicurando l'uniformità delle procedure in tutto il territorio comunale.

d)    Istituzione di Registri municipali degli amministratori di sostegno.

Le persone che hanno bisogno di questa figura di supporto nella maggior parte dei casi sono conosciute e seguite dai servizi sociali e sanitari del territorio. Emerge dunque con sempre maggiore evidenza la necessità di collegare l'azione di ricerca, formazione e affiancamento dei volontari disponibili a svolgere la funzione di amministratore di sostegno con i servizi municipali.

e)    Altre misure

ü     Implementazione dello Sportello unico di accesso (PUA) in tutti i Municipi, in collaborazione con i servizi sanitari;

ü     Adozione sistematica della "Cartella sociale" in tutti i Servizi;

ü     Elaborazione di Guide ai servizi e agli interventi sociali (a livello cittadino e municipale);

ü     Sperimentazione di percorsi per l'identificazione di volontari che si rendono disponibili ad assumere l'incarico di tutore per persone minori di età, su mandato dell'autorità giudiziaria.

E.2 Servizi e interventi per il contrasto della povertà e dell'esclusione sociale[32]

Negli anni, alla povertà economica e alle forme "tradizionali" di disagio, si sono aggiunte "nuove povertà" e nuove fragilità sociali, come le madri sole con uno o più figli, le vittime di tratta o soggette a violenza intra ed extra familiare, i padri separati, le nuove dipendenze, il depauperamento delle relazioni familiari, le depressioni, i disturbi alimentari, l’indebitamento e il ricorso conseguente all’usura, la vulnerabilità sociale nel lavoro precario, l’espulsione dal mercato del lavoro degli ultraquarantenni.

Non è possibile, in questa sede, presentare un'analisi dettagliata e approfondita sui fenomeni della povertà, delle fragilità e dell'esclusione sociale a Roma, che richiederebbe ben altro spazio. Al riguardo, si rileva come siano però ancora insufficienti le conoscenze su questi aspetti, che fanno riferimento a ricerche occasionali e parziali. Per tale motivo, nell'ambito del Sistema Informativo Sociale (cfr. più avanti), in collaborazione con Enti di ricerca specializzati, saranno promosse indagini specifiche su queste tematiche, necessarie per una corretta rilevazione dei bisogni sociali della popolazione.

Nelle pagine seguenti, si presenteranno comunque alcuni "spaccati" sulla povertà economica, sul disagio abitativo, sulla violenza e sulle discriminazioni esercitate in particolare su alcuni gruppi, sull'esclusione sociale delle persone senza fissa dimora. Ulteriori analisi su altri gruppi a rischio di esclusione sociale (come le popolazioni Rom, le persone sottoposte a misure dell'Autorità giudiziaria, i minori stranieri non accompagnati, ecc.) saranno svolte nei capitoli successivi.

E.2.1 La povertà e il disagio abitativo[33]

La povertà nei nostri sistemi avanzati non è più solo una povertà di risorse, ma anche una povertà di "capacità". Oggi si può diventare poveri anche se si parte da una posizione di relativo benessere, poiché si perdono le capacità lavorative, relazionali e di intraprendenza.

Povertà e fragilità economica

Secondo l’Istat l’incidenza della povertà relativa nel 2009 è stata pari al 10,8% (era 11,3% nel 2008), mentre quella della povertà assoluta risulta del 4,7%. Il miglioramento, secondo il X Rapporto su povertà ed esclusione in Italia, pubblicato nel settembre 20101 dalla Fondazione Zancan e da Caritas Italiana, sarebbe solo apparente, dovuto all'abbassamento della linea della povertà relativa (da 999,67 euro del 2008 a 983,01 euro del 2009 per due persone). Aggiornando invece la linea di povertà del 2008 sulla base della variazione dei prezzi tra il 2008 e il 2009, il valore di riferimento salirebbe a 1.007,67 euro. Con questo ricalcolo, circa 223mila famiglie "ridiventano povere" (relativamente). Il risultato è che, secondo la Fondazione Zancan e la Caritas Italiana, sarebbero 8 milioni e 370 mila i poveri nel 2009 (+3,7%).

La povertà si conferma un fenomeno che riguarda soprattutto il Mezzogiorno, le famiglie numerose (se in famiglia c’è un solo figlio minore l’incidenza della povertà relativa sale dal 10,8%, che è il dato medio, al 12,1%, mentre se ci sono tre o più figli l’incidenza è del 26,1%), quelle monogenitoriali e coloro che hanno bassi livelli di istruzione. Sempre più famiglie, in cui uno o più membri lavorano, sono povere.

Accanto ai "poveri", vi sono gli "impoveriti", che vivono in una situazione di forte fragilità economica. Persone che hanno modificato, in modo anche sostanziale, il proprio tenore di vita, privandosi di una serie di beni e di servizi. Il fenomeno è confermato anche da alcuni dati: nel 2009 il credito al consumo è sceso dell’11%, i prestiti personali hanno registrato un -13% e la cessione del quinto a settembre 2009 ha raggiunto il +8%. Facendo una media di questi indicatori, si può calcolare un 10% in più di poveri, da sommare agli oltre 8 milioni stimati. Nella vita di tutti i giorni la crisi si traduce in difficoltà a pagare la spesa, il mutuo, le cambiali (+14% nel 2009).

Nella Capitale sarebbero circa 170 mila - su 1.163.000 - le famiglie che vivono una situazione di povertà economica. Si tratta di oltre 400.000 persone, quasi il 15% dei residenti. Le famiglie più fragili risultano quelle con un solo genitore e quelle composte da una sola persona, il più delle volte anziana. Secondo le più recenti ricerche, tra i primi fattori di rischio di povertà delle famiglie ci sono l’elevato numero di componenti; la presenza di figli, soprattutto minori (avere tre figli da crescere significa un rischio di povertà pari al 27,8%); la presenza di anziani non autosufficienti; il basso livello di istruzione; la ridotta offerta di opportunità di lavoro; i costi onerosi, in taluni casi insostenibili, del mercato immobiliare.

Aumentano anche le famiglie border line. Si tratta non di famiglie povere in senso stretto ma di nuclei le cui risorse finanziarie sono appena sopra la linea della povertà, ossia la superano per una somma esigua che va da 10 a 50 Euro al mese. L’Istat calcola che queste famiglie “a rischio di povertà” nel Lazio siano oltre 900.000: esse arrivano con difficoltà alla fine del mese, e sono costrette spesso a indebitarsi e a ricorrere ad interventi assistenziali, nonostante abbiano un lavoro e un reddito (è il fenomeno descritto dagli studiosi come “working poor”).

Non solo, ma molte famiglie hanno problemi di consumo e debiti da estinguere. Le ragioni sono variegate: dalla perdita del lavoro alla malattia, dalle spese per cerimonie familiari al gioco, alla maldestra amministrazione del budget familiare, all'accensione di mutui per comprare casa o finanziamenti per ristrutturazione. Secondo la Commissione nazionale di Indagine sulla povertà, nella provincia di Roma l'indebitamento familiare medio arriva a 21.148 Euro annuo.

Altri dati completano il quadro. Nel Lazio, secondo l’Istat, il 9,7% delle famiglie è in ritardo col pagamento delle bollette, l'8,5% non può permettersi di riscaldare la propria casa, il 5% delle famiglie non riesce a comprare prodotti alimentari, il 10,6% le medicine, il 16,7% i vestiti. In una recente indagine condotta sulla percezione soggettiva della povertà, il 6% delle famiglie romane ha risposto di tirare avanti «con molta difficoltà», e l'8,8 «con difficoltà».

Il fenomeno della fragilità economica a Roma, non ancora diventata povertà estrema, riguarda anche anziani con la pensione minima, giovani precari, uomini neo-divorziati, nuclei familiari con pignoramenti in atto, persone in cassa integrazione. Naturalmente la povertà è associata all’andamento del mercato del lavoro e quindi anche alla crisi economico-finanziaria globale di questi anni. A Roma, a dir il vero, la situazione occupazionale sembra meno preoccupante rispetto al contesto nazionale, anche in considerazione dell’incidenza dell’occupazione nel settore pubblico, meno esposto alle turbolenze dei mercati. In effetti, nel 2008 a Roma l'occupazione era cresciuta dell'1,3% rispetto al 2007, mentre il tasso di disoccupazione si attestava intorno al 7%, lo stesso livello del 2006[34]. Questi dati riflettono ancora la situazione anteriore alla crisi internazionale. Per una definizione più puntuale della condizione occupazionale della popolazione romana, sarà necessario aspettare i dati del 2009.

Secondo l'Istat, nel 2008, in Italia risultavano in condizione di povertà assoluta[35] quasi 3 milioni di persone, il 4,9% dell’intera popolazione. Applicando tale proporzione a Roma[36], si potrebbe dedurre che circa 114.000 persone non dispongano dei mezzi sufficienti per vivere dignitosamente. Le condizioni di tali persone sono caratterizzate da problematiche multifattoriali (redditi insufficienti, solitudine, malattia, dipendenze, ecc.) in un processo circolare di causa ed effetto.

Un elemento causale della povertà a Roma è legato al costo della casa, insostenibile per decine di migliaia di famiglie. Un dato evidente è l’esorbitante canone medio mensile di affitto che per un monolocale a Roma, supera gli 805 euro, con picchi che vanno da 1.085 euro nel Municipio Roma 1 a 630 nel Municipio Roma 8; nel caso di un bilocale il canone medio mensile cittadino è di 1.010 euro, con valori estremi pari a 1.410 a Roma 1 e 750 euro Roma 6 e Roma 8.

Secondo l’Upi Lazio-Eures (2009), nel biennio 2007-2008 a Roma i provvedimenti esecutivi di sfratto sono stati 7.574 sfratti, pari all'89,8% di tutti quelli del Lazio, con un aumento del 32,55% rispetto all'anno precedente, e tra questi ben 4.879 riguardavano motivi legati alla morosità dei locatari. Il dato romano è in linea con quello nazionale: il Ministero dell'Interno ha segnalato come le richieste di esecuzione in Italia siano aumentate, rispetto al 2007, del 171,62% e gli sfratti eseguiti con la forza pubblica siano aumentati del 18,07% rispetto al periodo precedente.

E.2.2 La violenza sulle donne

Un elemento di fragilità sociale vissuta e – in un certo senso – imposta, è quello collegato alla violenza esercitata in particolare sulle donne. Il fenomeno è purtroppo presente da sempre nella Città. Uno "spaccato" della situazione relativa alle situazioni di violenza e maltrattamenti delle donne può essere colto esaminando le attività del Centro Antiviolenza del Comune di Roma[37], gestito dall’Associazione "Differenza Donna".

Il Centro è stato aperto nel 1992. Da allora ha dato ascolto a più di 15.000 donne di età compresa tra i 16 e gli 80 anni, provenienti da tutti i Municipi di Roma, da Comuni della provincia e in alcune occasioni anche da altre Regioni. Nel solo 2008 le operatrici hanno incontrato più di 1.500 donne. Nella maggioranza dei casi la forma di violenza più confidata dalle donne alle operatrici è rappresentata da un prolungato maltrattamento all'interno della propria famiglia, ovvero l’insieme di violenza economica, psicologica, fisica e spesso sessuale esercitata in particolar modo da mariti, conviventi, compagni ed ex.

Uscire dalla situazione di violenza subita in famiglia è estremamente difficile, non solo per ragioni psicologiche e affettive: disoccupazione, difficoltà abitative e povertà economica in genere toccano da vicino la maggioranza delle donne, sole o con figli, che decidono di intraprendere questo percorso.

Il numero totale di donne accolte (ovvero sostenute attraverso percorsi seguiti dall’esterno e non in qualità di residenti ospiti): nel 2005 erano 446, nel 2006 398, nel 2007 612 e nel 2008 648. La tendenza all’aumento sembra confermata anche nel 2009, anno in cui agli inizi di novembre erano 572. L'incremento dei contatti riscontrato negli ultimi anni non è necessariamente collegato all'aumento aumento dei casi di violenza, ma può essere anche un segno di maggiore di consapevolezza da parte delle donne e della loro capacità di far emergere le situazioni in cui sono vittime di soprusi e violenze.

Relativamente alla provenienza, la maggior parte (tra il 60% e il 70%) sono donne italiane, anche se va aumentando la quota di donne straniere. Circa il 70% delle donne che si sono rivolte al Centro negli ultimi 4 anni aveva figli, dato da cui si può dedurre che anche centinaia di bambini siano vittime di violenza o perlomeno di violenza assistita. Nella larga maggioranza dei casi, infatti, l’autore della violenza è il marito, il compagno o il convivente della donna. Del resto, nello stesso periodo la tipologia di violenza subita più frequentemente dalle donne è costituita dai maltrattamenti (tra il 56% e 80% dei casi), segue poi la violenza psicologica (tra il 9% e il 17%) e la violenza fisica e sessuale (valore che oscilla negli anni tra il 4% e il 12%). In aumento sono le richieste di ospitalità[38] che purtroppo si scontra con le esigue risorse e gli spazi a disposizione.

E.2.3 L'esclusione sociale

Non esiste uno studio esaustivo sul numero delle persone senza fissa dimora. Il calcolo risulta complesso, anche a causa della natura stessa del fenomeno, in gran parte sommerso.

Dal Dossier Caritas su “Disagio e Povertà a Roma” pubblicato nel 2005 emergeva che il fenomeno dei “senza casa” riguardava circa 2.000 persone che vivevano in strada e fra i 3 ed i 4 mila coloro che vivevano in alloggi precari e di fortuna in auto, baracche, accampamenti. Prendendo ad esempio l'utenza dell'Ostello notturno gestito dall’organizzazione cattolica, generalmente chi vive in strada è soprattutto un uomo italiano o straniero, nella fascia di età 36-55, spesso con problemi di alcolismo o di disagio psichiatrico.

Text Box: Secondo l'Agenzia europea FEANTSA, il fenomeno delle persone denominate "senza fissa dimora" deve essere articolato in diverse tipologie:
a.	"Senza Tetto" (Roofless), persone che vivono in strada, in sistemazioni di fortuna o che ricorrono a dormitori o strutture di accoglienza notturna; 
b.	"Senza Casa" (Houseless), ospiti in dormitori o centri di accoglienza, per immigrati, richiedenti asilo, rifugiati; persone in attesa di essere dimesse da istituzioni; che ricevono interventi di sostegno di lunga durata in quanto " senza fissa dimora";
c.	"Persone in sistemazioni insicure" (Insecure), che vivono in sistemazioni non garantite, a rischio di perdita dell’alloggio e di di violenza domestica;
d.	"Persone in sistemazioni inadeguate" (Inade-quate), che vivono in strutture temporanee/non ri-spondenti agli standard abitativi comuni, in allog-gi impropri, in situazioni di estremo affollamento.
Dal rapporto ''I senza fissa dimora a Roma'' presentato insieme alle iniziative di sostegno per gli homeless della Capitale, promosse dall'Azienda Ospedaliera San Camillo-Forlanini e da Commercity, in collaborazione con le organizzazioni della Rete della Solidarietà e con la Comunità di Sant'Egidio, risulta in aumento anche il barbonismo giovanile: si è abbassata infatti l'età media tra gli italiani e anche tra gli stranieri senza casa.

Secondo il Dossier Caritas “Disagio e Povertà a Roma”, nel 2005 circa 4.000 persone vivevano in alloggi di fortuna, mentre 2.000 persone vivevano strada.

Il Focus Help Center attivo presso la stazione Termini ha svolto recentemente una ricerca sulle 2.746 persone prese in carico nel 2009. Secondo tale studio, le persone accolte dichiarano di vivere:

·      1.450 in strada o in stazione (53%);

·      605 presso amici, conoscenti o dimore stabili (22%);

·      490 in centri di accoglienza (18%);

·      200 in case occupate (7%).

Confrontando questi dati con quelli segnalati sopra, si possono avanzare due ipotesi: o più del 70% delle persone senza fissa dimora passa per l'Help Center della stazione Termini, oppure - ed è probabilmente più rispondente alla realtà - il numero complessivo delle persone senza fissa dimora a Roma è maggiore di quanto ipotizzato finora.

Un fenomeno che solo recentemente è stato segnalato dai servizi sociali è quello del "barbonismo domestico". Si tratta di situazioni, in particolare di anziani o di persone affette da patologia psichiatrica. I casi, segnalati per lo più da vicini di casa, parlano di persone in condizioni che vivono isolate, che hanno tralasciato la pulizia dell’appartamento, utilizzato come rifugio e come magazzino per ogni genere di materiale recuperato in strada. Le condizioni igieniche risultano indescrivibili, con risvolti di pericolosità in caso di presenza di macchine per il gas. Particolare gravità è data dalla presenza di animali in casa.

Resta infine da segnalare una nota di carattere metodologico, e cioè se sia da considerarsi "persone senza fissa dimora" anche i Rom che vivono nei campi attrezzati del Comune di Roma. È da notare infatti che ad essi viene negata l’idoneità alloggiativa che, ai sensi della normativa vigente, permetterebbe ai Rom stranieri di ottenere il ricongiungimento familiare. Se si considera questo dato, il numero delle persone senza fissa dimora a Roma salirebbe perlomeno a 11.000.

E.2.4 Gli interventi per il contrasto della povertà e del disagio sociale

Non possiamo riportare qui l’intero sistema di servizi e interventi finalizzato ad ridurre l’impatto della povertà, del disagio e dell'esclusione sociale, anche perché, in questo settore in particolare, sono evidenti gli intrecci con le diverse aree del welfare. Per fare due soli esempi, interventi di inclusione sociale di persone con disabilità mediante un'efficace azione di inserimento lavorativo possono infatti contribuire al sostegno al reddito di una famiglia, rendendo innecessaria l'erogazione di un contributo per la casa, così come un contributo economico per l'affitto può prevenire l'aggravarsi di situazioni di fragilità sociale, che potrebbero sfociare in situazioni di vera e propria esclusione sociale.

Gli interventi municipali[39]

Come per altri settori delle politiche sociali, i Municipi romani hanno competenze rispetto a tutti i cittadini residenti, e anche i senza dimora stabilmente dimoranti nel territorio o iscritti nell’anagrafe locale (presso l’indirizzo virtuale “Via Modesta Valenti”). In particolare, promuovono e gestiscono i seguenti servizi, direttamente o affidandoli ad organismi del Terzo Settore:

·      Sostegno economico,

·      Orientamento e sostegno all’inserimento lavorativo,

·      Centri diurni ed educativa territoriale,

·      Assistenza domiciliare,

·      Accoglienza in strutture residenziali,

·      Servizi di accoglienza in strutture emergenziali,

·      Assistenza alimentare: pasti autorizzati presso mense sociali.

La tabella seguente riporta alcune informazioni relative all’offerta di servizi sociali municipali e ai beneficiari degli stessi. È impossibile però, allo stato attuale, indicare il numero delle persone assistite, in quanto sono frequenti le sovrapposizioni di prestazioni (ad esempio, ad uno stesso soggetto può essere erogato un contributo economico e l'assistenza alloggiativa).

Tab. 11 Dati sui servizi sociali municipali e sull’utenza (2008)[40]

Adulti assistiti con sussidi

Nuclei Mamma-bambino assistiti

Malati Aids assistiti con sussidi

Contributi per ass. alloggiativa

Notti autorizzate ass. alloggiativa

Pasti au­torizzati

3.274

73

1.075

688

205.016

827.347

 

Gli interventi dipartimentali

Il Dipartimento "Promozione dei servizi sociali e della salute" interviene centralmente per le persone che non hanno un riferimento territoriale (ad esempio i minori stranieri non accompagnati) e con alcuni servizi che prevedono un’organizzazione a livello cittadino (come quelli che riguardano l’emergenza sociale). In particolare, oltre ai servizi generali e per l'emergenza sociale, il Dipartimento promuove e gestisce i seguenti interventi:

ü    Azioni di promozione e prevenzione,

ü    Accoglienza di minori stranieri non accompagnati,

ü    Centri di pronta accoglienza dei minori 0-6 anni,

ü    Centri di pronta accoglienza per preadolescenti e adolescenti,

ü    Accoglienza in strutture residenziali per nuclei genitore-figlio,

ü    Assistenza domiciliare ai malati di AIDS,

ü    Centri antiviolenza.

 

Tab. 12 Dati sui Centri di accoglienza residenziale, per persone adulte (2009)

Centro

Gestore

Tipologia utenza

Capienza

Livello

San Camillo-Forlanini Piazza C. Forlanini, 1 (XVI Mun.)

Coop. Eriches 29

Adulti singoli, italiani, stranieri, apolidi, residenti e non residenti, in grave condizione di disagio economico e sociale

20

I

Via Santa Maria di Loreto, 35 (VIII Mun.)

Coop. Eriches 29

60

I

“Madre Teresa di Calcutta”, Via Assisi, 39 (IX Mun.)

Coop. Il Cigno

80+10 (emer­genza freddo)

I

Ostello Via Marsala 109 (I Mun)

C.R.S.

Coop. Roma

Solidarietà

247

I

“Casa Giacinta” Via Casilina Vecchia 15 (IX Mun.)

Ostello Lungomare P. Toscanelli, 176 (XIII Mun.)

52

I

Via della Cisterna, 8 (I Mun.)

S. Egidio ACAP

Anziani singoli italiani straniere apolidi, residenti e non residenti in grave condizione di disagio

8

II – III

Via degli Apuli, 39 (III Mun.)

Esercito della Salvezza

Adulti singoli con elevato livello di autonomia e autogestione

117

II - III

 

A seguito dell’Ordinanza del Sindaco n. 248/2008 le competenze relative al Servizio di assistenza alloggiativa[41] sono state trasferite all’Ufficio per le Politiche Abitative (come anche il “bonus abitativo” e l’assistenza nei residences). Il Dipartimento Promozione dei servizi sociali e della salute, attraverso la U.O. Emergenza sociale e accoglienza, continua invece a gestire il servizio relativo all’accoglienza notturna degli adulti singoli e dei nuclei di madri con figli minori/gestanti in condizioni di emergenza.

Per le persone senza fissa dimora e con grave disagio sociale, è attivo un circuito di strutture residenziali in convenzione che nel 2008 ha offerto 132.420 pernottamenti (mediamente, oltre 360 utenti per notte), un numero sostanzialmente costante rispetto ai due anni precedenti. Nel corso del 2008 è aumentato il numero dei Centri di prima accoglienza convenzionati: nel 2006 erano attivi 2 Centri per complessivi 500 posti letto, nel 2008 sono diventati 8, per un totale di 765 posti disponibili. Tale aumento ha comportato una diminuzione delle disponibilità di posti nei 2 Centri di accoglienza notturna di 2° livello, per 108 posti disponibili complessivamente.

Nell’ottica della razionalizzazione e personalizzazione degli interventi, recentemente è stata ridisegnata la mappa dei centri di accoglienza, destinando un maggior numero di posti alle situazioni di emergenza sociale, con particolare riguardo all’accoglienza di situazioni di elevata fragilità e multi problematicità specialmente nel periodo più freddo dell’anno. Il numero di interventi del “Piano freddo” si mantiene costantemente al di sopra delle 1.100 unità. A questi si devono aggiungere i 720 utenti dei Centri diurni di Via Sapri e Stazione Termini.

Le mense sociali[42]

Nelle tradizionali 7 mense "storiche" attivate ormai da anni da organismi del Terzo Settore e del volontariato[43] nel 2008 sono stati offerti complessivamente 552.400 pasti (mediamente circa 1.850 pasti al giorno). A questi vanno aggiunti 74.037 pasti nelle strutture del circuito di accoglienza “madri con bambino”, quelli delle mense "festive" attivate in alcuni Municipi, quelli del “piano freddo” e dei Centri di accoglienza ordinari.

E’ da osservare, però, che, per rispondere alla pressante richiesta, gli organismi gestori hanno erogato un numero di pasti di gran lunga superiore a quelli convenzionati con il Comune. In alcuni Municipi sono stati attivati servizi di fornitura di pasti caldi a domicilio. Questo servizio, concordato tra i Servizi sociali, il medico di medicina generale e l’utente stesso, ha una duplice valenza: il soddisfacimento di un bisogno elementare e, nel contempo, un sostegno alla persona che viene così costantemente monitorata nella sua condizione, spesso di solitudine, dall’organismo gestore del servizio.

 

Tab. 13 Dati sulle mense sociali (2009)

Indirizzo

Ente Gestore

N. Pasti

Via delle Sette Sale, 34 (Colle Oppio - I Mun.)

C.R.S. Cooperativa Roma Solidarietà

312.996 pasti l’anno

Via G. B. Soria, 13 (zona Battistini – XIX Mun.)

Lungomare Toscanelli, 176 (Ostia – XIII Mun.)

Via Marsala, 109 (Stazio­ne Termini – I Mun.)

Via degli Apuli, 39 (San Lorenzo – III Mun.)

Esercito della Salvezza

47.808 pasti l’anno

Via degli Astalli, 14/a (Piazza Venezia - I Mun.)

Centro Astalli

35.700 pasti l’anno

Via Dandolo, 10 (Trastevere - I Mun.)

Comunità di S. Egidio

93.696 pasti l’anno

Via Lentini, 74 (zona Bor­ghesiana – VIII Mun.)

Coop. Sociale “Impegno per la Promozione”

11.520 (240 pasti per 48 gg)

Via dei Carraresi, 1 (zona Pisana – XVI Mun.)

Comunità Matteo XXV ONLUS

11.520 (240 pasti per 48 gg)

Via Casilina Vecchia, 19 (Ponte Casilino - IX Mun.)

C.R.S. Cooperativa Roma Solidarietà

13.640 (220 pasti per 62 gg)

 

Tab. 14 Dati sul servizio “pasti a domicilio” (2009)

Municipio

Ente Gestore

Servizio

Totale pasti

IV

Cooperativa Sociale Un Sorriso

30 pasti per 227 giorni

6.810

V

Coop. Bottega Solidale ONLUS

25 pasti per 303 giorni

7.575

VII

Coop. Bottega Solidale ONLUS

25 pasti per 227 giorni

5.675

VIII

Coop. San Pietro e Paolo Patroni di Roma

25 pasti per 303 giorni

7.575

IX

C.R.S. Coop. Roma Solidarietà

25 pasti per 303 giorni

7.575

X

Coop. San Pietro e Paolo Patroni di Roma

25 pasti per 303 giorni

7.575

XII

Coop. Soc. Impegno per la Promozione

30 pasti per 227 giorni

6.810

XV

Coop. Soc. Un Sorriso

25 pasti per 227 giorni

5.675

XVII

Coop. Soc. Un Sorriso

25 pasti per 303 giorni

7.575

XVIII

Coop. Soc. Un Sorriso

25 pasti per 303 giorni

7.575

XIX

Coop. Soc. Un Sorriso

25 pasti per 303 giorni

7.575

Totale pasti erogati

77.995

 

Il servizio "Roma non spreca" e la Rete alimentare cittadina

Il progetto “Roma Non Spreca”, coordinato dalla Sala Operativa Sociale, si occupa di promuovere la collaborazione con le grandi catene di distribuzione (ipermercati, supermercati e mercati rionali) che forniscono vari generi alimentari e beni di largo consumo. Il progetto è nato dall’esperienza iniziata nel dicembre 2004 del magazzino della solidarietà “Aiutare chi aiuta” presso via Assisi n. 39, usato per stoccare coperte, abbigliamento, generi di prima necessità acquistati dal Comune e a disposizione delle associazioni di volontariato attive sul fronte dell’assistenza per le persone senza fissa dimora.

Il servizio “Roma Non Spreca” ha creato una rete di fornitori e di fruitori delle risorse da raccogliere e ridistribuire. I prodotti vengono destinati ai centri di accoglienza, tramite le Onlus di riferimento, consentendo un sostanzioso risparmio economico e introducendo una collaborazione fattiva tra il profit e no profit.

Uno dei prossimi obiettivi è quello di privilegiare la territorialità dei bisogni e delle risorse e ciò con il duplice scopo, quello di facilitare il raccordo tra i fornitori e beneficiari (anche per ridurre gli sprechi di alimenti deperibili che vanno consumati tempestivamente) e quello di favorire l’immissione nell’elenco dei beneficiari, anche di piccole realtà che si occupano di accoglienza, ma che rischierebbero di rimanere esclusi dal circuito della fornitura.

In un prossimo futuro, a seguito di un protocollo di intesa stipulato con la Fondazione “Banco Alimentare ONLUS”, è previsto l'avvio di una “Rete alimentare” per integrare con il recupero di cibi freschi e cucinati, il sostegno fornito dalle aziende e l’azione di assistenza ai più poveri della città. L'obiettivo della "Rete alimentare cittadina" è ridurre lo spreco di cibo, trasformando le eccedenze di mense, supermercati, mercati rionali e negozi in risorsa per chi ne ha bisogno. L'idea di fondo consiste nel far incontrare domanda e offerta, bisogno e disponibilità: da un lato chi produce cibo o ne gestisce grandi quantità – e, in mancanza di alternative, ne getta quotidianamente una parte nella spazzatura –, all'altro capo singole persone, famiglie e comunità povere o impoverite, che con quel "cibo di nessuno" possono integrare la loro alimentazione.

La rete alimentare cittadina sta partendo nei Municipi I, XII e XVIII, poi, nell'arco di alcuni mesi, sarà estesa all'intera città. Si prevede che il sistema, una volta a regime, consentirà di recuperare ogni giorno almeno 10.800 pasti, per un valore complessivo di circa 40 mila euro; su scala annuale, 2,5 milioni di pasti all'anno per 8,3 milioni di euro.

Il programma operativo prevede la mappatura del territorio (con l'individuazione di chi ha bisogno di cibo e di chi ne ha in eccedenza), la creazione di una sala di coordinamento in grado tra l'altro di intervenire nei casi urgenti e di assicurare un collegamento continuo tra domanda e offerta, la distribuzione, a cura di operatori di enti assistenziali, debitamente formati, che dovranno garantire tempestività e il mantenimento della catena di conservazione dei cibi, secondo le norme di igiene alimentare.

E.2.5 Spunti operativi

Servizi di accompagnamento in uscita dal circuito assistenziale

Gli analisti del welfare italiano, così come gli operatori sociali più esperti, hanno messo in evidenza come uno dei limiti più evidenti del sistema di assistenza sociale del nostro Paese sia la scarsa efficacia. L'insieme delle prestazioni sociali attivate, che non poche volte comportano anche l'impegno di ingenti risorse economiche e professionali, sembra non siano in grado, in molti ambiti, di modificare strutturalmente le situazioni di dipendenza e di fragilità. Ne deriva il protrarsi nel tempo, a volte anche per generazioni, di una dipendenza dai servizi che genera passività e opportunismi costosi.

È necessario dunque rompere il circolo vizioso dell'assistenzialismo, rafforzando gli strumenti che possono sostenere la delicata fase di fuoriuscita dal circuito assistenziale. A tal fine è necessario riprendere in mano le Delibere 154 (sostegno economico) e 163 (contributo economico per l’affitto), sulla base dell'esperienza maturata in questi anni.

Il principale riferimento per raggiungere questo obiettivo è il progetto RETIS (Rete di Inclusione Sociale)[44], un programma cittadino i cui obiettivi sono "mappare" il disagio sociale a Roma, raccogliere e aggiornare il quadro completo delle opportunità di formazione e lavoro per le persone in difficoltà, incrociare i dati e mettere in contatto domanda e offerta, avviando le persone fragili a concreti percorsi d'inserimento e alla conquista dell'autonomia. Con RETIS si intende uscire dalle logiche dell'assistenza per far camminare le persone sulle proprie gambe, promuovendone l'autonomia.

La "rete" nasce per "mettere a sistema" e collegare due mondi: il "pianeta emarginazione" e quello formato dai molti che possono dare risposte al bisogno. Da un lato dunque gli assistiti dei servizi sociali comunali, le persone con lievi disabilità, le persone con lavori irregolari. Dall'altra, il mondo produttivo romano, comprese aziende pubbliche, cooperative, onlus, associazioni di volontariato laiche e cattoliche.

RETIS agirà secondo la logica dell'aggiornamento continuo, con una "cabina di regia" che raccoglierà ogni informazione sulle aree di disagio presenti sul territorio della Capitale e sulle possibilità di formazione e lavoro. Il tutto alimenterà una banca dati in grado di coniugare opportunità e criticità, domanda e offerta, progetti sociali in atto ed eventuali destinatari. Per questi ultimi si aprirà la porta dei tirocini, delle borse lavoro, del micro-credito.

Servizi residenziali innovativi

Per rispondere ad una domanda complessa e in rapida trasformazione, saranno avviati servizi residenziali innovativi, ad alta intensità sociale e bassa intensità sanitaria, al fine di rispondere ai bisogni di particolari categorie di persone:

·      anziani senza fissa dimora che non possono essere ospitati nei centri notturni e per i quali occorre prevedere una presa in carico h24 al fine di veicolare il passaggio dalla strada all’accoglienza per il traghettamento verso soluzioni più idonee (Casa di riposo o RSA).

·      adulti senza fissa dimora con patologie psichiatriche o legate alla dipendenza per le cui condizioni risulta indicato prevedere un'accoglienza integrata con i servizi psichiatrici territoriali e/o i servizi per le dipendenze, inserimenti mirati o reintegro nel mondo del lavoro.

·      adulti senza fissa dimora in gravi condizioni di vulnerabilità sociale che presentano patologie specifiche richiedenti terapie ambulatoriali dedicate (chemioterapia, dialisi, convalescenze post-operatorie) che non consentono la dimissione dal centro di accoglienza notturna.

·      donne vittime di violenza, in continuo aumento, a fronte di una esigua disponibilità nel circuito dedicato.

·      donne accolte nei centri di accoglienza per madri con figli minori, che decidono di separarsi dal figlio (o addirittura di abbandonarlo), per le quali occorre prevedere particolari forme di tutela e sostegno.

E.3 Servizi e interventi per le persone sottoposte a misure giudiziarie[45]

E.3.1 I dati essenziali[46]

A Roma esistono 5 strutture carcerarie per adulti, con una ricettività regolamentare di 2.614 posti. Con una popolazione di 3.500 detenuti (al 05.05.2010), è evidente come il sovraffollamento costituisca il principale problema che affligge il sistema penitenziario romano (come d'altronde quello italiano). Ad aggravare una situazione già precaria concorre, poi, la composizione dei reclusi, di cui un terzo sono stranieri e quasi altrettanti tossicodipendenti.

Il problema è particolarmente grave in alcune strutture, come si può evincere dalla seguente tabella.

Tabella 15 Dati relativi alla presenza di detenuti nelle carceri romane

Struttura

Ubicazione

Tipologia di detenuti

Capienza

N. ospiti

Casa circondariale Regina Coeli

via della Lungara

In maggioranza detenuti in attesa di giudizio

720

1.053

Casa Circondariale Maschile N. C.

via Raffaele Majetti

Detenuti in attesa di giudizio e con condanne definitive

1.200

1.718

Casa di Reclusione maschile

via Bartolo Longo

Detenuti con condanne definitive

370

342

Casa circondariale Rebibbia femminile

via Bartolo Longo

Detenute in attesa di giudizio e con condanne definitive (comprese madri con figli 0-3 anni)

275

353

Terza Casa di custodia attenuata

via Bartolo Longo

Detenuti tossicodipendenti

36

34

 

E.3.2 Un approccio integrato

Le carceri romane sono spesso “vetrine” dell’intero sistema penitenziario italiano perché all’interno di esse vengono avviate attività innovative, vi vengono girati film e documentari sulla vita dei detenuti, sono frequentate dai rappresentanti istituzionali del Governo e della politica, il Papa vi celebra messe, nelle loro celle vengono rinchiusi i prigionieri illustri, ecc...

Da sempre abituata a convivere con un carcere nel centro della città, oggi Roma ne possiede altri quattro in periferia; ciononostante non è facile far considerare cittadini anche i detenuti che rappresentano una realtà sociale difficile da riassorbire, anche dopo l’uscita dal carcere, perché vissuta come un marchio negativo, indelebile. Ci si scontra, tra l'altro, con il pregiudizio chi vede ogni iniziativa di sostegno, recupero e reinserimento come un eccessivo favore nei confronti di persone colpevoli che devono essere punite in modo esemplare, senza eccessive indulgenze.

La nostra normativa considera invece che la condanna alla privazione della libertà non include la negazione dell’esercizio dei diritti di cittadinanza, che deve poter esercitare, compatibilmente con le esigenze di sicurezza. Tra l'altro, la mancanza di sufficienti contatti con l’esterno, le condizioni di sovraffollamento e l’impossibilità di gestire situazioni difficili possono provocare in alcuni detenuti gesti violenti o forme di autolesionismo. Lo stesso Ordinamento Penitenziario prevede che il legame con la società e con il contesto relazionale/affettivo non debba essere mai reciso, proprio per evitare un’alienazione totale da quel mondo al quale il detenuto, prima o poi, dovrà comunque tornare.

Il riavvicinamento tra carcere e città passa attraverso il riconoscimento del detenuto come persona ed il rispetto della sua dignità. Per questi motivi appare sempre più indispensabile creare un legame tra "dentro" e "fuori" e promuovere un dialogo permanente tra carcere e città che aiuti a contrastare diffidenze e chiusure reciproche. Il cittadino-detenuto, inteso come abitante di un micro-cosmo corrispondente con un quartiere, deve essere sempre più compreso come un naturale segmento della realtà comunitaria con cui sono possibili uno scambio ed un confronto.

All’interno e all’esterno degli istituti penitenziari di Roma si realizzano molteplici iniziative, anche molto interessanti, ma spesso poco coordinate, che rispecchiano ciascuna competenze, motivazioni, risorse e specificità proprie delle associazioni, cooperative, Enti o Istituzioni operanti intorno al carcere. I detenuti si trovano ad essere oggetto piuttosto che soggetto delle attività di recupero e reinserimento. L'autoreferenzialità determina una somma d’interventi parcellizzati, che rischia non solo di distorcere l’identità del detenuto che vede i propri bisogni affrontati separatamente, ma ricade negativamente anche sul lavoro degli stessi operatori penitenziari, che si trovano a gestire progetti che non rientrano nel piano trattamentale elaborato per il detenuto.

Per questi motivi e per rendere concreti ed esigibili i diritti dei detenuti, è emersa più volte e da più parti l’esigenza di superare l’attuale approccio emergenziale, privo di sistematicità e di coordinamento in tutte le questioni relative al carcere, attraverso una strategia di integrazione degli interventi e la ricerca di percorsi condivisi. Un simile approccio richiede una nuova prospettiva e una programmazione più coerente con i bisogni e le richieste reali dei cittadini-detenuti. Da progetti di intervento a carattere prevalentemente assistenziale ci si propone dunque di creare le condizioni per un esercizio attivo della cittadinanza e le garanzie per la massima equità. L’intervento intra ed extra moenia richiede la stretta collaborazione tra i servizi dell’Amministrazione Penitenziaria e i servizi sociali del territorio, poiché coinvolge contestualmente più soggetti: l’autore del reato, la sua famiglia e i suoi figli.

E.3.3 Le macro aree d’intervento

L’intervento sociale a favore dei detenuti e degli ex detenuti adulti e minori, nonché dei condannati in esecuzione penale esterna è articolato su 5 macro aree: Salute e assistenza sociale; Genitorialità e affettività; Formazione e Lavoro; Cultura, Spettacolo e Sport; Pari opportunità.

1) Salute e assistenza sociale

L’applicazione e il recepimento del DLGS 230/99 e del DPCM del 1 aprile 2008 hanno reso possibile l’avvio di una riforma che vede titolare dell’intervento sanitario in carcere le Regioni attraverso le ASL e non più il Ministero della Giustizia. Un riforma, quella del ’99, dai valori ideali, culturali e sociali altissimi e che, fra gli altri, ha il merito di affermare la garanzia di esigibilità del diritto alla salute anche per i cittadini momentaneamente privati della libertà personale. Trasferire l’assistenza sanitaria in carcere dal Ministero della Giustizia al Servizio Sanitario Nazionale ripone al centro dell’attività istituzionale le persone detenute, i loro bisogni, le loro aspettative ed è la chiave di volta per una positiva evoluzione dell’istituzione carceraria.

Come tutte le riforme, però, anche quella che ridisegna le responsabilità sulla sanità penitenziaria ha bisogno di una particolare attenzione nel processo di transizione, sia per la sua corretta applicazione, sia per il cambiamento culturale che prefigura. La situazione nelle carceri italiane è pesante e drammatica, come mai si è registrato in Italia. La cronaca quotidiana segnala una condizione di invivibilità con un sovraffollamento giunto a cifre record. In queste condizioni risulta molto difficile per le Istituzioni garantire a detenuti e internati i diritti sociali e, tra essi, “i livelli essenziali delle prestazioni sanitarie”.

L’analisi specifica sulla situazione sanitaria nelle Case Circondariali e di Reclusione a Roma evidenzia rilevanti carenze che di fatto impediscono un reale diritto alla salute del cittadino-detenuto. È necessario superare rapidamente questioni di competenze e di attribuzioni delle funzioni, garantendo il diritto alla salute e all'assistenza sociale a detenuti ed ex-detenuti. Al centro della progettazione degli interventi sanitari e dei servizi sociali deve essere il detenuto e i suoi specifici bisogni, nel rispetto delle caratteristiche, condizioni ed esigenze peculiari di ciascuno.

2) Genitorialità e affettività

Se da una parte esiste lo spinoso problema dei figli detenuti con le madri (cfr. più avanti), dall’altra c’è quello dei figli che vivono fuori del carcere e che si recano in visita al genitore detenuto. Se il primo problema riguarda comunque un numero esiguo di bambini, il secondo riguarda migliaia di casi. Si stima infatti che almeno metà della popolazione detenuta siano persone sposate o che convivono, separate, divorziate o vedove, tutti con figli. La separazione forzata incide negativamente nel rapporto personale tra genitore recluso e figlio, deprivando il genitore della possibilità di esercitare le sue funzioni anche all’esterno, non potendo seguire il figlio e accompagnarlo nei rapporti sociali, con ricadute emotive che incidono negativamente sul percorso di reinserimento.

Alcune organizzazioni del Terzo settore, convinte che il mantenimento delle relazioni familiari rappresenti un ambito di intervento prioritario, realizzano da anni interventi mirati alla tutela di tali relazioni, compresa la creazione di ludoteche negli istituti penitenziari, al fine di facilitare gli incontri tra genitore detenuto e figli, che oltre a restituire dignità agli affetti, valorizza la funzione genitoriale altrimenti destinata ad inaridirsi. Un detenuto che ha conservato i legami familiari rischia meno la recidività. Per questo diventa importante studiare misure che consentano di non disperdere questi legami e prevengano gli effetti devastanti derivanti dalla particolare situazione. Sappiamo, infatti, che il 30% di loro finisce, da adolescente e poi adulto, in carcere a sua volta per emulazione, ribellione, emarginazione, condizioni di disagio culturale e sociale.

L'Amministrazione Penitenziaria è intervenuta recentemente (circolare 457832 del 10.12 2009) per favorire il mantenimento del ruolo genitoriale del detenuto. Da parte sua, il Comune di Roma, nell'ambito delle sue competenze, promuove interventi di assistenza post penitenziaria e aiuto economico alle famiglie dei detenuti.

3) Formazione e Lavoro

Il lavoro permette di ricollocare il carcere dentro la società, aumentare la responsabilizzazione sociale e creare occasioni di prevenzione e recupero. Attivare un processo lavorativo significa migliorare la qualità della vita sia in termini di autostima sia per quanto concerne l’interazione sociale nei suoi aspetti generali. Oltre alla funzione manifesta di produrre beni e servizi, il lavoro determina anche altri importanti valori: legittimazione sociale; affermazione personale, consolidamento della personalità, stimolo alla crescita e al miglioramento.

Il reinserimento sociale del detenuto non può prescindere dal suo reinserimento in un contesto lavorativo che, restituendolo ad un ruolo attivo e non più assistito, contribuisca alla costruzione di un’immagine positiva di sé. Nondimeno, gli interventi di sostegno finalizzati al lavoro devono tenere conto delle caratteristiche dell’individuo, accompagnandolo nel processo di integrazione in un ambiente sociale da cui è stato assente più o meno a lungo. Purtroppo spesso le prestazioni lavorative dei detenuti si concretizzano invece solo in attività interne, elementari, ripetitive, di scarsa professionalità. La Legge n. 193 del 2000 (Legge Smuraglia) ha invece incentivato la possibilità di accedere ad attività lavorative da parte dei detenuti, introducendo agevolazioni per le cooperative sociali che impiegano persone detenute e prevedendo la possibilità di stipulare convenzioni fra amministrazioni penitenziarie e soggetti pubblici, privati o del terzo settore che intendano fornire a detenuti e internati opportunità di lavoro.

La necessità di consolidare percorsi di intervento integrato tra istituzioni, associazioni dei datori di lavoro e terzo settore richiede la definizione di protocolli operativi per l’assegnazione di commesse o l’offerta di occupazioni interinali e l’assunzione di un impegno economico da realizzarsi attraverso sgravi fiscali per le aziende e/o borse lavoro per i detenuti.

Anche sotto l’aspetto della formazione professionale, il percorso per giungere ad una effettiva spendibilità delle competenze acquisite in carcere sembra non essere esente da difficoltà. È necessario puntare allo sviluppo di competenze lavorative in quei settori in cui sia presente una elevata richiesta di impiego e, soprattutto, prevedere lo svolgimento di attività di tirocinio pratico all’interno dell’istituto o presso aziende convenzionate esterne. Solo così, in accordo con vocazioni, esigenze e risorse del territorio, appare realistico procedere all’individuazione e alla realizzazione di percorsi pensati per la persona e mirati allo specifico contesto socio-economico in cui dovrà avvenire il reinserimento. A tal fine, è importante non la progettazione di attività formative in quanto tali, ma la personalizzazione del percorso formativo, mediante un bilancio delle competenze e azioni di orientamento.

4) Cultura, Spettacolo e Sport

Il riconoscimento dell’importanza della cultura e delle attività fisiche nella modifica degli schemi e degli orientamenti dei detenuti è tra i presupposti dell’Ordinamento Penitenziario. La consapevolezza culturale favorisce i processi di integrazione. L’esigenza primaria è la continuità, per superare una situazione paradossale in cui i singoli eventi sono apprezzati pubblicamente, ma in modo estemporaneo ed episodico, mentre scarsa attenzione è dedicata all’attività culturale organizzata in modo sistematico.

Un importante progetto di collegamento tra detenuti e società esterna è rappresentato dalla Convenzione tra il Comune di Roma e il Ministero della Giustizia per la realizzazione di un sistema bibliotecario integrato tra le Biblioteche Comunali e gli istituti di pena della città. Nondimeno, la rilevanza attribuita alle attività culturali e formative nella progettazione degli interventi è indice anche di una crescente sensibilità che considera il tempo del detenuto una realtà con un significato e un valore. Il tempo del detenuto non è un "vuoto" segnato dall'attesa, da "far passare" e "occupare", ma un "bene" da investire per l’acquisizione di risorse personali e competenze sociali spendibili anche in seguito.

5) Pari Opportunità

Vi sono particolari gruppi di persone, soggetti deboli e fragili, che più di altri subiscono le conseguenze della detenzione e sono a rischio di ulteriore marginalizzazione all'interno del carcere stesso. Sono per lo più stranieri, transessuali, detenuti giovani o anziani, donne, madri con figli da 0 a 3 anni. Tali gruppi devono essere oggetto di particolare attenzione, a causa dei gravi rischi di esclusione sociale. Se ne accenna qui in modo sintetico.

ü     Stranieri. La disparità di trattamento più rilevante nei confronti dei detenuti stranieri consiste nella pratica impossibilità di accedere ai benefici previsti dalla legge Gozzini. Lo straniero si trova penalizzato al momento della concessione dei regimi alternativi o complementari alla carcerazione di base. La magistratura di sorveglianza ne giustifica l’esclusione con il mancato radicamento territoriale dello straniero. Lo straniero nella maggioranza dei casi non dispone di residenza o domicilio fisso, di lavoro e di famiglia in territorio italiano. Pertanto si ritiene alto il pericolo di fuga. Le difficoltà linguistiche non fanno che acuire le difficoltà. Una risposta percorribile è la creazione di strutture «agili» in grado di ospitare, per un periodo di tempo determinato, i ristretti in permesso premio e di consentire loro la fruizione delle opportunità di reintegro sociale. Sono inoltre da programmare accordi con ambasciate e consolati per facilitare il rilascio di documenti; accordi con associazioni per l’assistenza legale; gruppi di formazione linguistica. Nelle infermerie e nelle sezioni cliniche degli Istituti devono essere presenti mediatori linguistici reperibili tra gli stessi detenuti stranieri o italiani.

ü     Persone con problemi di salute

Si è accennato sopra alle problematiche relative alla salute delle persone in carcere. Alcuni gruppi risentono più di altri di queste difficoltà. Sono soprattutto i tossicodipendenti, le persone con disabilità fisiche (per le quali è possibile ipotizzare uno sportello itinerante negli istituti per l’espletamento delle pratiche burocratiche), detenuti con problemi di salute mentale, malati di Aids (per i quali si devono prevedere strutture di pronta accoglienza, nel caso in cui siano riconosciuti incompatibili con il regime carcerario, in attesa di una definitiva collocazione nelle strutture pubbliche del paziente).

 

ü     Transessuali. Il transessualismo è riconosciuto come “disturbo dell’identità di genere” nell'ambito dei disordini mentali[47]. Il bisogno primario di queste persone è di essere riconosciute nell’identità desiderata. A tal fine la ASL di riferimento, in collaborazione con Saifip dell’Ospedale San Camillo, deve fornire consulenza endocrinologica e psicologica, nonché cure ormonali adeguate, che supportino il percorso di adeguamento tra identità fisica e identità psichica. Le persone transessuali recluse rappresentano una complessa problematica non solo per quanto attiene all'assistenza sanitaria, ma anche per quanto concerne la possibilità di accesso alle attività di recupero e reinserimento sociale. Vi si intrecciano infatti fattori di ordine sociale, psicologico, legale e sanitario che coinvolgono non solo il soggetto portatore di disagio ma l'intera realtà penitenziaria.

Nell’ambito della sezione G8 di Rebibbia nuovo Complesso, dove sono detenute le persone transessuali, emergono con più evidenza le difficoltà di inserimento nelle attività trattamentali comuni e il difficile contatto con gli altri detenuti e gli operatori penitenziari. Non è raro che si verifichino episodi di aggressività e autolesionismo. Allo scopo di migliorare la qualità della vita delle persone detenute transessuali e nella previsione di un piano di reinserimento sociale, devono essere programmate azioni che aiutino la loro integrazione nella diverse iniziative realizzate dagli enti locali e dalle organizzazioni del Terzo Settore. A titolo esemplificativo: accompagnamento per il riconoscimento dello status di rifugiato per transessuali provenienti da paesi che vietano il cambio di sesso; gruppi di sostegno e di auto-aiuto; prevenzione e cura di malattie trasmissibili come l’AIDS; corsi di formazione degli operatori penitenziari.

ü     Anziani. I detenuti anziani, con più di 70 anni, hanno particolari difficoltà nel reinserimento sociale. Spesso, dopo una lunga pena detentiva, non hanno più relazioni esterne in grado di aiutarli, anche dal punto di vista logistico e materiale. Per queste persone può rivelarsi molto utile l'accesso a strutture di accoglienza temporanea. Inoltre, per i detenuti anziani non autosufficienti, è necessario realizzazione all’interno del carcere servizi di assistenza alla persona adeguati, oltre a prevedere il loro eventuale inserimento nelle graduatorie per l’accesso alle strutture residenziali e alle RSA in convenzione.

ü     Donne. Per le problematiche di genere che si accentuano all'interno degli Istituti penitenziari, possono rivelarsi utili iniziative come l'apertura di un Consultorio presso la Casa Circondariale Rebibbia Femminile e la realizzazione di percorsi formativi specialistici per gli operatori. È importante inoltre definire procedure di intervento che tengano conto delle particolari culture di riferimento per le donne straniere e rom.

ü     Madri con figli da 0 a 3 anni. Per affrontare la delicata situazione delle detenute madri che vivono la carcerazione con i propri figli sono necessarie azioni coordinate e interventi personalizzati, anche al fine di ridurre l'impatto della carcerazione sui minori. Per molte donne si tratta dell’unica alternativa alla separazione traumatica dai figli o al doverli lasciare in contesti familiari non idonei. I bambini reclusi, tuttavia, assorbono tutte le tensioni del carcere e vivono una condizione che pregiudica la costruzione della loro identità psichica ed affettiva.

Si deve intervenire sia nei confronti delle madri, per aiutarle a comprendere e gestire al meglio la loro condizione, sia sui bambini per ridurre i danni della carcerazione e favorire la loro crescita. Tra le iniziative facilmente attivabili, si possono prevedere: la facoltà di accudire il proprio figlio/a durante i ricoveri ospedalieri; una più chiara definizione dei criteri per i trasferimenti delle madri, soprattutto quando i figli sono affidati a famiglie esterne, inseriti nei nidi comunali e seguiti dalle associazioni di volontariato; azioni di orientamento e sostegno all'esercizio della maternità; l'attivazione di un servizio per le pratiche burocratiche necessarie per l'inserimento negli asili nido; l'apertura di una casa protetta per madri con figli detenute con aggravante art. 4 bis o recidive, prevedendo tutte le misure di protezione e sicurezza.

E.3.4 I minori sottoposti a procedimento penale

I dati sui flussi di ingresso nei Servizi minorili della Giustizia presenti nel Lazio e in particolare a Roma confermano la diminuzione della delinquenza minorile, andamento che, fatta eccezione per l’Istituto Penale per Minorenni, si riscontra ormai da due anni.

Ciò contrasta con la percezione che si ha del fenomeno nella società e con il malessere diffuso che affiora tra i giovani, evidenziato nelle sue manifestazioni più eclatanti dai mass media, ma che trova riscontro anche tra gli operatori che interagiscono con i minorenni che impattano con la giustizia minorile.

A fronte di una diminuzione degli arresti sembrano aggravarsi le condizioni interiori dei minorenni, che si trovano sempre più spesso in bilico in quel confine psichico apparentemente indefinito (“border-line”). Un confine in cui la ricerca delle spiegazioni degli attuali fenomeni delinquenziali minorili corre il rischio di semplificare realtà complesse, riducendole a difficoltà individuali o a stati di malessere interiore, eventualmente segnalati dall’uso di sostanze stupefacenti e/o dall’abuso di alcol. Una spiegazione che rischia di psichiatrizzare la devianza minorile e che risulterebbe penalizzante per le giovani generazioni, dal momento che rischierebbe di inibire analisi più approfondite dei contesti in cui i giovani vivono ed agiscono.

 

Tabella 16 Ingressi minori per genere e nazionalità (2009)

Centro/Istituto

Italiani

Stranieri

Totale

M

F

Tot

M

F

Tot

M

F

Tot

Istituto minorile Casal del Marmo

55

3

58

91

44

135

146

47

193

Centro di Prima Accoglienza

172

6

178

135

78

213

307

84

391

Totale

227

9

236

226

122

348

453

131

584

 

Tabella 17 Dati dell'Ufficio Servizi Sociali Minorenni (2009)

Soggetti

Italiani

Stranieri

Totale

M

F

Tot

M

F

Tot

M

F

Tot

Segnalati

566

50

616

331

142

473

897

192

1.089

Presi in carico

407

45

452

102

23

125

509

68

577

 

L’analisi della questione dei minori sottoposti a procedimento penale da parte dell’Autorità Giudiziaria minorile non può che partire dal territorio, dagli adulti di riferimento e dai modelli educativi. Il ruolo delle risorse che il territorio è in grado di attivare per i minori a rischio appare in tutta la sua importanza, se si considera come è allo stesso territorio che il giovane fa ritorno una volta terminato l’iter penale. È lecito però chiedersi se un ambiente che non è riuscito a proteggere il minore prima del reato sia in grado di prendersi carico con esiti positivi di un adolescente che ha vissuto anche l’esperienza penitenziaria.

L'istituto della messa alla prova che, se ha successo, può consentire al minore di sottrarsi completamente al circuito penitenziario e di vedere estinto il proprio reato, necessita di una forte collaborazione tra sistema Giustizia ed Ente Locale per garantire continuità all’intervento educativo e di reinserimento nei confronti dell’adolescente che delinque.

Nei Centri di Prima Accoglienza e negli Istituti Penali per Minorenni si incontrano minori provenienti da ambienti diversi, con caratteristiche e problemi molto differenziati: stranieri, nomadi, tossicodipendenti, giovani con problemi psichiatrici. È necessario perciò che si predispongano progetti personalizzati, disegnati sulla base delle condizioni, delle aspettative e del contesto familiare e sociale di ciascun minore.

L’esperienza maturata con i tirocini di formazione-lavoro dei giovani dai 16 ai 21 anni[48] ha reso evidente come sia necessario prestare la massima attenzione alla conoscenza del giovane, alla compatibilità con la struttura lavorativa, alla fase di accompagnamento nella struttura lavorativa e al momento successivo alla conclusione della borsa-lavoro.

C’è poi il grande problema dei minori tossicodipendenti. L’emergere di nuove dipendenze e di nuove modalità di assunzione ha di fatto creato una specificità tale da richiedere misure di intervento diversificate rispetto ai tossicodipendenti tradizionali. Le strutture destinate alla loro accoglienza e al trattamento presentano spesso carenze e gli stessi SerT si trovano in difficoltà ad affrontare contemporaneamente il duplice problema di uno sviluppo adolescenziale disturbato e della tossicodipendenza. È necessario elaborare progettualità capaci di «agganciare» il ragazzo (che in genere non si riconosce alcun problema di dipendenza) e che siano in grado di cogliere il complesso legame tra crisi evolutiva dell’adolescente ed uso di sostanze psicotrope.

E’ necessario inoltre assicurare ai minori la continuità dei percorsi intrapresi durante la misura penale. I minori stranieri e italiani collocati presso comunità o che usufruiscono di accompagnamento educativo e formativo presso i centri diurni o le cooperative accreditate devono poter proseguire l’intervento oltre il termine della misura, così come peraltro già previsto dal vigente Protocollo di intesa tra il Centro di Giustizia Minorile e il Comune di Roma.

Ulteriori proposte relative ai minori sottoposti a procedimenti penali riguardano:

·      l'istituzione di spazi protetti, comunità terapeutiche e centri diurni con personale specializzato in cui avviare interventi multidimensionali e personalizzati per minori con problemi psichiatrici e di tossicodipendenza;

·      la realizzazione di comunità di semiautonomia per giovani adulti, per disporre di alloggi protetti in caso di mancanza di supporto familiare o per favorire lo svincolo dalla famiglia;

·      l'attivazione di un Coordinamento interistituzionale tra Servizi della Giustizia, del Comune, della Questura e del Comitato Minori Stranieri non accompagnati per garantire efficaci percorsi di inclusione sociale per i minori italiani e stranieri;

·      l’istituzione di un Servizio di mediazione culturale presso l’Ufficio di Servizio Sociale Minorenni, il Centro di Prima Accoglienza e l’Istituto Penale per Minorenni.

E.3.5 L'esecuzione penale esterna

La consapevolezza delle interconnessioni e delle reciproche influenze tra politiche sociali e politiche penali ha spinto il Comune a farsi parte attiva nei processi inclusivi dedicati alle persone in esecuzione penale esterna. Questi percorsi sono dedicati alle persone autorizzate dalla Magistratura di Sorveglianza a espiare, in tutto o in parte, la propria condanna con una limitazione della libertà personale nel contesto di provenienza (ovviamente sottoposte a vincoli e prescrizioni).

 

Tabella 18 Misure alternative eseguite dagli Uffici di esecuzione penale esterna del Lazio

 

Affidamenti in prova al servizio sociale

Misure di semilibertà

Detenzioni domiciliari

Totale misure alternative

Nel Lazio

1.032

113

988

2.133

Di cui in Provincia di Roma

806

100

793

1.699

 

Ci sono settori della popolazione in esecuzione penale genericamente definita debole che richiedono una forte concertazione interistituzionale per essere realizzate. Sono gli stessi di cui si è già parlato sopra: stranieri, transessuali, persone di età superiore ai 70 anni, donne, madri con figli da 0 a 3 anni, persone con disagio mentale o con "doppia diagnosi".

Nell'esecuzione penale esterna risulta fondamentale l'azione formativa, di orientamento e di inserimento lavorativo. In questo quadro, gli obiettivi sono:

Altra questione importante è la formazione e l’aggiornamento degli operatori sociali ed educativi dell’Amministrazione Penitenziaria e del Comune di Roma. Al riguardo, è auspicabile la promozione di specifiche iniziative di formazione congiunta.

Si ritiene infine che realizzabilità degli interventi a favore dei condannati in esecuzione penale esterna, dei detenuti/e ed ex detenuti/e, non può prescindere da un lavoro di rete realizzato al livello municipale, nell’ambito dei Piani di zona, tra i diversi attori pubblici e privati, servizio sociale UEPE, Istituto Penitenziario, servizi sociali e sanitari, terzo settore e volontariato.

E.3.6 Spunti operativi

Molte proposte operative sono state avanzate nelle pagine precedenti. Esse possono trovare uno spazio di sintesi, di programmazione e di monitoraggio attraverso l'istituzione del "Tavolo permanente per la programmazione e la governance delle iniziative sociali per l'esecuzione penale".

Il compito del Tavolo sarà individuare un quadro programmatico di interventi da mettere a sistema, in cui si collocano le iniziative realizzate dai diversi Enti competenti, nell'ambito di Protocolli d’intesa e accordi interistituzionali.

Il Tavolo dovrebbe attivare le azioni necessarie per raggiungere i seguenti obiettivi:

ü     sviluppare un approccio di sistema, superando l’ottica settoriale e la frammentazione degli interventi, attraverso la ricerca della complementarietà e della continuità;

ü     ottimizzare le risorse destinate o destinabili al recupero e reinserimento della popolazione detenuta, sviluppando efficaci connessioni tra risorse pubbliche e private;

ü     aumentare l'attenzione alle fasce di popolazione detenuta particolarmente svantaggiate;

ü     avviare un sistema informativo capillare sulle opportunità per i detenuti italiani e stranieri;

ü     adottare le misure necessarie per garantire ai cittadini detenuti ed in esecuzione penale esterna i diritti alla salute, alla formazione, al lavoro, alle pari opportunità, all'istruzione, alla cultura e all'auto-tutela, anche mediante la sperimentazione di interventi innovativi;

ü     realizzare azioni di prevenzione e riduzione delle cause sociali, culturali ed economiche che sono alla base della devianza;

ü     definire in modo condiviso i criteri di qualità per l’accreditamento presso l’Amministrazione Penitenziaria e il Comune degli enti del Terzo settore che operano in ambito penitenziario;

ü     individuare procedure e criteri trasparenti nell’espletamento dei bandi per l’affidamento delle attività da realizzarsi in carcere e per i soggetti sottoposti a misure alternative;

ü     rafforzare le relazioni tra i Servizi sociali del Comune e l’Amministrazione Penitenziaria, in particolare il Servizio Sociale del Ministero della Giustizia;

ü     formulare proposte finalizzate al funzionamento ottimale dei Servizi esistenti e l'eventuale implementazione di nuovi servizi;

ü     svolgere opera di informazione e sensibilizzazione sui problemi penitenziari;

ü     stimolare la partecipazione delle organizzazioni di Volontariato, della cooperazione sociale, delle Forze Sociali, dei rappresentanti istituzionali delle persone detenute, ex-detenute o poste in misure alternative alla detenzione;

ü     rilevare i problemi segnalati dai detenuti, dagli organismi di advocacy e dalle associazioni di volontariato;

ü     valutare l'efficacia e l'efficienza delle azioni realizzate.

E.4 Servizi e interventi per i migranti, richiedenti asilo e rifugiati[49]

E.4.1 I migranti a Roma

Roma, o meglio il suo territorio metropolitano, è una delle mete preferite dai flussi migratori. Nel suo ultimo rapporto sugli indici territoriali di integrazione in Italia, il CNEL rileva che il territorio romano ha gradatamente aumentato negli ultimi anni la sua capacità di attrazione in campo socio-lavorativo, transitando da un indice di capacità “medio” a uno “alto”. In questa capacità dell’area romana di produrre sviluppo, e quindi benessere, la popolazione immigrata sta giocando un ruolo ben preciso, poiché si calcola che circa l’8% del PIL romano sia prodotto da lavoratori e imprenditori stranieri (dati Unioncamere).

I dati in crescita sul numero di famiglie straniere e sui minori stranieri che entrano nelle scuole suggeriscono la tendenza della popolazione immigrata romana a pensare alla propria sistemazione, al di là della precarizzazione normativa e del disagio in cui una parte piuttosto limitata versa. Questa tendenza “a sistemarsi” diventa una vera e proprio strategia di stabilizzazione strutturale, quando accostiamo ai dati precedenti quelli relativi agli “investimenti” che l’immigrazione romana fa rilevare sul nostro territorio. Sono investimenti su sé stessi, sulla propria capacità di vivere adeguatamente e alla pari con tutto il resto della cittadinanza italiana e contemporaneamente di fiducia nel “Sistema Roma”.

La questione abitativa rappresenta l’elemento di maggiore difficoltà nel percorso di stabilità. Gli aumenti del canone di locazione nell’arco delle ultimi annualità ha superato di oltre il 30% quello derivante dall’inflazione. A Roma, nel 2007, il 25% degli acquisti di case è stato compiuto da immigrati, che anche in questo modo hanno contribuito allo sviluppo economico della città. Esiste dunque una fascia di immigrati che sta scommettendo sulla propria stabilizzazione e sta investendo denaro, sforzi e futuro a vantaggio della comunità italiana.

Per gli immigrati che si trovano a vivere in una condizione positiva ne esistono purtroppo anche altri che conducono un’esistenza più opaca, faticosa, evidenziata da un mercato degli affitti troppo alto e dalla presenza di una speculazione sommersa che spinge verso le coabitazioni forzate, i posti letto, la precarietà. Sembra però che siano piuttosto gli eventi congiunturali a determinare la precarietà alloggiativa dei cittadini migranti, più che una scelta “culturale” di marginalizzazione urbana imputata a queste persone. E’ dunque da contrastare la percezione distorta delle fasce più vulnerabili della cittadinanza italiana che vede nella persona straniera un concorrente “privilegiato” nell’accesso alla casa. Questo antagonismo al ribasso sta generando una sorta di “guerra tra poveri” che non può trovare una soluzione con mezzi ordinari e rischia di consolidare le aree di marginalità.

E.4.2 I richiedenti asilo e rifugiati

Ogni anno nel nostro Paese circa 10.000 persone ottengono una qualche forma di protezione. I rifugiati in Italia, secondo dati UNHCR, sono 47.000. In questa cifra rientrano i titolari di protezione sussidiaria e umanitaria, ma non i minori e i rifugiati riconosciuti prima del 1990, quando è stata emanata la legge 39/90, cosiddetta “Martelli”, che per la prima volta ha disciplinato il diritto d’asilo in Italia.

Nel 2009, secondo i dati rilevati dal Ministero dell’Interno, il numero di domande di asilo presentate è andato diminuendo, contrariamente a quanto avvenuto negli anni precedenti. Tra i motivi, la politica dei respingimenti intrapresa dal Governo Italiano. I migranti che giungono via mare, infatti, provengono prevalentemente da Paesi del continente africano – Eritrea, Etiopia, Somalia, Costa d’Avorio per citarne alcuni – e nel 70% dei casi presentano istanza di asilo che, secondo l’UNHCR, nel 50% ha un esito positivo.

Se le coste della Sicilia, della Calabria e della Puglia sono il primo approdo dei richiedenti asilo, Roma è definita la terra di “secondo sbarco”. Le persone che usufruiscono della protezione internazionale passano per la Capitale, che diventa per alcuni transito e per altri dimora stabile. Perché Roma a volte è l’unica città conosciuta dall’estero, perché a Roma si ritiene di poter trovare lavoro, perché a Roma ci sono comunità ben radicate e perché a Roma ci sono servizi dedicati e una consapevolezza del fenomeno maggiore che in altre realtà italiane.

Il richiedente la protezione generalmente non ha una dimora fissa e i continui spostamenti, i cambiamenti di status – da richiedente a rifugiato e protetto – non consentono di poter avere dati certi sul numero delle presenze dei richiedenti la protezione internazionale o rifugiati nel territorio delle Capitale. Esiste dunque una difficoltà strutturale nel calcolare il numero reale delle presenze sul territorio, sia per l’estrema mobilità dei rifugiati che seguono le stagionalità lavorative, sia per la rincorsa ad opportunità alloggiative informali prive di un controllo istituzionale.

Tuttavia è possibile fare delle ipotesi in base alle presenza nei centri di accoglienza e alla fruizione dei servizi del territorio. Il Comune di Roma nel 2009, attraverso l’Ufficio Immigrazione, ha accolto nelle 20 strutture convenzionate con organismi del privato sociale, 1.005 richiedenti e titolari di protezione internazionale.

Accanto ai centri di accoglienza comunali sono inoltre presenti:

v     una struttura di seconda accoglienza, denominata Centro Polifunzionale “Enea”, nata nel luglio 2007 grazie ad un Accordo di Programma con il Ministero dell’Interno, in grado di ospitare 400 persone;

v     un C.A.R.A. (Centro di Accoglienza per Richiedenti Asilo) con circa 700 posti, nel Comune di Castelnuovo di Porto, ai confini del territorio comunale.

Il circuito dell’accoglienza del Comune di Roma è oggi indifferenziato per funzioni e obiettivi assegnati ai singoli Centri e si diversifica sostanzialmente per “categorie” d’ingresso (singoli o nuclei familiari); tempistica di apertura (ventiquattrore per famiglie e madri con bambino, dodici ore per i singoli); disponibilità di pasti (due o tre, in relazione all’apertura); tempi di permanenza (sei mesi per i singoli, nove mesi per i nuclei, con la possibilità di prorogare il periodo di permanenza in presenza di particolari problemi).

L’origine dell’attuale modello di accoglienza, costruito con un approccio prevalentemente assistenziale, si colloca 17 anni fa (momento della costituzione dell’Ufficio Speciale Immigrazione, struttura dedicata alla gestione dell’accoglienza e dell’integrazione dei cittadini migranti), dunque anni prima della nascita del primo Piano Nazionale Asilo – PNA (da cui è poi nato il Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati - SPRAR).

È un modello "stratificato", che ha guardato prevalentemente all’ampliamento del numero delle strutture e dei posti disponibili, giungendo oggi a quasi 1.200 posti letto – circa la metà della disponibilità dello SPRAR in Italia – ma che nonostante ciò non è riuscito a rispondere al fabbisogno reale di accoglienza, né a sostenere concretamente i processi di autonomia delle persone accolte.

Nonostante questi servizi infatti le persone giunte a Roma non riescono a ricevere dalle istituzioni una risposta alloggiativa in linea con le aspettative. Secondo dati dell’Ufficio Immigrazione (31.12.09), sono 724 le persone in lista di attesa – domande presentate da non più di un anno - e il tempo medio di attesa per l’ingresso in accoglienza è di circa 1 mese. Tali situazioni finiscono per alimentare un modello parallelo di accoglienza che si è realizzato attraverso le occupazioni di edifici pubblici incustoditi (che ha visto la sua massima espansione nel periodo 2002-2005).

Queste soluzioni di “autogestione” sono state tollerate negli anni passati dall’Amministrazione comunale in quanto funzionali ad evitare un conflitto sociale nel breve periodo, traslando la problematicità, anche di natura socio-sanitaria, a future possibili soluzioni. Questa scelta ha ottenuto, come prevedibile, un effetto di consolidamento e legittimazione del modello informale, divenuto nel frattempo strutturale sia nelle forme che nel numero delle presenze, tanto da rappresentare un punto di riferimento già prima dell’arrivo a Roma.

L’appetibilità di questo modello informale, basata essenzialmente su un pacchetto minimale di regole di convivenza, modalità d’accesso non strutturate (ad eccezione di una modesta azione di autoregolazione degli ingressi), tempi di permanenza non vincolanti (periodo, orari, relazioni, fruibilità dello spazio), è diametralmente opposto a quanto previsto dai regolamenti di gestione dei centri aderenti al circuito istituzionale.

Altro fattore di attrattività per i richiedenti asilo e rifugiati nel territorio romano è stata la presenza di una pluralità di organizzazioni sociali religiose e laiche che nel corso degli anni hanno saputo sviluppare un know how specifico, assumendo così funzione di supplenza, vista la mancanza d’interventi qualificati che avrebbero dovuto svolgere le Istituzioni preposte. Emerge dunque con chiarezza la presenza in città di due sistemi chiusi, complementari (percorso di accoglienza di rimbalzo) e alternativi.

Il circuito formale è basato quasi esclusivamente sulla capacità del singolo Centro di porre in essere misure adeguate per l’uscita positiva dei beneficiari dalla struttura e su un sistema di regole e condizioni di accesso predeterminate all’atto dell’avvio del servizio, modalità che a volte hanno alimentato tensioni tra ospiti e soggetti gestori.

Il circuito informale ha svolto il compito di decongestionare il numero di richieste di accoglienza rivolte agli uffici comunali ma, superata la fase di primissima risposta emergenziale, si è rivelato coercitivo e marginalizzante sia in termini spaziali che psicologici, anche se nei numeri questo circuito è divenuto equivalente a quello istituzionale.

Complessivamente, si possono dunque stimare in circa 8.000 i richiedenti o titolari di protezione internazionale che a Roma sono portatori di bisogni e usufruiscono di servizi.

Altri dati fanno presumere che questo gruppo sia ancora più consistente. La Questura parla di 18.000 istanze di asilo solo nel 2008. Ai servizi del "Centro Astalli" hanno avuto accesso, sempre nel 2008, 7.300 richiedenti e protetti internazionali. Ai centri della Caritas diocesana dedicati agli stranieri si sono rivolte invece circa 10.000 persone.

I rifugiati, i protetti sussidiari e i richiedenti la protezione internazionale hanno parità di diritti nell’accesso alle prestazioni socio sanitarie. Fruiscono perciò dei servizi municipali e dell’assistenza del Servizio Sanitario Nazionale. Nell’attività sanitaria a sostegno dei più vulnerabili, in particolare vittime di tortura, Roma ha sviluppato una certa peculiarità e specializzazione, grazie anche ai servizi gestiti dal Centro Astalli - il SaMiFo, Salute Migranti Forzati - dall’Istituto Nazionale contro le Malattie e la Povertà – INMP - all’interno della struttura ospedaliera del San Gallicano, dai Medici Contro la Tortura e dal CIR.

In particolare L’INMP ha assistito nel corso del 2008-2009, 1.676 titolari o richiedenti la protezione internazionale.

E.4.3 Il modello di intervento

Appare evidente dagli elementi indicati come l’immigrazione romana si muova in modo spontaneo e autonomo verso una stabilizzazione personale e di vita, che non potrà non influire sulla quantità e qualità dei servizi pubblici in misura maggiore di quello che già oggi non avvenga. I fattori di contesto ci descrivono la complessità del processo di integrazione, che comprende l’intera gamma dell’offerta dei servizi, non solo quelli sociali.

Purtroppo oggi le politiche per l’immigrazione si riducono spesso ad interventi di natura prevalentemente emergenziale. Ciò è particolarmente accentuato nel caso degli stranieri richiedenti asilo e rifugiati e dei minori stranieri non accompagnati[50].

È possibile rappresentare gli utenti stranieri in base alla tipologia di servizi a cui accedono prevalentemente. Il grafico seguente, attraverso la differente dimensione dei "cerchi" intende suggerire l'idea della diversa consistenza numerica di tali utenti.

 

Grafico 18 Persone straniere che utilizzano i servizi

Utenti di servizi educativi, sociali, sanitari e culturali indirizzati alla cittadinanza nel suo complesso, a prescindere dalla nazionalità. Esempi: asili nido e scuole, ludoteche, consultori, ospedali, servizi per l'impiego, servizi per l'handicap, centri anziani, centri per la famiglia, ecc.

 

Utenti di Servizi sociali "non specifici": Singoli o nuclei socialmente fragili che non usufruiscono di servizi dedicati a migranti, ma vengono intercettati in situazioni di disagio. Esempi: Centri per i Senza fissa dimora, centri interculturali per minori; Centri per l’educazione degli Adulti (EDA); mense, ecc

 

Utenti di servizi riservati a specifiche categorie di migranti. Interventi generalmente di carattere emergenziale e finalizzate a fronteggiare situazioni problematiche, senza il carattere della sistematicità. Esempi: Centri di accoglienza per richiedenti la protezione internazionale, Centri di pronto intervento per minori stranieri non accompagnati, ecc.

 

L'approccio sistemico non è però stato assente in questi anni: alcuni servizi hanno saputo operare oltre le logiche emergenziali. In questa parte vengono segnalate due esperienze consolidate, che presentano un approccio promozionale e una progettualità integrata.

Programma Retis

Il Programma nasce nei primi mesi del 2010 con l’obiettivo di connettere i bisogni e i fabbisogni delle persone più vulnerabili in termini di accesso e permanenza nel mondo del lavoro con il sistema delle opportunità territoriali (formazione e lavoro). E’ un programma strutturale dedicato alla promozione dei processi d’inclusione sociale delle persone che vivono in condizione di marginalità con particolare attenzione ai migranti e ai rifugiati.

Il Programma dispone di un Fondo di Inclusione Sociale a supporto di progettualità individuali e collettive: attività di formazione, borse lavoro, Fondo rotativo per microcredito, avviamento all’autoimpiego. Tra i compiti più importanti vi è dunque quello di consolidare e ampliare la rete delle interazioni tra gli attori istituzionali che operano per e nel territorio, al fine di favorire l’ottimizzazione degli interventi, armonizzando l’utilizzo delle risorse economiche finalizzate alla promozione dei percorsi di autonomia sociale delle persone a cui Retis si rivolge.

Centro cittadino per le Migrazioni, l'Asilo e l'Integrazione sociale

Il Centro Cittadino per le Migrazioni, l’Asilo e l’Integrazione sociale è stato avviato nel 2005. Al suo interno si trova l’Ufficio Immigrazione, che fornisce servizi socio-assistenziali anche a carattere residenziale per immigrati, richiedenti asilo e rifugiati. I servizi sono completati dal Programma integra, struttura organizzativa nata a seguito del progetto sperimentale Integ.r.a., finanziato dal Fondo Sociale Europeo - Iniziativa Comunitaria EQUAL e realizzato nel 2004 – 2005 dall’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani, a cui Roma ha aderito come partner.

Inserito organicamente all’interno dei servizi del Dipartimento per la Promozione dei Servizi sociali e della Salute, Programma integra promuove i processi di integrazione delle persone migranti e richiedenti protezione internazionale, attraverso fasi complementari d’intervento, quali assistenza socio-legale, percorsi di formazione, aggiornamento degli operatori del settore e dei mediatori culturali, preparazione e supporto tecnico per la presentazione di proposte programmatico-progettuali da attuare nel settore dell’immigrazione da parte dell’Ente locale.

Il Centro - che opera con risorse provenienti in parte dal Ministero dell’Interno e dall’ANCI - svolge anche un’importante funzione di rappresentanza interistituzionale e transnazionale, essendo spesso sede di incontro di Delegazioni estere in visita ai servizi rivolti ai cittadini stranieri. Solo nel 2008 hanno visitato il Centro Delegazioni della Svizzera, Svezia, Cina, Giappone, Libia, Germania e Inghilterra, oltre a quelle di diverse città italiane.

La presenza in città di una struttura in grado di operare su più fronti permette non solo di rispondere ai bisogni della popolazione migrante, ma anche di promuovere iniziative stabili di fund raising istituzionale, predisponendo iniziative in linea con quanto richiesto dagli Organismi finanziatori. Tale azione permanente consente anche il rafforzamento delle relazioni istituzionali, quale laboratorio di buone prassi e attore affidabile nell’attuazione di progetti complessi.

Centri interculturali per minori

I Centri Interculturali per Minori (prima del novembre 2009, denominati Centri per l’infanzia immigrata) rappresentano forse una delle esperienze più preziose dell’Amministrazione comunale in questi anni, anche se poco valorizzate. Un lavoro silente che ha distinto il servizio per la pragmaticità e la qualità offerta in un quadro di sostanziale incertezza organizzativa, vista la cadenza annuale del finanziamento legato ad Avvisi pubblici emanati dal Dipartimento V.

Si tratta di un sistema articolato d’interventi realizzato attraverso 20 strutture attivi in 12 Municipi, suddivise in due macro tipologie: Centri per minori 0 – 6 anni e Strutture che si rivolgono alla fascia 6 – 18 anni. I Centri, gestiti da organismi del privato sociale, hanno interagito e coinvolto gli attori organizzati, le famiglie e i cittadini della zona di appartenenza. Dunque una funzione strategica di presidio territoriale aperto alla comunità che ha fatto di questi Centri vere e proprie "scuole di cittadinanza", in un clima educativo aperto all'interculturalità e alla solidarietà.

Le attività dei Centri si caratterizzano per una forte collaborazione con le istituzioni comunali e municipali, con il sistema scolastico e con l’associazionismo. L’accoglienza nei Centri avviene in qualsiasi momento dell’anno e con flessibilità oraria, a prescindere dalla conoscenza della lingua, indipendentemente dalla condizione giuridica del minore. Dal 1999 – anno di avvio dei servizi – hanno frequentato le attività socio-educative oltre 5.500 bambini e ragazzi.

Si tratta di una progettualità vantaggiosa anche in termini economici. Nel 2008, con 810 minori iscritti, sono stati impegnati 2.400.000 Euro, con costi differenziati per fasce d'età: 15,50 Euro pro-capite pro-die nella fascia 0-3 anni, 12 Euro da 3-6 anni. La terza fascia (6–18 anni) offre servizi più “leggeri”, rivolti prevalentemente all’area ludico-ricreativa e di sostegno educativo. Il gradimento di questa progettualità è evidenziato da un dato negativo: la lunga lista d’attesa dei bambini che non riescono ad accedere al servizio, testimonianza dell’utilità di un servizio che è apprezzato anche per la flessibilità con cui risponde alle esigenze delle famiglie.

Programma “Roxanne”

Per le persone straniere vittime della “tratta sessuale” il Comune di Roma, con deli-berazione del Consiglio Comunale 8 marzo 1999 n. 27, ha adottato un Programma ri-volto alla prevenzione dei danni conseguenti all’esercizio della prostituzione e alla protezione delle donne vittime dei circuiti della criminalità organizzata.

Il programma, che prende il nome di “Roxanne”, si inserisce all’interno delle attività previste dal Testo Unico sull’Immigrazione, in particolare con le opportunità offerte dall’articolo 18, con il quale viene contemplata la possibilità di regolarizzazione delle vittime attraverso la contemporanea disponibilità delle stesse a favorire le azioni di contrasto verso gli sfruttatori. Nei casi in cui ricorrono le condizioni, il Programma Roxanne provvede dunque anche alla richiesta di rilascio del permesso di soggiorno da parte della Questura.

Il programma si rivolge soprattutto a donne dell’est europeo e nigeriane ed è articola-to su più livelli. Prevede infatti attività di prevenzione e riduzione del danno, con obiettivi di informazione e tutela della salute e dei diritti fruibili (tra l’altro, Roma partecipa alle attività del Numero Verde Nazionale contro la tratta sessuale); accoglienza protetta, assicurata con la riservatezza dei luoghi, sia presso strut-ture appositamente realizzate, sia attraverso convenzioni con enti e organismi laici e religiosi; assistenza sanitaria presso le strutture ASL di zona; formazione e primo inserimento lavorativo.

Il sistema utilizza una struttura di rete che vede coinvolti, oltre ad enti pubblici quali la sanità locale e le forze dell’ordine, anche organismi privati laici e religiosi.

Il Registro pubblico dei Mediatori interculturali

Uno strumento oggi disponibile, che necessita di un sostanziale rafforzamento, è il Registro pubblico dei Mediatori Interculturali del Comune di Roma, istituito nel 2005 con Delibera del Consiglio Comunale, a cui possono accedere i cittadini stranieri in possesso dei requisiti previsti dalla Delibera stessa e dalla Determinazione Dirigenziale del Dipartimento V 3350 del 12.10.2006.

Al 26 gennaio 2010 i mediatori interculturali che avevano presentato richiesta di iscrizione nel Registro erano 483, provenienti da 69 Paesi. La maggior parte sono di sesso femminile (403 su 483, pari all'83,4%). L'età media si aggira sui 43 anni, mentre è di 11 anni la media di periodo del loro soggiorno in Italia. Sono persone di alto livello culturale: la metà sono laureati, mentre quasi tutti gli altri sono in possesso di un diploma.

L'azione dei Mediatori interculturali si sta rivelando sempre più preziosa per favorire i processi di accoglienza e integrazione sociale nei servizi sanitari e sociali, nei rapporti con la Giustizia, nella Scuola. Non riguarda solo la mediazione linguistica, che pure è essenziale e a volte imprescindibile. Sono in gioco anche altri valori di cittadinanza, perché senza una conoscenza autentica del vissuto delle persone, delle culture e tradizioni di provenienza, insieme con una comprensione non superficiale dei fondamenti valoriali e della normativa italiana, non è possibile costruire una convivenza fondata sul rispetto reciproco e sul dialogo.

E.4.4 Un nuovo approccio

Il presente documento è l’inizio di un racconto che necessita di altri vocaboli e di diversi attori per dare alla rappresentazione “un copione" adeguato alla complessità del tema. Si è voluto descrivere solo ciò che si conosce ed è istituzionalmente “registrato”, ben sapendo che non si poteva esaurire una trattazione così ampia, ma dare solo un contributo iniziale.

L’articolazione dei processi migratori, più volte richiamata nel testo, e la complessa struttura dei nuovi spazi migratori che si stanno sviluppando rapidamente nella Città, appaiono in grado di promuovere inclusione o favorire marginalizzazione spesso solo in relazione alla “semplice” definizione che viene attribuita alla persona mentre viene osservata transitare all’interno dei servizi comunali (il riferimento è allo stigma del soggetto socialmente fragile).

Forse è partendo dalla costruzione di un nuovo lessico condiviso che si può provare a descrivere fenomeni così dinamici e ad assumere un nuova prospettiva nel pensiero prima che nell’azione, prospettiva che contiene la possibilità di individuare traiettorie progettuali inedite, utilizzando una visione divergente nell’osservazione della situazione attuale. Ciò potrebbe produrre effetti in prospettiva attraverso il rifiuto delle schematizzazioni, dei preconcetti e delle riduzioni semplicistiche che hanno caratterizzato l'azione "politico-amministrativa" in questi ultimi anni.

Si propone in questa sede un indice di riflessioni lontane da logiche autoreferenziali e prive della presunzione di giustezza. Una sorta di lavoro di composizione delle parti e di mediazione complessa tra la critica dell’attuale modello d’intervento “sociale” e la necessità di individuare percorsi alternativi, pur sapendo che si agisce in un contesto socio-economico che lascia poco spazio alla creatività di una progettualità sistemica, promozionale e di lungo respiro.

Entrando nel merito, emerge con evidenza come le migrazioni siano fenomeni complessi di natura spontanea, che richiedono un approccio non schiacciato su logiche di natura emergenziale, quanto piuttosto il rafforzamento di politiche di cittadinanza aperta e includente. Questa prospettiva necessita di alcune pre-condizioni, tra cui:

Se si prende come paradigma il circuito dei Centri di accoglienza comunale per i titolari di protezione internazionale, e si prova ad immaginare un nuovo modello, questo esercizio potrà essere trasferito non tanto negli esiti quanto nei processi, al circuito dei minori stranieri non accompagnati, dal momento che la progettualità sistemica può divenire laboratorio di pratiche sostenibili.

L’insieme degli interventi tutt’ora in vigore dovrà essere riorientato verso l’obiettivo generale di un sistema sociale che guarda alla promozione e alla velocizzazione dei processi di autonomia delle persone accolte. Sostenere tale mission richiede di innovare le modalità da cui prende il via il percorso stesso delle accoglienze. L’attuale criterio della gestione della richiesta di accoglienza, basata prevalentemente sulla raccolta degli elementi “anagrafici” del potenziale utente, deprivandola della storia distintiva, non è coerente con la nuova prospettiva.

L’analisi dei bisogni, la valutazione delle condizioni legali e la biografia personale, dovranno divenire, già a monte, patrimonio del sistema ed elementi d’interesse su cui co-definire un possibile percorso d’inserimento. Tale proposta, proprio perché guarda al singolo progetto migratorio, determinerà una differenziazione dell’offerta dei centri in una serie di misure progressive e personalizzate che potremmo definire di accoglienza primaria e di seconda accoglienza, articolata a sua volta in semi-autonomia e autonomia.

La specializzazione dell’offerta in termini di servizi diretti e indiretti risponde alla necessità di dotare la Città di un modello d’interventi che adatta la propria offerta all’evoluzione del progetto migratorio delle persona, guardando al contempo alla dinamicità dei flussi migratori che coinvolgono la comunità.

Dunque la centralità della persona e l’articolazione dell’offerta appaiono le misure fondanti di un nuovo sistema di servizi cittadini, sostenute dalla necessità di realizzare accordi di natura interistituzionale. Tali accordi dovranno definire una governance capace di coinvolgere e integrare politiche e interventi settoriali, chiamando in causa stakeholders che oggi restano spesso ai margini nei processi di presa in carico comunitario (ad esempio attori della formazione e del lavoro).

Ogni persona che transita in questo spazio promozionale sarà portatrice di risorse e di nuove responsabilità in un "contesto accogliente". Una strada che, se intrapresa, richiederà al Comune di confermare la centralità dell’accoglienza, rilanciare il ruolo storicizzato di meta di “secondo sbarco” e al contempo operare un credibile e responsabile ampliamento del “collo” d’uscita del sistema, attraverso una progettazione più mirata all’autonomia delle persone accolte.

La definizione di un modello così articolato deve confrontarsi con una profonda differenziazione di approccio nell’accesso ai servizi. Le persone adulte titolari di protezione internazionale si rivolgono ai servizi di accoglienza, in gran parte, con la sensazione di essere giunti al punto di arrivo di un tragitto dopo il percorso di fuga, un momento di bilancio del proprio progetto di vita e spesso di comprensibile appagamento.

Questo “spazio” necessita di una riconfigurazione dei servizi di accoglienza velocizzando, non riducendo, la tempistica necessaria per la ricostruzione post “viaggio”, in modo da procedere alla riattivazione delle motivazioni che hanno spinto a mettere in gioco la propria vita per raggiungere l’auspicata autonomia.

Questo approccio non necessita di risorse straordinarie, ma richiede di rimuovere le rigide logiche dei confini amministrativi, assumendo una nuova capacità di armonizzare e razionalizzare i programmi di spesa stabiliti con la logica “delle canne d’organo”; suoni sufficienti per una composizione semplice, ma inefficaci per un registro musicale complesso.

La nuova prospettiva contiene in sé la capacità di riequilibrare anche l’asimmetria relazionale, riposizionando il baricentro degli interventi sociali dall’esterno verso l’interno di un territorio. Un processo che valorizza le risorse endogene, permettendo al contempo di attrarre risorse esogene funzionali al suo sviluppo, trasformando di fatto la comunità da oggetto utente/fruitore a soggetto committente/beneficiario dei servizi promossi al suo interno.

Le proposte che seguono fanno parte dell’indice di quell’Agenda Civica che può essere "sfogliata" nelle due direzione per comprendere la dimensione del viaggio da realizzare e valutare le tappe eventualmente disattese. Alcuni dei punti dell’indice sono:

v     un sistema di monitoraggio e valutazione in grado di apprezzare la specificità delle azioni in relazione ad indicatori individuati a monte dal sistema istituzionale;

v     la creazione di un coordinamento interassessorile ed interdisciplinare in grado di programmare interventi sia di natura emergenziale che promozionale;

v     un più incisivo coinvolgimento dei beneficiari dei servizi nella gestione del progetto migratorio;

v     una maggiore partecipazione alla vita sociale delle organizzazioni di cittadini stranieri e delle comunità di riferimento, evitando le ghettizzazioni culturali;

v     progettualità mirate alle persone più vulnerabili che non sono in grado di partecipare a programmi di progressiva autonomia senza uno specifico e personalizzato sostegno di natura psicosociale.

 

Grafico 19 L'attuale modello di accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati

 

Grafico 20 Il nuovo sistema territoriale di accoglienza

E.5 Servizi per la salute e per le persone con disabilità e disagio psichico[51]

E.5.1 I bisogni di salute

Il tema delle condizioni di salute di una città è estremamente ampio. Qui resta ovviamente circoscritto ad alcuni temi che influenzano direttamente il sistema dei servizi e degli interventi sociali. Si accenna, in particolare, alla salute collettiva, alla prevenzione di comportamenti dannosi per la salute, ai bisogni sociali delle persone ammalate, con disabilità o con disagio mentale, ai servizi sociali e socio-sanitari attivati per queste categorie di cittadini.

La salute, un diritto sancito dalla Costituzione e dalle Convenzioni internazionali, ha una natura olistica e onnicomprensiva. I fattori sociali influenzano fortemente il godimento del diritto alla salute. Gli esperti concordano che esiste una relazione negativa tra scarsa salute e povertà. La povertà rappresenta la causa principale, diretta ed indiretta, di malessere, e la malattia aggrava lo stato di deprivazione economica e sociale della persona che ne è colpita.

Gli individui con uno stato di salute precario che vivono in condizioni di povertà, in assenza di adeguati interventi, sono destinati a permanere in un ciclo vizioso di esclusione. In generale, le persone con un basso titolo di studio presentano peggiori condizioni di salute, sia in termini di salute percepita, che di morbosità cronica.

La quota delle persone che dichiarano di stare male o molto male è molto più elevata tra quanti hanno conseguito al massimo la licenza elementare (16,7%) rispetto ai laureati e diplomati (2,5%). Soffrono di una patologia cronica grave l’8,2% delle persone con laurea o diploma e il 32,5% di quanti hanno al massimo la licenza elementare[52].

In questo contesto, i bisogni sociali connessi alla salute riguardano la città, non solo le persone ammalate, con disabilità fisiche e sensoriali o con problemi di disagio mentale. Riguardano la qualità della vita di tutta la popolazione ed in particolare dei gruppi più poveri, più deboli e a rischio di emarginazione.

Sinteticamente, si tratta dei seguenti bisogni:

ü     bisogno di informazioni corrette e tempestive in merito ai rischi per la salute, alle prestazioni esigibili, ai servizi sul territorio, alle procedure da attivare, agli eventuali costi per il cittadino, al consenso informato sui trattamenti sanitari nei casi previsti dalla legge;

ü     esigenza di vivere in un ambiente non inquinato, con aria respirabile, acqua non contaminata, rifiuti adeguatamente smaltiti e trattati;

ü     necessità di prevenire le conseguenze sulla salute dei fenomeni climatici più estremi, in particolare nei giorni più caldi e più freddi, soprattutto per le persone a rischio;

ü     bisogno di prevenire malattie determinate da mancanza di igiene ambientale e personale;

ü     necessità di uno stile di vita sano in relazione al cibo (obesità, bulimia, anoressia), all'alcol, alla vita sessuale, al fumo, all'attività fisica e sportiva;

ü     bisogno di sicurezza prevenzione degli incidenti in ambito domestico, lavorativo e stradale;

ü     possibilità di accesso ai servizi mediante una razionale ed equa distribuzione territoriale;

ü     opportunità di promuovere una cultura solidale nel settore della salute (ad es. mediante la donazione del sangue e degli organi);

ü     bisogno di semplicità nei percorsi di presa in carico del cittadino con problemi di salute da parte dei servizi sanitari e sociali, in particolare nel periodo post-ospedalizzazione;

ü     bisogno di continuità relazionale e assistenziale, anche al fine di consentire la permanenza nel proprio domicilio in tutti i casi in cui ciò sia possibile ed opportuno;

ü     bisogno di sostenere adeguatamente le famiglie e i care givers che si prendono cura di pazienti gravi e non autosufficienti, anche attraverso strutture di ospitalità transitoria.

La maggiore sfida per il welfare cittadino dei prossimi anni, in relazione ai bisogni di salute, è strettamente collegata al costante aumento della popolazione anziana, che comporterà una fortissima crescita delle malattie cronico-degenerative collegate all'età avanzata. In questo senso, si rimanda ai dati esposti nella sezione relativa alle dinamiche demografiche.

Sono comunque da considerare attentamente anche situazioni che in passato avevano creato un certo allarme sociale e che oggi rischiano di essere sottovalutate, come ad esempio la diffusione dell'AIDS. Al riguardo, il Servizio domiciliare malati di AIDS ha in carico più di 405 utenti, distribuiti su tutto il territorio cittadino. La maggior parte degli utenti presenta una doppia diagnosi che ostacola una corretta presa in carico da parte della ASL.

A differenza del servizio SAISH che non prevede utenza con problemi psichiatrici, il servizio AIDS include anche tale categoria, con notevoli difficoltà degli operatori domiciliari che si trovano da soli a gestire tossicodipendenti attivi, soggetti psichiatrici ecc.

E.5.2 Le persone con disabilità

Come per la malattia, anche per la disabilità si osserva una maggiore diffusione tra le persone di status sociale più basso, tra le quali la quota raggiunge complessivamente il 13,7% ,contro il 5,7% della popolazione di 25 anni e più, e ciò è vero in tutte le classi di età[53].

Non risulta però agevole reperire dati affidabili sulle persone con disabilità. L’Agenzia di Sanità Pubblica del Lazio stima tra i 35 e 50 mila il numero di persone disabili che vivono nella Regione. Sulla base di questi dati, a Roma le persone con disabilità sarebbero tra 20.000 e 26.000.

Ulteriori informazioni possono essere ottenute incrociando questi dati con quelli degli utenti raggiunti dai 52 Centri di riabilitazione accreditati in Regione nel 2007, che complessivamente hanno erogato trattamenti a 29.568 persone. Il 29,1 % degli utenti aveva un’età inferiore a 18 anni (9.640 casi), con una maggior frequenza di bambini di 6-11 anni (13,0%, in valore assoluto 4.289 minori) e il 36,4% rappresentato da persone con età superiore ai 65 anni.

La maggior parte sono stati oggetto di attività ambulatoriali individuali (15.218, pari al 51,47%); 8.908 (30,13%) di trattamenti domiciliari, 2.116 (7,16%) di interventi di tipo residenziale, 2.785 (9,42%) di interventi semiresidenziali, 541 (1,83%) di interventi ambulatoriali di gruppo.

Un ulteriore indicatore dei bisogni di assistenza delle persone disabili a Roma è quello relativo alla domanda di assistenza domiciliare rivolta ai servizi comunali nell'ambito del programma SAISH[54]. Come si evince dalla tabella seguente, nel 2008 gli utenti disabili assistiti o in attesa di assistenza erano 5.541, di cui 1.606 in lista d'attesa (29%)[55].

Circa il 24% del totale degli utenti erano minori, ma tale percentuale scende al 18,3% se si considerano solo gli utenti assistiti.

 

Tabella 19 Utenti con disabilità in assistenza SAISH o in lista d'attesa (2008)

Utenti disabili

Minori

Adulti

Totale

%

Utenti in assistenza diretta

678

2.686

3.364

85,5%

Utenti in assistenza indiretta

41

504

545

13,8%

Utenti in assistenza mista

1

25

26

0,7%

Totale utenti in assistenza

720

3.215

3.935

100%

%

18,3%

81,7%

100%

 

Utenti in lista d'attesa per assistenza diretta

586

861

1.447

90,1%

Utenti in lista d'attesa per assistenza in diretta

20

139

159

9,9%

Totale utenti in lista d'attesa

606

1.000

1.606

100%

%

37,7%

62,3%

100%

 

Utenti assistiti

720

3.215

3.935

71,0%

Utenti in lista d'attesa

606

1.000

1.606

29,0%

Totale utenti in assistenza e in attesa

1.326

4.215

5.541

100%

%

23,9%

76,1%

100%

 

 

Un ulteriore dato utile a stimare i bisogni di assistenza sociale delle persone con disabilità è quello degli alunni disabili iscritti negli Istituti scolastici. Come si può notare nella seguente tabella, si tratta di quasi 6.400 minori[56].

 

Tabella 20 N. alunni con disabilità iscritti nelle scuole di Roma (A.S. 2009-10)

Scuola dell’infanzia

Scuola Primaria

Scuola 2° Grado

Totale

403

3.941

2.047

6.391

 

Altri dati che riguardano gli utenti disabili nel Comune di Roma:

ü     355 utenti inseriti negli 11 centri diurni socio/sanitari (finanziati dal Comune su progetto ASL e gestiti dalle stesse);

ü     389 posti in 53 case famiglia (in lista d’attesa ci sono 496 persone);

ü     993 posti in RSA nel territorio romano (ai quali devono aggiungersi altri 2.543 posti in RSA distribuite nella Regione Lazio).

Le persone con disabilità sono portatrici di una serie di bisogni sociali che si sintetizzano nella possibilità di ridurre al minimo gli effetti negativi delle loro disfunzioni fisiche e sensoriali e dunque le limitazioni di opportunità rispetto a quelle della maggior parte della popolazione. Si tratta di bisogni collegati alla possibilità di condurre una vita sicura, serena e dignitosa, anche attraverso un'assistenza personalizzata; alla possibilità di un alloggio idoneo; all'acquisizione della massima autonomia possibile, anche attraverso l'utilizzo di ausili appropriati; alla partecipazione alla vita sociale e all'esercizio delle responsabilità civiche; all'accesso alle opportunità ludiche, culturali e sportive; all'accesso al lavoro e all'occupazione; all'esercizio del diritto all'istruzione.

Un bisogno particolarmente importante per le persone con disabilità è quello relativo alla mobilità, all'accessibilità delle strutture (assenza di barriere) e alla fruibilità dei mezzi di trasporto. Al riguardo, il Comune di Roma assicura i seguenti servizi:

·      Trambus abile. E' un servizio a chiamata con prenotazione, a disposizione delle persone con disabilità motorie e non vedenti gravi. L'accesso gratuito al servizio è autorizzato dal Dipartimento e viene assicurato per spostamenti legati a motivi di studio, di lavoro, di terapia riabilitativa e - con limitazioni - per attività sociali svolte presso enti. La gestione è curata da Trambus SpA, attraverso la Centrale Operativa “Trambus abile”. Prenotazione del servizio a chiamata, mediante un numero verde (800.469540), va effettuata un giorno prima della data in cui si necessita del servizio.

·      Mobility Card. E' un servizio a cura del Dipartimento (Del. Consiglio Comunale n. 25 del 16/02/2004) a disposizione delle persone con disabilità motorie e non vedenti gravi, sostitutivo dei “Buoni Taxi”, le cui autorizzazioni non vengono più rilasciate dal 1998. Il cittadino che ha ottenuto l´autorizzazione al servizio può utilizzare i taxi convenzionati servendosi della Mobility card prepagata. Nel 2009 1.403 utenti hanno ottenuto il servizio, ma più del doppio (2.949) sono in lista di attesa[57].

È da ricordare anche il servizio Amico bus, promosso e finanziato dalla Provincia di Roma. Si tratta di un servizio gratuito di trasporto a prenotazione e chiamata per trasferimenti da Roma ai comuni della Provincia, riservato a persone con grave handicap (documentato ai sensi della L. 104/92), con invalidità civile non inferiore al 74% (ai sensi della L. 181/71) o affette da cecità civile documentata non inferiore all’80% (ai sensi della L. 382/70).

Nell’ambito della disabilità si rileva non solo un'insufficiente e disomogenea distribuzione territoriale dei Centri diurni socio-riabilitativi per disabili gravi (il che comporta per gli utenti e i loro familiari spostamenti costosi e “faticosi”), ma anche un'insufficiente comunicazione tra le strutture ospedaliere e i servizi territoriali. Un problema spesso denunciato dai familiari riguarda conclusioni eccessivamente rapide del progetto riabilitativo per casi gravi e/o complessi.

Molti operatori sociali hanno segnalato la necessità di offrire sostegno e orientamento al nucleo familiare in presenza di un minore con disabilità al momento della nascita o comunque della diagnosi nel primo anno di vita.

L’attenzione nella fase puerperale e gli interventi di aiuto in questo periodo della vita di un nucleo familiare permetterebbero un intervento precoce sulla disabilità, con conseguente migliore risultato sul piano riabilitativo e ridurrebbero il disagio psichico dei familiari, contribuendo all’eliminazione o al contenimento dei disturbi psichiatrici che spesso si innestano su una situazione di disabilità per la persona e per la sua famiglia.

E.5.3 Le persone con disagio psichico

Nell’ambito del disagio mentale, oltre a problemi relativi al sostegno alla famiglia, alle condizioni dei trattamenti terapeutici e ai rischi di stigma sociale, si rilevano anche particolari bisogni di residenzialità.

Esistono inoltre problemi anche in merito all'inserimento lavorativo: insufficienza del numero degli inserimenti, mancanza di sostegno alle esperienze già avviate, difformità di soluzioni nel territorio cittadino, scarsa capacità di investimenti sulla cooperazione sociale di tipo B e l’impresa sociale, sostanziale inadeguatezza e mancata applicazione della L. 68/98 per le persone con disagio mentale, assenza di una figura strutturata di facilitatore nei tirocini per l’inserimento lavorativo.

A Roma sono oltre 30.000 le persone adulte con problemi di disagio mentale in carico ai Dipartimenti di Salute Mentale (DSM) delle ASL. Di seguito, si riportano i dati forniti dalle ASL[58]. Si tratta di persone con un età tra i 16-75 anni, che non comprendono perciò i minori, in carico presso altri servizi.

 

Tabella 21 N. cartelle aperte nei Centri di Salute Mentale al 31.12.2008

Municipio

N.

%

I

1.150

3,6

II

1.050

3,3

III

760

2,4

IV

1.540

4,9

V

2.638

8,3

VI

1.144

3,6

VII

1.869

5,9

VIII

2349

7,4

IX

828

2,6

X

2.436

7,7

XI

900

2,8

XII

1.106

3,5

XIII

2.639

8,3

XV

2.079

6,6

XVI

1.936

6,1

XVII

1.229

3,9

XVIII

1.636

5,2

XIX

2.193

6,9

XX

2.142

6,8

Totale

31.624

100

 

E.5.4 I punti di forza del sistema

Osservatorio permanente sull’accessibilità alle strutture comunali

Il progetto ha avuto inizio nell’autunno 2001 ed è il primo e unico nel suo genere in Italia e in Europa. Ha ricevuto importanti riconoscimenti e premi da esperti del settore[59] e nel 2005 ha contribuito a far riconoscere la città di Roma come uno dei migliori comuni italiani in termini di accessibilità, ricevendo il “Premio FIABA ai comuni italiani”. Il progetto consiste nella realizzazione di una banca dati telematica (www.comune.roma.it/accacomune/osservatorio) utilizzabile dai cittadini o dai turisti con esigenze speciali per poter organizzare i propri spostamenti in città o dai tecnici del Comune per pianificare nel tempo gli interventi volti all’abbattimento delle barriere architettoniche.

L’Osservatorio si compone di una serie di schede, una per ogni area (asse stradale, infrastruttura ed edificio censito) e di alcune mappe tematiche della città. Le schede relative agli edifici di maggior interesse sono collegate alle mappe tematiche e richiamabili dalle mappe stesse, in modo tale da avere un quadro complessivo dell’accessibilità nella città. Attualmente sono state rilevate e descritte più di 3.600 strutture.

Il programma "Città Sane"

La salute dei cittadini è fortemente determinata dalle condizioni di vita e di lavoro, dalla qualità dell’ambiente fisico e socio-economico, dalla qualità dei servizi della salute e dalla loro accessibilità. Il programma “Città sane”, avviato nel 1999, ha promosso diverse iniziative per intervenire sui problemi legati alla salute quali la povertà, l’inquinamento e lo sviluppo sostenibile, gli stili e le condizioni di vita, tenendo conto dei bisogni particolari dei gruppi più deboli. Le priorità dei progetti realizzati nell'ambito del programma “Città sane” riguardano la promozione della salute e la prevenzione della malattia.

Il programma prevede l’implementazione di interventi che tengono conto di tutte le componenti della vita: salute, ambiente, aspetti socioeconomici, integrazione tra culture. Nell’ambito dei progetti avviati nell’ambito del programma “Città Sane”, si possono citare il progetto di mediazione culturale ed interpretariato; il progetto di intervento nei campi rom ubicati nei vari distretti; il progetto “Tutela della maternità”; i progetti rivolti alla popolazione scolastica; i progetti rivolti alla prevenzione della morte cardiaca; le azioni di orientamento per i malati oncologici e le loro famiglie; la campagna di comunicazione per la promozione della cultura della donazione degli organi, in collaborazione con le Associazioni del settore.

Servizio per l’Autonomia e l’Integrazione Sociale della persona disabile (SAISH)

Si tratta di un servizio socio-assistenziale gestito in modo integrato dai Municipi e dalle ASL. Prevede l’elaborazione di un progetto personalizzato d’intervento (con attività individuali e di gruppo) che ha come obiettivo lo sviluppo e il mantenimento dell’autosufficienza, dell’autonomia e dell’integrazione sociale della persona nei limiti delle condizioni personali.

Il servizio può essere attivato nella forma diretta, indiretta o mista. Nella forma diretta attraverso la libera scelta di un Ente Gestore che con suoi operatori attuerà il progetto personalizzato che potrà essere articolato in interventi individuali e/o di gruppo. Nella forma indiretta attraverso l’assunzione di un assistente personale da parte dell’interessato o della sua famiglia esclusivamente per gli interventi riferiti al superamento di stati di non autosufficienza. Nella forma mista attraverso un insieme delle due forme (diretta e indiretta).

Laboratorio teatrale “Piero Gabrielli”

Il progetto, promosso dal Comune di Roma, Dipartimento per la Promozione dei servizi sociali e della Salute (U.O. Disabilità e Salute mentale), dal Teatro di Roma e dall'Ufficio Scolastico Regionale, si rivolge a studenti provenienti da Istituti Scolastici di diverso ordine e grado, con e senza disabilità. Le finalità sono:

·      favorire l’inclusione scolastica attraverso l’utilizzo di mezzi comunicativi propri dell’attività teatrale, con una metodologia originale del “Piero Gabrielli”;

·      favorire e supportare il cambiamento sia nel gruppo che nella singola persona oltre che in tutto il sistema scolastico;

·      offrire pari opportunità agli studenti attraverso attività non competitive, che permettono a ciascuno di esprimere pienamente sé stesso recuperando le residue capacità;

·      valorizzare le risorse degli operatori della scuola, del teatro e dei servizi, le loro professionalità ed esperienze pregresse.

Nell’anno scolastico 2008-2009 sono stati realizzati 33 laboratori in 17 scuole, a cui hanno partecipato 945 allievi. Il progetto è inserito quale “buona prassi” nel progetto europeo Disability and Social Exclusion promosso da West (Welfare–Società-Territorio) e IAS (Istituto Affari Sociali)[60].

Assegnazione budget per assistenza personale indiretta

Il “sistema vita indipendente” consente agli utenti inseriti nell’assistenza indiretta e che necessitano di interventi risolutori per la loro autonomia, di utilizzare, nello stesso mese di riferimento del servizio, il fondo concordato nel “piano personalizzato” di assistenza senza dover anticipare le somme necessarie per il pagamento delle competenze al personale di assistenza.

Il Municipio valuta l’accesso al servizio dell’utente, definisce il “budget”, mette a disposizione i fondi, controlla la qualità del servizio e della documentazione giustificativa delle spese. Infine trasmette alla U.O. Disabilità e Salute Mentale del Dipartimento i documenti necessari. Il Dipartimento provvede alla predisposizione degli atti amministrativi necessari all’impegno dei fondi e trasmette all’Istituto di credito le istruzioni in merito all'accesso diretto delle risorse assegnate da parte dei singoli utenti.

Valutazione della qualità della vita nelle strutture residenziali

Il Comune di Roma, nell’ambito del Progetto “Residenzialità per cittadini disabili”, si è dotato di uno strumento di valutazione del Servizio denominato M.A.V.S. (Modello Attivo di Valutazione delle Strutture). Questo modello si caratterizza come un sistema di valutazione partecipato e ha come presupposto l’assunto che la valutazione sia un atto collettivo, uno spazio strutturato per riflettere sul lavoro svolto, un momento di crescita professionale e di apprendimento che attiva processi di miglioramento della qualità del servizio.

Gli strumenti operativi scaturiti da questo modello, attualmente in uso in tutte le strutture coinvolte nel Progetto, scaturiscono dall’esame delle aree che si ritengono più significative per la valutazione della qualità e che richiedono pertanto un monitoraggio attento e costante: la struttura; le risorse umane, il coordinamento, la programmazione, il protagonismo degli ospiti, le attività realizzate, la rilevazione della soddisfazione del servizio.

Progetto “Residenzialità”

Si tratta di un servizio socio-assistenziale istituito ai sensi della L. R. n. 41/03, gestito dal Dipartimento Promozione dei servizi sociali e della Salute. Offre una soluzione alternativa all’istituzionalizzazione, in quei casi in cui il distacco dal nucleo familiare d’origine non può avvenire in modo autonomo. E’ un servizio rivolto ad adulti residenti nel Comune di Roma con disabilità fisiche, psichiche e/o sensoriali con diversi gradi di autonomia e autosufficienza, ma che non necessitano di assistenza sanitaria di tipo continuativo e non sono in età pensionabile.

Le strutture residenziali appartengono alla tipologia “civile abitazione”. Ciò significa che, nel rispetto dei requisiti previsti, sono realizzate per rispondere alle esigenze di piccoli gruppi di ospiti in un clima che si avvicini il più possibile a quello familiare. La gestione diretta è affidata a soggetti del privato sociale che hanno ricevuto dall’Amministrazione Comunale l’autorizza­zione all’apertura e al funzionamento, secondo requisiti stabiliti dalle normative regionali. Le attività previste all’interno delle strutture privilegiano interventi di tipo socio-educativo e relazionale, volti al mantenimento e allo sviluppo della rete sociale di riferimento. Un sistema di valutazione garantisce la buona qualità della vita delle persone residenti.

Progetto “Filippide”

Si tratta di un progetto finanziato dal Comune di Roma, proposto e realizzato dall’Associazione Sportiva Dilettantistica Sport e Società. Le attività sportive, che si svolgono da ottobre a giugno presso la piscina e gli impianti dell’Acquacetosa, comprendono nuoto e atletica leggera. Sono rivolte a disabili con ritardo mentale grave o gravissimo (prevalentemente Sindrome Autistica).

Nell’anno 2009/2010 sono iscritti alle attività sportive 60 persone disabili di diverse fasce d’età: piccolissimi (fino a 10 anni) e adolescenti (da 10 a 18 anni) con corsi di nuoto, giovani e adulti con corsi di nuoto o attività di atletica.

L’iniziativa nasce dalla convinzione che lo sport in generale e i processi che coinvolgono la partecipazione ad un evento sportivo possono costituire un utile strumento per favorire e rafforzare l’autonomia delle persone disabili, offrendo inoltre un valido sostegno alle famiglie degli atleti.

E.5.5 Elementi di criticità e nodi da sciogliere

Nella ricognizione del sistema dei servizi sono state rilevate in questo settore alcune criticità che vengono qui presentate in maniera sintetica. In generale si rileva soprattutto una diffusa mancanza di comunicazione tra le strutture ospedaliere e i servizi territoriali.

Più specificatamente, nell’ambito della disabilità, si osservano i seguenti problemi:

·      carenza di interventi di orientamento e sostegno al nucleo familiare in presenza di un minore disabile al momento della nascita o comunque della diagnosi nel primo anno di vita;

·      insufficienza da parte della scuola nell'affrontare “i bisogni educativi speciali” degli alunni in modo personalizzato, con l'utilizzo spesso inappropriato del personale di assistenza educativa culturale (AEC);

·      carenza di Centri diurni socio-riabilitativi a forte integrazione socio-sanitaria per disabili gravi e disomogenea distribuzione territoriale di quelli esistenti;

·      criticità collegate con il SAISH: informazione insufficiente alle famiglie in ordine a ciò che effettivamente il servizio è chiamato ad offrire; difformità nelle modalità di accesso tra diversi Municipi; scarso investimento su progetti di gruppo; risorse insufficienti per l’assistenza alla persona in alcuni territori e mancanza di integrazione tra assistenza personale e servizi sanitari domiciliari (C.A.D.); macchinosità nella predisposizione del progetto personalizzato; mancanza di sistemi valutativi sugli esiti dell’intervento;

·      criticità collegate agli interventi residenziali: difficile gestione della distinzione tra residenze socio/assistenziali e socio/sanitarie; carenza di progetti finalizzati alla residenzialità per persone con disabilità parzialmente autonome e autosufficienti (sul tipo di Gruppi Appartamento); carenza di strutture residenziali a carattere socio-sanitario per persone con assenza di autonomia intellettiva, non autosufficienti e pluriminorate; assenza di strutture residenziali per persone con disabilità fisiche;

·      mancanza di un sistema a rete per l’inclusione lavorativa e quindi insufficienza ed esito per lo più fallimentare degli inserimenti lavorativi;

·      carenza, inefficienza e costo elevato dei servizi di trasporto per disabili;

·      impossibilità per i disabili in età di pensione di partecipare ai soggiorni estivi.

Più specificatamente, nell’ambito del disagio psichico:

·      carenza di appartamenti pubblici (ERP o da beni immobili confiscati alla mafia) da assegnare a cittadini con disagio mentale;

·      carenza di adeguate risorse economiche per l’incremento di nuovi appartamenti, nonché di adeguate risorse umane per il sostegno agli ospiti degli appartamenti già avviati e il potenziamento di nuove esperienze;

·      scarsa capacità di investimenti sulla cooperazione sociale di tipo B e l’impresa sociale[61];

·      sostanziale inadeguatezza e mancata applicazione della Lg. 68/98 per le persone sofferenti mentali;

·      insufficienza del numero degli inserimenti lavorativi rispetto al bisogno e alle potenzialità degli utenti, nonché assenza di una figura strutturata di facilitatore nei tirocini per l’inserimento lavorativo;

·      disparità di risposta dei Municipi negli interventi di sostegno alla persona: le esperienze in corso in alcuni Municipi hanno riportato risultati positivi in termini di miglioramento di qualità della vita e come antidiscriminante nei confronti della salute mentale.

E.5.6 Un nuovo approccio alla disabilità

Un diverso approccio alla disabilità, o meglio alle disabilità, significa accettare le differenze di identità personali, uscendo da rappresentazioni che riducono la disabilità al deficit, alla riabilitazione e ad un’azione educativa essenzialmente compensativa. Due strumenti inducono ad intraprendere con decisione questo nuovo percorso.

Il primo strumento è una nuova legge, la n. 18 del 3 marzo 2009, che ratifica la Convenzione sui diritti delle persone con disabilità, approvata dall’ONU il 13 dicembre 2006. La Convenzione, oltre al notevole valore giuridico di diritto internazionale, opera un forte cambiamento culturale, poiché abbandona la vecchia logica che considerava le persone con disabilità una categoria sociale separata e bisognosa di provvedimenti speciali e adotta un nuovo paradigma, per cui i diritti della persona con disabilità sono semplicemente i diritti di tutte le persone.

Un approccio, quindi, che sancisce l’universalità, l’individualità, l’interdipendenza e interrelazione di tutti i diritti umani e libertà fondamentali e la necessità di garantirne il pieno godimento da parte delle persone con disabilità senza discriminazioni (Preambolo lett. c).

Un tale cambiamento culturale esige, in un’ottica di mainstreaming, l’integrazione della prospettiva “disabilità” in tutti gli interventi delle pubbliche amministrazioni. Le politiche sulle disabilità dovrebbero trasformarsi così da "politiche speciali" a "politiche generali", superando l'approccio meramente medico/sanitario.

Il secondo strumento è la nuova “Classificazione Internazione del Funzionamento, della disabilità e della Salute” (ICF) emanata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. La situazione attuale riscontra una pluralità di forme/modalità di accertamento derivante dalle diverse norme (invalidità civile, sordità, cecità, condizione di handicap, ai fini dell’inserimento lavorativo, non autosufficienza…), per cui si hanno certificazioni/sistemi di valutazione diversi e non compatibili.

L’OMS nell’ICF propone di arrivare all’accertamento della condizione di disabilità attraverso un approccio bio-psico-sociale. Secondo l’ICF lo stato di disabilità è il risultato di un’interazione tra menomazione, limitazioni e restrizioni delle attività e barriere ambientali. In tal senso si parla di condizione multidimensionale, attraverso la triplice declinazione fisica, sociale e ambientale.

Una valutazione condivisa della condizione di disabilità, adottata da tutti i soggetti istituzionali, potrebbe favorire il superamento della separatezza tra sociale e sanitario, in modo da pervenire ad una progressiva unificazione dei diversi procedimenti di accertamento vigenti anche in altri settori (scuola, lavoro, ecc.).

Il nuovo approccio esige perciò un profondo ripensamento dei rapporti tra i servizi sociali e quelli sanitari. Anche in questo settore si pone dunque l'esigenza di una vera e strutturale integrazione socio-sanitaria, un proposito più volte e da tempo annunciato, ma che non si è ancora concretizzato.

La costruzione di un interfaccia unica del sistema di welfare nei confronti delle persone con disabilità può assicurare una “presa in carico” integrata e una risposta progettuale adatta alle condizioni della persona. A livello locale si potrebbero ricomporre le molteplici risorse oggi frammentate in tanti rivoli, mediante un sistema di welfare centrato sulla persona con disabilità e sulla sua famiglia.

Se questo obiettivo sarà raggiunto in un grado accettabile, il cittadino non sarà più costretto al giro dell’oca dell’assistenza è sarà sollevato dalla fatica di ricomporre la frammentazione anacronistica e dispendiosa degli interventi, che a volte risulta di difficile gestione per gli stessi operatori.

E.5.7 Spunti operativi

Promozione della salute

-       promuovere la salute in tutte le tappe evolutive della persona con campagne di sensibilizzazione e percorsi educativi sul valore della salute, sulla prevenzione di alcune malattie croniche (HIV), sulla importanza della lotta alla obesità, alla bulimia e all'anoressia;

-       sviluppare servizi di sollievo alle famiglie con pazienti gravi, attraverso micro strutture di ospitalità transitoria che permettano alle famiglie di attrezzare la casa per ospitare il paziente cronico e assumere le nozioni base per la gestione domestica del paziente cronicizzato;

-       promuovere nuove iniziative finalizzate alla sicurezza sui luoghi di lavoro.

Nascita di bambini con disabilità

-       promuovere intese per un’azione integrata tra ospedale e servizi territoriali al momento della nascita di un bambino con disabilità; gli interventi di aiuto in questo periodo della vita di un nucleo familiare permetterebbero un intervento precoce sulla disabilità, con conseguente migliore risultato sul piano riabilitativo, ridurrebbero il disagio psichico dei familiari, contribuirebbero all’eliminazione o al contenimento dei disturbi psichiatrici (per la persona e per la sua famiglia) che spesso si innestano su una situazione di disabilità;

-       definire protocolli operativi tra ospedale (e luogo del parto) e servizio territoriale, al fine di garantire una presenza del servizio già al momento della comunicazione della diagnosi e la messa in atto, in accordo con la famiglia, di un primo progetto di presa in carico che affianchi concretamente la famiglia nella difficile gestione di problemi complessi che possono segnarla profondamente e determinare diversi esiti per il futuro del bambino e per la famiglia.

Inclusione scolastica

-       adottare le misure necessarie a sostenere la mission della scuola in relazione all'integrazione scolastica per lo sviluppo delle potenzialità della persona con disabilità nell’apprendimento, nella comunicazione, nelle relazioni e nella socializzazione” (L. 104/92 art. 12 c.3);

-       programmare gli interventi in modo condiviso tra Ente Locale, ASL e Scuola: analisi dei contesti, definizione delle risorse necessarie, determinazione del gestore del progetto, del valutatore e del controllo;

-       definire i compiti, il profilo professionale e il contesto operativo degli AEC e delle altre figure d’assistenza presenti nella scuola;

-       differenziare l’intervento necessario per bambini con disabilità e bambini che necessitano di interventi educativi specifici;

-       programmare in modo adeguato l'uscita dal percorso scolastico, nel rispetto dal progetto personalizzato, valutando potenzialità e difficoltà.

Servizio SAISH

-       standardizzare i sistemi di valutazione e le procedure di accesso in tutti i Municipi;

-       assicurare un’informazione più approfondita per la definizione del progetto personalizzato;

-       eliminare le liste di attesa, anche mediante forme innovative di intervento;

-       prevedere una gestione straordinaria in caso di emergenze (aggravamento temporaneo ed improvviso, indisponibilità dei familiari per un ricovero del genitore, la nascita di un altro figlio, un lutto etc.) con interventi mirati e immediati.

Residenzialità

-       realizzare strutture da collocare in un continuum di programmi di bassa intensità sanitaria e prevalente assistenza socio-educativa, fino a strutture in grado di offrire programmi ad alta intensità di assistenza sanitaria e socio-sanitaria;

-       favorire misure differenziate a seconda delle differenti situazioni di vita delle persone, che comprendano anche alloggi senza barriere architettoniche nelle case di edilizia popolare;

-       sviluppare, in collaborazione con i DSM, i progetti integrati di “residenzialità” per i cittadini con disagio mentale che hanno raggiunto un sufficiente grado di autonomia e che hanno una discreta possibilità di sperimentarsi in ambiti di vita normali (strutture personalizzate in appartamenti di civile abitazione, nuove residenze, possibilmente nel quartiere di origine della persona, in modo da mantenere i propri riferimenti, strutture residenziali socio-riabilitative a bassa intensità assistenziale e socio-sanitaria);

-       incrementare il fondo specifico per il sostegno all’abitare per i cittadini con disagio mentale inseriti in percorsi di cura semiresidenziali o al termine di percorsi di cura residenziali, che hanno sviluppato una sufficiente autonomia.

Inserimento lavorativo

-       progettare percorsi di inserimento personalizzati sulla base delle competenze di ogni persona, adottando misure di attenzione alle diverse condizioni di disabilità e/o disagio mentale;

-       potenziare l’offerta formativa per le persone con disabilità e/o con disagio mentale, con garanzia di accessibilità anche alle nuove tecnologie;

-       istituire in ogni Municipio il Servizio per l’integrazione lavorativa (SIL) in rete tra Provincia, Dipartimenti comunali e organismi di Terzo settore;

-       promuovere percorsi formativi e di inserimento lavorativo in contesti “protetti”, con il supporto di tutor;

-       prevedere un “patto di solidarietà” tra le Istituzioni e le Aziende profit, per le persone che beneficiano del lavoro come strumento di integrazione sociale, ma che non sono in grado di sostenere un inserimento lavorativo tradizionale, mediante forme giuridiche e modalità di svolgimento flessibili e prive di vincoli temporali;

-       sostenere l'attuazione alla Deliberazione n. 124 della Giunta Comunale del 23.04.2009 per la creazione di un elenco speciale di Cooperative Sociali tipo B, che riserva almeno il 5% (quota/anno) delle forniture di beni e servizi da destinare alle cooperative di cui sopra;

-       sviluppare un piano d'azione congiunto sull'inserimento lavorativo delle persone con disabilità e/o con disagio mentale tra i Dipartimenti che si occupano dei servizi sociali, della formazione e del lavoro, in collaborazione con i Municipi, i Centri per l’impiego, la Cooperazione Sociale, l'Associazionismo di utenti e familiari, le Parti sociali;

-       promuovere imprese sociali integrate (fattorie sociali a valenza riabilitativa e inclusiva, laboratori artigiani integrati, cooperative sociali integrate tipo B, ecc.).

Altre proposte

-       decentrare il Servizio domiciliare malati di AIDS, per consentire agli operatori sociali municipali di elaborare, congiuntamente con gli operatori socio-sanitari, un piano di intervento globale e non frazionato (per l’utente verrebbe compilata soltanto una cartella sociale presso il servizio sociale);

-       rendere progressivamente accessibili e fruibili alle persone con disabilità tutti i mezzi di trasporto pubblico;

-       dare la possibilità a persone con disabilità di partecipare ai soggiorni per anziani, anche prevedendo il personale d’assistenza necessario;

-       realizzare interventi a sostegno delle persone con disagio mentale per favorire la permanenza nella propria abitazione e nel proprio ambiente sociale.

E.6 Servizi e interventi per le famiglie[62]

E.6.1 I bisogni sociali delle famiglie

Le famiglie, nucleo fondamentale della società (articoli 29, 30 e 31 della Carta Costituzionale), oggi appaiono notevolmente diversificate per tipologia e condizioni di vita. La famiglia sta infatti partecipando alle molte transizioni che coinvolgono la realtà contemporanea. Le famiglie però, pur nella loro varietà, hanno tutte un elemento comune: la condivisione di un progetto di vita, in cui i membri, all'interno di un intenso scambio di relazioni, sono considerati nella loro identità e sono tutelati all'interno di una rete affettiva di mutuo sostegno.

La famiglia è la principale risorsa del welfare: se accompagnata da adeguate politiche di sostegno, può rendere tangibile il principio di sussidiarietà. Famiglie sane e unite donano alla società persone forti e responsabili, in grado di partecipare alla vita sociale in modo attivo consapevole.

Il nuovo Piano Regolatore Sociale è chiamato a pianificare un sistema di servizi sociali integrato con gli interventi in favore delle famiglie. Questi non si possono esaurire in risposte circostanziate a singole necessità o a situazioni di emergenza assistenziale. La famiglia va considerata nei diversi ambiti della vita quotidiana e sociale: nel rapporto tra vita familiare e lavoro, nella conciliazione tra esigenze di cura e tempo libero, nell’esercizio delle responsabilità genitoriali e filiali, nella vita associativa, che comporta anche l'associazionismo familiare.

Dall'analisi dei dati demografici che sono stati riportati nella prima parte, si possono evincere le "radici" della debolezza sociale delle famiglie. Risalta soprattutto la crescente fragilità e instabilità della convivenza familiare. A fronte di una certa "tenuta" del numero dei matrimoni celebrati (in cui si registra un costante aumento dell'incidenza del rito civile rispetto a quello religioso), aumentano le separazioni e i divorzi. L'indebolimento della famiglia genera, a sua volta, problemi di tipo socio-economico, non solo per le spese connesse alla rottura del vincolo matrimoniale, ma anche a causa dell'aumento dei costi della vita derivanti dalla separazione, che in alcuni casi può condurre rapidamente a condizioni di rischio e di povertà uno o più membri.

Esiste anche un problema relativo alle difficoltà e alla posticipazione della formazione delle nuove famiglie. L'età degli sposi al primo matrimonio è in continua ascesa. Per le donne è di circa 30 anni e per gli uomini qualche anno in più. Questo dato è collegato non solo alle difficoltà dei giovani nell'acquisire la necessaria autonomia lavorativa e abitativa, ma anche a fattori di tipo culturale. Le nuove famiglie, in linea con l'aumento dell'incidenza della popolazione straniera, sono sempre più "miste". Il numero di nozze dove almeno uno degli sposi è straniero si è elevato in modo significativo negli ultimi 10 anni.

Tutto ciò comporta bisogni specifici delle famiglie[63], che si traduce nella necessità di un sostegno sociale mirato:

ü     alla formazione di nuovi nuclei familiari, mediante misure di incentivazione dell'autonomia delle giovani coppie;

ü     alla stabilità del matrimonio, attraverso servizi di consulenza e mediazione familiare;

ü     al sostegno della natalità, con interventi di affiancamento nel periodo perinatale[64] e di sgravi economici proporzionati al numero dei figli;

ü     allo sviluppo delle competenze e delle responsabilità genitoriali, in particolare nei confronti dei figli pre-adolescenti e adolescenti;

ü     alla possibilità di conciliare i tempi dedicati al lavoro con le esigenze della vita familiare e della cura dei suoi membri più deboli;

ü     all'inclusione sociale delle famiglie straniere, nel rispetto delle culture di provenienza, purché in armonia con i valori definiti nella normativa italiana;

ü     all'autonomia economica delle famiglie più fragili e a maggiore rischio di povertà.

E.6.2 I servizi e gli interventi sociali per le famiglie

Il Comune di Roma da alcuni anni ha sviluppato una serie di interventi che hanno come destinatari diretti le famiglie. In questa sede, senza alcuna pretesa di esaustività, si presenta un quadro dei principali interventi a carattere socio-assistenziale attivati dai Municipi e dal Dipartimento per la promozione dei servizi sociali e della salute[65].

Bonus per le spese di affitto.

Si tratta dell'erogazione di contributi economici transitori al nucleo familiare in difficoltà abitativa a seguito di una sentenza di sfratto e avente un reddito non superiore a 11.362 euro, come ausilio nel pagamento del canone d'affitto di un nuovo alloggio privato (Del. C.C. 163/1998). Il Comune pubblica annualmente il bando per accedere ai "buoni casa", che permettono ai beneficiari di usufruire di un'integrazione economica per il pagamento dell’affitto. I requisiti sono: residenza nel Comune di Roma e nell’alloggio per l'affitto del quale è richiesto il contributo; non beneficiare di altre provvidenze finalizzate al pagamento del canone di locazione; limiti di reddito definiti annualmente e calcolati sulla base dell'ISEE, non essere assegnatari di immobili di Edilizia Residenziale Pubblica e conduttori di immobili ad uso abitativo di proprietà del Comune, né conduttori di alloggi appartenenti alle categorie catastali A1 e A7 – A8 – A9; non possedere beni immobiliari in proprietà e/o in usufrutto di valore complessivo superiore a 100.000 euro.

Agevolazioni per il pagamento della tariffa sui rifiuti.

Riduzione annua di 90 euro per il nucleo familiare che non possiede quote di immobili nell'intero territorio nazionale superiori complessivamente ad un valore calcolato ai fini dell'ICI di 25.822,84 euro (piena proprietà, usufrutto, diritto di abitazione, contratto di comodato). Esenzioni e facilitazioni sono previste per nuclei familiari composti da anziani con bassi redditi.

Contributo "una tantum" per il pagamento del gas.

Contributo straordinario per i nuclei familiari a basso reddito, finalizzati al pagamento delle utenze del gas in caso di consumo elevato; sostituzione caldaia; adeguamento alle norme sulla corretta tenuta delle caldaie; nuovi posizionamenti e sostituzioni delle caldaie (D.G.C. 672/05).

Centro per la famiglia.

I Centri per la famiglia sono presenti in gran parte dei Municipi per offrire un sostegno alle famiglie nei percorsi della vita quotidiana e nell’affrontare i piccoli e grandi problemi che si incontrano nell’allevare e nell’educare i figli. In alcuni Centri sono attivi anche servizi di mediazione familiare e spazi per gli incontri protetti dei figli con i genitori non affidatario.

Accoglienza in strutture residenziali: nuclei “madre-figli”.

Il servizio è finalizzato all’accoglienza di madri sole con uno o più figli minorenni e di gestanti in condizione di grave disagio abitativo e prive di una rete di supporto familiare e sociale. Il servizio prevede diversi livelli di accoglienza, allo scopo di favorire l’autonomia delle persone, in vista della loro dimissione dal circuito assistenziale.

 

Tabella 22 Nuclei madri-bambino assistiti. Dati annuali (media periodo 2006-2008[66])

 

N.

Nuclei madre-bambino assistiti in strutture di 2° livello

73

Bambini assistiti insieme con la loro madre

95

Totale persone assistite

168

 

Assegni di maternità/nucleo familiare (Legge 448/98).

L’assegno di maternità è un contributo economico mensile erogato dall'INPS alle madri che hanno partorito, adottato o ricevuto in affidamento preadottivo un bambino. Può essere richiesto da donne residenti nel Comune di Roma, cittadine italiane, comunitarie o extracomunitarie in possesso della carta di soggiorno o dello Status di Rifugiato politico. Le richiedenti devono possedere un reddito complessivo non superiore ad un certo valore ISEE; non avere copertura previdenziale o avere una copertura inferiore a un determinato importo il cui ammontare è determinato annualmente; non beneficiare dell'assegno di maternità previsto dalla Legge 488/99.

Assegno al Nucleo Familiare.

E' un contributo economico mensile erogato dall'INPS per tredici mensilità ai nuclei familiari in cui sono presenti tre o più figli minori. Può essere richiesto da cittadini italiani e comunitari residenti nel Comune di Roma con tre o più figli di età inferiore a 18 anni. Per ottenere l'assegno è necessario avere un reddito complessivo non superiore ad un determinato importo ISEE.

La "Carta Bimbo/a"

È un'iniziativa dell'Assessorato per la promozione dei servizi sociali e della salute, dedicato alle neo-mamme per il primo anno di vita dei loro bimbi, che offre sconti su latte e pannolini, un tutor dedicato e altre agevolazioni. La Carta è distribuita nelle strutture ospedaliere che hanno aderito all'iniziativa, mettendo a disposizione personale qualificato che affianca le neo-mamme fornendo supporto e informazioni. Può essere richiesta anche tramite il numero verde 800.200.105 o attraverso il sito www.cartabimbo.it. I vantaggi sono diversi:

ü    una capacità di spesa di 300 euro (fino a 7.000 euro sui panieri delle Farmacie comunali);

ü    sconti del 30% su prodotti per la prima infanzia e del 20% su prodotti accessori in tutte le farmacie comunali, nonché sconti del 10% in tutti in negozi per l'infanzia convenzionati;

ü    uno sconto medio del 30% nelle 62 farmacie del Gruppo "+ Bene" su un paniere di prodotti di consumo per una spesa massima annua di 2mila euro;

ü    20.000 carnet di buoni sconto per l'acquisto di prodotti per la prima infanzia nei punti vendita del Gruppo Carrefour;

ü    copertura di alcuni servizi sanitari di emergenza (assistenza telefonica 24h su 24 e visite domiciliari di un ginecologo e un pediatra, consegna di medicinali urgenti, viaggio del bambino in caso di intervento sanitario all'estero, assistenza telefonica di un'ostetrica e un corso sulla disostruzione delle vie aeree del lattante);

ü    possibilità di accedere al microcredito richiedendo finanziamenti fino a 2.000 euro restituibili in 36 rate a un tasso agevolato.

Casa dei papà

E' una vera e propria "Casa" che per la prima volta a Roma accoglierà i papà separati, temporaneamente in difficoltà economica, residenti sul territorio capitolino. Il progetto, realizzato dall'Assessorato Promozione dei Servizi Sociali e della Salute, dà la possibilità ai papà separati di permanere per un periodo massimo di 12 mesi in una struttura a loro dedicata. La Casa può ospitare fino a 20 papà che potranno incontrare i loro figli, anche minori, condividendo con loro momenti quotidiani simili a quelli vissuti in ambito domestico. Con un contributo di 200 euro al mese, i papà possono usufruire di appartamentini con angolo cottura, camera da letto, saloncino con televisore, bagno arredato dotato di lavatrice, oltre a spazi dedicati alle attività ludico ricreative e aree verdi attrezzate. I papà interessati possono far pervenire la richiesta agli uffici del Municipio di residenza che, a loro volta, inviano la documentazione all'Unità Organizzativa preposta del Dipartimento Promozione dei Servizi Sociali e della Salute.

E.6.3 Una strategia per la famiglia[67]

Accanto ai diritti dei singoli “nella” famiglia, ci sono anche i diritti “della” famiglia, sanciti costituzionalmente. Il primo diritto è quello a nascere e ad esistere “in quanto famiglia”. Senza questa evidenza, non sarebbe possibile, ad esempio, tutelare il diritto dei figli a crescere in una famiglia[68]. Questa constatazione evidenzia la necessità di considerare non solo le aspirazioni dei singoli individui, ma anche il bene “relazionale” e ambientale, che si caratterizza nella famiglia come “bene comune” dell'intera società.

Le “politiche familiari” possono essere intese in una doppia accezione: possono rimandare alla famiglia intesa come risorsa della comunità locale, ma possono far riferimento anche alle famiglie “problema”, che devono essere sostenute con interventi che le aiutino a superare le loro difficoltà. In questo caso si pensa soprattutto alle famiglie più povere, fragili, che vivono in situazioni di disagio. In questo secondo caso, diventa facile uno “scivolamento” verso una identificazione “tout court” delle politiche familiari con le politiche sociali. Certo, le politiche per la famiglia sono anche politiche di contrasto al disagio e alla povertà. Ma non sono solo questo, e una loro sovrapposizione è improponibile.

È necessario partire dal fatto che le famiglie non sono, in primo luogo, "oggetto" di intervento, ma soggetto attivo delle politiche di sviluppo della città. Una convinzione che parte dal riconoscimento della sua rilevanza sociale, del suo essere e produrre “capitale sociale”.

La famiglia è luogo educativo di cittadinanza, spazio privilegiato dell’agire delle persone, in cui si sperimenta l’equilibrio tra libertà individuale e regole condivise di sana convivenza. Tra la famiglia e la società esiste un “patto” primario, non scritto, precedente a tutte le formazioni istituzionali. Per questo motivo la famiglia non può essere colta solo come luogo di relazioni di carattere privato, ma deve essere riconosciuta come soggetto pubblico, in cui nascono e crescono i rapporti solidali tra i generi e tra le generazioni, fondamento di ogni comunità civile.

Il riconoscimento del valore della famiglia si coniuga con la presa di coscienza dei profondi cambiamenti vissuti (e a volte subiti) in questi ultimi anni. La famiglia di oggi non può più rapportarsi a modelli semplici, nelle quali conoscenze e valori erano fortemente omogenei, ma deve confrontarsi con quelli delle “società complesse”. In una metropoli come Roma, le famiglie assumono fisionomie e caratteristiche molto diversificate. Coesistono modelli tradizionali con nuove interpretazioni della convivenza di coppia (anche esplicitamente "non-familiare"), famiglie uninominali, allargate, ricostituite, formate da stranieri, miste, con visioni, culture e storie estremamente differenziate. E’ con questa realtà che bisogna necessariamente fare i conti.

Un rischio sembra caratterizzare più o meno profondamente le famiglie nella nostra città, in analogia con quanto succede in altre grandi città: quello della solitudine, derivante dall’assottigliarsi delle reti primarie. La perdita del sostegno della comunità locale e delle famiglie estese tradizionali lascia spesso i nuclei familiari in una situazione di isolamento che rende difficile affrontare le diverse tappe del ciclo di vita: dall’incontro e dalla formazione della coppia alla nascita dei figli, al loro ingresso nella fase adolescenziale e via-via a tutti i momenti critici che accompagnano ogni cambiamento evolutivo, fino all’età senile.

Un sistema integrato di servizi sociali non può non rispondere ai bisogni delle famiglie che non riescono ad affrontare da sole i propri problemi, che non sono in grado di far fronte alle situazioni di difficoltà. Le istituzioni non possono ritrarsi dalle responsabilità pubbliche loro proprie, lasciando che le famiglie “si arrangino”, sulla base di una concezione riduttiva e strumentale della sussidiarietà. Ma anche nella pianificazione degli interventi “per” le famiglie, questi devono essere programmati insieme “con” le famiglie. In una strategia di “empowerment”, le famiglie assumono il ruolo di “partner” delle istituzioni, per cui è necessario sviluppare strategie di solidarietà cittadina che sostengano l’auto-organizzazione delle famiglie anche nello svolgimento di funzioni di aiuto.

Il riferimento al principio di solidarietà significa garantire il pieno esercizio dei diritti sociali anche alle famiglie problematiche, facendo sì che la collettività si faccia carico dei propri membri più deboli, senza tuttavia rinunciare al loro protagonismo, attivando tutte le risorse e potenzialità residue delle persone e delle famiglie in difficoltà. In questi casi le relazioni familiari sono assunte, in tutti i casi in cui ciò è possibile, come elemento utile alla definizione dei bisogni e come risorse positive. La famiglia in difficoltà deve sentire al proprio fianco la “cura della comunità”, una comunità solidale, che si esprime sia attraverso il sistema dei servizi professionali, pubblici e privati, sia mediante la “prossimità sociale” del volontariato e della cittadinanza attiva.

Nell'ambito del nuovo Piano Regolatore Sociale, si dovrà ricercare un buon equilibrio tra sussidiarietà e solidarietà. Se si accentua la prima si genera un modello “familista”, in cui le famiglie sono sì responsabilizzate, ma anche lasciate sole, con scarsi supporti da parte delle istituzioni e della società. Nella situazione inversa, quando si sottolinea la solidarietà, senza tener conto del principio di sussidiarietà, abbiamo invece un welfare assistenzialistico, fondato su un forte intervento pubblico, ma in cui le famiglie diventano destinatarie passive di interventi programmati e realizzati da altri.

E.6.4 Un "Piano cittadino per la famiglia"

Per essere efficace, una strategia deve essere comunicata e fatta propria da tutti gli attori del territorio. Per questo deve essere tradotta in strumenti di programmazione, per cui si propone di estendere anche alle politiche familiari il metodo della pianificazione territoriale già sperimentato con la legge 285/97 e 328/00, preparando e realizzando, in armonia con il Piano Regolatore Sociale, anche un “Piano cittadino per la famiglia”. Questa scelta permette di dare maggiore organicità e visibilità all’azione politica e amministrativa del Comune di Roma nell’ambito delle politiche familiari. Una metodologia di questo tipo richiede la partecipazione di tutti gli attori territoriali: sia che si tratti delle famiglie - singole e associate -, sia che riguardi coloro che della famiglia si occupano. Il processo di preparazione del Piano per la famiglia favorisce una lettura condivisa dei bisogni delle famiglie e delle risorse a loro disposizione nella città; promuove la messa in rete dei servizi; crea le condizioni per un aumento delle risorse complessive disponibili per le politiche familiari.

Come è facilmente intuibile, il Piano per la famiglia dovrà "attraversare" diverse politiche urbane. Dal punto di vista operativo, si intrecciano e si integrano soprattutto con le politiche sociali e socio-sanitarie, con le politiche educative e scolastiche, con quelle per l’infanzia, per i giovani e per le pari opportunità. Hanno attinenza anche con le politiche della formazione, del lavoro, della casa, della pianificazione urbana, della mobilità, dell’ambiente, della sicurezza, della cultura, del tempo libero, dell’impegno civico, dell’inclusione sociale delle famiglie migranti.

La “trasversalità” delle politiche per la famiglia non significa che esse si identifichino semplicemente con le altre politiche o ne siano la “somma”. Se hanno in comune i contenuti, si distinguono per la specificità dell’approccio. Esse trovano infatti il loro fondamento nella soggettività e nelle esigenze delle famiglie “in quanto tali”. A titolo esemplificativo, si presentano alcune misure programmatiche che, pur essendo di competenza di altri settori dell’Amministrazione comunale, costituiscono altrettanti obiettivi per una strategia di promozione e sostegno della famiglia.

A. Misure economiche[69]

ü   Abbattimento dei costi dei servizi per le famiglie numerose per ridurre gli oneri sostenuti dalle famiglie con tre o più figli, rivolte ai servizi di erogazione dell’energia elettrica, del gas, dell’acqua e di raccolta dei rifiuti solidi urbani, nonché per la fruizione o l’accesso ad altri beni e servizi in sede locale[70].

ü   Facilitazioni per le pluri-utenze nei servizi scolastici (asili nido, mense, servizi di trasporto, ecc.), culturali, sportivi, ecc.

B. Misure per la casa

ü   Agevolazioni fiscali parametrate sui carichi familiari.

ü   Agevolazioni e contributi alle giovani coppie per l'acquisto o l'affitto della prima casa.

ü   Interventi sul patrimonio abitativo non utilizzato, privato e pubblico, per aumentare la disponibilità di abitazioni dignitose per le famiglie che si trovano in sofferenza abitativa.

ü   Sostegno a progetti elaborati da cooperative familiari, in cui sono predisposte abitazioni che tengono conto degli spazi necessari ad una famiglia che cresce, anche per prendersi cura di genitori o di parenti anziani.

ü   Interventi per la qualità e la sicurezza dell’abitare urbano, soprattutto in relazione alla possibilità, da parte di bambini, giovani e anziani, di avere spazi per il tempo libero, l’aggregazione e il gioco, senza rischi in ordine alla loro sicurezza.

C. Misure per conciliare i tempi della città con i tempi per la famiglia

ü     Agevolazioni alle imprese che sperimentano orari flessibili legati ad esigenze familiari, contratti a tempo parziale e lavoro a distanza, ecc.

ü     Revisione dei tempi della città (orari dei negozi, delle scuole e dei servizi di pubblica utilità) tenendo conto delle esigenze familiari.

ü     Valorizzazione del lavoro domestico e rimozione degli ostacoli alla partecipazione delle donne (in particolare delle madri) al mercato del lavoro.

D. Misure di sostegno alla genitorialità e alle responsabilità educative

ü     Aumento dei posti disponibili negli asili nido (anche condominiali o aziendali).

ü     Agevolazioni di forme associative familiari che gestiscano in proprio servizi di baby-sitting o servizi integrativi per la prima infanzia e il doposcuola.

ü     Sostegno al reddito di madri con basso reddito, che non usufruiscono dei trattamenti di maternità a norma delle leggi nazionali.

ü     Erogazione di prestiti sull’onore per sostenere le responsabilità familiari e agevolare l’autonomia di nuclei monoparentali, di coppie giovani con figli, di gestanti in difficoltà.

ü     Valorizzazione e sviluppo di “banche del tempo” e forme analoghe di mutuo-aiuto.

ü     Promozione della partecipazione dei genitori nei percorsi scolastici dei propri figli e facilitazione del dialogo scuola-famiglia.

E. Misure e servizi per il sostegno delle responsabilità di cura e assistenza

ü     Interventi di sostegno, anche economico, per le famiglie che assumono compiti di cura di familiari bisognosi di assistenza continuativa.

ü     Sviluppo dei servizi di "welfare leggero" e di assistenza domiciliare integrata.

ü     Assistenza temporanea e “servizi di sollievo” per le famiglie con persone non autosufficienti.

ü     Sviluppo del “volontariato familiare” e sostegno a gruppi di famiglie che insieme si prendono cura di altre famiglie in difficoltà.

E.6.5 Spunti operativi

Il Piano Regolatore Sociale vuole suggerire una strategia propositiva, di promozione sociale della famiglia, che includa tutti i soggetti che ne fanno parte, unendo la necessaria attenzione per le problematiche quotidiane delle famiglie con un’impostazione culturale capace di restituire ai cittadini la fiducia nell’istituto familiare, che rischia seriamente di scolorire anche a causa di un lungo periodo di disinteresse della politica per questo tema.

Il Comune di Roma ha avviato in questo senso diverse iniziative. È stata citata più volte la Delibera della Giunta Comunale sulla famiglia (71/2010). Un passo importante è anche la promozione, insieme con il Comune di Parma, del Network italiano di città per la famiglia, costituito formalmente il 21 maggio 2010, che unisce 54 Comuni, provenienti da tutto il territorio nazionale, impegnati a promuovere politiche a sostegno della famiglia. Il protocollo d’intesa tra i Comuni, che sta alla base del Network, è finalizzato al mutuo scambio di esperienze sulle politiche locali a misura di famiglia e alla possibilità di dar vita insieme ad un coordinamento aperto all’adesione di altri Comuni che condividano tale impegno.

Alla base dell'impegno dell'Amministrazione c'è la volontà di dar vita ad un modello di welfare cittadino che abbandoni le sponde dell’assistenzialismo per raggiungere il “mare aperto” della responsabilizzazione dei cittadini e delle famiglie, nel rispetto dei reciproci ruoli e dei doveri di cittadinanza. Ciò non significa certo lasciare che le famiglie facciano da sole, deresponsabilizzando l’azione delle istituzioni. Significa invece che queste ultime non possono definire strategie e servizi senza ascoltare le famiglie, senza un loro coinvolgimento, competente, attivo e responsabile, nelle decisioni che le riguardano direttamente.

Non basta però fare affermazioni di principio o auspicare un coinvolgimento delle famiglie in astratto: è necessario incentivare concretamente il protagonismo delle famiglie e delle loro associazioni. Ciò significa tradurre in operatività il principio di sussidiarietà orizzontale. E’ necessario procedere nella direzione di un welfare comunitario, che mobiliti tutte le risorse della cittadinanza e in cui le istituzioni svolgono un ruolo insostituibile di promotori e “garanti” di un sistema capace di assicurare a tutti coloro che ne hanno bisogno le prestazioni essenziali per rendere effettivo l’esercizio dei diritti/doveri di solidarietà sociale.

Di seguito vengono identificati alcuni obiettivi finalizzati al superamento di alcune criticità rilevate nell'ambito del sistema dei servizi sociali per la famiglia.

Migliorare il coordinamento interassessorile.

In termini generali, va sottolineata la difficoltà strutturale costituita dalla suddivisione delle competenze istituzionali inerenti la famiglia in due distinti Assessorati. È questa un’articolazione organizzativa che risponde certamente ad esigenze pratiche condivisibili, ma che può causare difficoltà nella programmazione e gestione integrata degli interventi. Solo uno stretto coordinamento e una sistematica collaborazione tra i due Assessorati e Dipartimenti potrà ridurre queste difficoltà. Lo strumento operativo per rafforzare il coordinamento degli interventi è stato individuato dalla citata Delibera 71/2010, che prevede la costituzione di un Tavolo di consultazione e progettazione a livello interassessorile e interdipartimentale, con l'apporto dell'Associazionismo familiare e delle Parti Sociali.

Migliorare l’informazione e la comunicazione.

Da più parti si segnala come le famiglie trovino spesso serie difficoltà nell’accedere alle informazioni che riguardano la natura, il funzionamento e l’accesso ai servizi. In realtà, il materiale informativo è abbondante e i servizi distribuiti sul territorio sono in grado di fornire informazioni esaustive. Non di rado i potenziali fruitori vengono addirittura contattati direttamente. Nonostante ciò, il numero di coloro che vengono a sapere delle opportunità disponibili sul territorio rimane insufficiente. Per tale motivo si deve "capovolgere" il paradigma della comunicazione per acquisire una capacità di dialogo attivo e continuo con la cittadinanza. Per migliorare la situazione, oltre ad una gestione più manageriale della conoscenza, si possono adottare diverse misure, ad esempio un utilizzo più efficace di internet e dei mezzi di comunicazione tradizionali, l'invio di newsletter periodiche, l'istituzione di un numero verde unico “Pronto famiglia” sul modello del numero 060606, azioni di comunicazione itinerante.

Ascoltare e coinvolgere attivamente le famiglie.

Il protagonismo familiare rappresenta una risposta alla frammentazione del tessuto sociale in quanto consente di generare benessere e “capitale sociale” non solo per le famiglie stesse, ma per l’intera comunità. In concreto, occorrerà riconoscere l’impegno quotidiano delle famiglie romane attraverso benefici fiscali e un accesso facilitato ai servizi comunali e municipali. Nello stesso tempo, si deve stimolare l’associazionismo familiare, per estendere la rete di cooperazione tra famiglie.

Altre iniziative.

1.     Istituzione di un “Osservatorio cittadino sulla famiglia”;

2.     Messa in rete e coordinamento dei consultori familiari e dei servizi di mediazione familiare;

3.     Avvio del Programma Domus, rete di Centri territoriali per la famiglia (“Domus”), per la promozione del benessere della vita familiare, nelle sue diverse espressioni;

4.     Introduzione di un sistema di agevolazioni tariffarie che preveda correttivi specifici legati ad indicatori di capacità contributiva e a elementi caratterizzanti le specificità della famiglia, attraverso l'elaborazione di un ISEE calibrato mediante un quoziente familiare che tenga conto anche della numerosità del nucleo familiare e degli oneri sostenuti per la cura familiare.

E.7 Servizi e interventi per le persone in età evolutiva[71]

A Roma ogni 1.000 residenti, 156 non hanno ancora compiuto 18 anni. I minori di età sono quasi 450.000, un numero che negli ultimi anni è leggermente cresciuto, soprattutto per l’aumento dei minori stranieri, che nel decennio appena trascorso sono più che raddoppiati, mentre quelli italiani nello stesso periodo sono lievemente diminuiti.

Le questioni che riguardano i servizi e gli interventi sociali per questi "cittadini in crescita" sono diverse e impegnative:

ü    come “regolare” e far funzionare in modo efficace ed efficiente un sistema di servizi e di opportunità per il benessere di tutte le persone in età evolutiva, assicurando contemporaneamente la doverosa protezione e tutela per i minori in difficoltà e privi di un valido sostegno familiare?

ü    come migliorare la qualità degli interventi e rispondere in modo appropriato alle diverse problematiche che riguardano i minori, le loro famiglie e la comunità locale?

ü    come prevenire i problemi più gravi e intervenire tempestivamente quando questi si presentano?

Le pagine che seguono offrono un primo quadro di riferimento per comprendere il “pianeta infanzia e adolescenza” a Roma, il sistema dei servizi e degli interventi sociali dedicato alle persone minori di età e le linee programmatiche per l'adozione delle misure più idonee per fare di Roma una città sempre più “amica” dei suoi cittadini più piccoli.

E.7.1 Interventi sociali realizzati in favore dei minori[72]

Per coloro che si trovano in situazioni di disagio e di fragilità, il sistema pubblico di assistenza sociale prevede una serie molto ampia di interventi e servizi. I Municipi offrono ben 15 tipologie di intervento, mentre a livello centrale il Dipartimento per la Promozione dei servizi sociali e della salute ne prevede 11. Di seguito si presenta un quadro delle tipologie di servizi che hanno come principali destinatari le persone minori di età ed eventualmente le loro famiglie.

ü     Sostegno economico. L’intervento mira a sostenere le famiglie con minori in accertato stato di disagio socio-economico. Prevede un contributo monetario volto a favorire la crescita armonica del minore e finalizzato prioritariamente al prevenirne l’istituzionalizzazione, favorendo la permanenza all’interno del proprio nucleo o attivando progetti temporanei di affidamento familiare anche diurni.

ü     Servizi alternativi al sostegno economico: esonero mensa scolastica, priorità di inserimento in asili nido e scuole dell’infanzia, esonero dal pagamento delle strutture sportive per attività extrascolastiche, ecc.

ü     Educativa territoriale. Servizio rivolto ai preadolescenti, agli adolescenti e, in modo indiretto, alle loro famiglie e alla comunità territoriale di appartenenza. Il fine principale è prevenirne il disagio sociale, attraverso la costruzione di spazi formali e informali di aggregazione e socializzazione, con la presenza di educatori e operatori professionalmente preparati.

ü     Orientamento e sostegno all’inserimento lavorativo. Si tratta di interventi che intendono favorire l'inserimento lavorativo o nei percorsi di formazione professionale di adolescenti e giovani adulti (fino a 23 anni) a rischio di emarginazione sociale.

ü     Servizio educativo-assistenziale di sostegno alla famiglia e al minore - SISMIF. È finalizzato a sostenere i minori e le famiglie che vivono in condizioni di forti difficoltà socio-ambientali, fornendo un complesso di interventi socio-educativi e prestazioni specifiche ("pacchetti di servizi") erogate prevalentemente a domicilio, che sono personalizzate rispetto alla natura del disagio. Il servizio - in fase di rimodulazione - ha tra le proprie finalità anche quella di prevenire l’allontanamento del minore dal proprio nucleo familiare.

ü     Progetto "Oltre il disagio". Si tratta di un intervento inizialmente rivolto a minori a rischio di tossicodipendenza, a livello cittadino. In seguito ha ampliato le proprie funzioni ad altre categorie di minori a rischio, restringendo però il riferimento territoriale, sempre più orientato verso minori appartenenti al territorio di competenza della ASL RM/E, sia in carico ai servizi socio sanitari, sia accolti in comunità educative di quel territorio. Il servizio è collegato al lavoro della UIM del relativo "quadrante" (cfr. più avanti).

ü     Assistenza domiciliare ai minori affetti da AIDS. Servizio che si prefigge di accompagnare e sostenere il minore affetto da AIDS, la sua famiglia o la/le persona/e di riferimento nel percorso della malattia. In particolare, fornisce un sostegno nel convivere con le difficoltà di ordine educativo, relazionale, sociale e sanitario legate alla malattia.

ü     Servizio per l’Autonomia e l’Integrazione Sociale della persona Handicappata - SAISH. Il servizio è finalizzato a sostenere il minore[73] con handicap all’interno del suo contesto familiare e sociale, mediante una combinazione di interventi e prestazioni diversificata in base al bisogno specifico. Gli interventi sono realizzati in genere presso il domicilio del minore e prendono in considerazione, oltre ai bisogni assistenziali, le sue risorse personali, allo scopo di sviluppare la sua autonomia e le capacità di socializzazione.

ü     Assistenza scolastica ad alunni con disabilità. L'obiettivo è sostenere il minore con disabilità nella scuola, per assicurargli il diritto allo studio, garantendogli pari opportunità di sviluppo, in termini di autonomia e socializzazione. Il servizio si rivolge agli alunni con disabilità che frequentano le scuole pubbliche dell’infanzia, primarie e secondari inferiori.

ü     Centro diurno per minori con disabilità. Questo servizio ha lo scopo di promuovere il benessere psicofisico, di migliorare la qualità della vita e prevenire il rischio di disagio sociale dei bambini e dei ragazzi con disabilità, attraverso la realizzazione di molteplici attività (gioco libero, interventi educativi, ricreativi e formativi, ecc.).

ü     Centro di aggregazione e socializzazione. Sono servizi finalizzati a promuovere il benessere dei minori (in particolare adolescenti) e a prevenirne il disagio. I Centri, diffusi nel territorio comunale (a Roma ne sono attivi oltre 50), hanno caratteriste e modalità di funzionamento diversificate, a seconda del contesto e dei bisogni evidenziati. Propongono molteplici attività, che possono essere rivolte anche alla famiglia del minore, a sostegno delle capacità genitoriali. Molti Centri offrono anche prestazioni specifiche a ragazzi che presentano particolari difficoltà (disabili, stranieri, minori con provvedimenti penali, vittime di maltrattamenti e abusi, con dipendenze patologiche, ecc.). Il servizio si rivolge anche alle scuole, all’asso­ciazionismo e ai servizi che a vario titolo si occupano di questa fascia di età[74].

ü     Centro ricreativo estivo. Il servizio è finalizzato ad accogliere durante alcune ore del giorno i bambini e i ragazzi di età compresa tra i 4 e i 14 anni al termine del periodo scolastico, coinvolgendoli in attività di vario tipo: sociali, ricreative, culturali e sportive.

ü     Servizi per l'adozione e l'affido. Si tratta di una serie di attività realizzate dai Servizi sociali municipali relative sia alla valutazione delle coppie aspiranti all’adozione e alla conseguente vigilanza sul periodo di affidamento preadottivo, sia alle famiglie o persone singole disponibili all'affidamento temporaneo di minori. A livello centrale, è attivo il Centro Pollicino per l’affido, l’adozione e il sostegno a distanza, nato nel 2002 con l’obiettivo di offrire a tutti i cittadini interessati a intraprendere un percorso di affidamento, di adozione o di sostegno a distanza un servizio di orientamento e di formazione sulle diverse opportunità esistenti nella città su queste tematiche.

ü     Comunità di pronta accoglienza residenziale

o    Strutture per minori 0-6 anni. Il servizio è finalizzato all’accoglienza residenziale temporanea, in attesa di provvedimenti dell’Autorità Giudiziaria (rientro in famiglia, affidamento, adozione, ecc.) di bambini tra 0 e 6 anni, in stato di abbandono o esposti all’abbandono, dei quali il Sindaco di Roma viene, nella maggior parte dei casi, nominato tutore. Il servizio si rivolge ai bambini per i quali si riscontrano urgenti problemi di natura diversa: sanitari, di disagio familiare (per esempio maltrattamenti, abuso, ecc.) e situazioni di incertezza giuridica.

o    Strutture per preadolescenti e adolescenti. Il servizio è finalizzato alla prima accoglienza residenziale, temporanea e tempestiva, allo scopo di superare la fase di emergenza in vista di un provvedimento stabile (collocamento in comunità, ricongiungimento familiare, affidamento familiare, promozione dell’au­tonomia in vista della maggiore età). Il servizio si rivolge prevalentemente agli adolescenti ambosessi dai 12 ai 18 anni di età in condizione di forte disagio psico-sociale (fuga da casa, stato di abbandono, privi di figure adulte di riferimento, giunti clandestinamente in Italia, vittime di sfruttamento, abusi, ecc.).

ü     Strutture residenziali di secondo livello[75]

o    Casa famiglia e comunità educativa. Il servizio è finalizzato a offrire un contesto residenziale protetto ai minori per cui risulta impossibile la permanenza nella propria famiglia, allo scopo di favorirne un equilibrato processo di crescita. Il servizio si rivolge ai minori temporaneamente o permanentemente allontananti dai propri nuclei familiari di origine, per cause di tipo giudiziario e sociale.

o    Gruppo appartamento. Questo servizio residenziale offre un contesto di crescita protetto a adolescenti per i quali risulta impossibile la permanenza nella propria famiglia, allo scopo di sostenere e recuperare il loro inserimento o reinserimento sociale e scolastico. Le strutture accolgono spesso minori sottoposti all’Autorità giudiziaria a causa di problematiche sociali complesse. Una parte importante dei ragazzi accolti nei Gruppi appartamento sono minori stranieri non accompagnati.

Ogni anno sono accolti nelle strutture residenziali convenzionate con il Comune di Roma circa 1.500 minori (oltre a 230 nuclei madre-bambino), mentre a domicilio sono assistiti circa 650 minori. Oltre 7.500 minori frequentano i centri diurni e 3.000 i centri estivi. 1100 minori sono sottoposti a tutela pubblica, sono erogati quasi 6.000 sussidi economici e 2.500 alunni con disabilità sono assistiti nelle scuole. Oltre 350 bambini sono accolti da famiglie o singoli in affidamento extrafamiliare. Complessivamente, si può stimare che circa il 5% dei minori residenti a Roma benefici direttamente di uno o più di questi servizi.

Oltre ai servizi sociali di competenza dell'Ente locale, nell'ambito dei minori vi sono i servizi socio-sanitari gestiti dalle ASL. Al riguardo, come è stato ampiamente sottolineato nel documento, è di fondamentale importanza rafforzare la collaborazione e l'integrazione interistituzionale e interprofessionale per la programmazione e il coordinamento dei servizi sociali e sanitari.

In questo contesto, riveste una particolare importanza il progetto Unità Intermunicipale per i Minori (UIM), promosso dal Dipartimento per la promozione dei servizi sociali e della salute, con fondi della legge 285/97, che istituisce ambiti specialistici decentrati a livello di “quadrante”, territorio di competenza di ciascuna Azienda Unità Sanitaria Locale, che corrisponde in genere a 4 Municipi (3 per la ASL RMD). La UIM rappresenta - tra l'altro - il luogo privilegiato di analisi e programmazione integrata tra i servizi sociali e quelli sanitari in favore dei minori.

L’azione delle UIM prevede attività di concertazione e negoziazione, oltre ad azioni di integrazione e progettazione partecipata. All’interno di questi processi i diversi attori istituzionali esplicitano i rispettivi obiettivi e interessi al fine di perseguire soluzioni condivise ai problemi, sulla base del principio cooperativo. Particolare rilievo ha avuto la messa a punto e l’avvio di un sistema cittadino di monitoraggio trimestrale dei casi collegati alle misure disposte dall’Autorità Giudiziaria.

 

Tabella 23 Interventi sociali per minori: dati annuali (media periodo 2006-2008[76])

 

Municipi

Dipartimento

Totale

Minori assistiti con interventi economici

4.690

 

4.690

Borse lavoro (tirocini formativi) erogate

44

 

44

Sussidi a minori riconosciuti solo da madre

 

1.206

1.206

Minori con disabilità assistiti nelle scuole

2.414

 

2.414

Minori con disabilità in lista d’attesa per assistenza

38

 

38

Minori accolti nelle Centri di Pronta Accoglienza

 

1.155

1.155

Ingressi in Comunità Pronta Accoglienza

 

1.452

1.452

Minori 0/6 anni accolti nelle CPA

 

66

66

Minori in assistenza domiciliare (pacchetti servizi SISMIF

643

 

643

Minori in lista d’attesa SISMIF

149

 

149

Minori con AIDS in assistenza domiciliare

 

15

15

Minori frequentanti i Centri diurni (oltre SISMIF)

6.691

 

6.691

Minori frequentanti centri diurni immigrati

 

788

788

Domande presentate a centri ricreativi estivi

3.541

 

3.541

Minori frequentanti i centri ricreativi estivi

3.145

 

3.145

Minori assistiti in strutture residenziali a Roma[77]

711

658

1.369

di cui minori 0-3 anni in case famiglia

84

 

84

Minori non riconosciuti o riconosciuti dalla sola madre inseriti in strutture di 2^ accoglienza[78]

 

110

110

N. indagini a richiesta Magistratura (escluso adozioni)

1.850

 

1.850

N. minori in carico ai servizi su richiesta Magistratura

4.427

 

4.427

Curatela speciale minori circuito penale

 

461

461

Minori sottoposti a tutela pubblica

 

1.101

1.101

di cui minori stranieri non accompagnati

 

486

486

di cui minori residenti

 

358

358

di cui minori non riconosciuti

 

257

257

N. indagini di affidamento preadottivo per coppie

522

 

522

 

Un ulteriore campo di collaborazione tra i servizi sociali e sanitari riguarda il sostegno alla natalità nel periodo immediatamente precedente e seguente al parto. In questo contesto, si evidenzia anche il problema dell'abbandono dei neonati, un fenomeno che, pur non apparendo numericamente esteso, suscita giustamente una grande reazione emotiva[79].

Al riguardo, risulta prezioso l’apporto di numerose associazioni operanti sul territorio, che forniscono informazioni sulla possibilità del parto in anonimato e/o di non riconoscimento del neonato, anche mediante “numeri verdi” telefonici che offrono consulenza a distanza, garantendo così l’anonimato. In molti casi tali organizzazioni e offrono anche un aiuto concreto alle persone disponibili a portare a termine la gravidanza anche in presenza di difficoltà personali e sociali.

L’offerta di servizi in questo campo sembra dunque essere adeguata e le informazioni “circolano” su internet e tramite opuscoli, volantini e manifesti affissi negli ospedali, ambulatori o consultori. Ma non è ancora sufficiente. E’ importante informare e sensibilizzare in modo capillare, soprattutto le donne straniere, al fine di superare la diffidenza nei confronti degli ospedali pubblici o delle associazioni in grado di offrire loro sostegno e assistenza.

E.7.2 Minori accolti in strutture residenziali o in affidamento familiare

Sulla base del rilevamento effettuato dall'Ufficio "Azioni di sistema - SISS" del Dipartimento per la Promozione dei servizi sociali e della salute, al 31.12.2009 le persone minori di età collocate fuori dalla famiglia erano 1.807, dei quali 1.277 (71%) in strutture residenziali e 530 (29%) in affidamento familiare ed extrafamiliare[80]. La percentuale dei minori in affidamento familiare cresce però al 41,6% se si guarda solo ai casi presi in carico dai Municipi.

Il Dipartimento - che non opera collocamenti familiari - si occupa soprattutto di casi di pronto intervento e di minori stranieri non accompagnati, avvalendosi unicamente di strutture residenziali. Se invece - pur mantenendo l'analisi ristretta ai Municipi - si escludono i casi di affidamento a persone legate da vincoli di parentela, il rapporto a favore dell'accoglienza in strutture residenziali aumenta considerevolmente. Su 984 minori fuori dalla famiglia di origine assistiti dai Municipi, solo 240 (meno di 1 su 4) erano collocati in affidamento a singoli o famiglie.

I minori accolti con cittadinanza non italiana sono 854, il 47,3% del totale. Ad occuparsi di minori stranieri sono soprattutto i servizi del Dipartimento (477 minori stranieri: 89,5% dei minori assistiti dal Dipartimento e 56% di tutti i minori stranieri assistiti dal Comune di Roma). La maggior parte dei minori stranieri assistiti dal Dipartimento sono minori stranieri non accompagnati (400). Nei Municipi i minori stranieri assistiti sono 377 (di cui 25 minori stranieri non accompagnati), quasi il 30% di tutti i minori accolti dagli stessi Municipi.

 

Grafico 21 Minori in strutture residenziali o in affidamento familiare, per Ente inviante

Grafico 22 Minori in strutture residenziali o in affidamento, per Ente e cittadinanza

Tabella 24 Minori fuori dalla famiglia, per Ente, tipologia di affidamento e cittadinanza

Ente inviante

Minori in strutture residenziali

di cui

stranieri

Minori in affidati a parenti o altri (famiglie e/o singoli)

di cui

stranieri

Tot. minori fuori da famiglia

di cui

stranieri

Municipi

744

236

530

141

1.274

377

% Municipi

58,4

31,7

41,6

56,6

100

29,6

Dipartimento

533

477

0

0

533

477

% Dipart.

100

89,5

0

0

100

89,5

Totale

1.277

713

530

141

1.807

854

% Totale

70,7

55,8

29,3

56,6

100

47,3

 

I minori di sesso maschile accolti complessivamente in strutture residenziali o in affidamento sono 1.069 (59,2%), mentre le bambine e ragazze sono 738 (40,8%). Nei Municipi si ha una totale parità tra i sessi (sia nelle strutture residenziali, sia nel caso degli affidamenti familiari), mentre i minori in carico al Dipartimento sono invece in larga maggioranza maschi, , per il fatto che il Dipartimento si occupa per lo più di minori stranieri non accompagnati, i quali sono prevalentemente di sesso maschile.

 

Tabella 25 Minori fuori dalla famiglia, Ente inviante, tipologia di affidamento e genere

 

Minori

in strutture residenziali

Minori in affidamento familiare/extrafamiliare

Totale minori fuori dalla famiglia

Ente inviante

Tot.

M

F

Tot.

M

F

Tot.

M

F

Municipi

744

382

362

530

256

274

1.274

638

636

% Municipi

100

51,4

48,6

100

48,3

51,7

100

50,0

50,0

Dipartimento

533

431

102

0

0

0

533

431

102

% Dipartim.

100

80,9

19,1

0

0

0

100

80,9

19,1

Totale

1.277

813

464

530

256

274

1.807

1.069

738

% Totale

100

63,7

36,3

100

48,3

51,7

100

59,2

40,8

 

Grafico 23 Minori accolti. Articolazione per genere e tipologia di accoglienza

Il 39,5% dei minori accolti in strutture residenziali o in affidamento (714) ha un'età compresa tra i 15 e i 17 anni. Il dato è condizionato dagli utenti del Dipartimento (in questa fascia di età si colloca infatti quasi il 72% di tutti i minori accolti dal Dipartimento). Le altre classi di età sono rappresentate in percentuali crescenti con il crescere dell'età (dal 17,5% per la fascia 0-5 anni fino al 20,6% per gli 11-14 anni).

Se si restringe l'analisi ai soli Municipi, si riscontra un maggior equilibrio tra le diverse età (0-5 anni: 18,9%; 6-10 anni: 24,1%; 11-14 anni: 25,6%; 15-17 anni: 26,1%). Nelle strutture residenziali sono accolti anche maggiorenni tra i 18 e i 21 anni, già in carico nella minore età. Si tratta complessivamente di 211 persone, di cui 175 (82,9%) stranieri.

 

Grafico 24 Minori in strutture residenziali o in affidamento, per classi di età

In 7 casi su 10 è il Municipio l'Ente di riferimento per la presa in carico socio-assistenziale di questi minori (negli altri 3 casi è il Dipartimento centrale).

Esistono grandi differenze tra i Municipi per quanto riguarda il numero di minori assistiti fuori dalla famiglia di origine. Si va infatti dai 188 minori del Municipio 8° (di cui 104 accolti in strutture residenziali) ai 10 del Municipio 17° (di cui solo 5 in strutture residenziali). La media per Municipio è di 67 minori assistiti (39 in strutture residenziali e 28 in affidamento familiare).

Come si è visto, nelle strutture residenziali sono accolti complessivamente 1.277 minori, di cui 744 inviati dai servizi municipali (58,3%) e 533 dal Dipartimento. La maggior parte di tali strutture si qualificano come "Case famiglia", in cui sono accolti 553 minori (43,3%), tutti a carico dei Municipi.

Nei "Gruppi appartamento" e nelle strutture di accoglienza in semi-autonomia, sono ospitati 513 minori (40,2%). 211 minori (16,2%) sono invece accolti in Comunità di pronta accoglienza: si tratta, per la maggior parte (85,8%) di minori inviati dal Dipartimento.

 

Grafico 25 Minori in strutture residenziali o in affidamento, per Municipio inviante

Grafico 26 Minori in strutture residenziali, per tipologia di struttura ed Ente inviante

Per la maggior parte dei casi, l'affidamento familiare ed extrafamiliare dei minori è di tipo giudiziale. L'affidamento consensuale riguarda solo 79 casi, meno del 15% dei casi di affido.

Alla data del rilevamento (31.12.2009), solo il 31,3% dei minori (166) risultava in affidamento da meno di 2 anni. E' particolarmente indicativo il fatto che più di un terzo dei minori in affido (189, pari al 35,7%) risultasse in affido da oltre 4 anni (un dato importante è anche l'alto numero di informazioni mancanti in questo ambito: 83, pari al 15,7%).

 

Grafico 27 Durata dell'affido familiare dei minori al 31.12.2009

 

E.7.3 Minori vittime di violenza

Il fenomeno della trascuratezza, del maltrattamento fisico e psicologico e dell’abuso sessuale nei confronti dell’infanzia è stato oggetto, negli ultimi anni, di costante attenzione da parte delle istituzioni e dell’opinione pubblica. Nell’ultimo rapporto su Violenza e Salute dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’abuso viene indicato come “il più importante problema di salute al mondo” per il quale si sollecitano interventi di prevenzione e cura.

L’abuso e la violenza a danno dei minori, in tutte le forme, attive o omissive, sono fenomeni diffusi e trasversali a ogni classe sociale e sono sintomi di un grave disagio individuale e relazionale che frequentemente colpisce l’intero nucleo familiare, minando le sue funzioni fondamentali di accudimento e cura e che, dunque, richiede di essere affrontato non solo a livello del singolo individuo ma sul piano delle relazioni familiari.

Il fenomeno è complesso e presenta diverse sfaccettature. Si verifica prevalentemente all’interno delle famiglie, restando spesso inespresso e invisibile, per cui i danni sul piano fisico e psicologico per le piccole vittime con il tempo si cronicizzano e amplificano. La complessità delle situazioni richiede l’attivazione di un’ampia rete di servizi sociali e sanitari, di pubblica sicurezza e della magistratura in grado di intervenire tempestivamente per proteggere il minore e rimuovere le occasioni di reiterazione delle violenze.

I mass media attirano l'attenzione soprattutto sui casi eclatanti. Una particolare forma di abuso a danno dei minori, che si sta diffondendo in modo drammatico, riguarda la pedopornografia. Devono preoccupare però anche le situazioni di disagio apparentemente meno gravi, ma che sono soggettivamente importanti. Ne sono vittime, ad esempio, i minori che si trovano a vivere le difficoltà di separazione traumatiche dei genitori, rischiando di diventare "ostaggi" delle controversie di coppia, che il più delle volte finiscono per chiarirsi in tribunale, con il coinvolgimento improprio del minore. Un indicatore di questo tipo di problemi è l'aumento del numero di affidamenti familiari in cui sono intervenuti i servizi sociali (nel 2009 sono stati il 13% in più rispetto al 2007).

In questo settore, il Comune ha promosso diversi interventi. Si segnala, in particolare, il servizio realizzato dal Centro Bambino Maltrattato, presso il quale pervengono segnalazioni di minori a rischio di abuso o le cui condizioni siano comunque indirizzate alla compromissione di un’adeguata maturazione per ragioni di carattere socio psicologico. Il Centro effettua sia le valutazioni delle competenze riguardanti gli adulti coinvolti, come una presa in carico dei minori sotto il profilo terapeutico. Un'estensione del progetto agisce anche sugli affidamenti familiari caratterizzati da complessità e rischio di fallimento.

E.7.4 Il programma "Roxanne"

Collegato all'abuso sessuale è il fenomeno della tratta e dello sfruttamento della prostituzione minorile, per lo più di origine straniera. Si tratta di un problema complesso e multifattoriale, in cui interagiscono:

ü     i metodi coercitivi imposti da organizzazioni criminali internazionali, strutturate e aggressive, che sfruttano economicamente le minorenni, ridotte spesso in stato di semi-schiavitù;

ü     le spinte espulsive dei paesi ad alta pressione migratoria e le aspettative delle ragazze e delle loro famiglie;

ü     la condizione psicofisica e sociale vissuta dalle minorenni, le risorse culturali e materiali di cui dispongono; in funzione della giovane età sono facilmente manipolabili e soggiogate psicologicamente attraverso violenze e minacce alle famiglie di origine; spesso grava su di loro anche un senso di colpa perché dal loro reddito può dipendere la sopravvivenza economica del nucleo familiare in patria;

ü     le richieste del “mercato”, ovvero dei clienti.

La tematica della tratta sessuale costituisce da tempo oggetto di interventi da parte del Comune di Roma che, con Deliberazione C. C. 8 marzo 1999 n. 27, ha adottato un programma rivolto sia alla prevenzione dei danni conseguenti all’esercizio della prostituzione, sia alla protezione delle donne tenute in condizioni di schiavitù da parte delle organizzazioni criminali.

Il servizio, che prende il nome di “Roxanne”, si inserisce all’interno delle azioni coerenti con il Testo Unico sull’Immigrazione, in particolare con le opportunità offerte dall’articolo 18 della legge, con il quale viene contemplata la possibilità di regolarizzazione delle vittime attraverso la contemporanea disponibilità delle stesse a favorire le azioni di contrasto verso gli sfruttatori. Le attività del progetto mirano, nei casi in cui ne ricorrono le condizioni, alla richiesta di rilascio, presso la Questura, del permesso di soggiorno di “protezione sociale”.

Il programma Roxanne è articolato su più livelli e prevede i seguenti interventi.

·      Attività di prevenzione e riduzione del danno, attraverso interventi su strada[81], supportati da equipe multiprofessionali, tra cui operatori sanitari e della mediazione culturale, finalizzate all’informazione e alla tutela della salute, anche a vantaggio dei clienti, quale misura di prevenzione sanitaria. In questo contesto, ci si propone anche di individuare le persone soggette a traffico di esseri umani a scopo di sfruttamento sessuale (tratta).

·      Servizio di prima accoglienza, strutturato come sportello di ascolto. Opera come consulenza e accompagnamento ai servizi con una presenza assicurata dagli stessi operatori dei servizi di contatto; è anche qui che avviene la “fuoriuscita” delle vittime dai circuiti di sfruttamento.

·      Attività di accoglienza protetta, assicurata con la riservatezza dei luoghi, sia presso strutture appositamente realizzate, sia attraverso convenzioni con enti e organismi laici e religiosi esistenti sul territorio[82];

·      Assistenza per il rimpatrio protetto delle donne intenzionate a rientrare nei paesi di origine, in collaborazione con Organismi internazionali;

·      Attività di alfabetizzazione e conoscenza della lingua italiana, orientamento, formazione e tutoraggio all’inserimento lavorativo;

·      Attività di consulenza legale: due associazioni di avvocati concorrono alle attività di tutela legale, assumendo anche in assistenza le donne nelle fasi processuali conseguenti al rilascio di dichiarazioni o di denunce;

·      Partecipazione alle attività informative e di sensibilizzazione promosse dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri (Dipartimento Pari Opportunità): interventi nell'ambito del Numero Verde Nazionale (800 290 290) contro la tratta, annunci su giornali, affissione di locandine, produzione e consegna di opuscoli, “totem” presso stazioni ferroviarie periferiche, spot su emittenti radiofoniche locali, incontri con forze dell’ordine e con servizi pubblici, ecc.;

·      Partecipazione ad un progetto transnazionale con la Romania (censimento delle ONG ivi operanti, loro sensibilizzazione sulla tratta, sostegno a una congregazione religiosa per il potenziamento di una struttura di accoglienza in loco);

·      Organizzazione di incontri in istituti scolastici superiori finalizzati alla conoscenza del fenomeno “tratta” / “immigrazione” / “diversità” (prevenzione della formazione del pregiudizio), privilegiando le scuole che insistono sui territori in cui il fenomeno della prostituzione è particolarmente presente e percepito dalla cittadinanza come allarmante;

·      Attività di collaborazione con le Università, gli enti di ricerca anche per la consulenza finalizzata a tesi di laurea e ricerche nel settore; incontri con delegazioni straniere di operatori pubblici e di Ong per la conoscenza e l’approfondimento della tematica della tratta sessuale.

Il programma è realizzato in collaborazione con numerosi enti e istituzioni, ed in particolare la Presidenza del Consiglio dei Ministri (Dipartimento Pari Opportunità), Questura di Roma(Ufficio Immigrazione, Squadra Mobile, Commissariati), Carabinieri, ASL, Organismi della cooperazione sociale e dell’associazionismo, organismi di volontariato e parrocchie romane.

La pianificazione strategica per il futuro fa riferimento ai numerosi documenti dell'Unione Europea sul tema del “traffico di esseri umani a scopo di sfruttamento” e in particolare alla recente Risoluzione che propone di estendere il rilascio del permesso di soggiorno anche in casi in cui non vi sia espressa denuncia della vittima nei confronti degli sfruttatori.

Il programma Roxanne potrà comunque esprimere al meglio le sue potenzialità qualora siano rispettate alcune condizioni: informazione puntuale sull'offerta e sulle opportunità di aiuto previste dalla legge; realizzazione di una gamma di azioni collaterali a quanto previsto dall’art. 18 del Testo sull'Immigrazione; capillarità della diffusione dell’offerta e stretta collaborazione con le altre agenzie territoriali deputate alla materia.

In città continua a manifestarsi un evidente fenomeno “prostituzione”, all’interno del quale si celano sfruttamento e violenza nei confronti di molte vittime, anche se, per rispondere alle misure di controllo recentemente adottate dalle istituzioni in questo campo, i circuiti criminali e i singoli sfruttatori hanno rivisto le loro strategie, orientandosi verso una maggiore “condivisione” dei ricavi con le donne. All’interno di questo fenomeno, i dati osservati dalle Unità di contatto del programma Roxanne denunciano numeri significativi di minorenni.

Per un'azione di sviluppo del servizio, è necessario partire dalla constatazione che la rete di accoglienza del Comune di Roma è permanentemente satura. Le proposte che ne conseguono sono dirette sostanzialmente a:

·      potenziare la rete di servizi di contatto (al momento sono solo due, in una città come Roma che vede presenze articolate e diffuse in numerose zone territoriali) che operano sul piano delle informazioni sanitarie e legali e curano l’accompagno ai servizi riconosciuti, ponendo contemporaneamente attenzione alle potenziali vittime;

·      ri–pensare il sistema di aiuto alle minori, che risultano assolutamente "impermeabili" ad accogliere le offerte di accoglienza protetta;

·      ipotizzare un programma di informazione – sensibilizzazione che raggiunga, oltre i siti istituzionali (scuole, sanità, etc.) già curati dal servizio, anche altre fasce di popolazione;

·      rafforzare la positiva collaborazione con le forze dell’ordine, attraverso opportunità formative comuni e momenti condivisi di aggiornamento sui fenomeni[83].

E.7.5 Minori stranieri non accompagnati

La legislazione europea ed internazionale definisce i minori stranieri non accompagnati (MISNA) come “cittadini di paesi terzi di età inferiore ai 18 anni che fanno ingresso nei territori dell’Unione non accompagnati da un adulto per essi responsabile”. La legislazione italiana definisce i minori stranieri non accompagnati “minori non aventi la cittadinanza italiana o di altri Stati dell’Unione Europea che si ritrovano per qualsiasi causa nel territorio dello Stato privi di assistenza e rappresentanza da parte dei genitori o d’altri adulti per loro legalmente responsabili”. Il minore straniero non accompagnato è inespellibile. A seguito della sua segnalazione viene preso in carico dai servizi del territorio - come accade in generale per i minori, indipendentemente dalla nazionalità – che predispongono l’accoglienza in centri o in case famiglia. Tutti i progetti individuali sono integrati con interventi di sostegno: mediazione linguistico culturale, assistenza legale, sociale, formativa, lavorativa.

A Roma l’accoglienza per i minori stranieri non accompagnati si articola su tre livelli:

a)     una fase di pronta accoglienza;

b)    una più stabile presso case famiglie diffuse sul territorio;

c)     una terza, che non riguarda necessariamente tutti i ragazzi; rivolta all’accompagnamento all’autonomia al raggiungimento della maggiore età.

Circa il 30% dei MISNA che accedono al sistema di accoglienza comunale presenta i requisiti per procedere alla richiesta di riconoscimento della protezione internazionale o umanitaria, mentre una percentuale minima si considera “in transito”, ovvero prevede di completare il proprio percorso migratorio in altri paesi europei.

I MISNA accolti nel 2008 sono stati 1.049, un numero che segna un decremento in termini assoluti rispetto al 2006, che con 1.534 unità è risultato l’anno con maggiori presenze. I minori accolti nel 2008 sono in prevalenza maschi (853), mentre le femmine sono state 196, dato che si distanzia notevolmente dalla rilevazione del 2006, quando la presenza femminile (727), soprattutto rumena, era non troppo distante da quella maschile (807). Tale dato evidenzia come la crescente complessità e l’alto rischio del percorso migratorio facciano propendere tale iniziativa sul maschio, visto come investimento dalla comunità di appartenenza, anche se la figura del “viaggiatore solitario” appare comunque significativa.

Osservando le prime tre nazionalità maggiormente rappresentate nel circuito, troviamo che i minori afgani nel 2008 sono stati 329, mentre nel 2006 erano 130, con un aumento del 253%. Lo stesso vale per i minori di origine egiziana, che nel 2008 erano 116, mentre erano solo 2 nel 2006; discorso equivalente in termini d’incremento per i minori del Bangladesh: 75 nel 2008, appena 5 nel 2006. Un fenomeno inverso ha riguardato i minori di origine rumena, che nel 2008 hanno visto un presenza di 235 minori, rispetto alle 895 presenze del 2006.

L’estrema rapidità con cui si modificano le geografie degli ingressi fa comprendere, anche nel caso dei MISNA, come l’incremento quantitativo contenga una valenza qualitativa che richiede una costante manutenzione del sistema e flessibilità dell’offerta per rispondere a bisogni estremamente diversificati, pur in presenza di fasce anagrafiche omogenee. Il numero dei paesi di provenienza (oltre 50 da tutto il mondo), le differenze culturali, religiose ed etniche, spesso anche interne allo stesso paese di provenienza, determinano enormi difficoltà di gestione dell’accoglienza e di convivenza nelle comunità educative e, talvolta, anche con la comunità civile italiana. Anche i progetti di inclusione e di inserimento sono fortemente condizionati da tali caratteristiche, seppure in via di massima ciascun progetto migratorio contiene esigenze e motivazioni pressanti, per le quali i ragazzi operano scelte consapevoli e responsabili in termini di accettazione delle regole vigenti.

Stante l’altissima percentuale di ragazzi che accedono alla prima accoglienza prossimi alla maggiore età, in grande prevalenza maschi, le strutture di secondo livello cui si fa riferimento sono quelle rivolte alla fascia adolescenziale, che risultano insufficienti sul territorio romano. Di conseguenza, è necessario ricorrere a comunità attive sul territorio regionale o anche extraregionale.

In vista di un programma di miglioramento della strategia, dei metodi e degli strumenti di accoglienza dei MISNA, è opportuno concentrare l'attenzione sulle attuali problematiche di livello istituzionale e operativo. Sinteticamente, si tratta di:

ü     incertezze sull'attendibilità scientifica delle procedure di identificazione e accertamento dell’età, che stanno alla base del diritto di accoglienza protetta;

ü     saturazione del sistema di accoglienza per adolescenti, con continuo ricorso a strutture fuori del territorio comunale e a volte regionale, superata soltanto grazie all’allestimento di servizi a bassa intensità assistenziale nella fase di primissima accoglienza;

ü     numeri elevati di MISNA con compromissioni di carattere psico-patologico e psichiatrico;

ü     difformità relative ai criteri per l'esercizio dei diritti di protezione (ad es., , l’Ufficio Giudice Tutelare di Roma - unico nel panorama nazionale - emette decreti di tutela degli egiziani sino ai 21 anni, sulla base di quanto previsto dalle leggi egiziane);

ü     inadeguate risorse per allestire gli interventi post maggiore età (alloggio – lavoro);

ü     insufficienti relazioni con le comunità straniere presenti in Roma.

E.7.6 Un nuovo Piano per l'attuazione della legge 285/97

La legge 285/97 prevede, tra l’altro, l’istituzione del Fondo Nazionale per l’Infanzia e l’Adolescenza con uno stanziamento di 117 miliardi di lire per l’anno 1997 e di 312 miliardi a decorrere dal 1998. Una quota del 30% di tale Fondo è riservata a 15 città (tra cui Roma), che presentano condizioni e problemi particolari. La quota attribuita al Comune di Roma è di poco superiore al 6% dell’importo complessivo del Fondo e attualmente si aggira sui 9 milioni di Euro l’anno.

Il Fondo è finalizzato a finanziare progetti integrati, promossi dai Comuni con il concorso della Scuola, delle ASL, della Giustizia minorile e di altre istituzioni e organizzazioni che operano sul territorio in favore dell’infanzia e dell’adolescenza. Da alcuni anni, le risorse di questo Fondo, confluendo nel Fondo Nazionale Politiche Sociali, sono ripartite in modo indistinto alle Regioni. Le Città riservatarie continuano però ad essere finanziate direttamente dallo Stato.

I Piani del Comune di Roma in attuazione della legge 285/97

Il Comune di Roma ha adottato diversi Piani Territoriali Cittadini in attuazione della Legge 285/97. Il primo Piano è stato sottoscritto il 29 luglio 1998 con un Accordo di Programma sottoscritto dal Sindaco, dal Provveditore agli Studi, dal Rappresentante del Centro per la Giustizia Minorile per il Lazio e l’Abruzzo e dai Direttori delle cinque ASL romane.

La preparazione del Piano cittadino era stata avviata fin dai primi mesi del 1998 da un Comitato tecnico-politico interassessorile, formato da esponenti di tre Assessorati (Città a misura delle bambine e dei bambini, Politiche Sociali, Politiche Educative e Giovanili). L’analisi dei bisogni e la ricognizione delle risorse territoriali erano state svolte in gran parte dai servizi sociali delle Circoscrizioni. A questo livello si sono decisi in gran parte i progetti da realizzare (due terzi delle risorse disponibili sono infatti ripartite ai Municipi, secondo precisi indicatori). Ai progetti circoscrizionali sono stati affiancati alcuni interventi a dimensione cittadina, promossi dai tre Dipartimenti coinvolti.

Anche il secondo Piano Cittadino è stato elaborato dopo un lungo e complesso percorso e in seguito ad una valutazione generale dei progetti, in modo da raccogliere elementi utili per il miglioramento degli interventi. Il processo è stato gestito e coordinato dal Comitato Interdipartimentale Operativo (CIO), secondo precise indicazioni della Giunta Comunale. Questo Piano è stato adottato dal Commissario straordinario con Ordinanza 131 del 28 maggio 2001, in seguito alla sottoscrizione di un Accordo di Programma con le ASL romane, il Provveditorato agli Studi e il Centro per la Giustizia Minorile per il Lazio e l’Abruzzo.

Negli ultimi anni l’Amministrazione comunale ha deciso di dare continuità agli interventi avviati con i Piani precedenti, sia in considerazione di una certa incertezza riguardo alla continuità del finanziamento della legge 285, sia perché nel frattempo si è dato avvio al Piano Regolatore Sociale, al cui interno sono confluiti anche i progetti della Legge 285.

Gli interventi

I destinatari degli interventi ― come è ovvio ― sono principalmente bambine e bambini (di tutte le età), ragazzi e ragazze minori di età. Molti interventi sono indirizzati però anche ai genitori, ai familiari, agli educatori e agli operatori sociali.

Come si evince dalla tabella seguente, attualmente sono attivi 84 interventi, di cui 76 promossi dai Municipi e 8 dai Dipartimenti centrali. Gli interventi riguardano tutte le aree e i settori previsti dalla Legge 285/97 e sono riconducibili a diverse tipologie.

 

Tabella 26 Progetti in corso finanziati dalla legge 285/97 – v.a. e v. percentuale (2009)

Tipologia

N.

progetti

% sul totale dei progetti

Educativa territoriale, lavoro di strada e centri di aggregazione per adolescenti (13-18 anni)

26

31,0%

Spazi e servizi ludico-ricreativi per l’infanzia (4-12 anni)

20

23,8%

Sostegno alla genitorialità

16

19,0%

Sostegno all’integrazione scolastica e prevenzione della dispersione e dell’abbandono scolastico

6

7,1%

Sostegno a bambini e adolescenti con disagio psico-sociale

5

6,0%

Sostegno all’integrazione dei minori stranieri e nomadi

3

3,6%

Interventi in risposta a problemi di handicap fisico e/o psichico

3

3,6%

Promozione dei diritti e della partecipazione dei minori

3

3,5%

Nidi alternativi e altri interventi per la prima infanzia (0-3 anni)

1

1,2%

Progetto di sistema

1

1,2%

Totale

84

100

 

La realizzazione degli interventi è stata affidata in gran parte ad organismi esterni all’amministrazione comunale: associazioni, cooperative e altre organizzazioni no profit. È rilevante anche il ruolo delle scuole, che negli ultimi anni è andato crescendo: nel 2009 sono circa 80 gli Istituti scolastici coinvolti nei progetti promossi dal Dipartimento alle Politiche scolastiche. Complessivamente, fino ad a oggi sono stati coinvolti circa trecento organismi attuatori, molti dei quali si sono riuniti in raggruppamenti temporanei di scopo. Attualmente sono un centinaio gli organismi impegnati nell’attuazione degli interventi.

L’eterogeneità dei progetti rende difficile e incerto il calcolo dei destinatari raggiunti. In oltre dieci anni (cioè dal 1999 al 2009), si può stimare che ne abbiano usufruito non meno di 320.000 persone, di cui circa il 60% sono minori di età, 30% genitori e familiari, 10% insegnanti, educatori e operatori sociali. Complessivamente, le risorse assegnate dallo Stato al Comune di Roma dal 1997 al 2009 sono pari a circa 120 milioni di euro, con un importo medio/anno di oltre 9,3 milioni di Euro.

Il coordinamento e il monitoraggio dei progetti è affidato alla Cabina di Regia, una tecnostruttura formata da dipendenti comunali, con il supporto di una organismo specializzato. Alla Cabina di Regia sono attribuiti diversi compiti: coordinamento, monitoraggio, comunicazione, assistenza tecnica sulle procedure, controllo di gestione, controllo della qualità degli interventi, valutazione degli esiti, diffusione di buone prassi. Il sistema di monitoraggio attivato dalla Cabina di regia prevede flussi regolari, completi e tempestivi di informazioni sullo stato di avanzamento delle attività progettuali, sulle azioni realizzate e sui destinatari raggiunti.

L’attuazione della legge 285 a Roma è unanimemente considerata un'esperienza positiva, per molteplici motivi:

ü     per la disponibilità finanziaria aggiuntiva al bilancio comunale, vincolata e costante[84];

ü     per l’approccio universalistico, finalizzato a creare opportunità per tutte le persone minori di età e non solo per alcune “fasce” o categorie svantaggiate;

ü     per l’innovazione metodologica e procedurale, con una pianificazione e progettazione territoriale integrata e il coinvolgimento di diversi Dipartimenti, dei Municipi, delle Istituzioni, del Terzo Settore e del Volontariato;

ü     per il coordinamento, l’assistenza tecnica e il monitoraggio assicurati dalla “Cabina di regia”;

ü     per il collegamento dell’esperienza romana con il Centro Nazionale Infanzia e Adolescenza e con le altre Città riservatarie.

Per tutti questi motivi, si ritiene necessario non solo assicurare continuità e stabilità a questa esperienza, ma anche rilanciarla per un’ulteriore sviluppo, in modo da ritrovare lo spirito e l’entusiasmo che hanno caratterizzato i primi anni di questa esperienza.

È importante che gli interventi in attuazione della legge 285 mantengano una propria specificità, anche se inseriti doverosamente nel Piano Regolatore Sociale. La legge 285 infatti non è un "capitolo" dei servizi socio-assistenziali, ma è finalizzata alla promozione delle opportunità e dei diritti di tutte le persone in età evolutiva, non necessariamente attinenti all'area socio-assistenziale. I progetti finanziati dalla legge 285 devono perciò essere inquadrati nella più ampia finalità di rendere la città sempre più “amica” dei bambini e delle bambine, dei ragazzi e delle ragazze che vivono a Roma.

Per raggiungere questo obiettivo è necessaria una forte integrazione con tutte le politiche cittadine che hanno un impatto sulle nuove generazioni: l’educazione, la formazione, la cultura, la partecipazione alla vita della città, la conciliazione dei tempi della famiglia con quelli del lavoro, il gioco, lo sport, la cura dell’ambiente, la mobilità, la sicurezza, ecc. Perché questa integrazione non resti solo una buona intenzione, è necessario identificare metodi e strumenti concreti, con indicatori di processo e di risultato verificabili.

In particolare, si dovrà porre attenzione al coordinamento delle politiche dell’infanzia e dell’adolescenza con quelle della famiglia e della gioventù. I piani di intervento promossi in favore delle famiglie e dei giovani, insieme a quelli per i minori, potranno così generare un “effetto-condensazione” e sinergie efficaci.

È importante che la nuova pianificazione degli interventi per l’infanzia e l’adolescenza non si limiti alla programmazione delle risorse trasferite dallo Stato direttamente riferibili alla legge 285, ma si ponga in un’ottica sistemica, in modo da promuovere un insieme organico di interventi e opportunità per tutti i bambini e le bambine, i ragazzi e le ragazze che vivono nella città, integrando le risorse della legge 285 con quelle del bilancio comunale, quelle trasferite dalla Regione, quelle provenienti da altre fonti di finanziamento.

Il principale riferimento normativo dovrà continuare ad essere la Convenzione ONU sui diritti del fanciullo e le altre Convenzioni internazionali ratificate dallo Stato italiano. Al riguardo, è importante anche coordinare l’azione del Comune di Roma in questo settore con quella della Scuola, della Magistratura minorile e del Garante regionale dell’infanzia e dell’adolescenza. Inoltre, si dovrà incentivare la partecipazione dei minori alle iniziative che li riguardano, in modo sostanziale e non solo "coreografico".

L'attuazione della legge 285 a Roma si fonda sulla ricerca di un rapporto equilibrato tra:

ü     le iniziative di promozione del benessere di tutti i minori e i programmi di prevenzione e riduzione del disagio dei minori, facendo dunque attenzione a tutte le aree di intervento previste dalla legge 285;

ü     i diversi gruppi target e le diverse età, a partire dalla prima infanzia fino all’adolescenza;

ü     la necessaria stabilità e continuità da assicurare ai servizi avviati e un buon livello di innovazione (al riguardo, si potrebbe riservare una percentuale delle risorse disponibili alla sperimentazione di interventi innovativi).

Dal punto di vista della programmazione della legge 285, nel nuovo Piano Regolatore Sociale:

ü     si confermano i criteri di riparto tra interventi municipali (2/3) e interventi cittadini (1/3) e della riserva del 3% per le azioni di sistema a livello centrale (assistenza tecnica, formazione, monitoraggio, valutazione e diffusione dei risultati, rendicontazione, relazioni con il Centro Nazionale Infanzia e Adolescenza e le altre Città riservatarie);

ü     si supera la prassi consistente nella riserva del 2% per le azioni di sistema a livello degli enti promotori, sia perché sono venute meno le ragioni che hanno giustificato tale misura, sia al fine di recuperare parte della riduzione del finanziamento statale;

ü     sono rivisti i criteri di riparto dei fondi 285 sia tra i Municipi, aggiornando la batteria degli indicatori da utilizzare (ad es: popolazione minorile, livelli di disagio, densità di servizi per l’infanzia e l’adolescenza, ecc.);

ü     sono rivisti i criteri di riparto tra i Dipartimenti interessati (Promozione dei servizi sociali e della salute; Servizi educativi e scolastici), in modo da assicurare un sostanziale equilibrio;

ü     è incentivato il trasferimento dei progetti “stabilizzati” (veri e propri servizi territoriali) dai fondi della legge 285/97 al bilancio comunale;

ü     sono adottate misure procedurali per controllare i rischi derivanti dal trasferimento (a partire dal 2010) delle risorse statali sul bilancio comunale, al fine di mantenere la specificità della legge 285;

ü     sono incentivate forme di cofinanziamento nell'ambito della "Responsabilità Sociale" delle organizzazioni private e, in alcuni casi, degli stessi beneficiari-fruitori dei servizi[85];

ü     sono adottati gli strumenti più efficaci per ottimizzare e ridurre i costi di gestione[86].

E.7.7 Spunti operativi

A.      Definire i "livelli essenziali" per i minori privi di un valido sostegno familiare.

È già stato sottolineato come sia necessario garantire su tutto il territorio comunale un sistema di opportunità e di prestazioni essenziali per le persone che si trovano in situazioni di bisogno e di fragilità sociale. La definizione dei “livelli essenziali” delle prestazioni sociali è certamente un compito che spetta allo Stato, ma la città di Roma può contribuire a raggiungere questo obiettivo avviando una sperimentazione limitata al settore dei servizi che riguardano i minori privi di un valido sostegno familiare.

B.      Rivedere e aggiornare i modelli di intervento per l'accoglienza e la presa in carico dei minori che vivono situazioni di disagio e/o sono privi di un valido sostegno familiare

L’accoglienza residenziale dei minori è stata oggetto di due provvedimenti di Giunta tra il 1998 e il 2000, riguardanti la realizzazione del sistema di accreditamento e l'istituzione di un Registro cittadino delle comunità socio educative per minori. Tale sistema deve però essere aggiornato, in quanto ormai non corrisponde più alle complesse esigenze determinate dai cambiamenti degli ultimi 10 anni. Si tratta di rivedere non tanto il funzionamento del singolo servizio, quanto lo stesso modello di intervento, nei suoi aspetti organizzativi e operativi.

È necessario soprattutto regolamentare l’erogazione dei servizi in modo uniforme e organico su tutto il territorio. Ciò comporta una revisione del sistema di accreditamento, modificando profondamente l’impostazione sinora adottata, che premia i progetti di comunità più su criteri logistici che professionali. Il nuovo sistema deve essere centrato sul singolo minore, differenziando i progetti educativi di intervento mediante un'accurata valutazione multidimensionale. Ciò delinea l’esigenza di coinvolgere i servizi sanitari in ogni fase dell'intervento e di prevedere azioni di aiuto anche al nucleo familiare, sia sotto il profilo professionale che materiale.

Un obiettivo da perseguire nel nuovo sistema di accreditamento è quello di trasformare la comunità educativa da risorsa dedicata all’accoglienza protetta di alcuni minori “esclusivamente” fragili verso un modello di “agenzia territoriale” di riferimento “anche” per soggetti minori per i quali l’accoglienza non è necessaria. In tal senso, appaiono evidenti i possibili collegamenti delle comunità residenziali con il mondo della scuola, con il SISMIF e l’affido familiare, con gli interventi di educativa territoriale.

In questo contesto va ripensata anche l’assistenza domiciliare minori (SISMIF), programma che ancora vive su un modello “sperimentale” ipotizzato a metà degli anni ’90. Tale modello appare oggi inadeguato soprattutto sotto il profilo della progettualità, ormai da diversificare per fasce di età e problematiche. L'impianto per “pacchetti di servizio”, pur avendo introdotto elementi di flessibilità importanti rispetto al semplice conteggio delle "ore di assistenza", nel caso dei soggetti minori costituisce un elemento di rigidità che deve essere superato per ampliare i margini di elasticità e di adattamento necessari per un’efficace azione educativa.

Sia la definizione delle figure professionali necessarie a condurre un buon progetto di domiciliare, sia la tipologia di interventi (ovviamente diversi nel caso di un minore di sei anni rispetto a un adolescente), necessitano di una rivisitazione del modello, che deve fondarsi su due premesse:

ü     il coinvolgimento delle reti di aiuto sanitario specialistico, sia per il minore che per eventuali membri del nucleo familiare;

ü     la costruzione di un modello ad hoc per gli adolescenti, che preveda anche la costituzione di équipes di educativa territoriale che possano intercettare il fenomeno di disagio e introduzione di figure “adulte” di riferimento extra familiari.

L’assistenza economica deve essere rivista sotto il profilo della specificità delle finalità da assumere nei casi di disagio minorile o familiare con presenza di minori a rischio. Occorre decentrare qualsiasi tipologia di assistenza economica, tenendo conto che la stessa deve sempre essere finalizzata a progetti la cui attuazione non può essere separata dalle reti di territorio. Sostenere la frequenza scolastica e le attività sportive, consentire la cura della salute, assicurare il riferimento di un adulto significativo per il minore nell’organizzazione familiare, facilitare la frequentazione nei casi di separazione con il genitore non residente (ora l’affidamento nella separazione è quasi sempre “congiunto”), sono linee di intervento affrontabili talvolta anche attraverso un potenziamento dello strumento del “contributo finalizzato”.

C.     Velocizzare i processi di presa in carico e di protezione sociale.

Tenendo conto del valore “tempo” per le persone in età evolutiva, specialmente per i più piccoli, è importante introdurre misure in grado di rendere più tempestivi i processi di presa in carico e di protezione sociale. Gli interventi tardivi non solo rischiano di risultare inefficaci, ma possono addirittura essere controproducenti. Per raggiungere questo obiettivo bisogna disporre di un sistema informativo in grado di monitorare costantemente la situazione di ciascun minore assistito.

D.     Ridurre il ricorso all’assistenza residenziale.

Si tratta di proseguire nel cammino che, pur con qualche esitazione e difficoltà, è stato intrapreso in questi ultimi anni, alla luce della legge 149/2001, privilegiando percorsi personalizzati di accoglienza in ambienti veramente “familiari” (e non solo “a dimensione familiare”). A tal fine è necessario sia stimolare la Regione Lazio a rivedere l’attuale assetto dei GIL Adozioni, sia sul piano organizzativo che formativo (le attese per l’espletamento delle inchieste sono infatti lunghissime), sia potenziare l'affido familiare, a partire dal nuovo Regolamento adottato nel 2008, con il sostegno dell’autorità giudiziaria e degli organismi specializzati. In questo ambito saranno perseguiti i seguenti obiettivi:

ü     aumentare la disponibilità di persone affidatarie[87], anche mediante il rafforzamento delle azioni di sensibilizzazione della popolazione;

ü     assicurare un maggiore sostegno alle persone affidatarie, attraverso figure professionali di riferimento che possano agire sulla motivazione e aiutare ad affrontare le difficoltà insorgenti;

ü     rilanciare e sviluppare l’azione del Centro comunale “Pollicino”;

ü     sperimentare modalità innovative di affidamento familiare e lo sviluppo di interventi “leggeri” di accompagnamento all’affido, che consentano di offrire l'apporto di famiglie e singoli di riferimento a un target di minori per il quale l’affido a tempo pieno non risponde né a esigenze del target stesso, né alle disponibilità esistenti.

E.      Migliorare l'efficacia e l'appropriatezza delle Comunità di accoglienza.

La “specializzazione” delle comunità deve essere orientata attraverso un’azione dei servizi che sappia “valutare a livello multidimensionale” le problematiche in atto caso per caso, al fine di elaborare progetti individuali “differenziati” anche per intensità assistenziale. Non solo. È anche necessario “dimensionare” il corrispettivo economico da erogare alle comunità a seconda delle problematiche individuali e familiari in atto. In sostanza, i minori sono tutti uguali per esigibilità di diritti, ma assolutamente diversi per caratteristiche, necessità di aiuto e risorse da attivare.

Per il target adolescenziale deve essere sviluppato un sistema differenziato su tre livelli: acuzie patologica (a titolarità sanitaria); trattamento terapeutico (a titolarità socio sanitaria), per creare condizioni atte al rientro del minore in una comunità (o altre soluzioni di collocamento intra o extra familiare); recupero educativo (a titolarità socio educativa). Particolare attenzione deve essere assegnata ai casi di adolescenti con situazioni di disagio che tendono ad acutizzarsi verso condizioni patologiche: autolesionismo, aggressività, asocialità, devianza, bullismo, etc.

Per i piccolissimi[88], invece, occorre rendere più rapida la definizione dei percorsi giuridici di collocamento extrafamiliare nei casi in cui ne ricorrano le condizioni (intensificando la collaborazione con il Tribunale per l’emissione di provvedimenti necessari, una volta effettuate le verifiche sulle condizioni delle famiglie di origine). Nello stesso tempo occorre potenziare le reti di sostegno alle famiglie di origine, se le condizioni di disagio non sono riferite a incapacità genitoriale. Infine, è necessario incrementare i posti in accoglienza, stante l’elevato numero di casi verificatisi negli ultimi due anni.

Per i minori in età di prima scolarizzazione, si deve prendere atto che purtroppo un eccessivo numero di minori subisce l’effetto di lunghe permanenze in comunità. L’adozione non sempre è possibile od opportuna e dunque è necessario adottare anche altre misure, come la promozione di reti di accoglienza solidale che interrompano i rischi di istituzionalizzazione; il potenziamento dell'aiuto alle famiglie di origine; una programmazione attenta dell'uscita dall'assistenza, tramite collegamenti sistematici con altre reti (lavoro, sostegno alloggiativo, etc.).

Per i nuclei madre con bambino, in cui sempre più frequentemente le madri sono portatrici di incapacità e disturbi, pur non venendo meno il loro livello di affettività e cura dei figli; devono essere potenziati gli interventi di semiautonomia e di percorsi verso l’autonomia (lavoro, alloggio).

F.      Migliorare le procedure per l'affidamento dei progetti e dei servizi.

Dal punto di vista educativo, è necessario assicurare ai minori relazioni stabili, che si sviluppano necessariamente nel tempo, seguendo la naturale evoluzione della persona legata alla transizione adolescenziale. Questo è il motivo principale, anche se non unico, per cui si rende necessario, nel rispetto della normativa e dei vincoli di bilancio, affidare la gestione dei servizi socio-educativi per un periodo che sia congruo con gli obiettivi da raggiungere.

Di norma, la loro durata e il relativo impegno finanziario non dovrebbe essere inferiore ai tre anni, tranne i casi in cui sia la stessa natura dell’intervento ad esigere un periodo più breve (ad esempio in casi di sperimentazione di interventi innovativi, oppure quando si deve affrontare un problema congiunturale di breve periodo).

Nelle procedure per la selezione degli organismi a cui affidare i progetti e i servizi è necessario pertanto individuare criteri e strumenti che permettano di conciliare il principio della libera concorrenza degli organismi con il diritto/dovere della continuità educativa e assistenziale in tutti i servizi in cui sono coinvolti minori, specialmente quelli più fragili. In caso di conflitto tra queste due esigenze, è importante privilegiare il "superiore interesse" del minore[89].

G.     Promuovere la pratica sistematica del monitoraggio e della valutazione.

È necessario, a tutti i livelli e per tutti gli interventi rivolti ai minori, che gli enti gestori dei servizi adottino sistemi operativi di monitoraggio e valutazione, mediante protocolli definiti con il Comune. Al riguardo, saranno programmate azioni di aggiornamento e formazione per il personale della Pubblica Amministrazione e del Terzo Settore, per l’identificazione condivisa di indicatori oggettivamente verificabili relativi ai processi e ai risultati degli interventi, sulla base dei quali valutare l’efficacia e l’efficienza del lavoro svolto.

H.     Ampliare e sistematizzare le azioni per la prevenzione dei rischi.

Il concetto di prevenzione è valido in tutti gli ambiti dei servizi sociali, ma è evidente che riveste una particolare importanza quando si parla di persone in età evolutiva. Si deve pertanto considerare la "prevenzione" un compito strutturale del sistema cittadino dei servizi sociali (anche se, ovviamente, non solo di questi). Per questo è necessario che gli interventi di prevenzione siano attentamente programmati, monitorati, valutati.

In questo ambito si deve agire sia con una prevenzione "generale" nei confronti di tutto il gruppo target, sia con una prevenzione "specifica", diretta ai soggetti con maggior rischio. Un campo di applicazione importante è quello dell'educativa territoriale, finalizzata all’aggancio e all’orientamento degli adolescenti e dei gruppi informali, per favorire un adeguato processo di responsabilizzazione, di rientro nei sistemi dell'istruzione e della formazione o in un percorso di inserimento socio-lavorativo.

E.8 Servizi e interventi per le persone anziane[90]

E.8.1 Le persone anziane: una risorsa per la città

Come si è visto nella descrizione dei dati demografici, a Roma vive un "esercito" di persone con più di 65 anni: oltre 600mila, pari al 21,22% della popolazione residente. Queste persone costituiscono, prima che un problema, una preziosa risorsa per la città. Circa la metà degli anziani sono nella fascia d’età 65-74, per lo più autosufficienti e attivi. Essi costituiscono il principale "ammortizzatore sociale" del territorio. Partecipano alla vita civica, si istruiscono, viaggiano, aiutano in famiglia, si occupano dei nipoti e spesso anche di un genitore più anziano. Alimentano il volontariato e l'associazionismo. Hanno esperienza, tempo, relazioni, a volte anche mezzi economici. Costituiscono una "leva" per far fronte alle sfide del welfare locale nei prossimi anni.

Per tutte queste persone l’obiettivo non è solo quello di vivere il più a lungo possibile ("dare anni alla vita"), ma di prolungare l'età della vita attiva, vivere il meglio possibile, integrati al tessuto sociale della città ("dare vita agli anni").

Gli impegni, gli sforzi e i progetti da dedicare a questa fascia di età devono essere finalizzati al mantenimento e, qualora possibile, all’accrescimento della qualità della vita. L'obiettivo principale è mantenere il proprio grado di autonomia e vivere all’interno del tessuto sociale. Una piena appartenenza alla vita della città ne fa una leva di sviluppo per l’intera società.

L’anziano come “risorsa” è un approccio al problema demografico che va nella direzione opposta a quello assistenzialistico, impostato sulla reazione all’insorgenza dei problemi connessi all'invecchiamento (prima si lascia che l’anziano esca fuori dal tessuto socio-produttivo, perdendo possibili risorse, e in seguito si tenta di recuperarlo, spendendo ulteriori risorse).

La filosofia e la metodologia di molte organizzazioni che si occupano di anziani secondo questa impostazione[91] ribalta completamente questo punto di vista: l’intervento è di tipo preventivo e di conseguenza prima di tutto si fa in modo che chi si avvicina alla Terza Età non esca dal tessuto socio-produttivo e in secondo luogo si procede al mantenimento di tale appartenenza.

Le grandi potenzialità dei "giovani-anziani" (tempo, esperienza, motivazione, capacità) costituiscono un patrimonio prezioso che può essere meglio valorizzato e organizzato all'interno del welfare locale. Ne deriva un evidente risparmio delle risorse economiche, mediante la possibilità di impiegare grandi forze sociali senza alcun costo per la comunità.

E.8.2 I bisogni sociali delle persone anziane

I bisogni sociali delle persone anziane sono ovviamente molto diversi, a seconda dell'età, delle condizioni di vita e di salute, delle possibilità economiche e culturali. In questa sede si presentano, in modo necessariamente schematico, i bisogni sociali degli anziani autosufficienti, quelli degli anziani "fragili" e non autosufficienti, quelli delle famiglie e dei care givers.

I bisogni sociali degli anziani autosufficienti.

I dati demografici sulle famiglie che vivono a Roma mettono in evidenza uno dei più importanti problemi di molte persone anziane: la solitudine. Quando le relazioni familiari, lavorative e sociali si diradano, è necessario, in primo luogo, non essere e non sentirsi soli. C'è bisogno di relazione autentica. Prima ancora dell'aiuto concreto nella vita quotidiana, che pure è necessario, per l’anziano è preminente l’aspetto dell’esserci, della prossimità.

La presenza di una persona che si "prende a cuore" dell'anziano (prima ancora di "prendersene cura"), sia essa un volontario o un professionista, diventa parte essenziale risulta spesso l'elemento centrale dell'intervento di prevenzione e contrasto del disagio sociale. Anche servizi telefonici, ben strutturati, possono essere utili per non far sentire sola la persona anziana, che ha la possibilità di scambiare "quattro parole" con una voce amica.

La città è ricca di esperienze di "vicinato" in questo senso, promosse per lo più da volontari, singoli e organizzati. Si può citare, uno per tutti, il servizio della Caritas diocesana di Roma denominato “Aiuto alla persona”.

 

Graf. 28 Tipo di interventi nell'ambito del servizio “Aiuto alla persona” - v. % (2008)[92]

Connesso strettamente alla condizione di solitudine, c'è il problema della sicurezza (oggettiva e percepita). È questo un problema con molteplici sfaccettature, che praticamente riguarda tutti gli anziani, in particolare quelli che vivono da soli: sicurezza in casa, con riguardo al rischio di incidenti domestici e all'utilizzo delle apparecchiature a gas; rischi di furti, rapine, truffe e raggiri, da parte di una criminalità che sembra si stia "specializzando" in questo tipo di reati; necessità di intervento rapido in caso di un'emergenza o di un problema di salute. Per far fronte a questi bisogni negli ultimi anni il Comune ha attivato diversi servizi, come i progetti "A casa sicuri", "Pronto nonno", "Tele-monitoraggio", Saver, ecc. (cfr. più avanti).

Molti anziani hanno problemi di tipo economico. Le risorse derivanti dalle pensioni (per lo più pensioni di reversibilità) in molti casi non risultano sufficienti per condurre una vita dignitosa. Se ne è già parlato, a proposito della povertà a Roma, che interessa anche molti anziani, soprattutto vedove che vivono della pensione di reversibilità. Al riguardo il Comune da anni ha adottato misure di sostegno economico per far fronte alle spese per la casa, le utenze, i trasporti e altre necessità, che risultano però insufficienti a rispondere alle numerose richieste della popolazione[93].

Molti anziani hanno bisogno spesso di un aiuto "leggero" per la mobilità, il disbrigo di pratiche, gli acquisti, accompagnamento a visite mediche. Ciò che per una persona nel pieno delle forze può sembrare di facile attuazione, per un anziano, anche se autosufficiente, può costituire un problema. In questo settore il volontariato è intervenuto in modo puntuale, mentre l'Amministrazione ha attivato una serie di servizi, in collaborazione con associazioni ed enti di volontariato[94].

I bisogni degli anziani "fragili" e non autosufficienti.

I bisogni sociali si fanno più acuti per i quasi 300.000 over 75 che vivono a Roma, per i quali, presumendo una maggiore fragilità, si devono predisporre anche servizi di natura socio-sanitaria. Non a caso, circa l’80% degli assistiti nell'ambito dei servizi sociali promossi dal Comune di Roma ha più di 75 anni[95]. La classe con la maggiore concentrazione è quella da 80 a 84 anni, che comprende circa un quarto degli utenti. L’età media degli assistiti è di 81,3 anni. Gli utenti con meno di 70 anni sono invece solo poco più del 7%. Si tratta generalmente di utenti dalle scarse risorse economiche. Il valore medio del reddito familiare annuo dichiarato per il calcolo Isee (reddito complessivo Irpef) è pari 8.724,75 euro l'anno. Quasi la metà dei nuclei familiari si colloca fra i 5.000 e i 10.000 euro annui di reddito, il 20,8% fra i 10.000 e 15.000 euro. Solo il 15,1% delle famiglie che richiedono prestazioni sociali dichiarano più di 15.000 euro di reddito.

Anche se fortunatamente vi sono persone molto avanti con gli anni che godono di buona salute e sono ancora attive, tra i sempre più numerosi "grandi anziani" aumentano ovviamente le persone non autosufficienti e con malattie invalidanti come l'Alzheimer. Per loro c'è bisogno di cure appropriate e personalizzate, possibilmente a domicilio e nel proprio ambiente sociale. È questo l'obiettivo di diversi servizi, come l'assistenza domiciliare, le "dimissioni protette", i "Centri per anziani fragili". Quando la permanenza nella propria casa diventa impossibile o inopportuna, c'è necessità di una ospitalità in strutture adeguate: Case di riposo, Residenze Sanitarie Assistite, Hospices. In queste strutture, oltre che di buoni servizi sanitari, la persona anziana ha bisogno di attenzione e affetto. Per quanto possibile, deve essere assicurata la continuità assistenziale nella medesima struttura, pur nell'evolversi e nell'aggravarsi delle condizioni di salute. Quando le possibilità di miglioramento e controllo della malattia e della decadenza psico-fisica vengono meno, si accentuano le esigenze di "cura" della persona, assicurando il diritto di concludere la fase finale della propria vita con dignità, rispetto e calore umano.

Bisogni di sostegno delle famiglie e dei care givers.

In generale, le famiglie, quando possono, provvedono direttamente a soddisfare i bisogni di assistenza dei loro cari, utilizzando risorse interne alla famiglia stessa e la rete delle relazioni primarie e della comunità locale. Come abbiamo avuto già modo di vedere, sono soprattutto gli "anziani-giovani", i nonni, la grande risorsa della famiglia. Non solo sono di aiuto nella custodia, nel trasporto e nell'accudimento dei nipoti, ma si occupano a volte anche dei loro genitori non autosufficienti. Si tratta di un apporto fondamentale nel funzionamento del welfare familiare, il cui valore economico è impossibile da quantificare.

La famiglia dunque c'è e, come può, "risponde", cioè si assume le sue responsabilità. Ma fa fatica ed è sempre più in affanno, perché aumentano i bisogni e diminuiscono le forze. Il "dimagrimento" nell'ampiezza numerica delle famiglie romane, la loro instabilità, l'aumento medio dell'età, la crescita della presenza femminile nel mondo produttivo: tutti questi fattori costituiscono un "mix" di condizioni che rendono sempre più difficile immaginare che la famiglia possa continuare a far fronte da sola all'aumento dei bisogni sociali dei suoi componenti, in particolare delle persone anziane. E' su questo fronte che si misurerà il welfare locale nei prossimi anni.

Intanto le famiglie si son "date da fare" spontaneamente per trovare delle soluzioni, aiutate da una favorevole congiuntura internazionale, quella che ha permesso circa due milioni di famiglie italiane Italia di avvalersi del lavoro delle assistenti familiari. Questo è un universo in crescita, che non è facile quantificare, vista la rilevante componente sommersa legata anche all’intreccio con la condizione di molti immigrati irregolari. La domanda di servizi privati di supporto non è occasionale, dal momento che è inscritta in processi strutturali che dipendono dall’invec­chiamento della popolazione e dal conseguente aumento di persone non autosufficienti, dalla crescente partecipazione femminile al mercato del lavoro, dalle difficoltà di conciliare i tempi del lavoro con le responsabilità di cura; dalla ridotta presenza sul mercato sociale di servizi alla persona a costi accessibili alla maggior parte delle famiglie.

Secondo alcune stime, l’80% delle collaboratrici familiari è costituito da straniere e proviene nell’ordine da Romania, Ucraina, Albania e Filippine. Sarebbe di oltre 11 miliardi di euro la spesa complessiva delle famiglie italiane, per una retribuzione media mensile di circa 700 euro a collaboratrice familiare (anche se nel Centro-nord si arriva fino a 1000 euro). Le collaboratrici familiari non sono adibite solo al lavoro di cura. Molte svolgono le classiche mansioni da domestica, un’attività che non è stata del tutto abbandonata dalle donne italiane (come è accaduto invece per l’assistenza agli anziani). Nella maggior parte dei casi la badante viene contattata attraverso la rete di parenti e conoscenti e solo in poco più del 10% dei casi si arriva a lei attraverso un’agenzia o un servizio messo a disposizione da enti pubblici[96]. Nel settore è molto diffusa l’evasione fiscale e contributiva, che assume spesso quello della denuncia di un numero di ore inferiore a quello effettivamente prestato. Le “badanti” sono dunque una componente rilevante del nostro sistema sociale. Il modello permette di raggiungere contemporaneamente, sia pure con notevoli problemi, tre risultati positivi: il mantenimento dell’anziano disabile nel contesto familiare, l’integrazione degli immigrati, l’occupazione femminile.

Si tratta però di una soluzione con dei risvolti negativi, insiti nella soluzione stessa. L'equilibrio che ha permesso di creare questo particolare mercato del lavoro delle immigrate potrebbe infatti rompersi presto. Le badanti in genere non sono professionalizzate e il fatto di aver potuto offrire servizi a costi ridotti probabilmente è transitorio, strettamente legato al carattere sommerso e privo di tutele di questo lavoro, tra l'altro particolarmente usurante. Nei prossimi anni potrebbe non essere più così, per diverse ragioni, determinando quindi un problema per molte famiglie che fino ad oggi si sono potute permettere il servizio di un'assistente familiare proprio per i suoi limitati costi.

Un dato posto in evidenza da alcune ricerche condotte a livello locale mostra che a ricorrere al personale a pagamento non sono infatti soltanto le famiglie benestanti, ma anche il 18% circa delle famiglie disagiate. Il ricorso al lavoro domestico, dunque, si è esteso verso il basso della scala sociale. Del resto diversi monitoraggi sul territorio hanno mostrato che il servizio pubblico non è in grado di soddisfare l’intera domanda di assistenza, sicché per l’accudimento di anziani soprattutto non autosufficienti (o parzialmente autosufficienti) ha ormai acquisito piena legittimazione l’intervento di figure esterne alla famiglia.

E.8.3 I servizi e le prestazioni sociali per le persone anziane

In questa parte si presenta il quadro dei principali servizi sociali a sostegno delle persone anziane, promossi dall’Amministrazione comunale.

Centri anziani.

I Centri Anziani sono luoghi d’incontro che favoriscono le relazioni sociali tra anziani. In città ve ne sono 145 con una media di 650 iscritti per Centro, per un totale di quasi 100.000 iscritti. I Centri, che funzionano sulla base di uno specifico Regolamento, sono coordinati a livello cittadino da un organo costituito dai Coordinatori municipali dei Centri, istituito con Delibera del Consiglio Comunale. Il Coordinamento[97], in collaborazione con gli Uffici del Dipartimento per la Promozione di Servizi sociali e della Salute offre consulenza per gli iscritti e gli organi di gestione dei Centri, elabora progetti destinati ai Centri, collabora nella realizzazione di eventi a favore dei Centri Anziani.

Soggiorni d'argento[98].

L'Amministrazione Comunale ha ampliato l'offerta di possibilità turistiche e di svago per le persone pensionate ultrasessantenni (soggiorni di 7 o 14 giorni da maggio a settembre e di 5 giorni a Capodanno e a Pasqua), offrendo loro condizioni di particolare accessibilità sia in relazione alle destinazioni sia in relazione all'offerta economica con riduzioni dal 30% al 50%. Il servizio organizza periodi di vacanza e/o itinerari turistici e culturali a livello nazionale e internazionale per la popolazione anziana del Comune di Roma, favorendo in tal modo non solo lo sviluppo di relazioni e di socializzazione ma anche occasioni di ampliamento culturale e sociale degli utenti interessati. Per facilitare la partecipazione ai soggiorni degli ultrasessantenni autosufficienti e parzialmente auto-sufficienti, possono partecipare alle medesime condizioni anche figure plurigenerazionali parentali e non, fino ad un massimo di cinque unità per anziano. Nel 2008 le domande di partecipazione ai soggiorni cittadini di vacanza sono state 1.573. Tuttavia, per la limitatezza delle risorse, è stato possibile accogliere solo poco più della metà delle richieste (863).

Oasi Estive.

Si tratta di un progetto rivolto ai cittadini over 60, residenti a Roma, autosufficienti o parzialmente autosufficienti. Sono soggiorni diurni di 6 giorni, sviluppati in periodi settimanali o quindicinali. Gli anziani possono prenotare un periodo di vacanza tra le Oasi di Ostia, Maccarese, Terme di Tivoli, Terme di Cretone, Oasi cittadina del Pineto. Il trasporto alle Oasi mediante pullman messi a disposizione dal Comune è gratuito, mentre i pasti sono a carico dell'utente. Nel 2008 sono stati organizzati 19 tra “Punti Verdi e “Punti Blu”, di cui 6 nel solo Municipio I.

Un amico per la Città”,“Nonna Roma” e “Pony della Solidarietà”.

Si tratta di tre iniziative gestite dalla "Casa del Volontariato". "Un amico per la città" è un progetto che vede impegnati centinaia di anziani in un servizio di volontariato organizzato, svolto principalmente davanti alle scuole o in altri luoghi (parchi, giardini pubblici, ludoteche, ecc.), al fine di assicurare protezione e sicurezza soprattutto ai bambini e ai ragazzi. "Nonna Roma" mette a disposizione servizi di trasporto gratuito per visite mediche, terapie, visite al cimitero. Il "Pony della solidarietà" organizza invece interventi di assistenza domiciliare "leggera" (compagnia e piccole commissioni quotidiane). Entrambi si rivolgono ad anziani con più di 65 anni.

Agevolazioni per l'acquisto della tessera Metrebus.

Il Comune prevede agevolazioni sull'acquisto della tessera Metrebus a cittadini anziani oltre i 65 anni, residenti a Roma, titolari di pensione INPS e in possesso di "Roma Card". La tessera è valida all'interno del Comune di Roma su bus, tram, filobus e sulle metro A e B; e sul percorso urbano dei bus Cotral; treni regionali Met.Ro e treni regionali Trenitalia (2^ cl). Per i cittadini che abbiano compiuto 70 anni la tessera è gratuita.

Servizio di Aiuto ad Anziani Vittime di Violenza e Reati (SAVeR).

Si tratta di uno sportello di orientamento e di aiuto legale e psicologico per gli anziani vittime di violenze o altri reati. Un Call Center riceve le segnalazioni telefoniche, che sono raccolte da volontari. Il Servizio si avvale di una équipe composta da avvocati, psicologi, psicoterapeuti, assistenti sociali, medici geriatri e infermieri. Offre ascolto e sostegno psicologico, inserimento in attività ludico–aggregative, assistenza medica e psicologica, disbrigo di pratiche di natura medica, accompagnamento per l'acquisto di medicinali o generi alimentari, assistenza nella richiesta di duplicazione dei documenti, assistenza legale alla presentazione della denuncia di reato; suggerimenti per misure di tutela preventive; supporto alla risoluzione di difficoltà pratiche quali la sistemazione dell'abitazione; riparazione gratuita dei danni subiti nell’abitazione; piccoli prestiti in caso di bisogno per le spese di prima necessità.

Pronto Nonno”.

È un servizio telefonico (call center 24h - numero verde 800147741) dedicato a tutte le persone over-65. Offre informazioni di varia natura: sui servizi di aiuto, sulle iniziative ricreative, sugli sconti riservati agli anziani nei teatri, sui servizi medici, sulle agevolazioni per il trasporto pubblico, su come fronteggiare situazioni critiche in inverno o in estate. Nato per rispondere proprio a quest'ultima esigenza, si è poi trasformato in un servizio costante di aiuto alle persone anziane, in particolare di quelle in difficoltà. "Pronto Nonno", che opera in rete con strutture di volontariato e del terzo settore, si propone di centralizzare la raccolta delle informazioni da distribuire su richiesta ai cittadini anziani, tramite operatori telefonici. L’anziano ha così l’opportunità di parlare con un operatore e, in caso di malessere fisico, può essere messo in collegamento diretto con il personale sanitario, che valuta la situazione e le modalità di intervento più opportune.

Telecompagnia” e “Telemonitoraggio”.

Il primo è un servizio telefonico, con operatori che effettuano chiamate periodiche all’anziano, finalizzate sia alla semplice "compagnia", sia al controllo delle condizioni di salute, in particolar modo per le persone che vivono sole. Il secondo è un servizio che assegna all’anziano assistito un apparecchio elettronico, in grado di misurare la pressione e il battito cardiaco, collegato alla centrale operativa del Pronto Intervento, che può intervenire tempestivamente in caso di malore.

“A casa sicuri”.

E' un progetto rivolto agli anziani per la messa in sicurezza dell'ambiente domestico, rispetto ai rischi connessi al consumo del gas (Delibera G.C. 672/2005, modificata dalla Delibera G.C. 468/07). Requisiti indispensabili per poter usufruire dei contributi sono un'età superiore ai 65 anni e un reddito ISEE non superiore a 16.000 euro. Il progetto prevede l’erogazione di contributi economici per la manutenzione ordinaria della caldaia autonoma a gas, per la sua sostituzione o per altri interventi di messa in sicurezza.

Il progetto "Insieme si può"

Si tratta di un intervento rivolto ad anziani non autosufficienti o parzialmente autosufficienti, alle loro famiglie e ad assistenti familiari. Per avere supporto nella ricerca di un assistente familiare e usufruire del servizio informativo è sufficiente una richiesta telefonica[99]. Il progetto offre alle famiglie interventi di sostegno economico a favore dell’anziano per un periodo di dodici mesi, quale parziale contributo per la retribuzione dell’assistente familiare. Inoltre organizza corsi gratuiti di formazione per assistenti familiari sulle problematiche dell’assistenza alle persone anziane. Le persone formate sono inserite nel Registro Cittadino degli Assistenti Familiari per Anziani. L'iscrizione al Registro può essere richiesta da persone disponibili a lavorare con gli anziani, con età superiore ai 18 anni e che abbiano assolto l'obbligo scolastico, con una conoscenza di base della lingua italiana e con permesso di soggiorno per motivi di lavoro se stranieri, che abbiano frequentato un corso nell'area dell'assistenza alla persona o possiedano una qualifica professionale attinente. In particolare, il progetto offre i seguenti servizi:

-       sportello di informazione sugli adempimenti connessi all'assunzione di assistenti familiari;

-       corsi di formazione gratuiti per gli assistenti familiari;

-       possibilità di usufruire di sostituzioni gratuite nelle ore in cui l'assistente familiare è impegnato nel corso di formazione;

-       aiuto alle famiglie nella ricerca di personale qualificato, nell'ambito del Registro Cittadino;

-       contribuiti economici in favore delle persone anziane non autosufficienti che hanno assunto un assistente familiare.

Assistenza domiciliare S.A.I.S.A.

Si tratta di un servizio di assistenza domiciliare da parte di operatori qualificati, costituito da un complesso di prestazioni di natura socio-assistenziale (non infermieristica) rivolto a persone anziane in situazione di disagio, di parziale o totale non autosufficienza e/o a rischio di emarginazione. È stato avviato con Delibera della Giunta Comunale 1028/96. Si pone come obiettivo il miglioramento della qualità di vita delle persone anziane presso il proprio domicilio. I destinatari sono anziani parzialmente autosufficienti con età di almeno 65 anni per gli uomini e di 60 anni per le donne, con bassi livelli di reddito[100]. Nel caso di superamento del livello di reddito si può accogliere la domanda temporaneamente e con motivazione. In alcuni casi è previsto il co-finanziamento dei costi del servizio da parte dell'utente[101]. Nel 2008 l’assistenza è stata erogata a 3.906 anziani, di cui 901 hanno contribuito ai costi del servizio, sulla base della propria condizione economica, definita nell'ISEE[102]. Quasi altrettanti anziani (3.783) risultavano in lista d’attesa. Tale numero non riflette però i bisogni effettivi: molti cittadini rinunciano a presentare la domanda se hanno elementi per ritenere che non vi siano probabilità che questa sia accolta.

Centri Alzheimer e assistenza domiciliare Alzheimer

I primi sono servizi a carattere semiresidenziale per anziani con il morbo di Alzheimer, a livello intermedio tra il servizio di assistenza domiciliare e il ricovero in strutture residenziali. Nel 2008 nei Centri Alzheimer sono stati inseriti 402 gli utenti. L'assistenza domiciliare Alzheimer è un servizio a favore di anziani affetti da malattie cronico-degenerative in fase stabilizzata, parzialmente o totalmente non autosufficienti, aventi necessità di assistenza continuativa. Il servizio consiste in assistenza infermieristica (effettuazione di prelievi per analisi di laboratorio a domicilio, medicazioni, terapia iniettiva), in visite specialistiche e in prestazioni riabilitative e di recupero psico-fisico.

Centri diurni per anziani fragili.

I Centri diurni per anziani fragili sono strutture semiresidenziali finalizzate all’assistenza e alla socializzazione di persone anziane che presentano ridotte capacità di autonomia e le cui condizioni psicofisiche, se non adeguatamente sostenute, rischiano di evolvere verso un'accelerata perdita totale dell’autonomia residua. I requisiti di accesso sono: residenza nel territorio del Municipio, età min 60 anni (donne) o 65 anni (uomini), fragilità sanitaria o socio-ambientale. A Roma vi sono 31 Centri, che possono accogliere fino a 827 persone. In alcuni Municipi vi sono situazioni di sovraffollamento: infatti, il totale degli utenti è di 1.079 unità (252 unità in più rispetto alla capienza). Si tratta di utenti che, per la maggior parte (792), non usufruiscono dell’assistenza S.A.I.S.A.

Dimissioni protette.

Le "dimissioni protette" sono interventi di tipo sociale e sanitario per pazienti anziani, in fase di dimissione dalle strutture ospedaliere. Le prestazioni, che hanno una durata limitata nel tempo, comprendono cura della persona e dell’ambiente, disbrigo di pratiche e somministrazione pasti.

La dimissione protetta è un meccanismo di tutela della persona "fragile", a rischio di nuove ospedalizzazioni, in condizioni cliniche precarie, priva di un adeguato supporto di reti famigliari, amicali o parentali e, a volte, in condizioni socio-economiche precarie. All’atto dell’ingresso in ospedale si comunicano ai medici e agli operatori sanitari le difficoltà che si potrebbero avere al momento delle dimissioni. Durante la degenza in ospedale vengono messe in atto valutazioni riguardanti i bisogni socio-sanitari e attivate le procedure necessarie. Nel servizio sono coinvolti tutti gli attori dell’assistenza territoriale, come il Medico di Medicina Generale, il Servizio infermieristico, il Servizio Sociale della ASL, i Servizi Sociali municipali, l’Unità di Valutazione Geriatrica. Le Dimissione Protette nel 2008 sono state 845.

Contributo anziani.

Il servizio, avviato con Delibera del Consiglio Comunale 154/1997, eroga contributi economici agli anziani in difficoltà. Il tetto reddituale mensile non deve essere superiore a 438,99 euro per la persona sola, aumentabile a 516,46 euro se l'utente paga un canone di locazione superiore a 103,29 euro e 671,39 euro se il nucleo familiare è composto da più di una persona. Nel 2009 sono stati erogati oltre 3.000 contributi.

Case di riposo.

Le Case di riposo sono strutture riservate ad anziani autosufficienti che per vari motivi non possono più vivere a casa loro. La spesa a carico dell'utente nelle Case di riposo comunali è del 70% in rapporto al reddito percepito dall'ospite accolto. Per le case di riposo private è previsto un contributo al pagamento della retta giornaliera. La spesa a carico dell'utente è definita dal Municipio di residenza, in una percentuale in rapporto al reddito percepito.

Residenze Socio-sanitarie Assistite (RSA)

Sono previsti contributi integrativi per il pagamento della retta giornaliera per l'accoglienza residenziale in strutture socio-sanitarie integrate di persone anziane a basso reddito che non hanno titolo ad essere ricoverate in strutture totalmente sanitarie, né possono essere accolte in Case di Riposo, in quanto presentano particolari patologie.

E.8.4 I punti di forza e buone prassi

Anche solo dal sommario elenco riportato sopra, si può intuire come a Roma vi siano molti e differenti servizi e opportunità sociali per le persone anziane. La città non è rimasta a guardare. E non si tratta solo dei servizi sociali delle Istituzioni. Il volontariato, le associazioni, i comitati, i patronati, le parrocchie, le congregazioni religiose, gli Enti di beneficienza di altre confessioni religiose, le Fondazioni, le IPAB: sono molteplici le organizzazioni che hanno attivato in città servizi e iniziative che vanno incontro ai bisogni delle persone anziane. Un'eventuale ricerca approfondita su tutto ciò metterebbe in luce ancor più nitidamente la numerosità e la validità di tanti interventi di tipo economico, di welfare leggero, di assistenza domiciliare, di tipo residenziale e semi-residenziale.

Non si può fare una graduatoria su quali di questi servizi siano più utili ed efficaci. Si ritiene utile però segnalare qualche buona prassi, che possa servire da stimolo per il welfare cittadino ed eventualmente possa essere diffusa anche in altri contesti. Si è già accennato ad interventi e programmi innovativi, come "Pronto nonno" o "Nonna Roma". Si illustra ora brevemente qualche altra iniziativa.

Appartamenti autogestiti

Nel marzo 1996 ha preso avvio il “Progetto Insieme”, un programma di reinserimento per persone senza fissa dimora con problematiche psichiatriche, finanziato dalla Comunità europea. Da questa esperienza sono nati 3 appartamenti autogestiti, situati in un condominio in zona Prenestina. Nel tempo, il progetto si è trasformato, ma gli appartamenti sono rimasti e attualmente ospitano complessivamente 13 persone. Si tratta di anziani svantaggiati economicamente e socialmente, ma con un buon grado di autonomia, capaci di relazionarsi positivamente all’interno dell’appartamento e di valorizzare le proprie risorse personali in un clima di collaborazione.

Finora i risultati sono stati positivi: la conflittualità interna è minima e la convivenza viene vissuta come un vantaggio per tutti. Ciò consente una supervisione leggera da parte di un operatore esterno che periodicamente visita la struttura e si relaziona con gli ospiti in base al progetto individuale, favorendo l’autonomia e l’iniziativa di ciascuno. Il successo del progetto è determinato anche dal fatto che le persone selezionate per gli appartamenti autogestiti hanno compiuto precedentemente un percorso in altre strutture di accoglienza della Caritas diocesana, durante il quale hanno avuto l’opportunità di essere seguite e accompagnate dagli operatori.

Una rete territoriale

Il Servizio Sociale di un Municipio, nel mese di novembre del 2009, ha promosso alcuni incontri con i rappresentanti delle strutture residenziali per anziani. L’obiettivo era ricercare un dialogo tra strutture e servizio sociale, al fine di migliorare l’offerta dei servizi sul territorio mediante un lavoro in rete con la comunità territoriale (famiglie e organizzazioni di volontariato).

Si temeva una scarsa partecipazione, visto che nei mesi precedenti il Municipio aveva adottato decisioni sanzionatorie nei confronti delle strutture non in regola con la Legge Regionale 41/2003. Invece la partecipazione è stata ampia. Nell’ultimo incontro hanno partecipato 21 strutture, che rappresentano una buona parte dei servizi per anziani presenti sul territorio. I temi al centro della discussione sono stati: la formazione degli operatori, i costi delle strutture per la ricerca degli operatori socio sanitari, il difficile reperimento di queste figure professionali, la possibilità di chiedere alla Regione una proroga ai tempi di scadenza dati dalla Legge Regionale 41/2003, le difficoltà delle piccole comunità alloggio per ottenere un buon equilibrio di gestione nel rispetto della normativa. Alcune strutture si sono fermate a riflettere su come affrontare la scadenza legislativa per la messa a norma del servizio. Già dal secondo incontro alcune strutture annunciavano di aver assunto psicologi in condivisione con altre, con cui avevano preso contatto nei precedenti incontri. Questa esperienza ha dimostrato come quando il Servizio Sociale municipale si apre al territorio, ponendosi al fianco degli operatori, questo rafforzi, stimoli, l’integrazione, la collaborazione e la co-progettualità di tutti.

I Centri di ascolto per anziani della Caritas[103]

Su oltre 90.000 utenti, italiani e stranieri, che si sono rivolti ai centri di ascolto Caritas tra il 1999 e il 2008, gli over-65 sono soltanto 775, pari cioè allo 0,9%. Molto pochi, ma in costante aumento: si va dai 79 utenti del 1999-2000 (0,3%) ai 204 del 2007-2008 (1,6%).

Osservando il trend degli utenti italiani, si rileva che, a fronte di un consistente aumento degli over-65 in termini assoluti, la loro incidenza percentuale sul totale degli utenti è pressoché la stessa. Si passa da 37 utenti nel 1999-2000 su un totale di 473 (7,8%) a 129 su 1.589 nel 2007-2008 (8,1%). Gli stranieri anziani sono invece molto pochi, anche se in aumento percentuale (in 10 anni passano dallo 0,2% allo 0,7%). Si accennerà qui pertanto solo agli utenti italiani.

Questi sono stati distinti in tre fasce di età decennali: 66-75, 76-85 e 86 e oltre. In tutte e tre queste fasce di età tra il 1999 e il 2008 si è registrato un incremento costante dell’utenza. Tra questi anziani non ci sono soltanto gli “itineranti” (che tra l’altro sono diminuiti passando dal 23,1% del 1999 al 2,6% del 2008) o gli ospiti dei centri di accoglienza. Aumentano sempre più, infatti, utenti che non appaiono in condizione di esclusione sociale. In particolare, gli anziani con casa di proprietà che si sono rivolti ad un centro di ascolto Caritas sono passati dal 3,8% del 1999 al 17,9% del 2008. Numerosi sono anche gli anziani titolari di pensioni di vecchiaia o pensioni sociali in difficoltà con il pagamento dell’affitto e che si rivolgono ai centri di ascolto per ricevere un aiuto economico o alimentare.

Un altro dato emergente, che rappresenta una novità rispetto al profilo dell’utenza tradizionale di questi servizi, è dato dal fatto che non sono più soltanto le persone sole a trovarsi in difficoltà, ma anche le coppie di anziani. Infatti i celibi e le nubili sono passati dal 32,1% nel 1999 al 20,7 del 2008, mentre i coniugati si sono più che triplicati, passando nello stesso periodo dal 7% al 22%. Aumenta la percentuali di vedovi e vedove che ha superato il 29% nel 2008. I bisogni espressi da questa utenza riguardano soprattutto la casa (30,8%) e l’aiuto alimentare (31%). Tra i bisogni sanitari prevale la necessità di farmaci.

La validità di questo servizio è relativa soprattutto alla sua capacità di intercettare in modo capillare molti utenti che - perlomeno nella fase iniziale - non si rivolgono ai servizi sociali comunali. In questo senso, si rivela preziosa la collaborazione tra il volontariato e le istituzioni, in un'ottica di sussidiarietà e di integrazione.

Social Bus

Il Socialbus nasce dall’esigenza di molti anziani di avere una persona che li accompagni alle frequenti visite mediche, ed anche un mezzo idoneo di cui poter usufruire per recarvisi. A tal fine, un comitato di beneficenza del II Municipio ha provveduto alla raccolta dei fondi destinati all’acquisto di un automezzo necessario per il trasporto degli anziani. Il pulmino rappresenta una risorsa aggiuntiva a quella già radicata nel territorio romano del servizio “Nonna Roma” che, essendo a disposizione dei cittadini anziani dell’intero Comune, richiede lunghi tempi di attesa.

I destinatari del servizio sono gli anziani del II Municipio in condizioni di fragilità, parzialmente autosufficienti o ai limiti della parziale autonomia, segnalati dai servizi territoriali e/o dalle associazioni di volontariato che operano sul territorio. I cittadini anziani possono accedere al servizio in maniera autonoma o attraverso la segnalazione di un familiare. È in funzione infatti un Call Center (tel. 06.8540928) che, nell’orario in cui non è presente l’operatore, attiva una segreteria telefonica. I cittadini che lasciano registrate le loro richieste sono richiamati per concordare il servizio entro le successive 24 ore feriali. Nella raccolta delle richieste si presta attenzione ad ottimizzare il servizio di trasporto: nel caso in cui più anziani si debbano recare lo stesso giorno in orari compatibili presso lo stesso presidio, si organizzano accompagnamenti di gruppo.

E.8.5 Spunti operativi

Come si può notare dalle pagine precedenti, la città di Roma non è priva di servizi di cui essere consapevolmente soddisfatti. A questi il nuovo Piano Regolatore Sociale deve assicurare stabilità e continuità. Ma la numerosità e la qualità dei singoli interventi non basta: ciò che manca ancora è un vero e proprio "sistema" integrato di opportunità, equamente distribuito sull'intero territorio romano. La scarsa sistematicità non è l'unico problema. Si registrano anche bisogni sociali ai quali non si riesce ancora a dare adeguate risposte. Alcuni di questi bisogni sono noti da tempo, altri esprimono forme di disagio nuove, che esigono di essere affrontate in modo tempestivo per prevenire il peggioramento della situazione.

Di seguito, si presentano alcune proposte operative per migliorare il sistema dei servizi e degli interventi sociali per la popolazione anziana.

Adeguamento normativo delle strutture residenziali

La Legge Regionale 41/2003 prevede che le Case di riposo e le Comunità alloggio possano ospitare solo persone autosufficienti o parzialmente autosufficienti. Tali strutture sono per la maggior parte private. Le persone vi possono accedere liberamente con un contratto privato. Molte sono convenzionate ed accolgono persone con retta a parziale carico del Comune. Presso tali strutture si rileva la presenza quasi totale di "grandi anziani", con più di 90 anni, bisognosi di assistenza, la cui condizione sanitaria è al limite della compatibilità con tali ambienti. Il costo per l'utente e per la famiglia è alto: da 1.000 a 2.000 euro. Il contributo economico del Comune è erogato relativamente a pochi utenti, rispetto al numero complessivo di anziani presenti nelle strutture. La retta a carico del Comune non è infatti più adeguata né al limite di reddito previsto per l’accesso alla domanda, né alla quota limite fissata per l’integrazione della retta, dato il costo elevato della retta offerto dalle società che gestiscono le strutture. Se ne può dedurre che il "mercato" relativo ai servizi assistenziali a ciclo residenziale per gli anziani ha trovato un equilibrio tra domanda e offerta solo tra famiglie benestanti.

Anche questo equilibrio in futuro potrebbe essere turbato, a causa dell'applicazione della L. R. 41/2003 che regola l’apertura e il funzionamento delle strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale che prestano servizi socio-assistenziali[104]. Le strutture hanno avuto 5 anni per l'adeguamento ai requisiti stabiliti dalla legge, ma nella maggior parte dei casi tale adempimento normativo non è stato rispettato, nonostante le numerose sollecitazioni da parte della Amministrazione Comunale, delle ASL e della Pubblica Sicurezza. I ritardi non sempre dipendono dalla volontà dei gestori delle strutture, ma a volte da lentezze burocratiche della Pubblica Amministrazione.

Un ulteriore ostacolo alla regolarizzazione è costituito dalla difficoltà di reperire personale qualificato con specifica formazione, mentre sono insufficienti o molto onerosi i corsi di formazione in questo campo. Una maggiore integrazione tra l'Ente locale, le Università e gli Organismi gestori dei servizi potrebbe migliorare questa situazione.

Da tutto ciò deriva un senso i precarietà, un prolungarsi dell'incertezza normativa e una mancata soluzione a carenze qualitative del servizio, che si riversano negativamente sulla vita degli ospiti, a volte in condizioni di sovraffollamento, in condizioni igienico- sanitarie precarie, assistite da personale senza titolo professionale specifico e talvolta senza alcun tipo di formazione.

Le strutture dovranno adeguarsi a quanto disposto dalla L.R. 41/2003 entro il 10 febbraio 2011. La scadenza, già prorogata a febbraio 2010, è ulteriormente slittata di un anno (art. 10 della L.R. n. 32 del 24/12/2009). Se entro questa data, ormai prossima, non lo avranno fatto, entrano in una situazione a rischio di chiusura, con conseguenze problematiche che è facile immaginare. Si tratta dunque di governare i processi relativi a questi adempimenti, in stretto collegamento con la Regione Lazio e con i gestori delle strutture, al fine di prevenire situazioni critiche e di risolvere definitivamente una questione che si trascina da anni. A tal fine, è importante anche predisporre un Programma di monitoraggio e di assistenza tecnica, per seguire nel tempo l'evolversi della situazione relativa agli adempimenti normativi per l'attuazione formale e sostanziale della L. R. 41/03.

Accesso alle RSA.

Le RSA funzionanti sul territorio romano sono gravemente insufficienti: presso i CAD nei Distretti Sanitari delle ASL romane ci sono liste di attesa fino a 5 anni. Lo squilibrio tra domanda e offerta produce anche un aumento dei costi, che risultano molto alti, sia per la stessa utenza e i loro familiari, sia per i bilanci comunali e sanitari. In caso di urgenza si sottopone dunque l’anziano a penose migrazioni fuori del territorio comunale, provinciale, talvolta regionale, con tutti i problemi pratici e psicologici che è facile immaginare.

Si pone inoltre un altro problema riferito al difficile inserimento in RSA di persone anziane in gravi condizioni di disagio sociale, in carico ai centri di accoglienza del Terzo settore. Nonostante la valutazione positiva del CAD per l’inserimento in RSA, la condizione per cui un parente debba farsi carico di seguire la persona assistita, riduce, quando non azzera del tutto, le possibilità dell’anziano di essere accolto in RSA.

Per superare questo problema, è necessario promuovere il ricorso alla figura dell’Amministratore di sostegno di persone anziane prive di reti familiari, identificando ed eliminando i fattori che attualmente ostacolano questa soluzione o la rendono poco tempestiva.

Accesso alle Case di riposo per anziani in gravi condizioni di fragilità sociale.

I requisiti richiesti per l’accoglienza degli anziani in Casa di riposo prevedono che l’ospite non faccia uso di alcol, che non abbia problemi di tipo psichiatrico, che non abbia precedenti penali, che sia totalmente autosufficiente. Inoltre, nel caso in cui tali requisiti siano soddisfatti, all’ospite, che in genere vive con l’assegno sociale e può contare su un reddito che oscilla dai 400 ai 600 euro, è richiesto di versarne il 70% a titolo di retta. Questo comporta che l’anziano ponga una serie di resistenze a tale inserimento, anche quando ve ne siano le condizioni.

Per risolvere questa criticità, sono state avanzate proposte affinché sia rivisto il Regolamento per l'accesso alle Case di riposo, in modo da prevedere una quota di retta crescente, proporzionale al reddito degli ospiti anziani in gravi condizioni di disagio, così da lasciare a chi percepisce un reddito minimo una disponibilità economica sufficiente a soddisfare i piccoli bisogni quotidiani.

Potenziamento dell’assistenza domiciliare - abbattimento delle liste di attesa

Nel rapporto quotidiano con gli anziani l’assistenza domiciliare costituisce uno dei servizi più richiesti, cui si associano purtroppo lunghe liste di attesa nella maggior parte dei Municipi. L’attesa, che a volte si prolunga anche per due o tre anni, rappresenta una reale difficoltà: nel frattempo le persone anziane peggiorano nel loro stato di salute, diventano definitivamente non autosufficienti, a volte muoiono prima ancora di aver usufruito del servizio.

Può essere utile descrivere brevemente i processi che hanno favorito questa situazione. L’anziano, per accedere al servizio, al momento della domanda deve presentare la Dichiarazione dello Stato economico reddituale e patrimoniale (DSU) presso il Servizio sociale del Municipio di residenza. Questa misura è stata introdotta con la Delibera di Giunta comunale 535/2002, al fine di estendere il servizio, prima limitato ai soli anziani con reddito mensile minimo, a tutti i richiedenti, sulla base del loro bisogno di assistenza.

In previsione dell'aumento dei costi derivante da tale decisione, la Delibera ha posto il principio della compartecipazione al costo del servizio da parte dell'utente, con una quota proporzionale al suo stato reddituale, calcolato secondo l’indicatore ISEE[105]. Il valore ISEE al di sotto del quale non si chiede alcun contributo all'utente è stato fissato a 6.714,00 euro, con eventuali facilitazioni per i proprietari della casa in cui vivono e per coloro che vivono in locazione.

Con l’introduzione di questa possibilità e l’informazione che ne è conseguita, molti anziani in condizioni di non autosufficienza o comunque bisognosi di aiuto si sono rivolti ai servizi sociali per ottenere il servizio. Di fatto, però, i fondi messi a disposizione dall’Amministrazione non hanno consentito di soddisfare la crescente domanda. I Municipi, visto il considerevole aumento delle liste di attesa, si sono dati alcuni criteri di priorità, ad esempio privilegiando le persone con una capacità reddituale più bassa, anziani senza reti familiari, persone a rischio di emarginazione sociale.

All’interno dei singoli Piani di zona dei Municipi sono stati proposti poi servizi integrativi finalizzati a soddisfare in qualche modo i bisogni delle persone in lista d'attesa, mediante interventi di assistenza leggera in carico a volontari od organismi del terzo settore (compagnia, preparazione dei pasti, acquisto di farmaci, teleassistenza). In diversi Municipi sono stati inoltre attivati servizi di assistenza domiciliare di tipo specialistico: per malati oncologici, per malati di Alzheimer e demenze correlate, assistenza domiciliare integrata socio-sanitaria.

Nonostante queste misure, rimangono comunque inevase molte richieste di assistenza alle persone non autosufficienti. Le famiglie (laddove sono presenti) sono così obbligate a ricorrere a familiari conviventi, oppure al mercato privato delle badanti, con i problemi connessi, ad esempio per la sostituzione nei giorni o periodi di assenza o per la gestione degli avvicendamenti tra una badante e l’altra.

Un altro bisogno a cui si risponde con difficoltà è la possibilità di fornire residenze di sollievo in cui ospitare l’anziano con patologie gravi al momento in cui il care giver ha bisogno di tempo per prendersi cura di sé. Per affrontare in modo adeguato questo grave problema, che costituisce la principale sfida del welfare dei prossimi anni, di concerto con la Regione e con i servizi sanitari, sarà predisposto un programma organico per la non autosufficienza, che preveda sia un aumento significativo delle risorse disponibili, sia un ventaglio di misure personalizzate, coerenti con la complessità delle situazioni. Saranno inoltre resi parte strutturale dell'offerta dei servizi pubblici sia i servizi residenziali e semi-residenziali temporanei "di sollievo", sia gli interventi di assistenza domiciliare leggera, molto richiesti e apprezzati dalla cittadinanza.

Nello stesso tempo, saranno potenziati ed estesi in tutto il territorio comunale i Centri diurni Alzheimer, integrandoli con i servizi di assistenza domiciliare e con le strutture di tipo residenziale per brevi periodi di sollievo o per periodi che si possono prolungare in relazione al livello di riduzione dell’autosufficienza dell’anziano. Infine, sarà rafforzato e potenziato il progetto "Insieme si può" al fine di accompagnare le famiglie nella selezione, nella formazione e nella contrattazione delle assistenti familiari.

Potenziamento del servizio di trasporto per accompagnamento

Un bisogno caratteristico della città di Roma è quello del trasporto, in particolare per l’accompagnamento alle visite mediche, ma anche per ogni altro tipo di spostamento, per andare a trovare un amico o un familiare, per andare a fare acquisti. Per chi ha problemi di deambulazione anche lievi, ciò rappresenta un problema a volte insormontabile. A questa criticità sarà data risposta attraverso l'ampliamento dei progetti "Nonna Roma" e "Social bus".

Potenziamento degli strumenti di informazione e comunicazione per le famiglie e gli anziani.

Un'altra domanda sociale, alla quale il sistema dei servizi non ha ancora dato piena risposta, concerne il bisogno di informazione da parte degli anziani e delle famiglie sull'offerta di servizi e opportunità disponibile sul territorio, nonché sulle modalità per accedervi (ad es. su agevolazioni o contributi, su come essere aiutati in caso di sfratto o di contenzioso, su come rispondere a richieste dell'Amministrazione o su come compilare moduli burocratici poco comprensibili).

Negli ultimi anni, molto si è fatto per rispondere a questo bisogno: sono stati istituiti i Segretariati sociali e gli URP in ogni Municipio, è stato realizzato il telefono di servizio 060606, sono state attivate le "Porte sociali", sono stati aperti sportelli informativi di vario genere, vengono continuamente aggiornate le pagine web del Comune di Roma. Ma ancora non basta, anche perché le persone anziane spesso non sono abituate a ricorrere a questi strumenti e si affidano per lo più al "passa-parola".

Nell'ambito del nuovo Piano Regolatore Sociale sarà perciò dedicata una maggiore attenzione alla strutturazione e al coordinamento dei sistemi informativi per la cittadinanza, in particolare quella anziana, adottando metodologie di comunicazione efficace, attiva e selettiva e potenziando il ruolo dei Segretariati sociali.

Contrasto all’isolamento e promozione dell’invecchiamento attivo

Intorno all’anziano l’ambiente si impoverisce per la mancanza di impegni, per l’inadeguatezza delle condizioni sociali oppure per la limitazione nello svolgimento delle loro attività quotidiane. Qualora insorgano la perdita dell’autonomia fisica, la malattia o altri fattori problematici, che richiedono spese supplementari, molti anziani si trovano sprovvisti di mezzi per farvi fronte. Chi non può contare sull'aiuto di familiari o di vicinato, talvolta non è nemmeno in grado di attivare una domanda appropriata, né di accedere ai servizi disponibili per ottenere l'assistenza di cui ha bisogno. Tale categoria di persone, oltre ad essere numericamente rilevante, si trova spesso in situazioni caratterizzate da elevata problematicità.

Per fronteggiare e ridurre questi rischi, che producono un'accelerazione delle condizioni di non autosufficienza, saranno potenziate le iniziative e i progetti finalizzati all’active ageing o invecchiamento attivo. Gli interventi preventivi riguardano tutte le sfere della vita personale e sociale dell’anziano ed è per questo che è necessaria un'azione di tipo multidisciplinare nel settore della salute, dell’attività motoria, dell’alimentazione, della sicurezza, dell’ambiente e della comunicazione. E’ solo l’insieme di questi elementi che procura “benessere” e chi sta bene e si "sente" bene, partecipa attivamente alla vita della società alla quale appartiene.

Misure di sostegno per persone in età 60-65: non più adulti, non ancora anziani

Da alcuni anni ai Centri di accoglienza gestiti da associazioni caritative accedono non soltanto persone con alle spalle storie di strada e di emarginazione, ma anche soggetti che hanno condotto una vita “regolare”, fatta di lavoro e di casa, e che per una serie di incidenti sociali (licenziamento, sfratto, separazione, ecc.) si ritrovano in difficoltà.

Le difficoltà maggiori si riscontrano per coloro, soprattutto uomini, che approdano ai Centri di ascolto intorno ai 60 anni. Di solito non hanno alcun reddito: non possono essere ricollocati sul mercato del lavoro, non percepiscono ancora la pensione, difficilmente usufruiscono di sussidi economici poiché sono considerati adulti e non anziani e i fondi di aiuto al reddito dei Municipi sono molto scarsi. Per almeno 5 anni, dunque, non dispongono di alcuna entrata e devono quindi necessariamente essere ospitati da un centro di accoglienza che non richieda alcun contributo.

Questa è una fascia particolarmente debole. Una volta raggiunti i 65 anni infatti solitamente arriva una pensione, i Municipi concedono più facilmente sussidi (per gli anziani ci sono più fondi a disposizione), si aprono possibilità per altre forme di aiuto economico (ad esempio la social card o altre agevolazioni). La situazione così migliora notevolmente, soprattutto per chi è ospite di un centro di accoglienza e quindi non ha nessuna spesa di mantenimento.

Per affrontare adeguatamente questo problema, di concerto con le organizzazioni di solidarietà sociale più rappresentative, saranno studiate e adottate misure regolamentari che permettano l'accesso a forme di assistenza anche per questa fascia di popolazione.

Nuovi modelli di ospitalità residenziale

L'obiettivo principale per le persone anziane è quello di favorire la permanenza nella propria abitazione. E' necessario però migliorare i modelli di accoglienza residenziale per coloro che non possono continuare a vivere a casa propria. L'accoglienza residenziale delle persone anziane nelle "Case di riposo" risente ancora dell'approccio assistenzialistico del passato, strettamente relazionato ad una domanda "marginale" (per la scarsa incidenza di persone anziane e per una maggiore capacità delle famiglie di farsi carico della persona anziana), ad una concezione "assistenzialistica" dell'accoglienza nei "ricoveri per anziani", riservati a persone prive di relazioni familiari, ad una cultura del servizio poco attenta alle esigenze di riservatezza degli ospiti, con un prevalente approccio medico-sanitario.

Oggi il contesto, la cultura e le condizioni socio-sanitarie sono profondamente cambiati, ma dal punto di vista strutturale spesso i servizi residenziali sono ancora vincolati a modelli obsoleti. Certamente in questi anni si sono cercate soluzioni, si sono adattati e ristrutturati ambienti e spazi, sono state avviate metodologie di intervento più adeguate. Eppure molto ancora resta da fare. C'è bisogno di ripensare i modelli stessi di accoglienza residenziale, tenendo conto della quantità e della qualità della domanda, insieme con i vincoli di bilancio.

È necessario pensare a servizi sempre più flessibili, come, ad esempio, piccole "Comunità di coabitazione", aperte e ben inserite nel contesto urbano, anche per prevenire forme di ghettizzazione, in modo che gli anziani siano accolti in ambienti protetti di tipo familiare, con servizi in comune e buoni standard di sicurezza. Affiancati da un servizio di assistenza domiciliare in particolari momenti della giornata, con forme miste di tele-assistenza e tele-soccorso. In queste strutture piccoli gruppi di anziani possono sperimentare forme di convivenza, conducendo una vita autonoma, con una supervisione e un accompagnamento “leggero” da parte degli operatori. I costi di questo tipo di soluzione di coabitazione possono essere più facilmente sostenibili, a carico delle stesse persone che ne beneficiano, con il contributo del Comune in caso di redditi insufficienti.

In questo quadro, è necessario tener conto anche delle esigenze abitative delle coppie, al fine di evitare che, dopo una vita passata insieme a casa propria, si ritrovino improvvisamente ad essere ospitati in centri di accoglienza diversi, o – quando va bene – nello stesso centro, ma in zone separate. Il fatto di essere una coppia è un punto di forza su cui fare leva per superare le inevitabili difficoltà legate al "riposizionamento" delle condizioni di vita.

Nell'ambito del nuovo Piano si potrà predisporre un programma specifico per l'abitazione delle persone e delle famiglie anziane, con investimenti relativi alla riorganizzazione delle strutture residenziali per anziani del Comune di Roma e ad iniziative di co-housing, in collaborazione con l'Assessorato al patrimonio. A tal fine saranno utilizzate anche strutture trasferite dallo Stato ai sensi del cosiddetto "federalismo demaniale" e beni sequestrati alle organizzazioni criminali.


F. LA PROGRAMMAZIONE DELLE AZIONI

Il programma operativo del nuovo Piano parte dal confronto con gli attori sociali che trova uno spazio operativo nei Forum tematici e nei Tavoli di Governance, di cui si è parlato nella prima parte di questo documento. Non è dunque possibile anticipare in questa sede una vera e propria programmazione delle azioni da realizzare.

Nella sezione precedente sono comunque state presentate diverse proposte per l'innovazione e il miglioramento dei servizi e degli interventi sociali, in alcuni specifici settori. Per favorirne una visione generale, si richiamano qui, articolate per area di intervento. Come già indicato, si tratta solo di una base di confronto per una programmazione più completa.

Area Servizi multiutenza di carattere generale

ü     coordinamento e messa in rete dei Segretariati sociali;

ü     definizione di un modello cittadino di Servizio sociale;

ü     decentramento delle funzioni di tutela pubblica;

ü     istituzione di Registri municipali degli amministratori di sostegno;

ü     implementazione dello Sportello unico di accesso (PUA) in tutti i Municipi, in collaborazione con i servizi sanitari;

ü     adozione sistematica della "Cartella sociale" in tutti i Municipi;

ü     elaborazione di Guide ai servizi e agli interventi sociali;

ü     sperimentazione di percorsi per tutori volontari.

Area Servizi e interventi per il contrasto della povertà e dell'esclusione sociale

ü    implementazione del Programma RETIS per favorire l'uscita dal circuito assistenziale;

ü    implementazione di servizi residenziali innovativi per adulti e anziani senza fissa dimora con patologie psichiatriche, dipendenze, in gravi condizioni di vulnerabilità sociale, donne vittime di violenza, madri sole con figli minori.

Area Servizi e interventi per le persone sottoposte a misure giudiziarie

ü    innovazioni specifiche nell'area della salute e assistenza sociale, della genitorialità e affettività, della formazione e del lavoro, della cultura, spettacolo e sport, delle pari opportunità per soggetti particolarmente svantaggiati (stranieri, transessuali, detenuti giovani o anziani, donne, madri con figli da 0 a 3 anni e minori sottoposti a procedimento penale);

ü    azioni positive nell'ambito dell'esecuzione penale esterna, volte a sostenere l’inserimento lavorativo e a garantire l'accesso ai benefici delle misure alternative alle persone con maggiori difficoltà: stranieri, malati di Aids, anziani, giovani-adulti, donne, persone malate di mente.

Area Servizi e interventi per i migranti, richiedenti asilo e rifugiati

ü    costruzione di un Agenda civica per l’armonizzazione delle iniziative: coordinamento interassessorile ed interdisciplinare, coinvolgimento dei beneficiari e delle organizzazioni e delle comunità di cittadini stranieri, progettualità per le persone più vulnerabili, monitoraggio e valutazione;

ü    rafforzamento del Registro pubblico dei Mediatori Interculturali;

ü    rivisitazione del modello di accoglienza: differenziazione dell’offerta, misure progressive, adattate all’evoluzione dei progetti migratori;

ü    velocizzazione dei processi di autonomia delle persone accolte;

ü    nuova governance territoriale e armonizzazione dei programmi di spesa.

Area Servizi per la salute e per le persone con disabilità e disagio psichico

ü    sensibilizzazione e promozione della salute;

ü    servizi di supporto e sollievo alle famiglie con pazienti gravi;

ü    iniziative finalizzate alla sicurezza sui luoghi di lavoro;

ü    azione integrata tra ospedale e servizi territoriali al momento della nascita di un bambino con disabilità;

ü    semplificazione e standardizzazione dei sistemi di valutazione e delle procedure di ingresso al servizio SAISH in tutti i Municipi;

ü    eliminazione delle liste di attesa nell'assistenza domiciliare SAISH, anche mediante forme innovative di intervento;

ü    interventi straordinari di assistenza domiciliare in caso di emergenze;

ü    strutture residenziali con programmi di diversa intensità assistenziale;

ü    alloggi senza barriere architettoniche nelle case di edilizia popolare;

ü    progetti integrati di residenzialità per cittadini con disagio mentale che hanno raggiunto un sufficiente grado di autonomia, incrementando il fondo specifico;

ü    percorsi differenziati di orientamento e forme di inserimento per persone con disabilità e/o disagio mentale;

ü    potenziamento dell’offerta formativa per le persone con disabilità e/o disagio mentale, in contesti protetti e con accessibilità alle nuove tecnologie;

ü    istituzione in ogni Municipio del Servizio per l’integrazione lavorativa (SIL);

ü    “patto di solidarietà” per le persone con disabilità che non sono in grado di sostenere un inserimento lavorativo tradizionale;

ü    attuazione della D.G.C. 124/09, che riserva almeno il 5% delle forniture di beni e servizi alle cooperative sociali di tipo B;

ü    piano d'azione integrato tra i Dipartimenti servizi sociali, formazione e lavoro sull'inserimento lavorativo di persone con disabilità e/o con disagio mentale;

ü    imprese sociali integrate (fattorie sociali a valenza riabilitativa e inclusiva, laboratori artigiani integrati, cooperative sociali integrate tipo B, ecc.);

ü    piano per l'accessibilità e fruibilità di tutti i mezzi di trasporto pubblico;

ü    possibilità per le persone con disabilità di partecipare ai soggiorni per anziani, anche prevedendo il personale d’assistenza necessario;

ü    interventi a sostegno della persona con disagio mentale per favorire la permanenza nella propria abitazione e nel proprio ambiente sociale;

Area Servizi e interventi per le famiglie

ü    disegno e adozione di un Piano cittadino per la famiglia;

ü    costituzione di un Tavolo di consultazione e progettazione a livello interassessorile e interdipartimentale in attuazione della D.G.C. 71/2010;

ü    miglioramento dell'informazione e della comunicazione per le famiglie, con un utilizzo più efficace di internet e dei mezzi di comunicazione tradizionali;

ü    istituzione di un numero unico “Pronto famiglia” sul modello 060606;

ü    istituzione di un “Osservatorio cittadino sulla famiglia” con una gestione manageriale della conoscenza su condizioni, bisogni e servizi per le famiglie;

ü    interventi di sostegno alle associazioni e alle reti familiari;

ü    messa in rete e coordinamento dei consultori e altri servizi per la famiglia;

ü    avvio del Programma Domus, rete di Centri territoriali per la famiglia;

ü    introduzione di agevolazioni tariffarie che tengano conto della numerosità del nucleo familiare e dei relativi oneri per la cura e le spese essenziali.

Area Servizi e interventi per le persone in età evolutiva

ü    potenziamento del Programma "Roxanne";

ü    nuovo Piano per l'attuazione della legge 285/97;

ü    "livelli essenziali" per i minori privi di un valido sostegno familiare;

ü    revisione dei modelli di intervento per l'accoglienza dei minori;

ü    velocizzazione dei processi di presa in carico e di protezione sociale;

ü    riduzione del ricorso all’assistenza residenziale;

ü    miglioramento delle Comunità di accoglienza, differenziando l'offerta per intensità assistenziale e per specifici gruppi target;

ü    miglioramento delle procedure per l'affidamento dei progetti e dei servizi;

ü    promozione del monitoraggio e della valutazione;

ü    ampliamento e sistematizzazione delle azioni per la prevenzione dei rischi.

Area Servizi e interventi per le persone anziane

ü     assistenza tecnica per adeguamento strutture residenziali (L.R. 41/03);

ü     promozione dell’amministratore di sostegno di persone anziane in condizioni di grave disagio sociale, anche per favorirne l'inserimento nelle RSA;

ü     revisione del Regolamento per l'accesso alle Case di riposo di anziani in gravi condizioni di fragilità sociale;

ü     piano straordinario per la non autosufficienza e potenziamento dell’assistenza domiciliare, con l'abbattimento delle liste di attesa;

ü     sviluppo dei servizi residenziali e semi-residenziali temporanei "di sollievo";

ü     potenziamento degli interventi di assistenza domiciliare leggera;

ü     estensione Centri Alzheimer, integrati con i servizi e le strutture di assistenza;

ü     potenziamento del progetto "Insieme si può" al fine di accompagnare le famiglie nella selezione, formazione e contrattazione delle assistenti familiari;

ü     miglioramento del servizio di trasporto delle persone anziane;

ü     potenziamento dell'informazione e comunicazione per gli anziani;

ü     sviluppo delle iniziative finalizzate a promuovere l’invecchiamento attivo;

ü     revisione dei regolamenti per persone con fragilità sociali in età 60-65 anni;

ü     riorganizzazione delle strutture residenziali comunali per anziani;

ü     iniziative di co-housing per famiglie e persone anziane.

 


G. L’INNOVAZIONE DEL SISTEMA

Accanto alla programmazione degli interventi socio-assistenziali "di welfare" per le persone, le famiglie e la comunità locale, il nuovo Piano Regolatore Sociale (come d'altronde il primo) prevede anche azioni e misure di “sistema”. Non si tratta solo di aumentare o migliorare i servizi: bisogna anche far sì che questi non siano una semplice aggregazione di interventi, ma un vero e proprio “sistema” organico, equo, efficiente e sostenibile.

Le "azioni di sistema" sono finalizzate a:

·      migliorare e aumentare la conoscenza dei bisogni sociali, delle domande espresse dai cittadini, dell'offerta di servizi presente nel territorio, in modo da fondare le strategie di intervento su dati completi e attendibili;

·      regolare l’azione dei numerosi attori in campo (Dipartimenti, Municipi, ASL, IPAB, Imprese e Parti sociali, Associazioni, Organismi di Volontariato, ecc..) per assicurare la collaborazione, il coordinamento e l'integrazione dei servizi, sulla base dei principi di sussidiarietà, solidarietà e corresponsabilità;

·      garantire pari opportunità tra le persone aventi diritto alle prestazioni sociali, indipendentemente dal territorio in cui vivono, facendo sì che i servizi essenziali siano assicurati secondo standard certi in tutto il Comune;

·      promuovere la partecipazione civica, l'iniziativa solidale e l'auto-promozione sociale dei singoli, delle famiglie e dei Corpi sociali intermedi, superando ogni forma di dipendenza assistenzialistica.

Il primo Piano Regolatore Sociale prevedeva tre “azioni di sistema”, articolate in 10 diverse “misure”[106]. Può essere utile ricordarle qui.

Azione sistema Informazione e comunicazione

ü     Comunicazione sociale

ü     Sistema Informativo Sociale

Azione sistema Qualità sociale

ü     Assicurazione della Qualità Sociale

ü     Carta dei diritti e servizi sociali

ü     Procedure autorizzazione, accreditamento e affidamento dei servizi

ü     Adeguamento, formazione e aggiornamento degli operatori sociali

ü     Adeguamento risorse logistiche e strumentali

ü     Valutazione servizi, processi e risultati

Azione sistema Governance

ü     Governance" della riforma sociale

ü     Un nuovo paradigma organizzativo

Il nuovo Piano intende riproporre alcune delle azioni di sistema già previste, accentuandone però gli aspetti di “fattibilità” e concretezza operativa, dal momento che molte misure previste nel primo Piano sembra siano rimaste allo stato di mera intenzionalità. Nello stesso tempo, intende introdurre alcune misure innovative, con lo scopo di migliorare aspetti critici del sistema.

Le azioni di sistema che si intende realizzare nell'ambito del nuovo Piano riguardano le seguenti aree: Architettura e governance del sistema; Qualità sociale e Integrazione dei sistemi.

G.1 L'architettura e la governance del sistema

Come è noto, il sistema dei servizi sociali a Roma si articola tra interventi a titolarità dipartimentale e interventi a titolarità municipale. Dalla dinamica e fattiva collaborazione tra questi due livelli dipende sostanzialmente la capacita del sistema di rispondere in modo adeguato ai bisogni della popolazione. In realtà, il processo di decentramento ha vissuto sinora di impulsi e periodi in cui si sono alternate improvvise accelerazioni, talvolta anche confuse e inadeguate, ad altrettanto improvvisi e inopportuni rallentamenti, quando non addirittura tentativi di ritorno a un riaccentramento ormai improponibile.

Pur nella sua incompletezza, con carenze di regolamenti e scarso adeguamento delle risorse, i percorsi di decentramento attuati hanno comunque contribuito a rendere i servizi più vicini alla vita dei cittadini e i cittadini più vicini alla vita dell’Amministrazione.

Per il comparto del sociale, troppe materie però continuano a essere assolte, sul piano gestionale, dagli uffici centrali. Ad esempio, in materia di minori, il Dipartimento cura l’accoglienza residenziale per un numero di soggetti che, complessivamente, supera ampiamente il numero complessivo dei minori inviati in comunità da tutti i servizi sociali municipali.

Altro nodo da sciogliere riguarda la gestione della funzione di tutela pubblica attribuita al Sindaco e delegata ad operatori del Dipartimento. Appare opportuno prendere in considerazione l'ipotesi di decentrare tale funzione ai Municipi: la prossimità con il territorio e con le sue reti, sia istituzionali che private, costituisce elemento imprescindibile per il raggiungimento degli obiettivi di ogni progetto di sostegno ad un soggetto fragile.

Una proposta di completamento del processo di decentramento deve essere attentamente pianificata e accompagnata con azioni di assistenza tecnica. Dovrà, in ogni caso, garantire livelli quantitativi e qualitativi di servizi e di prestazioni essenziali su tutto il territorio. Il processo deve pertanto prevedere la definizione di “standard” e un adeguato riallocamento di risorse, sia finanziarie che professionali, proporzionali all'intensità e all'estensione dei bisogni sociali.

Questo processo sarà realizzato contestualmente alla riorganizzazione di Roma Capitale. L'obiettivo da perseguire è quello di assicurare ai Municipi la piena autonomia e responsabilità nella pianificazione e realizzazione dei servizi, in un quadro unitario e armonico che garantisca la massima equità sociale in tutto il territorio romano, tenendo comunque conto delle specificità territoriali in termini di condizioni sociali, economiche, demografiche e geografiche.

L'innovazione dell'architettura e della governance del sistema è finalizzata al raggiungimento di tre obiettivi generali, attraverso specifici strumenti di armonizzazione delle strategie, come indicato di seguito.

Obiettivo 1: Completare e razionalizzare il processo di decentramento dei servizi sociali, realizzando un nuovo equilibrio nei rapporti tra la Città e i Municipi

ü    Revisione del Regolamento di decentramento amministrativo e delle funzioni delle UOSECS (ad esempio prevedendo una UO specifica per i servizi sociali), alla luce dell'istituzione di "Roma Capitale";

ü    Ridefinizione delle competenze e delle funzioni del Dipartimento per la Promozione dei servizi sociali e della salute, compresa la possibilità di esercitare poteri sostitutivi in caso di necessità.

Obiettivo 2: Assicurare l'armonizzazione delle strategie sociali cittadine con quelle dei Municipi

ü    Istituzione della Conferenza permanente degli assessori per le politiche sociali, presieduta dall’Assessore capitolino;

ü    Rafforzamento del ruolo e delle funzioni degli Uffici dipartimentali che si occupano del coordinamento, del monitoraggio e del supporto alla programmazione e alla realizzazione dei servizi e degli interventi sociali;

ü    Regolamentazione della composizione e delle funzioni degli Uffici di Piano municipali, istituiti a partire dal 2002 in attuazione di specifiche Delibere della Regione Lazio;

ü    Elaborazione di Linee-guida per la preparazione e l'approvazione di Piani Sociali municipali coerenti con la pianificazione sociale cittadina.

Obiettivo 3: Favorire il confronto e il coinvolgimento dei Corpi intermedi nella pianificazione e realizzazione dei servizi e degli interventi sociali

ü    Istituzione di un Tavolo permanente di coordinamento con i principali organismi rappresentativi delle IPAB, delle Fondazioni, dei Sindacati, delle Cooperative e delle Imprese sociali, delle Associazioni, degli organismi di volontariato e degli altri attori operanti sul territorio cittadino nel settore dei servizi sociali;

ü    Sostegno allo sviluppo del Terzo Settore, attraverso meccanismi di tipo economico-finanziario, in accordo con gli istituti di credito, volti ad aumentarne le capacità operative (ad es. attivazione di un fondo rotativo per le anticipazioni su progetti, promozione del credito agevolato, ecc.);

ü    Sperimentazione delle istruttorie pubbliche di coprogettazione, secondo quanto previsto dall’articolo 7 del D.P.C.M. del 30 marzo 2001 “Linee di indirizzo e coordinamento delle modalità di affidamento dei servizi al terzo settore”.

G.2 La qualità sociale

Quantità e qualità

La validità di un sistema di welfare locale si gioca non solo sul versante della quantità e della distribuzione dei servizi, ma anche su quello della qualità degli interventi e delle prestazioni. Esiste infatti un paradigma assiomatico che è necessario rimettere in discussione: che l'investimento sulla quantità debba necessariamente andare a discapito della qualità (e viceversa).

Non solo, la qualità genera "effetti-leva" che amplificano la disponibilità di risorse, che si riverbera nella possibilità di aumentare la quantità dei servizi. In primo luogo si deve agire per eliminare o ridurre inefficienze e inappropriatezze costose.

Bisogna farlo anche per ottenere la credibilità necessaria per richiedere la mobilitazione di risorse pubbliche e private proporzionali ai bisogni sociali della popolazione. Ma questo non si può fare senza un'adeguata conoscenza, senza sistemi di monitoraggio, senza standard sui livelli di qualità considerati accettabili, senza la ricerca dell'efficienza nella gestione dei servizi.

Occorre perseguire la qualità sociale attraverso azioni che permettano di valutare l’appropriatezza delle risorse messe in campo e la capacità del sistema a rispondere effettivamente ed efficacemente ai bisogni espressi. Non può esservi qualità sociale senza una valutazione costante dell’impatto che le misure adottate hanno sulle condizioni di vita dei cittadini e sul miglioramento dei livelli di protezione e promozione sociale.

Il sistema informativo dei servizi sociali

Non esiste controllo senza informazione. Per questo un forte investimento sarà fatto nell'ambito del Sistema Informativo Sociale. Per analizzare un qualsiasi fenomeno sociale, oltre alla scelta di adeguate metodologie, è necessario disporre di dati affidabili, recenti e completi.

Implementare un Sistema Informativo Sociale integrato in una città come Roma, i cui servizi sono articolati su diversi livelli istituzionali, è un compito complesso e delicato. Ma la strada è stata tracciata e le professionalità si sono nel tempo formate, anche se in un contesto non facile e con dotazioni informatiche non sempre adeguate. Grazie alle risorse messe in campo dalla Regione Lazio e all’accordo del 2006 tra la stessa Regione ed il Comune di Roma è stato possibile in questi anni costruire e sperimentare una rete capillare ed estesa su tutto il territorio e tra istituzioni diverse. Il sistema finora ha generato e testato strumenti di rilevazione attendibili e validi, in primo luogo la Cartella Sociale informatizzata, pronta per l’uso esteso su tutto il territorio. Nell'ambito del nuovo Piano si dovrà dare impulso a quanto è stato fatto in questi anni, per l'implementazione di un moderno ed efficiente Sistema Informativo Sociale, che sappia valorizzare e integrare i flussi informativi già attivati.

In questo contesto, oltre alla rapida implementazione in tutto il territorio comunale della “cartella sociale”, già sperimentata in alcuni Municipi, dovrà inoltre essere rafforzata la messa in rete telematica di tutti i soggetti che si occupano di servizi sociali: Dipartimento per la Promozione dei servizi sociali e della salute, Municipi, ASL, imprese sociali, organismi di volontariato, IPAB, ecc.

Gli strumenti

La Cabina di regia del sistema cittadino dei servizi sociali costituirà il punto di riferimento sia per la programmazione e gestione del Sistema Informativo Sociale, sia per l'adozione di un programma organico per la valutazione della qualità (erogata e percepita) delle prestazioni, dei progetti, dei servizi e dei piani sociali, con il coinvolgimento di soggetti “terzi” indipendenti.

Tale programma dovrà prevedere la predisposizione della Carta cittadina dei servizi sociali e dello Schema di riferimento a cui tutte le Carte dei servizi sociali (dipartimentali, municipali e degli enti accreditati) si dovranno obbligatoriamente riferire.

Inoltre sarà redatto e diffuso il Bilancio sociale di Roma Capitale, che conterrà le informazioni essenziali sulle risorse impegnate, le attività realizzate e i risultati ottenuti dal sistema cittadino dei servizi e degli interventi sociali.

La qualità dei servizi e delle prestazioni sociali è fortemente influenzata dalla qualità degli Enti che gestiscono gli interventi e dalle condizioni in cui svolgono il loro lavoro. Il Piano Regolatore Sociale prevede perciò una verifica della funzionalità dell’attuale modello operativo utilizzato per l’accreditamento degli Enti[107]. Sulla base dei risultati di tale verifica, sarà eventualmente proposta una revisione del modello di accreditamento e saranno adottate le misure per migliorarne l'efficacia.

Infine, per superare le difformità, anche sostanziali, che oggi si riscontrano nei criteri e nelle procedure per la selezione degli Enti gestori dei servizi sociali e per l’affidamento dei servizi, saranno emanate Linee di indirizzo a livello cittadino, nel rispetto della normativa vigente.

Di seguito si presentano gli obiettivi e gli strumenti previsti per l'innovazione e il miglioramento della qualità dei servizi e degli interventi sociali.

Obiettivi e azioni

Obiettivo 1 Migliorare la conoscenza e il controllo dei fenomeni sociali, dell'offerta dei servizi e della domanda di prestazioni

ü    Rafforzamento e rilancio del sistema informativo sociale cittadino, mediante l'integrazione dei flussi informativi esistenti.

ü    Adozione della “Cartella sociale” su tutto il territorio cittadino per la registrazione della domanda sociale e della relativa “presa in carico” da parte dei servizi.

Obiettivo 2 Migliorare la comunicazione sociale

ü    Predisposizione di un programma pluriennale di informazione e comunicazione sociale multimediale, diretto agli operatori e ai cittadini.

ü    Messa in rete dei siti internet che si occupano dei servizi sociali nell'ambito di Roma Capitale.

ü    Adozione della “Carta cittadina dei servizi sociali” e dello “Schema di riferimento” per le Carte dei servizi sociali dipartimentali, municipali e degli enti accreditati.

ü    Redazione e diffusione del “Bilancio sociale” sulle risorse impegnate, le attività realizzate e i risultati ottenuti dal sistema cittadino dei servizi e degli interventi sociali.

Obiettivo 3 Monitorare la qualità dei servizi sociali

ü    Costruzione e adozione di un sistema di valutazione della qualità (erogata e percepita) delle prestazioni, dei progetti, dei servizi e dei piani sociali, con il coinvolgimento di soggetti “terzi” indipendenti.

Obiettivo 4 Rivedere le regole per l'accesso degli enti che si candidano a gestire i servizi sociali promossi dall'Amministrazione e favorire la libertà di scelta degli utenti

ü    Verifica e revisione dell’efficacia e della funzionalità dell’attuale modello operativo utilizzato per l’accreditamento degli Enti gestori dei servizi sociali.

ü    Elaborazione di Linee di indirizzo a livello cittadino sui criteri da adottare e sulle procedure da attivare per la selezione degli Enti gestori dei servizi sociali e per l’affidamento dei servizi, nel rispetto della normativa vigente.

G.3 L'integrazione dei sistemi

Il Piano Regolatore Sociale non si limita alla programmazione e realizzazione dei servizi e degli interventi sociali. È necessario che ciò avvenga coordinando e integrando gli interventi di assistenza con gli altri sistemi di sviluppo della città che influiscono, più o meno direttamente, sull'efficacia della protezione sociale dei cittadini ed in particolare di quelli più deboli. Il compito - teoricamente condiviso, ma operativamente irto di ostacoli - è dunque quello di rafforzare l'interrelazione e l'interconnessione istituzionale e organizzativa per un lavoro in rete non occasionale, né limitato alla sola collaborazione interprofessionale.

La difficoltà principale non consiste tanto nell'adozione di protocolli o nella sottoscrizione di accordi, quanto nella "manutenzione" delle reti e del loro funzionamento, la cui complessità è in genere sottostimata. Il coordinamento e l'integrazione intersistemica sono invece obiettivi che vanno ricercati con realismo, pazienza e costanza, investendo sia sul contesto e sugli strumenti procedurali, sia sulla formazione e sulla cultura organizzativa dei dirigenti e degli operatori.

I "Tavoli di Governance" permanenti sono i luoghi deputati al raggiungimento di questo obiettivo.

Il tema dell'integrazione è stato più volte richiamato nelle precedenti sezioni. In questa sede, si riprendono sinteticamente alcuni obiettivi e strumenti operativi, nelle seguenti cinque aree: salute; lavoro; casa; istruzione; sicurezza, emergenze e giustizia.

G.3.1 Integrazione con il sistema sanitario

La riforma dei servizi sociali è fortemente connessa al processo di riforma dei servizi sanitari. Il mancato coordinamento è causa di una diminuzione dell'efficacia e dell'efficienza dei servizi, oltre a costituire un peso per il cittadino. La definizione condivisa delle responsabilità, dei processi e delle risorse invece incide positivamente sulla continuità assistenziale, favorisce l'appropriatezza e l'efficacia delle prestazioni, consente la razionalizzazione della spesa ed economie di scala.

Non mancano certo i riferimenti normativi sulla "obbligatorietà" dell'integrazione socio-sanitaria (Legge 419/98, Decreto Legislativo 229/99, Legge 328/00). Il DPCM 14.02.2001 fornisce inoltre indirizzi per il coordinamento e il finanziamento a carico di ASL e Comuni. Esso individua chiaramente i diversi livelli di prestazioni socio sanitarie: sanitarie a rilevanza sociale; socio-sanitarie ad elevata integrazione sanitaria; sociali a rilevanza sanitaria[108].

Purtroppo, a fronte di modelli avanzati di integrazione presenti in altre aree del Paese, la Regione Lazio non è riuscita finora a consolidare un'iniziativa globale in questo campo.

Il nuovo Piano Regolatore Sociale vuole contribuire a sbloccare la situazione, in stretto coordinamento con le Autorità regionali. A tal fine, in sede di Conferenza Socio Sanitaria Unificata, sarà proposta la redazione di un Programma d'azione per l'integrazione socio-sanitaria, da adottare tramite Accordo di programma, in cui saranno definite:

ü     le aree di integrazione socio-sanitaria e gli ambiti di applicazione dell'Accordo;

ü     le competenze e i compiti assistenziali di ciascun soggetto;

ü     la programmazione di specifici progetti innovativi;

ü     gli interventi di accompagnamento, assistenza tecnica e formazione congiunta;

ü     gli impegni di carattere economico-finanziario a carico del Comune e delle ASL;

ü     le modalità di monitoraggio e valutazione della realizzazione del Programma d'azione.

In questo ambito saranno definiti anche gli standard e le procedure per la concessione dell'idoneità al funzionamento delle strutture socio-sanitarie e individuata la collocazione dei servizi sanitari nel territorio cittadino, per consentire parità di opportunità di accesso a tutti i cittadini.

Per favorire l'integrazione, in caso di modifiche dell'attuale suddivisione territoriale del Comune, saranno adottate le misure necessarie per mantenere coincidenza del territorio dei distretti sanitari con quello dei Municipi.

Un elemento importante per l'integrazione, dal punto di vista del cittadino, è costituito dal Punto Unico di Accesso alle prestazioni socio sanitarie (PUA), da istituire in ogni Municipio/Distretto (integrando strumenti e procedure), in collegamento con il Segretariato sociale.

Saranno inoltre attivati gruppi di lavoro permanenti con il compito di proporre percorsi e verificare esperienze per ciascuna delle seguenti macro aree: materno infantile; persone con disabilità, anziani e persone non autosufficienti con patologie croniche degenerative, stranieri e popolazioni rom, persone con dipendenze patologiche, disagio mentale e patologie psichiatriche, infezioni da HIV, pazienti terminali.

Saranno valorizzate e diffuse le buone prassi presenti sul territorio in vari settori del sociale. Ad esempio i “Gruppi Integrati di Lavoro” (GIL) per la presa in carico delle situazioni di minori sottoposti a provvedimenti o richieste da parte della magistratura, oppure le “Unità Interdistrettuali Minori”, che mettono in rete l’insieme di servizi socio sanitari di un quadrante territoriale (RM/A, etc.), all’interno del quale sono promosse azioni di coordinamento tra Distretto Sanitario (con i suoi molteplici servizi) e Servizi municipali. Un'esperienza che potrebbe costituire un modello di intervento anche per altri gruppi target.

Obiettivo: Aumentare il livello di integrazione socio-sanitaria

ü     Sottoscrizione di un Accordo di programma in ambito di Conferenza Socio-sanitaria Unificata per la realizzazione del Programma d'azione per l’integrazione socio-sanitaria, che preveda una struttura di coordinamento permanente tra Comune e ASL;

ü     Accordi interistituzionali per la gestione della continuità assistenziale delle persone anziane ospitate nelle Case di riposo, anche nelle situazioni di prevedibile aggravamento delle condizioni di salute;

ü     Istituzione in ogni Distretto/Municipio del Punto Unico di Accesso integrato con lo Sportello di Segretariato Sociale;

ü     Co-progettazione di interventi di "sollievo" per i familiari e per le "dimissioni protette";

ü     Estensione anche ad altri gruppi target del "modello UIM" sperimentato per i minori;

ü     Integrazione del Sistema Informativo Sociale con quelli della Sanità.

G.3.2 Integrazione con mondo del lavoro e della produzione

La forte integrazione tra politiche sociali e politiche del lavoro si può percepire, a livello nazionale, dalla presenza di un unico Ministero che si occupa di entrambi i settori. Meno evidente risulta invece questo nesso a livello regionale e comunale, anche in considerazione del fatto che l'Ente locale, dal punto di vista normativo, non possiede molti strumenti per agire efficacemente nel settore dell'occupazione.

Sull'importanza del lavoro per la prevenzione e il superamento del disagio si rimanda a quanto esposto in più riprese nelle pagine precedenti, ad esempio a proposito dei minori in uscita dalle strutture residenziali, all'inserimento lavorativo delle persone con disabilità e disagio mentale, al reinserimento delle persone sottoposte a provvedimenti dell'Autorità giudiziaria, alle opportunità occupazionali degli stranieri e dei richiedenti asilo, ai percorsi di autonomia delle persone con grave disagio sociale.

Si tratta, in genere, di provvedimenti concreti e circoscritti, che possono essere messi in agenda senza ulteriori passaggi, soprattutto valorizzando le potenzialità aperte dal programma RETIS.

Questi provvedimenti saranno co-progettati di concerto con il Dipartimento preposto alle politiche del lavoro e con gli altri Enti che hanno competenze specifiche nel settore dell’occupazione, in particolare con gli Organismi del mondo produttivo romano (Camera del Lavoro, Confindustria, Confcommercio, Confartigianato, Centrali sindacali, Enti bilaterali, ecc.).

Il tema del lavoro non riguarda però solo i soggetti svantaggiati. Attiene anche alle persone che di tali soggetti si occupano in modo professionale. Al riguardo, più avanti si affronterà la questione della qualificazione iniziale, della formazione continua e della tutela lavorativa degli operatori sociali, sia dipendenti pubblici, sia dipendenti, soci o collaboratori di Cooperative, Associazioni e altri Enti che operano nel comparto dell'assistenza sociale.

Infine, il tema dell'integrazione socio-lavorativa non può non toccare anche i bisogni occupazionali dei care giver familiari. Al riguardo, gli obiettivi da perseguire sono in primo luogo quello del riconoscimento del lavoro svolto in modo informale (ma non per questo meno oneroso) dai familiari di persone non autosufficienti e, in secondo luogo, della regolarizzazione e della qualificazione del lavoro di cura fornito da assistenti familiari estranee alla famiglia.

Obiettivo: Integrare il sistema dei servizi sociali con le politiche attive del lavoro e del sostegno all'occupazione

ü     Coordinamento con il Dipartimento preposto alle politiche del lavoro e con gli altri Enti che hanno competenze specifiche nel settore dell’occupazione.

ü     Consolidamento degli strumenti previsti dalla normativa per l'orientamento e l'inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati (borse lavoro, tirocini, ecc.).

ü     Rafforzamento del sistema del collocamento mirato per le persone disabili.

ü     Ampliamento dell'uso delle nuove tecnologie per l'inserimento di persone con disabilità.

ü     Sviluppo di "fattorie sociali" per conciliare il lavoro con il trattamento terapeutico.

ü     Sviluppo del progetto RETIS per favorire l'incontro tra domanda e offerta in campo sociale.

ü     Entrata a regime della Delibera che riserva alla cooperazione sociale (di tipo B) almeno il 5% degli appalti di beni e servizi da parte del Comune e delle sue Agenzie.

ü     Qualificazione e tutela lavorativa degli operatori sociali, pubblici e privati.

ü     Riconoscimento del lavoro informale svolto dai familiari di persone non autosufficienti.

ü     Sviluppo del progetto "Insieme si può" per la regolarizzazione e la qualificazione del lavoro di cura fornito da assistenti familiari estranee alla famiglia.

G.3.3 Integrazione con le politiche abitative e del patrimonio

A Roma, la questione alloggiativa è da sempre un’emergenza. Il problema riguarda non solo i più poveri, anche chi ha un reddito insufficiente a trovare soluzioni abitative sul mercato della locazione o della compravendita, ma non è abbastanza povero per beneficiare di interventi di assistenza abitativa. I soggetti che manifestano un disagio abitativo e una crescente domanda insoddisfatta sono diversi: oltre agli anziani, agli immigrati e alle famiglie mono-parentali, ci sono i lavoratori che non possono fare affidamento su un reddito fisso e trovano quindi difficoltà nell'accensione di mutui per l'acquisto della casa o per regolari contratti d'affitto.

Secondo l'Ufficio extradipartimentale per le Politiche Abitative (UPA, 2009), a Roma sono 32.871 le famiglie in attesa di un alloggio di edilizia residenziale pubblica (ERP) inserite nella graduatoria ufficiale aggiornata dall’Ufficio al 21.12.2006, di cui 1.200 col massimo del punteggio (10 punti); 400 i nuclei familiari in estreme condizioni di indigenza in carico all’UPA per l’assistenza in emergenza; 24.621 gli sfratti emessi per morosità negli ultimi cinque anni con un’incidenza del 9,5% sulle abitazioni in affitto; 19.418 gli sfratti eseguiti negli ultimi cinque anni con un’incidenza del 7,5% sul totale delle abitazioni in affitto[109].

Il mercato degli affitti presenta notevoli criticità. In 10 anni, tra il 1999 e il 2008, hanno fatto registrare un incremento complessivo del 145% e in solo 15 casi su 100 le locazioni sono definite da contratti a patti concordati. Si consideri che a Roma il canone medio richiesto per un monolocale è di 805 euro e per un bilocale è di 1.010 euro. Canoni proibitivi non solo per le famiglie a basso reddito con figli, ma anche per nuclei appartenenti al “ceto medio” che fino a qualche anno fa sembravano al riparo dal pericolo di deriva sociale e che oggi sono sempre più vulnerabili.

A questo quadro vanno aggiunte le condizioni di persone anziane che vivono sole (donne over-75enni) con esigue pensioni sociali o di reversibilità (300-400 euro mensili) sotto sfratto esecutivo per morosità; coppie di anziani con una sola pensione o due pensioni minime, non più in grado di sostenere le spese di affitto e utenze.

Sarebbe ingenuo e fuorviante trattare questo problema definendone i contorni medi, dimenticando che l’edilizia residenziale pubblica nella Capitale si è spesso mossa nella direzione della creazione di veri e propri “ghetti”, in cui la stratificazione di forme di disagio attraverso le generazioni e il concentrarsi di episodi di devianza, ha favorito lo sviluppo e il consolidamento nel tempo di vere e proprie subculture che hanno finito per ostacolare la progettazione di percorsi di reinserimento e promozione sociale, specie tra i più giovani.

Una parte delle famiglie che utilizzano l'edilizia residenziale pubblica non sempre sono in condizioni di regolarità (si tratta a tutti gli effetti di "occupazioni") o, se sono in affitto, sono morose. Nel momento in cui dovessero perdere anche la casa, l’esito ultimo del processo di impoverimento sarebbe la strada. Un segnale preoccupante, in questo senso, è dato dall'aumento delle "residenze fittizie"[110] rilasciate dai Municipi a persone che non dispongono di una dimora stabile.

Attualmente le risposte allo specifico problema della casa si concentrano sull’erogazione di una serie di contributi a sostegno del pagamento dei canoni d’affitto o in aiuto al nucleo familiare o alle singole persone. Nel 2008 sono stati 10.430 i beneficiari del contributo per l’affitto ex delibera comunale 431/2000 (“Buono Casa”) su ben 16.214 richiedenti che hanno presentato domanda nel 2007. Tra la presentazione della domanda e l’effettiva erogazione del contributo possono trascorrere fino a 9-10 mesi: tempi eccessivamente lunghi che rischiano dunque di non risolvere la situazione di emergenza in cui una persona può venirsi a trovare.

Dodici sono i Residence comunali disponibili per l’accoglienza dei nuclei in emergenza alloggiativa. Recentemente ne sono stati attivati altri tre sul territorio del VII Municipio.

A livello municipale le risorse in campo sono ugualmente limitate. Come abbiamo visto, il Servizio sociale può erogare contributi per l’affitto (delibera 163/1998), per un periodo massimo di quattro anni a persone con sfratto eseguito, che hanno già dovuto abbandonare l’alloggio e che presentano un nuovo contratto di locazione regolarmente registrato. In genere tali contributi, che non possono superare i 516 euro mensili, vengono erogati con cadenza bimestrale.

Il problema è che negli ultimi anni i fondi dei Municipi destinati a questi interventi sono stati drasticamente ridotti, così come quelli diretti a finanziare interventi a carattere economico al nucleo familiare e alla persona a fronte della definizione di un progetto di integrazione sociale (delibera 154/1997). Attualmente il Servizio sociale attinge a questi fondi per far fronte anche ai problemi di morosità dei canoni di affitto, che potrebbero portare molti nuclei a ricevere avvisi di sfratto. Ma si tratta di "gocce nell’oceano" del bisogno.

Questi dati e queste brevi considerazioni rendono evidente la necessità di un forte coordinamento tra le politiche socio-assistenziali e quelle abitative.

Obiettivo: Integrare gli interventi assistenziali con i servizi per la casa e per la gestione del patrimonio pubblico

ü     Revisione della regolamentazione per la prevenzione e il contrasto del disagio abitativo (Delibere 154/97 e 163/98).

ü     Coordinamento interassessorile per l'utilizzo a fini sociali dei beni confiscati alla criminalità organizzata e di quelli assegnati dallo Stato al Comune di Roma nell'ambito del c.d. "federalismo demaniale".

ü     Previsione di una riserva di quote degli alloggi acquisiti dell’amministrazione comunale destinati a categorie ad alto disagio sociale.

ü     Reperimento di nuove risorse abitative da destinare all’emergenza abitativa.

ü     Assegnazione di sedi alle associazioni non profit (delibera 26/96) e destinazione di spazi di proprietà comunale a partenariati di soggetti impegnati in attività sociali.

ü     Abbattimento degli oneri a favore di costruzioni idonee a persone anziane o ad alloggi per l’autonomia delle persone con disabilità.

G.3.4 Integrazione con i sistemi dell'istruzione e della formazione

Sono molteplici gli ambiti di integrazione tra i servizi sociali e quelli dell'istruzione e della formazione. Si è avuta occasione di parlarne in più riprese nelle pagine precedenti. Essi riguardano soprattutto quattro aree, per ciascuna delle quali si segnalano più avanti gli strumenti proposti per un migliore coordinamento e integrazione:

ü     le responsabilità educative e il diritto allo studio delle persone in età evolutiva, in particolare per la prevenzione e il contrasto della dispersione scolastica;

ü     l'inserimento scolastico e il sostegno agli alunni con disabilità o disagio psichico;

ü     i percorsi di formazione professionale per l'inserimento nel mondo del lavoro di soggetti svantaggiati;

ü     le opportunità di apprendimento delle persone adulte lungo tutto l'arco della vita.

Particolare importanza assume quest'ultimo settore, dal momento che l'istruzione lungo tutto il corso della vita favorisce il pieno sviluppo delle potenzialità personali, facilita l'integrazione sociale e le opportunità di inserimento nel mondo del lavoro[111]. In questo settore, nel 2009 il Comune di Roma ha realizzato il "Progetto per l’individuazione degli ambiti territoriali e dei Comitati Locali per l’Educazione Permanente degli Adulti", finanziato dalla Regione Lazio. È stato così elaborato e avviato un sistema cittadino, imperniato su 8 "Comitati Locali" e una "Cabina di regia" centrale, che fa capo al Dipartimento Attività Economico-Produttive, Formazione-Lavoro.

In questo sistema un ruolo fondamentale è assegnato ai Centri Territoriali Permanenti (CTP) istituiti nel '97 dal Ministero della Pubblica Istruzione. A Roma la domanda di partecipazione alle attività formative dei CTP risulta elevata e in continua espansione. La maggior parte dei percorsi formativi si caratterizzano come corsi finalizzati al conseguimento della licenza media, dell'apprendimento della lingua italiana (per gli stranieri), della lingua inglese (per gli italiani) e di competenze informatiche.

Obiettivo: Integrare il sistema dei servizi sociali con i sistemi dell'istruzione e della formazione

ü     Coordinamento dei programmi di accoglienza e di assistenza dei minori stranieri con quelli di inserimento scolastico, anche al fine di favorire il successo scolastico dei minori stranieri e l'educazione al rispetto, alla tolleranza, alla legalità e alla solidarietà.

ü     Coordinamento interistituzionale finalizzato al rispetto del diritto-dovere all’istruzione dei bambini Rom, comprendente un monitoraggio continuo dei livelli quantitativi e qualitativi della scolarizzazione, nonché misure specifiche per ridurre o eliminare gli ostacoli che si frappongono al raggiungimento di questo risultato.

ü     Integrazione degli interventi assistenziali per minori con problemi di disagio sociale con eventuali percorsi di formazione professionale.

ü     Coordinamento dei Dipartimenti per le Politiche scolastiche e le Politiche sociali per identificare criticità e soluzioni al fine di migliorare la qualità dell'inserimento scolastico degli alunni con disabilità o disagio psichico.

ü     Adozione di Protocolli operativi tra i soggetti che operano nei settori dell’istruzione, della formazione professionale e dell'apprendimento lungo tutto l'arco della vita ed integrazione del sistema Educazione degli Adulti (EDA) nei Piani Sociali Municipali.

G.3.5 Integrazione con i sistemi della Sicurezza e della Giustizia

Molte e differenziate sono le aree di connessione tra i servizi e gli interventi sociali con i sistemi preposti alla tutela della sicurezza dei cittadini e all'amministrazione della Giustizia. Ad esempio:

ü     ambito della sicurezza per la prevenzione e repressione dei reati (Corpo di Polizia Urbana, Questura, Polizia di Stato, Arma dei Carabinieri);

ü     ambito dell'emergenza per la prevenzione e la gestione dei grandi rischi ambientali e sanitari (Protezione Civile, Croce Rossa Italiana);

ü     ambito della giustizia (Magistratura ordinaria e minorile, sistema di esecuzione penale).

Con tutte queste realtà gli operatori dei servizi sociali sono in contatto quotidianamente e intensi e in genere proficui sono i rapporti di collaborazione e coordinamento. Si evidenziano però anche criticità, dipendenti in gran parte dalle differenti culture organizzative a cui i diversi sistemi fanno riferimento, nonché, in alcuni casi, da carenze di risorse o da difficoltà di ordine normativo e regolamentare.

Nell'ambito del nuovo Piano saranno intensificati i rapporti con le realtà che si occupano della sicurezza, delle emergenze e della giustizia, mediante la sottoscrizione o la revisione di Accordi e di Protocolli operativi, in cui dovranno essere definiti non solo gli obiettivi da raggiungere, ma anche le responsabilità di ciascuno, i tempi, le procedure e le risorse impegnate.

Per quanto riguarda le persone sottoposte a misure giudiziarie, nella sezione dedicata a questo tema sono state descritti problemi e avanzate proposte concrete, che potranno essere definite mediante l'istituzione del "Tavolo permanente per la programmazione e la governance delle iniziative sociali per l'esecuzione penale".

Particolarmente intense sono le interrelazioni tra i servizi sociali e la Magistratura minorile. L'obiettivo da raggiungere in questo settore è la sistematizzazione dei rapporti tra il Centro per la Giustizia Minorile e i servizi territoriali, nonché la programmazione di iniziative volte a colmare "vuoti" di intervento su specifiche tematiche (per esempio, la mediazione penale).

Con il Tribunale Minorenni e con la Procura occorre trovare nuove modalità organizzative e di rapporto, in modo da sviluppare un “linguaggio comune" e la condivisione degli obiettivi, dei percorsi e dei tempi. In un quadro normativo frammentato e in qualche caso contraddittorio, la materia del rapporto tra servizi e Autorità Giudiziarie avrebbe avuto bisogno di una forte e costante azione di raccordo, anche perché in questi ultimi anni sono sopraggiunte anche importanti riforme che hanno lasciato ampi (e forse troppi) margini di incertezza[112] che hanno nei fatti reso più complesso, ma anche ambiguo e indefinito, il rapporto tra servizi, magistrature, avvocati.

Per affrontare questi problemi il Dipartimento ha rafforzato il suo ruolo di coordinamento, soprattutto attraverso le UIM (cfr. sopra), che tra l'altro hanno predisposto una sistematica raccolta dei dati relativa alla casistica proveniente dagli uffici giudiziari che si occupano di famiglie e minori. L’obiettivo è quello di raggiungere un buon equilibro nei rapporti di collaborazione con le Autorità Giudiziarie, definendo reciproche competenze e modalità di relazione.

Obiettivo: Integrare i servizi sociali con i sistemi preposti alla sicurezza, all'amministrazione della giustizia e alla gestione delle emergenze

ü     Accordi tra Dipartimento Promozione dei Servizi sociali e della salute, Nucleo Assistenza Emarginati del Corpo di Polizia Urbana e Questura di Roma su specifiche aree di intervento.

ü     Piano di intervento per la prevenzione e la gestione delle emergenze sociali, in collaborazione con la Protezione Civile e la Croce Rossa Italiana.

ü     Istituzione del "Tavolo permanente per la programmazione e la governance delle iniziative sociali per l'esecuzione penale".

ü     Verifica ed eventuale revisione del Protocollo stipulato con il Centro Giustizia Minorile.

ü     Sottoscrizione di un accordo che stabilisca funzioni e ruoli del Tribunale dei Minorenni, della Procura presso il medesimo Tribunale e i Servizi sociali.


H. LE RISORSE

H.1 Le risorse professionali

I servizi sociali costituiscono un sistema di prossimità ad alto contenuto relazionale. Non è dunque possibile raggiungere gli obiettivi di miglioramento proposti in questo Piano senza un forte investimento sulle professionalità sociali, principale fattore di qualità dell'intervento assistenziale. L'efficacia degli interventi dipende in gran parte da fattori che riguardano strettamente gli operatori sociali, come, ad esempio:

ü     la loro distribuzione sul territorio,

ü     il mix di figure professionali presenti nelle equipe di lavoro,

ü     le competenze professionali e le motivazioni che li sostengono nel loro lavoro (da considerare "usurante" a tutti gli effetti, almeno per chi lavora "in prima linea"),

ü     le condizioni in cui operano e gli strumenti di cui possono disporre,

ü     la considerazione pubblica del loro ruolo (status).

H.1.1 La distribuzione territoriale

In questa sede, per ragioni pratiche, si presenta una sintetica analisi della distribuzione territoriale degli assistenti sociali. Il Piano Regolatore Sociale riporterà ovviamente una descrizione più completa riferita a tutte le figure professionali che operano nel sistema dei servizi sociali.

Per quanto riguarda gli assistenti sociali, nella città di Roma operano complessivamente 338 professionisti dipendenti dall'Amministrazione[113], di cui 276 (81,7%) sono di ruolo, mentre 62 (18,3%) hanno un contratto a termine.

La maggior parte degli Assistenti Sociali è distribuita nei 19 Municipi (289 unità, pari all’85,5%), mentre nel Dipartimento operano 49 Assistenti sociali (14,5%). La tabella n. 27 illustra nel dettaglio la distribuzione numerica e percentuale degli Assistenti Sociali nel territorio, articolata per AA.SS. di ruolo e a tempo determinato.

Non si riesce a cogliere alcun criterio razionale alla base del riparto degli Assistenti Sociali nei Municipi, se non quello della consuetudine e di decisioni occasionali. E’ evidente comunque che la distribuzione non è collegata direttamente alla numerosità della popolazione residente. Si va infatti da Municipi in cui vi è un Assistente sociale ogni 4.851 abitanti (3° Municipio) ad altri in cui il rapporto è di 1 a 14.042 (8° Municipio), una cifra che è quasi il triplo (cfr. tabella n. 28 e grafico n. 29). La paradossalità di questo dato consiste essenzialmente nel fatto che in alcuni casi (Municipi 3°, 4°, 8°, 9°, 10° e 17°) si dà una correlazione negativa tra intensità del disagio sociale[114] e n. di assistenti sociali (in proporzione al n. di abitanti).

In media, a Roma, nei Municipi opera un Assistente Sociale ogni 9.729 abitanti. Se si considerano solo gli Assistenti Sociali di ruolo, tale rapporto si alza notevolmente (1/11.863 abitanti). E’ pur vero che se agli Assistenti Sociali che operano nei Municipi si aggiungono quelli del Dipartimento, il rapporto si abbassa (1/8.318).

I dati indicano comunque che il rapporto tra Assistenti Sociali e popolazione è lontano dagli standard proposti dalle organizzazioni rappresentative della professione sociale (1 Assistente Sociale ogni 5.000 abitanti).

 

Tabella n. 27 Assistenti Sociali in servizio nel Comune di Roma. Distribuzione territoriale e per tipologia contrattuale (marzo 2010)

Territorio

N. residenti

AA.SS.

di ruolo

AA.SS. a

tempo det.

Totale

% AA.SS. a tempo determ. su tot. AA.SS.

Distribuzione % del totale degli AA.SS.

I

126.703

10

3

13

23,1

 

II

122.785

12

3

15

20,0

III

53.361

9

2

11

18,2

IV

199.771

13

4

17

23,5

V

178.587

13

2

15

13,3

VI

123.373

12

6

18

33,3

VII

121.993

13

2

15

13,3

VIII

224.672

14

2

16

12,5

IX

126.630

16

0

16

0

X

181.929

14

2

16

12,5

XI

135.852

16

4

20

20,0

XII

171.650

11

6

17

35,3

XIII

216.515

16

6

22

27,3

XV

150.876

15

0

15

0

XVI

142.011

11

2

13

15,4

XVII

70.459

9

1

10

10,0

XVIII

135.100

12

1

13

7,7

XIX

181.645

12

2

14

14,3

XX

147.697

9

4

13

30,8

Tot. Municipi

2.811.609

237

52

289

18,0

85,5

Dipartimento

39

10

49

20,4

14,5

Roma

276

62

338

18,3

100

 

Tabella n. 28 Rapporto popolazione residente e Assistenti Sociali, per Municipio

Municipio

N. residenti

AA.SS. (di ruolo e a tempo det.)

N° residenti per A.S.

Municipio I

126.703

13

9.746

Municipio II

122.785

15

8.186

Municipio III

53.361

11

4.851

Municipio IV

199.771

17

11.751

Municipio V

178.587

15

11.906

Municipio VI

123.373

18

6.854

Municipio VII

121.993

15

8.133

Municipio VIII

224.672

16

14.042

Municipio IX

126.630

16

7.914

Municipio X

181.929

16

11.371

Municipio XI

135.852

20

6.793

Municipio XII

171.650

17

10.097

Municipio XIII

216.515

22

9.842

Municipio XV

150.876

15

10.058

Municipio XVI

142.011

13

10.924

Municipio XVII

70.459

10

7.046

Municipio XVIII

135.100

13

10.392

Municipio XIX

181.645

14

12.975

Municipio XX

147.697

13

11.361

Roma

2.811.609

289

9.729

 

Grafico n. 29 Rapporto Popolazione/Ass. Soc., per Municipio, in ordine di grandezza

H.1.2 Gli obiettivi di miglioramento

Il nuovo Piano intende adottare le misure necessarie per il raggiungimento dei seguenti obiettivi:

ü     valorizzare il ruolo delle professioni sociali, anche nei confronti dell'opinione pubblica, mediante azioni di comunicazione sociale sulla complessità delle situazioni affrontate e sui risultati raggiunti dai servizi;

ü     adeguare il numero delle risorse professionali assegnate al comparto dei servizi sociali (ruoli tecnici e amministrativi) alle reali esigenze operative, stabilendo mete graduali sulla base di indicatori standard (anche attraverso la stabilizzazione lavorativa delle risorse umane con contratti a tempo determinato);

ü     realizzare un mix equilibrato delle diverse professionalità nelle équipes dei Servizi sociali municipali e dipartimentali, secondo standard validati;

ü     rivedere la distribuzione delle risorse professionali sul territorio, sulla base di indicatori oggettivi riferiti ai bisogni e alle domande della popolazione presente;

ü     migliorare le condizioni di lavoro del personale impegnato in attività sociali, sia dal punto di vista logistico, sia della dotazione strumentale[115];

ü     razionalizzare l'organizzazione e il contesto operativo, con particolare riferimento alla definizione di ruoli, funzioni e procedure, nonché all'equilibrio nel riparto dei carichi di lavoro;

ü     favorire il mutuo apprendimento nel coinvolgimento di risorse esterne all'Amministrazione (tirocinanti, giovani in servizio civile, ecc.) all'interno dei servizi sociali, in contesti controllati e adattati alle esigenze operative;

ü     migliorare le conoscenze e le competenze tecniche attraverso programmi pluriennali di aggiornamento e formazione continua, che coinvolgano anche le figure dirigenziali e che partano da una rigorosa analisi dei fabbisogni formativi.

Uno strumento di grande rilevanza in questo contesto è costituito dalla supervisione. Gli operatori sociali si trovano infatti ad interagire con un contesto dinamico e in rapida evoluzione, con una domanda di interventi spesso pressante, che richiede abilità e competenze nel sostenere, accogliere e decodificare bisogni complessi, all’interno di contesti multiproblematici.

Sarà predisposto pertanto un programma organico di supervisione con l'obiettivo di consolidare l’identità professionale, accrescere la strumentazione metodologica, abilitare ad un processo costante di confronto con colleghi e dirigenti, prevenire il burn-out; ottimizzare le risorse; accrescere gli standard di qualità degli interventi.

H.2 Le risorse finanziarie

H.2.1 La spesa sociale e le risorse finanziarie

L’approvazione del Decreto Legislativo 17 settembre 2010 n. 156, in attuazione dell'articolo 24 della legge 5 maggio 2009, n. 42 (istituzione di "Roma Capitale"), produrrà sostanziali cambiamenti anche nell’assetto amministrativo della città, con dirette conseguenze sul bilancio del Comune di Roma relativo al settore dei servizi sociali. In questo contesto, le cui conseguenze sul finanziamento dei servizi e degli interventi sociali sono difficili da prevedere, si rende opportuno partire da una presentazione sintetica del quadro della spesa sociale "storica".

Al riguardo, onde evitare interpretazioni fuorvianti e confronti non corretti, è necessario chiarire preliminarmente il significato dell'espressione "spesa sociale", che in questo contesto deve essere intesa limitatamente alla spesa corrente finalizzata al finanziamento dei servizi e degli interventi socio-assistenziali.

I dati riportati nelle tabelle e nei grafici seguenti, elaborati sulla base delle informazioni dell'Ufficio "bilancio" del Dipartimento per la promozione dei servizi sociali, differiscono in parte da quelli dell'indagine sulla spesa sociale dei Comuni, condotta con cadenza annuale dall’Istat, in collaborazione il Centro interregionale per il sistema informatico ed il sistema statistico (Cisis). L’indagine ISTAT infatti prende in considerazione anche ambiti di intervento che in questa sede non sono considerati propriamente come "spesa sociale" (ad esempio asili nido e altri interventi socio-educativi). Non solo, ma l'ISTAT calcola anche le spese per il personale, per l’affitto di immobili o attrezzature e per l’acquisto di beni e servizi. Di conseguenza, non è possibile confrontare i dati qui esposti con quelli degli altri Comuni. Si può comunque affermare senza ombra di dubbio che Roma si attesta nella fascia dei Comuni con il più alto indice di spesa sociale pro-capite.

Il primo dato che emerge dall'analisi delle risorse della città di Roma finalizzate al finanziamento dei servizi e degli interventi sociali è quello del progressivo aumento della spesa, come si evince dalla tabella e dal grafico seguente. In 6 anni, dal 2004 al 2010, le risorse finanziarie impegnate per i servizi e gli interventi sociali sono cresciute di oltre 114 milioni di euro, un aumento di quasi il 53%.

 

Tabella 29 Spesa sociale del Comune di Roma. Serie storica 2004-2010

Anni

Importi

Differenza su base annua

Scostamenti % su base annua

Differenza accumulata

(anno riferimento: 2004)

Scostamenti % accumulati

2004

216.359.449

-

--

--

--

2005

227.993.449

+ 11.634.000

+ 5,38%

+ 11.634.000

+ 5,38%

2006

247.664.449

+ 19.671.000

+ 8,63%

+ 31.305.000

+ 14,47%

2007

280.122.449

+ 32.458.000

+ 13,11%

+ 63.763.000

+ 29.47 %

2008

288.793.493

+ 8.671.044

+ 3,10%

+ 72.434.044

+ 33,48%

2009

325.258.699

+ 36.465.206

+ 12,63%

+ 108.899.250

+ 50,33%

2010*

331.018.715

+ 5.760.016

+ 1,77%

+ 114.659.266

+ 52,99 %

(*) Previsione

Grafico 30 Evoluzione della spesa sociale del Comune di Roma. Periodo 2004-2010

La maggior parte di queste risorse proviene direttamente dal Comune di Roma. Le risorse trasferite dalla Regione e dallo Stato nel 2010 non superano infatti il 30,6%. Entrando nel dettaglio del bilancio del 2009 e del 2010, si può constatare come il Comune in quest'ultimo anno abbia non solo compensato con proprie risorse la forte diminuzione dei trasferimenti statali e regionali (complessivamente, -16.538.335), ma abbia addirittura aumentato di quasi 6 milioni di Euro il budget complessivo finalizzato al finanziamento dei servizi sociali.

 

Tabella 30 Spesa sociale per fonte di finanziamento. Anni 2009 e 2010

 

2009

2010

Differenza

 

Importo

%

Importo

%

Importo

%

Bilancio comunale

207.476.851

63,79

229.775.202

69,42

+ 22.298.351

+ 5,63

Fondi statali/regionali

117.781.848

36,21

101.243.513

30,58

- 16.538.335

- 5,63

Totale fondi

325.258.699

100

331.018.715

100

+ 5.760.016

--

 

Grafico 31 Spesa sociale per fonte di finanziamento. Anno 2010

Quasi la metà delle risorse è finalizzata a finanziare interventi e servizi per anziani (25,22%) e minori (21,55%). In terza posizione vi è il settore della disabilità (20,03%). Seguono, molto distanziate le aree relative al disagio sociale (10,15%) e all'immigrazione (comprese le popolazioni Rom: 8,89%). Tutte le altre voci di spesa sono inferiori al 5%.

Ai Municipi viene trasferito il 46,47% delle risorse complessive. Il resto è gestito dal Dipartimento per la promozione dei servizi sociali e della salute (44,75%)[116] e, in misura limitata (8,78%), ad altri Dipartimenti.

 

Tabella 31 Risorse finanziarie per Ente di riferimento e tipologie di intervento. Valori assoluti e percentuali (2010)

 

Municipi

Dip. servizi sociali

Altri Dip.

Totale

%

su totale

Minori

52.025.784

18.509.009

816.091

71.350.884

21,55

Disagio Sociale

12.651.735

5.830.458

15.116.500

33.598.693

10,15

Disabilità

38.275.246

28.018.598

0

66.293.844

20,03

Case di Riposo e servizi anziani

36.381.442

47.115.945

0

83.497.387

25,22

Salute mentale

60.000

7.283.605

0

7.343.605

2,22

Immigrati e Rom

246.442

29.190.809

0

29.437.251

8,89

Fondi indistinti L. 328/00

14.021.630

0

0

14.021.630

4,24

Emergenza - Senza fissa dimora

175.000

10.334.971

0

10.509.971

3,17

Ass. domiciliare malati di AIDS

0

1.849.450

0

1.849.450

0,56

Assistenza alloggiativa

0

0

9.232.000

9.232.000

2,79

Ag. Com. Tossicodipendenze

0

0

3.884.000

3.884.000

1,17

TOTALE

153.837.280

148.132.844

29.048.591

331.018.715

100

Percentuale

46,47

44,75

8,78

100

 

 

H.2.2 Gli obiettivi

In questa sede si delineano alcuni obiettivi di carattere tecnico, che non prefigurano decisioni di tipo strategico né in merito all'ammontare della spesa sociale complessiva nei prossimi anni, né al loro riparto.

Obiettivo 1      Favorire la programmazione e la gestione della spesa sociale a livello cittadino.

Per raggiungere questo obiettivo, nel rispetto della normativa del settore, si rende necessario istituire un Fondo unico per i servizi sociali, alimentato con risorse proprie del Comune di Roma, con finanziamenti della Regione, dello Stato e dell'Unione Europea. In tale Fondo confluiranno inoltre le risorse provenienti dalla partecipazione degli utenti ai costi delle prestazioni sociali, da sponsorizzazioni, donazioni e liberalità.

Nell'ambito del Fondo unico per i servizi sociali, tenendo conto delle esigenze del Sistema Informativo Sociale (cfr. sopra), saranno rivisti e ricodificati i Centri di costo dei servizi sociali, in modo da rendere più facile l'identificazione delle risorse destinate ai diversi gruppi target e alle diverse tipologie di intervento.

Obiettivo 2 Razionalizzare i criteri per il riparto dei fondi sia tra i servizi cittadini e i servizi territoriali, sia tra i singoli Municipi, sia, infine, tra i diversi gruppi target e le diverse tipologie di intervento.

In particolare, in concomitanza con la revisione dell'assetto dei Municipi romani, si rende necessario aumentare l'equità nel riparto delle risorse tra i diversi territori, rivedendo i criteri utilizzati.

A tal fine, preliminarmente si dovranno identificare gli indicatori più idonei a rappresentare i bisogni sociali delle diverse aree della città. Oggi, al riguardo, non si utilizzano espliciti indicatori e, analizzando il solo rapporto con la popolazione residente (comunque insufficiente a rappresentare la domanda sociale, attuale o potenziale), emergono differenze tra i Municipi che in alcuni casi superano il 100% del dato sulla spesa sociale pro-capite.

Questa si attesta su una media di quasi 55 euro, ma in alcuni Municipi arriva a quasi 90 euro (3° Municipio), mentre in altri si attesta a poco più di 40 euro (15° Municipio). Tali differenze non sembrano avere comunque alcuna relazione con la domanda sociale del territorio.

 

Tabella 32 Distribuzione della spesa sociale per Municipio v.a. e pro-capite (2009)

Municipio

N° residenti

Spesa sociale (2009)

Spesa pro/capite (2009)

I

126.703

8.797.275

69,43

II

122.785

5.467.5450

44,53

III

53.361

4.752.506

89,06

IV

199.771

9.683.195

48,47

V

178.587

8.989.528

50,34

VI

123.373

7.489.570

60,71

VII

121.993

7.380.703

60,50

VIII

224.672

13.267.992

59,05

IX

126.630

6.563.702

51,83

X

181.929

10.010.642

55,02

XI

135.852

7.383.403

54,35

XII

171.650

7.933.642

46,22

XIII

216.515

10.144.239

46,85

XV

150.876

6.182.376

40,98

XVI

142.011

8.083.484

56,92

XVII

70.459

5.131.702

72,83

XVIII

135.100

8.780.218

64,99

XIX

181.645

11.000.184

60,56

XX

147.697

7.445.523

50,41

Totale

2.811.609

154.487.433

54,95

 

Grafico 32 Spesa sociale pro-capite, per Municipio. Anno 2009

Obiettivo 3 Assicurare la sostenibilità della spesa per i servizi e gli interventi sociali sul medio-lungo periodo.

I dati demografici e le linee di tendenza presentate nella prima parte documentano con evidenza l'aumento progressivo dei bisogni sociali, a cui, negli ultimi anni, come si è visto sopra, si è risposto con un aumento costante della spesa sociale.

Se si proietta nei prossimi 5 anni la tendenza osservata tra il 2004 e il 2010, che ha registrato nel periodo un aumento del 53%, si può prevedere che nel 2015 la spesa sociale del Comune di Roma sarà di circa 471 milioni di euro, con un aumento di ben 140 milioni rispetto al 2010.

Grafico 33 Proiezioni della spesa sociale nel periodo 2010-2015

Questo dato però potrebbe essere influenzato negativamente dalle trasformazioni socio-demografiche in atto e dall'accelerazione degli indici di dipendenza.

È ovvio che queste analisi pongono con forza il tema della sostenibilità del sistema di welfare locale, così come si è venuto costituendo negli ultimi 15-20 anni.

Sul versante delle misure di bilancio, ciò esige non solo una razionalizzazione della spesa e una gestione più efficiente, ma anche l'aumento dei livelli di partecipazione al finanziamento della spesa sociale da parte di enti terzi, sulla base del principio di corresponsabilità delle organizzazioni (in particolare le Fondazioni e le IPAB) e delle imprese (comprese quelle che operano nel settore bancario e assicurativo), sia rafforzando le capacità del Comune di Roma e delle organizzazioni che operano nel territorio romano di accedere ai finanziamenti nazionali ed europei.

Nello stesso tempo, si rende ormai improrogabile una rinegoziazione con la Regione Lazio dei criteri utilizzati per il riparto dei finanziamenti, superando le obsolete e discutibili analisi utilizzate finora (Censis 2002) che hanno penalizzato in modo significativo il Comune di Roma.

A livello nazionale, il Comune di Roma intende partecipare attivamente ai tavoli aperti per la definizione dei costi necessari ad assicurare i livelli essenziali delle prestazioni e dell'entità del Fondo nazionale per la non autosufficienza.


I ALLEGATI

I.1 Interventi per le popolazioni Rom

I.1.1 I Rom in Europa e in Italia

Nonostante i Rom vivano nel continente europeo da più di otto secoli, spesso ci si domanda chi siano, come se si trattasse di un popolo difficilmente conoscibile. Nel tempo, il popolo Rom è stato definito con diversi nomi, tanto da farlo sembrare un gruppo formato da differenti etnie. Al loro arrivo in Europa i cronisti dei paesi occidentali ipotizzarono che avessero origini tartare, mentre nelle nazioni orientali si pensò che venissero dall’Egitto, in considerazione del colore scuro della loro pelle e dei loro abiti sgargianti. Vennero identificati con la setta eretica degli Atsiganoi e chiamati «zingari» in Italia, tsigani, cigani, zigeuner, nelle varie lingue europee: dal greco bizantino Atsinganoi, che significa «Intoccabili». La loro supposta origine egiziana è all’origine degli etonimi gitani e gypsy con cui vennero definiti nella penisola iberica e nel mondo anglosassone, e che nel tempo hanno assunto un carattere dispregiativo.

Storici e linguisti sono attualmente d’accordo sull’origine indiana del popolo Rom. La lingua Romani (o Romanes) è una lingua neo-ariana imparentata con l’antico sanscrito e si parla, in una pletora di diversi dialetti, in molti paesi europei e asiatici. Intorno all’anno 1000 il popolo che oggi viene chiamato Rom emigrò dalla media valle del Gange e raggiunse la Persia, l’Armenia e l’Anatolia. Intorno al 1200 i Rom si diffusero nei Balcani, quindi nei Carpazi e successivamente negli altri Stati europei. Le vicissitudini delle comunità Rom sono stati innumerevoli, fino a colmare nei tristissimi episodi legati alla deportazione e sterminio imposto dal Terzo Reich.

Anche se non esistono censimenti ufficiali che dicano con esattezza quanti siano, stime affidabili mostrano come attualmente vivono in Europa tra i nove e dodici milioni di Rom. In Romania si stima una popolazione da un milione e mezzo a due milioni e mezzo; in Bulgaria tra 700.000 e 800.000; in Spagna circa 600.000; in Francia circa 500.000.

Dal punto di vista politico-giuridico, in attesa dell’approvazione da parte delle Istituzioni europee dello Statuto quadro del popolo Rom nell’Ue[117], è corretto definire i Rom come una nazione senza territorio compatto, che non ha mai avuto rivendicazioni territoriali, ma che è unita da un’origine, una cultura e una lingua.

In Italia i Rom arrivarono alla fine del 1300. Il 1422 è la data più antica in cui è riferita la presenza di Rom in Italia, nelle città di Roma e Bologna[118]. Nel 2006 risultavano presenti in Italia circa 160.000 Rom. Nel nostro Paese ci sono una dozzina di etnie molto radicate in precisi territori, ognuna con proprie tradizioni. A titolo schematico è possibile individuare sei gruppi specifici, iniziando da quelli con cittadinanza italiana (primi 4 gruppi):

1.     i rom abruzzesi e molisani: i più tradizionalisti, conservano intatto l’uso del romanì; sono arrivati in Italia dopo la battaglia del Kosovo nel 1392 a seguito dei profughi arbares’h (albanesi); si dedicano ai mestieri tradizionali come l’allevamento e il commercio di cavalli ed è molto diffusa tre le donne (rumrià) la chiromanzia;

2.     i rom napoletani (napulengre), fortemente mimetizzati nel capoluogo campano, fino a una trentina d’anni fa fabbricavano arnesi per la pesca e facevano spettacoli ambulanti; esistono anche i rom cilentani (una grande comunità di 800 persone vive a Eboli), lucani (una delle comunità più integrate), pugliesi, calabresi e i camminanti siciliani;

3.     i Sinti giostrai, sparsi soprattutto tra il nord e il centro Italia, sono almeno trentamila; arrivati in Italia all’inizio del 1400; sono i depositari del più antico dei mestieri rom, quello dei giostrai, mestiere che sta scomparendo trasformandoli in rottamatori di oggetti recuperati;

4.     i Rom harvati e il sottogruppo dei kalderasha, circa 7 mila persone arrivate dal nord della Jugoslavia dopo le due guerre mondiali, e i rom lovara (non più di mille), anch’essi Rom con cittadinanza italiana;

5.     i rom jugoslavi, che è possibile suddividere in due grandi ceppi, i khorakhanè (musulmani) e i dasikhanè (i cristiano-ortodossi), vivono per lo più nei campi nomadi del Nord e del Centro;

6.     i rom romeni, con un flusso in continuo aumento; le cui comunità più grandi sono a Milano, Roma, Napoli, Bologna, Bari, Genova.

Come nel resto dell’Europa, anche in Italia i Rom sono prevalentemente sedentari. Dal punto di vista legale, alle persone Rom di cittadinanza straniera si applica il decreto legislativo 25 luglio 1998 (Testo unico sull’immigrazione), con le successive integrazioni e modificazioni.

I.1.2 I Rom a Roma

È un compito arduo ricostruire la presenza dei Rom nella nostra città, soprattutto perché negli ultimi anni, in seguito ai conflitti nei Balcani e all'apertura delle frontiere con l'Europa dell'Est, la situazione è in rapidissimo movimento.

Nel luglio 2009, il Comune contava circa 100 siti di insediamento dei Rom presenti in Città. Circa le condizioni di vita, bisogna evidenziare che molto spesso le comunità si insediano in maniera spontanea occupando spazi aperti.

Lungo il Tevere è sempre stato possibile individuare tre aree di riferimento: la prima a sud di Roma, dall’autostrada per Fiumicino al ponte Sublicio; la seconda, a nord, da Ponte Milvio-Tor di Quinto e il ponte di via del Foro Italico; la terza parte, in corrispondenza del centro storico, per solito poco utilizzata per gli insediamenti spontanei. Nelle prime due aree si trovano anche elevate concentrazioni di accampamenti di Rom bosniaci, montenegrini o di altre etnie, Rom rumeni o semplicemente cittadini rumeni. Tali gruppi (perché difficilmente si tratta di individui singoli) vivono in clan più o meno organizzati, dormono in tende o baracche di fortuna, spesso visibili dalle sponde, o tra i canneti. Alcuni accampamenti negli anni scorsi sono stati tollerati dalle Autorità e anche dotati di servizi igienici chimici, la cui pulizia ha sempre lasciato a desiderare come, del resto, le condizioni igieniche e la situazione sanitaria complessiva. Non sono sempre persone appena arrivate a Roma: in diversi casi si tratta di nuclei presenti in Città da molti anni, che lavorano e i cui figli sono inseriti nelle scuole.

In altre zone della Città, gli altri accampamenti, grandi o piccoli, popolati da Rom, bosniaci, rumeni o altre etnie, presentano realtà tutte diverse: gli occupanti sono raggruppati intorno ad un nucleo oppure preferiscono isolarsi tra di loro, utilizzano tende o baracche e in alcuni casi è un viadotto o un ponte che offre un riparo, talvolta vecchie roulotte abbandonate vengono utilizzate come abitazioni. La situazione igienica appare sempre estremamente precaria: difficilmente c’è un accesso all’acqua, se non quella presa con le taniche alle fontanelle; nessun servizio igienico intorno al campo, con rischi di epidemie, alluvioni, incendi…

A corredo di queste informazioni, si presentano sinteticamente i risultati del lavoro svolto dal gruppo di ricerca “Progetto Rom - Linee guida per la risoluzione dell’emergenza abitative della popolazione romanes”, operante all’interno dell’attività scientifica dell’"Ateneo Federato dello Spazio e della Società" presso la Sapienza – Università di Roma[119].

I ricercatori hanno lavorato su una matrice di dati comprendente 5.652 casi, costruita a partire dalle informazioni contenute nel database del Censimento condotto dalla Polizia Municipale nella primavera del 2008 e riguardante la popolazione Rom residente nei 21 insediamenti autorizzati dal Comune. Da questa fonte è possibile trarre alcune caratteristiche socio-demografiche.

Su 5.652 casi, 2.748 (48,6%) erano cittadini italiani, 2.095 (37,1%) provenivano da Paesi dell’Europa dell’Est e 147 dall’Europa dell’Ovest. Si tratta di un gruppo omogeneo tra i due sessi (48,7% uomini, 51,3% donne). Più della metà dei 5.533 persone censite sono minori di 19 anni (il 52,8% sul totale rilevato) e di questi, più del 41% hanno meno di 14 anni.

Si tratta quindi di una popolazione molto giovane, che fa emergere la considerazione che i Rom non siano ancora entrati nella cosiddetta “terza transizione demografica”, caratterizzata da bassa natalità, slittamento in avanti nell’età delle primipare e da una elevata speranza di vita (solo 50 individui rilevati su 5.533 casi avevano superato i 70 anni, meno del'1%).

Altro elemento di attenzione riguarda la numerosità delle famiglie: su 5.648 casi le famiglie composte da 1 o 2 persone rappresentavano solo l’8% del totale, mentre la generalità dei casi vede una presenza di famiglie composte da 5 o da 6 persone (31,1%), 7 persone (11,3%), 8 persone (7,2%) o più (18,7%).

Un altro lavoro di analisi è stato condotto nel luglio 2009, prima dell'implementazione del “Piano Nomadi” del Comune di Roma. Le Autorità di Pubblica Sicurezza tra il mese di Febbraio 2009 e il giugno del 2009 hanno rilevato oltre 80 insediamenti abusivi in cui si stimava la presenza di 2.200 persone, 14 campi tollerati con 2.736 persone presenti e 7 villaggi autorizzati in cui vivevamo 2.241 persone, quindi un totale di 7.177 persone circa negli oltre 100 insediamenti presenti a Roma. Rispetto al Censimento precedente, si è registrato quindi un aumento della popolazione Rom[120]. Nel gennaio 2010 la situazione era ancora modificata: 3.000 persone presenti nei 7 campi autorizzati (+ 759 persone rispetto al periodo precedente), 2.800 persone nei 15 campi “tollerati” (+ 64 persone) e 1.200 persone nei circa 60 insediamenti abusivi. Infine una rilevazione effettuata dalle Autorità il 1 marzo 2010 rilevava circa 3.000 persone nei campi nomadi attrezzati, così come descritto nello Schema seguente.

 

Tabella 33 Popolazione Rom e nazionalità presenti nei Campi attrezzati (1.3.2010)[121]

Campo

Popolazione totale

Nazionalità presenti

Gordiani

210

Serbia 130, Italia 42, Bosnia 22, Montenegro 16

Cesarina

121

Romania 81, Bosnia 40

Casal Lombroso

153

Bosnia 143, Italia 6, Altro 4

Castel Romano

480

Bosnia 422, Croazia 41, Italia 10, Altro 6

Candoni

689

Romania 411, Bosnia 276, Altro 2

Salone

819

Romania 293, Bosnia 187, Serbia 178, Montenegro 136, Italia 13, Altro 10

River

457

Romania 310, Kosovo 126, Macedonia 15, Bosnia 6

TOTALE

2.929

Romania, Bosnia, Serbia, Montenegro, Macedonia, Kosovo, Italia, Croazia, Altro

 

Tutti i censimenti effettuati hanno rilevato, al di là del numero delle persone presenti, condizioni di vita nei Villaggi Autorizzati assai critiche. Molti erano privi delle condizioni minime di sicurezza e di messa a norma degli impianti elettrici ed idraulici, nonché degli impianti fognari.

I.1.3 Caratteristiche socio-culturali dei gruppi Rom

La Comunità Rom Montenegrina.

Storicamente nel Montenegro i Rom sono stati una comunità inserita nel contesto sociale, civile e lavorativo alla pari degli altri cittadini. Il 60% della comunità Rom lavorava nelle fabbriche, nelle aziende comunali di pulizia urbana, nell'agricoltura. In Italia hanno assimilato i lavori autonomi già praticati in patria. In maggioranza sono di religione ortodossa.

La Comunità Rom Bosniaca.

I Rom della Bosnia sono stati spesso discriminati ed esclusi dal contesto sociale, civile e lavorativo. In maggioranza praticano l’arte dell’arrangiarsi: accattonaggio, chiromanzia, furto, lavorazione del rame, recupero di materiali ferrosi e altri. La discriminazione subita li ha spinti verso l’assimilazione religiosa, che ha permesso loro di avere un certo contatto con la popolazione e di praticare il piccolo commercio informale con la comunità musulmana locale. In Italia continuano a vivere con le forme si sostentamento già praticate in patria. In maggioranza sono musulmani.

La Comunità Rom Serba.

I Rom serbi storicamente sono allevatori di cavalli e commercianti di prodotti agricoli da loro stessi coltivati. In maggioranza erano scolarizzati. La parte rimasta in Serbia è costituita da attivisti politici: professori universitari, dipendenti pubblici, amministrativi, politici. La parte discriminata, che viveva ai margini della società, è arrivata in Italia intorno al 1970, con la prima ondata migratoria, seguita dalla più recente e massiccia, dovuta alle vicende belliche che hanno scosso i Balcani. In Italia sono dediti al commercio minuto e al recupero di materiali ferrosi e non. In maggioranza sono di religione ortodossa.

La Comunità Rom Kossovara.

Storicamente hanno ricoperto i lavori più umili della società e nel periodo turbolento delle guerre nell'ex Jugoslavia sono stati oggetto di pesanti discriminazioni, come d'altronde anche gli altri kossovari. I lavori tipici dei Rom Kossovari durante la permanenza in Jugoslavia erano concentrati nel settore delle pulizie, della vendita ambulante, nell'edilizia e nell'agricoltura stagionale. Le pesanti discriminazioni subite hanno generato una grande ondata migratoria negli anni Novanta. In Italia la comunità Rom Kossovara è ancora dedita, in prevalenza, agli impieghi svolti nella ex Jugoslavia. In maggioranza sono di religione musulmana.

La Comunità Rom Macedone.

I Rom macedoni storicamente sono dediti al commercio di bestiame e di abiti. In patria ricoprono ruoli di tipo istituzionale, dovuti alla loro grande emancipazione e interazione con il resto della società. In Italia la comunità Rom macedone arriva con l'ondata migratoria durante le guerre nei Balcani. La Macedonia è stato il Paese meno coinvolto nei conflitti, e quindi la presenza di questo gruppo a Roma è minore rispetto alle altre comunità. Quanti sono presenti in Italia lavorano come carpentieri, muratori, traslocatori.

La Comunità Rom Rumena.

In Italia sono presenti almeno 30-40.000 Rom rumeni, arrivati a partire dalla seconda metà degli anni Novanta. Il regime socialista li aveva costretti ad abbandonare il nomadismo e ad integrarsi. Durante le riforme seguite al crollo del socialismo, i Rom hanno perso i loro lavori nei distretti industriali e hanno subito gravi discriminazioni (espulsione dei minori dalle scuole, distruzione delle case, pestaggi, ecc.). Questi fatti hanno spinto i Rom alla migrazione verso i paesi dell'Europa occidentale, per raggiungere coloro che si erano già trasferiti negli ultimi 50 anni.

I.1.4 Gli interventi realizzati

Il primo Piano Regolatore Sociale aveva previsto tra i progetti di integrazione con la rete dei servizi sanitari, un’azione relativa ai cittadini stranieri e nomadi, per la quale andavano “promosse iniziative finalizzate a diffondere informazioni e conoscenze tali per facilitare l’accesso alle prestazioni sanitarie e socio sanitarie, per l’assistenza e la cura, le vaccinazioni, in modo particolare in riferimento alla gravidanza ed alla maternità responsabile”. A tale proposito veniva indicato come particolarmente importante il ruolo di mediatori interculturali, quello del servizio di Medicina delle Migrazioni presso il San Gallicano, l’importante lavoro di coordinamento intrapreso dal “GrIS” e la gestione della pulizia dei campi ad associazioni e organismi rappresentativi degli stessi nomadi.

In un'altra parte del Piano del 2004 era previsto l’inserimento e il sostegno agli alunni svantaggiati, con l’obiettivo di incrociare le politiche educative e quelle sociali, in particolare per la scolarizzazione dei bambini Rom. Su questo tema, venivano indicate come linee prioritarie: assicurare continuità e “normalità” alla presenza dei bambini Rom/Sinti nelle scuole, migliorare la qualità della presenza nella scuola, incoraggiare l’inserimento dei bambini alla scuola dell’infanzia, estendere i percorsi formativi oltre la terza media, sia mediante la continuazione dell’iter scolastico, sia attraverso l’iscrizione a corsi di formazione professionale.

Nella sezione riguardante l’integrazione del Piano Regolatore Sociale con il Piano Urbanistico, veniva fornita l'indicazione di una presenza di Rom sul territorio romano pari a circa 6.500 individui (2001) e si ribadiva che i criteri di individuazione delle aree per i campi attrezzati e i criteri della loro realizzazione fossero quelli esposti nella deliberazione n. 31 del marzo 1999. Nell’ambito del progetto “Città sane”, veniva prevista l’attivazione di un camper attrezzato dal punto di vista sanitario, finalizzato a garantire livelli essenziali di assistenza socio-sanitaria all’interno di quattro insediamenti Rom. Infine tra i “progetti speciali”, veniva indicato un ambito di particolare attenzione relativo alla “prevenzione e reinserimento in favore di minori che delinquono”, con le seguenti proposte:

ü     presa in carico congiunta del minore (in particolare Rom) tra servizi sociali territoriali e servizi della Giustizia minorile;

ü     implementazione di case famiglia per ragazze Rom che chiedono di non rientrare nei campi;

ü     promozione di progetti di formazione professionale e inserimento lavorativo rivolti ai minori Rom (con particolare attenzione alle ragazze).

La progettazione specifica per la popolazione Rom si articolava su quattro assi di intervento:

1)     promozione e tutela dei diritti dei bambini e delle bambine, con percorsi di scolarizzazione, contrasto alla mendicità e sfruttamento, promozione della salute e del protagonismo delle donne rom;

2)     integrazione socio-lavorativa, ovvero impresa sociale, artigianato e commercio, formazione professionale;

3)     politiche per l’abitazione e la sosta temporanea, ovvero, tre diverse tipologie di insediamenti, che si sviluppavano in diversi modelli alloggiativi e differenti livelli di integrazione sociale;

4)     interventi per la gestione delle emergenze e la sicurezza, con un forte coordinamento inter-istituzionale.

Non solo il Comune è attivo in questo settore. Se si considerano le altre organizzazioni, è doveroso citarne almeno due: il “GrIS Rom e Sinti” e il Comitato Provinciale della Croce Rossa.

Il GrIS Rom e Sinti è stato promosso da alcune organizzazioni (tra le quali la Caritas diocesana di Roma) che operano nell'ambito socio-sanitario in favore di minoranze etniche. Con il tempo è divenuto un luogo privilegiato dove riflettere insieme e trovare strategie comuni per la promozione della salute dei Rom. Il primo risultato raggiunto è stato il mettere in rete le organizzazioni del privato sociale, quotidianamente presenti nei campi con gli operatori sanitari delle Asl di zona, con l’obiettivo di garantire accesso e accoglienza nei servizi sanitari. Tale lavoro di rete si è concretizzato nell'elaborazione di un programma denominato “Salute senza esclusione” volto alla promozione del diritto alla salute per tutti.

Nel 2002 è stata promossa una campagna vaccinale rivolta ai minori di 32 campi sosta. L’obiettivo della copertura vaccinale dei minori Rom ha fatto avvicinare gli operatori dei servizi sanitari territoriali alla popolazione Rom, che ha iniziato ad utilizzare i servizi di base: tra marzo e ottobre 2002 circa 160 operatori delle Asl romane si sono recati nei campi e hanno vaccinato 2.000 bambini (80% dei minori presenti), supportati da circa 90 mediatori del privato sociale che in tali insediamenti lavoravano quotidianamente.

Nel 2006 è stata promossa una nuova campagna, coordinata dall’Agenzia di Sanità Pubblica (Laziosanità-ASP), il cui obiettivo era quello di consolidare il rapporto tra comunità Rom e servizi sanitari di zona e non solo quello di offrire un servizio come in precedenza. Gli obiettivi specifici della campagna di accessibilità ed educazione sanitaria 2006 sono stati:

·      informazione e orientamento ai servizi sul territorio: vaccinazioni, gravidanze, ecc.;

·      interventi di educazione sanitaria;

·      controllo della pressione arteriosa ai soggetti adulti e della copertura vaccinale dei minori.

L’esperienza maturata ha fatto sì che il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali abbia chiesto alla Caritas di Roma di sperimentare l’approccio a livello nazionale, con il proposito di estrapolare delle linee strategiche da condividere e implementare. Si è avviato così il progetto denominato “Accesso dei servizi sanitari ed educazione alla salute delle popolazioni Rom: sperimentazione di un modello di intervento attraverso la realizzazione e distribuzione di uno specifico opuscolo[122], che ha avuto inizio nell’aprile del 2008.

Ad integrazione dell’intervento del GrIS, la C.R.I. si è impegnata in iniziative socio-sanitarie e in particolare, in accordo con l’Amministrazione capitolina, a seguito del Censimento (attività che è stata condotta anche per tramite del personale volontario C.R.I.) ad ogni nucleo è stato consegnato una sorta di libretto sanitario ( “Libretto vaccinale e sanitario per ciascun individuo”), che riporta le particolari condizioni di salute del nucleo stesso (malattie, vaccinazioni, altre note di carattere sanitario).

ali informazioni sono state poi considerate nel loro complesso per progettare azioni focalizzate sulla profilassi e le vaccinazioni, la cura e l'assistenza al lattante nel primo anno di vita (con particolare attenzione alla promozione dell’allattamento al seno), l’educazione sanitaria, l’educazione nutrizionale, l’orientamento verso l’uso corretto dei servizi territoriali e ospedalieri (soprattutto per le donne), l’accoglienza di una domanda non solo di tipo sanitario, ma anche di sostegno psicologico e sociale, la scolarizzazione.

I risultati sono stati soddisfacenti in quanto è stata assicurata la copertura vaccinale di tutti i minori e il miglioramento delle condizioni socio–sanitarie, in particolare delle donne, oltre ad aver favorito la scolarizzazione.

I.1.5 Dati sulla scolarizzazione dei minori Rom[123]

Il Progetto di scolarizzazione dei bambini ed adolescenti Rom del Comune di Roma opera in 16 insediamenti, ubicati in 11 Municipi. Il trasporto scolastico è affidato alla Società ATAC S.p.A. ed è effettuato con 33 linee dedicate al servizio.

Gli iscritti nelle scuole statali (a.s. 2010-11) sono 1.788, di cui 1.205 (67,39%) residenti nei 7 Villaggi attrezzati e 583 (32,61%) presso i 9 insediamenti non attrezzati.

Nella scolarizzazione dei minori Rom sono coinvolti 4 organismi gestori e centinaia di scuole di ogni ordine e grado, compresi i Centri di Formazione Professionale.

 

Tabella 34 Alunni Rom iscritti, per tipologia di scuola

Tipologia scuola

Iscritti

N.

%

Scuola Infanzia

309

17,28

Scuola primaria

960

53,69

Scuola Secondaria di 1° grado

435

24,33

Scuola Secondaria di 2° grado e CFP

84

4,70

Totale

1.788

100

 

Grafico 34 Alunni Rom iscritti, per tipologia di scuola

 

Tabella 35 Alunni Rom iscritti e Scuole, per Ente

Ente

N. insediamenti

Iscritti

N.

Scuole[124]

N.

%

Arci solidarietà Onlus

5

796

44,52

135

Eureka I ONLUS

1

73

4,09

14

Ermes Coop. Sociale ONLUS

4

504

28,19

78

Casa dei diritti sociali - Focus

6

415

23,21

73

Totale

16

1.788

100

 

 

Grafico 35 Alunni Rom iscritti, per Ente

 

Tabella 36 Alunni Rom iscritti e Scuole, per insediamento

Tipologia

insediamenti

Villaggio/insediamento

Municipio

N. Iscritti

In n. Scuole

Villaggi attrezzati

Cesarina (Municipio)

IV

72

10

Camping River (Municipio)

XX

134

21

Via di Salone (Municipio)

VIII

324

47

Via Gordiani (Municipio)

VI

72

12

Via Candoni (Municipio)

XV

268

47

Castel Romano (Municipio)

XII

262

52

via Cesare Lombroso

XIX

73

14

Sub-totale

 

1.205

 

Insediamenti non attrezzati

via di Ciampino

X

81

20

via Salviati 70 e Via Salviati 72

V

112

19

Via del Foro Italico

II

16

3

Via della Martora

V

67

12

CPA Via Amarilli

V

41

7

Tor de Cenci

XII

148

22

Tor di Quinto

XX

86

8

Monachina

XVIII

32

6

Sub-totale

 

583

 

TOTALE

 

 

1.788

 

 

Tabella 37 Scolarizzazione dei minori Rom per Ente, insediamento e ordine di scuola

Ente

Insediamento

Ordine di scuola

Iscritti

N. Scuole

Arci solidarietà Onlus

Villaggio Attrezzato Via Candoni (Municipio XV)

Scuola Infanzia

40

12

Scuola Primaria

156

23

Scuola Secondaria di 1° grado

54

7

Scuola Secondaria di 2° grado e CFP

18

5

Totale

268

47

Villaggio Attrezzato Castel Romano (Municipio XII)

Scuola Infanzia

48

17

Scuola Primaria

152

20

Scuola Secondaria di 1° grado

59

14

Scuola Secondaria di 2° grado e CFP

3

1

Totale

262

52

Insediamento non attrezzato Tor de Cenci (Municipio XII)

Scuola Infanzia

31

9

Scuola Primaria

63

8

Scuola Secondaria di 1° grado

49

3

Scuola Secondaria di 2° grado e CFP

5

2

Totale

148

22

Insediamento non attrezzato Tor di Quinto (Municipio XX)

Scuola Infanzia

14

3

Scuola Primaria

58

3

Scuola Secondaria di 1° grado

14

2

Scuola Secondaria di 2° grado e CFP

0

0

Totale

86

8

Insediamento non attrezzato Monachina (Municipio XVIII)

Scuola Infanzia

5

1

Scuola Primaria

18

3

Scuola Secondaria di 1° grado

8

1

Scuola Secondaria di 2° grado e CFP

1

1

Totale

32

6

Totale generale

796

 

 

Eureka I ONLUS

Villaggio attrezzato via Cesare Lombroso (Municipio XIX)

Scuola Infanzia

24

2

Scuola Primaria

24

4

Scuola Secondaria di 1° grado

16

5

Scuola Secondaria di 2° grado e CFP

9

3

Totale generale

73

14

Ermes Coop. Sociale ONLUS

Villaggio Attrezzato Via di Salone (Municipio VIII)

Scuola Infanzia

45

10

Scuola Primaria

179

21

Scuola Secondaria di 1° grado

81

11

Scuola Secondaria di 2° grado e CFP

19

5

Totale

324

47

Villaggio Attrezzato Via Gordiani (Municipio VI)

Scuola Infanzia

10

1

Scuola Primaria

29

2

Scuola Secondaria di primo grado

21

3

Scuola Secondaria di 2° grado e CFP

12

6

Totale

72

12

Insediamento non attrezzato Via della Martora (Municipio V)

Scuola Infanzia

17

3

Scuola Primaria

34

5

Scuola Secondaria di 1° grado

15

3

Scuola Secondaria di 2° grado e CFP

1

1

Totale

67

12

CPA Via Amarilli (Municipio V)

Scuola Infanzia

12

1

Scuola Primaria

16

1

Scuola Secondaria di 1° grado e I. C.

11

4

Scuola Secondaria di 2° grado e CFP

2

1

Totale

41

7

Totale generale

504

 

Casa dei diritti sociali - Focus

Insediamento non attrezzato via di Ciampino (Municipio X)

Scuola Infanzia

6

3

Scuola Primaria

48

10

Scuola Secondaria di 1° grado

24

5

Scuola Secondaria di 2° grado e CFP

3

2

Totale

81

20

Insediamenti non attrezzati via Salviati 70 e Via Salviati 72 (Municipio V)

Scuola Infanzia

5

3

Scuola Primaria

66

9

Scuola Secondaria di 1° grado

39

6

Scuola Secondaria di 2° grado e CFP

2

1

Totale

112

19

Insediamento non attrezzato: Via del Foro Italico (Municipio II)

Scuola Infanzia

3

1

Scuola Primaria

11

1

Scuola Secondaria di 1° grado

2

1

Scuola Secondaria di 2° grado e CFP

0

0

Totale

16

3

Villaggio Attrezzato Cesarina (Municipio IV)

Scuola Infanzia

11

3

Scuola Primaria

38

3

Scuola Secondaria di 1° grado

20

2

Scuola Secondaria di 2° grado e CFP

3

2

Totale

72

10

Villaggio Attrezzato Camping River (Municipio XX)

Scuola Infanzia

38

6

Scuola Primaria

68

5

Scuola Secondaria di 1° grado

22

5

Scuola Secondaria di 2° grado e CFP

6

5

Totale

134

21

Totale generale

415

 

 

I.1.6 Il "Piano Rom"

Il contesto

Aprile 2008. Il territorio della Capitale ospita più di 100 insediamenti rom per un totale di 7.700 soggetti. Solo 7 dei 100 campi sono autorizzati, vale a dire riconosciuti e gestiti dal Comune di Roma. Nessuno di essi, tuttavia, è a norma di legge e di conseguenza si rilevano le seguenti problematiche:

-       mancanza/incertezza di un valido documento di riconoscimento per la maggior parte dei dimoranti nelle strutture;

-       mancanza delle infrastrutture primarie nella maggior parte dei campi (elettricità, acqua potabile, impianto fognario);

-       precarie condizioni igienico-sanitarie;

-       nessun controllo interno al campo, che ha causato un generale lassismo nelle condotte dei soggetti ospitati (impedendo in tal modo un’ efficace attività di prevenzione della criminalità).

In sostanza, proliferano all’interno del tessuto cittadino vere e proprie “favelas” con un deficit strutturale sia di legalità (quindi di sicurezza) sia di politiche sociali (quindi di opportunità di integrazione sociale). Tali condizioni causano, di fatto, l’emarginazione delle persone Rom.

Maggio 2008. Con l’insediamento della nuova Giunta Comunale, nasce il “Piano Nomadi” per far fronte all’ emergenza Rom nel territorio del Comune di Roma. La situazione, come sopra riportato, è grave e necessita di pronte soluzioni anche dal punto di vista umanitario. Viene pertanto deliberata, con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 21 maggio 2008, la dichiarazione dello Stato di Emergenza relativamente agli insediamenti di comunità nomadi nel territorio delle regioni Campania, Lombardia e Lazio: “…. Considerato che la medesima situazione di elevata criticità interessa anche le provincie di Napoli e Roma, dove si registra un'elevata presenza di comunità nomadi nelle aree urbane e zone circostanti, con insediamenti in larga misura abusivi; Considerato altresì che la sopra descritta situazione ha determinato un aumento dell'allarme sociale, con gravi episodi che mettono in serio pericolo l'ordine e la sicurezza pubblica…”.

Nella Regione Lazio, con Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3676 del 30.05.2008, il Prefetto di Roma è nominato “Commissario delegato per la realizzazione di tutti gli interventi necessari al superamento dello stato di emergenza nel territorio della Regione Lazio, con particolare riferimento alle aree urbane del Comune di Roma e alle zone circostanti”. L’Ordinanza prevede, tra l’altro, che al “Commissario delegato” spetti in egual modo l’ adozione di interventi finalizzati a favorire l’ inserimento e l’ integrazione sociale delle persone trasferite nei Villaggi Attrezzati.

Normativa di riferimento

-       Risoluzione 65/1992 dell'attuale Consiglio per i Diritti Umani, organo in seno all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, che prevede l’adozione di strumenti tesi ad implementare le condizioni di vita dei Rom.

-       Risoluzione del Parlamento europeo del 31.01.2008 che sottolinea l’importanza di delineare una strategia comune europea in materia di Rom.

-       Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 21 maggio 2008, recante la dichiarazione dello Stato di Emergenza relativamente agli insediamenti di comunità nomadi nel territorio delle regioni Campania, Lombardia e Lazio; e Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 28.5.2009 con cui viene prorogato fino al 31.12.2010 lo Stato di Emergenza.

-       Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3676 del 30.05.2008, con la quale il Prefetto di Roma è nominato “Commissario delegato per la realizzazione di tutti gli interventi necessari al superamento dello stato di emergenza”

-       “Patto per Roma Sicura”, rimodulato 29.07.2008, ha delineato gli impegni assunti dal Presidente della Regione Lazio, dal Presidente della Provincia di Roma, dal Sindaco di Roma, insieme con i responsabili provinciali dell’ordine e della sicurezza pubblica al fine di elevare i livelli di sicurezza e di vivibilità urbana, anche con riferimento agli insediamenti delle popolazioni nomadi.

-       “Regolamento per la gestione dei villaggi attrezzati per le comunità nomadi nella Regione Lazio” e “Disciplinare sulle modalità di permanenza temporanea nei villaggi attrezzati per le comunità nomadi del Comune di Roma”. Stabiliscono regole di convivenza improntate al rispetto delle libertà individuali, alla scelta democratica dei rappresentanti del campo, alle regole che governano la gestione e la struttura dei villaggi attrezzati oltre che ai diritti ed ai doveri degli ospiti.

Il “Piano Nomadi”

Il “Piano Nomadi” si configura come un progetto, un sistema operativo che ruota intorno alle popolazioni Rom e che vede coinvolti la Prefettura, il Comune di Roma e le Organizzazioni di Volontariato. Consiste nell’insieme delle attività preposte al superamento dell’emergenza nomadi nel territorio della Regione Lazio, con particolare riferimento all’ area del Comune di Roma, così come previsto dal D.P.C.M del 21.05.2008.

A latere delle azioni degli organi istituzionali sopra citati, è di fondamentale rilevanza l’attività di supporto realizzata dalla Croce Rossa Italiana e da numerose Organizzazioni di Volontariato, suddivisibile nelle seguenti fasi: concertazione con la popolazione interessata dalle ricollocazioni; implementazione e monitoraggio dei programmi di inclusione sociale; membri del Gruppo di Coordinamento e Garanzia (come di seguito specificato).

Il Piano Nomadi si muove su due direttrici fondamentali: una riguarda il riordino strutturale degli insediamenti Rom della Capitale; l’altra tende alla valorizzazione dell’individuo al fine di eliminare le discriminazioni e di promuovere il principio della parità di trattamento indipendentemente dall’origine etnica.

I destinatari delle misure previste dal Piano Nomadi della Capitale, secondo una ricognizione effettuata per conto del Commissario Delegato, sono stimabili nel numero di 6.000 soggetti di etnia Rom, considerato anche le possibilità di ricettività che può offrire il Comune di Roma.

Le istituzioni responsabili dell'attuazione del Piano Nomadi

IL COMMISSARIO DELEGATO: Ex O.P.C.M. n.3676 del 30.5.2008: monitoraggio villaggi attrezzati ed individuazione degli insediamenti abusivi; identificazione e censimento delle persone presenti nei campi, attraverso i rilievi segnaletici; coordinamento degli interventi delle Forze di Polizia; individuazione dei siti per la realizzazione dei villaggi attrezzati; adozione delle misure finalizzate allo sgombero di aree occupate da insediamenti abusivi; interventi per ripristinare i livelli minimi delle prestazioni sociali e sanitarie, per la promozione della scolarizzazione e l’avviamento professionale; l’adozione di ogni misura utile e necessaria al superamento dell’emergenza.

IL COMUNE DI ROMA: assegnazione delle unità abitative ai soggetti ricollocati; assistenza nelle fasi delle ricollocazioni; predisposizione di programmi di inclusione sociale; predisposizione e gestione del progetto DAST; gestione indiretta dei presidi socio-educativi dei villaggi attrezzati.

Le Attività Strutturali

Sono stati messi a norma di legge i Villaggi attrezzati di Salone, Castel Romano, River, Candoni e Gordiani, e al fine di migliorare le condizioni abitative dei soggetti, sono stati effettuati lavori di adeguamento, ristrutturazione e bonifica. In modo particolare, i lavori hanno riguardato l’adeguamento delle fogne, il ripristino degli impianti idrici ed elettrici, il posizionamento, ove possibile, di verande, l’implementazione di nuove strutture abitative, l’istituzione di un servizio di portierato e di vigilanza a garanzia della popolazione stessa dimorante nel Villaggio e la perimetrazione delle aree.

Il Piano Nomadi prevede, a livello strutturale, la riorganizzazione degli insediamenti Rom nel Comune di Roma. Esisteranno 12/13 villaggi attrezzati, dotati degli standard abitativi previsti dalla normativa vigente (i moduli abitativi sono dotati di certificato di conformità alle regole europee EN 1647). Saranno smantellati tutti gli insediamenti abusivi o tollerati* della Capitale (campi abusivi ma regolamentati dall’Ordinanza sindacale 80/1996), in primordine quelli che presentano già precarie condizioni igienico-sanitarie.

La Valorizzazione dell’individuo

Le azioni inserite nel Piano Nomadi sono improntate alla valorizzazione della componente umana e alla promozione della dignità soggettiva delle persone Rom. Nessun processo d’integrazione può rivelarsi efficace se prescinde dal suo elemento essenziale: l’uomo. La ristrutturazione dei villaggi attrezzati, evidenziata sopra, è parte integrante del processo di valorizzazione soggettivo previsto dal Piano Nomadi. L’ambiente vincola, condiziona ed influisce sull’individuo: per questa ragione il miglioramento delle condizioni abitative della popolazione Rom rappresenta il primo passo verso la tutela della dignità delle persone Rom.

La chiusura di tutti gli insediamenti abusivi caratterizzati dall’ emarginazione e da precarie condizioni igienicosanitarie ne è evidente conseguenza. All’interno dei 12/13 Villaggi attrezzati saranno inoltre previsti degli organi istituzionalizzati che favoriranno l’integrazione sociale della popolazione Rom, ai sensi del “Regolamento per la gestione dei villaggi attrezzati per le comunità nomadi nella Regione Lazio” e del “Disciplinare sulle modalità di permanenza temporanea nei villaggi attrezzati per le comunità nomadi del Comune di Roma” (vedi sopra). Tra questi:

PRESIDIO SOCIO-EDUCATIVO: organo collegiale, composto da risorse specializzate del V° e del XI° Dipartimento del Comune e dai rappresentanti dei Servizi Sociali territoriali, con funzione di interfaccia operativa con il sistema istituzionale e con gli interlocutori dedicati alla formazione e al lavoro; in sostanza, il Presidio costituisce un costante punto di riferimento per l’ integrazione scolastica dei minori, per la mediazione culturale, per l’assistenza culturale, per la lotta alla devianza, per l’inserimento lavorativo, per l’assistenza psico-sociale…

COMITATO DI RAPPRESENTANZA: composto da 5 Rom del campo eletti democraticamente dalla popolazione dello stesso Villaggio, per un mandato di 12 mesi; ha il compito di agevolare un costruttivo rapporto tra l’amministrazione comunale e la popolazione del campo.

COMITATO CONSULTIVO: avente funzione di assicurare una positiva integrazione, di raccogliere proposte e contributi provenienti dai soggetti rappresentativi, di monitorare il programma d’azione del villaggio, rappresenta il forum di contatto tra le istituzioni ed il Comitato di Rappresentanza; sono membri di diritto l’Assessore alle Politiche Sociali e alle Politiche Educative del Comune di Roma, i dirigenti delle U.O. dipartimentali competenti; il Presidente del Municipio competente territorialmente; un rappresentante della A.S.L. territoriale; un rappresentante del volontariato che opera per la popolazione Rom; i rappresentanti delle Forze dell’ ordine e dei Presidi del campo; il Comitato di Rappresentanza del Campo.

GRUPPO DI COORDINAMENTO E GARANZIA: composto dai rappresentanti del mondo del volontariato che ruota attorno all’universo Rom, e coordinato dal Direttore del V° Dipartimento del Comune di Roma. Sostiene i rappresentanti delle popolazioni rom affinché si realizzino le varie fasi del Piano Nomadi e funge da elemento di mediazione sociale nei rapporti tra le Istituzioni e le popolazioni rom. Attualmente hanno aderito le ACLI della Solidarietà, la Caritas Diocesana, il Centro Astalli, S. Vincenzo De Paoli, l’ArciConfraternita del SS. Sacramento e del S. Trifone, Comunione e Liberazione.

Sempre con riferimento al percorso di integrazione sociale dell’individuo, e più precisamente in relazione all’attuazione del principio di portata generale della parità di trattamento in materia di occupazione e condizioni di lavoro (Direttiva U.E. 78/2000), l’Amministrazione comunale ha avviato un programma integrato di tirocini e di borse lavoro a favore dei Rom di fascia d’età più giovane, teso a favorire l’ incontro tra offerta e domanda di lavoro: il Programma RETIS.

I documenti di identità

Evidentemente il processo di valorizzazione individuale o di integrazione sociale dell’individuo risulta del tutto sterile se il medesimo non è in possesso di validi documenti di riconoscimento: nella sostanza è equiparabile ad una situazione di clandestinità, con l’impossibilità di inserirsi in percorsi professionali o di usufruire dei servizi territoriali. Data la grande quantità di soggetti privi di validi documenti di riconoscimento, il Piano Nomadi, in accordo con il Ministero degli Interni, ha previsto anche una serie di attività finalizzate "all’integrazione identitaria" del soggetto.

Tramite il rilievo foto dattiloscopico (c.d. foto segnalamento), condotto dalla Questura di Roma, al quale il soggetto decide volontariamente di sottoporsi, si ha la facoltà di fare domanda per la concessione della protezione internazionale o di richiesta del permesso di soggiorno umanitario. La protezione internazionale viene deliberata dalle Commissioni Territoriali del Ministero dell’Interno, ove ne ricorrano presupposti di legge. Il permesso di soggiorno umanitario viene a sua volta emesso dalla Questura competente territorialmente, sempre valutati i presupposti di legge.

Contestuale a ciò, la permanenza nei Villaggi attrezzati viene legalizzata attraverso l’emissione del Documento Autorizzativo allo Stazionamento Temporaneo (DAST) della durata di due anni, rinnovabile per altrettanti. Tale documento certifica la Residenza presso il Villaggio attrezzato; il rispetto del Regolamento vigente; la volontà di partecipare alle attività di inserimento professionale, di scolarizzazione dei minori, di inclusione sociale previste nel programma del campo.

L’obiettivo di lungo termine del Piano Nomadi

L’obiettivo di lungo periodo del Piano Nomadi si fonda su due principi fondamentali, strettamente correlati ed interdipendenti tra loro: il rispetto del principio della legalità e la promozione dell’integrazione sociale.

Tali principi, con le conseguenti strategie d’ azione che comportano, sono alla base dell’ obiettivo del Piano Nomadi: rendere l’individuo autonomo. Entrambi i principi, correlati dalle rispettive strategie d’azione, devono condurre il singolo a raggiungere un pieno stato d’autonomia con la conseguente “uscita dal Villaggio”.

Il principio della legalità va inteso come rispetto delle regole quale cardine della socialità. La strada per l’integrazione deve passare dal rispetto delle regole che governano il nostro paese, prima fra tutti quello della certezza dell’identità. A conferma di quanto sopra citato, condizione essenziale per l’inserimento nei Villaggi Attrezzati è quello di non aver commesso reati particolarmente gravi quali: violenza su minore, violenza carnale, rapine, detenzione e traffico di armi, traffico e spaccio di stupefacenti, sfruttamento della prostituzione ecc… La consegna del DAST, a sua volta, vincola il soggetto alle norme della “cives”, pena la revoca dell’autorizzazione allo stazionamento nelle strutture del Comune di Roma.

Il principio dell’integrazione sociale va inteso come insieme dei processi culturali, sociali e politici che rendono un individuo membro di una società senza che quest’ ultimo perda le proprie originalità. L’applicazione del principio di integrazione sociale, che include le politiche tese all’eliminazione delle discriminazioni e alla promozione dell’inclusione sociale delle fasce più deboli, ha subito un importante svolta d’azione.

Rispetto alla precedente strategia, si è passato da un approccio meramente assistenzialistico, nel quale erano evidenti tracce di degenerazione e di sperequazione del sistema, ad una prassi sussidiaria ove il soggetto destinatario dell’intervento diventa parte attiva nel processo di autodeterminazione della propria autonomia. Il Regolamento per la gestione dei Villaggi attrezzati, frutto della collaborazione interistituzionale tra Commissario Delegato e vertici politici di Regione Lazio, Provincia e Comune di Roma, ha tra l’ altro sancito il superamento del sistema fondato sui campi come modello abitativo permanente.

 

Grafico 36 I principi del Piano Nomadi

 

Le strategie d'azione

Le strategie d’azione del Piano Nomadi, in tutte le loro fasi, sono state improntate alla massima comunicazione e concertazione diretta con gli attori cointeressati. I momenti di condivisione con la popolazione rom sulle procedure di rilievo foto dattiloscopico (c.d. foto segnalamento) seguono un modus operandi concentrico, del tutto innovativo rispetto a quanto avveniva in precedenza: in prima istanza la comunicazione avviene direttamente sul campo, con la presenza delle istituzioni (Sindaco, Commissario Delegato, Assessore alle Politiche Sociali) al fine di preavvisare in un tempo congruo l’inizio delle attività di cui sopra; in seconda fase, gli operatori del Comune di Roma, concertano con i rappresentanti del campo i modi e le modalità di svolgimento delle procedure; per ultimo, l’informazione sulle attività concordate viene trasmessa individualmente con l’obiettivo di soddisfare al meglio esigenze particolari dei singoli soggetti (ad esempio nei casi di persone fragili).

Tali fasi permettono un alto grado di partecipazione condivisa ad un livello diretto con i soggetti, senza intermediari, creando al tempo stesso un consenso praticamente unanime sulle procedure da seguire. La concertazione diretta non viene a mancare nel momento della fase successiva al rilievo foto dattiloscopico: la ricollocazione.

Anche in questo caso, come nel precedente, vi sono diversi livelli di comunicazione: di norma, viene siglato un “Protocollo di condivisione delle strategie” tra i rappresentanti rom e le istituzioni in cui vengono sottolineate le priorità da dover soddisfare. Successivamente, viene tenuto conto delle posizioni soggettive dei Rom al fine di creare un quadro completo sulle esigenze da rispettare nel momento della ricollocazione.

La ricollocazione prevede inoltre il rispetto dei tempi necessari al recupero dei beni personali nelle modalità più idonee al trasferimento e l’accompagnamento presso il Villaggio concordato. In tutte queste fasi è rilevante l’ausilio del Gruppo di Coordinamento e Garanzia suindicato il quale attraverso la paziente e minuziosa attività di mediazione assicura il pacifico svolgimento delle operazioni.

A conclusione delle operazioni di ricollocazione sono garantiti, dal giorno successivo, i seguenti servizi:

-       Scolarizzazione. Tale ambito si iscrive nella perfetta collaborazione venutasi a creare tra il V e l’XI Dipartimento del Comune di Roma. Si è provveduto al mantenimento delle iscrizioni scolastiche dei minori rom nei plessi scolastici ove già frequentavano tramite l’accompagnamento per mezzo di scuola bus. Nel momento in cui riapriranno le iscrizioni scolastiche, ciascuna famiglia, supportata dai mediatori scolastici del Comune di Roma, potrà iscrivere il proprio figlio nella struttura che riterrà più opportuna nell’ ambito del Municipio di competenza.

-       Mediazione culturale: ai nuovi residenti del Villaggio vengono garantite delle forme di aggregazione all’ interno della comunità e del territorio ove si inseriscono. Tra queste, la presentazione tra nuovi e vecchi residenti del campo e l’informazione sui servizi territoriali prossimi (ospedali, scuole, Municipio).

-       Rilascio DAST: ai nuovi residenti viene rilasciato il DAST relativamente al Villaggio attrezzato ove sono stati ricollocati. Tale documento sancisce formalmente la volontà del soggetto di intraprendere i percorsi di autonomia attraverso il lavoro, nel rispetto della normativa vigente, che l’Amministrazione Comunale gli fornisce (programma RETIS – Rete di Inclusione Sociale).

Il Protocollo di condivisione delle strategie: le priorità

Vengono sottoscritti impegni relativi a:

-       Prosecuzione della scolarizzazione;

-       Eventuale assistenza sanitaria alle persone malate;

-       Assistenza legale per i casi di ricongiungimento familiare;

-       Rispetto del nucleo familiare e della compatibilità etnica nelle ricollocazioni

-       Offerta di un alloggio alternativo adeguato secondo le disponibilità del Comune di Roma: alle mamme con minori che non accettano la ricollocazione in un campo nomadi viene offerta la possibilità di essere ospitati presso strutture comunali

I.2 Interventi per il contrasto delle dipendenze[125]

I.2.1 Lo stato dell'arte

Nella Città di Roma, il fenomeno delle dipendenze è molto diffuso e drammatico. Ai problemi storici si sono aggiunti l’abbassamento dell’età nel consumo di droghe, la diffusione della cocaina e di varie altre sostanze stupefacenti facilmente reperibili sul mercato illegale.

L’ignoranza degli effetti pericolosi di queste nuove dipendenze rappresentano un gravissimo problema, che si intende contrastare attraverso il potenziamento della rete dei servizi, orientata ad interventi di prevenzione, diagnosi, terapia e riabilitazione rispetto all’uso delle sostanze stupefacenti.

Nel corso dell’anno 2009, il Dipartimento delle Politiche Antidroga ha stimato un progressivo aumento dell’uso di cocaina in Italia, soprattutto tra i giovanissimi di età compresa tra i 15-24 anni e i giovani tra i 25 e 34 anni. L’esame di questi dati conferma, e rafforza allo stesso tempo, la necessità di intervenire sul territorio con strategie e modelli di intervento adeguati che vedano protagonisti i giovani, i quali, sempre più precocemente, assumono droghe. Inoltre, sebbene le dipendenze principali e maggiormente conosciute siano quelle inerenti le sostanze, esiste un gruppo di dipendenze legate a oggetti o comportamenti presenti nella vita di tutti i giorni e che non riguardano le sostanze; sono il cibo, il sesso, Internet, la televisione, il gioco d’azzardo, lo shopping, etc…

L’Agenzia Comunale per le Tossicodipendenze ha, come obiettivo generale, non solo l’assistenza della popolazione tossicodipendente, oltre a quella parte di popolazione che utilizza saltuariamente le sostanze o che, raggiunta una condizione drug-free, necessita di un reinserimento socio-lavorativo, ma anche l’attuazione di progetti e servizi centrati su interventi preventivi, volti alla tutela ed al miglioramento della qualità della vita, attraverso strategie di sensibilizzazione, e trasmissione di stili di vita sani, centrati sulla promozione dell’agio. Strategicamente, si ritiene fondamentale, per contrastare la diffusione delle droghe, l’evitamento del primo contatto con le sostanze. Per tale motivo, particolare attenzione è rivolta alle giovani generazioni, maggiormente vulnerabili in virtù della loro fase di vita, perché possano ricevere, in modo inequivocabile, il messaggio di ricerca della libertà, dunque dalle droghe, in difesa del valore della vita. L’implementazione e il consolidamento della rete territoriale dei servizi segna, dunque, il passaggio da una rete parzialmente informale già presente nel territorio del Comune di Roma, ad una rete formale integrata costituita da servizi pubblici e del privato sociale che operano nell’ambito delle tossicodipendenze e delle dipendenze patologiche. La garanzia per i cittadini di poter esercitare il diritto alla salute passa attraverso un sistema di servizi dislocati sul tutto il territorio della Città. È questo il pilastro fondamentale su cui costruire un sistema di prevenzione e salute.

Le azioni progettuali e i servizi realizzati dall’Agenzia, tengono in considerazione gli aspetti relazionali, sociali e organici della persona, consentendo il riscatto della propria vita e il raggiungimento dell’obiettivo primario, ovvero la libertà dalle droghe. Tali percorsi coinvolgono i ragazzi in attività e stili di vita sani, offrendo loro un messaggio chiaro e coerente, riferito alla possibilità di vivere e sperimentare le emozioni, anche quelle negative, liberi da ogni dipendenza.

Un sistema informatico di raccolta dati (denominato GIANO - Gestione Integrata, Analisi e Orientamento), realizzato dall’Agenzia, garantisce la continua valutazione e monitoraggio dei servizi, al fine di migliorare la comprensione e la conoscenza dei fenomeni di dipendenza sul territorio ma, soprattutto, la condivisione, tra i servizi, della “storia” del tossicodipendente, mediante apposita scheda utente informatizzata. Un sistema di valutazione costante consente di poter rimodulare l’attività o la mission dei servizi, a seconda dell’evoluzione del problema tossicodipendenza, così da offrire programmi sempre idonei ai bisogni emergenti, come ad esempio per la dipendenza dalle cosiddette nuove droghe, l’abbassamento dell’età di primo consumo e la politossicodipendenza.

I.2.2 I servizi dell'Agenzia Comunale per le Tossicodipendenze

L’obiettivo di questa breve analisi è quello di offrire un panorama sullo stato dell’arte dei servizi erogati per conto dell’Agenzia Comunale per le Tossicodipendenze nel corso dell’anno 2009. Si è dunque analizzato la distribuzione dell’utenza all’interno dei differenti servizi, prendendo in considerazione le caratteristiche generali, quali la numerosità, il sesso e l’età media. Inoltre sono stati considerati alcuni aspetti più specifici, come l’età di primo contatto, la sostanza primaria utilizzata e la fruizione di uno o più servizi da parte degli utenti. Al fine di evidenziare l’andamento nell’utilizzo delle sostanze maggiormente diffuse, quali la cocaina, l’eroina e l’alcool, abbiamo messo a confronto il loro consumo dal 2003 ad oggi.

Nel corso dell'anno 2009 i servizi dell’ACT hanno registrato complessivamente 2.225 contatti. Il numero di registrazioni differisce dal numero effettivo di utenti, poiché accade usualmente che, un singolo soggetto, si rivolga a più di un servizio.

 

Tabella 38 Persone contattate dai servizi dell'Agenzia Comunale Tossicodipendenze (2009)

Servizi

Contatti

Parziale

Totale

Comunità Riabilitazione Residenziale

(Coop.Soc. Il Cammino)

112

112

Comunità Pronta Accoglienza

Roma Nord (Coop.Soc. PARSEC)

45

90

Roma Sud (Centro Italiano Solidarietà di Roma)

45

Centro Diurno Pronta Accoglienza

Roma Nord (Coop.Soc. Il Cammino)

123

507

Roma Ovest (Fondazione Villa Maraini)

98

Roma litorale (Coop.Soc. Magliana ‘80)

98

Roma Est (A.T.I. Ass. La Tenda)

96

Roma Sud (Coop.Soc. Magliana ‘80)

92

Centro Notturno Pronta Accoglienza

Roma Centro-Ovest (Fond. Villa Maraini)

118

297

Roma Sud/Litorale (Coop.Soc. Magliana ‘80)

93

Roma Nord/Est (A.T.I. Ass. La Tenda)

86

Servizi telefonici

Servizio Pronto Aiuto (Fondazione Villa Maraini)

415

1.188

Numero Verde Cittadini/Operatori (Ass. Droga che fare)

773

Centro Residenziale di Reinserimento

(Coop.Soc. Il Cammino)

31

31

Totale contatti

 

 

2.225

 

Una quota consistente di utenti è venuta a contatto esclusivamente con il servizio di Pronto Aiuto o con gli operatori del servizio Numero Verde cittadini/operatori. Tali servizi differiscono dagli altri poiché non forniscono un’assistenza continuativa e, fondamentalmente, rappresentano un primo aggancio con l’utenza. Escludendo dall’analisi generale dei dati tutti coloro che sono venuti in contatto esclusivamente con questi due servizi, è possibile osservare come la distribuzione dell’utenza risulti più omogenea.

Sono considerati servizi ad alta soglia la Comunità di Riabilitazione Residenziale e il Centro Residenziale di Reinserimento; tutti gli altri sono definiti a bassa soglia.

 

Tabella 39 Persone contattate dai servizi dell'ACT, per tipologia di servizio (2009)

Servizi

N. contatti

%

Ad alta soglia

143

13,8%

A bassa soglia

894

86,2%

Totale

1037

100%

 

Gli utenti dei servizi erogati per conto dell' Agenzia Comunale per le Tossicodipendenze risultano essere, per la maggior parte, di sesso maschile (84,7%).

L’età media degli utenti è di circa 38 anni e, osservando l’età minima (16 anni) e massima (67 anni), si può notare una grande variabilità tra i soggetti. L’età di primo utilizzo si aggira intorno ai 19 anni, ma esiste una grande variabilità riscontrabile dal valore minimo (9 anni) e dal valore massimo (52 anni).

La sostanza più utilizzata dagli utenti dei servizi risulta essere l'eroina (36,9%), di poco superiore rispetto ai valori riferiti alla cocaina (36,7%). A seguire, vi è l’alcool (9,6%), la cannabis (7,2%) e la percentuale degli utenti che dichiarano di utilizzare più sostanze (6,6%).

Al fine di differenziare l’utenza dei servizi telefonici rispetto a tutti gli altri servizi è stata proposta qui di seguito una distinzione in base all’utilizzo della sostanza. Dall’analisi dei due grafici, risulta evidente che gli utenti che si rivolgono ai servizi telefonici facciano prevalentemente uso di cocaina, mentre i rimanenti servizi accolgono principalmente consumatori di eroina. E’ evidente, dunque, la forte presenza di “un’emergenza cocaina” che si manifesta telefonicamente, a dispetto della mancanza di servizi adeguati ad accogliere tale tipologia di utenza.

 

Grafico 37 Sostanze stupefacenti dichiarate dagli utenti dei servizi telefonici dell'ACT

 

Grafico 38 Sostanze stupefacenti dichiarate dagli utenti dei servizi dell'ACT

(esclusi i servizi telefonici)

Si è voluto indagare anche la relazione esistente tra l’età degli utenti dei servizi e l’età del primo contatto con la sostanza; i dati emersi hanno evidenziato una nuova tendenza: i giovani di oggi hanno un primo contatto più precoce con le sostanze rispetto a quanto accadeva in passato.

Si è osservato, inoltre, che esiste una stretta correlazione tra l’età degli utenti e le sostanze da questi utilizzate. Come si può osservare dal Grafico 3, sono i soggetti più giovani (21-25, 26-30 e 31-35 anni) ad utilizzare la cocaina come sostanza d’elezione, mentre i soggetti appartenenti a classi di età più adulte (36-40, 41-45 anni) sono principalmente consumatori di eroina.

Si è analizzato l’andamento nell’uso di sostanze quali eroina, cocaina e alcool dal 2003 ad oggi.

Per quanto riguarda il consumo di eroina, dal grafico è possibile osservare, come sia andato diminuendo, partendo da un valore del 65,8% del 2003 fino a raggiungere circa il 43% nel 2008, per poi rialzarsi nel 2009 al 66,4%.

Per quanto riguarda l’utilizzo di alcool, si nota come il consumo sia aumentato notevolmente negli anni che vanno dal 2003 al 2005, con un incremento di quasi 3 punti percentuali per anno, per poi innalzarsi notevolmente nell’ultimo anno: si è passati, infatti, da un consumo del 7% nel 2008 ad uno pari al 19% nel 2009.

Il dato più allarmante riguarda il consumo di cocaina: dopo un lieve calo fra il 2003 e il 2004, il consumo di questa sostanza è andato crescendo, fino a raggiungere quello dell’eroina nel 2008. Nel corso dell’ultimo anno, ha subito un ulteriore incremento vertiginoso, aumentando del 30%.

 

Grafico 39 Relazione fra età degli utenti e tipologia di sostanza utilizzata

 


Grafico 40 Sostanza primaria utilizzata dagli utenti dei servizi (anni 2003-2009)

I.2.3 Le nuove dipendenze patologiche

Le dipendenze però non sono solo relative a particolari sostanze. Negli ultimi tempi è in aumento l’interesse per le cosiddette “new addictions”, ovvero tutti quei tipi di comportamenti che generano dipendenza senza l’assunzione di sostanze esterne. Si tratta di: gioco d’azzardo patologico, shopping compulsivo, dipendenza da internet, dipendenza da rapporti sessuali illegali e a rischio, dipendenza da lavoro, e altro.

Tra tutte le new addictions, quella socialmente ed economicamente più rilevante è forse il gioco d’azzardo patologico, che è stato ufficialmente inquadrato come categoria diagnostica a partire dal 1980 nell’ambito dello “spettro” dei disturbi impulsivo-compulsivi (DSM-IV Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali) e su cui sono stati individuati alcuni sintomi che conducono alla definizione del soggetto come giocatore patologico: la persona diventa man mano sempre più coinvolta nel gioco, irritabile ed irrequieta qualora tenti di interromperlo. Ha bisogno di giocare somme di denaro sempre maggiori, comincia a mentire in famiglia ed agli altri per nasconderlo, fino ad arrivare a commettere azioni illegali pur di giocare, mettendo a rischio le relazioni e il lavoro stesso. Il giocatore aumenta esponenzialmente le scommesse, nel tentativo di recuperare il denaro perduto, comincia a chiedere prestiti e si indebita sempre di più passando così ad una fase di disperazione, forte esaurimento fisico e psichico fino ad arrivare alle crisi familiari, divorzi, licenziamenti, problemi con la giustizia.

Un'altra forma di dipendenza è legata al consumo e agli acquisti, lo shopping compulsivo”, che porta spesso a gravi conseguenze: debiti elevati, timore di essere scoperti, atti disperati per nascondere la propria colpa.

Più recente, ma in preoccupante aumento, è la dipendenza da Internet. Nel 1995 lo psichiatra americano Ivan Goldberg ha definito il concetto di Internet Addiction Disorder (IAD), individuandone i sintomi caratteristici. I disturbi mentali caratterizzati da comportamenti estremi nella sfera dell’abuso da internet possono condurre a un deterioramento del funzionamento fisico e psichico del soggetto fino a farla diventare una patologia, quando aumentano progressivamente le ore di collegamento e diminuisce il tempo disponibile da dedicare alle relazioni sociali, quando il virtuale acquista una importanza maggiore della vita reale, dalla quale il soggetto tende a estraniarsi sempre più, creando problemi in ambito familiare, lavorativo, scolastico e della salute che si traduce in un malessere psicofisico.

Ai sintomi della dipendenza si associano altre caratteristiche: la perdita delle relazioni interpersonali, le modificazioni dell’umore, le alterazione del vissuto temporale, la cognitività completamente orientata all’utilizzo compulsivo del mezzo, il “feticismo tecnologico”, cioè la tendenza a sostituire il mondo reale con un oggetto artificioso con il quale si riesce a costruire un proprio mondo personale e in questo caso virtuale, la deprivazione del sonno, problemi fisici di varia natura. Le forme di dipendenza da internet riguardano anzitutto il sesso virtuale e la pornografia, ma anche le relazioni e i social network, il gioco d’azzardo, shopping e commercio on-line, l’informazione (ricerca ossessiva di informazioni) e il coinvolgimento eccessivo in giochi “virtuali” o “di ruolo”.

I.2.4 Il “Piano Programma” dell’Agenzia Comunale per le Tossicodipendenze

Si riportano in questa sede le azioni e le misure previste nel Piano Programma dell’Agenzia Comunale per le Tossicodipendenze, approvato con delibera del Consiglio Comunale n. 117/2009

a) Azioni di prevenzione primaria e secondaria rivolte a giovani e giovanissimi

1.    Realizzare programmi di prevenzione rivolti alla popolazione generale e/o specifica, attraverso campagne informative.

2.    Programmare attività di promozione dell’agio.

3.    Attuare programmi di prevenzione in età prescolare e scolare.

4.    Sostenere programmi di prevenzione e formazione rivolte agli insegnanti e al personale non docente dell’istituzione scolastica.

5.    Attivare programmi di prevenzione rivolta a giovani in contesti ricreazionali, anche attraverso gli operatori di Pubblica Sicurezza.

6.    Organizzare corsi di informazione sui danni derivanti dall’uso di sostanze stupefacenti o psicotrope, rivolti alle Accademie e alle scuole militari, anche attraverso con il personale specializzato delle Forze dell’Ordine.

b) Azioni di prevenzione rivolte alla famiglia

1.    Promuovere programmi di informazione e prevenzione rivolti alle famiglie, finalizzati al rafforzamento delle relazioni familiari.

2.    Elevare il livello di efficacia ed efficienza dei servizi residenziali, semiresidenziali ed ambulatoriali, rivolti ai genitori tossicodipendenti, finalizzati alla tutela dei minori.

c) Azioni di prevenzione delle dipendenze patologiche

1.    Proporre dei servizi che siano in grado di affrontare le dipendenze come gioco d’azzardo, shopping compulsivo, dipendenza da internet, da lavoro, sessuale etc.

2.    Sostenere programmi di prevenzione dell’uso di sostanze in ambienti sportivi, attraverso campagne informative sulle conseguenze sanitarie e legali sull’uso di sostanze dopanti.

d) Servizi ad alta soglia

1.    Elevare il livello di efficacia ed efficienza dei servizi residenziali, semiresidenziali ed ambulatoriali, per interventi finalizzati al raggiungimento della condizione drug-free.

2.    Realizzare programmi di orientamento, formazione ed inserimento lavorativo rivolti a soggetti in trattamento o che abbiano terminato il percorso, volti a favorire l’inclusione sociale.

3.    Realizzare servizi residenziali, semiresidenziali ed ambulatoriali per soggetti dipendenti da cocaina e nuove droghe (ecstasy, crack, smart drugs).

4.    Proporre servizi residenziali, semiresidenziali ed ambulatoriali anche nell’ambito della Doppia Diagnosi, rivolti in particolar modo al target giovanile, per una precoce diagnosi.

e) Servizi a soglia intermedia

1.    Promuovere servizi residenziali, semiresidenziali ed ambulatoriali, rivolti a soggetti in trattamento metadonico a mantenimento, per motivare al percorso di cura strutturato.

f) Servizi a bassa soglia

1.    Potenziare il collegamento tra i servizi a bassa soglia e le strutture pubbliche e del privato sociale legate alla problematica della tossicodipendenza.

2.    Rendere i servizi diurni e notturni a bassa soglia anche luoghi di socializzazione e di attività educative e cliniche, per motivare verso percorsi evolutivi drug-free.

3.    Ampliare il contatto diretto con l’utenza presente sul territorio, attraverso i centri a bassa soglia e i centri aggregativi, per facilitare l’accesso ai servizi.

g) Interventi rivolti a detenuti tossicodipendenti

1.    Favorire, all’interno delle istituzioni carcerarie, lo scambio con i servizi per i tossicodipendenti, volto ad un maggior supporto psico-sociale ai detenuti tossicodipendenti.

h) Networking

1.    Ampliare e potenziare la rete territoriale dei servizi, costituita da una rete formale integrata di servizi pubblici e del privato sociale nell’ambito delle dipendenze patologiche.

i) Monitoraggio e valutazione

1.    Uniformare il sistema di raccolta dei dati, per meglio comprendere il fenomeno della tossicodipendenza e per una migliore gestione delle risorse umane e strutturali.

2.    Creare un sistema di monitoraggio e conoscenza del fenomeno delle tossicodipendenze e sulle “nuove tendenze” mediante la somministrazione di questionari esplorativi.

l) Pubblicizzazione

1.    Sviluppare l’attività progettuale dell’Agenzia Comunale per le Tossicodipendenze, utilizzando strumenti standard di comunicazione ma anche mezzi innovativi, soprattutto rivolti agli adolescenti

2.    Dare maggior rilevanza e pubblicità alle attività svolte dall’Agenzia Comunale per le Tossicodipendenze, sia attraverso il proprio sito web che attraverso quello degli enti eroganti servizi per conto dell’Agenzia.

m) Formazione e supervisione

1.    Realizzare programmi di formazione, informazione ed aggiornamento rivolti agli operatori dei servizi e/o delle professioni interessate all’ambito della tossicodipendenza, per favorire lo scambio di buone prassi.

2.    Istituire un registro dei supervisori, così da verificare le competenze per l’individuazione del più corretto profilo da impiegare all’interno di ciascun specifico servizio.

3.    Supervisione clinica da proporre agli operatori dei servizi, volto allo stimolo della motivazione, prevenire i fenomeni di burn-out e per monitorare la qualità delle prestazioni erogate.

4.    Aumentare le sinergie tra l’Agenzia Comunale per le Tossicodipendenze e le facoltà universitarie, le Scuole di Specializzazione e l’Istituto Superiore di Sanità, attraverso convenzioni, protocolli d’intesa, pubblicazioni.

n) Azioni di gestione del budget

1.    Aumentare la capacità di reperire finanziamenti da Enti Locali, nazionali ed europei.

2.    Implementare attività progettuali e/o di servizi attraverso proventi esterni, ovvero sponsorizzazioni ed opere di fund-raising.

3.    Incrementare la produttività ed i ricavi della tenuta “Le Selve” di Città della Pieve, del Comune di Roma.

o) Giornata Mondiale di Lotta alla Droga

1.    Istituzionalizzare la celebrazione della Giornata Mondiale di Lotta alla Droga alla data del 26 giugno, in cui proporre attività di informazione, prevenzione e stili di vita sani.



[1] IL documento sintetizza ed organizza una più ampia documentazione (oltre 400 pagine) predisposta nella fase preparatoria, a cui si rimanda per eventuali approfondimenti.

[2] Per questo Gruppo e gli altri nominati qui, si veda più avanti.

[3] Il Piano era stato elaborato tenendo conto delle Deliberazioni della Giunta regionale del Lazio n. 860 del 28 giugno 2001 e n. n. 471 del 19 aprile 2002, nonché delle Linee di indirizzo emanate dal Consiglio comunale con Deliberazione n. 94 del 10 luglio 2002.

[4] Il metodo di coordinamento aperto è stato creato nel quadro della politica dell'occupazione e del processo di Lussemburgo. Esso è stato definito quale strumento della strategia di Lisbona (2000), per far convergere le politiche nazionali verso obiettivi comuni. Contestualmente a questo metodo intergovernativo gli Stati membri sono valutati da altri Stati membri e la Commissione si limita a svolgere un ruolo di sorveglianza. Il metodo di coordinamento aperto funziona in ambiti che rientrano nella competenza degli Stati membri quali l'occupazione, la protezione sociale, l'inclusione sociale, l'istruzione, la gioventù e la formazione. Esso si basa essenzialmente sull'identificazione congiunta degli obiettivi da raggiungere; strumenti di misura comuni (statistiche, indicatori, linee guida); trasmissione alla Commissione di Piani nazionali elaborati dagli Stati membri; analisi comparativa dei risultati degli Stati membri e lo scambio di pratiche ottimali.

[5] Pubblicata sulla G.U. n. 265 del 13 novembre 2000 - Supplemento ordinario n. 186.

[6] Piano Sociale Nazionale 2001-2003; Atto di indirizzo e coordinamento sui sistemi di affidamento dei servizi alla persona; Regolamento concernente i requisiti minimi strutturali ed organizzativi per le strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale; Riordino del sistema delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza.

[7] Legge costituzionale 18 ottobre 2001 n. 3 "Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione”

[8] Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche sociali, La vita buona nella società attiva, 2008.

[9] Cfr. Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche sociali, Rapporto nazionale sulle strategie per la protezione sociale e l’inclusione sociale, 2008.

[10] A cura del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, 2010.

[11] Legge Regionale 9 settembre 1996 n. 38.

[12] Delibera del Consiglio Regionale n. 591 del 1 dicembre 1999.

[13] www.statigeneraliroma.it

[14] I dati presentati in questa sezione, ove non diversamente indicato, provengono dall’Ufficio statistico del Comune di Roma. I dati sulla popolazione totale iscritta in Anagrafe (senza distinzione tra italiani e stranieri) sono aggiornati al 31 dicembre 2008, mentre le tabelle che riportano la distinzione tra cittadini italiani e stranieri sono aggiornati al 31 dicembre 2007. Si tratta di dati anagrafici, di cui è iniziata dal 2006 una revisione sistematica di confronto con i dati censuari. Questa operazione procede progressivamente e non ha ancora interessato i dati anagrafici delle annualità 2007 e 2008. Pertanto i dati relativi a tali periodi saranno qui presentati privi del confronto con i dati censuari.

[15] Il tasso di densità abitativa è dato dal rapporto tra il numero di abitanti e la superficie su cui insistono, espressa in ha.

[16] In questa sede il termine "famiglia" viene assunto in termini meramente sociologici, secondo la definizione che ne dà l'Istat: “insieme di persone legate da vincoli di matrimonio, parentela, affinità, adozione, tutela o affettivi, coabitanti ed aventi dimora abituale nello stesso comune (anche se non sono ancora iscritte nell'anagrafe della popolazione residente del comune medesimo). Una famiglia può essere costituita anche da una sola persona” (Glossario Istat)

[17] Quinto Rapporto dell’Osservatorio Romano sulle Migrazioni, Caritas di Roma, 2009.

[18] La legge 675/96 sulla privacy e la Legge 127/97 (Bassanini) hanno introdotto cambiamenti che si traducono in una diminuzione delle informazioni. Dal 1999 la statistica sulle nascite, anziché dai certificati di assistenza al parto (molto ricca di informazioni sulla madre), viene ricavata da un’attestazione limitata ai dati richiesti nei registri di nascita, per cui spesso viene a mancare l’informazione sulla cittadinanza di uno o di entrambi i genitori; in particolare, sono assenti le informazioni sul genitore quando questi è residente all’estero o in un altro Comune diverso da quello del figlio, non intestatario della scheda di famiglia e, inoltre, sui genitori che per qualsiasi motivo non consentono di essere nominati.

[19] L’indice di dipendenza economica è dato dal rapporto tra la popolazione in età attiva (15-64 anni) e la popolazione in età inattiva (fino ai 15 anni e dai 65 anni in su).

[20] Rapporto tra popolazione tra i 60 e i 64 anni e la popolazione tra i 15 ed i 19 anni.

[21] Ci si riferisce ai soggetti stranieri iscritti all’anagrafe e regolarmente soggiornanti. Al riguardo bisogna tener conto che per soggiornanti si intendono coloro che posseggono un titolo di soggiorno valido al momento della rilevazione e che pertanto possono essere sottostimati rispetto alle presenze effettive nel territorio comunale poiché i minori stranieri iscritti sul permesso di soggiorno dei genitori non vengono conteggiati, così come gli stranieri in attesa di rinnovo del permesso. I residenti (o iscritti in anagrafe), invece, possono essere sottostimati in quanto non tutti i soggiornanti hanno i requisiti (per esempio la residenza fissa) o intenzione (per esempio per scelte di breve periodo) per effettuare l’iscrizione anagrafica.

[22] Il tasso di fecondità totale (Tft) indica il numero medio di figli per donna. Il Tft è pari alla somma dei tassi specifici di fecondità calcolati rapportando, per ogni età feconda (tra i 15 e i 49 anni), il numero di nati vivi all'ammontare medio annuo della popolazione femminile. La valutazione dell’intensità e del calendario riproduttivo tiene conto implicitamente dei due differenti contributi delle donne italiane e straniere al tasso di fecondità totale cittadino.

[23] La struttura per sesso ed età prevista per il comune di Roma nel 2020 non presenta notevoli differenze nei due scenari. Per questo motivo si è scelto di mostrare solamente una delle piramidi delle età, riferita allo scenario alto.

[24] Nel linguaggio tecnico si continua ad utilizzare questa similitudine, anche se è evidente, dalle figure, che la silouette ottenuta dalla distribuzione delle diverse classi di età assomiglia a quella di un "orcio".

[25] L’indice di vecchiaia si ottiene moltiplicando per cento il rapporto tra la popolazione di 65 anni e più e la popolazione di età 0-14 anni.

[26] Le tipologie dei servizi ricalcano quelli utilizzati dall'Istat, a partire dal 2003, nella ricerca a livello nazionale sulla spesa sociale dei comuni. Rispetto a tale articolazione, in questa sede sono state introdotte alcune variazioni: gli interventi per le famiglie e i minori sono presentati in modo distinto; per la loro specificità, è stato introdotto un capitolo sulle persone sottoposte a misure giudiziarie; i Rom (Allegato 1) sono stati distinti dagli immigrati.

[27] Cfr. più avanti, nella sezione sulle "azioni di sitema".

[28] Previsto formalmente dalla legge 328/00, art. 22, come "livello essenziale delle prestazioni sociali" da assicurare in ogni ambito territoriale coincidente con il distretto sanitario.

[29] Titolo XII “Delle misure di protezione delle Persone prive in tutto o in parte di Autonomia”, dall’art. 404 all’art. 432.

[30] Cfr. più avanti la prospettiva di introduzione dei Punti Unici di Accesso (PUA) in accordo con le ASL

[31] Delle UIM si parla più avanti, nel capitolo che tratta dei servizi per i minori.

[32] Capitolo a cura del Gruppo di lavoro coordinato da Marco Veronesi, con il contributo di p. Lamanna e suoi collaboratori.

[33] I dati riportati in questa sezione fanno riferimento, se non diversamente specificato, alla Relazione della Commissione nazionale di Indagine sull'Esclusione Sociale (CIES, 2009).

[34] E' quanto emerge dalla seconda edizione del 'Rapporto sul mercato del lavoro a Roma - 2008' effettuato dal Servizio Studi dell'Ufficio di Statistica del Comune di Roma ed è il risultato delle elaborazioni condotte su una molteplicità di fonti di dati fornite dall'Istat, Inps, Inail, Isfol e Camere di commercio.

[35] La stima dell’incidenza della povertà assoluta viene calcolata sulla base di una soglia che corrisponde alla spesa mensile minima necessaria per acquisire un determinato paniere di beni e servizi (es. 1 single a Roma 710 € ).

[36] Ovviamente si tratta di un mero esercizio, che restituisce dati approssimativi, dal momento che gli indicatori applicabili a livello nazionale non sono utilizzabili, tout court, alla situazione romana.

[37] Il Centro si trova in via di Torre Spaccata, 157.

[38] Da gennaio a novembre 2009 il Centro ha offerto ospitalità a 34 donne, unitamente a 32 figli minorenni.

[39] Ulteriori informazioni sui servizi promossi dai Municipi sono ovviamente contenute nei rispettivi Piani sociali.

[40] Fonte: Relazione che accompagna l’approvazione del bilancio comunale.

[41] Il Comune gestisce 4 strutture, per un totale di 186 appartamenti.

[42] Il servizio delle mense sociali nel 2009 è stato rimodulato con una più capillare distribuzione territoriale.

[43] Via Sette Sale, 34; Via G.B Soria, 13; Lung. Toscanelli, 176; Via Marsala, 109; Via Dandolo; Via degli Astalli; Via degli Apuli.

[44] www.programmaretis.it

[45] Il capitolo sintetizza il testo predisposto per l'occasione da Lillo Di Mauro, Presidente della "Consulta cittadina per i problemi penitenziari", in collaborazione con: Provveditorato Lazio Ministero della Giustizia, Direzione UEPE Roma, Centro interregionale Giustizia Minorile, Consulta Comunale per la salute mentale e Forum regionale Lazio per la tutela della salute dei detenuti.

[46] Tutti i dati esposti in questo capitolo sono stati segnalati dalla "Consulta cittadina" (2010).

[47] Si tratta della convinzione precoce, permanente e irreversibile da parte di un individuo del tutto normale dal punto di vista cromosomico, ormonale e somatico, di appartenere al sesso opposto rispetto a quello anatomicamente posseduto. Ne consegue un vissuto di sofferenza e inadeguatezza relativo al proprio sesso anatomico e al desiderio di adeguare la propria identità psichica a quella anatomica ricorrendo a trattamenti ormonali e interventi chirurgici. Per queste persone la legge 164/82 prevede la possibilità della rettificazione del sesso anagrafico.

[48] Si ricorda che la Giustizia minorile ha competenza sulle persone fino ai 21 anni.

[49] Capitolo a cura del Gruppo di lavoro coordinato da Maurizio Saggion.

[50] Dei minori stranieri non accompagnati si parlerà estesamente più avanti, nel capitolo relativo ai servizi e agli interventi per le persone in età evolutiva.

[51] Il capitolo sintetizza il contributo del Gruppo di lavoro coordinato da Aldo Morrone e Fausto Giancaterina.

[52] Fonte: ISTAT (2007), Condizioni di Salute, Fattori di Rischio e ricorso ai servizi sanitari anno 2005.

[53] ISTAT (2007), o.c. nella Nota precedente.

[54] Servizio per l’autonomia e l’integrazione sociale della persona con disabilità.

[55] Il dato è fortemente sottostimato, in quanto in alcuni Municipi non sono sempre registrate le domande, quando non vi sono probabilità che siano accolte.

[56] Il numero è comunque sottostimato, in quanto non comprensivo dei dati del Municipio 3.

[57] Il dato è comunque sottostimato, dal momento che molti cittadini rinunciano a presentare la domanda.

[58] I dati riportati sono sottostimati, in quanto la ASL RM C non ha fornito dati completi.

[59] Premio Forum P.A. Aperta nella Sezione “Accesso alle Strutture e ai Servizi” nel 2004, Premio IQU – Innovazione e Qualità Urbana nella sezione Premi OnLine – Tecnologie nel 2005.

[60] In: http://dse.west-info.eu

[61] Al riguardo, la Delibera n. 124 della Giunta Comunale del 23.04.2009 per la creazione di un elenco speciale di Cooperative Sociali tipo B, che riserva a queste almeno il 5% (quota/anno) delle forniture di beni e servizi potrebbe contribuire e ridurre in modo significativo il problema.

[62] Questo capitolo, come quello seguente, riprende e sintetizza il lavoro del gruppo coordinato da Gianluigi De Palo, con il contributo di Diego Rubbi.

[63] Cfr. anche "Indagine sui bisogni delle famiglie con minori del Comune di Roma", a cura di Barbara Menghi e Romina Polverini, promossa dal Dipartimento XVI “Politiche di Promozione dell’Infanzia e della Famiglia” del Comune del Roma.

[64] Recenti ricerche hanno sottolineato il fatto che le famiglie incontrano le maggiori difficoltà nei primi anni dopo la nascita del primo figlio. La condivisione delle esperienze, nonché lo studio di adeguate forme di cooperazione economica, possono contribuire in maniera significativa al consolidamento della famiglia.

[65] Per una più completa presentazione dei servizi e in generale delle "risorse" per la famiglia a Roma, si può consultare il 1° Dossier Famiglia 2008, a cura dell'Assessorato alle Politiche di Promozione della Famiglia e dell'Infanzia.

[66] Fonte: Relazioni del Bilancio comunale e Unità operativa “Minori e famiglia” del Dipartimento Promozione dei Servizi sociali e della Salute.

[67] Cfr. Delibera della Giunta Comunale n. 71 del 17 marzo 2010 "Linee guida per la realizzazione di una politica a sostegno della famiglia 'Roma Città Famiglia'"

[68] Ad esempio, la legge 149/2001 parla esplicitamente del “diritto del minore ad una famiglia” ed in particolare del suo “diritto di crescere ed essere educato nell'ambito della propria famiglia”.

[69] Cfr. Deliberazione n. 4 dell'Assemblea Capitolina n. 4 del 7 ottobre 2010, che istituisce uno strumento giuridico-programmatico denominato "Quoziente Roma".

[70] L’attuale strutturazione delle tariffe relative alle utenze familiari prevede, oltre ad una prima fascia di consumi a costi ridotti, un incremento progressivo per i consumi eccedenti, che non prende in considerazione il numero dei componenti dei nuclei familiari, risultando per tale aspetto fortemente iniquo per le famiglie numerose.

[71] All'elaborazione di questo capitolo, redatto sulla base del lavoro svolto dal Gruppo coordinato da Gianluigi De Palo e da Diego Rubbi, ha contribuito anche il dott. Stefano Giulioli, Dirigente della U.O. "Minori e famiglie" del Dipartimento per la Promozione dei servizi sociali e della salute.

[72] Una presentazione più completa dei servizi e degli interventi sociali per i minori è contenuta nell'apposito volume pubblicato recentemente dall'Ufficio "Cabina di regia legge 285/97" presso il Dipartimento per la promozione dei servizi sociali e della salute (Roma 2010).

[73] In questa sede si considera solo il servizio per i minori, ma il SAISH è rivolto anche a persone adulte.

[74] Cfr. la pubblicazione "I Centri di aggregazione e socializzazione per adolescenti: ricognizione e analisi dei servizi semiresidenziali per preadolescenti e adolescenti nel Comune di Roma" a cura della "Cabina di regia legge 285/97", che illustra una ricerca condotta dal CNR di Roma (Roma 2006).

[75] Nel Comune di Roma sono accreditate oltre 100 strutture residenziali di secondo livello del privato sociale che operano tramite il pagamento di una retta giornaliera per ciascun minore da parte dell’Ente locale.

[76] Fonte: Relazioni del Bilancio comunale e Unità operativa “Minori e famiglia” del Dipartimento V. Si tratta di dati medi che in alcuni casi potrebbero essere sottostimati.

[77] Questo dato comprende l’inserimento di minori in strutture situate fuori del Comune di Roma.

[78] Dal 1 gennaio 2010 la competenza amministrativa di questo servizio è trasferita ai Municipi.

[79] Il policlinico “Casilino”, il principale ospedale presente nel territorio della ASL RMB, è stato il primo ad aver riaperto “la ruota” costituita da una culletta sita in una piccola stanza riscaldata e posta vicino alla portineria dell’ospedale. La legge italiana permette a chi partorisce in ospedale di lasciare i figli nel più completo anonimato. Eppure molte donne straniere non lo sanno. Hanno paura e, se non sono in regola con i documenti, temono di essere denunciate o comunque di “avere guai” con la polizia. Con la "culletta" non si vuole certo incrementare la pratica dell’abbandono, ma tutelare i neonati e offrire una possibilità di salvare il figlio a chi ha deciso di abbandonarlo.

[80] Tutti i dati esposti nelle tabelle e grafici di questo capitolo fanno riferimento a tale Fonte.

[81] Negli ultimi anni, anche alla luce delle ipotizzate modifiche di legge sull’esercizio della prostituzione, le unità di contatto stanno sperimentando strategie tecniche di approccio anche sulla prostituzione al chiuso (club, case, etc.).

[82] Complessivamente sono undici le comunità convenzionate, organizzate su due livelli di accoglienza (case di fuga e case di semiautonomia), di cui 4, con 24 posti, dedicate esclusivamente al target “vittime”.

[83] A tale proposito è stato redatto un Protocollo di Intesa che potrebbe essere sottoposto a Questura e Comando Carabinieri affinché se ne possano sviluppare tutte le potenzialità ivi contenute.

[84] E’ da osservare però che la quota di finanziamento è rimasta immutata dal 2000. Se si considera l’aumento del costo della vita negli ultimi 10 anni, è facile constatare come le risorse economiche disponibili si siano, nei fatti contratte in pesantemente. Inoltre, a partire dal 2010, il finanziamento si è ridotto ulteriormente, con un “taglio” dell’ordine del 10% circa.

[85] Al riguardo, si possono sperimentare strategie di fund raising e di cause related marketing per finalizzare raccolte di fondi a specifici progetti. Ad esempio, si può ritenere titolo prioritario in sede di selezione degli enti attuatori di un progetto l'eventuale suo cofinanziamento da parte dello stesso ente, che così diverrebbe, più che un organismo "gestore", un vero e proprio “partner” dell’Amministrazione.

[86] Ad esempio, mediante la messa a disposizione di sedi operative di enti pubblici per gli enti gestori ed evitando di “spezzettare” eccessivamente il budget a disposizione in una miriade di piccoli interventi, la cui gestione, tra l’altro, diventa in questo modo molto onerosa per l’Amministrazione.

[87] Le esigenze di “formazione” dei candidati all'affido devono prevedere un accompagnamento nel tempo da parte dei servizi sociali, accompagnamento attualmente non assicurato per scarsità di risorse professionali.

[88] Sono in aumento i casi di abbandono di minori che alla nascita presentano gravi condizioni di salute.

[89] La Convenzione ONU prevede all'art. 3 che "in tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza sia delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l'interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente". Con la ratifica della Convenzione ONU (Legge 176/91) le sue norme sono entrate a far parte integrante dell'ordinamento giuridico italiano, facendo sì che anche un principio programmatico come quello dell'art. 3 divenisse un principio cardine dell'ordinamento giuridico e, come tale, un fondamentale criterio interpretativo delle singole norme per superare eventuali loro ambiguità.

[90] Questo capitolo sintetizza il documento elaborato dal Gruppo di lavoro coordinato da Fiorenza Deriu, con il contributo di Michele Guarino.

[91] Si può citare l'esperienza dell'associazione "VitAttiva", che da anni collabora con il Comune in questo campo.

[92] Fonte: Caritas diocesana di Roma, 2009

[93] Si tratta, soprattutto dei contributi economici ai sensi delle Delibere C.C. 154/1997 e C.C. 163/1998, oltre ad agevolazioni per l'acquisto della tessera Metrebus. Cfr. più avanti.

[94]Ad esempio, i progetti promossi dalla Casa del Volontariato (Nonna Roma, Pony della Solidarietà, ecc.). Cfr. più avanti.

[95] Questi dati e quelli seguenti provengono dalla Relazione del MIPA (2009) e sono relativi all’applicazione dell’ISEE ai servizi di assistenza non residenziale e semiresidenziale rivolti agli anziani del Comune di Roma.

[96] Per sostenere le famiglie che sono in qualche modo "costrette" a ricorrere ai servizi delle badanti, il Comune di Roma da alcuni anni ha avviato il progetto “Insieme si può” (cfr. più avanti).

[97] Per informazioni: tel. 06 5579717.

[98] Per informazioni: tel. 06.5924974 e www.soggiorniargento.it

[99] Il Call Center del progetto è attivo dal lunedì al giovedì dalle 8,30 alle 17,30 e il venerdì dalle 8,30 alle 14,00 ai numeri telefonici: 06 44341246; 06 44340710.

[100] Livello di reddito: 723,04 € se soli, 877,98 se inseriti in un nucleo familiare di due componenti (25,82 € in più per ogni persona facente parte del nucleo). Se il richiedente usufruisce di assegno di accompagno il tetto del reddito è di 826,33 se solo e 981,27 se appartenente a un nucleo familiare di due persone.

[101] Delibera di Giunta comunale n. 1532 del 30 dicembre 2000 che prevede il c.d. “pacchetto di servizi” in cui sono definite la quantità e l’intensità degli interventi assistenziali.

[102] Indicatore della situazione economica equivalente, è uno strumento che permette di misurare la condizione economica delle famiglie nella Repubblica Italiana. È un indicatore che tiene conto di reddito, patrimonio (mobiliare e immobiliare) e delle caratteristiche di un nucleo familiare (per numerosità e tipologia).

[103] I dati riguardano l’attività svolta dai centri di ascolto della Caritas di Roma dal 1999 al 2008.

[104] Cfr. anche Deliberazione G.R. 1305/2004 “Requisiti strutturali e organizzativi integrativi rispetto ai requisiti previsti dall’art. 11 della L.R. n. 41/2003" e Regolamento Regionale n. 2 del 18/1/2005 “Regolamento di attuazione dell’art. 2 della L.R. n. 41/2003 “Modalità e procedure per il rilascio dell’autorizzazione all’apertura e al funzionamento delle strutture che prestano servizi socio-assistenziali".

[105] All'ospite può essere richiesta, al massimo, una contribuzione pari al costo delle prestazioni erogate, stabilito dall’Amministrazione.

[106] Altre misure di sistema erano contenute nella parte quinta (integrazione delle politiche) e sesta (Piano Regolatore Urbanistico).

[107] Cfr. Deliberazioni della Giunta Comunale n. 775/2000 e n. 1532/2000; Deliberazione del Consiglio Comunale n. 90/2005.

[108] Ulteriori precisazioni sono fornite dal Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 23 aprile 2009, che ridefinisce i Livelli Essenziali di Assistenza sanitaria, che i Servizi Sanitari Regionali sono tenuti a garantire a tutti i cittadini.

[109] I dati e le analisi qui riportate sono tratte dal “Rapporto sulle politiche contro la povertà e l’esclusione sociale 2009” a cura della Commissione nazionale d’Indagine sull’Esclusione Sociale, Novembre 2009.

[110] Le residenze fittizie sono fissate in base alla Delibera comunale 172/2002 in Via Modesta Valenti, luogo convenzionale che sostituisce la c.d. Via della Casa Comunale e sono attribuite a persone che hanno perso la residenza in seguito a procedura di irreperibilità. Oltre ai Municipi, anche alcune associazioni e cooperative sociali sono autorizzate a rilasciare indirizzi convenzionali per la fissazione di residenze fittizie.

[111] Cfr. "Programma di apprendimento permanente" del Parlamento Europeo - 2006 e linee di indirizzo della Regione Lazio - Deliberazione G.R. n. 845/07.

[112] Art.111 della Costituzione; giusto processo, L. 149/01 di modifica della 184/83 e della procedura del processo civile; L.54 del 2006 “Disposizioni in materia di separazione e affidamento condiviso dei figli”.

[113] Elaborazione su dati dell’Ufficio personale, Dipartimento Promozione servizi sociali e della salute, marzo 2010.

[114] Per l'intensità del disagio sociale dei Municipi, si fa rifermento ai dati del Censis per la Regione Lazio (2002).

[115] Al riguardo, l'adozione della "cartella sociale" e l'implementazione del Sistema Informativo Sociale comportano necessariamente la disponibilità di adeguate postazioni informatiche connesse in rete.

[116] È da precisare che in questa distribuzione sono calcolati come gestiti dal Dipartimento per la promozione dei servizi sociali anche i circa 15 milioni di Euro per i servizi funebri e cimiteriali, che sono assegnati all'AMA. Al netto di questo importo, i fondi gestiti dal Dipartimento sono di poco superiori a quelli ripartiti ai Municipi.

[117] Testo dello Statuto quadro nelle principali lingue dell’Unione europea: www.rroma-europa.eu. Traduzione italiana a cura di Laura Todisco e Marco Accorinti: http://www.rroma-europa.eu/it/sc_it.pd

[118] Lodovico Antonio Muratori, Rerum italicarum scriptores, 288–290, 1751.

[119] Si ringrazia il gruppo di ricerca per aver messo a disposizione le prime elaborazioni effettuate.

[120] In realtà, i diversi risultati sono frutto dei diversi metodi e tempi della ricerca.

[121] Fonte: Comune di Roma – Assessorato alle Politiche sociali e Promozione della Salute, luglio 2010.

[122] Caritas Diocesana di Roma “Salute senza esclusione – Sperimentazione di interventi per la promozione dell’accesso ai servizi sanitari e dell’educazione alla salute per la popolazione Rom e Sinta in Italia” a cura di S. Geraci, F. Motta, A. Ricordy – patrocinio della Società Italiana di Medicina delle Migrazioni; 2009.

[123] Le informazioni contenute in questa sezione sono elaborate su dati del Dipartimento Servizi Educativi e Scolastici - Ufficio Scolarizzazione Alunni Rom e si riferiscono al "Progetto Scolarizzazione Bambini e adolescenti Rom" - anno scolastico 2010/2011.

[124] Non è possibile, in questa sede, indicare il numero complessivo delle scuole interessate, ma solo quello delle scuole in cui operano gli Enti attuatori del progetto.

[125] La sezione è stata redatta sulla base di informazioni fornite dall'Agenzia Comunale per le Tossicodipendenze.