16 settembre 2010

Scandalo Libia quattro versioni e un'assoluzione
il Riformista, 16-09-2010
PEPPINO CALDAROLA
Il governo assolve la Libia. È questa la conclusione da trarre dalle risposte che il ministro Vito ha dato in parlamento alle interrogazioni sull'agguato subito dal peschereccio italiano "Ariete". La fretta con cui si vuole chiudere la vicenda alimenta l'inquietudine e l'imbarazzo. Da domenica sera ad oggi si sono susseguite spiegazioni che non hanno chiarito il caso. Il ministro dell'Interno Maroni ha dichiarato che si è trattato di un incidente dovuto al fatto che i guardia-marine di Gheddafi hanno creduto di sparare su una nave carica di immigrati. Il ministro degli Esteri Frattini ha sostenuto che i nostri pescatori lavoravano in acque libiche. Il ministro Vito ha chiuso il discorso dichiarando che i libici si sono scusati e quindi si può voltare pagina. Invece la questione è del tutto aperta. Per le seguenti ragioni.
l governo italiano a tre giorni dall'episodio non ha ancora fornito (speriamo che lo faccia oggi il sottosegretario Stefania Craxi davanti alle commissioni Esteri di Camera e Senato) una ricostruzione degli avvenimenti. Le cose che non sappiamo sono le seguenti: non sappiamo dove è avvenuta l'intercettazione del peschereccio italiano da parte della motovedetta libica, non sappiamo se una volta intercettato il peschereccio abbia avuto la possibilità di spiegare la propria collocazione in mare e i propri compiti, non sappiamo se vi sia stato o no un inseguimento in mare (il comandante del peschereccio sostiene di essere fuggito per cinque ore), non sappiamo la ragione per cui i colpi siano stati sparati ad altezza d'uomo allo scopo di uccidere o di ferire, non sappiamo quale ruolo abbiano svolto durante l'operazione militare i nostri finanzieri che assistevano i libici. Il ministero degli Interni fa sapere che i nostri finanzieri erano sottocoperta come da regolamento. Questo per quanto riguarda i fatti.
Per quanto riguarda le regole di ingaggio non sappiamo quali ordini siano stati dati ai militari italiani imbarcati sulle motovedette libiche e quale comportamento debbano assumere in caso di scontro. Il ministero degli Interni ha fatto sapere ieri che i nostri finanzieri, come da regolamento erano sottocoperta nel momento del fuoco: questo vuol dire che l'ipotesi di un loro coinvolgimento in azioni di guerra è stato previsto e accettato? Non sappiamo, quindi, se negli accordi di cooperazione fra Italia e Libia sia stato previsto l'uso della forza pur di fermare ad ogni costo i vascelli di migranti. Non sappiamo come il governo intende tutelare i nostri pescatori di fronte alla pretesa della Libia di estendere le proprie acque territoriali fino a comprendere spazi internazionali. In pratica non sappiamo niente e temiamo che anche il governo non sappia quel che ha firmato.
Le dichiarazioni dei ministri sollevano anche un'altra questione. Prendendo per buone le due giustificazioni date da Maroni e da Frattini («Il peschereccio sembrava portasse clandestini», ovvero «il peschereccio pescava in acque libiche») sarebbe interessante sapere se i ministri ritengono accettabile che per reazione la Libia decida di sparare. In verità da quel che si è capito l'attacco libico è avvenuto a freddo. Era evidente che la barca italiana non portava passeggeri, è discutibile che pescasse fuori dalle acque internazionali. Siamo stati probabilmente usati dalla Libia
per una manifestazione di predominio sulle acque circostanti. Gheddafi ha voluto in qualche modo compromettere gli italiani per raggiungere due obiettivi. Da un lato coinvolgerci in una gestione atroce dell'azione di contrasto all'immigrazione clandestina, dall'altro ottenere il nostro avallo all'allargamento dei confini in mare della propria sovranità. La situazione, se non fosse tragica, sarebbe ridicola. Saremmo stati posti per la prima volta davanti a due decisioni che non abbiamo preso. La prima è quella di contrastare con l'uso della forza l'avvicinamento di vascelli carichi di immigrati. La seconda è quella di avallare le mire espansionistiche di un paese dirimpettaio.
C'è un aspetto morale in questa storia. Prendiamo per buona la tesi di Maroni. I libici hanno sparato credendo di colpire un'imbarcazione carica di immigrati. È accettabile? Ricordo che quando il 28 marzo del '97 la nave militare italiana Sibilla speronò nelle acque d'Otranto una carretta del mare carica di albanesi provocando morti e feriti l'opinione pubblica reagì con grande sdegno. E unanime fu la condanna della proposta leghista di bombardare in mare le navi piene di disgraziati in cerca di fortuna in Italia. Numerosi invece sono stati i casi di salvataggi effettuati da pescherecci italiani e da imbarcazioni militari. L'Italia non può accettare che in nome di un trattato bilaterale la Libia con mezzi italiani e in presenza di militari italiani decida di sparare su questa umanità sventurata. Il governo non l'ha detto. Deve dirlo con chiarezza e se la Libia non è d'accordo il trattato va ridiscusso. Del resto alla Libia dobbiamo anche chiedere come mai abbia chiuso l'ufficio dei rifugiati dell'Onu a Tripoli con la conseguenza che chi fugge dalle torture e dalle prigioni non ha più un tutor a cui rivolgersi.
Prendiamo per buona invece la tesi di Frattini. Il peschereccio italiano era in acque di incerta appartenenza. Il governo che fa? Si accontenta delle scuse? Questo governo che difende i truffatori delle quote latte non ha una parola da spendere per i pescatori siciliani? La conclusione che si può trarre da questa vicenda è che il trattato con la Libia ha molti punti oscuri e che la sua gestione si sta rivelando più favorevole a Gheddafi che agli interessi e alla cultura di questa parte del Mediterraneo. L'inerzia del governo, denunciata da monsignor Mogavero, è frutto di una politica estera caotica, spesso indifferente ai principi morali, rivolta all'accondiscendenza verso le pretese dell'amico di turno. Una Brutta storia.



L'intervista
L'allarme delle Nazioni Unite "In nessun caso è lecito sparare"

la Repubblica, 16-09-2010
PAOLA COPPOLA
ROMA—«Ci auguriamo che Maroni non volesse dire che sparare su un peschereccio non è lecito mentre lo è sui barconi che hanno a bordo migranti e rifugiati: le sue parole ci sorprendono perché arrivano da un ministro, ma soprattutto ci preoccupano. Dopo le mitragliate contro l'Ariete va riaffermato che è inaccettabile sparare in mare contro chiun¬que, pescatori e migranti». Laura Boldrini, portavoce dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati avverte: «Occorre vigilare perché sia portava avanti la tradizione della Marine-ria italiana che è quella di salvare vite umane e non di aprire il fuoco».
Ieri il comandante dell'Ariete ha ribadito che non era impegnato in una battuta di pesca e che si trovavano in acque internazionali, smentendo le parole del ministro degli Esteri Frattini e quelle del ministro degli Interni Maroni. Che ne pensa?
«Sull'incidente va fatta chiarezza. Conosciamo bene Gaspare Marrone che è uno dei nostri capitani coraggiosi e ha ricevuto il"Premio per Mare"dell'Unhcre della Guardia Costiera nel 2008 per aver salvato oltre 50 migranti allargo di Lampedusa el'anno seguente ha contribuito in un'operazione a salvare 300 persone nel mare in burrasca».
L'accordo Italia-Libia garantisce i diritti dei migranti o va rivisto?
«Gli Stati hanno il diritto di fare accordi bilaterali per il controllo dell'immigrazione irregolare: è importante che in questi accordi si tenga in considerazione la tutela dei migranti e che ci siano clausole e garanzie specifiche per i richiedenti asilo».
Era mai accaduto prima che le motovedette libiche sparassero contro imbarcazioni di migranti?
«Non ci risulta che siano mai state usate armi da fuoco. Nelle operazioni di respingimento, durante il trasferimento degli extra-comunitari dalle motovedette italiane a quelle libiche, ci sono state colluttazioni. È successo che i migranti abbiano fatto resistenza per non essere consegnati ai libici: alcuni avevano già esperienza dei loro centri di detenzione e poi la Libia non riconosce il diritto d'asilo né ha firmato la Convenzione di Ginevra del 1951 e per questo le persone bisognose di protezione tentano di arrivare in ogni modo in un posto sicuro dove fare domanda d'asilo».
Come valuta i risultati dei respingimenti?
«Negli anni scorsi oltre il 70% di chi raggiungeva via mare il nostro Paese faceva domanda d'asilo, e la metà di questi otteneva una forma di protezione. Nel 2009 è crollato il numero di domande perché i respingimenti rendono difficile la fruizione di questo diritto. Però questa politica non sta dando risultati nel contrasto al che gli irregolari continuano a entrare con un visto e a rimanere allo scadere».



L'INTERNAZIONALE DELLA PAURA

la Repubblica, 16-09-2010
Adriano Prosperi
UNO spettro si aggira per l'Europa: un altro. Non quello rosso del comunismo che nel 1848 allarmò la Santa Alleanza. Oggi lo spettro veste gli stracci colorati e si muove sui carrozzoni di un popolo di nomadi. È questo lo spettro che ha spinto Sarkozy a rispondere sgarbatamente alla commissaria europea Viviane Reding e che gli ha guadagnato l'immediato appoggio di Berlusconi.
Oggi nasce in Europa una nuova internazionale: quella della paura. Ne tengano conto gli storici del futuro. Abbiamo avuto finora diverse Europe, quella cristiana, quella degli umanisti, quella illuministica. È stato battuto il tentativo di dar vita a un'Europa nazifascista nel segno della romanità antica e della svastica che nel 1934 portò a Roma per annunciarne la creazione l'ideologo del razzismo nazista Alfred Rosenberg. Ci fu, invece di quella, l'Europa rinata dalle rovine grazie all'intelligenza e al coraggio di uomini come Federico Chabod che concluse le sue lucidissime lezioni sulla storia dell'idea d'Europa lasciando Milano per unirsi alla Resistenza in Val d'Aosta. Ma quella che oggi ha preso forma nelle dichi arazioni diSarkozy e per la quale il nostro presidente del Consiglio si è affrettato a dichiarare che esiste «una convergenza italo-francese» è un'Europa dominata dalla paura, dalla volontà di chiudere le porte agli immigrati e di cacciare via i rom.
Notiamo di passaggio la differenza di stile tra le due dichiarazioni, quella di Sarkozy e quella di Berlusconi. Quella di Sarkozy è una rispostaccia pubblica, da litigio di condominio: quella di Berlusconi è un avvertimento di metodo: di queste cose si deve parlare privatamente. Ma ambedue partono da un unico presupposto: quello che i rom siano spazzatura. Anzi, qualcosa di meno. Sul mercato internazionale della spazzatura il prezzo dei rimpatri francesi dei rom—300 euro un adulto, 100 un bambino — è decisamente a buon prezzo se confrontato con quello dei residui speciali che attraversano l'Europa su carri blindati per andare a nascondersi in qualche miniera abbandonata o a farsi bruciare negli impianti tedeschi.
Accomuna le due dichiarazioni lo stesso disprezzo per gli esseri umani in gioco. Ci si chiede se siamo giunti davvero al punto di dover riconoscere che l'Europa ha dimenticato l'epoca in cui i trasferimenti forzati di popolazione e l'eliminazione fisica degli indesiderati presero avvio proprio dai rom. Sbaglieremmo a trascurare le ragioni di questa rapida convergenza dei due presidenti nella costruzione di un'Europa della paura.
Il ministro Maroni ci aveva già informato all'inizio dell'estate che stava preparando la sua campagna d'autunno col rilancio del tema degli immigrati. E non è certo da oggi che la politica della paura costituisce la risorsa alla quale si appella una dirigenza politica senza idee e senza risultati da presentare al paese. E una ricetta a suo modo infallibile. Ma la censura della commissaria europea Viviane Reding ha fatto suonare l'allarme in casa leghista e ha spinto Berlusconi a coprirsi dietro le spalle di Sarkozy perla semplice ragione che la Francia è sempre la Francia.
Sarà bene che l'opinione pubblica democratica si svegli: non si dimentichi che si sta discutendo della sorte di esseri umani mercificati e venduti a un tanto il chilo. Che cosa contino sul mercato di una coalizione che si presenta a mani vuote davanti al paese in cerca di rilanci elet-torali lo abbiamo capito dal commento del governo all'episodio della sparatoria partita da navi vedetta italiane in mani libiche: pensavano forse che si trattasse di immigrati clandestini? Perché evidentemente in questo caso si sarebbe trattato di una causa giusta. Che i libici, con l'aiuto e l'avallo dell'Italia, sparino sui pescherecci dei disperati o li chiudano nei campi di concentramento viene considerato un successo politico del nostro paese.
Comunque il risultato è quello di una brusca svolta storica: nell'idea d'Europa, nella immagine della Francia paese della libertà e rifugio per chi non trova libertà in casa sua; anche nella realtà storica di un'Italia che, pur nella fragilità delle sue istituzioni statali, aveva trovato nel solidarismo cristiano e in quello socialista le risorse ideali e pratiche per assicurare assistenza e conforto ai diseredati.



Berlusconi in soccorso dell' "amico francese"

La Stampa, 16-09-2010
Amedeo La Mattina
Spunta l'asse Roma-Parigi. E sul divieto del burqa approvato dall'Assemblée arrivano le lodi di Fini: opportuno e doveroso
ROMA -Berlusconi vuole scuotere l'Europa sul problema dell'immigrazione clandestina e si schiera con il presidente francese Sarkozy nella polemica con il commissario europea Viviane Reding. Inoltre le posizioni dell'Eliseo sul divieto del burqa suscitano l'apprezzamento di Fini. Ma è la prima questione ad agitare veramente le acque in Europa e portano il premier italiano a schierarsi nettamente con il Sarkozy nella dura polemica con la Ue. La Reding «avrebbe fatto meglio a trattare l'argomento in privato con i dirigenti francesi, prima di esprimersi pubblicamente come ha fatto». Questa è la stoccata di Berlusconi contenuta in un'intervista a Le Figaro a proposito delle espulsioni dei rom dalla Francia. Per il Cavaliere la convergenza italo-francese, diversa dalla posizione tedesca della Cancelliera Merkel, dovrebbe aiutare a scuotere Bruxelles dove oggi si riunisce il Consiglio dei capi di Stato e di governo sulle questioni economiche e finanziarie. Sono necessarie soluzioni comuni anche su questi temi. «Questo problema dei rom non è soltanto francese -ha spiegato il presidente del Consiglio -. Riguarda tutti i Paesi d'Europa. Bisogna dunque aggiungere questo tema al Consiglio europeo per parlarne tutti insieme e trovare una posizione comune.
D'altra parte, la questione dei rom non è l'unica che si pone: c'è quella dell'immigrazione  clandestina che vede l'Italia «particolarmente esposta a causa dell'estensione delle sue coste». Il punto è che «l'Europa non ha ancora capito che non si tratta di un problema unicamente francese o italiano, greco o spagnolo. Il presidente Sarkozy, invece, ne è pienamente consapevole. Speriamo che la con-vergenza italo-francese aiuti a scuotere l'Europa». Berlusconi, che tra l'altro nell'intervista al quotidiano francese ha
detto di nessun dubbio di riuscire a portare a termine la legislatura fino al 2013, è atteso per stamane a Bruxelles. E promette di dare battaglia accanto al presidente francese, il quale ha inoltre caratterizzato la sua politica con il divieto di indossare il burqa nei luoghi pubblici. E su questo tema si registra un'inedita convergenza tra il presidente della Camera e la Lega.
«Quel che ha deciso il Parlamento francese - ha detto Fini - credo sia non solo giusto ma opportuno e doveroso». E ciò in ragione del «valore costituzionale sulla dignità della donna, che non può essere sottoposta a violenze o comportamenti indotti da gerarchie diverse da quelle della legge». Un'indicazione che il Carroccio raccoglie al volo, annunciando per venerdì 17 settembre un ddl esattamente identico alla legge francese. Le parole di Fini vengono infatti accolte con apprezzamento dal capogruppo del Carroccio Reguzzoni, che auspica un'iter molto breve del provvedimento.
La sintonia tra Fini e il partito di Bossi, almeno su questo tema, è una novità. E forse fa parte del clima di rasserenamento, pur formale, al quale si assiste nella maggioranza. Ma il colpo di teatro è sullo scacchiere europeo alla vigilia del Consiglio Europeo. Ritorna l'asse italo-francese, con Berlusconi pronto a dare una mano a Sarkozy quando la Francia assumerà la presidenza del G8-G20. «Sono pronto a lavorare con il presidente Sarkozy con tutta la mia esperienza», ha detto il premier. Augurandosi «una condotta robusta che sappia combinare la crescente esigenza di coordinamento tra il G8 e il G20». «I nostri rapporti personali sono eccellenti», ha spiegato Berlusconi nell'intervista che uscirà domani. Comune la visione di un'"Europa dell'azione» e sull'esigenza di rilanciare nucleare civile nel nostro Paese.



L'Eliseo attacca il commissario europeo Reding: "Se li prenda a  casa sua". Il Cavaliere: "L'Europa non ha capito il problema"
Berlusconi con Sarkozy contro la Ue
la Repubblica, 16-09-2010
Polemica sui Rom. Monito Usa: Parigi rispetta diritti umani
ROMA — Bufera Rom in Europa. Nicolas Sarkozy e Silvio Berlusconi attaccano a testa bassa il vicepresidente della commissione Ue, Viviana Reding che aveva criticato duramente la Franciaperle«deportazionidel popolo nomade, simili -ha dichiarato- a quelle della seconda guerra mondiale». Il presidente franceseharisposto:«se li prenda a casa sua». Il premier italiano ha invece polemizzato dicendo che «l'Europa non comprende il problema». A fianco della Reding la cancelliera tedesca Angela Merkel. Dagli Usa è arrivato un monito: «Parigi deve rispettare i diritti umani».



L'EUROPA SULL'ORLO DI UNA CRISI DI NERVI

Corriere della sera, 16-09-2010
Franco Venturini
L' Europa arriva all'odierno vertice sull'orlo di una crisi di nervi. Silvio Berlusconi, deciso a soccorrere un Nicolas Sarkozy in difficoltà per le espulsioni «volontarie» di rom attuate dalla Francia, ha detto al Figaro una cosa sbagliata e
una giusta.   
Sbagliato è sostenere che la commissaria europea competente, la lussemburghese Viviane Reding, non doveva criticare in pubblico l'operato del governo di Parigi. Perché se è vero che la Reding ha utilizzato contro la Francia espressioni eccessive, è anche vero che i responsabili della Commissione hanno non soltanto il diritto ma anche il dovere di denunciare eventuali violazioni delle regole comuni. E la violazione di ordinare lo smantellamento soltanto dei campi rom, identificando così un gruppo specifico da espellere, in una prima direttiva poi corretta era stata commessa e aveva sollevato molte polemiche anche in Francia.
Berlusconi ha invece ragione quando dice che quello dell'immigrazione clandestina è un problema di tutti gli europei, e che servono politiche comuni per affrontare il fenomeno. Ha ragione quando lascia intendere che in Europa non tutti hanno la stessa sensibilità degli italiani, dei francesi o degli spagnoli. Noi speriamo, con lui, che la Ue sappia affrontare il problema meglio di quanto abbia fatto sinora. Ma dichiarare un asse con Sarkozy e i suoi eccessi, per di più contro la Commissione, non ci pare una buona politica. Tanto meno all'indomani di un episodio — il mitragliamento del peschereccio Ariete — che mostra i limiti e le ambiguità della ricetta italiana.
Purtroppo sono ancora una volta gli umori nazionali e i nervi nazionali, in questo caso italo-francesi, a chiedere all'Europa una politica comune. L'augurio è di ottenerla, anche perché la lotta all'immigrazione clandestina, se rispettosa di certi criteri, si presenta ovunque come una necessità. Ma il rischio è invece che un tema tanto delicato e le acredini di queste ore spingano ulteriormente la Ue nella direzione che da troppo tempo la caratterizza, fatti salvi gli interventi di sicurezza finanziaria: la direzione degli egoismi, della rinazionalizzazione delle politiche, del trionfo degli interessi più forti a scapito dello spirito unitario. Un ulteriore esempio di queste tendenze disgreganti, ieri, è venuto dalle prime nomine del Servizio diplomatico europeo. Piuttosto deludenti per l'Italia, esse evidenziano i limiti storici del nostro potere contrattuale nella Ue ma anche la nostra persistente inadeguatezza a brigare un potere contrattuale maggiore.
C'è di mezzo il peso nazionale, senza dubbio. In Europa ci stanno davanti, come sempre malgrado i frequenti sussulti retorici del nostro europeismo, almeno la Germania, la Francia e la Gran Bretagna. La Spagna, prima della
sua crisi peggiore delle altre, era ormai al nostro livello. E la Polonia, tra i «nuovi», ci incalza con i dati economici ma anche con la riconosciuta preparazione (come la Spagna, del rèsto) del personale che viene assegnato all'Unione Europea.
Eccolo il secondo punto dolente, quello che dovrebbe essere rimediabile e che invece continua a sottolineare le nostre debolezze. Superato il livello dei commessi, gli italiani inseriti negli ingranaggi della macchina europea sono di solito assai bravi ma anche assai pochi. Perché pochi hanno le qualificazioni richieste per occupare poltrone importanti. Ma anche perché pochi sono i candidati, in un Paese che preferisce la retorica, appunto, alla sfida sul campo. La questione, antica e ben nota, si è riproposta anche per le nomine diplomatiche. I pesi massimi della nostra Carriera, in pratica, non hanno brigato nomine europee al posto delle più rassicuranti nomine italiane. Si poteva incoraggiarli a farlo? Forse sì, ma va detto che nel caso del Servizio diplomatico comune il biasimo verso la scarsa mobilità europea degli italiani riesce più difficile di altre volte. Una diplomazia serve a condizione che esista una politica estera da sostenere. E nell'Europa scossa dai terremoti economici è davvero difficile vedere, come Berlusconi e Sarkozy hanno confermato ieri sul tema dell'immigrazione, l'emergere di politiche comuni che non siano quelle finanziarie.



Bruxelles e la paura del contagio "Fermiamo l'asse Francia-Italia"

la Repubblica, 16-09-2010
Romania ricattata, la Commissione: troppe spinte xenofobe
ANDREA BONANNI
BRUXELLES — «Mai e in nessun modo la Francia ha voluto colpire una minoranza specifica. La nostra è una operazione di ordine pubblico diretta contro cittadini, anche francesi, che occupano abusivamente terreni pubblici o privati».E' martedì 31 agosto. Al dodicesimo piano del Palazzo Berlaymont di Bruxelles, Eric Besson, ministro
per l'imigrazione, l' integrazione e l'identità nazionale è impegnato a dare rassicurazioni alla Commissione europea. Al suo fianco, siede Pierre Lellouche, segretario di Stato per gli affari europei. Di fronte a loro siedono la commissaria svedese agli affari interni Cecilia Malmstrom e la vicepresidente della Commissione, la lussemburghese Viviane Reding, responsabile per la Giustizia. L'Europa è preoccupata: l'ondata di espulsioni, che parte dalla Francia, può "contagiare" anche altri Paesi. Primo fra tutti proprio l'Italia che già nei mesi scorsi era stata richiamata da Bruxelles per le misure discriminatorie contro i Rom. Un asse, quello Roma-Parigi, che la Commissione vuole bloccare prima che
sia troppo tardi.       
Il ministro francese per l'immigrazione  non fa una piega. L'operazione di rimpatrio dei Rom in corso dall'inizio dell'estate, spiega, è assolutamente regolare e conforme sia alle leggi francesi sia alle normative comunitarie. E' stata proprio la Reding a convocare a Bruxelles gli esponenti del governo francese dopo l'ondata di proteste per le espulsioni dei Rom. All'inizio la reazione di Parigi era stata sprezzante: sono affari interni della Repubblica, il governo agisce in conformità con le leggi francesi e tanto deve bastare, anche aBruxelles. Ma poi, quando anche la Chiesa si è unita all'indignazione delle organizzazioni umanitarie, il presidente Sarkozy ha deciso di adottare una linea più conciliante e ha mandato i suoi ministri a Bruxelles. La Malmstrom e la Reding ascoltano le rassicurazioni di flessone le prendono per buone. «Ricordatevi — li avverte la vicepresidente — che la direttiva del 2004 sulla libera circolazione dei cittadini comuni-tari prevede esplicitamente che qualsiasi misura di espulsione debba essere individuale e avere specifiche motivazioni inerenti alla pericolosità sociale delle singole persone espulse. Le espulsioni collettive non sono contemplate in nessun caso». Ma i toni dell'incontro sono improntati alla cordialità e alla comprensione. In fondo tutti e quattro gli esponenti politici presenti nella sala fanno parte dello schieramento conservatore che si riconosce nel PPE. E poi la Francia, si sa, è un Paese importante, da trattare con i guanti.
Meglio evitare lo scontro, se pos -sibile. Tanto più che Lellouche e Besson assicurano la Commissione che l'operazione di rimpatrio avviene con il più completo e incondizionato consenso della Romania, verso cui vengono rispediti i nomadi. La riunione si conclude con un comunicato conciliante.
Ma la tregua è di breve durata. Le prime crepe arrivano quando si scopre che la Romania ha dato il suo assenso, sì, ma solo perché minacciata di un veto francese contro la sua adesione al Trattato di Schengen. Poi addosso alla Reding arrivano le bordate degli eurodeputati verdi e socialisti al Parlamento europeo. Nel dibattito che porta all'approvazione di una dura condanna contro la Francia, la commissaria è accusata di essere troppo tollerante nei confronti di Parigi.
Ma la goccia che fa traboccare il vaso è la pubblicazione della direttiva del ministero degli interni francese che invita i prefetti ad agire specificamente contro i Rom. Non solo il testo pubblicato smentisce in pieno le assicurazioni che erano state date da Besson, ma la Reding scopre anche che la direttiva non era stata notificata a Bruxelles. La vicepresidente della Commissione va su tutte le furie, anche perché, nel frattempo, da Parigi non era arrivata nessuna prova che le espulsioni fossero individuali e non collettive, come lei stessa aveva raccomandato.
Sulla base di questi elementi, la Commissaria ha avviato una consultazione tra i capi di gabinetto dei suoi colleghi, ha interpellato Barroso, ed ha ottenuto da tutti il via libera per annunciare in conferenza stampa la prossima apertura di una procedura contro la Francia per applicazione «discriminatoria»delledirettiveeuropee.Il carattere passionale della signora ha poi trasformato la contesa in una vera e propria guerra, grazie ai paragoni con le persecuzioni razziali e a frasi tipo «è una vergogna», o «la mia pazienza è arrivata oltre i limiti».
Ma dietro la decisione della Commissione di aprire la procedura a carico della Francia, come detto, nonc'è solo la constatazione oggettiva di una violazione delle norme europee e l'irritazione per l'inganno di Parigi. La verità è che dietro la Francia di Sarkozy c'è l'Italia di Bossi e Berlusconi. E un po' in tutti i Paesi cresce la pressione populista che chiede azioni «esemplari» contro la minoranza Rom. Se lasciamo fare a Parigi, si sono detti in Commissione, l'Italia adotterà misure ancora più drastiche. E tutti i governi europei si vedranno messi sotto tiro con la richiesta di seguire l'esempio francese. Barroso, uomo solitamente prudente, sa di essere a guardia di una diga sottoposta ad una enorme pressione e si rende conto di non poter mollare neppure di un passo.



DIRITTI UMANI
Non perseguitiamo rom
il manifesto, 16-09-2010
Thomas Hammarberg *

Il provvedimento della Francia nella lotta al crimine ha come specifico bersaglio i rom provenienti da Romania e Bulgaria. E la Francia non è sola. L'Italia, per esempio, ha arrestato e deportato un considerevole numero di romeni di etnia rom negli ultimi anni. Recentemente, anche Danimarca e Svezia hanno rimandato i rom nei loro paesi di provenienza. Espellere le famiglie rom attraverso i paesi membri dell'Unione europea non offre soluzioni a nessun problema. Si deve riconoscere che ci sono delle ragioni per le quali i membri della minoranza rom cercano un futuro in altri paesi. Questo è il problema concreto verso il quale ci si deve impegnare. La maggioranza dei rom in Europa vive in una povertà abietta, sono profondamente svantaggiati nel lavoro, negli standard abitativi e nell'accesso alle cure mediche.
I bambini rom che vanno a scuola in alcuni paesi sono considerati incapaci di apprendere e messi in classi particolari. Molti bambini subiscono, a volte, atti di bullismo negli istituti scolastici e il numero di chi si ritira è alto. Decine di migliaia di rom in Europa sono apolidi e questo crea ostacoli in termini di accesso ai servizi sociali.
La discriminazione contro la comunità rom in Europa ha una storia lunga e amara. La repressione è nata col clima degli anni 1930/40 quando erano bersaglio dei regimi fascisti in Romania e in Italia. Nelle aree controllate dai nazisti tedeschi parecchie centinia di rom sono stati catturati e portati nei campi di concentramento o trucidati direttamente su] posto. Questo genocidio non è stato preso in considerazione al processo di No-rimberga. Il tutto si è risolto in ritardo, con un piccolo risarcimento ai sopravvissuti o ai familiari delle vittime.
La discriminazione anti-rom si è prolungata sino ai nostri giorni e ora è esplosa a causa dei gruppi estremisti di parecchi paesi europei. Per esempio, si sono perpetuate violenze di gruppo contro individui rom in Repubblica Ceca e in Ungheria. Al punto che le autorità canadesi hanno deciso di garantire asilo politico ai rifugiati rom provenienti da questi due paesi.
Il persistente ritornello che si sente contro i rom,  è quello che li taccia di commettere crimini, e questo è uno dei motivi della campagna francese. Certo, ci sono diversi BOB] che si sono resi colpevoli di furti e alcuni vengono sfruttati dai trafficanti.-Ma questo è un fatto che deriva dalla marginalizzazione sociale e dalla mancanza di persone che si prendono cura di loro, e per ovvie ragioni, tutto ciò li fa essere alquanto rappresentati nelle statistiche sulla criminalità.
Questi problemi andrebbero presi sul serio e affrontati preventivamente. Tuttavia, essi - i criminali -non offrono alcun elemento che fa sì che vengano perseguitati tutti i rom. La cui schiacciante maggioranza non si trova in conflitto con la legge. Questo è un principio etico cruciale, non bisogna dare la colpa a tutto un gruppo per qualcosa che è stato fatto da alcuni dei membri.
Gli stati europei e i loro leader devono prendersi le loro responsabilità per la situazione odierna dei rom.
La stigmatizzazione retorica si deve fermare. Un serio passo deve essere fatto per contrastare la discriminazione dei ranni non ultimo nei loro paesi di provenienza. Infatti, misure concrete sono necessarie per annullare ingiustizie come quelle che pongono i rom all'interno di una sottoclasse europea. Un primo passo è dare ai bambini una chance di essere educati e agli adulti di cercare un lavoro.
Occorrono significative riforme per proteggere i loro diritti umani, il più possibile attraverso il dialogo con le rappresentanze rom. L'impulso ad alcuni dei cambiamenti dovrà giungere dai ranni stessi, all'interno delle loro comunità.
Comunque, resteranno sempre piccoli gli spazi per simili sforzi se, ancora per lungo tempo, i ranni saranno bersaglio dei discorsi d'odio che provengono da politicanti e da altri soggetti.
* Responsabile diritti umani del Consiglio d'Europa (trad. Paolo Periati)



Un'emergenza europea che coinvolge 12 milioni di persone

IL Messaggero, 16-09-2010
Cristina Marconi,
BRUXELLES - Rappresentano la minoranza etnica più numerosa d'Europa, con quasi 12 milioni di persone, presenti in tutti i 27 stati dell'Unione.. Si pensa che vengano dall'India, da dove sarebbero partiti fin dal primo millennio dopo Cri¬sto, per raggiungere l'Europa nei secoli successivi. Il nome "Rom" non ha niente a che fare con la Romania, deriva da una parola indi che significa "uomo".
I Rom sono tornati al centro dell'attualità dopo che la Francia ha deciso di rimpatriarne 700 entro la fine di agosto. Una decisione presa a seguito di incidenti avvenuti in queste settimane, ma che ricalca misure già attuate in passato: l'anno scorso, ad esempio, ne sono stati rimpatriati 10 mila. Ma dal 2007 Romania e Bulgaria, ì due paesi di cui sono principalmente originari questi nomadi, fanno parte dell'Unione europea.
Di conseguenza, come ha ricordato di recente il portavoce della Commissione, "i Rom sono esattamente come qualunque altro europeo, sono cittadini europei a pieno titolo, e hanno il diritto di muoversi liberamente e senza restrizioni all'interno dell'Unione europea".
Diritti che saranno rafforzati l'anno prossimo, quando Bulgaria e Romania entreranno nello spazio Schengen. Bruxelles però non può fare granché: la Francia non viola nessuna legge, perché a) momento bulgari e romeni hanno l'obbligo di avere un permesso di lavoro e di residenza per poter restare più di tre mesi. Se non l'hanno, la Francia ha il diritto di espellerli e loro hanno il diritto di ritornare.
La maggior parte vive in Romania. Ma con l'allargamento dell'Unione europea, nel 2004 e nel 2007, molti sono partiti per andare a ingrossare le comunità già esistenti in Francia, Spagna o altrove.
Perché nei paesi d'origine la vita è davvero difficile. Esclusi dalle scuole, con un tasso di disoccupazione a volte vicino al 100 per cento, si è aggiunta la crisi economica che in Romania fa sì che diventino Rom anche i più poveri dei cittadini non Rom. In passato sono stati lanciati programmi per l'integrazione, ma non sono mai stati una priorità.
È così che due anni fa è stato convocato il primo summit europeo sui Rom L'obiettivo era di combattere a livello nazionale e comunitario le discriminazioni e di migliorare le condizioni di vita di questa minoranza.
Obiettivo ben lontano dall'essere raggiunto.
Perché, al di là delle dichiarazioni di principio dei governanti, i Rom continua¬no a essere vittime di discriminazioni nella maggior parte dei paesi europei dove vivono o dove transitano. In Francia, i critici delle espulsioni accusano il governo di usarli come capri espiatori della sua politica di sicurezza.



LA LEGA ALL'ATTACCO
La Francia approva e l'Italia ci prova Pronta la legge anti burqa
L'Opinione, 16-09-2010
Rossella Gemma
Alla fine la Francia ha squarciato il velo: è il primo Paese europeo ad approvare una legge sul divieto dell'uso del burqa in strada e nei luoghi pubblici. Tutto questo, ovviamente, fatta salva la valutazione del consiglio Costituzionale che si dovrà esprimere prima dell'effettiva entrata in vigore della legge.
L'esempio francese, al di là della sua effettiva approvazione, è comunque significativo perché pone importanti riflessioni in tutti gli altri membri della Ue, specialmente dove la comunità islamica è particolarmente nutrita. Quindi anche in Italia.
Nel nostro Paese una legge simile potrebbe mai venire approvata? La prima analisi dovrebbe riguardare i contorni del problema. Come già avvenuto anche tra i concittadini di Sarkozy, la norma in questione riguarderebbe pochissime persone. Per dare un termine di paragone, peraltro abbastanza simile alla situazione italiana, in Francia i musulmani sono stimati tra circa 6 milioni di individui e poco più di un migliaio sarebbero le donne che indossano sempre il velo. E gli stessi imam moderati, hanno dichiarato che tale capo di abbagliamento non è indispensabile e non contravviene alcun fondamento teologico. Ciò nonostante, l'approvazione del testo di legge ha scatenato aspre polemiche. Ma non è detto che accadrebbe la stessa cosa anche in Italia. I primi ad esprimere tutto il loro assenso, sono stati gli esponenti della Lega Nord, sempre particolarmente critici sui temi legati all'immigrazione  e a tutto il mondo circostante. "La Lega Nord presenterà venerdì 17 settembre - a dichiarato ieri in una nota il capo-gruppo della Lega Nord alla Camera, Marco Reguzzoni - un disegno di legge esattamente identico alla legge dello Stato francese. Sarebbe infatti giusto approvare, anche nel nostro Paese, un prov-vedimento uguale: in tal modo risulterebbe molto più difficile per la Commissione europea contestarne la validità e i principi". Anche buona parte del Pdl sì è già espresso in senso positivo, seppure partendo da un'angolazione diversa. Gli esponenti della maggioranza di Governo a cui sta a cuore il problema, partono dall'assunto che il burqa sia un mezzo di costrizione, contrario alla dignità delle donne. Dunque, non una valutazione contro l'islamismo, ma più a favore dell'universo femminile.
Sulla stessa linea si è pronunciato immediatamente anche Gianfranco Fini: "Quello che ha deciso il Parlamento francese non credo sia solo giusto, ma anche opportuno e doveroso di ragione di un valore che è anche quello della nostra carta Costituzionale relativo alla dignità delle donne che non può essere sottoposta a violenze o comportamenti indotti da gerarchi diverse da quelle della legge". Una dichiarazione importante, quella rilasciata dal presidente della Camera, non solo per il valore e la fermezza, ma anche in stretto regime di economia parlamentare: con l'appoggio di Bocchino e soci l'eventuale disegno di legge non avrebbe difficoltà a giungere all'approvazione. Potrebbe dissentire invece la sinistra, o almeno parte di essa. L'opposizione potrebbe, da un lato, contestare la riproposizione della norma approvata Oltralpe e restringerla, invece, a qualcosa di più soft, come ad esempio il divieto d'uso solo in determinati luoghi.
Resta, infine, da valutare quella che potrebbe essere la posizione che assumerebbe la chiesa cattolica. Negli ultimi tempi oltre il Tevere le posizioni assunte nei confronti dei fratelli musulmani sono sempre state improntate all'estrema cautela, per evitare qualsiasi possibile scontro. Anche in questo caso dunque il Vaticano potrebbe avere tutto l'interesse a non toccare la suscettibilità di qualche imam. In conclusione, in Italia una legge sul divieto di portare il burqa potrebbe trovare una maggiore facilità di approvazione rispetto a quanto accaduto a Parigi e dintorni. Forse l'unica vera difficoltà, comunque peraltro anche ai nostri vicini transalpini, potrebbe arrivare dalla Corte europea dei diritti umani: molto attenta a difendere, al di là delle logiche partitiche, i diritti dei singoli individui.



I rom? Prendeteveli voi»

il manifesto, 16-09-2010 
Anna Maria Merlo
«Parole inaccettabili». Il presidente francese manda al diavolo la commissaria Viviane Reding, con la quale si schiera Barroso. E ora Parigi rischia una forte multa. Solo Berlusconi solidale con Sarkò, che oggi affronta il Consiglio d'Europa
PARIGI -Oggi, a Bruxelles, Nicolas Sarkozy avrà l'occasione per spiegarsi al Consiglio europeo dedicato alle questioni internazionali e alla governance economica.
Il presidente francese, che puntava sulla prossima presidenza francese del G8 e del G20 per rilanciare la propria immagine ammaccata dagli scandali, è ora di fronte a un impegno molto più difficile: far recuperare terreno all'immagine della Francia, messa sotto accusa dall'Onu, dal Consiglio d'Europa, dal papa, dal Parlamento europeo e, da martedì, anche dalla Commisisone europea, che in un primo tempo era stata molto morbida con Parigi, per le espulsioni dei rom.
Sarkozy, ieri, prima di incassare dall'Italia la solidarietà che Berlusconi gli ha manifestato con un'intervista a Le Figaro, ha aggravato la sua situazione. Dopo aver affermato che era ormai tempo di tornare a un «dialogo sereno» con Bruxelles, l'Eliseo ha però sottolineato che le dichiarazioni della commissaria alla giustizia e ai diritti dei cittadini, la lussemburghese democristiana Viviane Reding, sono «inaccettabili». Peggio: in privato - ma alcuni senatori hanno subito riferito il contenuto alla stampa - Sarkozy ha mandato al diavolo Viviane Reding, affermando che «se il Lussemburgo vuole prendersi i narra noi ne saremo molto contenti». Secondo un senatore dell'Ump (il partito di Sarkozy), il presidente «ha detto che la nostra politica è quella giusta e che è scandaloso che l'Europa si esprima in questo modo su ciò che fa la Francia». Si tratta solo di «critiche malevole», ha ribattuto Viviane Reding da Bruxelles.
Ieri, il presidente della Commissione, José Manuel Barroso ha dato il suo appoggio «personale» a Viviane Reding, secondo la quale è «una vergogna» che «uno stato membro metta in causa i valori comuni e il diritto dell'Unione», prendendo specificamente di mira una minoranza. Barroso ha precisato che Reding aveva «il pieno appoggio» della Commissione e la portavoce ha insistito sul fatto che la commissaria" ha parlato «a nome della Commissione». Nessun paese è venuto in aiuto della Francia. Barroso ha cercato di calmare gli animi, concedendo che «una o l'altra espressione» usata da Reding, possa «aver creato un malinteso». Ha sottolienato che «Rening non ha voluto stabilire un parallelo tra ciò che è successo durante la seconda guerra mondiale e il periodo attuale». Per il portavoce del governo tedesco, Steffen Seiberg, Reding ha probabilmente esagerato perché «certe dichiarazioni risultano a volte più utili se sono misurate nel tono». Nondimeno, per la Germania, il diritto di circolazione nell'Unione europea «è assoluto» e «nessuna discriminazione è autorizzata contro delle minoranze etniche». Per il portavoce tedesco, «se adesso la Commissione esamina se la Francia è in accordo con tutto ciò, è suo diritto farlo». La Commissione dovrebbe avviare contro la Francia una procedura d'infrazione per l'applicazone «discriminatoria» della direttiva del 2004 sulla libera circolazione dei cittadini e la trasposizione difettosa nelle leggi francesi delle garanzie previste da questo testo. Parigi rischia il giudizio di fronte alla Corte dì giustizia europea e la condanna a una forte multa.
Ciò che ha fatto scattare le reazioni della Commissione è stata la menzogna sulla circolare del 5 agosto, firmata dal capo-gabinetto del ministro degli interni, Brice Hortefeux. Questa circolare, che citava espressamente «i rom" come bersaglio delle espulsioni, non è stata trasmessa a Bruxelles, malgrado le richieste di «chiarimenti» della Commissione. Peggio: Sarkozy ha ricevuto Barroso a Parigi il 6 settembre e ha spiegato la «legalità» delle decisoni francesi, come hanno fatto il ministro dell'immigrazione, Eric Besson, e il sottosegretario agli affari europei, Piene Lellouche, a Bruxelles, dove hanno spiegato che le espuslioni erano «individuali», esaminate «caso per caso» e che i rom non erano presi di mira in quanto etnia. La circolare è stata poi annullata e sostituita con un altro testo, il 13 settembre. Ma Parigi non ha convinto Bruxelles.
La settimana nera del governo francese è proseguita ieri con lo scontro all'Assemblea tra il presidente, Bernard Accoyer, e l'opposizione. I parlamentari hanno approvato la riforma delle pensioni (che ora passa all'esame del Senato), mentre delle proteste simboliche avevano luogo in varie città francesi, in attesa della nuova giornata di manifestazioni del 23 settembre. Ma l'opposizione ha protestato, chiedendo le dimissioni di Accoyer, perché il dibattito è stato troncato d'ufficio, ieri mattina, dopo soie 50 ore, mentre il ministro del lavoro, Eric Woerth, affonda ogni giorno di più nello scandalo Bettencourt. Intanto, fa sempre più acqua la versione ufficiale sulle intercettazioni per scovare le fonti del quotidiano Le Monde sull'affare Woerth: persino la Procura di Parigi ha preso le distanze dalle giustificazioni dell'Eliseo, che nega di essere dietro l'inchiesta - illegale - dei servizi segreti.



L'ANALISI
La nuova linea Maginot sull'asse Roma-Parigi

Il Messagero, 16-09-2010
CLAUDIO RIZZA
IL RIMPATRIO dei nomadi è la nuova linea Maginot. Edificata da Sarkozy e rinforzala prontamente da Berlusconi, che ne ha subito approfittato per saldare un asse europeo sull'immigrazione. L'offensiva sui rom ha motivazioni politiche interne ed esterne. Per il presidente francese è l'occasione di recuperare consensi e di risalire nei sondaggi, ormai precipitati ai minimi termini. Mai l'Eliseo era stato in Francia così impopolare e l'offensiva sui nomadi è chiaramente una scelta condizionata dai tempi che viviamo.
La paura dell'Occidente legata ai clandestini e agli immigrati irregolari è un tema elettoralmente ancora assai sensibile, in grado di spostare sempre grandi consensi.
Per di più coincide temporalmente con l'allarme bomba alla Tour Eiffel, e non è difficile immaginare come la paura terroristica si saldi al malessere diffuso verso clandestini e nomadi,       
Dunque, la durezza con la quale Sarko ha messo in riga la commissaria europea alla Giustizia, la lussemburghese Reding, ha motivazioni politiche precise, oltre a dimostrare con quanta durezza i francesi sappiano riaffermare il proprio orgoglio nazionale.
Non sorprende che Berlusconi si schieri con Sarkozy, per tanti motivi. Intanto è l'occasione per inserirsi nell'asse franco-tedesco, in questo caso spezzandolo, visto che la Merkel ha sposato la linea europea, critica verso le decisioni di Parigi sui rom. Poi nerché sull'immigrazione e sui respingimenti in mare — soprattutto sul fronte libico -il premier italiano s'è spesso trovato solo, criticato per la durezza della linea italiana non solo dalla Ue ma anche dalle organizzazioni intemazionali. Il governo italiano ha cercato sponda in Europa per affermare una posizione ineccepibile: il problema dei clandestini non può essere solo un problema italiano o Mediterraneo, ma va affrontato da tutta la Ue che dovrebbe anche farsi carico dell'accoglienza dei tanti rifugiati e richiedenti asilo, dividendoli tra i 27 e spartendosi spese e quote. Solo così l'Europa, con una politica comune  potrebbe affrontare seriamente il problema.
E' esattamente quello che Berlusconi ha appena sostenuto appoggiando Sarkozy. «La questione dei rom non è l'unica con cui l'Europa deve confrontarsi: vi è anche l'immigrazione  clandestina». «Noi speriamo di scuotere l'Europa», ha detto il premier a Le Figaro. Ed è vero, cosi come spera anche di scuotere l'elettorato, depresso dagli scontri interni al Pdl.
Resta poi il problema dei rapporti interni all'Unione europea che arranca, sempre più spesso procedendo in ordine sparso anche sulle questioni più delicate. Soprattutto in politica estera e nella difficile contingenza economica. Le spinte nazionalistiche crescono, i governi tendono a rifiutare le linee comuni proposte da Bruxelles preferendo dare priorità a soluzioni dettate dagli scontri che condizionano gli equilibri politici intemi agli Stati. Il che indebolisce un'Unione imbolsita e a volte paralizzata. Ora bisognerà capire se l'asse Parigi-Roma  sull'immigrazione sarà capace di provocare un confronto positivo alla ricerca di una posizione comune o se questa Maginot non sancirà l'ennesimo, pernicioso stallo. O, peggio, una ferita sanguinante.



Misure amministrative contro i poligami nelle banlieue e forze speciali contro al Qaida nel Maghreb

Il Foglio, 16-09-2010
Parigi. Il divieto del burqa, adottato definitivamente martedì dal Senato e che attende la valutazione della Corte costituzionale, è solo una parte del dispositivo di Nicolas Sarkozy per riportare la seconda più grande comunità islamica in Europa nei ranghi dei principi repubblicani della Francia. Il 28 settembre, l'Assemblea nazionale inizierà a esaminare il progetto di legge che prevede il ritiro della nazionalità francese per chi "attente alla vita di una persona depositaria di un'autorità pubblica, in particolare i poliziotti e i gendarmi". A essere presi di mira sono i francesi di seconda generazione delle banlieue, figli di immigrati maghrebini e africani, a cui è stato concesso il passaporto grazie a anni di politiche lassiste sui ricongiungimenti familiari. Sarkozy ha annunciato la decadenza dalla nazionalità il 30 luglio a Grenoble dove, durante una rivolta della banlieue, alcune bande di figli di immigrati avevano sparato contro dei poliziotti. Il ministro dell'Interno, Brice Hortefeux, avrebbe voluto aggiungere la poligamia e le mutilazioni genitali femminili alle pratiche condannabili con la decadenza della nazionalità. Ma alcuni rilievi costituzionali hanno spinto Sarkozy a scegliere un'altra strada: rafforzare la repressione amministrativa contro chi "di fatto" ha più mogli, sposate nei paesi di origine e registrate all'anagrafe come conviventi per beneficiare dei sussidi pubblici francesi.
Sarkozy aveva delineato alla fine del 2009. nel pieno del dibattito sull'identità nazionale, la sua visione di come dovrebbero integrarsi i sei milioni di musulmani in Francia. "Nel nostro paese, dove la civilizzazione cristiana ha lasciato una traccia profonda, dove i valori della Repubblica sono parte integrante della nostra identità nazionale - scriveva Sarkozy in un intervento sul Monde - tutto ciò che potrebbe apparire come una sfida lanciata a questa eredità e a questi valori condannerebbero al fallimento l'instaurazione tanto necessaria di un islam di Francia". L'identità nazionale - per il presidente francese - è "l'antidoto al tribalismo e al comunitarismo". L'islam di Francia deve rispettare lo stato, le sue autorità e la sua "laicità", che "non è il rifiuto di tutte le religioni, ma il rispetto di tutte le credenze".     
Prima di arrivare all'Eliseo, da ministro dell'Interno, Sarkozy aveva promosso un islam istituzionalizzato e sotto il controllo dello stato: moschee autorizzate, finanziamenti pubblici per le organizzazioni musulmane moderate, imam che predicano in francese. Tra loro c'è Hassen Chalghoumi, l'imam di Drancy, che ha appena pubblicato un libro in cui promuove "un islam che difende ì valori della Francia, che dice 'no' al burqa e alla poligamia, Un islam che rifiuta l'ingerenza straniera". "L'imam di Sarkozy", come è stato soprannominato Chalghoumi, ora è minacciato dagli integralisti.
Sul fronte del terrorismo, il presidente francese ha optato per il pugno di ferro, L'intelligence francese non soltanto è mobilitata per prevenire attentati, ma è uno dei principali partner dei servizi americani. La Francia ha concluso accordi con il Mali, l'Algeria, la Mauritania e il Niger per lottare contro al Qaida nel Maghreb islamico, La collaborazione è proficua anche con quei regimi arabi - Egitto, Arabia Saudita, Libano -che hanno un interesse esistenziale nella lotta contro l'estremismo dei Fratelli musulmani e il terrorismo di al Qaeida. E, ogni volta che un francese è stato sequestrato, Sarkozy ha rifiutato la mediazione: in Afghanistan due giornalisti della televisione pubblica sono nelle mani dei talebani dal 30 dicembre 2009; in Mali, le forze francesi hanno condotto invano un'operazione con i militari mauritani per liberare Michel Germaneau, morto nelle mani di al Qaida il 25 luglio. "Pagare riscatti e accettare di liberare dei prigionieri in cambio di poveri innocenti non è una strategia", ha detto Sarkozy ad agosto, quando la Spagna ha versato otto milioni di euro per la liberazione di due ostaggi. Ma la sua determinazione ad avere un islam francese e annientare l'islam radicale o terrorista ha un prezzo. L'll settembre, il capo dell'antiterrorismo, Bernard Squarcini, ha avvertito che la Francia è minacciata da al Qaida: "Tenuto conto delle segnalazioni che ci vengono trasmesse dai nostri partner stranieri e delle nostre osservazioni, ci sono ragioni oggettive per essere inquieti. La minaccia non è mai stata così grande".



La CONVERGENZA ROMA-PARIGI
Rom, Berlusconi sta con Sarkozy «Italia e Francia scuotano l'Ue»
Corriere della sera, 16-09-2010
Il premier: «Trovare una posizione comune europea»
Gli Usa: i governi rispettino i diritti delle comunità
MILANO - «Sto con Sarkozy, il commissario Reding non doveva parlare». Silvio Berlusconi appoggia la posizione francese nella polemica tra Parigi e Ue sulle espulsioni dei Rom. Uno scontro durissimo, quello tra l'Eliseo e Bruxelles, tanto che Nicolas Sarkozy - dopo l'annuncio di una procedura d'infrazione nei confronti della Francia - avrebbe risposto a muso duro al commissario alla giustizia Viviane Reding: se proprio ci tiene, le avrebbe detto il presidente francese, i rom potrebbero essere ospitati dal suo Paese di origine, il Lussemburgo. A fare infuriare Sarkozy è stato il parallelo suggerito dalla Reding tra le espulsioni dei Rom e le deportazioni nella Seconda guerra mondiale. Frasi che lo stesso commissario ha poi cercato di smussare: «Mi rammarico per le interpretazioni che spostano l'attenzione da un problema che bisogna invece risolvere ora. Non ho avuto in alcun caso stabilire un paragone tra la seconda guerra mondiale e le azioni di oggi del governo francese». Una precisazione che l'Eliseo ha accolto con un laconico comunicato: «La presidenza della Repubblica prende atto delle scuse della signora Viviane Reding, vice-presidente della Commissione europea, commissario alla Giustizia e ai diritti Umani, per le sue parole oltraggiose all’indirizzo della Francia».
USA E GERMANIA - La polemica, però, ha riportato la questione rom al centro dell'attenzione. Tanto che sono scesi in campo anche gli Stati Uniti: secondo l'agenzia France Presse, che cita fonti anonime del Dipartimento di Stato, Washington ha invitato il governo francese e quello di altri paesi a «rispettare i diritti dei rom». Il cancelliere tedesco, Angela Merkel, si è dichiarato d'accordo con la commissaria Reding sulla sostanza, anche se ha specificato di non approvare i toni usati.
IL PREMIER - Poco prima, era arrivata anche la presa di posizione del premier italiano. «La signora Reding avrebbe fatto meglio a trattare la questione in privato con i dirigenti francesi - dichiara Silvio Berlusconi in un'intervista a "Le Figaro" - prima di esprimersi pubblicamente come ha fatto. Il problema dei rom non è specificamente francese. Riguarda tutti i Paesi dell'Europa». Secondo il presidente del Consiglio, «bisogna inserire questo tema all'ordine del giorno del Consiglio dei capi di Stato e di governo europei in modo da parlarne tutti insieme per trovare una posizione comune». «Speriamo che la convergenza italo-francese - afferma Berlusconi - aiuti a scuotere l'Europea e ad affrontare il problema».
IMMIGRAZIONE CLANDESTINA - «La questione dei rom - dice ancora Berlusconi - non è la sola che deve affrontare l'Europa: c'è anche l'immigrazione clandestina, l'Italia è particolarmente esposta per il fatto di avere le coste molto estese». Secondo il premier «l'Europa non ha ancora compreso completamente che non si tratta di un problema unicamente francese o italiano, o greco o spagnolo. E il presidente Sarkozy ne è pienamente cosciente».
SICUREZZA - Berlusconi descrive inoltre le sue relazioni personali con il presidente francese come «eccellenti». «Condividiamo - dice - la stessa idea dell'Europa, quella di un'Europa vicina alla gente, di un Europa dell'azione». Insieme a Sarkozy, continua il premier, «consideriamo come priorità per l'Europa la sicurezza sia interna allo spazio europeo che esterna». «Penso - aggiunge - alla sicurezza energetica, che passa per il rilancio della nostra energia nucleare alla quale la Francia è associata».
FINE MANDATO - Sempre nell'intervista al quotidiano francese, Berlusconi afferma di essere sicuro di portare a termine il mandato del governo nel 2013.



Da Milano a Roma cresce la voglia di mandarli a casa

Giro dì vite dei Comuni, sempre oiù gli sgomberi
VLADIMIRO P0LCHI
ROMA — C'è chi sgombera un campo a settimana. Chi li paga per fargli lasciare la città. Chi trova invece loro lavoro e casa. La politica dei comuni verso i rom è una coperta d'Arlecchino: tante iniziative quanti sono i campanili d'Italia.
«Oggi nel nostro Paese vivono 180mila ranni - spiega Massimo Converso, presidente nazionale di Opera Nomadi - 70mila sono italiani e 110mila vengono dai Balcani. Una quota che oscilla tra il 60 e l'80% ha una casa, gli altri stanno nei campi». Come vivo¬no? «Dipende molto da comune a comune - sostiene Converso - il più virtuoso è Venezia che ha chiuso i campi e ricollocato i rom kosovari in stabili alloggi, oltre ad aver riconosciuto il lavoro di 88 capifamiglia, impegnati per lo più nel riciclaggio del ferro usato. In altre città le cose vanno peggio, come a Milano, dove ad alcuni ranni romeni il comune ha offerto una somma di denaro per abbandonare volontariamente la città». Il capoluogo lombardo ha avviato una campagna di sgomberi in grande stile ormai da due anni: ogni settimana viene cancellato un insediamento abusivo, con conseguente transumanza da un campo all'altro. Dal 2007 ci sono stati 315 sgomberi e la settimana scorsa è stato chiuso il più grande campo abusivo in città: quello in via Rubattino, Lambrate, dove vivevano 200 rom in condizioni igieniche disastrose. Nei campi non autorizzati vivono circa 1500 persone e altre 2mila in quelli autorizzati. Non solo. A ottobre dovrebbe essere chiuso il più grande campo comunale: 700 abitanti, in via Triboniano, aperto due anni fa con una spesa di 2 milioni di euro. Da lì deve infatti passare una nuova strada per l'Expo2015. A Roma la prefettura ha censito circa200 insediamenti abusivi. La settimana scorsa, in seguito alla morte (il 27 agosto) di un bimbo di tre anni in un campo della periferia, sono partite le prime demolizioni. Ai rom vengono offerti alloggi temporanei in residence, ma i capifamiglia temendo la disgregazione dei nuclei familiari preferiscono trasferirsi in altri campi. Il piano del sindaco Gianni Alemanno prevede dai 10 ai 12 campi attrezzati fuori dal raccordo anulare per un massimo di 6mila posti. Un problema, visto che i romcensiti nella capitale sono 7.100. A Padova ci sono
due campi: uno solo è regolare. La linea del comune è quella di costruire degli alloggi con la collaborazione dei capifamiglia. Il sindaco Flavio Zanonato si oppone agli sgomberi, che secondo lui non farebbero altro che trasferire il problema da una zona all'altra. A Firenze sono due i campi storici autorizzati e il comune si occupa anche delle spese per il trasporto scolastico. Il Pdl comunale chiede lo sgombero e denuncia lespesepericampi:«10milionidi euro in 4 anni».
Un fenomeno unisce però i ranni di tutto il Paese: «In questo clima ostile, autonomamente stanno fuggendo dai campi - fa sapere Converso - e si stanno mi-metizzando nei vari quartieri cit-tadini: lo si vede bene a Napoli e a Palermo».



Rom, immigrati ed espulsioni da Milano a Roma: Italia come la Francia? L'Ue si oppone.

Business Online, 16-09-2010
Mariana Quatraro
L'Eliseo contro l'Ue. Berlusconi appoggia Sarkozy: la situazione rom in Europa
E’ scontro aperto tra l’Eliseo e l’Ue: la Francia espelle rom e immigrati, smantella i loro campi e l’Unione Europea apre una procedura di infrazione contro il governo guidato da Nicolas Sarkozy, sostenendo che si tratta di una violazione della Carta europea sui diritti fondamentali.
La vice presidente Viviane Reding ha detto: “Sarò molto chiara: non c'è posto in Europa per la discriminazione basata sulle origini etniche o di razza. E' incompatibile con i valori su cui si fonda l'Unione europea. Le autorità nazionali che discriminano gruppi etnici violano anche la Carta europea dei diritti fondamentali, che tutti gli Stati membri, compresa la Francia, hanno firmato”.
Sarkozy ha definito le critiche del commissario alla sua politica inaccettabili e se inizialmente aveva invitato tutti a moderare i toni ed evitare di alimentare ‘una sterile controversia’, poi ha provocato il commissario Reding dicendo “Che faccia venire i rom nel suo Paese, che li accolga nel Lussemburgo”.
La posizione di Sarkozy incontra la piena approvazione del premier italiano, Silvio Berlusconi: “Sostengo Nicolas Sarkozy. L'Europa non ha ancora compreso affatto che quello dei rom non è un problema unicamente francese o italiano, greco o spagnolo. Il presidente Sarkozy ne è invece pienamente cosciente. La Reding avrebbe fatto meglio a trattare la questione in privato con i dirigenti francesi prima di esprimersi pubblicamente come ha fatto”.
Si oppone, invece, l’Ue, difendendo la posizione della Reding e spiegando che le sue parole sono a nome di tutta la commissione. Dalla Francia all’Italia, la questione rom si fa di portata sempre più rilevante. Mentre a Venezia sono stati sgombrati alcuni campi e dati alloggi fissi, a Milano è stata avviata
una campagna di sgomberi da due anni: ogni settimana viene cancellato un insediamento abusivo, con conseguente transumanza da un campo all'altro.
Dal 2007 ci sono stati 315 sgomberi e la settimana scorsa è stato chiuso il più grande campo abusivo in città: quello in via Rubattino, Lambrate, dove vivevano 200 rom in condizioni igieniche disastrose. Nella Capitale, invece, la prefettura ha censito circa 200 insediamenti abusivi, alcuni dei quali si stanno smantellando.
Ai rom vengono offerti alloggi temporanei in residence, ma i capifamiglia temendo la disgregazione dei nuclei familiari preferiscono trasferirsi in altri campi. Il sindaco Gianni Alemanno prevede la costruzione dai 10 ai 12 campi attrezzati fuori dal raccordo anulare per un massimo di 6mila posti. Il progetto del comune è costruire degli alloggi con la collaborazione dei capifamiglia.



Protesta il centrodestra: i morti riposino in pace insieme, al di là del credo religioso
Pistoia litiga sul cimitero musulmano
Corriere della Sera, 15-09-2010
Marco Gasperetti
Prevista un'area per i defunti di fede islamica. Ma l'imam chiede una barriera per separarle da quelle cristiane
PISTOIA - L'Iman il cimitero islamico lo chiede, inascoltato, da più di dieci anni. «Siamo costretti a tumulare i nostri morti nella loro terra di origine con costi che spesso sfiorano i 5 mila euro», denuncia da tempo Harousse Bouchaib, leader della comunità islamica di Pistoia. E quando sembrava che la richiesta fosse stata esaudita e il progetto del cimitero con la mezza luna una quasi realtà, ecco arrivare nuovi problemi, soprattutto sul fronte politico.
IL NODO DELLA BARRIERA - L'oggetto del contendere non è il cimitero islamico, in realtà l'ampliamento dell'attuale camposanto con un'altra area di 22 mila metri quadrati dei quali 2500 destinati ai musulmani, ma una sorta di "divisorio" che gli islamici chiedono per differenziare le tombe con quelle dei cristiani. «Non è importante costruire un muro – fa sapere l'Imam - ma basta soltanto una separazione fatta di alberi». Un modo per differenziare le tombe di cristiani e musulmani perché quest'ultimi, fa sapere Horousse Bouchaib, non hanno il simbolo della mezzaluna usato solo in alcuni paesi tra i quali l'Iran. Le tombe dovranno essere poi rivolte verso la Mecca come da regole e principi coranici.
LA PROTESTA DEL PDL - Richieste che però non sono piaciute all'opposizione pistoiese. Il consigliere del Pdl, Alessio Bartolomei, si è dichiarato pubblicamente «assolutamente contrario» a questa separazione («musulmani e cristiani possono riposare in pace l'uno accanto all'altro con le proprie tombe e i propri simboli») e allo stesso tempo si è detto perplesso anche un'area riservata agli islamici (i 2500 metri quadrati, appunto) perché, secondo Bartolomei, «in città non esiste una comunità così numerosa da giustificare questi spazi». L'assessore, Roberto Lattari (Comunisti per Pistoia) parla invece di «scelta di sensibilità supportata da leggi e regolamenti» e avverte che comunque l'ipotesi del cimitero musulmano è ancora una bozza da discutere anche con l'Imam e che il consiglio comunale discuterà con calma. Poi, sulla separazione tanto contestata, si discuterà con calma e raziocinio nel rispetto della legge, dei regolamenti e con un occhio rivolto alla tolleranza e all'integrazione.



Immigrazione, Bersani: nati in Italia siano italiani

MondoRaro.com, 16-09-2010
“Cinquantamila bambini nascono in Italia ogni anno e non sono ne’ italiani ne’ immigrati. Vogliamo dire a questi bambini cosa sono? Noi glielo diciamo: sono italiani”.
Lo ha detto il segretario del Pd, Pierluigi Bersani, intervenendo ieri alla festa nazionale del partito a Torino, riferendosi alla condizione giuridica dei figli degli immigrati residenti in Italia.
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