Newsletter
periodica d’informazione
(aggiornata
alla data dell’8 ottobre 2010)
Rom e Sinti
Verso una
legge che riconosca, quale minoranza linguistica, i Rom e Sinti che vivono in
Italia
Sommario
o
Dipartimento Politiche
Migratorie – Appuntamenti pag. 2
o
Rom e Sinti – L’incontro
del 5 ottobre a Roma pag. 2
o
CES – Quali
prospettive per il movimento sindacale europeo? pag. 4
o
Lavoro – Nel Nord Est un nuovo disoccupato su
quattro è straniero pag. 5
o
Società – Assegno
familiare a chi ha la carta di soggiorno pag. 6
o
Dai territori –
Milano: 40 mila voti immigrati
nella corsa per Palazzo Marino pag. 6
o
Dai territori –
Seminario: la mediazione culturale e la lingua italiana pag. 7
o
Dai territori –
Lo strano sbarco di Latina
pag. 8
o
Dai territori –
Napoli: immigrati contro i caporali
pag. 9
o
Prensa Estranjera
– El Pais: los costos de la inmigraciòn pag.10
A
cura del Servizio Politiche Territoriali della Uil
Dipartimento
Politiche Migratorie
Rassegna
ad uso esclusivamente interno e gratuito, riservata agli iscritti UIL
Tel.
064753292- 4744753- Fax: 064744751
n.
291
Dipartimento Politiche Migratorie: appuntamenti
Roma, 08 ottobre 2010, Casa
Internazionale delle donne
Workshop Fondazione
Brodolini: “Rapporto Italiano sulla Lotta alle Discriminazioni”
(Guglielmo Loy)
Roma, 11 ottobre 2010, ore 15.00,
Via Guattani, 13
Incontri con controparti
datoriali in materia di immigrazione: incontro con CNA
(Guglielmo Loy, Giuseppe Casucci)
Roma, 13 ottobre 2010, ore 11.00,
via Nazionale, 60
Incontri con controparti
datoriali in materia di immigrazione: incontro con Confesercenti
(Guglielmo Loy, Giuseppe Casucci)
Roma, 13 ottobre 2010, ore 15.00,
via dell’Astronomia
Incontri con controparti
datoriali in materia di immigrazione: incontro con Confindustria
(Giuseppe Casucci)
Roma, 13 ottobre 2010, sede del
CNR, Piazza Aldo Moro, 5
INMP - XVII workshop Cultura,
Salute e Migrazioni
(Guglielmo Loy)
Roma, 14 ottobre 2010, ore 11.30
Via G. Belli
Incontri con controparti
datoriali in materia di immigrazione: incontro con la Confcommercio
(Guglielmo Loy, Giuseppe Casucci)
Roma, 14 ottobre 2010, ore 15.30
Via Mariano Fortuny, 20
Incontri con controparti
datoriali in materia di immigrazione: incontro con la Conf. Italiana
agricoltori
(Guglielmo Loy, Giuseppe Casucci)
Roma, 15 ottobre 2010, ore 15.00,
via San Giovanni in Laterano n. 152
Incontri con controparti
datoriali in materia di immigrazione: incontro con Confartigianato
(Guglielmo Loy, Giuseppe Casucci)
Rom e Sinti
L’incontro su Rom e Sinti, del 5
ottobre a Palazzo Valentini, Roma
Proporre una legge che
riconosca, quale minoranza linguistica, i Rom e Sinti che vivono in Italia
Secondo il dettato dell’art.
6 della Costituzione
Roma,
8 ottobre 2010 - Forse non tutti sanno che….In Italia vivono da sei secoli
accanto a noi decine di migliaia di cosiddetti “zingari”. Secondo cifre non
ufficiali (un censimento esaustivo non è mai stato realizzato) la famiglie di
Rom, Sinti e Camminanti conterebbero di circa 170 mila persone, di cui 60 mila
italiani, 80 mila comunitari e solo 30 mila extra UE, in gran parte provenienti
dalla ex Jugoslavia. Una cifra comunque modesta se confrontata con gli 1,5
milioni residenti in Romania, gli 800 mila di Bulgaria e Spagna, il mezzo
milione che vivono in Slovacchia ed Ungheria ed i 400 mila della Serbia, della
Francia e della Germania. In molti di questi Paesi, il processo di accoglienza
ed integrazione è andato molto più avanti che da noi, magari con il giusto
utilizzo dei copiosi fondi che la UE mette a disposizione degli Stati membri
per l’accoglienza ed integrazione di questo popolo. Neanche questo fa l’Italia:
i fondi giacciono inutilizzati per anni, per poi essere messi a disposizione di
altre nazioni più avvedute e propense all’accoglienza. La UE non ci concede
fondi perché l’Italia non fa accoglienza ma solo discriminazione ed emarginazione, all’insegna di un dubbio
concetto della sicurezza. Ed in
effetti, da noi il tema “nomadi” (che poi nomadi non sono quasi più) è sempre
un’emergenza, anche se dura da secoli. Come mai questa emergenza non è mai
stata risolta da nessun governo, nel presente come nel passato? Fortunatamente
la maggior parte dei 170 mila Rom e Sinti si è da anni integrata e vive (spesso
in forma latente) accanto a noi: la maggioranza lavora, ha una casa e manda i
figli a scuola. Certo evita di raccontare della propria origine a causa dei
pregiudizi imperanti. Il problema, dunque, sono quei circa 30 mila “zingari” in
arrivo dai tempi della guerra dei Balcani: sono loro ancora a vivere in campi,
spesso abusivi ed anti igienici; sono loro che vediamo agli angoli delle strade
e delle chiese e che spesso ignoriamo volutamente, con una malcelata punta di
insofferenza. Guardarli ci da’ fastidio e vorremmo cancellarli dalla nostra
vista, ma non è possibile e – soprattutto – non è giusto. Si è
fatto un gran parlare nelle ultime settimane delle decisioni francesi di
favorire il rientro in Romania di cittadini comunitari senza lavoro,
soprattutto zingari, magari con un piccolo incentivo economico. Anche il nostro
Ministro dell’Interno si è detto favorevole all’allontanamento di cittadini
comunitari che risiedano in Italia oltre i tre mesi e che non dimostrino di
avere mezzi economici leciti per mantenersi. Forse però certe affermazioni
vengono fatte per motivi soprattutto propagandistici e non tengono conto di
direttive della CEE che l’Italia ha pur adottato. In effetti la direttiva
2004/38/CE, quella che concerne il
“diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e
soggiornare liberamente all'interno degli Stati membri” è molto chiara. Questa
direttiva è stata adottata dall’Italia con dlgs n. 30 del 6 febbraio 2007.
All’art. 20 di detto decreto si attesta che Il cittadino dell'Unione o un suo familiare possono
essere allontanati dal territorio dello Stato membro solo per ragioni
di ordine pubblico, di sicurezza pubblica o sanità pubblica.
Inoltre, tutti i provvedimenti relativi alla libertà di circolazione e di
soggiorno devono rispettare il principio della proporzionalità e basarsi
esclusivamente sul comportamento personale dell'interessato.
Il
comportamento personale deve rappresentare una minaccia effettiva e
sufficientemente grave, che pregiudica un interesse fondamentale dello Stato
ospitante. Ancora: “nell'adottare un provvedimento di allontanamento dal
territorio per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza, si tiene
conto della durata del soggiorno in Italia dell'interessato, della sua età, del
suo stato di salute, della sua situazione familiare e economica, della sua
integrazione sociale e culturale nel territorio nazionale e dell'importanza dei
suoi legami con il Paese d'origine”.
Non è dunque così facile
liberarsi in forma collettiva di cittadini comunitari (neanche quando
appartengano alla categoria sfortunata degli zingari), a meno che non si voglia
venir meno agli obblighi assunti nell’ambito delle norme dell’Unione Europea.
Che fare, dunque, dei Rom e dei Sinti che vivono nei campi, da cui vengono
sgombrati molto spesso, in spregio alla presenza di minori e donne incinta, e
nel caso migliore spostati in altri campi, magari fuori dalla vista della gente
“perbene”? Certo una soluzione civile va ricercata e presto se non si vuole che
la situazione continui ad incancrenirsi. Quasi due anni e mezzo fa, il 30
maggio 2008, la Presidenza del Consiglio dei Ministri emanava tre Ordinanze: “urgenti”
di protezione civile per fronteggiare lo stato di emergenza in relazione agli
insediamenti di comunità nomadi nel territorio delle regioni Lazio, Lombardia,
Lazio e Campania”. Con nomina di tre Commissari straordinari nelle persone dei
Prefetti delle tre città. Oltre al censimento della popolazione zingara, le
Ordinanze predisponevano precise misure d’integrazione dirette a tali comunità,
in modo particolare ai minori. Tra queste: il censimento delle persone che vivono nei campi;
l’eliminazione di campi abusivi, attraverso l’individuazione di altri siti
idonei a realizzare campi autorizzati in cui spostare queste persone; la realizzazione
di interventi idonei a ripristinare i livelli minimi delle prestazioni sociali
e sanitarie; nonché interventi atti a favorire l’inserimento e l’integrazione
delle persone trasferite nei campi autorizzati ed in particolare la
scolarizzazione dei minori in età scolare. Di tutto questo, ben poco è stato
realizzato: il censimento – effettuato dalla Croce Rossa – ha
raggiunto solo 7000 persone (le altre sono scappate, spaventate dalla violenta
campagna mediatica); nessuna misura di inclusione sociale è veramente stata
realizzata: i bambini “zingari” continuano a disertare le scuole; i loro
genitori continuano a vivere di espedienti; ogni tentativo di assegnare case
popolari a famiglie di origine Rom o Sinta (italiane, beninteso) incontra
ostacoli immancabili dalle amministrazioni locali, oltre che una forte
opposizione da parte dell’opinione pubblica. Che fare allora? Un gruppo di
esperti, parlamentari, sindacalisti ed operatori del sociale hanno avanzato
l’ipotesi di una legislazione capace di portare ordine in questa situazione,
cominciando a delineare i diritti e doveri in materia di minoranza Rom e Sinta.
Una proposta di legge (diciamo di minima) potrebbe essere quella che chiede il
loro riconoscimento in quanto minoranza linguistico culturale. Di minima, in
quanto non tocca i problemi pratici di integrazione, e dunque potrebbe essere a
costo zero. L’articolo 6 della
Costituzione infatti recita: “la Repubblica tutela con apposite norme le
minoranze linguistiche”. La legge 482 del 2009 ha posto in pratica il dettato
costituzionale, partendo da un criterio di radicamento territoriale. Vista però
l’estrema mobilità di una parte del popolo Rom e Sinti, la 482 ha finito per
escludere questa minoranza dalla schiera delle altre tutelate
nazionalmente. Da qui l’esigenza
di riproporre una legge nazionale di tutela che potrebbe incontrare l’appoggio
di parlamentari della maggioranza come dell’opposizione. L’obiettivo è dare
dignità civile a questa minoranza culturale, condizione minima per affrontare
in maniera umana e concreta i molti problemi e la loro possibile soluzione. Di
questo si è parlato in un incontro di approfondimento che si è tenuto lo scorso
5 ottobre presso una sala della Provincia di Roma, e che è stato promosso dal
gruppo di pensiero denominatosi “Vaso di Pandora”. Presenti, oltre
all’anfitrione, l’Assessore Claudio Cecchini, molti parlamentari (tra cui i sen. Pietro Marcenaro e
Massimo Livi Bacci, e l’on.le Fabio Porta), esperti giuristi di ASGI,
sindacalisti ed operatori del
sociale (Acli, Caritas, Unicef, CIR, Amnesty, Focus- CDS, COSV, AMISNET,
Popica-Onlus e molti altri). Presenti due associazioni del mondo Rom e Sinti:
la Federazione Romanì, rappresentata da Nazzareno Guarnieri e Unirsi, per cui
ha parlato il presidente Kazim Cizmic. Era presente, ed ha contribuito al
dibattito Mercedes Frias, ex parlamentare e prima firmataria di una proposta di
legge nel 2007, di modifica alla 482 “per l’estensione delle disposizioni di
tutela delle minoranze linguistiche storiche alle minoranze dei Rom e dei
Sinti”. Alessandro Simoni, dell’Università di Firenze ha illustrato una bozza
di proposta di legge (realizzata assieme a Paolo Bonetti e Tommaso Vitale) di
“tutela e pari opportunità della minoranza Rom e Sinti”. Un testo che potrebbe
servire come base di discussione per un gruppo di lavoro che andrà avanti nelle
prossime settimane nell’affinare una nuova proposta in materia. Uno dei tanti
problemi che rimane insoluto, anche a causa dell’estrema conflittualità interna
al mondo dei Rom e dei Sinti, è quello di una loro rappresentanza
istituzionale, democraticamente eletta, capace di dialogare e contrattare con
le istituzioni nazionali e locali, adeguati strumenti e misure per la soluzione
dei tanti problemi. La strada è certo ancora in salita, viste anche le campagne
mediatiche contrarie agli zingari, lanciate ad arte e spesso a puri fini
elettorali. Siamo comunque convinti che questa sia una battaglia che va fatta e
subito, in quanto crediamo che una società che non capisca e non sappia
convivere con le proprie diversità, senza negarle e calpestarle, non si possa
definire veramente civile, come spesso l’Europa non manca di ricordarci.
Sindacato europeo
Seminario CES, Strasburgo 20/09/2010 al
26/09/2010
ETUC/CES Migration: “Which perspectives for the
European trade union movement?”
(Migrazione: quali le prospettive per il movimento sindacale
Europeo?)
di Eschly Borja Ramos
Dal 20 al 26 settembre scorsi,
ci siamo ritrovati a Strasburgo in una ventina di ragazzi provenienti da 17
differenti Paesi UE. L’occasione, promossa dalla Confederazione Europea dei
sindacati (ETUC), è stata organizzata nella città sede del Tribunale internazionale
per i diritti umani, del Consiglio d'Europa e una delle sedi del Parlamento
Europeo, per discutere di
Migrazione, vista con i nostri occhi. I lavori, durante la settimana, si sono
svolti nel European Youth Center, il centro giovanile che coopera con il
Consiglio d'Europa, ed avevano come obiettivo far comprendere ed approfondire
la migrazione nella UE. Una settimana in cui paesi che affrontano e vedono vari
aspetti della migrazione, si sono messi a confronto, cercando di spiegarne la
definizione, analizzando il fenomeno, facendo esempi concreti di come
migliorare l’azione dei nostri sindacati e creare una vera e solida
cooperazione tra di noi. Suddivisi in vari gruppi e provenienti da realtà molto
diversificate, alcuni di noi nelle loro organizzazioni non avevano mai
affrontato il tema della migrazione mentre altri avevano molta più esperienza.
Abbiamo tracciato un sentiero per la cooperazione poiché nessuno di noi si era
mai messo a confronto con i paesi di provenienza o di arrivo della migrazione.
Ogni giorno ci focalizzavamo
su un tema diverso come :
-
Il significato di migrazione nel nostro paese di provenienza
-
Se il sindacato affronti o meno e come la migrazione tra i suoi
ranghi
-
Il razzismo all'interno del sindacato
-
Le famiglie che molte volte sono migranti, partendo dalle
nostre.
Due
grandi personalità come Patrick Taran, ILO (International Labour Organization),
e Francesco Soriano ETUC, ci hanno illustrato come molte volte la nostra
visione di migrazione sia correlata a pregiudizi che fanno si che, noi
sindacalisti, ci ritroviamo ad essere per primi un ostacolo nei confronti delle
persone migranti. Molte delle nostre organizzazioni sono affette da una possibile forma di “razzismo latente”,
che in molti casi rallenta e/o totalmente ostacola la collaborazione ed
integrazione dei lavoratori migranti nelle nostre categorie di appartenenza.
Uno dei concetti emersi dal dibattito è che la migrazione e` sempre esistita
nella storia della umanità e, probabilmente, esisterà sempre. Non la si può
fermare o ostacolare poiché fa parte del nostro processo di crescita sia
personale che della società. Migliore sarà la condizione di lavoro dei migranti
nelle nostre società, migliore sarà anche il lavoro degli stessi autoctoni
perché quando ci saranno battaglie comuni per un diritto negato la coesione
sarà unica ed anche più forte. I
migranti che vivono nelle nostre comunità necessitano della nostra attenzione
come chiunque, molte delle volte sono sfruttati e in qualche caso trattati come
schiavi. Per questo motivo, ogni qual volta essi entrano nei nostri uffici,
dobbiamo essere i primi a difenderli, anche indipendentemente dal loro status,
regolare o meno. Inoltre, il termine ILLEGALE va cancellato dal vocabolario
comune perché nessuna persona in nessun luogo del mondo e` illegale in quanto
tale. Casomai irregolare può essere la sua condizione, ma non è la stessa cosa
in quanto quella condizione è per sua natura temporanea e soggetta agli
avvenimenti ed alla possibile
variazione delle norme. Tante sono state le domande sulla politica migratoria
dell'Italia e sull’uso dei respingimenti nel Mediterraneo, di come il paese si
dimostri sempre più razzista e poco accogliente, le risposte da parte mia non
potevano che accogliere questa preoccupazione pur dimostrando che il sindacato
attivamente e apertamente condanna le decisioni governative, quando esse
contrastano con la normativa internazionale. Un altro aspetto dei miei
interventi si e` concentrato sulla politica della cittadinanza italiana e di
come molti ragazzi nati e cresciuti in Italia si sentano discriminati sulla
carta e non abbiano potere di decisione a livello locale e nazionale. Dopo
questa settimana di studio una cosa e` certa: la nostra organizzazione deve totalmente aprirsi all'Europa
non solo sulla carta ma anche concretamente, perché la libera circolazione delle persone all'interno del
Continente è prevista dalle leggi europee e fa sì che questo sia uno dei posti
più liberi al mondo. Va dunque condannata ogni politica di chiusura agitata
all’insegna della paura, anche se naturalmente l’immigrazione va programmata e
governata adeguatamente in modo che sia sempre una risorsa e non rischi di
diventare un problema.
Lavoro
Fondazione Moressa
Nel Nord Est un nuovo
disoccupato su quattro è straniero
Nel Nord - Est dall’inizio della crisi il numero di
disoccupati è aumentato di quasi 65mila unità, di cui 17mila sono stranieri.
Questo significa che dei nuovi disoccupati, il 26,3% è straniero. Questo uno
dei risultati dello studio della Fondazione Leone Moressa che ha analizzato le
dinamiche occupazionali degli stranieri nel Nord Est dalla metà del 2008, ossia
il periodo da cui si ipotizza l’inizio della crisi economica. Attualmente il
tasso di disoccupazione degli stranieri si attesta nel Nord Est al 13,4%,
contro una media territoriale del 5,5%, quindi poco meno di dieci punti
percentuali in più. Il Veneto è la regione che mostra il tasso più contenuto
(12,8%), mentre per Trentino A.A. e Friuli V.G. si tratta, rispettivamente, del
14,2% e del 15,5%. Nel corso dell’ultimo biennio il numero dei nuovi
disoccupati è stato di 17 mila unità, di cui oltre 11mila nel solo Veneto,
quasi 3mila in Trentino Alto Adige e 2,6mila in Friuli Venezia Giulia. Questo
dato permette di valutare quanta parte della nuova disoccupazione sia in capo
agli stranieri: si tratta addirittura del 40% in Trentino Alto Adige, ma del
25,5% in Friuli Venezia Giulia e del 24,4% del Veneto. In generale comunque i
disoccupati stranieri sono oltre 47mila in tutta l’area del Nord Est, di cui
quasi 33mila nel solo territorio Veneto. “L’emorragia occupazionale che
colpisce soprattutto gli stranieri” affermano i ricercatori della Fondazione
Leone Moressa “rischia di pregiudicare la loro presenza nel nostro territorio,
dal momento che il lavoro è la condizione necessaria per il loro regolare
soggiorno. Nonostante tutto, le imprese nel 2010 continueranno a richiedere
manodopera straniera, specie di bassa qualifica: stando agli ultimi dati di
previsione di assunzione (indagine Excelsior), il 24% della nuova occupazione
in Veneto sarà straniera. Si auspica quindi che tale apertura possa tradursi
nell’assunzione di quei soggetti colpiti dalla crisi e rimasti senza lavoro e
si possa creare una seria politica di immigrazione dei flussi migratori nel
nostro territorio che rimane comunque tra i più attrattivi per la manodopera
straniera.”
Scarica l'allegato
Società
Assegno familiare a chi ha la carta di soggiorno
Il giudice: "Sono come i cittadini italiani". L’Asgi
rilancia: "Ora anche a chi ha un normale permesso"
Roma
– 5 ottobre 2010 - L’assegno inps per i nuclei numerosi è un aiuto
economico, circa centro trenta euro al mese, riconosciuto dai Comuni alle
famiglie a basso reddito con almeno tre figli minori, originariamente riservato
ai cittadini italiani. Scol tempo è stato esteso anche ai cittadini comunitari,
ai rifugiati politici e ai titolari di protezione sussidiaria.
Ora la platea
si allarga ulteriormente, grazie a una sentenza del Tribunale di Gorizia.
Il primo ottobre un giudice del lavoro ha infatti accolto il ricorso presentato
da un cittadino del Kosovo e dall'Associazione studi giuridici
sull’immigrazione dopo che il Comune di Monfalcone gli aveva negato l’assegno,
in quanto cittadino extracomunitario. Il kosovaro ha in tasca un permesso di
soggiorno ce per soggiornanti di lungo periodo (quella che prima si chiamava
carta di soggiorno) e, in base a una direttiva europea, questo lo dovrebbe
equiparare ai cittadini italiani prestazioni di assistenza sociale. Sostenuto
dall'AsgiI, l’uomo ha quindi inoltrato un'azione giudiziaria
anti-discriminazione. Il giudice gli ha dato ragione, sostenendo che la
disparità di trattamento tra cittadini nazionali e comunitari da un lato e
cittadini di paesi terzi titolari di permesso di soggiorno CE per lungo
soggiornanti, dall'altro, è illegittima. Il Comune di Monfalcone e l’Inps
dovranno quindi versare l'assegno al kosovaro, compresi gli interessi maturati
per il ritardo. La battaglia, comunque, non finisce qui. L’Asgi
promuoverà altre cause pilota per far riconoscere l’assegno anche a chi ha un
normale permesso di soggiorno, in nome dei principi costituzionali di
uguaglianza e ragionevolezza e del divieto di discriminazione su basi di
nazionalità.
Scarica la
sentenza di Gorizia
Un partito
degli immigrati ancora non c'è, ma il presidente dell'Istituto islamico di
viale Jenner, Abdel Hamid Shaari, annuncia per le amministrative del 2011 la creazione di
"Milano nuova", lista civica laica, per
presentare candidati in rappresentanza delle comunità straniere. In passato ci
sono stati invece diversi immigrati candidati dai partiti e nel 1997 venne
anche eletta al consiglio comunale con l'Ulivo una cittadina italiana di
origine straniera, l'eritrea Ainom Maricos. Ma quanti sono gli immigrati che
hanno diritto di voto a Milano? "A oggi possono votare gli 11mila
residenti di origine straniera che hanno ottenuto la cittadinanza e i circa
2800 cittadini di Paesi Ue che hanno già fatto domanda di voto alle
amministrative", spiega l'assessore ai Servizi civici Stefano Pillitteri.
"I residenti di paesi Ue sono oltre 28mila e tutti potrebbero fare domanda
per partecipare al voto: bastano 40 giorni di anticipo rispetto alla
consultazione. I potenziali votanti sfiorano quindi quota 40mila". Gli
stranieri iscritti all'anagrafe di Milano sono più di cinque volte tanto,
208mila, ma il diritto di voto amministrativo non è concesso agli
extracomunitari. Da tempi giacciono in Parlamento proposte di legge - una
firmata dal presidente della Camera Gianfranco Fini - per estendere il voto
agli immigrati residenti da 5 anni. Il diritto spetta già ovviamente agli
immigrati che hanno ottenuto la cittadinanza per matrimonio (dopo due anni di
permanenza in Italia) o per presenza continuativa in Italia da almeno dieci
anni - quattro se cittadini Ue - con regolare permesso o carta di soggiorno.
Possono chiedere la cittadinanza italiana anche i figli degli immigrati nati
qui, al 18mo anno d'età. Di diritto diventano italiani i figli di stranieri che
hanno acquisito la cittadinanza, i figli adottivi nati all'estero e i nipoti di
cittadini italiani residenti da almeno tre anni. Inoltre chi presta servizio
militare per l'esercito italiano (anche all'estero) può avviare la pratica.
Tutte le domande vengono valutate a Roma, mentre il giuramento avviene in
Comune. "Credo che sia tempo di avere una lista civica che rappresenti le
istanze delle tante comunità immigrate, da tutti i paesi", dice Abdel
Hamid Shaari, che assicura di aver già preso contatti con altri leader di
comunità straniere. In passato i rom del campo di via Idro avevano annunciato
la nascita di una loro lista, ma poi non se ne è fatto più nulla. Da tempo
attivi per promuovere la rappresentanza politica degli immigrati è la rete
"Cittadini dal mondo", coordinamento di associazioni che organizza
incontri e seminari sui temi politici dell'agenda cittadina. Ainom Maricos,
eritrea, una delle fondatrici, non si sbilancia sulla proposta di Shaari:
"Gli faccio i miei migliori auguri - dice - Ma io preferirei che gli
immigrati facessero politica entrando nei partiti che già esistono. Un partito
o una lista civica su base etnica, rischierebbe di diventare un ghetto. Ci
vorrebbe invece uno sforzo dei partiti per candidare e appoggiare realmente gli
immigrati nelle loro liste".
Seminario. “la mediazione culturale e la lingua italiana”
(Cremona 1-10.2010)
Di Angela Scalzo (Dipartimento politiche migratorie UIL
Nazionale)
Cremona, 1 ottobre 2010 - Oggi
sono qui in rappresentanza della
UIL Nazionale e più precisamente
del Dipartimento politiche
Migratorie del quale faccio parte. Vi ringrazio per il coinvolgimento e vi porto i saluti del segretario
Guglielmo Loy che avrebbe voluto
essere qui per esternarvi il
grande interesse del sindacato a
questo tema caro all’ITAL che si è reso
promotore di iniziative e
di servizi di grande utilità per la popolazione immigrata ma anche per i
cittadini italiani, come il servizio di mediazione e consulenza gratuita
“servizi im-mediati” La mediazione culturale contribuisce, infatti, a migliorare gli standard qualitativi dei servizi, a
vantaggio di tutti i cittadini, poiché rende gli operatori più sensibili alle
differenze e più preparati a riconoscere gli ostacoli nell’accesso ai servizi
da parte della propria utenza.La mediazione culturale va
considerata come dimensione costante delle politiche di
integrazione sociale, sia per facilitare agli immigrati l’esercizio dei diritti
fondamentali, sia per promuovere la reciproca conoscenza, quale fattore di
coesione e di benessere personale e sociale. Le innumerevoli esperienze di mediazione culturale
realizzate fin dai primi anni ’90,
e noi abbiamo rappresentato l’avanguardia delle politiche di mediazione
ancor prima che la legge (La
Napolitano Turco) ne normasse la figura, lo abbiamo concretizzato con un progetto dal titolo Nijan che in lingua bulu,( una lingua parlata in alcuni
paesi dell’Africa sub equatoriale,)
significa inserimento , un progetto nato anche e grazie all’ opera
dell’attuale vice presidente dell’ITAL Alberto Sera. Oggi la normativa
nazionale e regionale, le azioni degli enti locali si richiamano
prioritariamente a tre principi generali.
1. Le Pari
opportunità
La mediazione contribuisce a
realizzare per la popolazione immigrata le pari opportunità nell’accesso ai
servizi, nel rispetto del principio sancito dall’art. 3 Cost. it.
2. La Partecipazione
attiva
In quanto offre uno spazio di
ascolto, di attenzione alla comunicazione, di riconoscimento e di interazione consapevole, pertanto, la
mediazione promuove la partecipazione attiva dei soggetti coinvolti.
3. L’ Intercultura
La mediazione culturale adotta
la prospettiva interculturale quale via facilitata per la conoscenza e la
valorizzazione reciproca di modelli culturali, di valori, di tradizioni, di
sistemi sociali e , non per ultimo, per rimuovere pregiudizi, stereotipi e
discriminazioni tra le persone. In sintesi è fonte di reciproco arricchimento,
in quanto promuove il confronto, il dialogo, le relazioni umane. A noi
promuovere politiche attive a
livello territoriale. Il mediatore culturale è, pertanto, un agente attivo nel
processo di integrazione sociale e opera per facilitare la comunicazione, il
dialogo e la comprensione reciproca tra soggetti con codici culturali,
linguistici e religiosi differenti.
Importante sono,
quindi, le sue capacità
relazionali/comunicative e di interpretariato linguistico - culturale. La
lingua rappresenta per i migranti
lo strumento basilare per l’inserimento nel paese ospitante, eppure qualche tempo addietro la diffusione della lingua italiana fra
stranieri si è svolta in condizioni spesso difficoltose . La principale
carenza è imputabile alla mancanza
di uno strumento per la verifica ufficiale del livello di competenza linguistica
in italiano come lingua. Tale problema è da sempre fortemente sentito da tutti
gli operatori che cercano di
diffondere l’apprendimento della lingua italiana. Per
risolverlo l’Università per Stranieri di Siena ha realizzato la CILS -
Certificazione di Italiano come lingua Straniera in seguito a una
convenzione-quadro stipulata tra il Ministero degli Affari Esteri e
l’Università stessa e alla legge istitutiva dell'Ateneo (Legge n. 204 del
17.02.1992) e alle norme generali sul sistema universitario italiano. Grazie a
una serie di convenzioni operative fra l’Università per Stranieri di Siena, gli
Istituti Italiani di Cultura, Università e altre qualificate istituzioni
culturali, a partire dal giugno 1993 gli esami di Certificazione CILS si sono
svolti in due sessioni all’anno (giugno e dicembre) in più di 200 sedi in
Italia e nel mondo: ha permesso a migliaia e migliaia di nuovi
cittadini il conseguimento della certificazione CILS. Una certificazione atta a garantire un adeguato livello
dell’ italiano spendibile nel mondo del lavoro qualificato. Oggi le
recenti disposizioni inerenti il
test di lingua italiana per ottenere il permesso di soggiorno CE per i
soggiornanti di lungo periodo, sancite dal decreto dello scorso 4 giugno del Ministero dell’Interno, di
concerto con il Ministero
dell’Istruzione, dell’Università e della ricerca , ci spingono ad una nuova sfida sociale. Una sfida sociale fatta di diritti e
naturalmente di doveri, anche per i potenziali 340mila cittadini stranieri che ne potranno
usufruire. Una sfida che il Patronato ITAL, in prima persona ha deciso di affrontare , come sempre, in
maniera concreta, qualificata e lungimirante e sono sicura che la UIL ed il
dipartimento che rappresento
continuerà a promuovere politiche di sostegno atte a concretizzare
quella società interculturale da sempre da noi auspicata.
Lo
strano sbarco di Latina
di Carlo Cefaloni
L’insolito approdo di extra comunitari sulle spiagge laziali punta i
riflettori sul fenomeno del lavoro nero diffuso nell’area. Le possibili
risposte di chi offre accoglienza sul territorio.
Latina, 7
ottobre 2010 - Le autorità hanno assicurato che si tratta di un evento non
destinato a ripetersi. Sulla spiaggia di un albergo di lusso sul lungo mare di
Latina è approdata una nave con alcuni passeggeri clandestini. Non se ne
conosce il numero effettivo ma solo che alcuni di loro sono stati intercettati
e rispediti in Egitto con un volo charter. La notizia ha fatto scalpore per la
vicinanza con Roma che dista pochi chilometri da quel litorale. Tanti gli
interrogativi ricorrenti. Come sono riusciti ad eludere i controlli? Hanno
sbagliato veramente rotta? E’ un altro allarme che deve destare preoccupazione
e fa riferimento ad un’invasione meno appariscente e molto più aggressiva. Quel
carico di “merce umana”, osserva il presidio antimafia di Libera, è come se
fosse «una consegna diretta all’organizzazione del lavoro nero che domina nelle
campagne e nell’edilizia sul territorio pontino». Per capire le dimensioni del
fenomeno bisogna far ricorso al dossier statistico della Caritas, pubblicato
nel 2009, secondo cui la presenza stabile di stranieri si attesterebbe, in
provincia di Latina, intorno alle 26 mila unità. Occorre poi aggiungere una
quantità di lavoratori stagionali che sfuggono a ogni controllo. Ad esempio,
gli indiani, che forniscono le braccia al lavoro agricolo e all’allevamento di
bestiame, sono almeno 5 volte i 1.790 residenti ufficiali. Arrivano dallo stato
indiano del Punjab, non per nave, ma con l’aereo e visto turistico, già
indebitati con il sistema malavitoso che li ha reclutati e fatti arrivare per
lavorare almeno 12 ore al giorno, sabato e domenica inclusi, per pochi euro.
Come ci racconta Mariagabriella Vitiello, responsabile dell’ufficio
immigrazione della Uil, «si tratta di persone pacifiche, non abituate a
rivendicare i propri diritti. Si indebitano per cifre sostanziose che a
malapena riescono a rimborsare, finendo preda di sindromi depressive da
esclusione sociale». Potrebbero denunciare la condizione di sostanziale
schiavitù in cui si trovano guadagnando il diritto al permesso di soggiorno, ma
«vince la paura per i tempi lunghi dei processi e le vendette che possono
arrivare da tante parti». Il mediatore indiano, Ajay Kumar Rattan, volontario
del sindacato UIL, che si occupa d'immigrazione presso l'ufficio di Terracina,
recentemente si è recato in India per invitare, anche sui mezzi di stampa, a
bloccare le partenze per l’Italia dove non li attende il benessere ma una
situazione di sofferenza e di privazione assoluta di diritti. Eppure, ci
conferma la Vitiello, «continuano ad arrivare con un‘età media sempre più
bassa». Gli stessi uffici pubblici per l’immigrazione, pur con tutta la buona
volontà, difettano di mezzi (perfino la carta) e di strumenti adeguati per
gestire l’enorme mole di lavoro. Ci sono pratiche di ricongiungimento familiare
che, pur tutto in regola, possono durare oltre due anni. Ancora più carente la
dotazione dell’Ispettorato del lavoro. Eppure esiterebbero le condizioni per
far emergere tanto lavoro nero. Il sindacato dei lavoratori agricoli Cgil,
proprio per rompere la coltre di silenzio, lo scorso maggio, ha promosso un
corteo nella città di Latina chiedendo al Prefetto l’adozione di «interventi
mirati per contrastare il lavoro nero e dare vita ad alloggi decenti per questi
lavoratori, favorendo il ricongiungimento familiare e la messa in atto di reali
politiche d’integrazione». Le risposte continuano a non arrivare, mentre c’è il
lavoro giornaliero di chi, come Mariagabriella Vitiello, ha iniziato a
dedicarsi a queste urgenze a partire dall’esperienza del servizio civile. Il
territorio esige il riconoscimento della dignità umana di tanti cosiddetti
«lavoratori-fantasma», che non possono restare in balia dei caporali. E forse
questo è un servizio civile da svolgere collettivamente.
Napoli, 06/10/10 -
Rimarranno
fermi ai bordi delle strade, in prossimità delle 'rotonde' della Campania dove
ogni mattina, da anni, vengono ingaggiati dai 'caporali' e rifiuteranno le
offerte di lavoro nero e sottopagato. Così gli extracomunitari delle province
di Napoli e Caserta, attueranno, venerdì prossimo, 8 ottobre, il primo
'sciopero delle rotonde' organizzato per dire no allo sfruttamento. "Sarà
una protesta contro lo sfruttamento e per la regolarizzazione, senza la quale è
difficile far rispettare i propri diritti" affermano in un documento gli
organizzatori della protesta. "Con la crisi - spiegano - le paghe reali
scendono sotto i 25 euro per una giornata di lavoro pesante che dura dodici
ore". Le rotonde stradali dove avverrà la protesta sono a Licola, Pianura,
Quarto, Villa Literno, Baia Verde, Giugliano, Qualiano, Afragola, Arzano ed
anche in zone come Casal di Principe ed il quartiere periferico napoletano di
Scampia dove la camorra utilizza gli extracomunitari offrendo loro paghe da
fame. "Con questa prima e storica iniziativa - si legge nel documento -
tantissimi lavoratori vogliono ricordare alle istituzioni locali e nazionali
che il lavoro migrante in questi territori non è solo quello di 'colf e
badanti' (rispetto alle quali si è ristretta l'ultima sanatoria) e che solo
un'ipocrisia interessata spinge a non vedere le tantissime persone che si
ammazzano di fatica mentre contribuiscono alla fragile economia di questa
regione".
El
crecimiento cero se ha seguido considerando el peor de los males, pese a que a
comienzos de los setenta el Club de Roma lo defendiese como única forma de
sobrevivir a la catástrofe ecológica. Además de la afirmación, harto
problemática, de que sin la inmigración no se podrían pagar las pensiones en un
futuro no muy lejano, el argumento de mayor calado es que resulta
imprescindible para seguir creciendo. Últimamente actúa de contrapeso el que
vayan en aumento las voces de los que cuestionan el crecimiento indefinido,
pero sobre todo el hecho de que disminuya la demanda de trabajo no cualificado.
En las etapas de fuerte demanda de fuerza de trabajo, que parecen pertenecer ya
al pasado, -el crecimiento se consigue más bien eliminando puestos de trabajo-
el capital estuvo ante el dilema de afrontar una rápida subida del precio del
trabajo, que solo cabría contrarrestar mejorando la productividad, lo que exige
altas inversiones, o bien, una vez agotado el ejército de reserva en
el mercado nacional, acudir al abundantísimo internacional.
No cupo la
menor duda de que lo que más convenía a la mayoría de los sectores, sin
capacidad inversora para mejorar la productividad, era importar mano de obra
para mantener los salarios dentro de límites tolerables, aun a sabiendas de que
con ello se salvaban empresas a la larga no competitivas. En todo caso, los
inmigrantes permanecerían en el país mientras se los necesitase y volverían a
sus países cuando cambiase la coyuntura: "trabajadores huéspedes"
(Gastarbeiter) se les llamó en Alemania.
Cuando
disminuyó drásticamente el empleo para trabajadores no cualificados -la mayor
parte inmigrantes- las empresas los despidieron, pero solo regresaron aquellos
-italianos, españoles- que podían rehacer sus vidas en los países de origen. En
cambio, los que provenían de países en los que se mantenía una enorme distancia
socioeconómica respecto al de acogida, el Estado social les ofrecía muchas
mejores condiciones de vida de las que tendrían a su vuelta. Así que con
bastante tranquilidad asumieron su nueva condición de población subsidiada en
paro. Si a ello se suman los costes que en educación y sanidad trajo consigo la
reunificación familiar de una población que había desembocado en el paro,
pronto se cayó en la cuenta de que, si bien las empresas se habían beneficiado,
y mucho, de la inmigración, el Estado, es decir, el conjunto de los
contribuyentes, al final es el que se encarga de los altos costos de mantener
cientos de miles de trabajadores sin una perspectiva de poder emplearlos.
Algo parecido
ha ocurrido con la salvación de los bancos que acumularon enormes beneficios en
los años de las vacas gordas, pero al llegar la crisis que ellos mismos
originaron, es el dinero público el que paga los trastos rotos. Cierto que de
ello la población es mucho más consciente, aunque hasta ahora no hayamos
logrado dar un paso que nos asegure que no volverá a ocurrir. En cambio,
beneficios y costos de la inmigración sigue siendo un tema tabú en el que reina
la mayor confusión que da pábulo a prejuicios y mitos que creíamos que
pertenecían al pasado.
Según el
reciente libro de Thilo Sarrazin que ha provocado un gran escándalo, el que una
buena parte de la población de origen turco muestre un índice de parados muy
superior a la media, se debería, no a la globalización, deslocalización de la
industria, innovación tecnológica, ni a los obstáculos al desarrollo en el país
de origen, sino que los inmigrantes turcos serían los culpables. El que no
fuesen empleables ni integrables se debería, tanto a causas raciales, tendrían
una inteligencia inferior a la de los alemanes, como a razones culturales: los
musulmanes no se dejan asimilar en la cultura europea.
Se comprende
que con su trágico pasado, la Alemania institucional haya sido contundente a la
hora de reaccionar ante el racismo y la islamofobia que, como una marea negra,
se extiende por Europa, máxime cuando cuenta con un gran apoyo social. Pero una
reacción tan exagerada no se explica, sin subrayar que a muchos se les han abierto
los ojos sobre los costos de la inmigración y esto podría poner en cuestión un
aspecto esencial de la regulación del mercado de trabajo.