27 ottobre 2010

Gli immigrati in Italia sono cinque milioni  Ma ci sembrano di più
il Giornale, 27-10-2010
Guido Mattioni
Sono tanti, 5 milioni, uno ogni dodici italiani. Un terzo rumeni, che nell’Europa allargata non hanno più bisogno di passaporto. Eppure sono molti meno di quanti sembrino a noi, che forse per questo continuiamo ad averne paura. Creano anche l’11,1% del Pil, dichiarano ormai al fisco un imponibile di 33 miliardi di euro, mentre si scopre che faccno entrare nelle casse nazionali un miliardo in più rispetto a quanto costino. E quando non lo creano - sono 400mila le imprese fondate da loro, il 3,5% di quelle italiane - vanno a insediarsi là dove li porta il lavoro.
Messi giù in estrema sintesi, sono questi i dati principali che emergono dalla lettura del ventesimo dossier Caritas-Migrantes, fotografia più aggiornata di ciò che è oggi il pianeta immigrazione in Italia. Una presenza, quella degli stranieri residenti, che nell’ultimo decennio ha subito una fortissima spinta con la triplicazione delle presenze (pari a 3 milioni in più) rispetto al 2000. E con un ulteriore balzo di un altro milione di unità nell’arco del solo ultimo biennio. E se è vero che a inizio anno l’Istat aveva registrato 4 milioni e 235mila residenti titolari di un diverso passaporto, è un fatto che il Dossier della Caritas ha dovuto spostare l’asticella più in alto, a quota 4 milioni 919mila.
Appare chiaro come i numeri, specie quando sono grandi numeri, facciano innanzitutto discutere. Anche animatamente. Il rapporto rivela infatti come gli italiani, complice probabilmente la crisi economica e troppa cronaca nera, abbiano una percezione molto amplificata del fenomeno. Stando ai Transatlantic Trends del 2009, risulta infatti che gli italiani, almeno a naso, valutino la presenza degli stranieri addirittura tre volte maggiore di quanto essa sia in realtà. A spanne, la loro presenza percepita, come si usa dire della temperatura atmosferica, sarebbe del 23%, il che vorrebbe dire 15 milioni di presenze. Con lo stesso metro di valutazione, il comune sentire è che i clandestini sarebbero più numerosi dei regolari, questo mentre le stime reali li accreditano al mezzo milione di unità.
Forse, a lasciar parlare soltanto i numeri, che per loro natura non hanno né idee né ideologie, e tantomeno paure, il quadro emergente in prospettiva dal dossier non dovrebbe invece preoccupare eccessivamente. Che l’Italia in dieci anni sia già cambiata, e che sia destinata a farlo ancor di più in quelli a venire, resta senza dubbio un fatto incontrovertibile, oltre che un fenomeno di enorme rilevanza e di inevitabile impatto sociale. Che rischia, però, di far velo ad altro.
Perché dell’altro c’è e ce lo dicono appunto parecchi numeri. La distribuzione della presenza straniera in Italia conferma per esempio come la molla a emigrare rimanga ancora quella del lavoro e del miglioramento delle condizioni economiche. Non sarà infatti un caso che sia proprio la Lombardia, da sola, a ospitare un quinto di tutti gli stranieri (982.225, cioè il 23,2%), seguita dal Lazio con l’11,8%, dal Veneto con l’11,3% e dall’Emilia Romagna con il 10,9%. Gli immigrati tendono insomma a concentrarsi là dove ci sono le maggiori opportunità economiche e di lavoro.
E se c’è, fuori di dubbio, anche chi ci marcia cercando di prendersi una fetta di quella ricchezza con mezzi non legali, sbalordisce in senso positivo la dimensione della giovane imprenditoria nata dall’immigrazione. Sono 400mila gli stranieri titolari di impresa, ovvero ormai uno ogni 30, con il caso eclatante dei pizzaioli egiziani che a Milano hanno superato per numero quelli napoletani.
E oltre al fatto che alle casse pubbliche gli stranieri costano un miliardo di euro in meno rispetto a quanto fanno entrare, c’è da considerare il contributo (7,5 miliardi annui) dato al sistema previdenziale di un Paese che irrimediabilmente invecchia. Oggi tra gli immigrati residenti c’è solo un pensionato ogni 30 rispetto a un italiano ogni 4. Nel 2025 loro saranno uno ogni 12, mentre il nostro rapporto sarà di uno a tre.



DOSSIER CARITAS
GLI IMMIGRATI IN ITALIA, 5 MILIONI E FONDAMENTALI

il Fatto Quotidiano, 27-10-2010
Corrado Giustiniani
La sindrome da invasione è così acuta da alterare completamente la nostra percezione. Secondo la ricerca Transatlantic Trends, gli italiani sono convinti che gli immigrati del nostro paese siano ben 15 milioni. Tre volte di più rispetto ai 4 milioni 919 mila stimati dalla Caritas, che ieri ha presentato il suo ventesimo Dossier statistico sull'immigrazione. Una sindrome da invasione che ha colpito anche il presidente della Camera Gianfranco Fini il quale, parlando a Rovigo, ha rassicurato gli studenti del Nord Est: "Io non cambierei una virgola alla legge che va sotto il mio nome e quello di Bossi". Il 15 aprile del 2009 invece, a Mazara del Vallo, aveva sostenuto che "dei correttivi si rendono necessari", rilevando l'assurdità che l'immigrato   prima   si trovi un posto in Italia, poi  alla chetichella debba tornare nel suo paese per ripresentarsi infine da noi in veste ufficiale e con tanto di visto.
Nel 1990, l'anno di esordio del Dossier Caritas, gli immigrati erano soltanto 500 mila. In venti anni sono cresciuti di dieci volte, un trend che non ha eguali in Europa. "Ma nello stesso tempo sono cresciute la paura, la diffidenza, la chiusura da parte della politica e della gente" ha constatato con molta amarezza Franco Pittau, lo storico curatore dei dati Caritas. E proprio ieri il Papa è intervenuto a favore dei rifugiati, criticando indirettamente la politica indiscriminata dei respingimenti attuata dal governo, dal momento che oltre la metà degli occupanti dei barconi è richiedente asilo politico. "Nei confronti di queste persone che fuggono da violenze e persecuzioni - ha detto Benedetto XVI - la comunità internazionale ha assunto degli impegni precisi" e i loro diritti vanno rispettati.
Certo che la crisi economica, con la perdita di 500 mila posti di lavoro certificata dall'Istat, ha favorito l'atteggiamento di chiusura. Ma gli immigrati - ribadisce il Dossier Caritas - sono venuti a fare mestieri che gli italiani oggi rifiutano: nell'edilizia, in agricoltura, nella ristorazione (a Milano i pizzaioli egiziani sono più dei napoletani) nell'assistenza alle famiglie. In quest'ultimo settore la loro presenza sarà sempre più determinante. Basti soltanto un dato regionale sull'invecchiamento rapido della no¬stra popolazione: in Lombardia le persone con più di 65 anni d'età sono oggi 2 milioni, ma nel 2015 saranno già un milione in più. Gli stranieri sono il 7 per cento della popolazione e il 10 per cento dei lavoratori dipendenti, mentre i titolari di impresa, con amministratori e soci, hanno raggiunto quota 400 mila: gente che non soltanto lavora, ma fa lavorare. Gli immigrati guadagnano in media 972 euro netti al mese, il 23 per cento in meno degli italiani, e per primi restano disoccupati: assurdo che la Bossi-Fini conceda loro appena sei mesi di tempo, con una crisi come questa, per trovare un altro impiego.
Gli stranieri contribuiscono all'11 per cento del prodotto lordo italiano e pagano 11 miliardi di euro fra tasse e contributi previdenziali (sono loro che hanno risanato l'Inps) mentre percepiscono 10 miliardi di servizi sociali, calcolati dalla Caritas per eccesso. E poi i 25 mila matrimoni misti all'anno, i 77 mila bimbi che nascono da entrambi i genitori stranieri, gli oltre 900 mila minori. Tanti numeri per farci capire che l'immigrazione è irreversibile e che dobbiamo riacquistare "la cultura dell'altro" per favorire la convivenza e l'integrazione, capitolo per il quale un tempo c'era un fondo da 100 milioni di euro, oggi sparito.



IL PAESE CHE CAMBIA
Alla presentazione del rapporto Caritas nessuna autorità presente. E' polemica
Immigrati: 5 milioni i regolari, ma gli italiani sempre più ostìli
Il Messaggero, 27-10-2010
CARLO MERCURI
Producono l'11% del Pil, ogni giorno 70 matrimoni misti
ROMA - L'ultimo censimento sugli immigrati, cioè il rapporto annuale della Caritas italiana e della Fondazione Migrantes dice che, al primo gennaio 2010, il numero degli immigrati regolari nel nostro Paese è di quasi 5 milioni (4.919.000), uno ogni quattordici persone che si incontrano per strada, e che gli immigrati irregolari sono 500-700 mila. Negli ultimi 20 anni gli immigrati regolari sono aumentati di 20 volte ma di pari passo, sostiene la Caritas, «sono aumentate le reazioni negative, la chiusura, la paura» nei loro confronti da parte degli italiani. La Caritas ha pure voluto sottolineare che il clima ostile nei confronti degli immigrati è stato rappresentato anche dall'assenza delle Istituzioni alla presentazione del
dossier, un'assenza commentata con «disappunto» dagli organizzatori che hanno dovuto incassare, tra l'altro, il rifiuto all'invito dai ministri Tremonti e Maroni e dalla governatrice del Lazio, Renata Polverini.
Eppure'le casse pubbliche del nostro Paese ricevono ogni anno dagli stranieri un "regalo" di circa un miliardo di euro per via del gettito fiscale. Secondo il rapporto Caritas/Migrantes, gli immigrati rappresentano l'11% del Pil e le entrate assicurate dagli immigrati sono circa 11 miliardi di euro mentre le uscite a loro favore (Sanità, scuola e servizi) sono pari a 10 miliardi di euro l'anno.
La retribuzione media annuale per immigrato è di 12.000 euro e molti settori della nostra economia (anzi, tra i
più pregiati) devono la loro sopravvivenza agli stranieri. Nelle stalle dove si munge il latte per il parmigiano reggiano quasi un lavoratore su tre è indiano, in Abruzzo il 90 per cento dei pastori è macedone, in Val di Non sono immigrati quasi tutti i raccoglitori delle mele, nel Chianti è costituita da immigrati la maggior parte dei raccoglitori delle uve destinate al Brunello di Montanino, immigrati sono pure gli addetti alla produzione del prosciutto di Parma e della mozzarella di bufala.
Altre considerazioni: nel 2009 sono nati in Italia da entrambi i genitori stranieri 77.148 bambini. Vanno ad aggiungersi agli altri "nuovi italiani", che sono 572.720, residenti di seconda generazione. Si tratta per lo più di ragazzi nati
in Italia. Poi ci sono i matrimoni misti in crescita: sono ormai 10 su 100, circa 70 al giorno.
La comunità straniera più numerosa è costituita da romeni (21 per cento); seguono gli albanesi (11 per cento) e i marocchini (10,2 percento). Uno straniero su quattro vive in Lombardia e Roma perde così il primato di provincia con il più alto numero di immigrati a vantaggio di Milano.
Monsignor Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti, ha commentato: «Se uno è un buon cristiano, si apre e capisce che dobbiamo rispettare e amare anche l'altro. Purtroppo noi viviamo in un castello dorato e non vogliamo il disturbo di altri, abbiamo un atteggiamento profondamente egoista e non cristiano».



Immigrati, in Italia assicurano lo sviluppo economico del Paese

AgricolturaOnWeb, 27-10-2010
All'inizio del 2010 l'Istat ha registrato 4 milioni e 235mila residenti stranieri in Italia, ma, secondo la stima del Dossier statistico 2010 Caritas Migrantes sull'immigrazione presentato ieri, includendo tutte le persone regolarmente soggiornanti seppure non ancora iscritte in anagrafe, si arriva a 4 milioni e 919mila (1 immigrato ogni 12 residenti).
L'aumento dei residenti è stato di circa 3 milioni di unità nel corso dell'ultimo decennio, durante il quale la presenza straniera è pressoché triplicata, e di quasi un milione nell'ultimo biennio. L'incidenza media sulla popolazione residente è del 7%, ma in Emilia Romagna, Lombardia e Umbria si va oltre il 10% e in alcune province anche oltre il 12% (Brescia, Mantova, Piacenza, Reggio Emilia).
Per quanto riguarda gli aspetti economici dell'immigrazione, gli immigrati assicurano allo sviluppo dell'economia italiana un contributo notevole.
Infatti il dossier, nelle indagini condotte sui benefici e sui costi dell'immigrazione, ha evidenziato che gli immigrati versano alle casse pubbliche più di quanto prendano come fruitori di prestazioni e servizi sociali.
Si tratta di quasi 11 miliardi di contributi previdenziali e fiscali l'anno che hanno contribuito al risanamento del bilancio dell'Inps, trattandosi di lavoratori giovani e, perciò, ancora lontani dall'età pensionabile. Essi, inoltre, dichiarano al fisco oltre 33 miliardi l'anno.
A livello occupazionale gli immigrati non solo incidono per circa il 10% sul totale dei lavoratori dipendenti, ma sono sempre più attivi anche nel lavoro autonomo e imprenditoriale, dove riescono a creare nuove realtà aziendali anche in questa fase di crisi.
Sono circa 400mila gli stranieri tra titolari di impresa, amministratori e soci di aziende, ai quali vanno aggiunti i rispettivi dipendenti.
A Milano i pizzaioli egiziani sono più di quelli napoletani, così come sono numerosi gli imprenditori tessili cinesi a Carpi e Prato.
Venendo essi a mancare, o a cessare di crescere, nei settori produttivi considerati non appetibili dagli italiani in agricoltura, in edilizia, nell'industria, nel settore familiare e in tanti altri servizi, il Paese - sottolinea il rapporto - sarebbe impossibilitato ad affrontare il futuro.
Tutto ciò ci è stato ricordato il primo marzo 2010 dal primo 'sciopero degli stranieri'. Tuttavia, rileva il Dossier, l'Italia è anche uno snodo e meta forzata per donne, uomini e minori, vittime della tratta a fini di sfruttamento sessuale e, sempre più spesso, lavorativo (soprattutto in agricoltura), che si cerca di contrastare anche con la concessione del permesso di soggiorno per protezione sociale (810 permessi) e con l'intervento del fondo europeo per i rimpatri.
Fonte: Caritas Migrantes



I nuovi italiani sono 5 milioni Crescono il Pil e i sospetti

La Stampa, 27-10-2010
RAFFAELLO MASCI
Ci pagano la sanità e la pensione e incidono per l'11 per cento sul prodotto interno lordo Versano 11 miliardi nelle casse dello Stato. Ma sono ancora guardati con ostilità e paura
ROMA - Meno male che ci sono gli immigrati che ci pagano la sanità e la pensione. E su questo fronte ci saranno di grande aiuto per almeno altri 15 anni, dopo di che inveccheranno anche loro e questo vantaggioso scambio diventerà un po' meno favorevole. Il dato che salta all'occhio - esaminando il Ventesimo Dossier sull'Immigrazione presentato ieri dalla Caritas - è proprio questo: le spese che affrontiamo per gli immigrati, in termini di sanità, scuola, servizi sociali, sfiorano i 10 miliardi l'anno, mentre le entrate che questi lavoratori versano nelle casse dello Stato superano gli 11 miliardi tra contributi previdenziali e fiscali, e sono relativi a un reddito dichiarato di 33 miliardi di euro, pari all'11% del prodotto interno lordo.
Oggi, inoltre, a prendere la pensione è solo 1 immigrato su 30, mentre tra gli italiani siamo a 1 su 4. Le cose non andranno sempre così, beninteso, ma anche in una prospettiva estesa al 2025, ce la passeremo meglio solo grazie agli stranieri: tra 15 anni - rileva il Dossier Caritas - i pensionati stranieri saranno circa 625 mila, e cioè 1 su 12, ma allora il rapporto tra gli italiani sarà di 1 a 3. E non è tutto: la retribuzione netta mensile degli immigrati nel 2009 è stata di 971 euro - dice la Caritas - rispetto ai 1.258 euro degli italiani, con una differenza a sfavore degli immigrati del 23%, che diventa del 28% per le donne.
Sono   numeri su cui converrà riflettere prima di sbraitare  sulla crescita degli stranieri nel nostro Paese, che pure è stata esponenziale, tant'è che in 20 anni il loro numero è decuplicato e ha toccato ora i 5 milioni di presenze, pari al 7% dei residenti. A questa crescita ha corrisposto anche un forte processo di integrazione, dice la Caritas, che tuttavia non ha rimosso i pregiudizi e non ha impedito il dilagare di paure e sospetti. Del tutto ingiustificati se è vero, come dice il Rapporto, che «il ritmo d'aumento delle denunce contro cittadini stranieri è molto ridotto rispetto all'aumento della loro  presenza,  per cui è infondato stabilire una rigorosa corrispondenza tra i due fenomeni». E ancora: secondo i dati ufficiali,  «gli italiani e gli stranieri in posizione regolare hanno un tasso di criminalità simile».
Ma tutto questo, evidentemente, conta poco, soprattutto in quelle aree d'Italia in cui la concentrazione degli stranieri è particolarmente rilevante: solo in Lombardia, per dire, si addensa il 23% di tutta la popolazione immigrata, ma proprio lì si concentrano anche due milioni di anziani, che diventeranno tre milioni nel 2015 «con un fabbisogno esponenziale di assistenza». Un fenomeno analogo riguarda il Lazio, il Veneto, l'Emilia.
Interi settori economici resterebbero a secco senza gli immigrati, rileva il Dossier. Coldiretti - commentando i dati della Caritas - fa notare che sono quasi 100 mila i lavoratori stranieri in agricoltura: nell'area del parmigiano reggiano, specifica, è indiano un lavoratore su tre, tra i pastori dell'Abruzzo il 90% è costituito da macedoni. Ma i lavoratori extracomunitari - fa notare la massima organizzazione agricola - sono diventati decisivi nella raccolta delle mele in Val di Non, nella produzione del prosciutto di Parma e della mozzarella di bufala campana, così come nella raccolta delle uve destinate a vini di qualità. A questo dato il Dossier aggiunge che a Roma o a Milano ci sono più pizzaioli egiziani che napoletani.
Nell'annunciare la novantasettesima giornata del Migrante e del Rifugiato (che si terrà il 16 gennaio prossimo) anche il papa è intervenuto sui temi dell'immigrazione, facendo notare che la Chiesa dice no a «ogni egoismo nazionalista» e riconosce quello a emigrare come «un diritto di ogni uomo», ma la necessità dell'accoglienza va coniugata con quella di «una vita dignitosa e pacifica» sia per i migranti che per gli abitanti dei Paesi di arrivo.



I dati Milano supera Roma, la comunità più numerosa è romena
Gli immigrati in Italia a quota cinque milioni Il record è in Lombardia
Corriere della Sera, 27-10-2010
Alessandra Arachi
Dossier della Caritas. Il Papa: emigrare è un diritto
ROMA — Li vediamo tutti i giorni attorno a noi. Sono davvero tanti. Ma quanti? La Caritas li ha contati. Ha censito gli immigrati che vivono nel nostro Paese e ha scoperto che nel 2010 hanno raggiunto quota 5 milioni. Che, tradotto, significa oltre il 7% della popolazione residente in Italia.
Ma vuol dire anche che negli ultimi venti anni la presenza degli immigrati è aumentata di dieci volte (erano cinquecentomila nel 1990) e adesso, inevitabilmente, fanno parte integrante del tessuto economico del nostro Paese. Per capire: contribuiscono all'11,1% del nostro Pil, il prodotto interno lordo.
E' in Lombardia che si concentra il più alto numero di cittadini immigrati, 982 mila 225, pari al 23,2% dei cittadini lombardi. Ovvero: quasi uno su quattro. Al secondo posto c'è il Lazio (497 mila 940, ovvero l'11,8%), seguito a ruota dal Veneto (480 mila 616, ovvero l'11,3) e dall'Emilia Romagna (461 mila 321 pari al 10,9%).
Per la prima volta da quando vengono censiti, Roma perde il primato di provincia con il maggior numero di immigrati, a favore di milano  407 mila 191, contro 405 mila 657.
Due immigrati su cinque provengono dai paesi della «nuova Europa»: sono quasi  2 milioni, in totale. La prima  comunità è quella romena (886 mila), la seconda gli albanesi (466 mila). Seguono:  marocchini, cinesi, ucraini,  polacchi, moldavi, macedoni, serbi, bulgari.
«La Chiesa riconosce ad ogni uomo il diritto di emigrare», ha scritto Benedetto XVI nel Messaggio inviato ieri che era la Giornata dei Migranti, auspicando «una sola famiglia di fratelli e di sorelle in società che si fanno sempre più multietniche e interculturali, dove anche le persone di varie religioni sono spinte al dialogo, perché si possa trovare una serena e fruttuosa convivenza nel rispetto delle legittime differenze».
Papa Ratzinger ha voluto anche ricordare che però «gli Stati hanno il diritto di regolare i flussi migratori e difendere le frontiere, sempre assicurando il rispetto dovuto alla dignità di ciascuna persona umana», ed in più ha voluto precisare che gli immigrati stessi «hanno il dovere di in-tegrarsi nel Paese di accoglienza, rispettandone le leggi e l'identità nazionale».
Nel volume sui migranti che la Caritas ha diffuso ieri, viene preso in considerazione anche l'aspetto dell'integrazione: «insieme al numero degli immigrati sono aumentate anche le reazioni negative, la chiusura, la paura nei loro confronti da parte degli italiani».
Esiste comunque un'oasi felice in Italia: l'Emilia Romagna, con un tasso di integrazione di oltre il 60 su una scala che arriva a 100. Il primato del più basso di integrazione spetta invece alla Sardegna con il 32,65 ed il picco toccato da Oristano con soltanto il 26 su 100.



Integrazione senza alternative

Europa, 27-10-2010
FABRIZIA BAGOZZI
A vent'anni dalla sua prima edizione, voluta fortemente da un sacerdote come don Di Liegro agli albori di un fenomeno che allora contava meno di 500 mila presenze e ora ne conta 10 volte tanto, il dossier Caritas/Migrantes ci parla di quasi 5 milioni di immigrati regolari che incidono per l'11 per cento sulla produzione della ricchezza nazionale, pagano 7 miliardi e mezzo di contributi - puntellando la stabilità del nostro sistema previdenziale gravato da un demografia anziana - e pagano le tasse, dichiarando al fisco un imponibile di 33 miliardi di euro. Un quadro che registra quasi due milioni di lavoratori, molti dei quali dipendenti (circa il 10 per cento del totale) ma sempre di più piccoli imprenditori, anche per uscire dalle secche di una crisi che colpisce anche loro. Stranieri, giovani, che si collocano soprattutto nelle fasce meno qualificate del mercato del lavoro e che vengono pagati mediamente molto meno degli italiani: 971 euro contro 1258. Persone che, fra sanità, scuola, servizi sociali, pensioni, politiche abitative, costano 10 miliardi di spesa pubblica e la ripagano con entrate per 11 miliardi fra tasse, Iva, contributi, erogazioni per i permessi di soggiorno e per le pratiche di cittadinanza. Molte famiglie ricongiunte e altre che pensano di fermarsi e fanno figli: la seconda generazione, bimbi e ragazzi nati da stranieri, in Italia arriva ormai a quota 570 mila, senza avere  ancora garanzie di cittadinanza.
I dati della Caritas fotografano dunque una forza che innerva il sistema italiano e contribuisce al suo sviluppo anche se si vede poco e, soprattutto, si racconta poco, nel predominio mediatico dei fatti di cronaca agitati come drappi rossi davanti agli italiani spaventati dai tempi di vacche magre e di risorse scarse. Una forza strutturale che chiede risposte molto diverse da quelle che ha finora messo in cantiere un governo a trazione leghista in cui il tema viene affrontato solo sul piano della sicurezza. Questi numeri, queste caratteristiche, chiedono che, oltre a rendere più semplice l'accesso alla cittadinanza, si faccia una volta per tutte l'integrazione, una cosa molto citata, ma pochissimo finanziata. Una politica su cui gli altri paesi europei ad alta immigrazione investono da tempo e anche molto. In Germania, per esempio, agli stranieri appena arrivati viene garantito, e in varie forme, l'apprendimento della lingua. Nel 2009 l'Italia non ha neppure finanziato il Fondo nazionale per l'inclusione sociale. Che poi vuol dire corsi di italiano e tante altre piccole e grandi cose che facilitano l'incontro e contribuiscono a contenere i conflitti culturali e sociali. Cioè (anche) a fare sicurezza. Ricordava ieri il pontefice che gli stranieri hanno «il diritto di emigrare» e «il dovere di integrarsi nel paese che li accoglie». Purché ne abbiano la possibilità.



I dati della Caritas
IMMIGRATI E POLITICA

Il Tempo, 27-10-2010
RAFFAELE  IANNUZZI
Rapporto Caritas sull'immigrazione: prima delle polemiche dei politicanti, entriamo nel merito. E poi spieghiamo anche perché non si tratta di "politici", ma di "politicanti". Allora: stando ai dati del "XX Rapporto   sull'immigrazione. Dossier statistico 2010", aumentano gli immigrati in Italia e,   "se  all'inizio  del 2010 l'Istat ha registrato 4 milioni e 235mila residenti stranieri", secondo la Caritas, oggi "si arriva a 4 milioni e 919mila (1 immigrato ogni 12 residenti)". Un aumento di circa 3 milioni di unità nel corso dell'ultimo decennio, durante il quale la presenza degli stranieri è triplicata, di circa 1 milione negli ultimi due anni. Ma non è questo il problema. La Lega può andar fiera di un risultato, che spariglia il comune sentire. Infatti, l'integrazione   "ideale"   esiste nei territori della Lega, nel Veneto   e   in   Lombardia, mentre abbiamo situazioni da sottosviluppo inquietante nei territori del Sud. Semplice: la questione è il sistema sociale,   civile   e culturale nei quale si vive. Se un immigralo vive in luoghi in cui si carica la polizia e si alimenta la furia delle moltitudini postmoderne, sarà spinto a dire: benvenuto a casa. Ora, il problema riguarda la "mens" della politica, la cultura politica di chi dovrebbe guidare questo Paese. Perché Papa Benedetto, da par suo, sa benissimo cosa pensare e anche come fare per avere un riequilibrio dei flussi migratori. La sua parola d'ordine è sempre la stessa: et-et. Ossia: dobbiamo rispettare sia il "diritto ad emigrare", sia il diritto-dovere degli Stati "di regolare i flussi migratori". Perché "la mappa non è il territorio". Tradotto: quel che io penso è un particolare punto di vista, che deve confrontarsi con la realtà con grande umiltà, e -se la realtà contraddice il mio punto di vista - non ho ragione io, ma la realtà. Perché i fatti sono testardi. Era così per Tommaso d'Aqui¬no e - udite, udite - anche per quello sciagurato di Le¬nin. Mentre per le ideologie - e, in questo caso, l'Aquinate sopravanza Lenin di molte lunghezze -, vale l'esatto contrario: la mappa è il territorio. Se io penso che la realtà sia così, è così. Punto. E  perché? Ma perché mettere il tigre nel motore della stanca politica. Funziona così. Allora la verità va in vacca e, con essa, anche la mappa si impoverisce. Il volto dell'attuale "politica". Che si accapiglia sull'immigrazione, non facendo distinzioni, e sovrapponendo, ad esempio, la percezione dei fenomeni con i fenomeni stessi. Se salgo su un autobus, a Roma, e mi ritrovo dietro due persone che parlano arabo, alla mia sinistra un gruppo di indiani, e davanti cinque romeni, la mia mente sillaba: "Oddio, siamo circondati!". La percezione "locale" di un fenomeno di portata ben più vasta. Sono in un sistema chiuso e
ristretto, un autobus, e devo prendere le misure percentuali. Fare, cioè, la tara, non il toro infuriato. Invece, passo dal particolare all'universale, cioè generalizzo. Classica distinzione cognitiva. Ce ne sono dieci, questa è una di quelle più diffuse. Crea panico sociale, che la politica cavalca alla grande. Sbagliato. Altro esempio. Se all'Aquila -in cui molte chiese non sono ancora agibili - i musulmani macedoni chiedono al Comune di avere un luogo per poter pregare, e i cittadini si sollevano, ci sta, è comprensibile, e non si deve, per questo, produrre una sorta di "percezione selettiva": il particolare dominante che viene fatto passare come "diritto". Prima delle classi "dirigenti", ci vuole sempre un pensiero ben diretto.



IMMIGRAZIONE: L'OBBIETTIVO È LA CITTADINANZA

LE PROPOSTE DEL CENTROSINISTRA
l'Unità, 27-10-2010
Andrea Sarubbi  PARLAMENTARE PD
Alla presentazione dell'ultimo dossier della Caritas, ieri mattina, i relatori hanno subito charito un punto: sull'immigrazione mettiamo da parte le ideologie e lavoriamo seriamente, perché «siamo persone serie». Che l'invito venga dalla Caritas mi pare significativo, perché il suo impegno nel campo la pone al di sopra di ogni sospetto: nessuno la accuserebbe mai, ad esempio, di scivolare a destra, neppure se rilevasse - come fa, a pagina 19 del rapporto - che «un grande fenomeno sociale come l'immigrazione non comporta solo vantaggi, soprattutto nel caso in cui non vengano sviluppate le necessarie precondizioni».
La scelta di campo fra immigrazione-problema e immigrazione-risorsa, insomma, non regge più nemmeno tra gli addetti ai lavori: gli slogan da campagna elettorale e le semplificazioni dei salotti sono lontanissimi dal vissuto di chi - spesso in silenzio, e nonostante la latitanza di un governo che vivacchia sulle paure della gente - si sporca le mani ogni giorno. Perché l'immigrazione è certamente una risorsa, ma può diventare in fretta un problema se non viene governata: la mano invisibile qui non c'è, dunque occorre che la politica faccia il proprio mestiere. Come? Investendo soldi sull'integrazione, innanzitutto, e poi verificando che questo investimento vada a buon fine: ecco perché, senza mettere in discussione l'accoglienza umanitaria per chi ne ha diritto, un Paese ha il dovere di occuparsi non solo di quanti immigrati ospitare, ma anche di chi. Cito ancora dal dossier Caritas, pagina 16: «L'alternativa alla chiusura delle frontiere -che crea clandestinità - è la programmazione dei flussi, perché la disponibilità di manodopera regolare è funzionale ad uno sviluppo del sistema economico trasparente e tutelato, che non metta in conflitto i lavoratori già presenti con i nuovi arrivati».
Qualcuno (lo hanno fatto dalle colonne di questo giornale lunedì scorso due esponenti di «A buon diritto») istintivamente si ritrae, di fronte al fantasma della selezione: non è una parola di sinistra, si fa notare, nonostante sia presente nelle riflessioni di illustri studiosi a noi culturalmente vicini ed addirittura nel documento preparato dal Forum immigrazione del Partito democratico e votato all'unanimità dai delegati di Varese.
Se può servire a sbloccare il dibattito, mettiamo allora da parte la parola "selezione" e parliamo invece di merito; facciamolo davvero, però, e chiediamoci se sia più credibile per un Centrosinistra che voglia
governare l'Italia il tradizionale modello buffet del primo-arrivato-primo-servito o piuttosto un meccanismo che - pur con pesi e contropesi, e sempre al netto dell'accoglienza umanitaria - si prenda carico di ogni storia che incrocia sul suo cammino, fino ad accompagnarla all'obiettivo finale della cittadinanza.



QUEI 5 MILIONI DI GIOVANI STRANIERI UN'ITALIA ORMAI MENO VECCHIA

Corriere della Sera, 27-10-2010
Gianpiero Dalla Zuanna
« Secondo le ragionevoli stimer del rapporto Caritas-Migrantes, oggi vivono in Italia cinque milioni e mezzo di stranieri, undici volte di più rispetto al 1990. Questa crescita ha conseguenze profonde su demografia, economia, società e cultura. L'invecchiamento è rallentato, perché gli stranieri hanno in media 30 anni, contro i 45 degli italiani. Oggi i giovani stranieri sostituiscono i figli che i genitori italiani non hanno voluto o potuto avere.
È difficile dire in che misura gli stranieri influenzano lo sviluppo economico. Certamente, l'ampia disponibilità di lavoratori a basso costo può avere rallentato gli investimenti e l'innovazione. Ma gli stranieri hanno anche rilanciato settori in grave crisi, come l'agricoltura e l'edilizia ad alta intensità di manodopera. Gli stranieri hanno profondamente modificato il nostro spaghetti-welfare: da un lato contribuiscono già ora al pagamento delle pensioni degli attuali anziani italiani, dall'altro hanno resuscitato il servizio domestico, ossia un lavoro che negli Anni 80 sembrava in via di estinzione.
Infine, gli stranieri hanno messo in crisi il nostro essere italiani, perché — chiedendo regole di inclusione — ci interrogano su cosa significa far parte di una comunità e di una nazione. Cinque milioni e mezzo di persone sono tante, l'equivalente di una regione italiana grande e popolosa come il Lazio. La gran maggioranza di loro vivrà per sempre in Italia. Per quanto tempo continueremo a considerarli ospiti, piuttosto che cittadini? A non avere credibili regole di ingresso e di espulsione? A non disporre di meccanismi sensati per diventare cittadini italiani? A tenere milioni di lavoratori e di contribuenti al di fuori del gioco politico? Sono domande non più eludibili, se l'Italia vuole restare un Paese democratico. Concediamo almeno la cittadinanza ai bambini nati in Italia 0 ivi giunti prima del terzo compleanno, e residenti da almeno sei anni. Perché sono loro stessi a considerarsi italiani. Sarebbe un segnale importante, la presa d'atto che gli italiani, nel breve giro di una generazione, sono diventati un popolo a colori.



Immigrazione Italia, a Torino stranieri il 14% dei residenti

adnkronos, 27-10-2010
In Piemonte risiedono più di 377mila stranieri, il 10% dell’intera popolazione, una percentuale che a Torino sale al 14%. I soggiornanti sono 420mila in tutta la Regione, 130mila a Torino e 200mila nella provincia torinese. Il dato è stato reso noto in occasione della presentazione del XX rapporto sull’immigrazione, presentato dalla Caritas. Il 70% della popolazione di origine straniera residente sul territorio piemontese è giovane, il 52% è rappresentato da donne. «L’integrazione – sotoliena Fredo Olivero, responsabile Migrantes regionale della Caritas – sta procedendo molto più velocemente di quanto si pensi ed anche senza grandi difficolta. Il problema più grave viene dalla politica, che continua a costruire muri di burocrazia anziché mettere regole vere, con il risultato che si finisce per incoraggiare proprio quell’immigrazione irregolare che si vorrebbe sconfiggere». «Gli immigrati sono una risorsa – conclude – perché senza saremo un paese sempre più di vecchi, e i costi di assistenza agli anziani e della sanità sarebbero il doppio».



La storia L'imprenditore siriano Khawtami Radwan
«Altro che lavavetri, io ho cinquecento dipendenti»
Il Mattino, 27-10-2010
ROMA. «Io ho avuto la fortuna di farcela. Ho dovuto avere una marcia in più ma non mi sono mancati gli incoraggiamenti da parte di italiani». Comincia così, alla presentazione del rapporto sull'immigrazione della Caritas e della fondazione Migrantes, la testimonianza di Khawtami Radwan, un imprenditore di Milano di origine siriana, in Italia da trent'anni. Un intervento più volte interrotto da applausi, che non ha risparmiato critiche alle politiche italiane sull'immigrazione e che si è concluso con la frase: «Dio benedica questo paese, viva l'Italia».
L'azienda di Radwan produce elettrodomestici, ha un fatturato di 50 milioni di euro, dà lavoro a 500 persone. L'imprenditore, che è anche presidente del Movimento Nuovi Italiani, snocciola - dice -con «orgoglio» le cifre sulla categoria: sono «nuovi italiani» l'80% dei lavoratori nelle industrie conciarie come il 60% nell'edilizia, il 50% nella raccolta stagionale e l'artigianato è in ripresa. «Stiamo risanando l'Inps - prosegue Radwan - ci sono cascine abbandonate in Emilia Romagna oggi fiorenti aziende agricole grazie ai lavoratori indiani». Ecco perché, a suo avviso, «l'emigrazione non è solo un fatto di lavavetri o di delinquenza come descrivono alcune forze politiche che ci offendono».
La crisi poi ha toccato gli immigrati «per primi e grazie alle misure insensate di questo governo -continua l'imprenditore - se una persona perde il lavoro e non lo ritrova entro sei mesi anche se vive qui da vent'anni deve andare via. È un vero dramma». Un passaggio, quest'ultimo, che ha sollecitato un forte applauso dalla platea.
«Si picchia sempre contro l'immigrazione - aggiunge ancora l'uomo - si allontanano mille, 2 mila persone e si dimenticano i milioni che lavorano correttamente. Vanno studiate nuove regole, la Bossi-Fini ormai non è più adeguata». Fra le proposte del Movimento di Radwan, c'è l'istituzione dell'Alto commissario per l'immigrazione,
presente in diversi paesi europei, col compito di gestire il fenomeno dal punto di vista economico. «Non si possono lasciare cinque milioni di persone - dice Radwan -alla mercé di qualche partito politico che ha come primo obiettivo terrorizzare gli italiani con lo slogan straniero uguale criminale. A nostro mondo è deluso, umiliato e demoralizzato. Noi lavoriamo per l'integrazione che è un processo irreversibile che si fa da entrambi le parti».
Per l'esponente del Movimento Nuovi Italiani, che critica l'ospìtalità offerta al leader libico Gheddafi, fra le nuove normative la garanzia del diritto di culto e norme per il ruolo di imam («va isolato l'estremismo») oltre che del voto amministrativo. Su quest'ultimo tema, Radwan segnala che il premier Berlusconi l'aveva promesso a un suo congresso ma poi i «risultati sono stati deludenti». Mentre esprime «gratitudine» per Gianfranco Fini. «Se passa questa legge - conclude -ci saranno 2 milioni di nuovi voti e certamente saranno determinanti per la scelta dei governi locali».



Rosarno, bentornati nel ghetto

Baracche, case diroccate, sporcizia. Dieci mesi dopo è tutto uguale   
Avvenire, 27-10-2010
ANTONIO MARIA MIRA

ROSARNO (REGGIO CALABRIA) - Casette diroccate. Un capanno per attrezzi. Baracche tra gli agrumeti. Una fabbrica sequestrata. Un capannone abbandonato. Qui vivono gli immigrati a Rosarno. Già, sono tornati. Anzi, molti non era¬no mai partiti. Quanti sono? Noi, in una mattinata, ne abbiamo incontrati almeno trecento. Ma probabilmente sono tre volte tanto. E siamo appena all'inizio dalla stagione della raccolta degli agrumi, che li richiama da altre regioni. Come sembrano lontani quei giorni di gennaio, le violenze contro alcuni di loro, la rivolta, il ruolo della 'ndrangheta, il trasferimento forzato di centinaia di immigrati. Allora ammassati nelle due ex aziende della Rognetta e dell'Opera Sila, maxi ghetti della disperazione. Oggi sparsi in tanti rivoli di emarginazione. Sono meno, non per paura ma perché c'è meno lavoro. Ma sicuramen¬te aumenteranno, e continuano a vivere nel degrado, mentre nulla è stato fatto per loro. Tranne quello che, come allora, fanno la Chiesa locale e il volontariato. E proprio un volontario ci accompagna in questo tour della disperazione. É Bartolo Mercuri, fondatore e presidente dell'associazione "Il Cenacolo" di Maropati, legata alla Caritas diocesana. «Da un anno non si è mossa foglia», dice sconsolato. Lui non ha mai smesso di girare, li va a cercare, porta loro di tutto. È tra i pochi a sapere dove trovarli. Cominciamo dal centro di Rosarno, in una "timpa" come qui chiamano i valloni. È un agglomerato di casette, alcune non finite, altre in rovina. Senza porte e finestre. Scendiamo. Gli immigrati conoscono Bartolo e ci accolgono sorridendo. Vengono da Ghana, Costa d'Avorio, Mali, Sierra Leone. Entriamo. La stanza, tre metri per tre, è buia. Senza luce né acqua. Il soffitto è sfondato e riparato alla meglio con cartoni e plastica. «Ci dormiamo in sette». E quanto pagate? «150 euro al mese». In queste condizioni vivono una cinquantina di immigrati, quasi tutti irregolari. E nella "timpa" successiva altri cinquanta. Ci spostiamo in periferia. Qui il rifugio è in un ex azienda di trasformazione delle arance. Nove mesi fa ci vivevano in più di cento. Poi sono stati sgombrati. L'edificio posto sotto sequestro il 25 maggio (sul cancello c'è ancora il cartello con la scritta "sgomberato coattivamente"), finestre e porte murate. Invano. Gli immigrati hanno sfondato e ripreso possesso del ghetto. Luce e acqua non ci sono. Alcune stanze sono chiuse da porte improvvisate con catena e lucchetto, ma si vedono all'interno molti letti. «Siamo quaranta», ci dice Michele, ucraino, che in qualche modo spiega che ci sono sia
africani che immigrati dell'Est. Piove all'interno. In un angolo della stanza più grande un telo rosso nasconde un buco: è la latrina. Un'altra è sul terrazzo, coperta da fogli di plastica celeste. Ovunque rifiuti e detriti. Non l'unica ex fabbrica. Sulla strada verso il Vibonese c'è un grande capannone abbandonato. Gli immigrati ne hanno preso possesso. Sono ancora pochi, ma di spazio ce n'è tantissimo. À un bivio, oltre un cancello aperto c'è una casetta diroccata. Un ragazzo africano si sta lavando con l'acqua di una bottiglia. Ci saluta, si avvicina. Si chiama Abramo, viene dalla Guinea. «Qui siamo in dieci, altri dieci in quella accanto e poi ancora quattro». Sono "comodi" rispetto a quello che vediamo poco dopo. Dentro a un bellissimo aranceto c'è un capanno per attrezzi agricoli, due metri per due. La porta è chiusa. Ma Bartolo sa dov'è la chiave. Apre ed è come aprire la porta di un inferno in miniatura. Nel buio si scorgono alcuni letti per terra. E altri "posti" pendono dal soffitto, appesi con filo di ferro. «Ci dormono in dodici». Ora non c'è nessuno, solo poveri panni stesi. Riprendiamo il viaggio, ma questa volta tocca camminare. Scendiamo per una sterrata, col fango alle caviglie, dentro a una valletta di agrumi e noci. Ecco una casetta più grande, si alza del fumo. Alcuni africani stanno sotto una tettoia di la¬miera davanti a un fuoco. Due giocano con una dama improvvisata fatta di pezzi di legno. Altri mangiano noci, il pasto del giorno. Ce le offrono. Vengono da Gambia e Senegal. Qui vivono in trenta, ed anche loro hanno latrine fatte con bandoni di metallo. Oggi non si lavora, piove troppo. Ma quanto li pagano? «25 euro al giorno». Già, come l'anno scorso. Proprio niente è cambiato. Lo riferiamo al prefetto Domenico Bagnato che guida la commissione straordinaria che dal dicembre 2008 amministra Rosarno dopo lo scioglimento per mafia. Lo incontriamo alla presentazione calabrese del dossier Caritas sull'immigrazione. «Tra un mese ce ne andiamo e si torna al voto, ma i problemi rimangono e anche quelli degli immigrati. Abbiamo lavorato molto ma siamo in ritardo per il progetto presentato un anno e mezzo fa». Si tratta di un "villaggio della solidarietà" per la formazione degli immigrati, con 150 posti letto, da costruire su un terreno confiscato. I soldi, due milioni di euro, ci sono, l'appalto è stato assegnato ma una ditta ha fatto ricorso e tutto si è bloccato. E su un piazzale restano inutilizzati anche i 10 container con bagni e docce costati 250mila euro. Così, ammette il prefetto, "attualmente non possiamo fornire nessuna accoglienza immediata agli immigrati". Per loro, anche quest'anno restano solo baracche e degrado



Polistena, una «tenda» per accogliere e integrare

Avvenire, 27-10-2010
Antonio Maria Mira
ROSARNO - Un appartamento e quattro immigrati. Un palazzo, un centro di accoglienza, formazione, inserimento lavorativo, integrazione culturale e assistenza sanitaria. Nel vuoto quasi totale delle istituzioni pubbliche, sono la Chiesa locale e il volontariato a muoversi, con progetti concerti, sul fronte dell'immigrazione. Dal 16 ottobre Godwin, James, Moussa e Yakouba, quattro immigrati reduci dagli scontri di Rosarno (tutti e quattro feriti), abitano un bell'appartamentino nel centro di Polistena, paese della Piana di Gioia Tauro. Via Orticello, tre stanze, bagno e cucina, appena ristrutturati per loro. Tra pochi giorni sulla facciata sarà posto un cartello variopinto con la scritta "Casa di accoglienza La Tenda di Abramo", dal nome del progetto della parrocchia di Santa Marina Vergine e dell'associazione di volontariato "Il Samaritano". Un progetto (il nome è una citazione dalla Genesi) che ha già trovato un lavoro regolare e pulito per gli immigrati, che da giugno fanno i braccianti per la cooperativa Valle del Marro, che coltiva terreni confiscati alla 'ndrangheta, ed è nata dalla collaborazione tra la diocesi di Oppido-Palmi, l'associazione Libera, col sostegno del progetto Policoro della Cei. Tutte le spese dell'appartamento sono a carico della parrocchia e delle offerte dei fedeli, e presto otterrà il sostegno della Caritas Italiana. Ma, come spiega il parroco don Pino Demasi, vicario generale della diocesi, «per responsabilizzare gli immigrati e prepararli ad una futura autonomia, chiediamo a ognuno di loro 1 euro al giorno». Così andrà avanti almeno per un anno, poi si cercheranno altre soluzioni, anche per accogliere altri immigrati. Proprio in questo senso va il progetto, ben più ampio, "LiberaMente Insieme", che ha da poco ottenuto un finanziamento dalla Fondazione per il Sud, e sarà sostenuto sia dalla diocesi che dal Policoro. Anche qui, ed è una precisa scelta, si tratta di un bene confiscato, "Palazzo Versace" dal nome della cosca polistenese. A pianterreno il progetto prevede un centro di aggregazione giovanile (è già in funzione da circa un anno), lo sportello di accoglienza e ascolto, laboratori per la formazione professonale, la "Bottega dei sapori e dei saperi della legalità", dove vendere i prodotti della Valle del Marro e di altre cooperative. Al primo piano un ristorante sociale (vi lavoreranno anche immigrati), un centro multiculturale e altri laboratori. Al secondo piano un ostello (anche qui è prevista l'occupazione di immigrati). Al terzo piano un poliambulatorio per immigrati e persone, anche italiane, in stato di bisogno.



Barcone con 128 stranieri  La Finanza apre il fuoco

Corriere della Sera, 27-10-2010
Catania - Un peschereccio d'altura egiziano di 30 metri con a bordo 128 immigrati , che hanno detto di essere palestinesi, è stato fermato ieri al largo di Catania. Undici le persone arrestate, tra cui gli scafisti. Dopo essere stato intercettato dalla Guardia di finanza l'equipaggio ha tentato la fuga. L'inseguimento è durato a lungo. I finanzieri hanno sparato con un M12. «Siamo stati costretti a utilizzare le armi leggere — ha spiegato il comandante del Gruppo aeronavale della Guardia di finanza Joselito Minuto — per dimostrare che la barca non poteva sfuggirci visto che era stata già accerchiata da quattro nostre motovedette».



Il Papa ai governanti: trattate gli immigrati con dignità

martedì 26 ottobre 2010
CITTA' DEL VATICANO (Reuters) - Gli stati devono trattare i migranti con dignità ma hanno il diritto di regolare l'immigrazione e difendere i loro confini, ha detto oggi Papa Benedetto XVI.
Il Papa ha espresso i suoi commenti nel suo messaggio per la Giornata Mondiale dei Migranti e Rifugiati della Chiesa cattolica, toccando una materia che ha causato tensioni tra chiesa e governi in Paesi europei, compresi Francia e Italia.
Ha detto che ognuno ha il diritto ad aver la possibilità di lasciare la madrepatria per cercare migliori condizioni di vita in un altro Paese.
"Allo stesso tempo, gli Stati hanno il diritto di regolare i flussi migratori e di difendere le loro frontiere, garantendo sempre il rispetto dovuto alla dignità di ogni persona umana", ha detto Papa Ratzinger.
Il Papa ha aggiunto che gli immigrati hanno il dovere di integrarsi nei paesi che li ospitano e di rispettare le loro leggi e le loro identità nazionali.
La sfida, ha aggiunto, sta nel combinare "l'accoglienza dovuta ad ogni essere umano, specialmente quando in stato di bisogno, col riconoscimento di quel che è necessario sia agli abitanti del luogo



















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