Cari amici,
vi propongo alcune riflessioni sulla
questione Lampedusa. Le ho esposte, in parte, nel corso di una trasmissione sul
tema messa in rete dalla web TV Youdem (http://www.youdem.tv/VideoDetails.aspx?id_video=d1ee4532-74f0-42ea-8fc1-4db03b2db0c0).
Nel proporvele, ho chiaro che si tratta di
un punto di vista molto parziale e basato su informazioni e dati tutt'altro che
definitivi. Vi saro' grato quindi se mi farete avere osservazioni critiche.
Parto da alcune affermazioni:
I) I diritti fondamentali delle persone,
quali il diritto d'asilo, devono essere tutelati senza alcuna considerazione di
opportunita' o di convenienza. Il perseguimento dei legittimi interessi degli
individui puo' invece trovare un limite nell'interesse, non meno legittimo, di
altri individui e/o di una comunita'.
II) La sovranita' di uno Stato e' cosa
troppo importante perche' altri Stati o singoli individui possano disporne a
piacimento.
III) Le norme sull'immigrazione in vigore
in Italia tengono in scarso conto - lo riconoscono ormai quasi tutti - la
realta' dei movimenti migratori. Vi sono pero' violazioni di queste norme,
tacitamente accettate da un ventennio, che riavvicinano la prassi di gestione
del fenomeno al dato reale (un esempio e' l'overstaying, con la
susseguente regolarizzazione ottenuta con l'uso improprio del decreto-flussi).
Ve ne sono altre (l'attraversamento del Canale di Sicilia, tra queste), che
mettono a repentaglio la vita di chi le attua e l'equilibrio della comunita'
che le subisce (es.: la comunita' lampedusana).
IV) Quando due Stati siano separati dal
mare e vi sia un flusso di immigrazione illegale da uno Stato all'altro, il
diritto internazionale offre a quest'ultimo strumenti molto scarsi a sostegno
della riammissione dei migranti nel primo. Il diritto consuetudinario impone
infatti allo Stato da cui origina il flusso di riammettere i migranti in base
al presupposto di appartenenza, non a quello, piu' ampio, di semplice
provenienza.
V) Lo Stato italiano deve muoversi, in
questo momento, tenendo conto di tre obiettivi:
a) tendere una mano alle popolazioni della
sponda meridionale del Mediterraneo, in una fase di rinnovamento
intrinsecamente positivo;
b) affermare la propria sovranita' nelle
decisioni che riguardano la gestione interna (e' l'Italia che decide se
derogare alle proprie disposizioni interne; non gli altri Stati, ne' i
cittadini di un altro paese);
c) dare un segnale che non incoraggi, per
il futuro, i flussi via mare, quando questi siano mossi non dall'esigenza di
tutelare un diritto, ma dal semplice perseguimento di un legittimo interesse.
Da queste premesse, ricavo, tenendo conto
della normativa vigente, le considerazioni seguenti:
1) Chi chiede protezione internazionale ha
ovviamente diritto a veder esaminata la sua richiesta, con le procedure ordinarie.
2) Per chi non chiede protezione si aprono
tre strade (piu' una di cui diro' alla fine):
a) l'adozione di un regime comunitario di
burden sharing, sulla base di una decisione del Consiglio europeo
con la quale si riconosce l'esistenza di un afflusso di massa (Direttiva
2001/55/CE). A tale decisione farebbe seguito l'applicazione del D. Lgs.
85/2003 e la conseguente adozione di un Decreto del Presidente del Consiglio
dei ministri ex art. 20 D. Lgs. 286/1998, con il quale si definisce, in ambito
nazionale, il regime di protezione temporanea;
b) l'adozione autonoma da parte
dell'Italia, di un DPCM ex art. 20 D. Lgs. 286/1998 e del corrispondente regime
di protezione temporanea, con possibile deroga alle altre disposizioni di
legge. In Italia un provvedimento di questo genere e' stato adottato nel 1999,
in occasione dell'esodo dal Kossovo (http://www.stranieriinitalia.it/briguglio/immigrazione-e-asilo/2008/aprile/dpcm-12-5-1999.pdf);
c) il respingimento in base alle ordinarie
disposizioni del D. Lgs. 286/1998.
3) La soluzione 2a ha l'indubbio pregio di
responsabilizzare l'intera Unione europea in relazione ad una situazione che la
riguarda non meno - certamente - di quanto la riguardi la guerra civile libica.
Che gli altri Stati membri della UE siano restii ad accettarla e'
comprensibile. L'Italia, pero', ha uno strumento molto semplice di pressione:
l'adozione autonoma di un regime di protezione temporanea con rilascio di
permessi di soggiorno per motivi umanitari a tutti coloro che
siano sbarcati in questi ultimi due mesi (soluzione 2b). Ne seguirebbe, per
costoro, liberta' di circolazione intra-europea di breve durata (fino a tre
mesi). Il permesso per motivi umanitari e' incluso, infatti, tra quelli che
consentono tale circolazione. Dopo un po', la Francia (per esempio) sarebbe
costretta a ricevere un flusso di "turisti" tunisini soggiornanti in
Italia, senza avere alcuna possibilita' di rinviarli in Italia prima che siano
scaduti i tre mesi e con scarse probabilita' di rintracciarli al termine di
tale periodo.
Notate che, invece, l'adozione di un
regime comunitario di protezione temporanea ai sensi della Direttiva 2001/55/CE
impedirebbe ai beneficiari di lasciare il territorio dello Stato cui e' toccato
di accoglierli (art. 11 Direttiva 2001/55/CE e art. 10 D. Lgs. 85/2003).
Permetterebbe, quindi, restituzioni analoghe a quelle viste in questi giorni
alla frontiera di Ventimiglia.
4) Le soluzioni 2a o 2b vanno benissimo
per chi e' arrivato, ma mandano un segnale chiaro di invito alle popolazioni
non europee del bacino del Mediterraneo: venite a Lampedusa, che' la cosa
funziona. Se si manda un tale messaggio, e' possibile che il flusso vada fuori
controllo. Puo' essere forse un modo diretto ed efficace di cooperare alla
crescita dei paesi nordafricani. Vietato pero', poi, strapparsi le vesti
perche' un barcone affonda e muoiono dei bambini. Vietato anche strapparsi le
vesti in caso di ripresa di una politica di respingimenti in mare del tipo di
quella praticata dal governo italiano negli ultimi due anni.
5) Se, sulla base della considerazione
precedente, si opta per la soluzione 2c (respingimento), il problema e', oggi,
la riammissione in Tunisia. C'e' un accordo del 1998 (http://www.stranieriinitalia.it/briguglio/immigrazione-e-asilo/2011/marzo/accordo-italia-tunisia-1998.pdf)
con il quale la Tunisia si impegna a riprendere in tempi brevissimi (quattro
giorni, inclusi quelli festivi, per il rilascio di un lasciapassare) le persone
da allontanare, a condizione che sia dimostrata la loro nazionalita' (notate:
non la provenienza, come buon senso vorrebbe). La dimostrazione puo' basarsi,
oltre che sul possesso di documenti di identita', anche su una semplice
dichiarazione dell'interessato (Cap. II, paragrafo 5, dell'Accordo).
Notate che sulla base di quest'accordo la
Tunisia ha ottenuto, dal 1998 a quest'anno, quote riservate nell'ambito del
decreto-flussi (29.350 ingressi in totale), oltre alla possibilita' di chiamata
di lavoratori stagionali.
6) Questi essendo i termini dell'accordo
vigente, come ottenere la collaborazione dell'interessato (nella forma di
esibizione di documenti o dichiarazione di nazionalita')? Un modo e' quello di
utilizzare, in modo diverso da quello standard, lo strumento di cui all'art. 20
T.U.: si adotta un DPCM che preveda
a) la compilazione di liste contenenti le
generalita' e la cittadinanza dei cittadini stranieri sbarcati fino al giorno
di pubblicazione del decreto;
b) il rilascio di un visto di ingresso
(nota bene) a chi, iscritto nelle liste, ne faccia richiesta entro un certo
termine;
c) il rilascio, a chi faccia ingresso con
tale visto, di un permesso per motivi umanitari, con facolta' di svolgimento di
attivita' lavorativa e di studio, e con possibilita' di conversione in altro
permesso.
Notate che scopo di una misura di questo
genere (che puo' certamente essere giudicata poco lineare) e' quello di
conciliare l'esigenza di prospettive economiche per chi e' (gia') sbarcato con
l'esigenza dello Stato italiano di effettuare, senza ostacoli impropri, il
respingimento.
Notate anche che la deroga alle
disposizioni vigenti non investirebbe disposizioni relative a sanzioni penali.
Quelle relative al reato di soggiorno illegale gia' prevedono, infatti, che in
caso di allontanamento effettivamente eseguito (cosa possibile, una volta
accertata la nazionalita') il giudice di pace pronunci sentenza di non luogo a
procedere.
7) Quale che sia la soluzione adottata tra
quelle di cui al punto 2, e' assolutamente necessario negoziare con la Tunisia,
come pure con gli altri paesi che si affacciano sul Mediterraneo, un accordo
piu' efficace di quello esaminato: un accordo che condizioni la riammissione
alla semplice dimostrazione di provenienza, anziche' di nazionalita'.
In cambio, la Tunisia (o qualunque altro
paese contraente) potrebbe ottenere, oltre ad altri vantaggi commerciali, una
congrua quota di ingressi per lavoro e per formazione per i prossimi anni,
nonche' un impegno a realizzare progetti di formazione all'estero ex art. 23 D.
Lgs. 286/1998 e, nei fatti, una facilitazione nel rilascio dei visti di
ingresso per turismo.
Notate che quest'anno, a fronte di una
quota riservata alla Tunisia di 4.000 ingressi, sono state presentate piu' di
11.500 domande. Un ampliamento delle quote, unitamente ad una facilitazione del
rilascio di visti di ingresso per turismo consentirebbe un significativo
assorbimento di overstayers tunisini. Che differenza c'e' - direte
voi - tra l'assorbimento di overstayers e quello di sbarcati? Il primo
corrisponde all'andamento fisiologico dell'immigrazione in Italia
(almeno finche' le leggi non verranno cambiate), il secondo a un rischio grave
per le persone, ad uno stravolgimento della vita della comunita' lampedusana e
ad una violazione difficilmente accettabile della sovranita' nazionale.
Un'osservazione: la collaborazione del
paese-controparte dovrebbe consistere nel riprendere il cittadino respinto quando
questi sia partito dalle coste del paese stesso, non nell'impedire alla gente
di partire da quelle coste: questo, infatti, mette a repentaglio il diritto
d'asilo di chi, per qualunque ragione, stia fuggendo da rischi per la vita o
per la liberta', e non e' molto diverso dal vituperato respingimento in mare.
8) Diverso e' il problema se l'ostacolo
non consiste nell'accertamento della nazionalita', ma piuttosto nel rifiuto
della Tunisia di applicare l'accordo. Se questo e' il caso, la normativa sull'immigrazione
non c'entra nulla. E' un problema di politica estera, e si tratta di dimostrare
che esistono vie di mezzo ragionevoli tra il baciare la mano ai capi di Stato e
il bombardare i loro paesi.
9) Se nessuna di queste soluzioni piace,
si puo' sempre adottare (rectius: continuare ad adottare) la soluzione
all'italiana. E' sufficiente trasferire le persone sbarcate in Centri di
accoglienza o in CARA. Si tratta di centri che lo straniero puo' lasciare in
qualunque momento. Perche' tale collocazione abbia fondamento giuridico occorre
che la persona manifesti l'intenzione di chiedere asilo prima che a suo
carico venga adottato un provvedimento di respingimento; ma, insomma, e'
sufficiente non essere troppo solleciti nell'adottare un tale provvedimento...
Mi risulta che, in queste settimane, di quanti sono stati portati via da
Lampedusa, circa 9.500 persone sono state ospitate in tali centri aperti, con
oltre 7.000 casi di sopravvenuta irreperibilita'. Se poi l'interessato proprio
non vuole chiedere asilo, se ne dispone il trattenimento in CIE, scoprendo
subito dopo che i CIE sono saturi: gli si da' allora l'ordine questorile di
lasciare l'Italia entro cinque giorni, e, trascorso quel termine, non ci si
affanna troppo a verificare che abbia ottemperato all'ordine.
Cordiali saluti
sergio briguglio