Newsletter
periodica d’informazione
(aggiornata
alla data del 21 ottobre 2010)
Economia sommersa: nei campi lavora in nero la metà degli stranieri
Sommario
o
Dipartimento Politiche
Migratorie – Appuntamenti pag. 2
o
Economia sommersa - Nei
campi è in nero la metà degli stranieri
pag. 2
o
Sommerso - Sacconi
firma accordo programma per lavoratori extra-UE pag. 3
o
Lavoro nero -
l’inferno in alto mare dei pescatori schiavi pag. 3
o
Sommerso – A
Rosarno le arance sono mature: chi le raccoglierà? pag. 5
o
Società – Ancora
voci su decreto flussi 2010 pag. 6
o
Internazionale –
Ban Ki-moon: non discriminare i migranti; Merkel ed il multiculturalismo pag. 7
o
Dai Territori –
il 7% delle imprese lombarde hanno un titolare straniero pag. 9
o Foreign
Press – EJF report: the abuse of human rights at sea pag.10
A
cura del Servizio Politiche Territoriali della Uil
Dipartimento
Politiche Migratorie
Rassegna
ad uso esclusivamente interno e gratuito, riservata agli iscritti UIL
Tel.
064753292- 4744753- Fax: 064744751
n.
293
Dipartimento Politiche Migratorie: appuntamenti
Roma, 22 ottobre 2010, ore 12.30,
pazza Trevi 86
AICCRE: presentazione
dell’help –desk telefonico sul ritorno volontario assistito
(Giuseppe Casucci)
Roma, 26 ottobre 2010, ore 10.30
– Teatro Orione
Caritas – Migrantes:
presentazione del Dossier Statistico Immigrazione 2010
(Giuseppe Casucci, Angela Scalzo)
Bruxelles, 27 ottobre 2010, ore
09.00
CES: riunione del gruppo
migrazione ed inclusione
(Giuseppe Casucci)
Roma, 28 ottobre 2010, ore 14.00,
Borgo S. Spirito 78
Incontri con controparti
datoriali in materia di immigrazione: incontro congiunto Confcooperative e Lega
delle Cooperative
(Guglielmo Loy, Giuseppe Casucci)
Roma, 3 novembre 2010, ore 15, C.so
Vittorio Emanuele II, 101
Incontri con controparti
datoriali in materia di immigrazione: incontro con Confagricoltura
Bruxelles, 05 novembre 2010, ore
09.00
Seminario CES: “Domestic Workers’ Rights”
(Giuseppe Casucci)
Roma, 18 novembre 2010, ore 16 sede BNL via Crescenzo Del Monte,
27
Seminario UNAR: “Diversità al lavoro”
(Angela Scalzo)
Economia sommersa
Dal nostro inviato Paolo
Lambruschi, Avvenire
Torino, 19 ottobre 2010 -
Lavoratori stranieri reclutati nelle aree più derelitte del globo e portati con
l’inganno nelle nostre campagne al Sud o in cantieri subappaltati al Nord, a
sgobbare in nero per due euro all’ora fino a quindici ore al giorno. Come
schiavi. Uno sfruttamento sommerso che non risparmia neppure il lavoro
domestico, in questo caso diffuso in maniera uniforme lungo tutta la Penisola.
Sono perlopiù uomini giovani, tra i 20 e i 40 anni, vittime di tratta, perché
hanno pagato due o tremila euro in patria per uno pseudo contratto di lavoro
che consentirebbe di sfamare moglie e figli a casa. Ma che, appena varcati i
confini del Belpaese, si trasforma in schiavitù contemporanea bella e buona. Zero
tutele, condizioni abitative e igieniche inumane, rischi per la salute, salari
in nero e da fame, intimidazioni, ricatti, violenze. Le vittime sono anche
costrette a versare tangenti, di norma il 60% della già bassa paga, ai
"caporali", gli intermediari perno della truffa, di norma
connazionali in combutta coi datori italiani e spesso con cartelli mafiosi. A
dieci mesi dai fatti di Rosarno, il Gruppo Abele, insieme a Caritas Italiana,
Acli Colf, Associazione Papa Giovanni e altre realtà del privato sociale, in
collaborazione con sindacati e associazioni datoriali, ha scelto di dedicare a
Torino la Giornata europea contro la tratta agli esseri umani alle vittime del
lavoro nero. Sono l’altra faccia dimenticata del traffico di braccia e corpi,
accanto a quella ben più evidente a scopo sessuale. Vi sono anche poche
denunce, nonostante la legislazione italiana ed europea la puniscano duramente.
Ma una vittima magari irregolare, se denuncia perde l’unica fonte di
sostentamento. E non ha molte garanzie di tutela perché l’applicazione della
legge resta arbitraria. A luglio, poi, ha chiuso per mancanza di fondi il
numero anti-tratta del ministero delle Pari opportunità, unico canale di
denuncia accessibile. Insomma c’è un problema di coscienza culturale e politica.
Per il responsabile immigrazione della Caritas nazionale, Oliviero Forti, il
fenomeno in Italia non è quantificabile, anche se a livello globale
l’Organizzazione internazionale del lavoro stima 12 milioni di persone
sfruttate in maniera grave o gravissima sul luogo di lavoro. Ma gli allarmi
mandati dalle antenne diocesane puntate sui migranti dicono che nelle campagne
del Mezzogiorno, dove i braccianti immigrati che lavorano in nero sarebbero tra
gli 80 e i 100mila (ovvero circa la metà del totale degli stranieri presenti
nel settore agricolo), ci sono ancora troppe situazioni come quella di Rosarno.
«Certo - afferma Forti - abbiamo buone norme anti-tratta, ma sono applicate
soprattutto alle forme di sfruttamento sessuale». I dati raccolti nell’ultimo
anno dallo sportello giuridico del Gruppo Abele tracciano un identikit
geografico dei nuovi schiavi. Provengono dall’Est, da Moldavia, Romania e
Ucraina (attivi nel lavoro domestico e in cantieri soprattutto al Centro e al
Nord), dal Maghreb (muratori al Centro e al sud) come dall’Africa subsahariana,
dall’America Latina e dalla Cina. «La vita delle persone non si vende e non si
compra - ammonisce don Luigi Ciotti, presidente dell’associazione torinese -
una società non può dirsi civile se vengono tollerate simili situazioni lesive
del diritto alla vita e della dignità umana».
(ASCA) - Roma, 14 ottobre 2010 - E'
stato firmato tra il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali e le Regioni Sicilia, Campania,
Calabria e Puglia, un Accordo di Programma che ha come obiettivo la
realizzazione di un intervento sperimentale di politica attiva del lavoro finalizzato alla prevenzione del lavoro
sommerso. L'intervento, nell'ambito dei fondi P.O.N, mira a rafforzare -
precisa un comunicato - la cooperazione interistituzionale nell'ambito delle
azioni rivolte al coordinamento degli interventi rivolti a contrastare il
lavoro illegale che coinvolge con particolare intensità i lavoratori immigrati.
E' prevista, pertanto, la creazione di una rete di relazioni stabili tra
soggetti istituzionali e operatori autorizzati in base al Decreto Legislativo
del 10 settembre 2003, n. 276 (Parti sociali, Enti bilaterali, Associazioni
imprenditoriali) finalizzate a concertare azioni di politica attiva del lavoro
volte a prevenire il lavoro sommerso, a qualificare le reti di domanda-offerta,
a favorire il rapido inserimento al lavoro dei disoccupati. I 5 milioni di euro
messi a disposizione delle Regioni saranno utilizzati in particolare per
promozione ed attuazione di interventi formativi per almeno 3.000 disoccupati,
in via prevalente cittadini extracomunitari, e all'attuazione dei modelli
operativi in 8 aree territoriali (2 per ogni Regione) nei settori produttivi
dell'agricoltura, edilizia, dei servizi alla persona e del turismo.
A Italia
Lavoro spa, ente in house del Ministero del lavoro che svolgerà il ruolo di
soggetto attuatore dell'azione, sarà affidato il compito di definizione di
sistemi informativi, supporti e procedure trasferibili per il monitoraggio e la
gestione dei bacini di disoccupati, le attività formative attraverso l'utilizzo
e la messa in rete di piattaforme gestionali integrate per le varie tipologie
del rapporto di lavoro, la certificazione delle competenze, la verifica degli
esiti occupazionali, la gestione di patti di attivazione per i disoccupati e le
procedure amministrative di supporto.
>> scarica il testo dell'accordo
Scarica il rapporto:
http://www.ejfoundation.org/pdf/ejf_all_at_sea_report.pdf
di Emanuela Stella, La repubblica
LONDRA, 19 ottobre 2010 - Costretti
ai lavori forzati per mesi, anche per anni, in ambienti malsani e senza alcuna
misura di sicurezza, schiavi di un business che frutta 10 miliardi di dollari e
11milioni di tonnellate di pesce l'anno. Sono gli uomini che lavorano sui
pescherecci pirata, che saccheggiano l'ecosistema dei paesi poveri, soprattutto
quelli dell'Africa occidentale, a caccia di gamberi, aragoste e tonni,
mantenendo in schiavitù decine di migliaia di uomini. E' importante sapere che
il prodotto di questa pesca di rapina, che conta sull'impunità perché condotta
in alto mare, finisce in gran parte sui mercati europei.
Nelle stive con 45°. La denuncia (in questo 2010 che è stato
proclamato Anno internazionale della gente di mare dall'Imo, International
Maritime Organization) viene dagli attivisti della Environmental
Justice Foundation 1 (EJF) che, pattugliando il mare su
una motovedetta della Sierra Leone, per verificare la consistenza del danno
portato al patrimonio ittico del pianeta, si sono imbattuti in un peschereccio
sudcoreano, che era un vero e proprio inferno galleggiante. Gli uomini
lavoravano nella stiva del pesce senza aria né ventilazione, a temperature di
40-45 gradi. Intorno a loro lamiere bollenti, arrugginite e puzzolenti; come
cibo lo scarto del pescato che non è vendibile, da contendere agli scarafaggi,
e per lavarsi una pompa che aspira acqua dal mare.
Per salario pesce spazzatura. I pescatori, tutti della Serra
Leone, hanno riferito che non venivano pagati in denaro ma con cassette di
"pesce spazzatura" che cercavano di vendere sulla costa africana. Se
qualcuno osa lamentarsi, riferisce il "Guardian" che alla vicenda ha
dedicato un reportage, viene abbandonato sulla spiaggia più vicina. Nel maggio
scorso al largo della Sierra Leone è stato individuato un peschereccio pirata
con 150 lavoranti senegalesi, impiegati in turni di 18 ore giorno e
notte, costretti a vivere e a mangiare in ambienti alti meno di un metro.
La nave, scrive il "Guardian", era munita di una licenza per
l'importazione di pesce nell'Unione Europea, in barba agli elevati standard
igienico-sanitari che vigono da noi.
Sulle navi anche per anni. Nel 2006 era stata intercettata
nelle stesse acque una nave con una ciurma di 200 senegalesi costretti in
condizioni disumane, che per dormire si arrangiavano sui cartoni da imballaggio
ammucchiati: quella nave non figurava sul registro della navigazione
della Sierra Leone e secondo testimoni aveva appena attraccato a Las Palmas, nelle
Canarie, considerato il principale punto di approdo europeo del pesce pirata
dell'Africa occidentale. Queste navi restano in mare anche per interi anni. La
maggior parte dei pescherecci non attracca mai nei porti: trasferiscono il
pescato su altre navi, vengono riforniti di combustibile in mare, gli equipaggi
fanno la spola con la terraferma su altre imbarcazioni, e nessuno sa cosa
succeda effettivamente a bordo.
La solita logica: minimizzare i costi. La pesca è comunque una
delle occupazioni più pericolose del mondo e la vita a bordo dei pescherecci è
sempre piena di rischi. Le condizioni meteorologiche estreme, i lunghi periodi
in mare, la natura stessa dell'impegno prestato rendono l'esistenza di questi
uomini faticosa e aspra: ma chi lavora sui pescherecci pirata sta molto peggio,
e verificare le loro condizioni di lavoro è estremamente arduo. La
"filosofia" del business è semplice: massimizzare il prodotto
minimizzando i costi. Le imbarcazioni sono vecchie carrette in pessime
condizioni, e gli uomini vengono prelevati da agenzie di collocamento
"specializzate" nelle zone rurali dell'Africa (ma anche di Cina e
Indonesia): sono spesso analfabeti, mancano di qualunque formazione specifica -
quasi nessuno sa nuotare - e lavorano in assenza delle condizioni minime di
sicurezza e di igiene, dentro stive soffocanti, privi di qualunque tutela.
Violenze e maltrattamenti. "E' difficile trovare lavoro,
c'è tanta miseria, dobbiamo adattarci perché non c'è lavoro -
spiega un uomo imbarcato su una nave sudcoreana . - Se ti offrono un salario di
200 dollari lo prendi, perché così dai da mangiare alla tua famiglia". Ma
una volta a bordo questi uomini scoprono che la realtà è diversa da quello che
gli era stato fatto credere: molti di coloro che vorrebbero andarsene sono
costretti a restare a bordo perché gli sono stati sequestrati i documenti. La
violenza e i maltrattamenti su queste navi sono all'ordine del giorno, e
sono stati segnalati persino degli omicidi.
Per mesi a guardia di una nave in disarmo. Al largo della
costa della Guinea EJF ha individuato decine di pescherecci abbandonati: gli
uomini a bordo sono lasciati senza comunicazioni radio per mesi, anche per
anni. L'organizzazione ha raggiunto un uomo di origine asiatica che viveva da
sette mesi su uno di questi pescherecci in disarmo, per "fargli la
guardia": "Mi ha mandato qui la società, mi mandano una barca con il
mangiare, pesce o gamberi. Io non ci volevo venire, nessuno vuole venire
qui".
Incalcolabili i danni causati all'ecosistema da questa pesca senza scrupoli: il
fondo del mare viene arato con catene che distruggono tutto quello che
incontrano, compresi i banchi di corallo, e più della metà del pescato, pesci
morti e mutilati, viene ributtata a mare perché inservibile.
Cambiano nome e bandiera. I pescherecci pirata possono
cambiare nome e bandiera diverse volte, nella stessa stagione; e le
imbarcazioni fanno capo a società di comodo delle quali è quasi impossibile
individuare i titolari. La sanzione massima per la pesca illegale si aggira sui
centomila dollari, che, come sottolinea la EJF, corrisponde a meno di due
settimane di profitto. E quando una nave viene multata per pesca
illegale, in capo a qualche settimana torna in mare con un altro nome e
un'altra bandiera. Sfruttando le scappatoie e le lacune delle normative
vigenti, proprietari di pescherecci e compagnie senza scrupoli, sottolinea
Greenpeace, usano bandiere di comodo per eludere non solo i regolamenti
internazionali per la gestione e la conservazione del patrimonio ittico, ma
anche le norme sulla sicurezza e i diritti dei lavoratori. Queste bandiere
possono essere comprate e vendute su internet: con 500 dollari, sostiene
Greenpeace, è possibile assicurarsi una bandiera di Malta.
di GIULIA CERINO
Rosarno,
19 ottobre 2010 - E' passato quasi un anno. E a Rosarno non è cambiato nulla.
Anzi. "La situazione è peggiorata- dice Don Pino De Masi, responsabile
dell'associazione Libera - i ghetti non ci sono più, quindi non ci
sarà nemmeno un tetto dove i migranti potranno ripararsi dalla pioggia o
prendere l'acqua potabile. La polizia è in allerta perché deve evitare in ogni modo
il lavoro nero, il che è bene ma non aiuta di certo chi un lavoro non lo trova
e in più l'agricoltura non va benissimo. Per quest'anno - dice ancora il
sacerdote - non siamo ancora riusciti a capire se le arance si raccoglieranno o
no. Insomma, siamo al punto di partenza".
"L'inverno fa paura". Don Pino conosce bene la Piana
di Gioia Tauro e si ricorda dell'anno scorso, quando i lavoratori stranieri
impiegati nella raccolta degli agrumi hanno ribaltato la città, bruciando
macchine e cassonetti, hanno protestato contro l'indifferenza che aleggiava
intorno alla loro posizione di braccianti-schiavi, sfruttati nella raccolta
delle arance dai caporali calabresi. Era guerra civile. E per Libera, in vista
del prossimo inverno, c'è il rischio che le cose si metteranno anche peggio.
Forse non ci saranno uomini feriti e disordini nelle strade. Ma questa volta,
come l'altra volta,"l'emergenza è soprattutto umanitaria".
Ne arriveranno solo 500. E aggiunge: "Infatti, l'unica
cosa che è cambiata dall'anno scorso è il numero degli immigrati attesi per la
raccolta. Saranno 500 circa e non più 2500". L'arrivo della stagione
fredda a Rosarno fa paura. E anche dalla politica cominciano ad alzarsi alcune
voci, isolate. Ignazio Messina, deputato e commissario calabrese per l'Idv, ha
parlato in una riunione presieduta dal prefetto di Reggio Calabria dove erano
presenti alcuni sindaci della piana di Gioia Tauro e le forze dell'ordine, per
"mettere in evidenza quello che è un rischio concreto che si può
verificare anche quest'anno". Alla riunione c'era anche Don Pino. Lui sa
che ogni anno nella Piana di Gioia Tauro arrivano circa duemila immigrati,
mentre pare che il lavoro disponibile oggi sia soltanto per poche centinaia di
lavoratori.
Rosarno, nessun progetto in vista. E c'è di più. A far temere
una Rosarno bis, ci si mette anche il fallimento di vecchi progetti sociali
iniziati, mai finiti, naufragati o dai risultati irrisori. Come quello
inaugurato nel 2007, con il quale, con un solenne protocollo alla Prefettura di
Reggio Calabria, si decise di trasformare la "Cartiera", una delle
fabbriche in disuso dove vivevano gli immigrati, in un centro d'aggregazione
sociale. Non se ne fece nulla e per anni gli africani passarono gli inverni
dormendo tra i cartoni. O come l'appalto pubblico vinto da una ditta privata
per costruire container che accogliessero gli immigrati senza tetto. Il
progetto naufragò dopo meno di due mesi a causa del ricorso dell'impresa
arrivata seconda.
I box doccia di Maroni. Poi, fu il momento del ministro Maroni
che stanziò 200 mila euro per i box doccia dell'Opera Sila, l'altro
lager-accampamento di Rosarno. Per le associazioni di volontariato si trattò di
una spesa "irrisoria", per nulla paragonabile a quella investita
nell'ultimo progetto sociale inaugurato pochi mesi fa dal ministero
dell'Interno nell'ambito del Pon Sicurezza. Il progetto
Obiettivo 2.5 1 è l'unica iniziativa sponsorizzata dallo
Stato italiano, da quando si è scatenata la protesta, nel dicembre-gennaio
dell'anno scorso. Il piano prevede che la Beton Medma di Rosarno, il
cementificio confiscato al clan dei Bellocco, venga smantellato per fare posto
ad un edificio da 60 posti letto con uno spazio dedicato all'intrattenimento e
supporto scolastico dei bambini, uno sportello sociale ed uno per la formazione
professionale. Per un costo di 2 milioni di euro stanziati da Stato e Unione
europea. Il cantiere è già stato aperto. Peccato però che l'inverno sia già
alle porte mentre, per completare i lavori - spiega il Pon - ci vorrà più di un
anno.
Il volontariato in allerta. Ecco perché a nella Piana si teme
il peggio. Ed ecco perché il mondo del volontariato ha già iniziato a
rimboccarsi le maniche. Caritas, Tenda di Abramo, Rete antirazzista romana,
DaSud e Action sono solo alcune delle associazioni e onlus che per
quest'inverno hanno avuto un'idea: fare rete e monitorare le zone "a
rischio" della Piana, seguendo gli immigrati da vicino, verificando le
condizioni abitative e lavorative affinché, pur senza un tetto dove ripararsi,
non subiscano sfruttamenti. L'associazione DaSud, per esempio, oltre alla sede
romana dove ha aperto una sorta di assemblea permanente (con associazioni,
partiti, movimenti, centri sociali, artisti) per tenere alta l'attenzione su Rosarno
lavora attivamente nella Piana, combatte il lavoro nero e, attraverso il web,
si muove per valorizzare le vertenze dei migranti, trovare gli alloggi e lavori
dignitosi. Ma DaSud non è sola.
Lontano dai riflettori. Ma conosciutissimo in terra calabrese,
l'Osservatorio migranti africalabria 2 è il movimento di
volontari che nella Piana ha sempre fatto il lavoro sporco. "Facciamo
quello che dovrebbe fare lo Stato - spiega Giuseppe Pugliese
- rappresentante dell'associazione a Rosarno. Portiamo la corrente
elettrica nelle case-accampamenti degli immigrati, li andiamo a prendere con le
macchine, forniamo acqua potabile, andiamo al discount e cerchiamo di fornirgli
tutto il necessario. L'abbiamo fatto l'anno scorso e lo rifaremo ma non solo in
caso di scontri e guerriglia. Noi lo facciamo sempre". I primi migranti
africani in cerca di lavoro sono già arrivati. Ora dormono nelle macchine. A
Rosarno invece, quest'anno, tutto è ancora fermo.
Gli africani salveranno Rosarno. "I prefetti se ne
andranno perché a novembre il comune, sciolto per mafia dal 10 dicembre 2008
per due volte consecutive, tornarà al voto. Medici senza frontiere
- conclude Pugliese - ha comunicato che non verrà. Contiamo invece di
contattare Emergency". Intanto su Facebook l'Osservatorio ha aperto da
ormai quasi un anno un gruppo che sta registrando un boom di iscritti:
"Gli africani salveranno Rosarno" si propone soprattutto di
combattere il razzismo. Online, infatti, sono tanti i "post" di solidarietà.
Ma tra un messaggio e l'altro, compare anche qualche testimonianza diretta.
Come questa: "L'anno scorso ero lì. Io c'ero. Se potessi me ne andrei in
Francia. Ho il permesso di soggiorno ma non ho i soldi per il biglietto. Per
questo, quest'anno forse tornerò a raccogliere mandarini. Ma davvero per
mangiare devo essere trattato da animale? Forse allora preferisco morire di
fame".
Decreto flussi 2010 per gli immigrati lavoratori subordinati
http://www.net1news.org/sites/default/files/net1news_logo.gif
Il decreto
flussi 2010 per i lavoratori subordinati dovrebbe essere emanato a breve.
Sembra ormai certa la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale per novembre 2010. Da
quanto si apprende, il decreto autorizzerà l'ingresso in Italia di circa
150.000-170.000 lavoratori extracomunitari. Le domande di regolarizzazione
dovranno essere immesse direttamente dal datore di lavoro e con modalità
online, così come già accaduto in passato.
Il provvedimento sui flussi dei lavoratori subordinati extracomunitari è ormai
atteso da parecchio tempo, risale infatti al 2007 l'ultimo decreto di questo
tipo. Nel 2010 infatti è stato emanato il provvedimento solo per i flussi dei
lavoratori stagionali.
In realtà però c'è da dire che questa non è altro che una sanatoria "mascherata"
con la quale si andranno a regolarizzare, sempre mediante la domanda presentata
dal proprio datore di lavoro, le situazioni dei lavoratori extracomunitari già
presenti e che già lavorano in Italia.
Siamo quindi in attesa delle comunicazioni ufficiali sui modi e i tempi di
attuazione del decreto, i cui dettagli sanno probabilmente pubblicati in
Gazzetta Ufficiale il prossimo novembre.
(AGI/AFP) - Strasburgo, 19 ott. - La
crisi economica "non deve servire da alibi per politiche discriminatorie
verso gli immigrati". Lo ha dichiarato davanti al Consiglio Europeo il
segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon, che ha poi aggiunto: "In molti
Paesi sviluppati l'immigrazione e la recessione economica stanno suscitando una
paura crescente usata come alibi per giustificare politiche di discriminazione
e esclusione". Per l'ex ministro degli Esteri sudcoreano, "i diritti
umani non sono negoziabili, perche' non sono un menu da cui si puo'
scegliere". Il discorso del segretario generale delle Nazioni Unite
avviene a un mese dalle celebrazioni del 60esimo anniversario della Convenzione
europea per i diritti umani, e alla vigilia di un vertice Ue per discutere il caso
Rom in Francia dopo che l'Eliseo ha deciso l'espulsione di un'intera comunita'
verso Romania e Bulgaria. Ban ha quindi bacchettato i Paesi europei per non
avere ancora ratificato la Convenzione Onu sui Diritti dei Lavoratori Migranti:
"A 20 anni dalla sua adozione nessuna grande nazione europea l'ha firmata
o ratificata", ha sottolineato per poi rammaricarsi: "In alcune delle
piu' avanzate democrazie del pianeta, fiere della loro lunga storia di
progresso sociale, agli immigrati vengono ancora negati i diritti
basilari". (AGI) Red/Gav
Il
cancelliere tedesco Angela Merkel sente che il vento olandese del
populista Geert Wilders sta
lambendo la sua Germania e soprattutto i suoi elettori sempre più scontenti del
politically correct della Cdu-Csu e da politica consumata, erede di Helmut Kohl, dice che il multiculturalismo in
Germania è fallito. La mossa, che seppellisce 40 anni di politica
sull'immigrazione in Germania e i suoi lavoratori-ospiti, è fatta apposta per
uccidere in culla un possibile nuovo rivale, il neopartito anti-islamico
tedesco in crescita di consensi proprio sull'onda di quando sta accadendo in
Olanda, Svezia e Danimarca. Un nuovo partito a destra vorrebbe dire ridare
fiato ai socialdemocratici e perdere le prossime elezioni nel 2011 previsti nei
principali laender tedeschi, tra cui il Baden-Wurtenberger. Non solo. Il
cancelliere rilancia su un seggio unico e permanente all'Onu per la Unione
europea per cercare di recuperare una leadership in Europa appannata da qualche
irrisolutezza e calcolo di breve respiro. Senza contare che la Merkel sta
subendo l'insidiosa concorrerenza interna nel partito del popolare ministro
della Difesa Karl-Theodor zu Guttemberg. Insomma c'è di che preoccuparsi per
rilanciare una leadership ammaccata da una gestione della crisi greca non
proprio esaltante e con un euro verso 1,40 che sta creando forti malumori
interni , dal partner francese e soprattutto dall'area mediterranea. Ma andiamo
con ordine e partiamo dal multicultularismo ormai kaputt come avrebbe detto
Curzio Malaparte. La cancelliera tedesca ha dichiarato che il modello di una
Germania multiculturale, nella quale coabitano armoniosamente culture
differenti, è «completamente fallito». Mentre nel paese il dibattito
sull'immigrazione esplode e si infiamma, la Merkel a una platea di giovani del
suo partito conservatore Cdu e della sua ala bavarese Csu ha detto che la
Germania ha bisogno degli immigrati come manopodera ma essi devono integrarsi e
adottare la cultura e i valori tedeschi. L'approccio 'Multikultì
(multiculturale) del «Viviamo fianco a fianco e ne siamo felici» è fallito - ha
dichiarato la Merkel - «È completamente fallito». E, pur
ribadendo che la Germania resta un paese aperto al mondo, ha ripetuto: «Non
abbiamo bisogno di un'immigrazione che pesi sul nostro sistema sociale».
Insomma chi viene deve integrarsi accettando le regole europee, altrimenti
torna a casa. La cancelliera aveva poi aggiunto che gli immigrati devono adottare
cultura e valori della Germania: «Noi ci sentiamo legati ai valori cristiani.
Chi non lo accetta, non è nel suo posto qui». Ha però aggiunto che «l'Islam fa
parte della Germania», citando quanto già detto di recente dal presidente della
Cdu Christian Wulff. Chiaro il riferimento alla polemica dell'introduzione
delle origini cristiane nella Costituzione europea, richiesta sostenuta dal
pontefice Benedetto XVI (il Papa anti-relativismo) e fortemente osteggiata
dall'ex presidente francese Giscard d'Estaing. Secondo la stampa tedesca
Merkel, la cui coalizione di governo liberal-conservatrice è in caduta nei
sondaggi in vista di sei importanti elezioni regionali nel 2011, tenta di
tenere unito il partito e di mobilitare i propri elettori. «Merkel unisce Seehofer
e Wulff», scrive il settimanale Focus, in riferimento alle posizioni più a
destra del capo della Csu bavarese Horst Seehofer, che per primo aveva
dichiarato finito il 'multikultì. Secondo i commentatori, la presa di posizione
del leader Csu, ha forzato la mano alla Merkel costretta a intervenire prima
che la formazione politica si spaccasse ulteriormente su immigrazione e
integrazione. Recenti sondaggi mostrano che il 50% dei tedeschi non gradisce i
musulmani, che con i loro 4 milioni sono il 5% della popolazione. Oltre il 35%
pensa che la Germania sia «sommersa» dagli stranieri, e un inquietante 10%
sente addittura nostalgia di un «Fuehrer». Il dibattito sull'immigrazione è
riesploso a Berlino anche grazie al libro dell'ex alto funzionario della Banca centrale
tedesca Thilo Sarrazin, per il quale il paese «si abbrutisce» sotto il peso
degli immigrati musulmani. Il volume («La Germania va in pezzi») è un successo
tra il pubblico, ma è stato condannato dalla classe politica tedesca anche per
certi echi antisemiti. Stephan Kramer, segretario generale del Consiglio
centrale degli ebrei tedeschi, ha giudicato il dibattito sull'immigrazione
«esagerato, ipocrita ed isterico... dopo sole otto settimane dalla
pubblicazione del libro di Sarrazin, più il dibattito prosegue, e più il suo
livello si abbassa».
Ma Angela Merkel non si è limitata alla questioen multiculturale ed è passata
alla politica internazionale dove ha auspicato una riforma del Consiglio di
sicurezza delle Nazioni unite che preveda un seggio comune e permanente per
l'Unione europea: «Oggi nessun paese può risolvere da solo i problemi globali e
internazionali. Siamo tutti interdipendenti, dobbiamo cooperare», ha dichiarato
il Cancelliere tedesco nel suo messaggio settimanale in video-podcast. La Germania
entrerà a far parte il 1° gennaio del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni
Unite nell'ambito della rotazione biennale dei suoi membri. Un'occasione,
secondo Merkel, per assumersi maggiori responsabilità internazionali, ma che
non deve far dimenticare la necessità di una riforma del consesso che vada di
pari passo con i modificati equilibri del pianeta dopo la fine della Guerra
Fredda e della caduta del Muro di Berlino. Nel messaggio Merkel, che lunedì
sarà in Francia a Dauville con Nicolas Sarkozy e Dmitrij Medvedev per parlare
di un grande programma di sicurezza pan-europeo, ha anche fatto riferimento al
prossimo vertice della Nato a Lisbona al quale sarà invitata anche la Russia:
in quell'occasione «parleremo anche di come sarà possibile far cooperare meglio
la Russia con la Nato. Poiché l'era della Guerra fredda è ormai definitivamente
chiusa». L'apertura al seggio permanenete europeo potrebbe voler dire mettere
in soffitta la richiesta ,sempre osteggiata dall'Italia, di un seggio
permanente tedesco al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. E questa
sarebbe veramente uan grossa novità. Mentre Angela Merkel si dibatte in
questioni come l'integrazione, la riforma dell'Onu e il contestato progetto di
'Stuttgart-21', sui media tedeschi si fa più insistente la voce di un aspirante
alla successione del cancelliere tedesco, nella figura del popolare ministro
della Difesa, Karl-Theodor zu Guttenberg (Csu). Ed eventualmente anche alla
guida della Csu, il partico conservatore bavarese, gemello della Cdu di Angela
Merkel.
Chiamato in causa, Guttenberg ha definito ovviamente queste speculazioni
"bizzarre". La Frankfurter Allgemeine Zeitung (Faz) , il più
autorevole quotidiano tedesco, l'aveva tirato in ballo negli ultimi giorni come
possibile successore di Angela Merkel. Oggi è il turno del settimanale Spiegel
che nell'edizione in edicola domani titola: "I fantastici Guttenbergs. Una
coppia verso la Cancelleria". Le speculazioni sull'ascesa di Guttemberg
provocano scompiglio in seno all'Unione e lo stesso ministro si dichiara
spaventato dalle aspettative dei suoi concittadini che vedono in lui un
salvatore di fronte al crollo dei consensi dell'Unione.
Dai territori
Il 7%
delle imprese lombarde hanno un titolare straniero
Milano, 19 ottobre 2010 - Oltre
il 7% delle imprese lombarde fanno riferimento a persone nate in Paesi a forte
pressione migratoria, ovvero immigrati. Il dato, riferito al 2009, e' stato
comunicato dal segretario generale della Fondazione Ismu Vincenzo Cesareo alla
conferenza 'La sfida delle migrazioni nelle citta' europee', organizzata da
Eurofond, Clip network e Fondazione Ismu, che si svolge oggi a Milano.
'A fine 2009 erano 107 mila le cariche in imprese di persone nate in Paesi a
forte pressione migratoria - ha spiegato ancora Cesareo -. Quasi la meta' e' di
tipo individuale ma ci sono anche societa' di capitali e di persone. Si tratta
di forme imprenditoriali omogenee che si concentrano in pochi settori della
cosiddetta 'old economy', anche se e' incorso un processo di diversificazione'.
Se il fenomeno e' ormai strutturale e continua a crescere, alcuni ostacoli ne
possono frenare l'avanzata, come 'la scarsa disponibilita' di capitali, la
difficolta' di accesso al credito e le procedure burocratiche'. La forma
imprenditoriale e' principalmente artigiana, come ha spiegato Marco Accornero
della Camera di Commercio di Milano. In citta', infatti, 'il 12% delle imprese
artigiane ha titolari stranieri' e 'negli ultimi tre anni hanno registrato una
forte crescita, pari al 33%, nella sola area milanese'. Tra gli
imprenditori-artigiani immigrati primeggiano egiziani e romeni, ma a colpire
'e' l'aumento della componente femminile - ha concluso Accornero - la cui
percentuale e' superiore a quella presente nelle imprese artigiane nazionali'.
Foreign
Press
All at sea – The abuse of human
rights aboard illegal fishing vessels
Fishing is already one of the most dangerous
occupations in the world yet EJF’s report documents crews on illegal boats
working under slave like-conditions, facing daily exploitation and abuse. The
new report calls for urgent international action to address illegal fishing and
labour conditions, including a global ban on the use of Flags of Convenience by
fishing vessels.
Illegal, Unreported and Unregulated (IUU) or ‘pirate’
fishing is devastating marine environments, stealing from developing nations
and unsustainable. It is driven by the enormous global demand for seafood and
is symptomatic of the wider crises in world fisheries.
Findings published today by the Environmental Justice
Foundation expose how in their drive to maximise catch and minimise cost,
illegal ‘pirate’ fishing operators ruthlessly exploit the crews working aboard
their boats. EJF’s new report ‘All at Sea – the abuse of human rights
aboard illegal fishing vessels’ documents how individuals working on pirate
fishing vessels can be subject to excessive working hours, incarceration, and
physical abuse up to and including murder. Often forced to work at sea for
months and even years, in many cases the working conditions suffered by these
crews meet International Labour Organisation (ILO) definitions of forced
labour.
The report provides case studies from West Africa,
Southeast Asia, the Indian and Pacific Oceans, all regions with high incidences
of illegal fishing. Human rights abuses directly documented by EJF and other
organisations, including the International Transport Workers Federation (ITF),
include physical and emotional abuse, incarceration, forced labour without pay,
abandonment, and reports of murder.
The majority of workers on IUU fishing vessels are
hired through recruitment agencies that target vulnerable, powerless
individuals who are very often not experienced fishers and are hired from rural
areas in developing countries where alternative work is in desperately short
supply.
Unfortunately for these crews, the international legal
instruments needed to address the human rights abuses aboard illegal fishing
vessels do not exist, are voluntary, or have not been ratified by the
international community.
In particular EJF’s report highlights the need for a
closure in the loophole in international law which allows illegal fishing
vessels to fly ‘Flags of Convenience’. Hiding behind Flags of Convenience
allows pirate fishing operators to hide their identities and avoid fisheries
and labour laws, directly contributing to the devastation of fish stocks and
the abuse of crews.
EJF Executive Director, Steve Trent: “Pirate
fishing, driven by a growing unsustainable global demand for seafood, is now
threatening the future of world fisheries. There are profound social, economic,
and environmental impacts, not least the appalling exploitation and abuse crews
aboard these vessels can face. It is simply not acceptable that illegal fishing
vessels are able to operate outside the law. But it is in our power to stop
these pirates and central to the steps we can take is a ban on Flags of
Convenience.”
EJF’s Senior Campaigner, Duncan Copeland: “EJF
investigations have revealed not only the environmental devastation caused by
illegal fishing, but also that the owners of these unscrupulous operations will
go to any lengths to cut costs and maximise their profits. If it’s not bad
enough that consumers risk eating fish that’s been stolen from some of the
world’s poorest countries, there’s a real chance it’s been caught by crews
working in horrific conditions that amount to little more than slavery. The
international community has to date simply failed to adequately address pirate
fishing operations, and measures must be achieved to ensure that these pirate
vessels can no longer steal fish and abuse their crews.’
Jon Whitlow, International Transport Workers
Federation (ITF) Seafarers' Section Secretary: 'We would like to welcome the
new EJF report exposing human rights abuses suffered by crews working on
illegal "pirate" fishing vessels. The ITF have always maintained that
there is an inextricable link between IUU fisheries and flags of convenience
registers allowing the beneficial owners to be hidden, making it easy for
unscrupulous operators to evade regulation and abuse fishers. We believe that
states should take their responsibilities seriously and through ratification
and proper implementation of the ILO Work in Fisheries Convention No 187,
2007and by implementing effective flag and Port state control on working and
living conditions for fishers make eradication of the IUU fishing possible'
Download the report:
http://www.ejfoundation.org/pdf/ejf_all_at_sea_report.pdf