Lettera aperta al Pd sull'immigrazione
Europa, 19-10-2010
Un documento del Pd sull'immigrazione dovrebbe
iniziare elencando le virt e i vantaggi sociali, non i pericoli e le minacce
dell'immigrazione. Le quote sono inadeguate. Le proposte del centrosinistra non
possono "scimmiottare" quelle della destra
di Guido Melis, Luigi Manconi, Gianclaudio Bressa,
Paolo Corsini, Lino Duilio, Eugenio Mazzarella
Le parole non sono neutre. L'ordine col quale sono
impiegate, il contesto nel quale sono inserite, il senso generale del loro
stare insieme non mai puramente casuale e decide, anche oltre le intenzioni
di chi le usa, il senso percepito delle cose dette, che pu anche essere quello
non voluto. Speriamo che qualcosa del genere sia accaduto agli estensori del
documento-mozione intitolato "Comunit pi forti, frontiere pi sicure,
pi accoglienza per chi ha bisogno di aiuto umanitario, una politica selettiva funzionale
alla crescita della societ". Lo leggiamo perplessi, e non lo
condividiamo. E non apprezziamo che abbia costituito la base di un voto quasi
unanime dell'Assemblea nazionale e che venga riecheggiato all'interno del
documento del forum Immigrazione.
Cominciamo col dire che gi l'attacco della mozione
("Comprendiamo le preoccupazioni della gente sull'immigrazione")
equivoco e in definitiva sbagliato. Si gioca in difesa, puntando allo zero a
zero.
Un documento del Pd sull'immigrazione dovrebbe iniziare
(per fortuna la risoluzione finale del Forum lo fa) elencando le virt e i
vantaggi sociali, non i pericoli e le minacce dell'immigrazione. Dovrebbe dire
subito che: a) in un Paese come il nostro, caratterizzato da un drammatico
fermo demografico, c' necessit oggettiva di risorse umane giovani, sia per
alimentare il mercato del lavoro, sia per garantire le pensioni a quella
societ di vecchi che stiamo diventando; b) nel mondo della globalizzazione
l'immigrazione, cio la mobilit degli individui e dei gruppi, un dato
ineliminabile, ed un'illusione della destra pensare di poterla bloccare
erigendo muraglie di norme e politiche di respingimento; c) gi oggi interi
settori dell'economia italiana vivono grazie al lavoro degli immigrati, lavoro
che non sottratto agli italiani (come documenta per esempio uno studio
recente della Banca d'Italia: della Banca d'Italia, non della Caritas).
Detto questo si sarebbe dovuto affermare con
altrettanta chiarezza che l'immigrazione, fenomeno ricco di potenzialit, deve
essere governata.
Ma come fare?
Anche qui sbaglia, a nostro avviso, chi ritiene che si
possa adottare anche in Italia la soluzione Canada (o Gran Bretagna, o
Danimarca) delle quote, prefigurando l'ingresso sulla base di una domanda
programmata del mercato del lavoro, alla quale far corrispondere
autoritativamente l'offerta di lavoro proveniente dall'estero.
Ora, a parte che questa soluzione vale per gli
extra-comunitari ma non applicabile ai comunitari (salvo mettere in
discussione tutto l'impianto della costruzione europea), siamo sicuri che
questa ricetta – alla luce dell'esperienza italiana, lunga almeno dodici
anni – sia tuttora applicabile al nostro paese? O, piuttosto, non sia una
– tra le altre e non la principale – delle politiche da adottare?d'altra
parte, in quei paesi dove gi la si adotta, la soluzione delle quote si basa
sul fatto che il mercato del lavoro vuole selezionare lavoratori istruiti e
specializzati, da inserire in settori di punta a livelli retributivi medio-alti
che presumibilmente sono pronti ad accoglierli. Il mercato del lavoro italiano
invece oggi attinge agli stranieri chiedendo esattamente il contrario:
manodopera generica da inserire in settori bassi del sistema economico a
seconda delle emergenze produttive del giorno per giorno. Cos accade nel
Nord-Est (dove il lavoro straniero particolarmente prezioso nella piccola
industria), cos nel Sud (in agricoltura, ad esempio), cos in tutto il
territorio nazionale indistintamente (operai edili, badanti, colf, camerieri ecc.).
Dunque attivare oggi un meccanismo per quote rischierebbe di tagliar fuori
tutta l'immigrazione di prima generazione, con efficacia pressoch nulla e
gravi conseguenze sull'attuale offerta di lavoro. Farebbe male, non bene
all'economia del Paese.
Ma a parte l'errore di strabismo che la proposta delle
quote rappresenta, il tema ha una portata pi generale. E consiste nel
domandarsi se possa essere questo l'approccio di una grande forza progressista
al tema cruciale dell'immigrazione. Le politiche di sicurezza sono, vero, la
grande bandiera delle destre europee, ma non detto che per questo noi
dobbiamo inseguirle sul loro terreno, cercando di scimmiottarne atteggiamenti e
soluzioni pratiche con l'effetto di apparire comunque una seconda scelta rispetto
a quelle collaudate politiche, tutte giocate sulla paura del nuovo e
dell'estraneo.
Il centrosinistra dovrebbe viceversa avere una
"sua" politica dell'immigrazione, visibile, coerente coi suoi
principi, alternativa a quella della destra. Questa politica del centrosinistra
dovrebbe innanzitutto valorizzare l'immigrazione, puntando a realizzare sui
territori politiche di "alleanza" sociale e culturale, che
coinvolgano le comunit straniere in Italia, le inducano a partecipare ai
processi comuni di integrazione e disinneschino gli inevitabili conflitti che
la loro presenza suscita (del resto successo cos anche a noi italiani, in
tutti i paesi dove siamo stati a nostra volta immigrati; e anche questa memoria
non dovrebbe essere cancellata ma semmai coltivata
"pedagogicamente"). Occorrerebbero proposte intelligenti e concrete
di integrazione: cittadinanza subito ai nativi e prima possibile a chi la
vuole; voto alle elezioni amministrative; appositi piani di sviluppo urbani
locali; pi servizi, pi scuola, pi assistenza e una burocrazia
"umana".
Bisognerebbe individuare soluzioni pratiche –
convincenti e indirizzate alla convivenza e allo scambio - rispetto a un
conflitto che fisiologico, ma non mollare mai sul tema dei diritti degli
immigrati e al tempo stesso neppure su quello dei loro doveri (il dovere,
innanzitutto, di integrarsi al meglio, rispettando le tradizioni dei paesi dove
chiedono di inserirsi). Tutto ci viene definito "buonismo" dai
cattivisti di destra e di sinistra. Ma anche su questo va fatta chiarezza,
perch c' una sfera di diritti, sanciti dalla nostra Costituzione e dai
principi dell'Europa democratica, che non pu mai essere discussa. Ma, dato per
concesso che dobbiamo distinguerci da atteggiamenti puramente
"sentimentali", si ragioni allora numeri alla mano sui bisogni
dell'economia e sulla necessit che in Italia si trasferiscano consistenti
flussi di lavoratori immigrati.
Non crediamo, francamente, che il sistema
dell'ammissione a punti (e poi, chi li dovrebbe attribuire e togliere questi
punti? Il prefetto? Il Ministero? Il sindaco leghista sul territorio?)
rappresenti una soluzione adeguata del problema. Faremmo meglio a lasciarla da
parte: almeno fino a quando una amministrazione efficiente ed equa non sia in
grado di garantire, senza sperequazioni e abusi, l'applicazione saggia e
razionale di una simile procedura. Nel frattempo, faremmo meglio a lavorare di
pi nell'immigrazione. E a essere noi stessi. Se faremo cos, le parole per
dirlo non ci mancheranno.