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Indulto, le cifre ipocrite del ministro Mastella

di Roberto Perotti

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Dopo l'indulto le rapine in banca sono raddoppiate. Immagino che per il ministro della Giustizia, Clemente Mastella, questo dato sia parte della «campagna mediatica di rara virulenza e spregiudicatezza, fatta per guadagnarsi gli applausi delle curve» e per accreditare la «faziosa, ingiusta equazione, secondo la quale l'indulto avrebbe significato maggiore criminalità e maggiore delinquenza». Per il ministro e per il sottosegretario Luigi Manconi due dati smentiscono la campagna mediatica: a un anno dal provvedimento la percentuale di recidivi nelle carceri è addirittura scesa, dal 44% al 42%; e solo il 22% degli indultati è tornato in carcere, la metà del tasso di recidività medio tra tutti i reclusi.
È bene dirlo con chiarezza, a rischio di passare per un ultras della curva: questi dati non hanno nessun significato, statistico o concettuale, e l'interpretazione del ministro è totalmente destituita di ogni fondamento. Diffondendo un'interpretazione insensata dei dati, il ministro non soltanto ignora (o finge di ignorare) colpevolmente un problema reale, ma ne allontana sempre più l'unica vera soluzione: costruire più carceri.
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L'indulto abbuonava fino a tre anni di pena; dunque il dato veramente interessante lo conosceremo tra due anni, quando sapremo quanti reati sarebbero stati evitati se gli indultati fossero rimasti in carcere. A quel punto, ognuno potrà dire se il costo sociale dei reati commessi sarà stato superiore o inferiore al beneficio del temporaneo svuotamento delle carceri. Ma contrariamente a quanto dice il ministro, già ora sappiamo che l'indulto ha certamente causato più reati: perché abbia ragione il ministro, ai 6.200 reati accertati commessi finora dagli indultati dovrebbe corrispondere una diminuzione di pari entità di reati commessi da altri soggetti, e questo proprio grazie all'indulto. Il ministro è in grado di suggerire un meccanismo che abbia causato questa straordinaria coincidenza?
Il tasso di recidività tra gli indultati è basso rispetto alla media semplicemente perché si sta confrontando la percentuale degli indultati recidivi entro un anno con la percentuale di reclusi recidivi nell'arco di un'intera vita. Oltre al ministro, sono innumerevoli coloro che sono caduti in questa trappola o in qualche sua variante; perfino per il magistrato di Cassazione Luigi Marini (sul sito la voce.info) i dati di febbraio, con un tasso di recidività del 12% tra gli indultati, facevano giustizia delle «campagne di paura» organizzate da certa stampa «asservita agli interessi politici del momento», considerato che secondo uno studio del 1978 da amnistia e indulto ci si aspetta un tasso di recidività di lungo periodo quasi triplo. Ma come si può confrontare seriamente la percentuale di rientri in carcere dopo sei mesi con la stessa percentuale molti anni dopo il provvedimento? Ecco un indizio: nell'agosto 2007, la percentuale di febbraio era già raddoppiata al 22 per cento. Con questo trend, è molto probabile che tra tre anni il tasso di recidività tra gli indultati sia molto più alto della media. Ma, come abbiamo visto sopra, se anche non lo fosse sarebbe totalmente irrilevante: ciò che contano sono solo i reati commessi dagli indultati durante la vigenza del provvedimento.
E per rendersi conto di quanto sia assurdo pensare che l'indulto abbia contribuito a far scendere il tasso di recidività nelle carceri, è facile mostrare come quest'ultimo potrebbe scendere anche se tutti gli indultati fossero incarcerati nuovamente: basta che il tasso di recidività tra i nuovi incarcerati non indultati sia molto basso.
Ma come è possibile trattare una questione così fondamentale per la vita (letteralmente) di tutti gli italiani in modo così superficiale, per non dire incompetente? E come è possibile che una interpretazione tanto palesemente assurda venga ripresa così acriticamente dai media? Questa acriticità sembra peraltro smentire l'esistenza di una campagna mediatica denigratoria denunciata dal ministro come fonte di «odio» nei suoi confronti.
Il ministro Mastella e lo stesso Presidente Giorgio Napolitano a suo tempo giustificarono il provvedimento con la difficilissima situazione dei detenuti costretti a condizioni spesso inumane in carceri sovraffollate. L'intento era lodevole e ovviamente condivisibile, ma tutti coloro che hanno giustamente a cuore le sorti dei detenuti farebbero bene a prendere atto di un semplice dato, questo sì incontrovertibile. Le carceri italiane sono le più sovraffollate d'Europa nonostante la percentuale della popolazione detenuta sia tra le più basse di tutti i Paesi sviluppati; il motivo del sovraffollamento è dunque un doppio deficit di posti in carcere.
L'indulto ha permesso di iniziare lavori di ristrutturazione nelle carceri per aumentarne la capienza di circa 6mila unità. Ma l'Italia ha una carenza così drammatica di posti che necessita di qualcosa di ben diverso: nuove carceri, e molte. Senza di esse e i recenti provvedimenti che allargano i casi di detenzione, e l'intera discussione sul recupero di legalità nelle nostre città, sono destinati a rimanere lettera morta. L'idea di costruire nuove carceri ripugna a gran parte della nostra cultura e non appare in nessun programma politico, perché è considerata reazionaria e punitiva. Ma opporsi a nuove carceri è pura ipocrisia: chi ne va di mezzo sono gli stessi detenuti, e i cittadini più deboli, che sono maggiormente esposti alla criminalità piccola e grande.

L'indulto abbuonava fino a tre anni di pena; dunque il dato veramente interessante lo conosceremo tra due anni, quando sapremo quanti reati sarebbero stati evitati se gli indultati fossero rimasti in carcere. A quel punto, ognuno potrà dire se il costo sociale dei reati commessi sarà stato superiore o inferiore al beneficio del temporaneo svuotamento delle carceri. Ma contrariamente a quanto dice il ministro, già ora sappiamo che l'indulto ha certamente causato più reati: perché abbia ragione il ministro, ai 6.200 reati accertati commessi finora dagli indultati dovrebbe corrispondere una diminuzione di pari entità di reati commessi da altri soggetti, e questo proprio grazie all'indulto. Il ministro è in grado di suggerire un meccanismo che abbia causato questa straordinaria coincidenza?
Il tasso di recidività tra gli indultati è basso rispetto alla media semplicemente perché si sta confrontando la percentuale degli indultati recidivi entro un anno con la percentuale di reclusi recidivi nell'arco di un'intera vita. Oltre al ministro, sono innumerevoli coloro che sono caduti in questa trappola o in qualche sua variante; perfino per il magistrato di Cassazione Luigi Marini ( sul sito la voce.info) i dati di febbraio, con un tasso di recidività del 12% tra gli indultati, facevano giustizia delle «campagne di paura» organizzate da certa stampa «asservita agli interessi politici del momento », considerato che secondo uno studio del 1978 da amnistia e indulto ci si aspetta un tasso di recidività di lungo periodo quasi triplo. Ma come si può confrontare seriamente la percentuale di rientri in carcere dopo sei mesi con la stessa percentuale molti anni dopo il provvedimento? Ecco un indizio: nell'agosto 2007, la percentuale di febbraio era già raddoppiata al 22 per cento. Con questo trend, è molto probabile che tra tre anni il tasso di recidività tra gli indultati sia molto più alto della media. Ma, come abbiamo visto sopra, se anche non lo fosse sarebbe totalmente irrilevante: ciò che contano sono solo i reati commessi dagli indultati durante la vigenza del provvedimento.
E per rendersi conto di quanto sia assurdo pensare che l'indulto abbia contribuito a far scendere il tasso di recidività nelle carceri, è facile mostrare come quest'ultimo potrebbe scendere anche se tutti gli indultati fossero incarcerati nuovamente: basta che il tasso di recidività tra i nuovi incarcerati non indultati sia molto basso.
Ma come è possibile trattare una questione così fondamentale per la vita (letteralmente) di tutti gli italiani in modo così superficiale, per non dire incompetente? E come è possibile che una interpretazione tanto palesemente assurda venga ripresa così acriticamente dai media? Questa acriticità sembra peraltro smentire l'esistenza di una campagna mediatica denigratoria denunciata dal ministro come fonte di «odio» nei suoi confronti.
Il ministro Mastella e lo stesso Presidente Giorgio Napolitano a suo tempo giustificarono il provvedimento con la difficilissima situazione dei detenuti costretti a condizioni spesso inumane in carceri sovraffollate. L'intento era lodevole e ovviamente condivisibile, ma tutti coloro che hanno giustamente a cuore le sorti dei detenuti farebbero bene a prendere atto di un semplice dato, questo sì incontrovertibile. Le carceri italiane sono le più sovraffollate d'Europa nonostante la percentuale della popolazione detenuta sia tra le più basse di tutti i Paesi sviluppati; il motivo del sovraffollamento è dunque un doppio deficit di posti in carcere.
L'indulto ha permesso di iniziare lavori di ristrutturazione nelle carceri per aumentarne la capienza di circa 6mila unità. Ma l'Italia ha una carenza così drammatica di posti che necessita di qualcosa di ben diverso: nuove carceri, e molte. Senza di esse e i recenti provvedimenti che allargano i casi di detenzione, e l'intera discussione sul recupero di legalità nelle nostre città, sono destinati a rimanere lettera morta. L'idea di costruire nuove carceri ripugna a gran parte della nostra cultura e non appare in nessun programma politico, perché è considerata reazionaria e punitiva. Ma opporsi a nuove carceri è pura ipocrisia: chi ne va di mezzo sono gli stessi detenuti, e i cittadini più deboli, che sono maggiormente esposti alla criminalità piccola e grande.

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