Newsletter
periodica d’informazione
(aggiornata
alla data del 30 marzo 2011)
o
Dipartimento Politiche
Migratorie – Appuntamenti pag. 2
o
Coordinamento Nazionale
Immigrazione UIL il 5 aprile pag. 2
o
Emergenza Mediterraneo
– Ecco perché sarà difficile portare i migranti in Europa pag. 2
o
Emergenza Mediterraneo
– Rimpatri assistiti: un programma attivo da 20 anni pag. 3
o
Emergenza Mediterraneo
– “non possiamo prenderli tutti”: l’altra Italia su Facebook pag. 4
o
Società – MIpex :
migliora l’integrazione degli immigrati in Occidente pag. 5
o
Sindacato –
L’immigrazione nella seconda decade del XXI secolo pag. 6
o
Discriminazioni –
razzismo, gli italiani denunciano pag. 9
o
Giurisprudenza – La
Cassazione interviene sulle espulsioni pag.10
o
Progetti – I giardini
di Rosarno pag.11
o
Prensa Extranjera
- El Pais: llegan a Italia los primeros refugiados de la guerra en Libia pag.11
A
cura del Servizio Politiche Territoriali della Uil
Dipartimento
Politiche Migratorie
Rassegna
ad uso esclusivamente interno e gratuito, riservata agli iscritti UIL
Tel.
064753292- 4744753- Fax: 064744751
n. 308
Dipartimento
Politiche Migratorie: appuntamenti
Roma, 30 marzo 2011, Hotel Nord
Nuova Roma, ore 15.00
Formazione sull’associazionismo di volontariato nell’ambito dei volontari Servizio Civile Ital
(Angela Scalzo)
Roma, 4 aprile 2011, ore 9.30
Viale Lubin
Presentazione ricerca ONC
– Fondazione Andolfi sull’inserimento scolastico delle seconde
generazioni
(Angela Scalzo)
Roma, 5 aprile 2011, ore 09.30
sede UIL Nazionale, sala Bruno Buozzi
Riunione Coordinamento
Nazionale Uil Immigrati
(Guglielmo Loy, Giuseppe Casucci,
Angela Scalzo)
Mantova, 7 aprile 2011
Convegno Ital – UIL su
mediazione culturale e apprendimento della lingua italiana
(Giuseppe Casucci)
Padova, 15 aprile 2011
Convegno Ital – UIL su
lavoro integrazione sociale e professionale: programma “Integrarsi”
(Guglielmo Loy)
Bruxelles, 18 aprile 2011, ore
10.00 – Sede CES
Riunione del “migration and inclusion working group”
(Giuseppe Casucci)
COORDINAMENTO
NAZIONALE IMMIGRAZIONE
Prima
riunione UIL di analisi, approfondimento e proposte in materia di immigrazione
Demografia,
Mediterraneo e scenari futuri dell’immigrazione; crisi economica e
disoccupazione etnica, lavoro sommerso e dumping sociale, le risposte e le proposte
della UIL ai cambiamenti del lavoro e della società e per un nuovo modello di cittadinanza nel sindacato
Martedì 05 aprile 2011, ore 9.30 -
16.00 Roma, Uil nazionale,
via Lucullo 6 Sala Bruno
Buozzi, 6° piano
Lampedusa
è chiusa per affollamento: troppi
immigrati. Già si pensa a distribuire la loro presenza nei
centri di accoglienza di altre regioni. Ma l’ondata degli sbarchi dal Nord
Africa, ad oggi 20.000, di certo non si arresterà nei prossimi mesi. Che fare,
dunque? Il governo ha più volte fatto un appello agli altri
paesi membri della Ue: accogliete anche voi una parte dei rifugiati che
arrivano sulle nostre coste. Ma dai nostri partner europei arrivano solo
risposte negative. Gli altri governi dell’Unione, infatti, spesso per
ragioni prettamente politiche ed elettorali, si mostrano riluttanti
all’ipotesi di condividere il carico dei rifugiati e, soprattutto, dei
clandestini che per ora poggia solo sulle nostre spalle. Da Bruxelles, insomma, ci arrivano
solo fondi (tra l’altro pochi) e un aiuto nel pattugliamento - per ora
una fregata rumena. Del resto, è di poche settimane fa la bacchettata
all’Italia da parte di un ministro svedese: cavatevela da soli, senza
lamentarvi troppo. Non solo. Come riporta Franco Bechis su Libero, il
nostro paese nel 2006 (governo Prodi) firmò un accordo bilaterale con la Francia
per potenziare il controllo dell’ingresso dei clandestini in entrambi
paesi. Risultato: i tunisini sorpresi dalla polizia transalpina in suolo
francese senza permesso di soggiorno e con una prova della loro provenienza
dall’Italia (un biglietto del treno o magari solo uno scontrino fiscale) vengono
rispediti immediatamente a Ventimiglia. Anche i poliziotti italiani
possono fare lo stesso; con una differenza: «E’ l’Italia inondata di
clandestini», notava il presidente dell’assemblea francese un anno e mezzo
fa durante la ratifica del trattato. «L’accordo conviene a noi», la sua
conclusione. E, infatti, per farsi un’idea, basta considerare che nel 2008
su 13.132 pizzicati dalla polizia francese e italiana, 10.073 sono
stati rimandati in Italia e solo 3.059 in Francia. Gli accordi con la Tunisia
poi ci obbligano a rimpatriare non più di quattro clandestini al giorno:
poca cosa di fronte a un flusso di centinaia la settimana.
All’Italia, infine, non rimane che un’ultima legittima arma, come ha
ricordato su La Stampa Giovanna Zincone: il rimpatrio forzato dei clandestini
in paesi sicuri, dopo aver accertato chi ha diritto d’asilo. Ma è il caso di
tentare un braccio di ferro con il nuovo governo tunisino, certo
non disposto ad accogliere indietro persone che alleggeriscono il
mercato del lavoro interno, problema serissimo in Tunisia visto che è tra le
cause delle rivolte di inizio anno, e aumentano il livello delle rimesse?
Roma,
30 marzo 2011 - Soldi
per rimpatriare gli immigrati: non è una soluzione di emergenza ipotizzata in
queste settimana ma un programma - finanziato dalla Comunità europea - e in
atto nel nostro paese dal 1991. Si chiama "Ritorno volontario
assistito" (Rva) e tra il giugno del 2009 e febbraio 2010 ha
riaccompagnato in patria 58 immigrati in partenza dalla Lombardia.
Complessivamente in tutta Italia, nello stesso periodo, sono stati 366 gli
immigrati che hanno usufruito del contributo economico attraverso i progetti "Partir" I e
II e che prevedevano uno stanziamento, valutato caso per caso, da 1.100 euro
fino ad un massimo di 3 mila euro, vincolati all'acquisto di beni o al
pagamento di servizi per avviare un nuovo percorso di vita e lavoro una volta
ritornati nel paese d'origine. In realtà il costo totale e reale delle ultime
azioni di sostegno realizzate dall'Associazione italiana consiglio dei Comuni e
delle Regioni d'Europa(Aiccre) in partnership con il Consiglio italiano per i
rifugiati (Cir) e la Fondazione Ismu, sono costate in media 7mila euro a
persona. Prima dell'intervento dell'apposito fondo europeo (che per il
quinquennio 2008-2013 è complessivamente di circa 60 milioni di euro, di cui
solo un quinto però destinati effettivamente al Rva), l'Italia ha assistito
anche finanziariamente gli immigrati che volevano lasciare il nostro Paese
aiutando nel rimpatrio oltre 7mila persone a partire dal 1991. In realtà la
vera criticità del programma è che agli aiuti per il rimpatrio accedono
pochissimi immigrati, tanto che oggi è stata presentata una nuova campagna
informativa per promuovere il "Ritorno volontario assistito" tra le
principali comunità straniere presenti in Italia e un progetto pilota a Milano,
Roma e Napoli per il contatto diretto con gli immigrati attraverso i Consolati,
la Prefettura, il privato sociale, i media locali e, nel caso del capoluogo
lombardo, gli operatori dell'area socio-sanitaria del Comune. In pratica i
migranti che aderiscono al Rva vengono aiutati nella preparazione dei documenti
di viaggio e nell'elaborazione di un piano di reintegro socio-economico, gli
viene pagato il biglietto aereo, gli viene fornita assistenza nell'aeroporto di
partenza e in quello di arrivo (con eventuale scorta medica), gli viene data
assistenza logistica per raggiungere la destinazione finale e infine viene
verificata la fattibilità del piano di reintegrazione e la modalità di utilizzo
del sussidio. Al piano di assistenza possono beneficiare potenzialmente quasi
tutti i cittadini immigrati presenti nelle nostre città: chi gode di protezione
internazionale, coloro che hanno ottenuto il permesso di soggiorno per motivi
umanitari, le vittime di tratta, chi ha ricevuto forme di protezione
temporanea, chi vive in Italia in una "situazione di estrema vulnerabilità
e grave disagio" ma anche chi non ha il permesso di soggiorno o non è più
in condizioni di ottenerlo. Secondo i promotori, oltre all'evidente valore
umanitario, il rimpatrio volontario costa allo Stato meno di quello coatto
(finanziato nello stesso fondo europeo) e permette di prevenire situazioni di
forte disagio sociale, di sfruttamento e di coinvolgimento di soggetti molto
vulnerabili nelle attività criminali.
Scritto da Erica
Balduzzi il 29 marzo 2011
Da Facebook:
«ogni italiano ha un sogno nel cuore: prendere
un kalashnikov e sparare al barcone». E ancora: «Ma con tutti
'sti caccia che fanno la spola Italia-Libia, un paio di bombette perse sul mare
che affondano qualche barcone è chiedere troppo?», oppure «speriamo che ne
affoghi qualcuno». Il tono del gruppo
“Basta immigrati”, su Facebook, non lascia spazio ad alcun
dubbio di sorta: la gente che vede nei migranti degli invasori è ancora tanta.
Troppa. Frutto forse di una politica di governo ambigua nei confronti
dell’immigrazione e più impegnata a creare ed alimentare paure che non a
fronteggiare i problemi, sotto ricatto da parte di un partito - la Lega - che
ha fatto della paura dello straniero la sua campagna elettorale (è rimasto
particolarmente famoso il manifesto con l’indiano e la frase: “loro hanno subito
l’immigrazione, ora vivono nelle riserve”). Fatto sta che solo oggi, nel giro
di un’ora, i membri del gruppo “Basta immigrati” sono aumentati di circa 700
persone, raggiungendo quasi i millesettecento fan. E se un gruppo dai toni
razzisti e filofascisti su Facebook probabilmente non può essere considerato un
degno esempio della mentalità
dominante, di certo ne mette in evidenza una minoritaria ma non per questo meno
preoccupante: quella di chi,
ascoltando le notizie da Lampedusa o osservando i barconi carichi di
persone stremate non vede esseri umani, ma invasori.
Invasione: una
parola che ricorre, una fobia mai completamente sopita e che in questi ultimi
giorni pare essere diventata realtà. Barconi di immigrati in arrivo dalle
coste del Nord Africa, Lampedusa al collasso, un continuo rimbalzo di
responsabilità tra Italia ed Europa, tra la Sicilia e le altre regioni.
Richieste di aiuto, centri di accoglienza e tendopoli costruiti in fretta
e furia per fronteggiare un’emergenza umanitaria improvvisa. Una situazione,
come molti hanno sottolineato in diverse occasioni in questi giorni, prevedibile fin da quando sono scoppiate le rivolte
in Nord Africa. Fin da quando, soprattutto, è saltato il tappo libico.
«Ce l'hanno fatta - si legge ancora su Facebook - adesso a Lampedusa sono più
loro dei lampedusani. Se il resto degli italiani non si sveglia presto sarà il
destino di tutto il paese».
Parole
sentite più volte e non sempre solo sussurrate. Perché le rivolte - oltre
a portare alcuni dittatori alla caduta e a trascinare in
guerra diversi Stati - hanno anche avuto una conseguenza: la rinascita, prepotente e ‘lecita’, di quel
sentimento razzista che impregna il Paese da parecchi anni. «Dobbiamo
far qualche cosa, io non voglio novemila zingari nel mio paese, sono parassiti
– scrive un altro utente sulla pagina del gruppo - Ancora oggi sbarchi a
Lampedusa: l'Europa ci deve aiutare oppure dobbiamo rispedirli indietro.
Difendiamo la nostra patria da questi spacciatori, ladri, pedofili,
violentatori e quant'altro». Il solito cliché
dello straniero delinquente. Peccato che i dati Istat
raccontino una realtà diversa da quella propinata da questi signori: secondo
una statistica del 2010, infatti, non
c'è che una differenza minima tra il tasso di criminalità ‘nostrano’ e quello
‘importato’. La stessa ricerca ha messo in evidenza che la
maggior parte dei reati commessi da stranieri in Italia (70-80%) è stata
compiuta da irregolari, il dato però era ingannevole: sul totale delle denunce,
infatti, l’87% era relativa alla condizione di clandestinità stessa, piuttosto
che ad atti illeciti. Per quanto riguarda invece la violenza sessuale, già nel
2007 l’Istat aveva diffuso le statistiche che smentivano clamorosamente
l’associazione straniero-stupratore: solo nel 6% dei casi a commettere la
violenza era stata una persona completamente estranea alla donna. Tra questi,
il 10 % sarebbe ad opera degli stranieri: il che dovrebbe bastare, in
teoria, a riportare il ‘narcisismo nazionale’ - come l’aveva definito il
portavoce dell’Idv Leoluca Orlando a seguito della ricerca – a
livelli accettabili. Tuttavia, avere i dati alla mano non basta. La paura
rimane. Così come rimane l’odio. Sul famoso social network i gruppi di stampo razzista si moltiplicano:
“no agli immigrati”, “Finalmente: immigrati respinti”, “basta immigrati
clandestini!”, “Vogliamo altri immigrati?” e via dicendo. Spesso conditi da
immagini e frasi inneggianti al fascismo e appelli ai “camerata”. Una
miscela agghiacciante di anacronismi e semplicismi: quelli de «l’Italia agli
italiani» e del «non possiamo prenderceli tutti».
Ma contro chi si dovrebbe combattere
questa battaglia? Contro chi cerca una vita migliore in Italia oppure contro
chi, con politiche poco lungimiranti ci ha stremati, trascinandoci in una crisi
economica lunga e pesante che a sua volta ci ha resi ringhiosi
e diffidenti verso chiunque? E così, mentre gli stessi ministri sparano
cifre catastrofiche e provvedimenti contraddittori (li accogliamo? Li
respingiamo? Li paghiamo per tornare a casa?), gli italiani si chiudono in se stessi, dimenticandosi
come solo poche decine di anni fa erano loro quelli che attraversavano i mari
alla ricerca di lavoro, speranza, dignità.
Società
I
miglioramenti, rispetto agli anni precedenti, ci sono. Ma le politiche adottate
continuano comunque ad essere «solo parzialmente favorevoli all’integrazione».
A scriverlo è la terza edizione del Mipex, lo
studio che calcola l’indice delle politiche per l’integrazione degli immigrati
regolari di 31 Paesi dell’Europa e del Nord America realizzato dal British Council,
dal Migration policy group
e dalla Fondazione Ismu
(per quanto riguarda l’Italia). «Con un punteggio medio intorno al 50% –
dicono i curatori – le politiche nell’insieme creano ai migranti tanti
ostacoli quante sono le opportunità di diventare membri paritari della
società». Tradotto: se da un lato esiste una normativa inclusiva per quanto
riguarda i lavoratori stranieri, le famiglie ricongiunte e i soggiornanti di
lungo periodo, dall’altro resistono le barriere quando si tratta di
acquisizione della cittadinanza, coinvolgimento nella partecipazione politica e
parità di opportunità nel processo di formazione scolastica.
La
classifica generale. La Svezia si conferma al primo
posto, con una percentuale molto elevata (83%). Seguono il Portogallo, il
Canada e la Finlandia. L’Italia si piazza decima, con un valore superiore alla
media dei paesi europei. I migranti beneficiano di politiche leggermente favorevoli
anche in Belgio, Olanda, Lussemburgo e Spagna. Mentre Germania e Regno Unito,
pur essendo comunque in campo “positivo”, sul fronte immigrazione fanno peggio
del nostro paese. Chiudono la classifica Slovacchia, Cipro e Lettonia.
Mobilità
del mercato del lavoro. Nella maggior parte dei trentuno
paesi coinvolti vengono garantiti agli immigrati uguali diritti. Ma metà degli
stati analizzati non assicurano le stesse coperture sociali, messe a
disposizione dei connazionali, agli stranieri che lavorano e versano le tasse.
La Svezia fa da modello con il suo punteggio pieno, l’Italia è decima. Il
nostro paese, secondo il dossier, nell’accesso al mercato del lavoro tratta gli
stranieri regolari quasi come quelli comunitari. Ma restano gli ostacoli per
quanto riguarda l’equiparazione delle qualifiche tra migranti e italiani. Regno
Unito, Svizzera e Francia fanno peggio di noi e sono anche sotto la media Ue.
Ricongiungimento
famigliare.
Secondo lo
studio buona parte dei paesi garantisce uguali diritti alle famiglie
extracomunitarie che domandano il ricongiungimento famigliare. Ma gli stessi
paesi chiedono di soddisfare molti più requisiti rispetto al resto della
popolazione per quanto riguarda voci come il reddito, i test da superare e
l’età. Il Portogallo fa meglio di tutti. L’Italia raggiunge il sesto
posto. Le famiglie non comunitarie trovano nel nostro paese «leggi nuove e
favorevoli», «ma le condizioni attuali continuano ad essere sfavorevoli».
Soprattutto perché è difficile trovare un alloggio e un lavoro legale.
Istruzione. Dove
i trentuno paesi fanno, mediamente, peggio è il campo dell’istruzione. Lo
studio sottolinea che «le politiche in atto non rispondono, in generale, ai
bisogni delle nuovi generazioni di studenti stranieri». Le scuole che hanno programmi
destinati a sostenere questa categoria continuano ad essere poche e nella
classifica sono solo sei i paesi (su 31) che hanno politiche inclusive. Gli
stati più impegnati sul fronte scolastico sono quelli del Nord America, quelli
scandinavi e del Benelux. La Svezia fa meglio di tutti. L’Italia precipita al
diciannovesimo posto e fa peggio della Grecia (ma meglio della Francia).
Partecipazione
politica e cittadinanza. Il giudizio finale è negativo anche
sul coinvolgimento politico dei migranti. Anche se si inizia a vedere qualche
cambiamento sul diritto di voto, sulla doppia cittadinanza e sullo ius soli.
Cambiamenti che però non modificano il quadro generale: la normativa in vigore
nella maggior parte dei paesi «non incoraggia gli immigrati ad essere parte
attiva della vita politica e a ottenere piena cittadinanza». L’Italia paga il
fatto di essere una nazione di recente immigrazione e si piazza al
quattordicesimo posto nella classifica sulla partecipazione politica, al
settimo in quella sull’accesso alla cittadinanza.
Antidiscriminazione.
L’Europa, in questo campo, ha registrato i progressi maggiori. Grazie
soprattutto alla legge antidiscriminazione varata a livello comunitario. Ma i
ricercatori fanno notare che restano ancora poche le politiche attive e le
istituzioni preposte alla promozione dell’eguaglianza. Canada e Stati Uniti si
dividono il primato in classifica. Subito sotto c’è la Svezia. Fanno bene anche
Bulgaria (sesta), Ungheria (decima) e Romania (undicesima). Più giù, al
quindicesimo posto, c’è l’Italia. Il nostro viene comunque considerato un paese
con politiche antidiscriminazione «leggermente favorevoli».
Tutti i dati
sono disponibili, per ogni singolo paese, sul sito ufficiale del Mipex (www.mipex.eu,
in inglese). All’interno c’è anche la possibilità non solo di effettuare
paragoni, ma anche di realizzare nuovi scenari possibili, giocando sugli oltre
duecento indicatori politici e cercando di capire come si potrebbe intervenire
per migliorare la normativa in materia di immigrazione e inclusione sociale.
Sindacato
Contributo al dibattito per la riunione del Coordinamento
Nazionale UIL Immigrati del 5 aprile 2011
L’immigrazione nella seconda decade del XXI secolo
di Giuseppe Casucci, Coord. Nazionale
Dipartimento Politiche Migratorie della UIL
Minor fabbisogno
di manodopera?
Secondo uno studio proposto recentemente dal Ministero del
lavoro, a causa della crisi economica, per alcuni anni i flussi sarebbero
destinati a diminuire drasticamente. Queste le stime: dal lato dell’offerta si
prevede tra il 2010 e il 2020 una diminuzione della popolazione in età attiva
(occupati più disoccupati) del 7%: con una discesa dagli attuali 24 milioni e
970 mila fino ad un valore stimato nel 2020 di 23 milioni e 257 mila persone.
La sola demografia porterebbe ad un bisogno aggiuntivo di occupazione medio
annuo di 170 mila lavoratori
(necessariamente stranieri). Considerata la fase di crisi, comunque, il
Ministero del Lavoro prevede che il fabbisogno aggiuntivo medio potrebbe
scendere fino a 100 mila persone l’anno fino al 2015; mentre nel periodo
2016-2020 la richiesta aggiuntiva annua salirebbe a quota 260 mila. Ci sarebbe
dunque la necessità e, forse, l’opportunità di ripensare seriamente la normativa sull’immigrazione, costruendo
un meccanismo fluido basato su un effettivo matching tra domanda ed offerta di
lavoro, con l’attuazione di percorsi efficaci di integrazione e di incontro tra
culture diverse; condizione
necessaria anche per evitare i crescenti episodi di razzismo e
xenofobia, nonché le molteplici discriminazioni cui sono spesso sottoposti
migliaia di stranieri. Sappiamo che questa è un’esigenza sentita da una gran
parte della società italiana e dalla stessa politica che si interroga, anche
alla luce della crisi economica e – più recentemente – all’impatto
potenziale che può avere la crisi nel Mediterraneo, se non vi possa essere un
ripensamento più generale sulla politica da adottare in materia di immigrazione
e se, accanto alla necessaria attenzione alla sicurezza, non si debba
accompagnare una maggiore comprensione sulla complessità del fenomeno
migratorio, condizione sine qua non per adottare
misure efficaci di governo dello stesso e strumenti adatti ad aiutare la
necessaria integrazione.
Nei cinque anni precedenti la crisi economica (tra 2003 e 2008)
quasi tutti i Paesi europei si sono caratterizzati per un aumento sostenuto
dell’occupazione straniera. In
Italia, secondo dati Inail, esistono oggi circa 3,4 milioni di stranieri
assicurati. Per anni la crescita di manodopera etnica è stata esponenziale, ma
la crisi economica ha visto nel 2009 – 2010 un’inversione di tendenza della
crescita ed un numero di disoccupati stranieri arrivato a 104 mila unità. A
questi vanno aggiunti 213 mila lavoratori stranieri inattivi. La crisi è
visibile anche sul fronte dell’utilizzo degli ammortizzatori sociali. Infatti,
tra il 2009 ed il 2010, la cassa integrazione è risultata in fortissima
crescita anche per loro; mentre sul fronte dei beneficiari di indennità di
mobilità e di disoccupazione (concesse a seguito del licenziamento del
lavoratore) registriamo tra gli stranieri una crescita nell’uso di questo
ammortizzatore sociale nel 2009 (+ 28,9%) a fronte di una crescita complessiva
del 9,6%. Per quanto riguarda la disoccupazione (non agricola), l’aumento dei percettori stranieri è
risultato nello stesso anno del 65,4% (italiani + 45,9%).
Imprenditori stranieri in
crescita
La situazione
di crisi ed il suo impatto sul mercato del lavoro, appare in parte compensata
da una migliore performance registrata sul fronte dell’imprenditoria etnica. Nel 2010 si sono contati 628.221 imprenditori
stranieri, una presenza in forte crescita che rappresenta ormai il 6,5% del
totale degli imprenditori in Italia. La crescita degli stranieri, rispetto il
2009, è stata di 29.185 aziende(+4,9%). Tutto ciò a fronte di una perdita di
oltre 31.600 imprenditori italiani (-0,4%). I dati sono della Fondazione Moressa.
L’aumento di imprenditori stranieri del 2010 è riuscito a compensare solo in
parte la riduzione di imprese italiane. Il gap rispetto al 2009, infatti, vede
la perdita di oltre 60 mila unità produttive italiane. Tra i
settori nei quali gli imprenditori stranieri sembrano essere più presenti (come
commercio, costruzioni e manifattura) la tendenza nell’ultimo anno è stata
quella di un loro aumento, a fronte di un calo della componente italiana.
Stipendi e
condizioni di lavoro, un gap da colmare
Le condizioni di debolezza strutturale dei lavoratori stranieri,
alla luce della normativa in vigore, finisce in qualche modo per pesare sulla
qualità ed il livello di remunerazione
dell’occupazione stessa. Secondo la Fondazione Moressa, nel 2009 gli
stipendi dei lavoratori stranieri sono risultati in media del 23% inferiori a
quelli dei lavoratori italiani, a parità di mansione. Largamente
sottoutilizzate, inoltre, risultano le professionalità degli stranieri
conseguite all’estero. Secondo uno studio dell’Istat del 2009, solo il 4,6% del
totale degli occupati non italiani che avevano conseguito all’estero il titolo di studio, risultava in
quell’anno aver terminato un
percorso di riconoscimento dello stesso. Il risultato appare tanto più
significativo dato che, almeno in linea teorica, questo riconoscimento
rappresenta una condizione necessaria (anche se non sufficiente) a ottenere
un’occupazione corrispondente ai livelli di educazione raggiunti nel paese di
origine. La mancata richiesta del riconoscimento del titolo da parte gli
stranieri va secondo Istat attribuita principalmente alla loro concentrazione soprattutto
nei lavori meno qualificati, per i quali esso non è necessario. Esistono poi
condizioni oggettivamente discriminatorie che influiscono sia sulla possibilità
di accesso al lavoro, sulla qualità e quantità remunerata, sia sui percorsi di
carriera che per gli stranieri appaiono più difficili rispetto ai loro colleghi
italiani. E questo, malgrado le normative anti discriminazioni in vigore e la
pregevole attività di UNAR. Intanto, per uno straniero, è vietato l’accesso al
pubblico impiego. Come già detto, la difficoltà a farsi riconoscere un titolo
conseguito all’estero li costringe a lavorare in alcuni settori ed in mansioni
oggettivamente meno qualificate e meno remunerate. C’è poi la difficoltà di
accesso al lavoro, limitata dal colore della pelle o dall’accento parlato. Non
è un mistero che le chance di assunzione vengono condizionate da questi
fattori, sia pur difficilmente comprovabili. Lo stesso trattamento previdenziale
prevede delle differenze rispetto a quello riservato agli italiani, cosa che
andrebbe assolutamente corretta. Ma lo svantaggio maggiore viene proprio dagli
effetti della normativa sulle condizioni di lavoro e di vita. Il fatto che il
permesso sia strettamente legato al lavoro, rende debole l’immigrato nella
contrattazione con il suo datore. E spesso egli rinuncia a richieste salariali
o di miglioramento di carriera, in cambio della certezza di rinnovo del
permesso di soggiorno.
Le proposte del sindacato
Il sindacato, e la UIL, sono
convinti che l’attuale normativa sull’immigrazione vada radicalmente riformata.
Per fare questo, però, c’è bisogno di raccogliere necessariamente consenso tra
tutte le parti politiche interessate, pena l’impossibilità ottenere cambiamenti
ed – al contrario – il rischio di subire peggioramenti normativi
dettati dall’emotività pubblica e gravi fatti di cronaca (pacchetto sicurezza
docet). La riforma va dunque fatta per gradi. Intanto ci sono da applicare due direttive europee importanti: la 2008/CE/115
(cosiddetta sui rimpatri) già in vigore da dicembre 2010 anche se non
ratificata dal governo italiano; la 2009/CE/52 (norme e sanzioni per i datori
di lavoro che impiegato stranieri irregolarmente). La direttiva 115 prevede
che - prima di procedere
all’espulsione di un immigrato irregolare – lo Stato debba
necessariamente offrire la possibilità di un ritorno volontario assistito.
Inoltre, la nuova normativa considera la detenzione di un clandestino presso i
CIE una procedura da usarsi solo in casi estremi. E’ evidente che tale
normativa contrasta con il reato di immigrazione clandestina e costringerà
inevitabilmente l’Esecutivo a modificare la legge n. 94 del 2009. La direttiva
52, inoltre, è importante perché – oltre ad inasprire le sanzioni contro
chi sfrutti un immigrato irregolare – darebbe la possibilità a
quest’ultimo di denunciare il proprio
datore di lavoro, se questi non vuole regolarizzarlo, ottenendo in cambio un
permesso di soggiorno a carattere umanitario. E’ evidente che, senza
correttivi, l’impatto della direttiva sarebbe punitivo anche nei confronti di
chi vorrebbe sanare le situazioni irregolari, ma non può farlo a causa della
normativa. Stante la situazione il sindacato ha proposto ai datori di lavoro ed
al Governo di agire su tre piani:
a) Considerare
le indennità di mobilità e disoccupazione reddito valido ai fini del rinnovo
del permesso di soggiorno. Un immigrato che perda il lavoro, dunque, dovrà
poter godere prima di questi ammortizzatori sociali. Solo dopo scatterebbe il
permesso di soggiorno di sei mesi per ricerca di occupazione. L’obiettivo è
dare all’immigrato che perda il lavoro, più tempo per cercare un nuovo impiego
e non finire nella trappola del lavoro nero;
b) Estendere
a tutte le categorie produttive la procedura di emersione già concessa al
lavoro domestico nel 2009. Questo
potrebbe avvenire anche con procedure di valutazione individuale, per avere la
garanzia che esista davvero un datore ed un rapporto di lavoro. Questo permetterebbe di svuotare in
buona parte il bacino del lavoro nero, prima che entri in vigore la direttiva
europea n.52.
c) Estendere
l’applicazione dell’articolo 18 del TU come strumento permanente ed efficace di
lotta al lavoro nero, al caporalato e allo sfruttamento, prevedendo la possibilità della
vittima, di denunciare i propri sfruttatori, senza rischiare l’espulsione.
Su questi obiettivi sindacati
ed imprenditori stanno lavorando ad un avviso comune da presentare a governo ed
istituzioni, con una già verificata disponibilità al dialogo mostrata
recentemente dal dipartimento immigrazione del Ministero del Lavoro.
25/03/2011 - Non si può dire che stia
sgretolandosi, ma - certo - il muro di paura, ignoranza e sfiducia sta registrando
le prime, vistose crepe . Elaborato dall’Iref (Istituto di ricerche educative e
formative), il Rapporto 2010 dell' Unar,
l'Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali, creato dal Governo, ha reso
noto che l'anno scorso sono state complessivamente raccolte 766 segnalazioni:
nel 2009 erano state 373. La tendenza all'aumento delle denunce è confermata
dall'ulteriore incremento del 40 per cento che si è registrato dal primo
gennaio al 14 marzo 2011 rispetto allo stesso periodo del 2010. Dai dati risulta che le
vittime nel 63,4 per cento dei casi sono straniere: più uomini che donne, più
adulti che giovani, la maggior parte operai o impiegati. E un 10 per cento di
segnalazioni riguarda discriminazioni non razziali ma di genere oppure di orientamento
sessuale o religioso. Chi segnala gli atti di discriminazione? Ben 222 vittime
e 108 testimoni nel 2010 si sono rivolti in prima persona all’Ufficio nazionale
anti-discriminazioni razziali (Unar), con una prevalenza di uomini tra i 35 e i
64 anni. E quasi una segnalazione su 4 (23,3 per cento delle vittime) riguarda
persone straniere originarie dell’Europa orientale e dei Balcani, mentre quelle
riguardanti immigrati nativi dell’Africa del Nord sono il 20,9 per cento. Se le vittime straniere sono il 63,4 per cento,
mentre il 9,7 per cento è composto da persone di origine straniera che hanno la
cittadinanza italiana, ben l’82,2 per cento dei testimoni di discriminazione è
italiano. Tracciando l'identikit di coloro che si sono rivolti all'Unar nel
2010 per segnalare discriminazioni, il Rapporto evidenzia come, sia tra le
vittime che tra i testimoni, la maggioranza sia sposata (rispettivamente, il
50,8 per cento e il 48,1 per cento) e con un titolo di studio medio-alto:
«Tra le vittime, il 40,6 per cento ha un diploma di scuola superiore, il 38 per
cento ha avuto un percorso di studi di tipo universitario: i laureati sono il
32,1 per cento», anche se «la maggior parte delle vittime è impiegata come
operaio (25,7%), mentre gli impiegati sono il 23,6%», fanno notare i
ricercatori dell'Iref, commentando i dati. Tra i testimoni, sale la quota di
coloro che svolgono lavori non manuali (42,2 per cento); molti anche i
disoccupati (24,1%), soprattutto donne. Inoltre, se si considerano esclusivamente le segnalazioni delle
vittime, tra gli uomini emerge «una prevalenza di casi di discriminazione
diretta; invece tra le donne risulta più frequente «l’aggravante delle molestie
(23,1 per cento)». Tra i
giovani con meno di 35 anni, inoltre, è stata verificata «una prevalenza di discriminazioni
relative all’erogazione di servizi da parte di enti pubblici (16 per cento),
mentre tra gli adulti più numerose sono le discriminazioni relative al lavoro»:
poco meno di una su 4. I cittadini stranieri, nel 26,3 per cento dei casi,
hanno subito discriminazioni nell’accesso alla casa. Infine, la maggioranza delle vittime ha una carta di
soggiorno (53,9 per cento). E
complessivamente «la propensione alla denuncia sembra interessare gli individui
con una condizione giuridica che offre loro maggiori garanzie: scarsa è difatti
la presenza di denunce fatte da persone con titoli di soggiorno temporanei»,
nota l'Iref nel Rapporto Unar 2010, precisando: «Anche il tempo di permanenza
in Italia conferma che la propensione alla denuncia è maggiore tra le persone
con una condizione sociale maggiormente stabile: le vittime, nella maggior
parte dei casi, sono in Italia da più di 5 anni: da 6 a 10 anni il 35,3 per
cento; da 11 a 20 anni il 33,5 per cento».
Giurisprudenza
Espulsioni, la parola alla Corte di Giustizia
La Cassazione chiede l’intervento del tribunale europeo.
Chiarirà se le regole italiane contrastano con quelle dell’Ue
(www.stranieriinitalia.it)
- Roma – 21 marzo 2011 – Sarà la Corte di Giustizia Europea ad
occuparsi della discrepanza tra le legge italiana e le regole europee contenute
nella direttiva rimpatri (2008/115 CE ), che l’Italia avrebbe dovuto recepire
entro lo scorso Natale. L’intervento del tribunale europeo è stato chiesto dalla
Corte di Cassazione, chiamata ad esprimersi nel procedimento a carico di un
immigrato del Gabon, Demba Ngagne, arrestato a Torino perchè non
aveva ottemperato all'ordine di lasciare entro cinque giorni il
territorio nazionale. L'immigrato aveva già disatteso altre volte
l'ordine di allontanamento. Da qui la condanna ad otto mesi di
reclusione confermata dalla Corte d'appello di Torino lo scorso maggio.
Ora la Cassazione su ricorso della difesa dello straniero evidenzia
che "stando al solo diritto interno", il ricorso dell'immigrato
"dovrebbe essere rigettato". La condanna "potrebbe essere
annullata soltanto se si ritenesse che le disposizioni del diritto
interno, regolanti l'espulsione mediante intimazione e le conseguenze
collegate alla condotta di inottemperanza a detta intimazione, sono
incompatibili con il diritto dell'Unione europea, in particolare con la
Direttiva 2008/115 CE". Questioni da chiarire al più presto
(la Cassazione ha chiesto la procedura di urgenza), anche perché, scrivono i
giudici " riguardano un numero elevatissimo di stranieri raggiunti da
ordini di allontanamento volontario e inadempienti", attesa la
cronica insufficienza dei centri di identificazione e di espulsione
sul territorio nazionale e la carenza di accordi di riammissione
adeguati”. Questa situazione "finisce per aggravare ulteriormente le
mancanze di certezze e garanzie per la posizione specifica
dell'imputato". Il rinvio alla Corte di Giustizia è solo
l’ultimo atto della querelle sulle espulsioni apertasi con il mancato
recepimento della direttiva Ue. Questa prevede che i clandestini vanno
innanzitutto invitati ad andarsene, mentre espulsione coatta e trattenimenti
nei Cie dovrebbero scattare solo in casi eccezionali. Molti giudici e
procure penalisti ritengono che le regole europee siano già operative e che la
legge italiana, che è in contrasto con queste, vada disapplicata. Il governo ha
annunciato da mesi un provvedimento per recepire la direttiva probabilmente
limitandone l’ambito di applicazione diretta. Finora, però, non c’è niente di
nuovo.
EP
Reggio
Calabria, 22 marzo 2011 - Il 21 marzo, giornata internazionale contro le
discriminazioni razziali, indetta dall’ONU, la Camera Sindacale UIL di Reggio
Calabria e l’Unione Italiana Lavoratori Agroalimentari - UILA calabrese, con il
contributo del Dipartimento Nazionale Politiche Migratorie della UIL, hanno
organizzato un incontro con i lavoratori immigrati ed i cittadini dell’area
Rosarnese. La riunione tenutasi a Melicucco, piccolo paese a cinque
chilometri da Rosarno e luogo di residenza di molti lavoratori immigrati, si è svolta
presso la Sala Consiliare del Comune, a partire dalle ore 18:00. Erano presenti
all’incontro, il sindaco di Melicucco F. Nicolaci, il segretario della Camera
Sindacale UIL di Reggio Calabria Giuseppe Zito ed Antonio
Merlino, segretario della UILA calabrese. Presenti anche Hassan El Mazi,
responsabile dell’Ufficio immigrati ITAL UIL di Reggio Calabria oltre a molti
italiani ed immigrati lavoratori del settore agricolo. Il tema dell’incontro
era relativo al progetto “ I giardini di Rosarno” iniziativa patrocinata da
UNAR nell’ambito delle iniziative legate alla VII settimana antirazzista. Il
dibattito ha affrontato le tematiche relative al difficoltoso inserimento
lavorativo dei lavoratori immigrati in agricoltura, all’indomani dei fatti di
Rosarno. Molta ancora la diffidenza da parte degli immigrati residenti
nell’area Rosarnese; ma l’importanza dell’iniziativa, legata alla conoscenza
dei diritti, ha fatto sì che la partecipazione all’evento fosse numerosa. Molte
le domande relative ai possibili percorsi di regolarizzazione dei rapporti di
lavoro. La conoscenza del contratto, i diritti del lavoratore, la regolarità e
la sicurezza sul lavoro sono stati i temi trattati. Il progetto ha dato il via
anche ad iniziative di sensibilizzazione mediatica, da realizzarsi con tv e
radio locali. A questo si
accompagna un’indagine di campo che vede coinvolti oltre ai lavoratori
immigrati, i piccoli proprietari terrieri dell’area rosarnese e la popolazione
locale. Il questionario intende approfondire la conoscenza del fenomeno sia dal
punto di vista sociale che da quello economico, al fine di ottimizzare
l’inserimento nella realtà locale di vecchi e nuovi cittadini.
Prensa Extranjera
MIGUEL
MORA - Roma - 28/03/2011
- Italia recibió ayer a los primeros desplazados por la crisis libia.
Una patera con 282 refugiados, la mayoría eritreos, entre ellos 80 mujeres y 12
niños, llegó esta madrugada a la pequeña isla italiana de Linosa, situada al
norte de Lampedusa. La barca, que se dirigía en principio a Lampedusa, fue
interceptada por guardacostas italianos y escoltada hasta la segunda isla del
archipiélago de las Pelagias. Los refugiados serán trasladados el lunes en el
transbordador de línea a un centro de acogida situado en la ciudad siciliana de
Porto Empedocle. La patera había partido hace cuatro días de Misrata, una de
las ciudades más castigadas por la guerra, según fuentes del ACNUR (organismo
de la ONU para los refugiados) en Italia. La travesía fue dura y estuvo llena
de incidentes. Una etíope de 26 años dio a luz a un bebé a bordo, y otra joven
embarazada de tres meses tuvo que ser evacuada a un hospital, donde perdió el
hijo que esperaba. Otras dos barcas procedentes de Libia, una de ellas con 200
refugiados a bordo, estaban ayer muy cerca de Lampedusa, según el ACNUR. La
situación en Lampedusa, donde han llegado otros 1.000 emigrantes tunecinos en
las últimas 24 horas, es cada vez más complicada.