Newsletter periodica d’informazione

(aggiornata alla data del 30 marzo 2011)

 

 Immigrati e rifugiati: il rebus di Lampedusa

 

 

 

 

 

 

 

  

 

 

 

 

 

Sommario

 

 

o       Dipartimento Politiche Migratorie – Appuntamenti                                                                             pag. 2

o       Coordinamento Nazionale Immigrazione UIL  il 5 aprile                                                                      pag. 2

o       Emergenza Mediterraneo – Ecco perché sarà difficile portare i migranti in Europa                                 pag. 2    

o       Emergenza Mediterraneo – Rimpatri assistiti: un programma attivo da 20 anni                                                 pag. 3

o       Emergenza Mediterraneo – “non possiamo prenderli tutti”: l’altra Italia su Facebook                            pag. 4

o       Società – MIpex : migliora l’integrazione degli immigrati in Occidente                                                            pag. 5

o       Sindacato – L’immigrazione nella seconda decade del XXI secolo                                                         pag. 6

o       Discriminazioni – razzismo, gli italiani denunciano                                                                                         pag. 9

o       Giurisprudenza – La Cassazione interviene sulle espulsioni                                                                  pag.10

o       Progetti – I giardini di Rosarno                                                                                                          pag.11

o         Prensa Extranjera  - El Pais: llegan a Italia los primeros refugiados de la guerra en Libia                      pag.11

 

A cura del Servizio Politiche Territoriali della Uil

Dipartimento Politiche Migratorie

Rassegna ad uso esclusivamente interno e gratuito, riservata agli iscritti UIL

Tel. 064753292- 4744753- Fax: 064744751

E-Mail polterritoriali2@uil.it    

                                                                                             n. 308



Dipartimento Politiche Migratorie: appuntamenti


Roma, 30 marzo 2011, Hotel Nord Nuova Roma, ore 15.00

Formazione sull’associazionismo di volontariato nell’ambito dei volontari Servizio Civile Ital

(Angela Scalzo)

Roma, 4 aprile 2011, ore 9.30 Viale Lubin

Presentazione ricerca ONC – Fondazione Andolfi sull’inserimento scolastico delle seconde generazioni

(Angela Scalzo)

Roma, 5 aprile 2011, ore 09.30 sede UIL Nazionale, sala Bruno Buozzi

Riunione Coordinamento Nazionale Uil Immigrati

(Guglielmo Loy, Giuseppe Casucci, Angela Scalzo)

Mantova, 7 aprile 2011

Convegno Ital – UIL su mediazione culturale e apprendimento della lingua italiana

(Giuseppe Casucci)

Padova, 15 aprile 2011

Convegno Ital – UIL su lavoro integrazione sociale e professionale: programma “Integrarsi” 

(Guglielmo Loy)

Bruxelles, 18 aprile 2011, ore 10.00 – Sede CES

Riunione del “migration and inclusion working group”

(Giuseppe Casucci)



COORDINAMENTO NAZIONALE IMMIGRAZIONE

Prima riunione UIL di analisi, approfondimento e proposte in materia di immigrazione


 

Demografia,  Mediterraneo e scenari futuri dell’immigrazione; crisi economica e disoccupazione etnica, lavoro sommerso e dumping sociale, le risposte e le proposte della UIL ai cambiamenti del lavoro e della società e  per un nuovo modello di cittadinanza nel sindacato 


        Martedì 05 aprile 2011, ore 9.30 - 16.00  Roma, Uil nazionale, via Lucullo 6   Sala Bruno Buozzi, 6° piano


 

Emergenza Mediterraneo


Ecco perché sarà difficile portare i migranti in Europa

Di Massimo Morici, Panorama.it, 30 marzo 2011


 

Lampedusa è chiusa per affollamento: troppi immigrati. Già si pensa a distribuire la loro presenza nei centri di accoglienza di altre regioni. Ma l’ondata degli sbarchi dal Nord Africa, ad oggi 20.000, di certo non si arresterà nei prossimi mesi. Che fare, dunque? Il governo ha più volte fatto un appello agli altri paesi membri della Ue: accogliete anche voi una parte dei rifugiati che arrivano sulle nostre coste. Ma dai nostri partner europei arrivano solo risposte negative. Gli altri governi dell’Unione, infatti, spesso per ragioni prettamente politiche ed elettorali, si mostrano riluttanti all’ipotesi di condividere il carico dei rifugiati e, soprattutto, dei clandestini che per ora poggia solo sulle nostre spalle. Da Bruxelles, insomma, ci arrivano solo fondi (tra l’altro pochi) e un aiuto nel pattugliamento  - per ora una fregata rumena. Del resto, è di poche settimane fa la bacchettata all’Italia da parte di un ministro svedese: cavatevela da soli, senza lamentarvi troppo. Non solo. Come riporta Franco Bechis su Libero, il nostro paese nel 2006 (governo Prodi) firmò un accordo bilaterale con la Francia per potenziare il controllo dell’ingresso dei clandestini in entrambi paesi. Risultato: i tunisini sorpresi dalla polizia transalpina in suolo francese senza permesso di soggiorno e con una prova della loro provenienza dall’Italia (un biglietto del treno o magari solo uno scontrino fiscale) vengono rispediti immediatamente a Ventimiglia. Anche i poliziotti italiani possono fare lo stesso; con una differenza: «E’ l’Italia inondata di clandestini», notava il presidente dell’assemblea francese un anno e mezzo fa durante la ratifica del trattato. «L’accordo conviene a noi», la sua conclusione. E, infatti, per farsi un’idea, basta considerare che nel 2008 su 13.132 pizzicati dalla polizia francese e italiana, 10.073 sono stati rimandati in Italia e solo 3.059 in Francia. Gli accordi con la Tunisia poi ci obbligano a rimpatriare non più di quattro clandestini al giorno: poca cosa di fronte a un flusso di centinaia la settimana. All’Italia, infine, non rimane che un’ultima legittima arma, come ha ricordato su La Stampa Giovanna Zincone: il rimpatrio forzato dei clandestini in paesi sicuri, dopo aver accertato chi ha diritto d’asilo. Ma è il caso di tentare un braccio di ferro con il nuovo governo tunisino, certo non disposto ad accogliere indietro persone che alleggeriscono il mercato del lavoro interno, problema serissimo in Tunisia visto che è tra le cause delle rivolte di inizio anno, e aumentano il livello delle rimesse?



TMNews

Immigrati/ Soldi per il rimpatrio: un programma attivo dal 1991

Pochissimi stranieri aderiscono: al via campagna informativa


Roma, 30 marzo  2011 -  Soldi per rimpatriare gli immigrati: non è una soluzione di emergenza ipotizzata in queste settimana ma un programma - finanziato dalla Comunità europea - e in atto nel nostro paese dal 1991. Si chiama "Ritorno volontario assistito" (Rva) e tra il giugno del 2009 e febbraio 2010 ha riaccompagnato in patria 58 immigrati in partenza dalla Lombardia. Complessivamente in tutta Italia, nello stesso periodo, sono stati 366 gli immigrati che hanno usufruito del contributo economico attraverso i progetti "Partir" I e II e che prevedevano uno stanziamento, valutato caso per caso, da 1.100 euro fino ad un massimo di 3 mila euro, vincolati all'acquisto di beni o al pagamento di servizi per avviare un nuovo percorso di vita e lavoro una volta ritornati nel paese d'origine. In realtà il costo totale e reale delle ultime azioni di sostegno realizzate dall'Associazione italiana consiglio dei Comuni e delle Regioni d'Europa(Aiccre) in partnership con il Consiglio italiano per i rifugiati (Cir) e la Fondazione Ismu, sono costate in media 7mila euro a persona. Prima dell'intervento dell'apposito fondo europeo (che per il quinquennio 2008-2013 è complessivamente di circa 60 milioni di euro, di cui solo un quinto però destinati effettivamente al Rva), l'Italia ha assistito anche finanziariamente gli immigrati che volevano lasciare il nostro Paese aiutando nel rimpatrio oltre 7mila persone a partire dal 1991. In realtà la vera criticità del programma è che agli aiuti per il rimpatrio accedono pochissimi immigrati, tanto che oggi è stata presentata una nuova campagna informativa per promuovere il "Ritorno volontario assistito" tra le principali comunità straniere presenti in Italia e un progetto pilota a Milano, Roma e Napoli per il contatto diretto con gli immigrati attraverso i Consolati, la Prefettura, il privato sociale, i media locali e, nel caso del capoluogo lombardo, gli operatori dell'area socio-sanitaria del Comune. In pratica i migranti che aderiscono al Rva vengono aiutati nella preparazione dei documenti di viaggio e nell'elaborazione di un piano di reintegro socio-economico, gli viene pagato il biglietto aereo, gli viene fornita assistenza nell'aeroporto di partenza e in quello di arrivo (con eventuale scorta medica), gli viene data assistenza logistica per raggiungere la destinazione finale e infine viene verificata la fattibilità del piano di reintegrazione e la modalità di utilizzo del sussidio. Al piano di assistenza possono beneficiare potenzialmente quasi tutti i cittadini immigrati presenti nelle nostre città: chi gode di protezione internazionale, coloro che hanno ottenuto il permesso di soggiorno per motivi umanitari, le vittime di tratta, chi ha ricevuto forme di protezione temporanea, chi vive in Italia in una "situazione di estrema vulnerabilità e grave disagio" ma anche chi non ha il permesso di soggiorno o non è più in condizioni di ottenerlo. Secondo i promotori, oltre all'evidente valore umanitario, il rimpatrio volontario costa allo Stato meno di quello coatto (finanziato nello stesso fondo europeo) e permette di prevenire situazioni di forte disagio sociale, di sfruttamento e di coinvolgimento di soggetti molto vulnerabili nelle attività criminali.


 

 

 

 

 

 

 

 


Diritto di critica

Immigrati e rifugiati

«Non possiamo prenderceli tutti»

Così l’altra Italia guarda a Lampedusa. «Speriamo ne affoghi qualcuno»:  un gruppo su Facebook riporta alla luce la paura italiana dell'invasore

Scritto da Erica Balduzzi il 29 marzo 2011 


Su un muro di Lampedusa

Da Facebook: «ogni italiano ha un sogno nel cuore: prendere un kalashnikov e sparare al barcone». E ancora: «Ma con tutti 'sti caccia che fanno la spola Italia-Libia, un paio di bombette perse sul mare che affondano qualche barcone è chiedere troppo?», oppure «speriamo che ne affoghi qualcuno». Il tono del gruppo “Basta immigrati”, su Facebook, non lascia spazio ad alcun dubbio di sorta: la gente che vede nei migranti degli invasori è ancora tanta. Troppa. Frutto forse di una politica di governo ambigua nei confronti dell’immigrazione e più impegnata a creare ed alimentare paure che non a fronteggiare i problemi, sotto ricatto da parte di un partito - la Lega - che ha fatto della paura dello straniero la sua campagna elettorale (è rimasto particolarmente famoso il manifesto con l’indiano e la frase: “loro hanno subito l’immigrazione, ora vivono nelle riserve”). Fatto sta che solo oggi, nel giro di un’ora, i membri del gruppo “Basta immigrati” sono aumentati di circa 700 persone, raggiungendo quasi i millesettecento fan. E se un gruppo dai toni razzisti e filofascisti su Facebook probabilmente non può essere considerato un degno esempio della mentalità dominante, di certo ne mette in evidenza una minoritaria ma non per questo meno preoccupante: quella di chi, ascoltando le notizie da Lampedusa o osservando i barconi carichi di persone stremate non vede esseri umani, ma invasori.

Invasione: una parola che ricorre, una fobia mai completamente sopita e che in questi ultimi giorni pare essere diventata realtà. Barconi di immigrati in arrivo dalle coste del Nord Africa, Lampedusa al collasso, un continuo rimbalzo di responsabilità tra Italia ed Europa, tra la Sicilia e le altre regioni. Richieste di aiuto, centri di accoglienza e tendopoli costruiti in fretta e furia per fronteggiare un’emergenza umanitaria improvvisa. Una situazione, come molti hanno sottolineato in diverse occasioni in questi giorni, prevedibile fin da quando sono scoppiate le rivolte in Nord Africa. Fin da quando, soprattutto, è saltato il tappo libico. «Ce l'hanno fatta - si legge ancora su Facebook - adesso a Lampedusa sono più loro dei lampedusani. Se il resto degli italiani non si sveglia presto sarà il destino di tutto il paese».

Parole sentite più volte e non sempre solo sussurrate. Perché le rivolte - oltre a portare alcuni dittatori alla caduta e a trascinare in guerra diversi Stati -  hanno anche avuto una conseguenza: la rinascita, prepotente e ‘lecita’, di quel sentimento razzista che impregna il Paese da parecchi anni. «Dobbiamo far qualche cosa, io non voglio novemila zingari nel mio paese, sono parassiti – scrive un altro utente sulla pagina del gruppo - Ancora oggi sbarchi a Lampedusa: l'Europa ci deve aiutare oppure dobbiamo rispedirli indietro. Difendiamo la nostra patria da questi spacciatori, ladri, pedofili, violentatori e quant'altro». Il solito cliché dello straniero delinquente. Peccato che i dati Istat raccontino una realtà diversa da quella propinata da questi signori: secondo una statistica del 2010, infatti, non c'è che una differenza minima tra il tasso di criminalità ‘nostrano’ e quello ‘importato’. La stessa ricerca ha messo in evidenza che la maggior parte dei reati commessi da stranieri in Italia (70-80%) è stata compiuta da irregolari, il dato però era ingannevole: sul totale delle denunce, infatti, l’87% era relativa alla condizione di clandestinità stessa, piuttosto che ad atti illeciti. Per quanto riguarda invece la violenza sessuale, già nel 2007 l’Istat aveva diffuso le statistiche che smentivano clamorosamente l’associazione straniero-stupratore: solo nel 6% dei casi a commettere la violenza era stata una persona completamente estranea alla donna. Tra questi, il 10 % sarebbe ad opera degli stranieri: il che dovrebbe bastare, in teoria, a riportare il ‘narcisismo nazionale’ - come l’aveva definito il portavoce dell’Idv Leoluca Orlando  a seguito della ricerca – a livelli accettabili. Tuttavia, avere i dati alla mano non basta. La paura rimane. Così come rimane l’odio. Sul famoso social network i gruppi di stampo razzista si moltiplicano: “no agli immigrati”, “Finalmente: immigrati respinti”, “basta immigrati clandestini!”, “Vogliamo altri immigrati?” e via dicendo. Spesso conditi da immagini e frasi inneggianti al fascismo e appelli ai “camerata”. Una miscela agghiacciante di anacronismi e semplicismi: quelli de «l’Italia agli italiani» e del «non possiamo prenderceli tutti».

531395981 e1301350042476 «Speriamo ne affoghi qualcuno», così laltra Italia guarda a LampedusaMa contro chi si dovrebbe combattere questa battaglia? Contro chi cerca una vita migliore in Italia oppure contro chi, con politiche poco lungimiranti ci ha stremati, trascinandoci in una crisi economica lunga e pesante che a sua volta ci ha resi ringhiosi e diffidenti verso chiunque? E così, mentre gli stessi ministri sparano cifre catastrofiche e provvedimenti contraddittori (li accogliamo? Li respingiamo? Li paghiamo per tornare a casa?), gli italiani si chiudono in se stessi, dimenticandosi come solo poche decine di anni fa erano loro quelli che attraversavano i mari alla ricerca di lavoro, speranza, dignità.


 

Società

 


Mipex: migliora l'integrazione degli immigrati in Occidente ma c'è ancora da fare. Svezia al top, Italia decima


I miglioramenti, rispetto agli anni precedenti, ci sono. Ma le politiche adottate continuano comunque ad essere «solo parzialmente favorevoli all’integrazione». A scriverlo è la terza edizione del Mipex, lo studio che calcola l’indice delle politiche per l’integrazione degli immigrati regolari di 31 Paesi dell’Europa e del Nord America realizzato dal British Council, dal Migration policy group e dalla Fondazione Ismu (per quanto riguarda l’Italia). «Con un punteggio medio intorno al 50% – dicono i curatori – le politiche nell’insieme creano ai migranti tanti ostacoli quante sono le opportunità di diventare membri paritari della società». Tradotto: se da un lato esiste una normativa inclusiva per quanto riguarda i lavoratori stranieri, le famiglie ricongiunte e i soggiornanti di lungo periodo, dall’altro resistono le barriere quando si tratta di acquisizione della cittadinanza, coinvolgimento nella partecipazione politica e parità di opportunità nel processo di formazione scolastica.

La classifica generale. La Svezia si conferma al primo posto, con una percentuale molto elevata (83%). Seguono il Portogallo, il Canada e la Finlandia. L’Italia si piazza decima, con un valore superiore alla media dei paesi europei. I migranti beneficiano di politiche leggermente favorevoli anche in Belgio, Olanda, Lussemburgo e Spagna. Mentre Germania e Regno Unito, pur essendo comunque in campo “positivo”, sul fronte immigrazione fanno peggio del nostro paese. Chiudono la classifica Slovacchia, Cipro e Lettonia.

Mobilità del mercato del lavoro. Nella maggior parte dei trentuno paesi coinvolti vengono garantiti agli immigrati uguali diritti. Ma metà degli stati analizzati non assicurano le stesse coperture sociali, messe a disposizione dei connazionali, agli stranieri che lavorano e versano le tasse. La Svezia fa da modello con il suo punteggio pieno, l’Italia è decima. Il nostro paese, secondo il dossier, nell’accesso al mercato del lavoro tratta gli stranieri regolari quasi come quelli comunitari. Ma restano gli ostacoli per quanto riguarda l’equiparazione delle qualifiche tra migranti e italiani. Regno Unito, Svizzera e Francia fanno peggio di noi e sono anche sotto la media Ue.

Ricongiungimento famigliare.

Secondo lo studio buona parte dei paesi garantisce uguali diritti alle famiglie extracomunitarie che domandano il ricongiungimento famigliare. Ma gli stessi paesi chiedono di soddisfare molti più requisiti rispetto al resto della popolazione per quanto riguarda voci come il reddito, i test da superare e l’età.  Il Portogallo fa meglio di tutti. L’Italia raggiunge il sesto posto. Le famiglie non comunitarie trovano nel nostro paese «leggi nuove e favorevoli», «ma le condizioni attuali continuano ad essere sfavorevoli». Soprattutto perché è difficile trovare un alloggio e un lavoro legale.

Istruzione. Dove i trentuno paesi fanno, mediamente, peggio è il campo dell’istruzione. Lo studio sottolinea che «le politiche in atto non rispondono, in generale, ai bisogni delle nuovi generazioni di studenti stranieri». Le scuole che hanno programmi destinati a sostenere questa categoria continuano ad essere poche e nella classifica sono solo sei i paesi (su 31) che hanno politiche inclusive. Gli stati più impegnati sul fronte scolastico sono quelli del Nord America, quelli scandinavi e del Benelux. La Svezia fa meglio di tutti. L’Italia precipita al diciannovesimo posto e fa peggio della Grecia (ma meglio della Francia).

Partecipazione politica e cittadinanza. Il giudizio finale è negativo anche sul coinvolgimento politico dei migranti. Anche se si inizia a vedere qualche cambiamento sul diritto di voto, sulla doppia cittadinanza e sullo ius soli. Cambiamenti che però non modificano il quadro generale: la normativa in vigore nella maggior parte dei paesi «non incoraggia gli immigrati ad essere parte attiva della vita politica e a ottenere piena cittadinanza». L’Italia paga il fatto di essere una nazione di recente immigrazione e si piazza al quattordicesimo posto nella classifica sulla partecipazione politica, al settimo in quella sull’accesso alla cittadinanza.

Antidiscriminazione. L’Europa, in questo campo, ha registrato i progressi maggiori. Grazie soprattutto alla legge antidiscriminazione varata a livello comunitario. Ma i ricercatori fanno notare che restano ancora poche le politiche attive e le istituzioni preposte alla promozione dell’eguaglianza. Canada e Stati Uniti si dividono il primato in classifica. Subito sotto c’è la Svezia. Fanno bene anche Bulgaria (sesta), Ungheria (decima) e Romania (undicesima). Più giù, al quindicesimo posto, c’è l’Italia. Il nostro viene comunque considerato un paese con politiche antidiscriminazione «leggermente favorevoli».

Tutti i dati sono disponibili, per ogni singolo paese, sul sito ufficiale del Mipex (www.mipex.eu, in inglese). All’interno c’è anche la possibilità non solo di effettuare paragoni, ma anche di realizzare nuovi scenari possibili, giocando sugli oltre duecento indicatori politici e cercando di capire come si potrebbe intervenire per migliorare la normativa in materia di immigrazione e inclusione sociale.


 

 

 

 

Sindacato


Contributo al dibattito per la riunione del Coordinamento Nazionale UIL Immigrati del 5 aprile 2011

L’immigrazione nella seconda decade del XXI secolo

di Giuseppe Casucci, Coord. Nazionale Dipartimento Politiche Migratorie della UIL


Questi primi anni di inizio secolo risultano essere una sfida davvero impegnativa per il sindacato e per le condizioni di vita e di lavoro dei suoi iscritti, siano nati in Italia oppure no. La crisi economica colpisce pesantemente livelli di reddito e le condizioni di lavoro di milioni di persone, ma risulta doppiamente  dura per chi ha il permesso di soggiorno strettamente legato al mantenimento di un rapporto di lavoro. Sappiamo tutti che, secondo la legislazione attuale, un immigrato che resti disoccupato ha solo sei mesi di tempo per trovarne uno nuovo, dopo di che si trova davanti ad un bivio: abbandonare il progetto migratorio e ritornarsene sconfitto in patria assieme alla sua famiglia, oppure scivolare nella strada spesso senza uscita della clandestinità e del lavoro nero. La disoccupazione ha colpito anche il lavoro etnico e tempi ancora più complessi vengono dai rivolgimenti in atto nel Nord Africa e dalle possibili conseguenze in termini di esodo verso l’Europa e l’Italia punto di approdo più vicino. A maggior ragione è necessario riflettere sul fenomeno migratorio - alla luce delle sue complesse dinamiche - sull’apporto prezioso ma anche sui problemi che da esso vengono e a cui va data adeguata risposta. L’apporto di questi cinque milioni di nuovi cittadini è davvero  prezioso per la nostra comunità: intanto va detto che il lavoro “etnico” produce l’11% del Pil italiano, oltre a pagare 12 miliardi di euro in tasse e contributi previdenziali. A questo vanno aggiunti i circa 9,3 miliardi di euro in rimesse verso i Paesi d’origine (secondo i dati che vengono dal Migration and Remittance Report 2011, della World Bank).

Scenari presenti e futuri

La demografia, lo sappiamo,  non gioca a favore degli italiani: il nostro attuale tasso di natalità è di 1,4 figli per donna, contro un tasso di 2,4 per le donne straniere. E’ questo un oggettivo fattore di attrazione dell’immigrazione verso il nostro Paese. Un altro è la forte  componente di sommerso della nostra economia (il Fondo Monetario ha stimato nel 2010 essere quasi il 27% di quella complessiva). I fattori “push” sono davanti agli occhi di tutti in questi giorni visibili nei grandi sconvolgimenti del Nord Africa, ed hanno a che vedere molto con i forti differenziali di sviluppo, la globalizzazione, il bisogno di democrazia e di benessere di quei popoli. Il combinato di questi (ed altri) fattori hanno portato la pressione migratoria ad essere tanto forte nell’ultimo decennio, da trasformare pesantemente il mercato del lavoro e della società italiana. Sono già i lavoratori stranieri a pagare una parte non piccola delle pensioni degli italiani.  Oggi è già un fatto che senza gli immigrati, l’Italia avrebbe una popolazione inferiore ai 55 milioni di persone e in discesa. Una  società, cioè, inesorabilmente in declino, i cui bisogni sono solo in parte compensati dalla presenza della cosiddetta cittadinanza etnica. Il nostro Paese ha trattato l’immigrazione sempre come un’emergenza ed ha subito la pressione migratoria che ha portato tra il 2000 ed il 2010 la popolazione straniera a quintuplicarsi (da 1 a cinque milioni). Purtroppo le restrizioni nella normativa dei flussi d’ingresso non sono state una garanzia di governo dell’immigrazione e – sommando i decreti flussi e le varie sanatorie – possiamo dire che una grande maggioranza degli stranieri oggi regolari sono entrati o sono rimasti in Italia in forma irregolare. La conseguenza di questi mutamenti, in corso da tempo ed accelerati negli ultimi due lustri, è stata una progressiva inesorabile trasformazione nella composizione del mercato del lavoro italiano.  Secondo recenti dati Inail, dal 2000 al 2010 il 16% dei nuovi rapporti di lavoro avviati, sul totale nazionale, riguardava cittadini stranieri. Quota salita al 19% nel periodo che va da gennaio 2009 al 30 giugno 2010 (pari a 2,7 milioni – 1,5 milioni uomini, 1,2 milioni donne). Oggi in Italia, secondo dati Inail, esistono circa 3,4 milioni di stranieri assicurati, cifra che equivale al 13,6% del totale degli occupati. Vi sono settori produttivi dove la presenza immigrata (dalla UE e dai Paesi Terzi) è aumentata drammaticamente con punte del 40% in agricoltura e edilizia, mentre in settori come l’assistenza alla persona oltre l’80% del personale è ormai proveniente da Paesi esteri. Anche il comparto del commercio e dei servizi registra da tempo una crescita esponenziale del lavoro etnico. Oggi certo la crisi economica ha portato ad un rallentamento dei flussi d’ingresso, ma la presenza di immigrazione irregolare risulta essere ancora molto alta. Lo testimonia il fatto che nel 2009 quasi 300 mila persone hanno aderito alla procedura di emersione riservata al lavoro domestico, mentre nel recente decreto flussi sono state presentate quasi 420 mila domande (che sappiamo bene riguardano persone che già vivono e lavorano qui irregolarmente). Secondo stime prudenziali la media di presenza irregolare si aggirerebbe intorno al mezzo milione di persone, in quanto i flussi di overstayers nel nostro Paese continuano malgrado la crisi economica. A parere di molti la legge Bossi – Fini, ed ancor più la legge 94 del 2009 (pacchetto sicurezza) non sono servite a governare il fenomeno dei flussi. Anzi: la durezza delle norme, il blocco dei flussi negli anni 2009 e 2010, la difficoltà oggettiva di ingresso legale in Italia per lavoro, hanno finito per ingigantire il fenomeno dell’immigrazione irregolare, purtroppo funzionale all’economia sommersa che di questo vive e prospera. La durezza delle norme, è il nostro parere, è solo servita a deteriorare le condizioni di lavoro e di vita di migliaia di stranieri, lasciando spazio a forme di sfruttamento anche gravi, come ben testimoniano situazioni estreme nell’agricoltura, ma anche il numero eccessivo di incidenti sul lavoro che hanno coinvolto stranieri in settori come le costruzioni (nel 2009 il 16,4% degli infortuni sul lavoro ha riguardato gli immigrati), nonché l’imponderabile mondo dei servizi alla persona, dove non sono infrequenti gravi episodi di mobbing, sequestro dei documenti personali o peggio.

Minor  fabbisogno di manodopera?

Secondo uno studio proposto recentemente dal Ministero del lavoro, a causa della crisi economica, per alcuni anni i flussi sarebbero destinati a diminuire drasticamente. Queste le stime: dal lato dell’offerta si prevede tra il 2010 e il 2020 una diminuzione della popolazione in età attiva (occupati più disoccupati) del 7%: con una discesa dagli attuali 24 milioni e 970 mila fino ad un valore stimato nel 2020 di 23 milioni e 257 mila persone. La sola demografia porterebbe ad un bisogno aggiuntivo di occupazione medio annuo di 170 mila lavoratori  (necessariamente stranieri). Considerata la fase di crisi, comunque, il Ministero del Lavoro prevede che il fabbisogno aggiuntivo medio potrebbe scendere fino a 100 mila persone l’anno fino al 2015; mentre nel periodo 2016-2020 la richiesta aggiuntiva annua salirebbe a quota 260 mila. Ci sarebbe dunque la necessità e, forse, l’opportunità di ripensare seriamente la  normativa sull’immigrazione, costruendo un meccanismo fluido basato su un effettivo matching tra domanda ed offerta di lavoro, con l’attuazione di percorsi efficaci di integrazione e di incontro tra culture diverse; condizione  necessaria anche per evitare i crescenti episodi di razzismo e xenofobia, nonché le molteplici discriminazioni cui sono spesso sottoposti migliaia di stranieri. Sappiamo che questa è un’esigenza sentita da una gran parte della società italiana e dalla stessa politica che si interroga, anche alla luce della crisi economica e – più recentemente – all’impatto potenziale che può avere la crisi nel Mediterraneo, se non vi possa essere un ripensamento più generale sulla politica da adottare in materia di immigrazione e se, accanto alla necessaria attenzione alla sicurezza, non si debba accompagnare una maggiore comprensione sulla complessità del fenomeno migratorio, condizione sine qua non per adottare misure efficaci di governo dello stesso e strumenti adatti ad aiutare la necessaria integrazione.

Immigrazione per lavoro e crisi economica

Vediamo cosa sta accadendo in Italia a livello di mercato del lavoro:

Nei cinque anni precedenti la crisi economica (tra 2003 e 2008) quasi tutti i Paesi europei si sono caratterizzati per un aumento sostenuto dell’occupazione straniera.  In Italia, secondo dati Inail, esistono oggi circa 3,4 milioni di stranieri assicurati. Per anni la crescita di manodopera etnica è stata esponenziale, ma la crisi economica ha visto nel 2009 – 2010 un’inversione di tendenza della crescita ed un numero di disoccupati stranieri arrivato a 104 mila unità. A questi vanno aggiunti 213 mila lavoratori stranieri inattivi. La crisi è visibile anche sul fronte dell’utilizzo degli ammortizzatori sociali. Infatti, tra il 2009 ed il 2010, la cassa integrazione è risultata in fortissima crescita anche per loro; mentre sul fronte dei beneficiari di indennità di mobilità e di disoccupazione (concesse a seguito del licenziamento del lavoratore) registriamo tra gli stranieri una crescita nell’uso di questo ammortizzatore sociale nel 2009 (+ 28,9%) a fronte di una crescita complessiva del 9,6%. Per quanto riguarda la disoccupazione (non agricola),  l’aumento dei percettori stranieri è risultato nello stesso anno del 65,4% (italiani + 45,9%).

Imprenditori stranieri in crescita

La situazione di crisi ed il suo impatto sul mercato del lavoro, appare in parte compensata da una migliore performance registrata sul fronte dell’imprenditoria etnica. Nel 2010 si sono contati 628.221 imprenditori stranieri, una presenza in forte crescita che rappresenta ormai il 6,5% del totale degli imprenditori in Italia. La crescita degli stranieri, rispetto il 2009, è stata di 29.185 aziende(+4,9%). Tutto ciò a fronte di una perdita di oltre 31.600 imprenditori italiani (-0,4%). I dati sono della Fondazione Moressa. L’aumento di imprenditori stranieri del 2010 è riuscito a compensare solo in parte la riduzione di imprese italiane. Il gap rispetto al 2009, infatti, vede la perdita di oltre 60 mila unità produttive italiane. Tra i settori nei quali gli imprenditori stranieri sembrano essere più presenti (come commercio, costruzioni e manifattura) la tendenza nell’ultimo anno è stata quella di un loro aumento, a fronte di un calo della componente italiana.

Stipendi e condizioni di lavoro, un gap da colmare

Le condizioni di debolezza strutturale dei lavoratori stranieri, alla luce della normativa in vigore, finisce in qualche modo per pesare sulla qualità ed il livello di remunerazione  dell’occupazione stessa. Secondo la Fondazione Moressa, nel 2009 gli stipendi dei lavoratori stranieri sono risultati in media del 23% inferiori a quelli dei lavoratori italiani, a parità di mansione. Largamente sottoutilizzate, inoltre, risultano le professionalità degli stranieri conseguite all’estero. Secondo uno studio dell’Istat del 2009, solo il 4,6% del totale degli occupati non italiani che avevano  conseguito all’estero il titolo di studio, risultava in quell’anno aver terminato un  percorso di riconoscimento dello stesso. Il risultato appare tanto più significativo dato che, almeno in linea teorica, questo riconoscimento rappresenta una condizione necessaria (anche se non sufficiente) a ottenere un’occupazione corrispondente ai livelli di educazione raggiunti nel paese di origine. La mancata richiesta del riconoscimento del titolo da parte gli stranieri va secondo Istat attribuita principalmente alla loro concentrazione soprattutto nei lavori meno qualificati, per i quali esso non è necessario. Esistono poi condizioni oggettivamente discriminatorie che influiscono sia sulla possibilità di accesso al lavoro, sulla qualità e quantità remunerata, sia sui percorsi di carriera che per gli stranieri appaiono più difficili rispetto ai loro colleghi italiani. E questo, malgrado le normative anti discriminazioni in vigore e la pregevole attività di UNAR. Intanto, per uno straniero, è vietato l’accesso al pubblico impiego. Come già detto, la difficoltà a farsi riconoscere un titolo conseguito all’estero li costringe a lavorare in alcuni settori ed in mansioni oggettivamente meno qualificate e meno remunerate. C’è poi la difficoltà di accesso al lavoro, limitata dal colore della pelle o dall’accento parlato. Non è un mistero che le chance di assunzione vengono condizionate da questi fattori, sia pur difficilmente comprovabili. Lo stesso trattamento previdenziale prevede delle differenze rispetto a quello riservato agli italiani, cosa che andrebbe assolutamente corretta. Ma lo svantaggio maggiore viene proprio dagli effetti della normativa sulle condizioni di lavoro e di vita. Il fatto che il permesso sia strettamente legato al lavoro, rende debole l’immigrato nella contrattazione con il suo datore. E spesso egli rinuncia a richieste salariali o di miglioramento di carriera, in cambio della certezza di rinnovo del permesso di soggiorno.

Le proposte del sindacato

Il sindacato, e la UIL, sono convinti che l’attuale normativa sull’immigrazione vada radicalmente riformata. Per fare questo, però, c’è bisogno di raccogliere necessariamente consenso tra tutte le parti politiche interessate, pena l’impossibilità ottenere cambiamenti ed – al contrario – il rischio di subire peggioramenti normativi dettati dall’emotività pubblica e gravi fatti di cronaca (pacchetto sicurezza docet). La riforma va dunque fatta per gradi. Intanto ci sono da applicare  due direttive europee importanti: la 2008/CE/115 (cosiddetta sui rimpatri) già in vigore da dicembre 2010 anche se non ratificata dal governo italiano; la 2009/CE/52 (norme e sanzioni per i datori di lavoro che impiegato stranieri irregolarmente). La direttiva 115 prevede che  - prima di procedere all’espulsione di un immigrato irregolare – lo Stato debba necessariamente offrire la possibilità di un ritorno volontario assistito. Inoltre, la nuova normativa considera la detenzione di un clandestino presso i CIE una procedura da usarsi solo in casi estremi. E’ evidente che tale normativa contrasta con il reato di immigrazione clandestina e costringerà inevitabilmente l’Esecutivo a modificare la legge n. 94 del 2009. La direttiva 52, inoltre, è importante perché – oltre ad inasprire le sanzioni contro chi sfrutti un immigrato irregolare – darebbe la possibilità a quest’ultimo  di denunciare il proprio datore di lavoro, se questi non vuole regolarizzarlo, ottenendo in cambio un permesso di soggiorno a carattere umanitario. E’ evidente che, senza correttivi, l’impatto della direttiva sarebbe punitivo anche nei confronti di chi vorrebbe sanare le situazioni irregolari, ma non può farlo a causa della normativa. Stante la situazione il sindacato ha proposto ai datori di lavoro ed al Governo di agire su tre piani:

a)     Considerare le indennità di mobilità e disoccupazione reddito valido ai fini del rinnovo del permesso di soggiorno. Un immigrato che perda il lavoro, dunque, dovrà poter godere prima di questi ammortizzatori sociali. Solo dopo scatterebbe il permesso di soggiorno di sei mesi per ricerca di occupazione. L’obiettivo è dare all’immigrato che perda il lavoro, più tempo per cercare un nuovo impiego e non finire nella trappola del lavoro nero;

b)    Estendere a tutte le categorie produttive la procedura di emersione già concessa al lavoro domestico nel 2009.  Questo potrebbe avvenire anche con procedure di valutazione individuale, per avere la garanzia che esista davvero un datore ed un rapporto di lavoro.  Questo permetterebbe di svuotare in buona parte il bacino del lavoro nero, prima che entri in vigore la direttiva europea n.52.

c)     Estendere l’applicazione dell’articolo 18 del TU come strumento permanente ed efficace di lotta al lavoro nero, al caporalato e allo sfruttamento,  prevedendo la possibilità della vittima, di denunciare i propri sfruttatori, senza rischiare l’espulsione. 

Su questi obiettivi sindacati ed imprenditori stanno lavorando ad un avviso comune da presentare a governo ed istituzioni, con una già verificata disponibilità al dialogo mostrata recentemente dal dipartimento immigrazione del Ministero del Lavoro.


 

Discriminazioni


Razzismo, gli italiani denunciano

Nel 2010 le segnalazioni risultano raddoppiate: sono state 766 contro le 373 del 2009. Lo afferma il Rapporto dell'Unar, l'Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali.

www.redattoresociale.it


25/03/2011 - Non si può dire che stia sgretolandosi, ma - certo - il muro di paura, ignoranza e sfiducia sta registrando le prime, vistose crepe . Elaborato dall’Iref (Istituto di ricerche educative e formative), il Rapporto 2010 dell' Unar, l'Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali, creato dal Governo, ha reso noto che l'anno scorso sono state complessivamente raccolte 766 segnalazioni: nel 2009 erano state 373. La tendenza all'aumento delle denunce è confermata dall'ulteriore incremento del 40 per cento che si è registrato dal primo gennaio al 14 marzo 2011 rispetto allo stesso periodo del 2010. Dai dati risulta che  le vittime nel 63,4 per cento dei casi sono straniere: più uomini che donne, più adulti che giovani, la maggior parte operai o impiegati. E un 10 per cento di segnalazioni riguarda discriminazioni non razziali ma di genere oppure di orientamento sessuale o religioso. Chi segnala gli atti di discriminazione? Ben 222 vittime e 108 testimoni nel 2010 si sono rivolti in prima persona all’Ufficio nazionale anti-discriminazioni razziali (Unar), con una prevalenza di uomini tra i 35 e i 64 anni. E quasi una segnalazione su 4 (23,3 per cento delle vittime) riguarda persone straniere originarie dell’Europa orientale e dei Balcani, mentre quelle riguardanti immigrati nativi dell’Africa del Nord sono il 20,9 per cento. Se le vittime straniere sono il 63,4 per cento, mentre il 9,7 per cento è composto da persone di origine straniera che hanno la cittadinanza italiana, ben l’82,2 per cento dei testimoni di discriminazione è italiano. Tracciando l'identikit di coloro che si sono rivolti all'Unar nel 2010 per segnalare discriminazioni, il Rapporto evidenzia come, sia tra le vittime che tra i testimoni, la maggioranza sia sposata (rispettivamente, il 50,8 per cento e il 48,1 per cento) e con un titolo di studio medio-alto: «Tra le vittime, il 40,6 per cento ha un diploma di scuola superiore, il 38 per cento ha avuto un percorso di studi di tipo universitario: i laureati sono il 32,1 per cento», anche se «la maggior parte delle vittime è impiegata come operaio (25,7%), mentre gli impiegati sono il 23,6%», fanno notare i ricercatori dell'Iref, commentando i dati. Tra i testimoni, sale la quota di coloro che svolgono lavori non manuali (42,2 per cento); molti anche i disoccupati (24,1%), soprattutto donne.  Inoltre, se si considerano esclusivamente le segnalazioni delle vittime, tra gli uomini emerge «una prevalenza di casi di discriminazione diretta; invece tra le donne risulta più frequente «l’aggravante delle molestie (23,1 per cento)». Tra i giovani con meno di 35 anni, inoltre, è stata verificata «una prevalenza di discriminazioni relative all’erogazione di servizi da parte di enti pubblici (16 per cento), mentre tra gli adulti più numerose sono le discriminazioni relative al lavoro»: poco meno di una su 4. I cittadini stranieri, nel 26,3 per cento dei casi, hanno subito discriminazioni nell’accesso alla casa. Infine, la maggioranza delle vittime ha una carta di soggiorno (53,9 per cento). E complessivamente «la propensione alla denuncia sembra interessare gli individui con una condizione giuridica che offre loro maggiori garanzie: scarsa è difatti la presenza di denunce fatte da persone con titoli di soggiorno temporanei», nota l'Iref nel Rapporto Unar 2010, precisando: «Anche il tempo di permanenza in Italia conferma che la propensione alla denuncia è maggiore tra le persone con una condizione sociale maggiormente stabile: le vittime, nella maggior parte dei casi, sono in Italia da più di 5 anni: da 6 a 10 anni il 35,3 per cento; da 11 a 20 anni il 33,5 per cento».


 

 

 

 

Giurisprudenza


Espulsioni, la parola alla Corte di Giustizia

La Cassazione chiede l’intervento del tribunale europeo. Chiarirà se le regole italiane contrastano con quelle dell’Ue


(www.stranieriinitalia.it) - Roma – 21 marzo 2011 – Sarà la Corte di Giustizia Europea ad occuparsi della discrepanza tra le legge italiana e le regole europee contenute nella direttiva rimpatri (2008/115 CE ), che l’Italia avrebbe dovuto recepire entro lo scorso Natale. L’intervento del tribunale europeo è stato chiesto dalla Corte di Cassazione, chiamata ad esprimersi nel procedimento a carico di un immigrato  del Gabon, Demba Ngagne, arrestato a Torino perchè non aveva  ottemperato all'ordine di lasciare entro cinque giorni il territorio  nazionale. L'immigrato aveva già disatteso altre volte l'ordine di  allontanamento. Da qui la condanna ad otto mesi di reclusione  confermata dalla Corte d'appello di Torino lo scorso maggio. Ora la  Cassazione su ricorso della difesa dello straniero evidenzia che  "stando al solo diritto interno", il ricorso dell'immigrato "dovrebbe  essere rigettato". La condanna "potrebbe essere annullata  soltanto se si ritenesse che le disposizioni del diritto interno,  regolanti l'espulsione mediante intimazione e le conseguenze collegate alla condotta di inottemperanza a detta intimazione, sono  incompatibili con il diritto dell'Unione europea, in particolare con  la Direttiva 2008/115 CE".  Questioni da chiarire al più presto  (la Cassazione ha chiesto la procedura di urgenza), anche perché, scrivono i giudici " riguardano un numero elevatissimo di stranieri raggiunti da ordini di  allontanamento volontario e inadempienti", attesa la cronica  insufficienza dei centri di identificazione e di espulsione sul  territorio nazionale e la carenza di accordi di riammissione adeguati”. Questa situazione "finisce per  aggravare ulteriormente le mancanze di certezze e garanzie per la  posizione specifica dell'imputato".  Il rinvio alla Corte di Giustizia è solo l’ultimo atto della querelle sulle espulsioni apertasi con il mancato recepimento della direttiva Ue. Questa prevede che i clandestini vanno innanzitutto invitati ad andarsene, mentre espulsione coatta e trattenimenti nei Cie dovrebbero scattare solo in casi eccezionali. Molti  giudici e procure penalisti ritengono che le regole europee siano già operative e che la legge italiana, che è in contrasto con queste, vada disapplicata. Il governo ha annunciato da mesi un provvedimento per recepire la direttiva probabilmente limitandone l’ambito di applicazione diretta. Finora, però, non c’è niente di nuovo.

EP



“I giardini di Rosarno”: progetto di sensibilizzazione a favore dell’inclusione lavorativa e sociale dei migranti

Patrocinato dall’Ufficio Anti Discriminazioni Razziali


Una patera libia llega a LampedusaReggio Calabria, 22 marzo 2011 - Il 21 marzo, giornata internazionale contro le discriminazioni razziali, indetta dall’ONU, la Camera Sindacale UIL di Reggio Calabria e l’Unione Italiana Lavoratori Agroalimentari - UILA calabrese, con il contributo del Dipartimento Nazionale Politiche Migratorie della UIL, hanno organizzato un incontro con i lavoratori immigrati ed i cittadini dell’area Rosarnese. La riunione tenutasi a Melicucco, piccolo paese a cinque chilometri da Rosarno e luogo di residenza di molti lavoratori immigrati, si è svolta presso la Sala Consiliare del Comune, a partire dalle ore 18:00. Erano presenti all’incontro, il sindaco di Melicucco F. Nicolaci, il segretario della Camera Sindacale UIL di Reggio Calabria Giuseppe Zito ed Antonio Merlino, segretario della UILA calabrese. Presenti anche Hassan El Mazi, responsabile dell’Ufficio immigrati ITAL UIL di Reggio Calabria oltre a molti italiani ed immigrati lavoratori del settore agricolo. Il tema dell’incontro era relativo al progetto “ I giardini di Rosarno” iniziativa patrocinata da UNAR nell’ambito delle iniziative legate alla VII settimana antirazzista. Il dibattito ha affrontato le tematiche relative al difficoltoso inserimento lavorativo dei lavoratori immigrati in agricoltura, all’indomani dei fatti di Rosarno. Molta ancora la diffidenza da parte degli immigrati residenti nell’area Rosarnese; ma l’importanza dell’iniziativa, legata alla conoscenza dei diritti, ha fatto sì che la partecipazione all’evento fosse numerosa. Molte le domande relative ai possibili percorsi di regolarizzazione dei rapporti di lavoro. La conoscenza del contratto, i diritti del lavoratore, la regolarità e la sicurezza sul lavoro sono stati i temi trattati. Il progetto ha dato il via anche ad iniziative di sensibilizzazione mediatica, da realizzarsi con tv e radio locali.  A questo si accompagna un’indagine di campo che vede coinvolti oltre ai lavoratori immigrati, i piccoli proprietari terrieri dell’area rosarnese e la popolazione locale. Il questionario intende approfondire la conoscenza del fenomeno sia dal punto di vista sociale che da quello economico, al fine di ottimizzare l’inserimento nella realtà locale di vecchi e nuovi cittadini.


 

Prensa Extranjera

 


ELPAÍS.COM

 Ola de cambio en el mundo árabe

Llegan a Italia los primeros refugiados de la guerra en Libia


MIGUEL MORA - Roma - 28/03/2011  - Italia recibió ayer a los primeros desplazados por la crisis libia. Una patera con 282 refugiados, la mayoría eritreos, entre ellos 80 mujeres y 12 niños, llegó esta madrugada a la pequeña isla italiana de Linosa, situada al norte de Lampedusa. La barca, que se dirigía en principio a Lampedusa, fue interceptada por guardacostas italianos y escoltada hasta la segunda isla del archipiélago de las Pelagias. Los refugiados serán trasladados el lunes en el transbordador de línea a un centro de acogida situado en la ciudad siciliana de Porto Empedocle. La patera había partido hace cuatro días de Misrata, una de las ciudades más castigadas por la guerra, según fuentes del ACNUR (organismo de la ONU para los refugiados) en Italia. La travesía fue dura y estuvo llena de incidentes. Una etíope de 26 años dio a luz a un bebé a bordo, y otra joven embarazada de tres meses tuvo que ser evacuada a un hospital, donde perdió el hijo que esperaba. Otras dos barcas procedentes de Libia, una de ellas con 200 refugiados a bordo, estaban ayer muy cerca de Lampedusa, según el ACNUR. La situación en Lampedusa, donde han llegado otros 1.000 emigrantes tunecinos en las últimas 24 horas, es cada vez más complicada.