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DIVORZIO - IMPROPONIBILITA' DELLA DOMANDA DI DIVORZIO INTERDETTO PER INFERMITA' MENTALE TRAMITE TUTORE.

( Cassazione - Sezione Prima Civile  - Sent. n. 9582/2000 - Presidente G. Olla - Relatore M. Bonomo )

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 10 novembre 1993 - 11 giugno 1994 il Tribunale di Trieste dichiarava l'improponibilità della domanda proposta dall'interdetto per infermità mentale B. Z. a mezzo della tutrice dott.ssa G. B., intesa ad ottenere pronuncia di cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto il 16 luglio 1976 con R. L.. Rilevava, in particolare, il Tribunale che la domanda di divorzio non poteva essere proposta dall'interdetto per infermità mentale, né direttamente né indirettamente tramite tutore, in quanto non può riconoscersi a colui che è sfornito per legge della capacità di contrarre matrimonio la capacità di sciogliersi da esso ed inoltre perché il tutore non poteva disporre di un diritto personalissimo.

Con sentenza del 7 novembre - 30 dicembre 1997, la Corte d'appello di Trieste respingeva il gravame proposto dallo Z., rappresentato dal tutore, autorizzato dal giudice tutelare. Osservava, in particolare, la Corte di merito:

a) che l'interdetto per infermità di mente è, per definizione (art 414 c.c.), un. soggetto del tutto incapace di provvedere ai propri interessi in dipendenza di accertate gravi carenze della sfera intellettiva o volitiva;

b) che la legge, pur limitandosi a stabilire che il tutore rappresenta il minore o l'interdetto "in tutti gli atti civili" (art. 357 c.c.), senza escludere quindi espressamente quelli relativi ai diritti c.d. personalissimi, provvede poi con varie norme ad attribuire espressamente al tutore il potere di agire in nome e per conto dell'incapace per la tutela di specifici diritti sicuramente rientranti nel suddetto novero (art. 245 c.c., in. tema di disconoscimento di paternità, art 264 c.c., in tema di impugnazione del riconoscimento di filiazione naturale, art. 273 c c., in tema di dichiarazione giudiziale di paternità o di maternità naturale);

c) che, ove la potestà vicaria attribuita in via generale al tutore comprendesse anche l'esercizio delle azioni relative ai diritti "personalissimi", le suddette previsioni sarebbero del tutto superflue;

d) che nell'ipotesi prevista dall'art. 119 .c.c, relativa all'impugnazione del matrimonio contratto dall'interdetto, il potere di impugnazione risulta conferito a soggetti diversi dall'interessato soltanto per far valere una causa di invalidità originaria del vincolo, con la conseguenza che non se ne possono trarre elementi favorevoli alla tesi della legittimazione del tutore a promuovere l'azione di divorzio, che è invece diretta a far valere una causa di scioglimento del vincolo sopravvenuta nel corso del matrimonio validamente contratto;

e) che del tutto legittimo appariva il parallelo istituito dal tribunale tra l'incapacità dell'interdetto a contrarre matrimonio tramite il tutore e la correlativa incapacità a richiedere lo scioglimento del vincolo validamente contratto, senza che sia ipotizzabile alcuna contrarietà ai precetti costituzionali, data l'evidente diversità delle situazioni in cui versano i due coniugi;

f) che la L. aveva formulato in primo grado a sua volta domanda di divorzio in via meramente subordinata, per il caso di reiezione dell'eccezione preliminare di difetto di capacità di agire dell'attore, né poteva attribuirsi rilevanza alla circostanza che l'appellata in quel grado avesse assunto una posizione di adesione alle richieste avversarie, in quanto ciò non poteva ovviare al difetto di capacità di agire dell'unico soggetto che aveva proposto in primo grado (e coltivato poi con l'atto d'appello) la domanda di divorzio.

Avverso la sentenza d'appello B. Z., e per lui la tutrice G. B., ha proposto ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi.

MOTIVI DELLA DECISIONE

- Appare pregiudiziale l'esame del terzo mezzo di impugnazione, con cui si esprime una doglianza di violazione degli artt. 4, comma 5, della legge 898/70 e 112 cod. proc. civ.

- Sostiene la parte ricorrente che nel procedimento di primo grado il coniuge capace R. L. non si era limitata ad aderire alla domanda di divorzio di cui al ricorso, ma aveva articolato e formulato un'espressa ed autonoma domanda in tal senso, come risultava dal foglio allegato all'udienza del 12 luglio 1993. Erroneamente la Corte d'appello aveva ritenuto non meritevole di accoglimento il gravame portato contro la sentenza del tribunale con cui si censurava l'omessa pronuncia sulla richiesta di divorzio della L., per essere state, ad avviso della Corte, le conclusioni formulate in via subordinata. La Corte non si era nemmeno pronunciata sulle conclusioni conformi delle parti dinanzi a sé, non ritenendo che potessero sanare 1'affermata improcedibilità della domanda svolta dalla tutela in primo grado.

Secondo la parte ricorrente, fatti salvi gli effetti dell'udienza presidenziale, nella quale 1'interdetto era stato comunque rappresentato dalla tutrice (anche se il tentativo di conciliazione non costituisce più alla luce della nuova formulazione dell'art . 4 della legge 898/70, operata dalla legge 74/87, una premessa indefettibile per l'ulteriore corso del procedimento), e ritenuta quindi soddisfatta la rappresentanza dell'incapace (art. 4, comma , legge 898/70) , ai fini della speculare domanda di divorzio svolta dalla L., sarebbe dovuta intervenire una pronuncia di accoglimento di tale concorrente e conforme domanda.

- I1 motivo è inammissibile.

Del mancato accoglimento di un' autonoma domanda di divorzio proposta dalla convenuta in primo grado può dolersi solo la parte che ha formulato tale domanda e non anche l'attore.

Con il primo mezzo d' impugnazione la parte ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 357 e 424 n. 1 cod. civ.

La simmetria ravvisata dal giudice d'appello tra capacità di contrarre matrimonio e capacità di sciogliersi dallo stesso, da cui si è fatta derivare l'improponibilità della domanda di divorzio svolta dalla tutrice in nome dell'incapace sembra applicabile, secondo la difesa della parte ricorrente, al più ai maggiori di età ed agli inabilitati, giacché per 'l'interdetto legale, che può contrarre matrimonio, e per l'interdetto giudiziale (tale dichiarato dopo le nozze) la dottrina prevalente ammette una loro iniziativa processuale sia pure tramite la rappresentanza legale del tutore. Poiché alla generale sottrazione dei poteri che consegue all'interdizione corrisponde l'attribuzione, in. via ugualmente generale, dei poteri secondari al tutore, deve ammettersi la legittimazione del tutore a chiedere il divorzio in nome e per conto dell'interdetto previa autorizzazione del giudice tutelare.

Non rileva la natura personalissima dell'azione di divorzio, in quanto la tutela come potestà assistenziale non può essere disintegrata nei poteri di natura patrimoniale ed in quelli di natura personale. Se il rappresentante legale è legittimato ad agire per la nullità del matrimonio dell'infermo di mente, a maggior ragione può esercitare l'azione di separazione, che ha un contenuto di minor rilevanza, ed identiche considerazioni valgono anche per il procedimento di divorzio.

C'è ancora da valutare, secondo la parte ricorrente, se possa effettivamente individuarsi una categoria di "diritti personalissimi " quando si rende esercitabile dall'organo di tutela del marito interdetto l'azione di impugnativa della paternità, ovvero le azioni di reclamo e di contestazione di stato di paternità e maternità naturale, di nullità matrimoniale anche per vizio del consenso ovvero ancora si dispone per l'interruzione della gravidanza dell'interdetta.

Quando la tutela di un determinato diritto può essere attuata su istanza del pubblico ministero o di ufficio, non si può ricollegare la tutela medesima allo svolgimento di un'azione personale (come accade nella fattispecie prevista dall'art. 126 c.c., in cui il giudice può disporre, anche d'ufficio, la separazione personale dei coniugi interdetti) e bisogna invece riconoscere che la tutela giurisdizionale si attua indipendentemente dalla volontà e dall'iniziativa personale del titolare del diritto.

Sottolinea anche la parte ricorrente che manca una norma espressa che, facendo eccezione al principio di cui agli artt. 357 e 424, comma 1, c.c., vieti al tutore di agire in giudizio per il divorzio.

Inoltre, la previsione da parte della legge sul divorzio della possibilità per il presidente, in mancanza del tutore dell'interdetto o del curatore dell'inabilitato, di nominare un curatore speciale al convenuto malato di mente o legalmente incapace non può comportare che un interdetto possa soltanto subire e non anche chiedere il divorzio.

Può sussistere un interesse obiettivo, concreto e rilevante, per l'interdetto a conseguire il divorzio anche nell'inerzia, spesso interessata, del coniuge capace (si pensi all'aspettativa successoria, all'uso del cognome ecc.).

A giudizio della parte ricorrente, non convince l'affermazione della Corte di merito, secondo la quale il legislatore avrebbe in specifici casi espressamente consentito l'intervento vicario del tutore (artt. 245 - 264 c.c.), con ciò escludendo ogni altra ipotesi, in quanto le situazioni richiamate riflettono casi di sospensione di termini in favore dell'incapace, alla quale il tutore può tuttavia rinunciare promuovendo da subito l'azione. Il riferimento al tutore va quindi letto nell'esclusiva ottica temporale dell'immediatezza dell'azione e non in quella di una più generale attribuzione di legittimazione altrimenti carente.

Con il secondo motivo la parte ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 3 legge 898/70.

Negare il diritto dell'interdetto allo scioglimento del vincolo matrimoniale, attraverso l'azione promossa dal tutore, di concerto con il giudice tutelare, si pone in contrasto con la natura dell'istituto del divorzio. Secondo la parte ricorrente, mentre il diritto a chiedere la separazione è disponibile, il diritto a chiedere il divorzio è sottratto al potere di disposizione delle parti legittimate. Il diritto a chiedere il divorzio non è dato dalla scelta della relativa declaratoria, ma dalla condizione oggettiva di disfacimento della comunione tra i coniugi. L'indissolubilità del matrimonio solo per alcuni soggetti costituisce una grave lesione della libertà e del principio di uguaglianza. Eppure l'interdetto è un soggetto a cui la legge 180/78 riconosce elettorato attivo e passivo. Attraverso una delegittimazione processuale, ritenuta non colmabile dall'intervento tutorio, che pure non è finalizzato alla tutela di interessi esclusivamente patrimoniali, l'incapacità di agire dell'interdetto sostanzia in realtà un'incapacità giuridica relativa, in violazione dell'art. 1 c.c.

A giudizio della parte ricorrente, è illogica la simmetria tra capacità di contrarre matrimonio e capacità di scioglierlo, in quanto la scelta di contrarre matrimonio richiede la capacità del soggetto di determinarsi liberamente, mentre quando l'unione familiare è ormai compromessa da una pluriennale separazione, risultando evidente l'impossibilità di una qualsiasi riunione, e il divorzio è un insostituibile rimedio per far cessare un vincolo matrimoniale del tutto insussistente nella realtà, viene a mancare lo stesso oggetto della scelta, in quanto l'opzione è limitata solo al mantenimento di uno status matrimoniale solo formale.

- I1 primo ed il secondo motivo di ricorso, congiuntamente esaminabili per motivi di connessione, non meritano accoglimento.

Ritiene il Collegio che la rappresentanza dell'interdetto per infermità di mente da parte del tutore in tutti gli atti civili, ai sensi dell'art. 357 c.c., richiamato dall'art. 474, comma 1, stesso codice, non comprenda i c.d. atti personalissimi, che coinvolgono interessi strettamente legati alla persona dell'interessato, al quale solamente può essere rimessa la scelta in ordine alle determinazioni da adottare. Poiché il divorzio fa venire meno lo status di coniuge, comportando rilevanti effetti personali tra i coniugi, oltre che effetti patrimoniali, la domanda giudiziale volta ad ottenerlo non. può non rientrare nella categoria degli atti personalissimi. Il problema non si pone per l'interdetto legale, applicandosi le norme della legge civile sull'interdizione giudiziale solo per ciò che concerne la disponibilità e l'amministrazione dei beni (art. 32 c.p. ) .

In mancanza, quindi, di una specifica norma che attribuisca al tutore dell'interdetto per infermità di mente il potere di chiedere il divorzio, tale potere non può farsi rilevare dalla generica rappresentanza in tutti gli atti civili, sopra menzionata. E' il caso di rilevare che l'ordinamento contiene varie norme che conferiscono al tutore poteri specifici in materie che riguardano interessi di carattere strettamente personale dell'interdetto per infermità di mente (art . 119 c. c., per l'impugnazione del matrimonio, art. 245 c.c. in tema di disconoscimento della paternità, art.264 c. c, i n tema di impugnazione del riconoscimento del figlio naturale da parte di chi è stato riconosciuto, art. 273, i tema di dichiarazione giudiziale di paternità o maternità naturale, art. 13 della legge 22 maggio 1978 n. 194, in tema di interruzione della gravidanza).

Tali disposizioni - il cui numero porta ad escludere che esse possano essere state introdotte per una svista del legislatore dovuta a difetto di coordinamento normativo - non avrebbero ragione di essere se la generica rappresentanza del tutore dell'infermo di mente in tutti gli atti civili comprendesse anche gli atti personalissimi. Da quest'ultima ipotesi deriverebbero, inoltre, conseguenze che non sembrano accettabili, riconoscendosi al tutore dell'interdetto per infermità di mente il potere di compiere atti che comportano delicatissime scelte di carattere strettamente personale (quali, per esempio, la presentazione della domanda di rettificazione di attribuzione di sesso ex art. 2 della legge 14 aprile 1982 n. 164).

La formula dell'art. 4, comma 5, ultima parte della legge n. 898 del 1979 (su cui non ha inciso sostanzialmente la modifica dell'art. 8 della legge 6 marzo '987 n. 74), nel prevedere che il presidente del tribunale nomini un curatore speciale quando il convenuto è malato di mente o legalmente incapace, è coerente con il suddetto orientamento. Infatti, l'affermata necessità della nomina di un curatore speciale all'interdetto per infermità di mente, nel caso in cui quest'ultimo sia convenuto in un giudizio di divorzio, induce a ritenere che la domanda di divorzio non sia stata considerata proponibile nei confronti del tutore quale rappresentante del medesimo interdetto, proprio perché tale rappresentanza non opera nella specifica materia del divorzio.

Nel sistema risultante dal siffatto contesto normativo, ritiene il Collegio che debba individuarsi in un curatore speciale il soggetto legittimato a proporre la domanda di divorzio per l'interdetto infermo di mente, in base ad una interpretazione analogica del citato art. 4 ,comma 5, in relazione agli artt. 78 e 79 del codice di rito. In mancanza di una precisa disposizione che disciplini il caso n esame, la regola stabilita per l'ipotesi in cui l'interdetto infermo di mente sia convenuto in un giudizio di divorzio offre il modello applicabile, per la ricorrenza della stessa "ratio", anche nel caso in cui l'interessato al divorzio assuma la veste di attore.

Poiché la legge che disciplina il caso analogo appartiene alla stessa materia, non si ravvisano ostacoli all'interpretazione analogica sotto il profilo dell'eccezionalità della norma (art. 14 preleggi).

La prospettata interpretazione appare costituzionalmente obbligata per evitare che l'interdetto infermo di mente sia privato dell'esercizio di un diritto di particolare rilievo e che egli sia sottoposto ad una disparità di trattamento rispetto all'altro coniuge.

In particolare, è il caso di sottolineare:

a) che nell'ordinamento è configurabile un diritto di ciascun coniuge a chiedere e ad ottenere il divorzio nei casi previsti dalla legge, tra cui è compreso quello prospettato nella specie (impossibilità di ricostituire la comunione spirituale e materiale dopo il periodo di separazione normativamente stabilito);

b) che " interesse al divorzio per il venir meno della comunione spirituale e materiale tra i coniugi può sussistere per l'interdetto per infermità di mente indipendentemente dall'atteggiamento assunto dall'altro coniuge, ed in particolare anche nei casi in cui l'altro coniuge non sia d'accordo sul divorzio o, comunque, non intenda prendere l'iniziativa giudiziaria

necessaria per ottenerlo;

c) che il divorzio può realizzare una forma di protezione dell'interdetto per infermità mentale rispetto al mantenimento del vincolo coniugale;

d) che lo stato di interdizione per infermità di mente non esclude la possibilità che la tutela degli

specifici interessi dell'interdetto in tema di divorzio possa essere rimessa ad altro soggetto, quale un curatore speciale;

e) che, in mancanza dell'interpretazione analogica sopra enunciata, la nomina di un curatore speciale all'interdetto per infermità di mente convenuto in giudizio di divorzio, prescritta dalla citata disposizione contenuta nell'art. 4 della legge n. 898 del 1970, potrebbe essere considerata come suscettibile di realizzare un disparità di trattamento (valutabile sotto il profilo dell'art. 3 Cost.) tra soggetti che si trovano nella medesima situazione (interdetti per infermità di mente la cui comunione spirituale e materiale con il coniuge è cessata), ma per i quali la possibilità ottenere la tutela dei propri interessi attraverso il divorzio dipende da un elemento di carattere accidentale collegato al comportamento dell'altro coniuge non interdetto, e cioè dalla proposizione della domanda di divorzio ad opera di quest'ultimo;

f) che, senza la suddetta interpretazione analogica, i coniugi che siano entrambi interdetti per infermità di mente non potrebbero mai divorziare.

In conclusione, in mancanza di una specifica disposizione normativa che preveda il relativo potere, il tutore dell'interdetto per infermità di mente non può proporre domanda di divorzio per l'interdetto, come giustamente ritenuto dalla sentenza impugnata, ma può solo chiedere la nomina di un curatore speciale, ai fini della proposizione della domanda di divorzio da parte di quest'ultimo.

- Con il quarto motivo la parte ricorrente solleva questione di legittimità costituzionale degli artt. 150 n. 3 cod. civ. nonché 4 e 5 della legge 833/75, per contrasto con gli artt. 3, comma 1, e 24, comma 1, Cost. in quanto si preveda la legittimazione all'azione di divorzio del solo coniuge capace e si escluda analoga legittimazione attuata in via tutoria dal rappresentante dell'interdetto.

In tale modo, secondo la parte ricorrente, si afferma per il solo interdetto, il principio dell'indissolubilità del matrimonio, per diniego della corrispondente iniziativa processuale. Questo principio è inesistente nel nostro ordinamento secondo il quale

l'interesse pubblico alla conservazione del vincolo coniugale viene meno in presenza delle circostanze previste dall'art. 3 della legge 898/70.

L'oggettivo verificarsi di siffatte circostanze va accertato da parte del giudice, ai sensi dell'art. 1 della legge cit., al fine di rilevare che quella situazione impedisce definitivamente di mantenere o ricostituire la comunione materiale e spirituale tra i coniugi. Impedire ad uno dei coniugi di accedere a tale verifica, e conseguente pronuncia, introduce una dispari~à d trattamento ed una lesione di diritti inviolabili della persona e si pone in contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost.

L'osservazione della Corte di merito, secondo la quale non vi sarebbe contrarietà ai precetti costituzionali "data l'evidente diversità delle situazioni in cui versano i due coniugi" giustifica di per sé, secondo la parte ricorrente, la proposta censura posto che per la tutela costituzionale dei diritti non vi sono individui "diversi".

- Osserva il Collegio che le prospettate questioni di legittimità costituzionale appaiono manifestamente infondate alla luce dell'interpretazione "adeguatrice" sopra enunciata, che assicura all'interdetto per infermità di mente la possibilità di proporre domanda di divorzio attraverso un curatore speciale ed esclude così una disparità di trattamento rispetto al

coniuge non interdetto.

- I1 ricorso deve essere, pertanto, rigettato.

Nulla per le spese, in considerazione dell'esito del ricorso e della mancanza di difese da parte dell'intimata.

PER QUESTI MOTIVI

La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese..

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