29 settembre 2010

Il Veneto si ingegna «Ammessi solo stranieri col bilocale»
La trovata dì Mirano per limitare gli ingressi: inutile dare un lavoro a chi si ammassa in un monolocale
145 del 2008.
Libero 29 settembre 2010
SILVIA CRIVELLA
Senza immigrati per legge. Un comune del Veneto ha trovato la via legale per chiudere le porte agli stra¬nieri. A Mirano, in provincia di Vene¬zia, essere in regola con i parametri abitativi è infatti molto più difficile che negli altri Comuni del territorio circostante. Sì, perché nemmeno un bilocale basta al singolo per garantirsi un impiego.
A sollevare la "quérèlle" dalle pagi¬ne del Gazzettino è il presidente dell'associazione marocchina locale, Samad El Ghanami: «Il certificato di idoneità di alloggio è richiesto solo agli immigrati, ed è necessario per ot¬tenere un lavoro». Il commento del vicesindaco leghista, Alberto Semen-zato, è inequivocabile: «Vuol dire che le norme funzionano». E il nocciolo della questione è proprio questo: quali norme? I parametri abitativi so -no stabiliti da due atti: uno nazionale e uno regionale. Il comune di Mirano ha scelto la seconda opzione: la legge 10 del 1996, i cui parametri sono rac¬colti nell'ordinanza "antisbandati". «Sono più duri di quelli di Verona» dice El Ghanami «perché dalle metra -ture indicate sono esclusi i vani». Si parla di 45 metriquadrati a persona o 60 per due, ma da questi bisogna escludere i bagni, la cucina ed even¬tuali magazzini, e naturalmente il ga¬rage. Parametri duri persino per un single italiano, o per le giovani coppie. Risultato: «Alcuni connazionali non possono portare in Italia moglie e figli perché sennò uscirebbero dai criteri». Ma soprattutto ad essere in crisi sa¬rebbero le assunzioni, ormai rarissi¬me. La città conta 26mila abitanti e, nel 2009, gli stranieri sono arrivati a quota 1.666, senza contare quelli che fingono di alloggiare nei Comuni li¬mitrofi, per avere l'idoneità.
Il comportamento del Comune di Mirano è legittimo al 100 per cento. «Dall'entrata in vigore del pacchetto Sicurezza (legge 94/2009) sono stati introdotti dei criteri nazionali», spie¬ga Nicola Savioli, Servizio Immigra¬zione del Patronato Acli, che chiarisce anche le diverse applicazioni «la legge 94 tocca l'articolo 29 del Testo Unico sull'Immigrazione, cioè il ricongiungimento familiare. In quel caso viene adottato il decreto del Ministero della Salute del 5 luglio 1975». Che discipli¬na "Altezza minima e requisiti igieni¬co sanitari principali dei locali di abi¬tazione" in modo più soft: 14 metri quadriapersona in una casa per 4 e 10 metri quadrati a persona dai 5.
«Invece» sottolinea Savioli «per quanto riguarda primi ingressi e pri¬mo permesso di soggiorno si fa riferi-mento ancora alla normativa prece¬dente, e quindi alle leggi regionali».
Il Testo Unico in questione è del 1998, modificato nel 2002 dalla Bossi Fini, e nel 2008-2009 dal Pacchetto Si-curezza. Prima erano intervenuti vari testi, dalla legge 943/86 con le prime procedure di regolamentazione, alla legge Martelli del 1990, la prima a di-sciplinare l'ingresso con delle quote per far fronte alle esigenze economi¬che nazionali. Si è dovuto aspettare il 1998 per le modifiche note come leg¬ge "Turco-Napolitano", poi confluita nel Testo Unico. «La grossa differen¬za» spiega Savioli «è che dall'anno scorso la competenza del certificato di idoneità è passata dalle Asl ai Co¬muni. Ma la complessità rimane, in¬sieme alla difformità di applicazione della legge».



Così la Lombardia caccia via i rom

Terra 29 settembre 2010
Dina Galano
Il ministro dell'Interno Roberto Maroni lo ha sostenuto con veemente risolutezza: ai rom non vanno assegnati gli alloggi popolari. Per le ventitré famiglie che entro 15 giorni, come ha assicurato il ministro, dovranno lasciare il cam¬po nomadi milanese di Via Triboniano «si trove¬rà una soluzione diversa». Ciò che ispira il cre¬do leghista sembra trovare attuazione nel terri¬torio lombardo dove, a macchia di leopardo, si materializza il messaggio dell'esclusione e della discriminazione. Il giorno successivo all'esterna-zione di Maroni, nella frazione di Formigosa, nel mantovano, si è posta la prima pietra. Un nuovo muro, per ora simbolico, separerà i residenti ita-liani dai loro concittadini dì origine rom. Il pro-getto è capitanato dal consigliere comunale del¬la Lega, Luca De Marchi, sostenuto dai militanti del circolo locale del Carroccio ed è stato avvia¬to dopo che tra gli inquilini delle case popolari i rapporti di vicinato si erano fatti bollenti. ► Formigosa è una frazione iso¬lata del Comune di Mantova, di¬stante oltre 4 chilometri dal cen¬tro cittadino, in piena area in¬dustriale. Qui, più di trentan¬ni fa sono stati costruiti alloggi per nuclei familiari non abbien¬ti assegnati secondo graduato¬ria pubblica dall'azienda lom¬barda per l'edilizia residenziale (Aler), la stessa che gestisce gli alloggi del capoluogo lombardo su cui Maroni ha dato precise di¬sposizioni. Un'indicazione «poli¬tica», ha commentato il direttore dell'azienda di Mantova, Giuliano Vecchi, «che equivale a disporre un aut aut sulle decisioni discre¬zionali» che spettano comunque all'amministrazione    comunale. Ma il direttore dell'Aler manotva-na ha le idee chiare e continuerà la costruzione di quella che eufe-misticamente definisce «una re¬te separatoria». Dopo le lamen¬tele di alcuni degli inquilini, in¬fatti, si è deciso di dividere le due palazzine a canone sociale pro¬tagoniste della discordia. Così, il civico 9 (quattro nuclei familiari, tre mantovani e uno marocchi¬no) denuncia i dirimpettai del ci¬vico 11 (in tutto 8 persone, di cui una famiglia di etnia romani) per aver reso la convivenza «impossi-bile». Da qui l'idea del consigliere De Marchi di risolvere la contro¬versia deponendo i primi matto¬ni di confinamento, precisando al quotidiano locale La Gazzet¬ta di Mantova che «i due condo¬mini vanno separati per riporta¬re la tranquillità tra le famiglie». «Questa è solo l'ultima bouta¬de della Lega», ha reagito il con-sigliere comunale di minoran¬za Giovanni Buvoli, richiaman¬do i provvedimenti discrimina¬tori che sono stati approvati. «Da quando si è insediata, la nuova giunta ha legiferato un decalogo contro l'accattonaggio molesto e inaugurato la guerra alle mo¬schee considerate "clandestine"». Mantova, si sa, si è sempre distin¬ta in buon costume e tranquillità, e qui la componente straniera «è assolutamente fisiologica a una città di nemmeno 50mila abi¬tanti», ha valutato l'esponente Pd. Tuttavia, ha incalzato, «sulla spinta della Lega si sta cercando di far mutare la percezione della sicurezza attuando politiche che mirano a creare paura e diffiden¬za». Così si verifica che l'assesso¬re ai lavori pubblici Giampaolo Benedini mentre ha condannato l'iniziativa («Se cominciamo a ti¬rar su muri non si finisce più»), è pronto a un'altra interpretazione del caso: «L'inciviltà non dipende dalle diverse culture di un popolo - ha precisato - e certe cose non vanno strumentalizzate senza fondamento». Ma il caso di For¬migosa «non è isolato», rivela il direttore dellAler che, nelle pro¬prietà di sua competenza ha vi¬sto ripetersi «problemi di questo genere». Soltanto a Mantova al¬le amministrative di marzo la Le¬ga ha raggiunto il consenso del
10 per cento ed è ancor più forte in provincia; non nasconde l'in¬tento di «cavalcare un sentimen¬to di intolleranza», come indica¬to dal consigliere Buvoli e sa uti¬lizzare bene le simbologie. Se una famiglia italiana di origini rom dà troppo fastidio al vicinato, l'occa¬sione vai bene ad alimentare la guerra tra poveri. ■



ONIDA: "DA MARONI UNA DISCRIMINAZIONE ETNICA"

Silvia D'Onghia
il Fatto Quotidiano 29 settembre 2010
Oltre a violare la Costituzio¬ne e il diritto internazio¬nale, è anche un problema di emergenza sociale, come per i terremotati: se si sgom¬bera un campo in cui ci sono 102 famiglie, non si può non dare a queste persone una soluzione abitativa. L'incre-dibile retromarcia del mini¬stro Maroni sui Rom del Tri-boniano, dopo l'accordo sottoscritto tre mesi fa da tutte le parti in causa, a Va¬lerio Onida, presidente emerito della Corte costitu¬zionale e adesso candidato alle primarie del centrosini¬stra per la poltrona di primo cittadino, non piace affatto. Professore, è mai possibi¬le che il ministro dell'In¬terno dica che nessuna delle famiglie sgombera¬te ha il diritto di vivere in una casa popolare? È possibile perché accade. La cosa incredibile è la mar¬cia indietro su un program-ma già concordato tra Pre¬fetto, Comune, organizza¬zioni no profit e che riguar¬da alloggi inagibili da riattare per far fronte a un'emer-genza. Se ci fosse un terre¬moto, avrebbe senso dire al¬le famiglie che hanno perso la casa "mettetevi in gradua¬toria per un alloggio popo¬lare?". Qui c'è lo stesso tipo di emergenza. Ma ancora più grave è la discriminazione etnica, un atto di puro raz¬zismo contrario alla Costitu¬zione e al diritto europeo. Ma non le sembra che il sindaco Moratti avrebbe dovuto arrabbiarsi per es¬sere stata scavalcata? Assistiamo a una forma di "commissariamento" anche su questo. Il ministro dell'In¬terno detta la linea al Comu¬ne: degno del più classico Stato centralista. Parlano tanto di federalismo e poi non si accorgono della con¬traddizione. Una città come Milano deve sapersi autogo-vernare su qviestioni come questa, e, invece, vengono a dirci cosa fare su 20 appar¬tamenti inagibili dell'Aler. Perché secondo lei il mini¬stro avrebbe fatto una co¬sa del genere? Maroni ha parlato di reazioni negative degli abitanti, che sarebbero contrari all'utiliz¬zo di queste case per dare immediata ospitalità a chi viene scacciato dai campi. Così si scatena la più classica guerra tra poveri e si alimen¬ta un pregiudizio razzista. E questo è da irresponsabili, per chi fa politica e ammini¬stra.
Come bisognerebbe af-frontare il problema allo¬ra (dal punto di vista di chi si candida a governare la città)?
Bisogna scendere sul terre¬no dei fatti, combattere e smentire i pregiudizi, lavora¬re per l'integrazione, farsi carico dei problemi reali dei quartieri. Senza buonismi preconcetti e senza ignorare le paure, ma governando ef¬ficacemente i problemi. Condurre anche la popola¬zione a reagire con la testa, non con la pancia. Poi, chi può credere che il problema grave siano i rom? Semmai, anche nella nostra città, è la presenza della criminalità organizzata.
Lei sta seguendo, da "av-vocato", la causa che I I rom milanesi (con il sostegno di alcune associa-zioni e della Open Society Justice Initiative da lei as-sistita) hanno intentato contro i provvedimenti governativi sulla "emer-genza nomadi" e il "cen-simento".
Sono provvedimenti viziati da un intento e da un con¬tenuto discriminatori. Fan¬no parte di quelle politiche italiane e francesi per cui giustamente le istituzioni europee ci hanno messo sot¬to osservazione. La Lega le fa paura? È un movimento che ha avu¬to, all'origine, il merito di cogliere sentimenti ed esi¬genze reali della popolazio¬ne, perché è in contatto con la base più di altri partiti, che appaiono spesso concentra¬ti su loro stessi e sui propri equilibri. Però, ed è la sua colpa, invece di concorrere a costruire risposte efficaci e coerenti con i principi co-stituzionali e col buon sen¬so, si fa amplificatrice delle paure e delle reazioni di pel¬le. Ma fare politica vuol dire governare i processi. La Lega spreca la capacità di coglie¬re il reale e alimenta un voto che diventa protesta.



GARANTIRE I DIRITTI PER INTEGRARE I ROM NELL'UNIONE EUROPEA

NAVI PILLAY*
La Stampa 29 settembre 2010
Se vi è un aspetto positivo nell'attuale indignazione suscitata dal trattamento dei Rom in Francia e al¬trove, è che questo fenomeno di straordinaria di¬scriminazione è ora all'attenzione di tutti, in Euro¬pa e non solo. Quando il clamore attuale si sarà pla¬cato, le spaventose condizioni di questa minoranza margina-lizzata dovranno rimanere in evidenza. Esse devono essere affrontate nel contesto appropriato, ovvero usando i diritti umani come principi guida per le politiche pubbliche e le azio-ni correttive.
Ad oggi, nonostante gli sforzi compiuti da alcuni Paesi europei e da organizzazioni internazionali e regionali, i sen¬timenti anti-Rom continuano a essere forti in Europa. Addi¬rittura, potrebbero essere in ascesa a causa della recessio¬ne economica che ha costretto molti Rom a lasciare le pro¬prie comunità d'origine alla ricerca di opportunità di lavoro migliori. Di conseguenza, le pratiche discriminatorie e la violenza sono aumentate. Ad esempio, vi sono stati casi di attacchi mortali contro Rom in Ungheria e Slovacchia. Le prove documentali di discriminazione mirata abbondano, e comprendono la recente circolare filtrata dal ministero del¬l'Interno francese in cui si ordinava l'evacuazione dei campi Rom come una questione di primaria importanza. Inoltre, il Comitato Onu che vigila sull'applicazione della Convenzio¬ne internazionale sull'eliminazione di tutte le forme di di¬scriminazione razziale (Cerd) ha sottolineato che espulsioni forzate, ostacoli nella ricerca di alloggi e segregazione con¬tro i Rom avvengono, con diversa intensità, in molti altri Pa¬esi, inclusi Bulgaria, Repubblica Ceca, Grecia, Italia, Litua¬nia, Romania e Slovacchia.
In alcuni Paesi ai Rom viene limitato l'accesso alle cure sa¬nitarie e ad altri servizi a causa della mancanza di documenti d'identità. Secondo il Cerd, problemi per i bambini Rom in ambito educativo sono diffusi, così come la loro segregazione in classi separate o la loro eccessiva presenza in scuole per bambini con difficoltà d'apprendimento. Negli anni passati la Corte Europea per i Diritti dell'Uomo ha trovato alcuni gover¬ni europei, compresi membri dell'Unione come Repubblica Ceca e Grecia, in violazione delle leggi sul trattamento dei bambini Rom nelle scuole. L'applicazione di queste sentenze resta, nel migliore dei casi, frammentaria.
In aggiunta, i continui rientri di Rom dalla Germania al Kosovo hanno avuto effetti devastanti sui diritti dell'infanzia, compreso il diritto all'educazione. Come provato da un recen¬te studio Unicef, i bambini Rom che erano ragionevolmente ben integrati nelle scuole tedesche vengono inseriti in un contesto di lingua albanese che è loro completamente estraneo, dove hanno poche o nessuna possibilità anche solo di frequen¬tare la scuola.
In questo contesto non sorprende che l'Agenzia Europea per i Diritti Fondamentali abbia stimato che i Rom sono i più bersagliati nella classifica della discriminazione nell'Unione Europea. La marginalizzazione e la condanna dei Rom sono spesso alimentate dalla retorica incendiaria di quelle forze che cercano un vantaggio politico agitando lo spettro della diffidenza. Si tratta di uno dei punti che ho sollevato nel corso della mia visita a campi Rom, sia legali sia non autorizzati, in Italia, dove, come altrove, ho ripetutamente invocato il biso¬gno di integrare in maniera migliore i Rom nelle società dei Paesi di origine come in quelli di accoglienza. Un primo passo verso l'integrazione comporta la garanzia dell'accesso al¬l'istruzione e ad altri servizi fondamentali, quali assistenza e servizi sanitari, alloggi, opportunità di lavoro: tutte prerogati¬ve tutelate dalla normativa internazionale sui diritti umani. Tutte le componenti Rom che ho incontrato - bambini, genito¬ri, rappresentanti della comunità - hanno sottolineato questi punti con estrema chiarezza in occasione degli incontri che ho avuto con loro.
Sono consapevole del fatto che alcune delle tradizioni Rom possano essere estranee alla cultura prevalente nella so¬cietà e possano esse stesse essere equiparate a violazioni dei diritti umani, laddove si tratti ad esempio di matrimoni forza¬ti e lavoro infantile. So anche che, vivendo al margine della so¬cietà, alcuni Rom hanno fatto ricorso alle attività criminali -di solito di basso livello - cosa che crea contrasti comprensibi¬li. Tuttavia, questi temi richiedono un esame caso per caso, piuttosto che una condanna indiscriminata; esigono le stesse risposte che si applicano a tutti coloro che violano la legge, an¬ziché implicare misure draconiane o esemplari che sanno di stigmatizzazione e punizione collettiva di una minoranza.
Sforzi seri di affrontare questi problemi sono già stati fatti sia a livello nazionale sia nell'ambito delle istituzioni del¬l'Unione Europea. Ad esempio, la Commissione Europea ha provato con chiarezza a sostenere politiche di integrazione attraverso la Piattaforma UE per l'inclusione dei Rom e l'ado¬zione dei Principi comuni fondamentali sull'inserimento dei Rom del 2009. Inoltre, alla Conferenza Onu di revisione con-tro il razzismo dell'aprile 2009,182 Paesi membri delle Nazio¬ni Unite si sono impegnati a sradicare la discriminazione con¬tro i Rom e altre minoranze e a garantire misure di rimedio e tutela speciale.
Occorre fare molto di più. Con il sostegno attivo di Com¬missione e Parlamento europei, oltre che dell'Orni, l'Unione Europea e i suoi 27 Paesi membri ora hanno una possibilità di mutare il proprio atteggiamento rispetto alla questione Rom, convertendolo da reattivo a propositivo. E' necessario che condividano le migliori pratiche e gli standard sui diritti uma¬ni e che diano poi loro attuazione in tutta l'Unione, per assicu¬rare che tutti i Rom conducano esistenze degne in una delle regioni del mondo di maggior benessere, una regione che è anche la loro.
*Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani



Tremonti e frontalieri per gli svizzeri sono topi

il Giornale 29 settembre 2010
Proteste e polemiche in Italia per una campagna-choc antifronta-lieri in canton Ticino, partita su Face-book e su un sito internet e ieri prose¬guita con manifesti affissi in località come Lugano e Locamo, basata su topi che rappresentano i lavoratori stranieri e slogan piuttosto forti (per esempio si usa il termine «derattizza¬zione»).
In particolare, la campagna è parti¬ta su Facebook, con tanto di immagi¬ni con tre topi che rappresentano un piastrellista italiano, il ratto Fabri¬zio, che viene da Verbania; un poco raccomandabile simil-ladro rome¬no con tanto di mascherina sul vol¬to. detto il ratto Bogdan, e infine il ratto Giulio con riferimento al mini¬stro Tremonti, con uno scudo riferi¬to allo scudo fiscale, osteggiato da chi non voleva il ritorno di capitali nel nostro Paese. In aggiunta alle fo¬to sul sito www.balairatt.itvi sono pa¬role d'ordine come: «Lavoro: no al-l'invasione del frontalierato», e «Si-curezza: no alla delinquenza d'im-portazione». Mentre sul sito «Ticino-online», nella sezione si legge, tra l'al¬tro, nel titolo «I ratti invadono la Sviz¬zera italiana». Immediata la reazio¬ne del segretario nazionale dei lavo¬ratori frontalieri della Cgil, Claudio Pozzetti, che vede dietro la longa manus del leader della Lega dei Ticine-si, Giuseppe Bignasca, si chiama fuo¬ri, mentre Cgil e Pdl fra i primi chie¬dono risposte al governo della Confe¬derazione svizzera. Bignasca.
«L'ho incontrato all' «Infedele» di Gad Lerner in una puntata sull'eva-sione fiscale - ricorda il sindacalista -. In sintesi lui ha detto che se non si smetteva di attaccare la Svizzera, ri-ferendosi al sistema bancario, la ri-torsione sarebbe stata nei confronti di chi va a lavorare lì. E puntualmen¬te ora viene fuori una campagna, una vergogna e una mascalzonata. Chiediamo al Governo del Canton Ticino di intervenire, e spiegheremo ai ticinesi che senza i frontalieri le lo¬ro aziende sarebbero in difficoltà o chiuderebbero». Ma Bignasca nega ogni coinvolgimento: «Noi non c'en-triamo - dice all'Ansa -, al momento non siamo per un inasprimento del¬la legislazione sui frontalieri. Ma se la disoccupazione dovesse salire dal-l'attuale 4,5% al 7% allora anche loro dovranno soffrire perchè la crisi do¬vrà essere per tutti. Non pensiamo che i frontalieri siano topi. Però non siamo d'accordo con Tremonti, che è stato giusto rappresentare con uno scudo perchè è stato sbagliato lo scu¬do fiscale. Poi noi siamo per il segre¬to bancario. È giusto parlare chiaro anche nei confronti del vostro Governo». «Secondo me - conclude - è sta-ta l'Udc svizzera con la sua sezione centrale a Berna. Il 28 novembre il popolo dovrà votare la legge di inizia¬tiva popolare per espellere i crimina¬li stranieri e allora fa un pò di propa¬ganda. Ma sulla legge noi siamo d'ac¬cordo».
Di «campagna anti-italiani» parla, in interrogazioni rivolte al ministro degli Esteri e a quello dell'Econo¬mia, il parlamentare del Pdl Marco Zacchera, che è anche sindaco di Verbania. Un'interrogazione parla-mentare per chiedere al governo ita-liano di avviare tutte le procedure per tutelare l'immagine dei lavorato-ri frontalieri è stata presentata subi-to dal senatore comasco del Pdl Ales¬sio Butti. «I 45.000 frontalieri che quotidianamente attraversano il confine per lavorare in Svizzera -spiega il senatore Butti - costituisco-no una fonte di ricchezza per il gover¬no ticinese».
Duro anche 1 vicepresidente della Commissione Affari Esteri della Ca-mera, Franco Narducci che parla di «di offese infamanti e intollerabili». Narducci, ha chiesto «l'intervento immediato del Governo cantonale ti¬cinese affinchè si provveda all'im-mediato oscuramento del sito inter-net e del gruppo di promozione Face¬book».


ADDORMENTARSI ITALIANI E SVEGLIARSI RATTI

la Stampa 29 settembre 2010
FERDINANDO CAMON
Un personaggio di Kafka, de¬standosi una mattina, si trovò tramutato in scarafaggio: «Che cosa m'è accaduto?», si domandò terrorizzato. Il ter¬rore non lo molla più. Noi, lettori occidenta¬li, pensavamo che il grande scrittore pra-ghese, ebreo, intuisse e rappresentasse gli incubi delle minoranze oppresse: essere declassati da uomini ad animali. Ma pensa¬vamo tutto questo sforzando il cervello, per intuire una condizione che non sarà mai nostra: noi siamo occidentali, siamo europei, siamo cristiani, le condizioni a-umane o sub-umane non possono toccar¬ci, sarebbe una contraddizione della sto¬ria, e noi siamo autori di storia, padroni del-la storia. Noi italiani, poi, siamo il centro della cristianità, il cuore dell'arte e della ge¬nialità. Mai saremo visti, dai fratelli euro¬pei, come animali repellenti o feroci. Non siamo lupi. Non siamo scimmie.
Ed ecco, dalla civilissima Svizzera, e dalla parte più italiana della Svizzera, il Canton Ticino, esce uno spot pubblicitario che ci raffigura come topi, anzi toponi. I to-poni sono topi grassi. Perché mangiano molto formaggio. Svizzero. Non lo fanno, ma lo mangiano. Entrano in casa e sbafano tutto. Peggio che ladri, sono ladri e rapina¬tori e parassiti insieme. La didascalia dice: «I ratti invadono la Svizzera italiana», ma il messaggio è: «I ratti italiani invadono la Svizzera». Perché non ci siano dubbi sul¬l'identificazione uomini-topi, i topi, tre, hanno dei nomi. Uno si chiama Fabrizio, vi-ve a Verbania ma va a lavorare in Ticino. Il secondo si chiama Bogdan, è romeno, non ha né casa né lavoro: come uomo, un sotto¬uomo, come topo, un sotto-topo. Il terzo si chiama Giulio, e fa l'avvocato. Un Giulio che fa l'avvocato è Tremonti, e Tremonti è descritto poco dopo come citrullo, disone¬sto, dannoso ai suoi concittadini, sabotato¬re delle oneste e professionali banche sviz¬zere. Perché, introducendo lo scudo fisca¬le, richiama dalla Svizzera i capitali illecita¬mente esportati. Dei tre tipi che incarnano la malaumanità europea, noi italiani siamo presenti in due. La società svizzera-ticine¬se è laboriosa, risparmia e accumula (il for-maggio è lì pronto, una forma enorme), «guadagna bene» (Io dice il testo, con legit¬timo vanto), insomma rappresenta il be¬nessere capitalistico, e chi sta bene Dio è con lui. Noi italiani siamo il male, e faccia¬mo il male. Non noi napoletani o noi siciliani, insomma noi italiani del Sud, facilmente e ingiustamente disprezzati dal Nord: ma noi italiani del Nord, anzi del Nord del Nord, noi frontalieri della Svizzera. Noi ru¬biamo il lavoro. Ci facciamo pagare con una cicca, e così eliminiamo ogni concor¬renza. I lavoratori svizzeri sono troppo umani e dignitosi, non si fanno pagare da straccioni. E poi hanno una moneta buona, solida, stabile. Non hanno l'euro, ballerino e spregiato. Noi italiani del Nord.-sottolavoratori della zona euro, siamo accecati dal salario decente e dal franco.
Ma queste non sono esattamente le ac¬cuse che noi, italiani del Nord, rivolgiamo agli europei dell'Est e agli africani del Nord? Vengono da aree dove il lavoro è ze¬ro, hanno monete rifiutate dalle nostre banche, qui fanno i sottolavori sporchi o malsani o rischiósi che noi scartiamo, si accontentano delle sottopaghe che noi sdegniamo, qui vivono la loro miserabile sottovita, e noi li accusiamo di rubarci i po¬sti (se non ci fossero loro, li occuperemmo noi), entrare nelle case sfitte, e ripagarci stuprando le nostre donne, rubando nelle nostre case, e riempiendo le nostre prigio¬ni. Non diciamo «siete topi», ma gli incen¬diamo gli insediamenti, per farli scappare. Come gli svizzeri con noi. Gli italiani ai confini della Svizzera sono ratti, dicono, «e noi vogliamo derattizzare». Testuale. È un calcio in pancia che ci sveglia di sopras¬salto. Apriamo gli occhi, e ci troviamo tra-sformati in topi.


Sakineh condannata per omicidio: «Sarà impiccata»

28 settembre 2010
Il procuratore generale iraniano Gholam-Hossein Mohseni-Ejei ha annunciato la condanna a morte di Sakineh Mohammadi Ashtani, la donna accusata di adulterio e di complicità nell'omicidio del marito. La donna, secondo quanto si legge sul Teheran Times, è stata condannata per il secondo dei due capi d'imputazione: per questa ragione Sakineh non sarà giustiziata per lapidazione ma per impiccagione. «Secondo la legge attuale, la sua condanna a morte ha la precedenza sulla punizione» per l'adulterio, ha detto il procuratore generale.
Il procuratore generale ha spiegato che Sakineh non sarà lapidata per avere commesso adulterio perché dovrebbe essere prima giustizia per impiccagione in quanto riconosciuta colpevole di omicidio. «La questione non dovrebbe essere politicizzata e gli organi giudiziari iraniani non saranno influenzati dalla campagna di propaganda lanciata dai paesi occidentali», ha detto il procuratore Gholam-Hossein Mohseni-Ejei.



Dire razzista ad un poliziotto non e' reato quando questi si comporta come tale. Cassazione

Claudia Moretti
Aduc 29 settembre 2010
Sara' capitato a chiunque di assistere a scene di vita quotidiana in cui le forze dell'ordine adottano, nello svolgimento delle proprie funzioni, modi non proprio urbani. Che utilizzino atteggiamenti intimidatori di vario genere, scortesie gratuite e toni di voce impropri. Ed e' anche possibile, se non probabile che, una volta su due, cio' sia accaduto ai danni di una persona straniera.
E' capitato al Sig. Christian De Vito a Firenze, che ha assistito, nel corso di operazioni di Polizia della Questura di Firenze finalizzate al controllo e in contrasto della immigrazione clandestina, ad un abuso immotivato della forza fisica nei confronti di due cittadini nigeriani. I due stranieri sarebbero stati fermati, identificati e, successivamente, spinti con violenza verso una ringhiera di ferro, senza motivo.
Contrariamente a quanto accade in genere, il Sig. De Vito non si e' solo indignato, ma ha provato ad opporre alla Polizia le proprie ragioni di dissenso. Dottorando in Storia Contemporanea alla Scuola Normale di Pisa, si e' – coraggiosamente - rivolto agli agenti, argomentando, infatti, per mezz'ora sull'ingiustizia cui aveva assistito e sulle ragioni discriminatorie dell'accaduto. Una lunga serie di pensieri e parole che poi - come era forse prevedibile – sono stati sintetizzati dagli operatori della Questura in una querela nei suoi confronti per ingiuria: avrebbe, a loro dire, dato di “razzista” alla Polizia. Ed e' passato dalla parte del torto.
Il caso e' finito nelle aule del Giudice di Pace di Firenze, che laconicamente ha “assolto” i poliziotti, e condannato invece l'osservatore. Questa la pseudoragione: “perche' mai avrebbero dovuto i poliziotti trattenere gli stranieri se gia' identificati? Cio' non e' credibile, non puo' esser accaduto” (sigh!).
Inutile apostrofare l'assunto come illogico: se l'abuso e' privo di ragionevolezza, allora non puo' esser accaduto (il che' ovviamente equivale a negare la possibilita' degli abusi e degli illeciti).
La Corte di Cassazione, ovviamente e per fortuna, ha cassato senza rinvio la sentenza del giudice fiorentino, dichiarando che il fatto – la presunta ingiuria -non costituisce reato.
In primo luogo ne ha ritenuto logicamente viziata la motivazione su descritta.
In secondo luogo perche' il fatto che parti offese siano agenti della Polizia di Stato non giustifica di per se' una loro “maggior attendibilita'” rispetto al comune cittadino. Spetta al giudice, allora, accertare la verita' dei fatti, al di là delle qualifiche possedute da chicchessia. Cosa che il giudice non ha fatto, dando per scontato che avessero ragione gli agenti.
Infine, la Corte di Cassazione ha ri-stabilito un principio di profonda civilta' giuridica e civile, che contrasta con le tendenze legislative che hanno di recente reintrodotto l'oltraggio a pubblico ufficiale: criticare la polizia e' un diritto.
Rientra, infatti, “nel diritto dei cittadini di sottoporre a controllo e a valutazioni negative l'azione dei pubblici funzionari, che appaiano difformi rispetto a norme di legge e ai supremi principi della nostra Costituzione. Queste valutazioni sono di immediata rilevanza sociale, perche' dalla loro formulazione, indenne da reazioni punitive da parte dello Stato, dipende la sussistenza e il consolidarsi della democrazia nel nostro paese.”
Parole di grande respiro, che non necessitano di commento. Semplici e dirette. Dirette, anche, a trovare il coraggio di chiamare, sia dentro che fuori di noi, le cose col proprio nome.
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