13 settembre 2010

La classe con il 100% di bambini immigrati
la Repubblica, 13-09-2010
Sara Grattoggi
ROMA- PRESIDI, insegnanti e genitori lo avevano predetto già lo scorso gennaio. Il tetto del 30 per cento per gli alunni stranieri nelle prime classi, introdotto dal ministro dell'Istruzione Mariastella Gelmini, sarebbe stato impossibile da rispettare, soprattutto nei quartieri multietnici delle grandi città.
E SUCCESSO così che moltissime scuole abbiano chiesto una deroga agli uffici scolastici regionali. Determinando, neifatti, una situazione analoga a quella degli anni scorsi per quanto riguarda la composizione delle classi. È il caso dell'istituto comprensivo Laparelli di Roma, nato dall'accorpamento dell'exscuola elementare Pisacane (già al centro delle polemiche proprio per l'elevata concentrazione di studenti immigrati, pari all'ottanta per cento) e della media Pavoni, che domani riprenderà le lezioni con una classe formata solo da bimbi stranieri.
Nella prima B della scuola elementare, infatti, tutti i 19 alunni saranno di origine non italiana, con una prevalenza di bambini cinesi e bengalesi. «L'unico italiano iscritto ha chiesto il nulla osta per il trasferimento —dichiara la preside Flora Longhi — Ma contiamo di invertire il trend e siamo fiduciosi: ci sono stranieri che si trasferiscono e lasciano la scuola per tornare nei propri paesi d'origine, anche se altri immigrati arrivano dal nord Italia».
Gina Neri, mamma del bambino che si è ritirato, tiene però a specificare i motivi della propria scelta, che nulla hanno a che fare con la composizione multietnica delle classi. «Avevamo scelto la Pisacane perché ci piaceva l'offerta formativa e prima dell'iscrizione avevamo parlato a lungo con l'expreside — racconta Neri — Ad agosto abbiamo scoperto che la dirigente sarebbe cambiata e siccome non abbiamo avuto modo di conoscere bene la nuova, pur non dubitando della sua bravura, abbiamo preferito iscrivere nostro figlio alla Di Donato». E, cioè, in un'altra famosissima scuola multietnica della Capitale.
Su 39 studenti di prima elementare del Laparelli, solo due a questo punto saranno italiani. Ma i genitori non temono il melting-pot. «Sarà una ricchezza per mia figlia — spiega Maddalena Grechi, mamma di una bambina iscritta in prima — e poi quelli che chiamano "stranieri" nei fatti sono italiani come lei: hanno fatto la stessa scuola materna, parlano la nostra lingua perfettamente e apprendono molto più in fretta».
Ma il Laparelli non è l'unico istituto romano ad aver ottenuto una deroga al tetto del 30 per cento. Anche il Daniele Manin e il Publio Vibo Mariano, per esempio, sforeranno la "quota Gelmini".
La situazione non cambia a Milano, dove ben 48 istituti della provincia supereranno la percentuale prevista dal ministero. Tra loro, anche le famose elementari Radice di via Paravia, che nel 2009 non avevano nessun bimbo italiano iscritto in prima e quest'anno, invece, ne conteranno solo due su ventuno: appena il 10 per cento.
I precedenti
L'INTEGRAZIONE
Un modello di integrazione l'istituto Manin che ha capovolto il rapporto di presenze tra italiani e stranieri
I R0M
Nel 2008 ha fatto polemica la creazione di una classe con solo bambini rom in un asilo di via Magreglio
LA SOLUZIONE
Nel 2007 nel plesso Thouar-Gonzaga per evitare classi di soli stranieri i bambini sono stati distribuiti in 3 sedi



Sui banchi delle elementari 100mila figli di immigrati

la Repubblica, 13-09-2010
MARIA NOVELLA DE LUCA
NELL'ANNO scolastico che sta per cominciare saranno circa l'll% di tutti gli iscritti alla prima elementare. Ma già nel 2015, secondo una stima della Fondazione Giovanni Agnelli, il loro numero salirà al 17%. Ossia centomila bambini, immigrati di seconda generazione, che approderanno tutti insieme sui banchi della scuola primaria.
ROMENI, albanesi, cinesi, maghrebini, filippini, indiani, nati qui, nel nostro paese, nuovi italiani tra gli italiani, spesso ben integrati e bilingui, eppure ancora stranieri, perché senza cittadinanza e dunque con i diritti a metà. Bimbi e ragazzi made in Italy, con la pelle nera, gli occhi a mandorla, europei, asiatici, africani, simili e diversi insieme, figli di quel mini baby-boom dovuto all'immigrazione "residente" che negli ultimi anni ha fatto risalire il nostro avaro tasso demografico. C'è un nuovo mondo che bussa alle porte della scuola italiana, la fotografia del Paese che verrà, multietnico sì ma non ancora multiculturale, come sottolineano da tempo storici, demografi, insegnanti. Per i bambini immigrati infatti il percorso di studi sembra già "segnato" e accidentato sul nascere. Racconta Paolo Mazzoli, dirigente scolastico romano: «Le iscrizioni di quest'anno confermano che il numero degli alunni immigrati è in continua crescita, ma in modo disomogeneo tra i quartieri delle città, creando un impatto che la scuola spesso non riesce a gestire,sia per mancanza di risorse, ma anche per la mancanza di preparazione dei docenti, oggi a mio parere in profonda crisi di fronte a questa nuova sfida».
Eppure un cambiamento radicale è alle porte, come dimostra la ricerca della Fondazione Agnelli curata da Stefano Molina dal titolo "I figli dell'immigrazione nella scuola italiana". Dove a fronte di flussi migratori in calo, si dimostra che la quota di alunni stranieri è invece "ancora destinata a crescere almeno per un decennio". E se quest'anno su 590mila bambini italiani iscritti alla prima elementare 65mila saranno stranieri (di cui 45.700 nati nel nostro paese) il grande salto si avrà nel 2015/2016. Tra quattro anni infatti mentre il numero di baby studenti italiani resterà quasi identico, gli stranieri per cui si apriranno le porte della scuola primaria saranno 100.500. Un numero raddoppiato in pochissimi anni.
«Questi dati ci dimostrano che la gran parte dei bambini stranieri che si iscrive nelle nostre scuole — dice Andrea Gavosto, direttore della Fondazione Agnelli — è in realtà nata in Italia. Si tende invece a parlare in modo indifferen¬ziato di immigrati, soffermandosi soltanto sul problema linguistico, quando la gran parte di questi bambini l'italiano lo parla benissimo e magari con l'accento della città in cui vive. Il vero problema è la loro integrazione scolastica. In un certo senso è come essere tornati alla scuola degli anni Cinquanta, dove la differenza la facevano la classe e il ceto sociale. Questi ragazzi — aggiunge Gavosto — sono e si sentono italiani. E hanno diritto alla cittadinanza. A Torino il 30% dei bambini sotto i 5 anni ormai è costituito da stranieri nati qui: come possiamo non ritenerli italiani?». In un libro uscito di recente e dal titolo "La qualità della scuola interculturale" (Erickson) Milena Santerini, ordinario di Pedagogia Generale all'università Cattolica di Milano,racconta l'esperienza (virtuosa) di un gruppo di nove scuole ad alta percentuale di immigrati nel capoluogo lombardo. Spiega Santerini: «Nel mio viaggio all'interno di queste scuole primarie ho visto che davvero l'integrazione è possibile, ma servono fondi, strutture, e soprattutto un'idea di inclusione forte. In Italia sono stati fatti grandi sforzi, ma oggi è come se si stesse tornando indietro: basta vedere il tentativo di creare scuole soltanto di stranieri, una vera e propria strategia di segregazione. Il futuro passa attraverso la concessione della cittadinanza ai bimbi nati qui, e al coinvolgimento delle famiglie immigrate nel percorso di studio dei figli».
In realtà, come sottolinea Anna Granata, psicologa e ricercatrice di Pedagogia, «noi spesso immaginiamo i bambini e gli adolescenti immigrati divisi tra due mondi, in realtà si muovono benissimo tra due culture». «Molti di loro raccontano di aver scoperto di essere "stranieri" crescendo, perché mentre la scuola elementare include, le superiori separano. Così come la cittadinanza. È quando realizza di non avere i documenti in regola o di non poter partecipare alla gita di classe all'estero che un giovane, fino a ieri identico ai suoi coetanei italiani, capisce di essere un po' meno italiano, e magari un cittadino di serie B».
Di minori e di minori immigrati, lo scrittore Fabio Geda nella sua attività di educatore si è occupato a lungo. Fino a raccontare nel libro "Nel mare ci sono i coccodrilli", la storia vera, anzi l'odissea di un adolescente, Enaiatollah Ak-bari, fuggito bambino dall'Afghanistan dei talebani e approdato in Italia su un canot-to di disperati. «Oggi Enaiatollah ha 21 anni, e ha deciso che vuole fare l'avvocato. E se la sua è una storia simbolo, di giovani immigrati con questa determinazione ne ho incontrati a decine. E spesso gli insegnanti raccontano — dice Geda — che sono proprio i bambini stranieri i più attenti e disciplinati in classe, pur arrivando da famiglie dove non si parla l'italiano, ma dove l'istruzione è considerata il salto verso un futuro migliore. Oggi però ci troviamo di fronte ad una scuola che non riesce a contenere nessun tipo di diversità, né la sfida multietnica, ma nemmeno l'handicap o il disagio sociale...».



Suona la campanella Classe di soli immigrati, la Gelmini: «Verificherò. Ma il tetto del 30%  e necessario»
Scuola, è un "via" tra tante incognite
DNews, 13-09-2010
Davide Artale
Il Campidoglio rassicura le famiglie: «Nessun rincaro per scuole materne e asili nido». E la Uil calcola: spese per 199 euro al mese.
Questione immigrati, questione precari, mancanza di fondi, problema rincari e a volti anche di posti disponibili e strutture. Se già oggi nelle classi partiranno gli appelli dei nomi degli alunni presidi e dirigenti scolastici si trovano davanti una lista di incognite spesso altrettanto lunghe. Di fronte a una riorganizzazione dell'intero settore formativo che interesserà 500mila studenti solo a Roma e la cui efficacia si potrà valutare solo infuturo è il caso imigrazione  a tenere banco. In particolare a seguito di tutte le po¬lemiche sul tetto agli immigrati previsto dalla riforma Gelmini. E proprio il ministro intervistato da Rtl è intervenuto sul caso della prima B dell'istituto comprensivo Laparelli di Roma, scuola nata dalla fusione della elementare Pisacane e della media Pavoni. Classe che, a dispetto del tetto al numero di studenti immigrati, s'è ritrovata con 19 studenti stranieri e un solo italiano che poi s'è ritirato per trasferirsi in un'altra scuola. «Andrò a verificare nel caso in specie», ha detto il ministro che comunque ha ribadito la validità della formula del tetto per evitare le classi ghetto.
«Noi-ha spiegato la Gelmini-proprio alla luce di situazioni come questa abbiamo introdotto, tra le critiche e le polemiche, il tetto del 30 per cento, non certo per discriminare gli immigrati, ma perché è un suggerimento che ci viene da chi ha esperienza, dai professori, dagli insegnanti che lavorano magari nelle periferie delle grandi città e si trovano ad avere a che fare con un tasso di [ Smolto alta».
«Nessun rincaro» Altro problema per gli italiani, e in particolare per le loro tasche, potrebbero essere i rincari delle rette per gli asili nido e le materne che secondo un calcolo dell'Uil potrebbero raggiungere gli 80 euro. Ma l'assessore Laura Marsilio è intervenuta per rassicurare le famiglie.
«Nessun rincaro nei servizi per l'infanzia del Comune. E aumentano anche i posti disponibili. 525 posti in più per la scuola materna, tra ampliamenti e nove sezioni che passeranno a tempo pieno.
E quattro asili nido pubblici in più che saranno aperti proprio in questi giorni». Ma se dal Campidoglio negano l'arrivo delle nuove stangate ipotizzate nei primi giorni di giugno dallo stesso sindaco Alemanno è la Uil a calcolare quanto scuole materne e asili nido pesino sui conti delle famiglie di Roma a prescindere dai rincari. Si tratta infatti di una spesa mensile di circa 199 euro per le scuole materne, 100 per gli asili e 50 per la refezione scolastica.
Il fronte della protesta studentesca resta però caldo. La riforma e la riorganizzazione del settore non piace e non solo agli insegnanti precari. Già da oggi inizieranno volantinaggi e iniziative di protesta da parte dell'Unione degli studenti. Saranno interessate 100 città italiane tra cui anche Roma. «Chiediamo più investimenti e forme di protezione sociale nello studio e nel lavoro, a partire da una legge quadro nazionale sul diritto allo studio che in Italia ancora manca», spiega Monica Usai dell'Uds. «



Addio alunni italiani Ecco la classe straniera

Il Tempo, 13-09-2010
Susanna Novelli
Nell'ex istituto Pisacane in aula solo cinesi e bengalesi. Trasferito anche l'ultimo scolaro romano. Il ministro Gelmini: "Giusto inserire il tetto del 30%".
Il ministro dell'Istruzione Maria Stella Gelmini Trentasei stranieri e tre italiani. Erano questi i numeri delle iscrizioni nella prima elementare della Scuola Carlo Pisacane, accorpata da quest’anno alla scuola Media Pavoni e trasformata così in Istituto comprensivo Laparelli. Numeri che si sono andati assottigliando, fino all’altro giorno, quando i genitori dell’ultimo bimbo italiano rimasto iscritto hanno chiesto, e ottenuto, il trasferimento. Torna così alla ribalta delle cronache il «caso Pisacane» la scuola che ha formato una prima classe esclusivamente con alunni cinesi e bengalesi e dalla quale, poco più di un anno fa, partì l’allarme dei genitori italiani.
Nella scuola del quartiere periferico di Torpignattara le iscrizioni di alunni immigrati sfioravano il 90% ed erano 170 su 180. «Scuola ghetto», era stata ribattezzata da questo giornale. «Ghetto», perché l'integrazione sociale e culturale in un paese risulta assai improbabile quando in classe nessuno parla l'italiano, quando si cancella il presepe dal Natale, quando si vuole cambiare il nome di Carlo Pisacane, patriota del Risorgimento italiano con quello di un pedagogo giapponese, quando a pranzo si mangia il couscous al posto degli gnocchi. E i bambini stranieri continuano a parlare e a sentir parlare solo la loro lingua d'origine, senza possibilità di socializzare con i loro piccoli coetanei italiani. Una questione di buon senso, insomma, trasformata subito in lotta politica. A tal punto che l'associazione «Progetto Diritti» fece ricorso al Tar del Lazio contro l'introduzione del tetto del 30% di alunni stanieri in ciascuna classe. E infatti, una deroga l'ormai ex Pisacane l'aveva ottenuta: applicando il tetto Gelimini avrebbe chiuso i battenti. Le iscrizioni dei bambini italiani erano comunque troppo basse.
Ora però su 39 nuovi alunni iscritti alla elementare, solo tre sono italiani. E in una delle due classi i 19 bimbi sono tutti stranieri, in maggioranza bengalesi e cinesi. «Contiamo di invertire il trend - ha detto la preside del Luparelli, Flora Longhi - Siamo fiduciosi, ci sono stranieri che si trasferiscono e lasciano la scuola per tornare nei propri paesi d'origine, anche se altri immigrati arrivano dal nord-Italia». Sul caso della prima classe composta interamente da alunni extracomunitari è intervenuto ieri il ministro all'Istruzione.
«Il caso della scuola elementare romana dove tutti gli alunni sono stranieri dimostra che il tetto del 30% introdotto dal governo è una soluzione corretta - ha sottolineato Mariastella Gelmini -. Andrò a verificare nel caso di specie, per capire come mai ci ritroviamo con una classe di soli immigrati, dove l'unico italiano poi ha ovviamente deciso di cambiare scuola. Noi, proprio alla luce di situazioni come questa, per evitare il fatto che alcune classi, laddove ci sia una presenza di soli studenti immigrati diventino classi ghetto, abbiamo introdotto, tra le critiche e le polemiche, il tetto del 30%, non certo per discriminare gli immigrati, ma perché è un suggerimento che ci viene da chi ha esperienza, dai professori, dagli insegnanti che lavorano magari nelle periferie delle grandi città e si trovano ad avere a che fare con un tasso di immigrazione molto alta.
È provato nei fatti - ha aggiunto la Gelmini - che se si trova un equilibrio fra studenti italiani e studenti immigrati quella classe viene messa nelle condizioni di correre e quindi l'apprendimento funziona per tutti. Invece se creiamo classi di soli studenti immigrati il risultato è che non c'è nessuna integrazione e abbiamo visto che questo tetto del 30% è stato applicato nella maggior parte dei casi, in alcune situazioni limite invece del 30% abbiamo il 35%, ma è stato ancora una volta un provvedimento dettato non dall'ideologia, ma dal buon senso». Ed è invece proprio l'ideologia di una parte politica che, seppure fallita, punta ancora verso un'integrazione senza regole fino a presentare ricorso alla magistratura contro il tetto sugli alunni immigrati. E non può essere solo un caso se la scuola Pisacane si trova in una delle zone più «rosse» della Capitale.



Rientri assistiti. Al progetto del Viminale hanno aderito l'anno scorso 228 immigrati regolari
Pochi rimpatri volontari
Dalla provincia di Salerno 92 partenze, quasi tutti marocchini
il Sole, 13-09-2010
Leonard Berberi
In un anno sono tornati in patria in 228. Meno di uno al giorno. Altri venti hanno lasciato l'Italia nelle ultime settimane e quaranta lo faranno nelle prossime. Sono cittadini extracomunitari (soprattutto marocchini), la maggior parte ha tra 20 e 40 anni ed è titolare di una qualche forma di protezione internazionale. Per ogni singolo "ritorno" sono stati spesi, in media, circa 5.800 euro.
È il bilancio, su scala nazionale, dei migranti che hanno fatto ricorso nell'ultimo anno al rimpatrio volontario assistito (Rva). Stranieri che, una volta arrivati in Italia, hanno deciso poi di chiudere la loro esperienza nel nostro paese facendosi aiutare nel processo di ritorno dal punto di vista logistico ed economico. A gestire l'iter è soprattutto l'Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim). Che, sotto la responsabilità del ministero dell'Interno, si occupa di seguire lo straniero in questo percorso dalla prima (l'approccio in Italia) all'ultima fase (reintegrazione nel paese d'origine).
Una modalità che non ha nulla a che fare con i rimpatri obbligatori. Anche se la parola, rimpatrio, compare nel nome del Fondo europeo che finanzia questo tipo di attività (6,7 milioni di euro quest'anno per l'Italia, quasi il doppio nel 20U). «Noi però preferiamo chiamarlo ritorno - precisa Carla Olivieri, responsabile del progetto Nirva, la rete che sta mettendo insieme le organizzazioni che promuovono questa possibilità -. Qui lavoriamo con migranti che decidono in piena autonomia di tornare a casa».
All'immigrato che decide di riorganizzare la vita nel suo paese, l'Oim garantisce una serie di cose: «Il biglietto dell'aereo pagato, 400 euro in contanti al momento della partenza e fino a tremila euro di finanziamento per aprire un'attività nel paese d'origine».
Nella prima fase del progetto - ribattezzato Partir - la Campania è stata la regione da dove sono ripartiti più migranti (93). Con una particolarità: quasi tutti (92) vivevano nel campo di San Nicola Varco (Salerno). «Si trattava di marocchini ridotti in stato di semi-schiavitù - ricorda Flavio di Giacomo dell'Organizzazione internazionale per le mi-
grazioni -. Persone che avevano pagato 8mila euro dietro la promessa di lavoro in Italia, entrate con visto regolare, ma che poi non erano mai state assunte».
La crisi economica, che secondo l'Ocse sta colpendo di più i lavoratori stranieri, a sentire Di Giacomo non ha influito sulla domanda di rimpatrio nemmeno quest'anno. «Nel 2010 prevediamo di reinserire nei loro paesi altre duecento persone - dice -. Cifre in linea con gli anni precedenti». La questione è un'altra: i numeri complessivi. «I rimpatri volontari sono obiettivamente pochi -, continua di Giacomo - e la spiegazione è semplice: in Italia possono fare ricorso a questo strumento soltanto gli extracomunitari che risiedono qui legalmente». L'introduzione del reato di clandestinità la scorsa estate obbliga quelli irregolari a passare attraverso altre tappe prima di arrivare al definitivo allontanamento. «Continuiamo a chiedere al governo di cancellare questa distinzione, tra regolari e non. Del resto è la stessa Unione europea che lo impone con una direttiva del 2008». Quella direttiva (si veda Il Sole 24 Ore del Lunedì del 30 agosto) che l'Italia deve recepire entro il 24 dicembre.
«Più della metà delle richieste di Rva arriva da stranieri irregolari - continua Di Giacomo -. Ma noi siamo costretti a non aiutarli. Ogni caso che riceviamo, infatti, viene esaminato dal Viminale che, legge alla mano, di fronte a un cittadino senza permesso di soggiorno è obbligato a denunciare per clandestinità proprio quello straniero che chiede di tornare a casa». Il tutto con costi economici (e sociali) rilevanti. Secondo Christopher Hein, direttore del Consiglio italiano per i rifugiati, «il rimpatrio forzato costa fino a cinque volte di più rispetto a quello volontario». Su questo tasto preme anche Di Giacomo: «Attraverso il ritorno volontario si evitano le spese di mantenimento dello straniero nel Cie, gli alti costi di viaggio, l'impiego della scorta per consegnare l'irregolare alle autorità del suo paese. Chi decide di farlo volontariamente, poi, ha la possibilità di riprogettare la sua vita perché c'è qualcuno a dargli una mano».



ANALISI
Peggio degli sbarchi gli ingressi dall'est e dai paesi senza visti
il Sole, 13-09-2010
Maurizio Ambrosini
Sugli sbarchi degli immigrati  sembra avere ragione il ministro dell'Interno, Roberto Maroni: almeno per ora sono drasticamente diminuiti. Il fatto stesso che i passatori siano costretti ad adottare nuove strategie, come l'impiego di insospettabili barche da diporto, oppure a battere rotte più lunghe e complicate, sembra mostrare che la chiusura della rotta Libia-Lampedusa sta producendo i risultati desiderati. Il risultato potrebbe essere provvisorio, perché nel passato i trasportatori di immigrati hanno saputo escogitare nuove rotte.
Più problematica si rivela la coincidenza istituita tra sbarchi e immigrazione irregolare. In realtà, soltanto una piccola minoranza degli immigrati non autorizzati arriva via mar,e. La maggioranza arriva con un regolare visto turistico, un'altra quota con documenti falsi, altri con mezzi diversi, dai visti per attività artistiche e sportive agli ingressi via terra, nascosti in un camion. L'International Migration Institute dell'università di Oxford stima che gli arrivi via mare non rappresentino più del 10-12% dell'immigrazione irregolare dall'Africa verso l'Italia. Basterebbe farsi aiutare dalla logica: dall'Europa dell'Est, che negli ultimi anni fornisce i contingenti più numerosi di nuovi immigrati, non si arriva via mare passando dalle coste africane; dall'America Latina neppure; dall'estremo Oriente in qualche caso, via Turchia, ma raramente. Bisognerebbe invece prestare maggiore attenzione alla politica dei visti: sono stati recentemente aboliti per il Brasile e per tutta l'area balcanica, Albania esclusa. Difficile che queste scelte non producano immigrazione irregolare. C'è poi il problema dei rimpatri. Anche a questo riguardo il governo ha vantato successi, esibendo un aumento delle espulsioni (circa 24mila nel 2009 contro le 18mila del 2008). Ma l'effettiva incidenza di questi dati va raffrontata con l'entità del fenomeno. Per l'immigrazione irregolare, disponiamo di stime (Fondazione Ismu) che parlano di oltre 50omila unità, e di un dato certo, quello della sanatoria dello scorso settembre: 295mila domande, riferite però al solo settore domestico-assistenziale. Se alla fine della lunga procedura, circa 25omila immigrati avranno ottenuto un permesso di soggiorno, il risultato sarà che gli irregolari sanati avranno superato di oltre dieci volte quelli espulsi.
Difficilmente le cose potrebbero andare in un altro modo: in tutto ci sono 1.800 posti nei Centri di identificazione ed espulsione. Con l'allungamento a sei mesi del periodo di detenzione, il turn-over è destinato a rallentare. È possibile che il tasso, di effettiva espulsione degli immigrati trattenuti aumenti, dopo che negli ultimi anni non ha mai raggiunto neppure il 50 per cento. Ma alla fine la coperta resta corta. Le politiche dichiarate ed enfatizzate non corrispondono alle politiche praticate. Queste parlano di sei sanatorie in 22 anni, di cui le ultime due promosse da governi di centro-destra. Oltre ai decreti-flussi, che funzionano come sanatorie mascherate. L'Italia detiene il primato europeo delle regolarizzazioni a posteriori, e l'attuale governo l'ha rafforzato.
È troppo allora chiedere ai nostri governanti meno retorica, meno speculazione politica, più attenzione alla realtà, più umiltà nella ricerca dei mezzi per governare un fenomeno tanto epocale e complesso?
Università di Milano Direttore di «Mondi migranti»



» L'intervista La scrittrice Elif Shafak, autrice de «La bastarda di Istanbul»
«Il nostro Islam può convivere con le democrazie europee»
Corriere della Sera, 13-09-2010              
Monica Ricci Sargentini
ISTANBUL — Ha aspettato i risultati incollata alla tv, sperando vivamente in una vittoria dei sì. Perché Elif Shafak, la scrittrice turca che in Italia è diventata famosa con La bastarda dì Istanbul, non crede affatto che il Paese si stia islamizzando o che ci sia un rischio di deriva autoritaria. «Quello di cui abbiamo bisogno — dice al Corriere — è di percorrere fino in fondo la strada della democrazia. E questo è solo un primo pas¬so».
Il significato di questo referendum è solo positivo?
«In Turchia la politica non è mai bianca o nera. E sempre tutto molto più complicato. Molte persone hanno votato sì per cambiare la Costituzione del 1982 che era stata introdotta dopo un golpe. Una cosa è chiara:   la gente non vuole più colpi di Stato. Quindi sì: la Turchia oggi è diventata più democratica ma questo cambiamento non è abbastanza. Abbiamo bisogno di una Costituzione che sia modellata sul consenso politico». L'opposizione teme che la vittoria di Erdogan faccia scivolare il Paese verso Est avvicinandolo al regime iraniano. Lei è d'accordo?
«Non lo credo assolutamente. Erdogan vuole solo che la Turchia abbia un ruolo di primo piano nella regione. Noi abbiamo legami profondi con l'Occidente. C'è una storia lunga che ci porta indietro al 1789, al sultano Selim III. La po-
litica estera del governo non mi preoccupa. Quello che mi sta a cuore è lo sviluppo della democrazia turca. Una democrazia matura ha bisogno di un partito forte al potere ma anche di una buona opposizione e di tanto pluralismo».
Cosa manca secondo lei oggi? Il governo dell'Akp vi ha reso più liberi?
«In questi otto anni c'è stata un'espansione della vita culturale e civica. Ma se parliamo della libertà di parola allora le dico che abbiamo bisogno di altri passi avanti. Non dobbiamo dimenticare che le libertà civili e i diritti umani sono essenziali per la democrazia».
Lei caldeggia l'ingresso della Turchia nella Ue? Pensa che l'Europa stia perdendo tempo?
«Sono assolutamente a favore. Penso che l'Islam possa convivere con le democrazie occidentali. Se la Turchia diventerà un membro della Ue questo avrà conseguenze positive non solo per la regione ma per il mondo intero. Una Turchia democratica, secolare e parte dell'Europa potrà giocare un ruolo costruttivo e positivo. Ed è vera¬mente un peccato che politici populisti come Sarkozy non possano vedere il quadro d'insieme».
Lei è considerata una femminista. La situazione delle donne nel suo Paese sta migliorando?
«Io sono una post femminista. Sono una che rispetta il movimento delle donne di qualche generazione fa e che vuole portare quella lotta ancora più avanti. Le donne in Turchia sono incredibilmente dinamiche, visibili e aperte in tantissimi campi. Siamo presenti in grandi numeri nei media, nelle università, negli ospedali, nella finanza. Quindi siamo competitive. Ma devo ammettere che quando arriviamo alla politica il quadro cambia totalmente. È un mondo dominato dagli uomini e servirà molto tempo per cambiare questa situazione. Abbiamo bisogno che le donne entrino in politica ad ogni livello, locale e nazionale».
In che modo sta cambiando la società civile? Il passato convive con il futuro?
«La Turchia è un Paese interessante e complicato. Pieno di contrasti e di sintesi. La tradizione, la religione, il secolarismo, la modernità e l'occidentalizzazione... sono tutti elementi importanti delle nostre vite. Nel mondo musulmano non esiste un altro esempio del genere. Io ho molta fiducia nel popolo, specialmente nelle donne e nei giovani. I ragazzi oggi si vedono come parte della comunità globale e questo è molto importante».
Lei è autrice di best sellers. La scrittrice più venduta in Turchia
nonostante il suo genere non sia propriamente tradizionale. Chi sono i suoi lettori?
«Sono soprattutto donne. Se i libri vendono sempre di più è grazie al genere femminile. Il mondo culturale in Turchia è molto dinamico e c'è veramente un'abbondanza di lettori. Ma il mondo della scrittura è ancora patriarcale. La maggior parte degli scrittori sono uomini. Abbiamo bisogno che sempre più donne scrivano e sempre più uomini leggano».



Ground Zero L'imam: sbagliato spostare la moschea

il Giornale, 13-09-2010
L'imam musulmano responsabile della proposta di costruire una moschea a due isolati di distanza da Ground Zero ha detto che rinunciare al progetto manderebbe un messaggio sbagliato al mondo musulmano. «La mia maggiore preoccupazione riguardo un sito diverso è che il messaggio che arriverebbe al mondo musulmano sarebbe che l'Islam è sotto attacco in America», ha detto l'imam Feisal Abdul Rauf, intervistato dall'Abc News. «Il che rafforzerebbe gli estremisti nel mondo musulmano, aiuterebbe il loro reclutamento».



MIGRANTI E DONNE, 'EMERGENZE D'IDENTITA'' DAL 17 SETTEMBRE  A ROMA, ALL'ISA, VIA DEL COMMERCIO 13

Roma, 12 set. (Adnkronos) - Donne e migranti, uniti dalla necessita' di muoversi. Per emanciparsi e soddisfare una emergenza di identita'. Saranno al centro di un evento culturale ideato e realizzato dall'associazione ComunicAzioni, che unisce arte, letture e performance, in programma a Roma, all'Istituto Superiore Antincendi di via del commercio 13, dal 17 al 25 settembre.
L'approccio adottato punta all'interrelazione fra una pluralita' di linguaggi e di discipline sia scientifiche che artistiche. Secondo gli organizzatori, e' questa l'unica via, ragionevolmente irrazionale, per cogliere la sfida sull'emancipazione di migranti e donne. In pratica, ''Emergenze di identita''' si articola in una giornata di ricerca, un incontro fra registi, una mostra d'arte e una rassegna di spettacoli.
L'obiettivo e' particolarmente ambizioso: si parla di ''Emergenze'' evocando il tema della sicurezza, sapendo che, in verita', cio' che emerge vale piu' di una rivoluzione, se sa tirar via la cultura dominante dalle sabbie mobili del '68 e dai limiti teorici del marxismo per elaborare un pensiero nuovo su immagine e identita', massa e classe, liberta' e identita', uomo e donna. Tra i tanti ospiti attesi: Federico Masini, Giuseppe Vitaletti, Ernesto Longobardi, Luigi Manconi, Francesco Dall'Olio, Ernesto Ruffini, Annelore Homberg, Shukri Said, Guido Melis e Jean Touadi.







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