28 settembre 2010

Il video del peschereccio di Mazara e le immagini della disperazione
Rubrica Italia-razzismo 28 settembre 2010 - l'Unità
Torna in primo piano la vicenda del peschereccio di Mazara del Vallo mitragliato da una motovedetta libica qualche settimana fa. È stato diffuso un video girato con un telefonino da uno dei membri dell’equipaggio siciliano. Il filmato costituisce materiale utile alle indagini, attualmente in corso, per verificare l’esatto svolgimento dei fatti.
Un video fai da te che potrebbe diventare determinante nell’accertamento delle responsabilità. Un video povero e malfermo che, per l’ambientazione e per il mezzo e lo “stile” della ripresa, ricorda quelli amatoriali girati da immigrati che cercano di arrivare in Italia (è questo il materiale che ha dato origine a film come “Il sangue verde” di Andrea Segre, “Soltanto il Mare” di Dagmawi Yimer, Fabrizio Barraco, Giulio Cederna, “Via Padova - Istruzione per l’uso” di Giulia Ciniselli e Anna Bernasconi). Uno strumento di documentazione su avvenimenti che, altrimenti, dovrebbero affidarsi esclusivamente al racconto orale. Si pensi a quegli spezzoni di testimonianze, riprese ancora una volta col telefonino che ci arrivano fortunosamente dall’interno dei Centri di Identificazione ed Espulsione o quelli girati all’interno delle prigioni libiche o tra le dune di deserti africani.
La miseria estrema delle condizioni, la povertà assoluta, la spoliazione totale dei migranti è come se venissero riscattate e “vendicate” dall’uso di modernissimi strumenti tecnologici. Si tratta solo in apparenza di un paradosso: la diffusione onnipervasiva di mezzi di comunicazione come i telefonini corrisponde a una logica economica e geo-politica, che è esattamente quella che determina le disparità nella distribuzione delle risorse e, in ultima istanza, la produzione di immensi flussi migratori.
28 settembre 2010

Milano, Maroni sui rom
la Repubblica (27 settembre 2010)
Milano, Maroni sui rom "Per loro niente case popolari" Il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, e il sindaco di Milano, Letizia Moratti
MILANO - Il campo nomadi Triboniano di Milano sarà chiuso nelle prossime settimane ma nessuna delle famiglie espulse sarà spostata in alloggi di propietà del Comune. Il ministro dell'Interno Roberto Maroni annuncia la linea dura sul tema dei rom nel corso di un vertice alla Prefettura di Milano. Un rigore necessario e urgente che va esteso a tutto il territorio italiano, sottolinea il ministro, in vista dell'imminente allargamento dell'area Schengen che, nel 2011, prevede l'ingresso della Romania. "Occorre dotarsi di strumenti per arginare la presenza di stranieri", sottolinea Maroni che ricorda i risultati "molto importanti ottenuti da Milano nel settore della sicurezza e della gestione delle area occupate da rom". Una leadership riconosciuta dal ministro che definisce "il modello Milano come un modello utilizzabile in tutti i Paesi europei". Modello contro cui si scaglia il Pd: "La discriminazione di esseri umani su base etnica fatta ormai quotidianamente dalla destra è inaccettabile", dice Livia Turco, definendo le parole del ministro "l'ultimo tassello di un'azione di governo intollerante e scellerata".

"Nessuna delle famiglie che saranno allontanate dai campi nomadi regolari di Milano e che hanno i titoli per restare in città, saranno ospitate in alloggi popolari, come originariamente previsto nel piano per l'emergenza rom" ha annunciato il ministro al termine del vertice in Prefettura. "Il campo rom di Triboniano verrà chiuso - ha affermato - e chi stava dentro e ha i titoli per restare in città avrà una sistemazione, escludendo l'utilizzo di case Aler (di edilizia residenziale pubblica, ndr) o nella disponibilità del patrimonio immobiliare del Comune".

La chiusura del campo di Triboniano avverrà "approssimativamente entro la fine di ottobre" ed è inoltre esclusa la possibilità che le 25 famiglie vengano sistemate in immobili confiscati alla mafia perché "sono immobili  passati al Comune" ha precisato Maroni al termine del vertice, al quale erano presenti tra gli altri il sindaco Letizia Moratti, il prefetto e commissario straordinario per l'emergenza rom Gian Valerio Lombardi, il presidente della provincia Guido Podestà e per la Regione l'assessore alla sicurezza Romano La Russa e il presidente del Consiglio Regionale Davide Boni.

Maroni ha concluso dicendo che sulla questione rom "Milano ha fatto di più di quanto non stiano facendo Roma e Napoli" e "quello che si sta realizzando a Milano può essere un modello utilizzabile in tutti i Paesi europei". Un  "Modello Milano" con il quale  "oltre alle iniziative per la chiusura dei campi nomadi abusivi e la messa in sicurezza di quelli regolari" a differenza di quanto avvenuto altrove "sono state avviate politiche per l'integrazione e l'avviamento al lavoro, di carattere sociale". "Un modello - ha detto - utilizzabile anche in altre realtà, a Milano la frontiera è più avanzata che in altre realtà italiane ed è un modello che intendo portare a livello europeo".

Il modello milanese, secondo il ministro, dovrebbe quindi essere esteso a livello nazionale. Maroni ha sottolineato la necessità di una nuova normativa per applicare concretamente nel territorio italiano quanto previsto dalla direttiva europea del 2004 che disciplina il soggiorno dei cittadini comunitari negli altri stati membri dell'Unione europea. "Serve una innovazione legislativa che ho in animo di prendere - ha spiegato il ministro dell'Interno - per applicare concretamente gli obiettivi della direttiva europea del 2004".

Il principio che ispirerà l'intervento legislativo del Viminale è quello di trovare strumenti efficaci per allontanare tutti i cittadini che non hanno un reddito e un lavoro sufficienti per il proprio mantenimento e contemporaneamente garantire percorsi di accoglienza e integrazione con chi, avendo invece i titoli per restare, si impegna a rispettare le regole della convivenza civile. "Occorre un segnale netto - ha osservato Maroni - anche in vista di scadenze importanti, come l'allargamento dell'area Schengen alla Romania, e il sistema da predisporre sarà basato su due aspetti: il rigore, ovvero rimane soltanto chi è nelle condizioni per poter rimanere e rispetta le regole, e poi l'accoglienza e l'integrazione".

Parole che provocano la reazione dell'opposizione. "Se si tratta di persone per bene con i requisiti per l'accesso alle case popolari - sottolinea Livia Turco, capogruppo del Pd in commissione Affari sociali della Camera e responsabile immigrazione del partito - hanno diritto di entrarci in quegli appartamenti. E ricordiamo al ministro che i requisiti per avere quelle case sono il rispetto della legge e il reddito. E basta. Fra l'altro, molti dei rom sono italiani e non stranieri. Per quanto riguarda le espulsioni di cittadini comunitari, dobbiamo ricordargli anche che la carta dei diritti umani della Ue prevede la libera circolazione all'interno dell'Unione e che la direttiva del 2004 parla di espulsione solo per persone che hanno commesso reati. Sarebbe grave se il governo introducesse le espulsioni in base al reddito, 'l'espulsione della povertà'. La strada, invece è quella degli accordi tra Paesi dell'Ue per favorire rimpatri volontari e stabilire accordi per la cooperazione allo sviluppo"



Milano si prepara a cacciare i Rom
Maroni: I nomadi che resteranno in città non saranno ospitati in case popolari. Dalla Caritas arriva la risposta più dura:  
Fabio Poletti
La Stampa 28 settembre 2010
Milano off-limits ai nomadi. La “cacciata” è stata decisa in un vertice in Prefettura, tra il ministro dell’Interno Roberto Maroni e il sindaco Letizia Moratti. I prossimi ad avere se non le ore almeno i giorni contati – si parla della fine di ottobre al massimo – sono gli ottocento rom che da anni occupano il campo di via Triboniano dietro al cimitero Maggiore, sui terreni dove dovrebbe sorgere uno degli svincoli autostradali legati all’area di Expo 2015. Ma c’è di più. Il ministro Maroni ha deciso di modificare il piano emergenza rom in vigore dallo scorso maggio, che prevedeva la destinazione di alcune case popolari comunali ai rom sgomberati insieme alle loro famiglie: “I nomadi che hanno i titoli per restare in città, non saranno ospitati in alloggi popolari del Comune. Se questa iniziativa (la chiusura dei campi rom, ndr) deve fare un favore a qualcuno, questo qualcuno sono solo i cittadini milanesi”.
La sterzata sul piano in vigore per l’emergenza rom rischia però di avere non poche ripercussioni. Gli sgomberi si susseguono a cadenza quasi quotidiana, dai piccoli campi ai grandi appezzamenti di terreno con baracche e roulotte. Nessuno vuole i rom liberi per strada. Nessuno sa però dove metterli. Le case popolari dell’Aler – 25 appartamenti in tutto – sembravano una soluzione temporanea adeguata almeno per affrontare una emergenza limitata. Il ministro Maroni dice che è meglio di no, la città non vuole, ma qualcuno deve pur farsi carico del problema: “Sono certo che il grande cuore di Milano individuerà soluzioni che non suscitino quelle reazioni negative, che avrebbero rischiato di vanificare lo sforzo del Comune e di tutto il territorio per risolvere la grave situazione dei nomadi.
L’invito nemmeno troppo sottinteso è che sia il Terzo settore a trovare una soluzione. Il volontariato, l’associazionismo cattolico, gli unici che da anni a Milano sembrano avere a cuore la questione dei nomadi non solo come numeri di un problema da spostare di qua e di là ma come persone. Ma dal Terzo settore arrivano più dubbi che conferme all’invito del ministro. Don Virginio Colmegna, presidente della Casa della Carità, respinge ogni ipotesi e rilancia polemico: «I problemi si risolvono con la legalità e la socialità. La questione rom non deve gravare solo sul Terzo settore. Se dovesse uscire questa questione politica diremo: “Allora affrontatelo voi”. Poi inviteremo la città a discutere». L’ipotesi di trovare in alternativa 25 alloggi sul mercato privato, per ospitare le famiglie di rom previste nel piano di maggio sembra improponibile. Dalla Caritas arriva la risposta più dura: «Noi andiamo avanti, anche i nomadi in case. Fino a che non ci sarà una comunicazione ufficiale ci atterremo agli accordi di maggio. Se dovesse arrivare la metteremo in discussione, c’è il rischio di forme di discriminazione».
Tutt’altre le parole del sindaco Letizia Moratti «La chiusura del campo di via Triboniano è un grande segnale. Bisogna azzerare i campi abusivi ma anche alleggerire quelli regolari, in vista dell’allargamento dell’area Shengen alla Romania». Sulla possibilità di ospitare negli alloggi del Comune i nomadi, il sindaco è in linea con il ministro: «Non tollereremo alcuna illegalità da parte di chi uscirà da triboniano e si riverserà in città. Gli alloggi saranno nella disponibilità comunque delle associazioni del Terzo settore, anche se non saranno dati ai nomadi». Anche il vicesindaco Riccardo De Corato plaude all’intervento del ministro e dà i numeri: «Dal 2007 ad oggi sono stati fatti 343 sgomberi per un totale di 7004 soggetti allontanati. Avanti con gli sgomberi».



Maroni: «Ai rom niente case popolari»

il Messaggero 28 settembre 2010        
Il ministro Roberto Maroni
MILANO (27 settembre) - Il ministro dell'Interno Roberto Maroni parla di nomadi e immigrazione al vertice in prefettura a Milano. Maroni ha assicurato che i rom sgomberati dai campi abusivi non verranno ospitati in case d'edilizia popolare ma ha parlato anche di immigrazione auspicando la possibilità di chiudere le frontiere ai cittadini comunitari senza requisiti per rimanere in Italia.

Maroni: no alle case popolare ai rom. «Nessuna delle famiglie che saranno allontanate dai campi nomadi regolari di Milano e che hanno i titoli per restare in città, saranno ospitate in alloggi popolari, come originariamente previsto nel piano per l'emergenza rom - ha detto il ministro dell'Interno - Il campo rom di Triboniano (a Milano) verrà chiuso e chi stava dentro e ha i titoli per restare in città avrà una sistemazione, escludendo l'utilizzo di case Aler (di edilizia residenziale pubblica) o nella disponibilità del patrimonio immobiliare del Comune».

Maroni: espellere comunitari senza requisiti. «Proporrò al governo e al Parlamento che ci venga data la possibilità di espellere i cittadini comunitari se non hanno i requisiti previsti dalla direttiva europea del 2004». Maroni ha ricordato che questa innovazione legislativa è particolarmente urgente visto che all'inizio del prossimo anno paesi come la Romania sono destinati ad entrare nell'area Schenghen.

Il ministro dell'Interno Roberto Maroni ha infatti riconosciuto la necessità di una nuova normativa per applicare concretamente nel territorio italiano quanto previsto dalla direttiva europea del 2004 che disciplina il soggiorno dei cittadini comunitari negli altri stati membri dell'Unione europea. «Serve una innovazione legislativa che ho in animo di prendere per applicare concretamente gli obiettivi della direttiva europea del 2004».

Il principio che ispirerà l'intervento legislativo del Viminale è quello di trovare strumenti efficaci per allontanare tutti i cittadini che non hanno un reddito e un lavoro sufficienti per il proprio mantenimento e contemporaneamente garantire percorsi di accoglienza e integrazione con chi, avendo invece i titoli per restare, si impegna a rispettare le regole della convivenza civile. «Occorre un segnale netto - ha osservato Maroni - anche in vista di scadenze importanti, come l'allargamento dell'area Schengen alla Romania, e il sistema da predisporre sarà basato su due aspetti: il rigore, ovvero rimane soltanto chi è nelle condizioni per poter rimanere e rispetta le regole, e poi l'accoglienza e l'integrazione».

Alemanno: case popolari anche ai rom. «Coloro che ne hanno diritto devono accedere agli alloggi popolari come tutti gli altri». È quanto ha dichiarato il sindaco di Roma Gianni Alemanno a margine della veglia nel ricordo del piccolo Marius, il bambino morto in un campo rom nella chiesa di San Bartolomeo sull'Isola Tiberina.

«Non credo sia il caso di fare paragoni. Non credo che Maroni conosca molto bene la situazione di Roma. Noi stiamo facendo del nostro meglio. Ma forse non è questa la situazione per dichiarazioni politiche». È quanto ha aggiunto il sindaco commentando le recenti dichiarazioni del ministro Roberto Maroni sui rom a Milano.
Alemanno: qui, chi ne ha diritto avrà l'alloggio
II sindaco di Roma facciamo del nostro meglio, forse il ministro non conosce bene la situazione
il Messaggero 28 settembre 2010
El.Pan.
ROMA - «Coloro che ne hanno diritto posso¬no accedere agli alloggi popolari come tutti gli altri». Così ha dello il sindaco di Roma Gianni Alemanno, che ieri ha partecipato a una veglia per ricordare il piccolo Ma¬rio, il bambino rom che il 27 agosto scorso ha perso la vita nel rogo della baracca dove viveva nel campo abusivo di via Morsel¬li, alla Magliana. Aleman¬no ha voluto rispondere alle dichiarazioni del mini¬stro dell'Interno Roberto Maroni, che in mattinata aveva affermato che «nes¬suna delle famiglie che sa¬ranno allontanate dai cam¬pi nomadi regolari di Milano saranno ospitate in alloggi po¬polari».
«Non credo sia il caso di fare paragoni - ha aggiunto il sindaco - Non credo che Maroni conosca molto bene la situazione di Roma. Noi stiamo facendo del nostro meglio. Ma forse non è questa la situazione per dichiarazioni politiche». Il momento di preghiera ha visto la partecipazione di una folta delegazione di rom e sinti provenienti dai campi della capitale, moltissi¬mi i bambini. In prima fila, nella chiesa di San Bartolomeo all'isola Tiberina, oltre ad Alemanno i genitori del bimbo di tre anni, Marian e Emilia, e il delegato del sindaco per i rapporti con la comunità rom Najo Adzo-vic. Nel coreo della funzione sono stati ricor¬dati tutti i bambini rom deceduti per i quali sono state accese delle candele. Una accesa anche da Alemanno. «Ci dobbiamo impegna¬re e fare tutto il possibile per difendere la vita umana e in particolare quella dei bambino), ha detto uscendo dalla chiesa. A parlare delle condizioni del fratellino di Mario, il delegato Adzovic: «Sono ancora molto gravi».
Contro Maroni ieri è intervenuta anche Livia Turco, capogruppo Pd in commissione Affari sociali della Camera e responsabile immigrazione del Pd. «La discriminazione di esseri umani su base etnica fatta ormai quotidianamente dalla destra è inaccettabile. Se si tratta di persone per bene con i requisiti per l'accesso alle case popolari - prosegue Turco - hanno diritto di entrare in quegli appartamenti. E ricordiamo al ministro che i requisiti per avere quelle case Sono il rispetto della legge e il reddito. E basta. Molti rom sono italiani. Per quanto riguarda le espulsio¬ni di cittadini comunitari, dobbiamo ricor¬dargli anche che la Carta dei diritti umani della Ue prevede la libera circolazione all'in¬terno dell'Unione e che la direttiva del 2004 parla di espulsione solo per chi ha commes¬so reati». Quanto alla situazione francese, l'ipotesi più probabi¬le pare una procedura d'infrazione per catti¬va trasposizione nella legge nazionale della direttiva comunita¬ria sulla  libera circolazione dei cittadini eu¬ropei, mentre verrebbe accantonata -almeno per ora - l'ipotesi
di una procedura d'infrazione per discrimina¬zione dei diritti fondamentali in base alla razza e alle nazionalità: secondo fonti europee, sarebbe questo lo scenario più probabile per il caso Francia-Rom che domani sarà discusso dalla Commissione Ue.



Iezzi (Lega): "Case popolari ai milanesi e non ai rom"
Sabato 18 Settembre 2010
Milano, 18 settembre 2010 - "Le case popolari vanno ai milanesi, non ai rom. Su questo non si media". E' quello che afferma il segretario provinciale della Lega Nord a Milano, Igor Iezzi, che annuncia un presidio davanti a una delle case originariamente destinate ai nomadi, in via Forze Armate 179, alle 12 di domenica.

Centinaia di sgomberi per allontanarli Decisivo l'aiuto di volontari e cittadini
Avvenire 28 settembre 2010
DANIELA FASSINI
Da 10rnila a 500 in cinque anni. Sono questi i numeri delle presenze rom, a Milano, che, secondo gli intenti del Comune, in accordo con il ministero dell'Interno e il commissario straordinario per l'emergenza rom, il prefetto Gian Valerio Lombardi, dovranno cambiare in città. Una politica di al-leggerimento e di smaltimento dei campi re¬golari, portata avanti dall'assessorato alla Famiglia e poli¬tiche sociali del Comune con i fondi (13 milioni di euro) stanziati dal governo nel 2007 per far fronte all'emergenza rom.
Oggi a Milano ci sono ancora 2600 presenze, 1300 nei campi regolari e altrettanti negli insediamenti abusivi che puntualmente vengono sgomberati e abbattuti dalle forze dell'ordine (343 gli sgomberi effettuati in città dal 2007). Sgomberi che portano alla migrazione in città di piccoli nuclei che crescono con il passare dei giorni. Per questi, lavorano nell'ombra, senza tregua e contro il tempo, i volontari del terzo settore, della Comunità di Sant'Egidio e dei Padri Somaschi, da anni impegnati nei percorsi d'integrazione delle popolazioni noma¬de. Al loro operato, in città, nell'ultimo anno si sono aggiunte e moltiplicate le iniziative private: di "normali" cittadini milanesi, mamme e maestre, in particolare, delle scuole frequentate dai bambini rom, vicino al campo irregolare più volte sgomberato di via Rubatti-no. Cittadini privati che danno ospitalità ai bambini rom, compagni di classe dei propri figli, garantendo in questo modo la continuità scolastica dei bambini sgomberati e allontanati.
Ma anche per quanto riguarda i campi regolari, il Comune stringe la morsa: dei 12 campi regolamentati attualmente presenti in città nel 2011 dovranno ridursi a 5. E fra gli obiettivi, anche quello di trasformare gli insediamenti destinati ai rom in aree di sosta temporanea. Giusto il tempo necessario, per chi potrà dimostrarlo, di voler cambiar vita e affrontare un percorso di integrazione lavorativa ed abitativa. Ma il problema oggi sono i 700 rom che vivono in via Triboniano, il campo regolamentare più grande di Milano e che entro la fine di ottobre dovrà essere smantellato per far posto a uno svincolo stradale di Expo 2015. E su questo il Comune di Milano non transige: chi ha commesso reati (anche in passato e anche con pene già scontate) si deve allontanare.


Immigrati, mandano 210 mln nei loro Paesi

la Padania 28 settembre 2010
GIANCARLO MARIANI
Chi dice che gli immigrati si sono trasferiti in Italia per integrarsi e continuare a vivere nel nostro Paese commette un errore. La conferma arriva dai dati economici diramati dall'Abi (Associazione Bancaria Italiana) in merito al rapporto tra i migranti e gli istituti bancari.
Risulta infatti che ammonta a 1.543 euro l'importo medio di ogni transazione, quasi 7 volte superiori al dato internazionale (circa 223 euro, pari a 300 dollari).
Questo sta a significare che di fatto gli immigrati lavorano qui, e spesso anche in nero, per inviare il denaro ai loro Paesi d'origine dove il più delle volte mantengono i loro familiari.
Non si può pertanto pensare che i redditi degli immigrati contribuiscono a sostenere l'economia nazionale perchè non rimangono sul territorio in quanto i denari non vengono spesi da noi ma spediti nei paesi d'origine.
Cifre che peraltro non sono di poco conto perchè nel 2009 il sistema bancario italiano ha intermediato un volume complessivo di rimesse pari a 210,05 milioni, per un totale di 92.020 operazioni effettuate da immigrati.
I Paesi verso cui gli istituti canalizzano i maggiori flussi di rimesse dall'Italia sono Marocco e Romania, seguiti da Moldova, Brasile e Albania.
Ad aumentare anche, pur in un contesto di crisi, i conti correnti intestati agli immigrati, passati da 1,404 milioni a 1,514 (+7,9%). Nel frattempo gli immigrati residenti nel nostro Paese sono divenuti 3,891 milioni (+32,4% rispetto al 2007).
Lo studio dell'Abi rileva inoltre che «Il marcato aumento della popolazione straniera, cresciuta con un tasso quattro volte superiore al numero dei conti correnti intestati ai migranti, ha leggermente abbassato il tasso di bancarizzazio-ne: dal 67% del 2007 al 61% di fine 2009».
«Va tuttavia rimarcato - si legge ancora nello studio- che il processo di bancarizzazione è strettamente connesso al tem¬po di permanenza in Italia: è dunque ragionevole ipotizzare che il processo non avvenga immediatamente all'ingresso nel nostro paese, ma richieda un arco temporale minimo, stimato in almeno cinque anni, per acquisire una prima, pur se ancora precaria, stabilità economica e lavorativa, perchè si avverta il bisogno di un rapporto bancario e si abbiano i documenti necessari per l'accesso in banca».


"Rom, niente case"

Avvenire 28 settembre 2010  
DAVIDE RE
elle case popolari di Milano non ci sarà posto per i rom perché «chi sarà allontanato dai campi no¬madi regolari e che ha comunque i titoli per restare in città, non sarà ospitato in al¬loggi popolari», come originariamente pre¬visto nel piano per l'emergenza milanese. Lo ha chiarito ieri il ministro dell'Interno Roberto Maroni al termine di un vertice in Prefettura a Milano, assieme presidente del Consiglio regionale della Lombardia Davide Boni, al sindaco di Milano Letizia Moratti, al presidente della Provincia Gui¬do Podestà e al prefetto e commissario al¬l'emergenza rom Gian Valerio Lombardi. «Il campo rom di Triboniano verrà chiuso - ha affermato Maroni - e chi stava dentro e ha i titoli per restare in città avrà una si¬stemazione, escludendo l'utilizzo di edili¬zia residenziale pubblica o nella disponi¬bilità del patrimonio immobiliare del Co¬mune, compresi i beni sequestrati alla ma¬fia». Una scelta politica, quella del ministro, che è un avviso chiaro all'Unione Europa in vista dell'estensione del trattato Schengen anche a Paesi come la Romania. Nes-suno deve pensare, è la chiave di lettura del ministro, che in Italia si "regalino" le case a chi non ha i requisiti e che invece viene allontanato da altri Paesi, come la Francia. Insomma, si teme "l'invasione" e si fa retromarcia. Anzi il ministro ha an-nunciato nuovi strumenti per accentuare i respingimenti, anche dei comunitari che non hanno diritto alla residenzialità. Ora toccherà al prefetto Gian Valerio Lombar¬di trovare una soluzione. Insomma, una sconfessione di quanto voleva fare il Co¬mune di Milano per risolvere la questione. «Siamo di fronte a solo 25 casi e in ogni ca¬so la linea adottata a Milano negli ultimi due anni per i rom è "un modello per tuttal'Europa". Quando si vo¬gliono risolvere problemi non se ne creano altri, ma si cerca una soluzione che metta d'accordo tutte le sensibilità», ha concluso Maroni. «Andiamo avan¬ti con una politica di rigo¬re», ha detto Moratti. «Maroni si dimostra sem¬pre meno un ministro e sempre più un capopo¬polo leghista. Nei fatti, col suo intervento sulle case a rom a Milano, il ministro ha letteralmente commissariato la Moratti», ha detto il deputato del Pd Enrico Farinone, vice presidente della Commissione Affari Europei. Per Filippo Penati, capo della segreteria politica di Pierluigi Bersani, «quella di Milano è una sceneggiata di pessimo gusto. Ci vogliono soluzioni, non slogan». Una "quadra", però, quella intorno alla vicenda Milano, che ha visto anche l'azione di un altro leghista doc, l'attuale presidente del Consiglio re-gionale Davide Boni, che nelle scorse set¬timane aveva incalzato le istituzioni mila¬nesi a riservare semmai i posti nelle case popolari ai residenti. Preso atto delle dichiarazioni di Maroni, la fondazione Casa della carità, il Centro ambrosiano di solidarietà e il Consorzio Farsi Prossimo hanno ribadito l'intenzio¬ne di andare avanti con i progetti di inclu-sione sociale: «Continueremo a rispettare gli impegni presi così come da conven¬zione firmata lo scorso 5 maggio con Prefettura e Comune di Milano». La conven¬zione prevedeva, così come richiesto dal Comu¬ne di Milano, l'assegnazione di case popolari al privato sociale: 15 ap¬partamenti alla fondazione Casa della carità, 5 al Centro ambrosiano di solidarietà, 5 al Consor¬zio Farsi Prossimo. Perciò i tre enti, «così come concordato con Prefettura e Comune attraverso il co-siddetto Piano Maroni», destineranno le case «a quelle fasce di popolazione connotate da particolari fragilità. Una categoria nella quale rientrano alcuni nuclei familiari che abitano nei campi regolari di via Triboniano e via Novara». E già 11 nei giorni scorsi sono state sistemate. «Qualora - avvisano gli enti - dovesse ar¬rivare una comunicazione ufficiale nella quale verrà espressamente indicato di non assegnare le case alle famiglie rom, pren¬deremmo atto del mutato stato di cose e metteremmo in discussione la convenzione».



La Caritas: no a discriminazioni pronti a rompere con il Comune

la Repubblica 28 settembre 2010
MILANO - Hanno atteso per alcune ore una comunicazione ufficiale che non sarebbe chiaramente arrivata. Poi le tre associazioni del terzo settore che gestiscono la vicenda dei rom - e al loro fianco la Curia - hanno steso un comunicato duro nella forma quasi quanto nella sostanza. «Noi proseguiamo il nostro lavoro, ma se dovesse arrivare una comunicazione ufficiale che dica espressamente di non assegnare le case alle famiglie rom prenderemmo atto del mutato stato di cose e metteremmo in discussione la convenzione, perché non vogliamo mettere in atto forme di discriminazione». Insomma: se ci viene chiesto di stracciare contratti già firmati, potremmo decidere di non collaborare più al piano di chiusura dei campi, che a quel punto non potrebbe essere realizzato.
Un messaggio chiarito ulteriormente da don Virginio Colmegna, direttore della Casa della carità (gli altri enti gestori sono il Centro ambrosiano di solidarietà e il consorzio Farsi prossimo). «È una decisione discriminatoria che non possiamo accettare, c´è chi non si rende conto che far fallire il piano vuol dire rinunciare a risolvere un problema che non è nostro, non è del terzo settore, ma riguarda tutta la città».
La convenzione, datata 5 maggio, assegnava i 25 alloggi malmessi del patrimonio regionale Aler al privato sociale che, a sua volta, li avrebbe destinati a famiglie dei campi di via Triboniano e via Novara: per un tempo limitato e dietro il pagamento di un contributo alle spese. «Nei giorni scorsi 11 di queste famiglie hanno già ottenuto l´assegnazione delle case con un atto ufficialmente firmato da prefettura e Comune: quindi il nostro lavoro proseguirà in questa direzione e con il consueto spirito di collaborazione».
Si aspetta, insomma, che le istituzioni mettano nero su bianco le parole di ieri, rimangiandosi una firma sostenuta fino a pochissimi giorni fa, già nel pieno delle polemiche. Anche perché, come ragiona don Colmegna, la decisione di affittare le case dai privati - pagandole comunque con i fondi del piano nomadi - è improponibile: «Con il clima di paura e di diffidenza che stanno creando voglio vedere quale condominio accetterà famiglie con il marchio di Triboniano».
Quelle donne mutilate scandalo per la civiltà
la Repubblica 28 settembre 2010
Adriano Sofri
· Khady Koita ha una foto di bambina in copertina, e una foto da grande sul retro del suo libro. È bella, da bambina e da grande. È nata nel 1959, in Senegal. Il libro si intitola "Mutilata". "La parola orgasmo - spiega - non esiste nella mia lingua. Il piacere di una donna non è solo un tabù, è ignorato. La prima volta che qualcuna ne parlò in mia presenza, corsi alla biblioteca a frugare nei libri. La mutilazione praticata nell´infanzia, ci vogliono far credere che siamo nate così. Ci privano del piacere per dominarci, ma non del desiderio". Khady vive a Bruxelles, è presidente della rete europea contro le Mutilazioni genitali femminili (Mgf), oggi è a Roma con Emma Bonino. E con loro Mariam Lamizana, già ministro in Burkina Faso, la sua connazionale Marie Rose Sawadogo, la senegalese Ndeye Soukeye Gueye, militanti di spicco del Comitato interafricano contro le Mgf.

Escissione del, o della, clitoride, infibulazione, parole tecniche, come se il lessico si procurasse un preservativo, a scanso di guai. Il clitoride tagliato via. Tagliate via le piccole labbra, e parte delle grandi, la vulva cucita. Donne cucite. "Tagliata", scrive Khady, ma nella sua lingua soninke "salindé", "purificata per accedere alla preghiera". Si calcola che 150 milioni di donne vi siano state sottoposte. Tre milioni di bambine ogni anno. Gli Stati africani coinvolti sono 28: in 19 sono state varate leggi penali che sanzionano le Mgf. Naturalmente, fra la legge e la realtà c´è una distanza enorme.

Le mutilazioni genitali femminili sono una pratica tradizionale. Sono la più tradizionale delle pratiche. Raschiate il fondo della tradizione, e troverete sempre una prepotenza sulle donne.
Paese che vai, usanze che trovi: giusto, ma fino a un certo punto. L´arroganza colonialista suscitò una ribellione tesa a riconoscere e riscattare le differenze fra le culture. Succede però che per raddrizzare il bastone storto lo si pieghi dall´altra parte. Quando sir Phileas Fogg, girando il mondo in ottanta giorni per scommessa, strappò al rogo vedovile la giovane Auda e se la portò a Londra e la sposò, fece benissimo. Nessuna tradizione giustifica il rogo delle vedove. Esiste una buona tradizione e una cattiva tradizione. È compito della civiltà conservare la prima e superare la seconda. Avviene spesso il contrario.
Una antropologia del "relativismo assoluto" spingerà il suo rispetto per le tradizioni altre fino a rifiutarsi di interferire con le Mgf. E di fronte all´importazione di questa pratica (qualche decina di migliaia di bambine all´anno in Italia) si adopererà caso mai a ridurne la virulenza, così da serbarne il simbolismo e minimizzarne l´effetto fisico: proposito apprezzabile in una condizione di emergenza, pur di non eludere il fondo del problema, e di non emulare il chirurgo che ricuce il moncherino al ladro cui è stata mozzata la mano.
Sul punto si svolse una discussione accanita in Toscana, nel 2004; riferendone, il libro di Carla Pasquinelli ("Infibulazione. Il corpo violato") avverte che "l´integrità non è altro che una particolare costruzione culturale del corpo". Solo che, spinta all´estremo, questa ragionevole constatazione abolisce l´habeas corpus. Il punto di vista delle donne, dunque delle bambine, è il più necessario e, unilaterale com´è, il più universale rispetto al significato della tradizione. Al contrario, l´argomento secondo cui interventi di mutilazione genitale sono sempre esistiti sia per le donne che per gli uomini - come la circoncisione maschile - vorrebbe "sdrammatizzare" il problema.
Con la differenza che la mutilazione femminile priva la donna del piacere sessuale, ciò che non è nemmeno immaginabile per l´uomo, e tanto meno le doglie esasperate dalla cicatrizzazione o la rottura mortale dell´utero. L´uomo non saprebbe pensare a una mutilazione del proprio piacere sessuale, ma ha saputo pensare a mutilarne la donna, e goderne e rassicurarsene. Che sia un indizio della brutalità maschile è evidente: è anche un indizio colossale dell´ottusità maschile.
Ogni volta la questione si ripresenta così. Un doppio regime legale in paesi di immigrazione, la legge dello Stato e la shariah per i musulmani, si traduce essenzialmente nella soggezione delle donne - poligamia maschile, velo, mutilazioni genitali, matrimoni infantili e imposti, delitto d´onore ecc. È così anche per la pena di morte. La ritorsione retorica di Ahmadinejad su Teresa Lewis - cui la barbarie della pena capitale degli Usa presta gravemente il fianco - mostra la corda proprio nella differenza riservata dall´Iran dei mullah alle donne, come nel tormento esemplare di Sakineh. La pena di morte americana colpisce indiscriminatamente - cioé senza discriminazione deliberata. È anche quello che succede per l´attualità davvero bruciante dei rom. La premura per la loro diversità non si estende fino a esimerli, in qualunque luogo della terra si trovino, dal rispetto per l´incolumità, la dignità e la libertà delle donne (e dei bambini). Se ne dimenticano quelle autorità dal muso duro per le quali "gli zingari" vivano pure a loro modo, ma lontano da qui - lontano da ovunque.
Programma molto più facile che sanzionarne i reati personali e criticarne gli abusi tradizionali, ma aiutandoli, quelle e quelli che lo vogliano, ad abitare studiare e lavorare e sottrarsi alle vessazioni. La 65a Assemblea generale delle Nazioni Unite può essere decisiva per il bando universale delle Mgf. La Risoluzione rafforzerebbe la lotta per far applicare la legge dove già c´è, per farla adottare dove manca, per procurare le risorse indispensabili alla sua attuazione. Senza fare classifiche, è una battaglia almeno altrettanto importante (e diplomaticamente impegnativa) che quella per abolire la pena di morte, cui è affine. A Dakar, nel 1984, si costituì il Comitato interafricano sulle pratiche tradizionali che investono la salute di donne e bambini. Dagli anni ‘90 è attiva la Rete europea per la prevenzione e la soppressione delle pratiche tradizionali nefaste. Nel 2000 Emma Bonino visitò il villaggio di Tourela, in Mali, dove le Mgf erano state ripudiate e sostituite da una festa che simboleggiava il passaggio dall´adolescenza all´età adulta.
L´associazione sui diritti umani promossa dai radicali "Non c´è pace senza giustizia" tiene da allora un ruolo di primo piano. (Si trova online, per esempio nel sito della sanità dell´Emilia Romagna, una bibliografia ragionata in inglese sulle Mgf, di 2 mila titoli). Un risultato prezioso, tanto più coi tempi che corrono, è l´impegno pieno assunto dal Parlamento italiano e all´Onu dai ministri Frattini e Carfagna. La novità emozionante è che a guidare la campagna all´Onu sono donne africane capaci di impegnare i propri paesi. Nel 2003 gli Stati dell´Unione Africana sottoscrissero il Protocollo di Maputo che dichiara le Mgf "violazione flagrante dei diritti umani fondamentali". Si sono impegnate da allora le prime signore d´Egitto, Suzanne Mubarak, di Gibuti, del Mali, del Burkina Faso, i governi e i parlamenti senegalese, mauritano, ivoriano, eritreo, beninese, e ugandese, kenyota, mozambicano. "Ogni tanto, mentre parlo di questo dramma - scrive Khady - qualcuno mi chiede: ‘Quando fa l´amore, che cosa sente? ‘ La prima volta mi sono sentita violata di nuovo. Oggi, queste domande non mi turbano più". Oggi, bisogna che turbino tanti altri.


Immigrazione: finti matrimoni Sicilia-Marocco, 5 arresti

Scoperta a Palermo 'agenzia' per irregolari con donne poligame
28 settembre
(ANSA) - PALERMO, 28 SET - Organizzavano finti matrimoni 'chiavi in mano' tra marocchini e italiane per fare ottenere il permesso di soggiorno agli extracomunitari.
La singolare 'agenzia matrimoniale', che chiedeva 10mila euro per 'cerimonia', e' stata scoperta dalla squadra mobile che ha arrestato cinque palermitani, un uomo e quattro donne. Per due di loro e' scattata anche l'accusa di bigamia perche' avevano gia' contratto rispettivamente tre e due matrimoni, sempre con cittadini marocchini. A capo dell'organizzazione un cittadino palermitano che sarebbe l'artefice del business. (ANSA).



Il piano immigrati «Aiutare le badanti a capire il dialetto»

Giornale di Vicenza
La commissione del Consiglio regionale "Attività produttive e lavoro", presieduta da Luca Baggio (Lega), ha espresso parere favorevole all'unanimità sul piano triennale 2010-2012 per l'immigrazione illustrato dall'assessore Daniele Stival. «Il nuovo piano che giunge un po' in ritardo all'esame della commissione - ha detto l'assessore - ricalca sostanzialmente le linee di quello precedente cercando, però, di aggiornarsi tenendo conto, nella gestione della presenza straniera legale, della fase di crisi economica seguendo i dati del monitoraggio dell'osservatorio gestito da "Veneto Lavoro". Sollecito, quindi, il Consiglio ad un'approvazione rapida in modo da poter impostare tempestivamente anche il piano annuale 2011».
«Due - ha aggiunto Stival - sono le novità proposte a titolo sperimentale nel piano 2010/2012. Primo, l'opportunità di avvicinare alla cultura e alle parlate venete soprattutto quegli immigrati che, come le badanti, hanno a che fare con soggetti anziani legati alle espressioni locali. Secondo, la formazione alla sicurezza dei luoghi di lavoro anche dal punto di vista dello scambio linguistico dal momento che non pochi incidenti, anche gravi, sono avvenuti nella fabbriche e nei cantieri edili a causa di malintesi dovuti alle difficoltà di comprensione tra lavoratori di diversa provenienza. Altra iniziativa che viene prospetta riguarda le procedure per sostenere il rientro volontario degli immigrati nei paesi di origine». Stival ha poi risposto ad alcuni quesiti avanzati da alcuni membri della commissione. A Lucio Tiozzo (Pd) che chiedeva precisazioni sulla dotazione finanziaria del piano relativo all'anno in corso ha detto che sarà definita e trasmessa alla commissione in seguito alla riunione con la conferenza dei rappresentanti degli immigrati.
«Gli intereventi relativi all'accesso all'abitazione che deve essere uguale per tutti senza penalizzare i veneti - ha detto rivolgendosi al consigliere di FSV, Pietrangelo Pettenò - sono definiti non dal piano triennale bensì dagli specifici interventi dell'assessore di comparto Massimo Giorgetti».
Stival ha, infine, raccolto le sollecitazioni del vicepresidente della commissione Roberto Fasoli (Pd) che ha sollecitato la giunta a provvedere al prolungamento dell'attività dell'osservatorio sull'immigrazione, la necessità di continuare nei corsi per l'apprendimento della lingua italiana e di iniziative per far conoscere quanto di positivo il Veneto sta facendo per attuare l politiche di accoglienza e integrazione degli immigrati.



Concerto a Lampedusa per riflettere sul tema dell'immigrazione: intervista con Claudio Baglioni

Radio Vaticana 28 settembre 2010
Cinque giorni di musica, oltre cento artisti sul palco, due obiettivi: riflettere sul tema dell’immigrazione e favorire l’integrazione tra le diverse culture. Con questi numeri si apre domani sera, sull’isola di Lampedusa, la rassegna musicale di O’ Scia’. Giunta all’ottava edizione, la kermesse proseguirà fino al 2 ottobre e vedrà le esibizioni, tra gli altri, di Francesco De Gregori, Roberto Vecchioni, Carmen Consoli ed Irene Grandi. Isabella Piro ne ha parlato con l’ideatore dell’iniziativa, il cantautore Claudio Baglioni:RealAudioMP3

R. - Quello che con questa manifestazione abbiamo cercato e cerchiamo ogni giorno di dire non è una presa di posizione a favore o a sfavore di un pensiero o di un atteggiamento politico o sociale, quanto quello della ricerca seria delle soluzioni, che è una ricerca lunga e problematica: senza però abbandonarci a semplici slogan, che spesso non risolvono la risoluzione, ma fanno tacere solamente alcuni spiriti più bollenti.

D. - Siamo giunti all’ottava edizione di O’ Scia’: la questione immigrazione ha cambiato volto nel frattempo?

R. - No, perché l’immigrazione è lunga quanto la vita dell’umanità, è vecchia di secoli e c’è sempre stata e sempre ci sarà. È un diritto ed anche un dovere quello di cercare una condizione migliore. A mio parere, però, il problema sta a monte. Se noi riuscissimo veramente a lavorare affinché questi viaggi così terribili e così difficili - perché noi non abbiamo neanche la più pallida idea di quello che può accadere a qualcuno che parte dal Centro Africa per arrivare fino al Mediterraneo, per trovare poi chissà quale razza di lavoro, per essere sfruttato con il lavoro nero e dalla criminalità organizzata - se noi riuscissimo a fare un passo indietro e a guardare oltre i nostri bisogni, già messi in crisi tra l’altro da un mercato generale e mondiale, probabilmente riusciremmo a trovare l’idea che una maggiore serenità e un pizzico di serenità la si può conquistare solo attraverso qualcun altro, solo attraverso il rispetto della persona.

D. - Immigrazione, integrazione, dialogo: qual è il denominatore comune per accordare questi tre concetti?

R. - A mio parere è proprio l’interazione. Non si raggiunge niente, se non si lavora insieme. Questo lo dico anche come musicista: nel momento in cui uno non vuole più suonare da solo, deve accordarsi con qualcun altro per suonare la stessa sinfonia, la stessa canzone, lo stesso ritmo. L’interazione e il lavoro comune è fondamentale! Secondo me, poi, è necessaria una maturità per affrontare questi discorsi che non hanno un colore politico, ma che parlano della differenza di possibilità della vita, di costumi differenti, di culture che sono lontane e che - proprio in un tempo in cui parliamo di tempo globale e universale - si fa più fatica a mettere insieme.

D. - C’è un problema di formazione dei giovani all’integrazione?

R. - Sì. È un problema di formazione, proprio perché l’integrazione sarebbe naturale. Noi vediamo che bambini di pochi anni hanno naturalmente l’idea di stare insieme, anche ad altri bambini che vedono diversi per colore, per fattezze, per modi di vestire, per la lingua. Evidentemente poi cominciano alcune sovrastrutture nell’educazione e nella cultura imperante ed aumentano, magari, le paure e le diffidenze. I problemi continuano ad esistere ed affinché ci sia anche una maggiore legalità e una maggiore riconoscibilità, vanno affrontati con sapienza e con lungimiranza.

D. - Chi emigra cerca la speranza di una vita migliore: la musica in questo caso è sinonimo di speranza?

R. - La musica ha in sé quei concetti di armonia e di bellezza addirittura primitiva. In questo senso regala sempre calore, confidenza, sorriso, emozione ed alimenta buoni pensieri e quel concetto per cui è necessario darsi da fare affinché alcune cose possano andare meglio.
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