01 aprile 2011

Il governo: un sito per regione «100 rimpatri al giorno»
Avvenire, 01-04-2011
Roberta D'Angelo

L'accordo tra Governo e Regioni per fronteggiare l'emergenza immigrazione vale "non solo per i profughi". Sarebbe questa l'indicazione data dal presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, ai governatori, durante la prima riunione della cabina di regia coordinata dal Governo con Regioni ed Enti locali sull'emergenza immigrazione dai Paesi del Nord Africa, in corso di svolgimento a Palazzo Chigi. Il Governo, avrebbe proseguito il premier, ha individuato i siti dove allestire le tendopoli, ma ritiene opportuno informarne privatamente le singole Regioni senza divulgare pubblicamente l'elenco delle aree individuate. A ogni Regione l'esecutivo fornirebbe la possibilità di individuare siti alternativi per l'allestimento delle tendopoli rispetto a quelli scelti dal Governo.
Rimpatriare cento tunisini al giorno. Secondo quanto si apprende è questo l'obiettivo indicato dal presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, durante la prima riunione della cabina di regia coordinata dal Governo con Regioni ed Enti locali sull'emergenza immigrazione dai Paesi del Nord Africa, in corso di svolgimento a palazzo Chigi.
Intanto continuano tra le polemiche i trasferimenti degli immigrati da Lampedusa: un altro grosso traghetto è giunto stamani a Lampedusa per portare via i circa 4.000 tunisini che si trovano ancora sull'isola. È "La Superba" di Grandi Navi Veloci, che può trasportare fino a tremila passeggeri e si unisce alla "T Link" e alla nave "San Marco" della Marina militare, ferme in rada da ieri a causa del mare agitato. Ieri sono partiti 1.760 tunisini con la nave Excelsion, attraccata alla banchina di
Chiapparo nel porto di Taranto questa mattina. Gli immigrati, a bordo di pullman, raggiungeranno il campo di Manduria.
GOVERNO-REGIONI: OGGI LA "CABINA DI REGIA"
Ci saranno tutti gli enti locali all’appunta­mento. Nonostante l’insoddisfazione per come finora sono state gestite le ripartizioni degli immigrati da parte del governo. Ma questa mattina, al primo incon­tro della 'cabina di regia' voluta dal ministro Maroni il presidente della Conferenza delle Regioni Vasco Erra­ni assicura la presenza dei diretti interessati, che, verosimilmente, dovrebbero presentarsi a Palazzo Chigi alle 9 con un piano di massima per l’accoglienza dei profughi. Resta però tutto aperto il capitolo dei clandestini, che ha travolto inaspettatamente Regioni, Pro­vince e Comuni, lasciando un malcontento diffuso tutt’affatto che risolto.
Dunque oggi l’esecutivo dovrà dare rassicurazioni e ri­sposte ai governi locali, che intendono mostrare la buo­na volontà nonostante le di­vergenze e le tensioni emerse durante il Consiglio dei ministri di ieri, dove lo scon­tro si è esteso al caso-Mantovano, dopo le dimissioni della sera prima, conferma­te ieri allo stesso premier. Ma la confusione regna ancora sovrana. Le rassicura­zioni di Maroni non convin­cono gli enti locali, che ieri hanno preparato la loro linea. «L’impegno assunto riguarda l’emergenza profu­ghi, non l’eventualità di al­lestire tendopoli per i clan­destini », dice sul piede di guerra la governatrice del Lazio Renata Polverini.
«Siamo molto preoccupati dalle parole di Maroni. Si concor­dano alcune cose e poi, il giorno dopo, dal governo ne vengono dette altre che so­no al di fuori di qualunque intesa», sbotta il presidente della Basilicata Vito De Filippo. E non è da meno l’an­sia del governatore lombar­do Roberto Formigoni, che sottolinea come si stia parlando di profughi, «per cui scatta un obbligo di solidarietà ». Ma non di irregolari, «un problema che attiene integralmente al ministero dell’Interno. A noi Regioni è stato chiesto di dare una mano solo e soltanto sulla questione dei profughi».
Di più, incalza Errani, «il governo ha scelto ideologicamente di tenere la pressione al Sud». Quanto all’accordo, conferma il presidente del­che la Conferen­za Stato-Regioni, «riguarda i profughi. Le Regioni non hanno condiviso invece le questioni relative alle tendopoli per gli immigrati: quella è una scelta unilate­rale del governo». Tensione ancora alle stelle, insomma. Ma il ministro dell’Interno va avanti senza remore: «Atteggiamenti di rifiuto nell’accoglienza di profughi e immigrati non possono essere giustificati».
Per Maroni questa è una «emergenza grave, che richiede il concorso di tutte le re­gioni ». Un impegno che non trova conferma nello scetticismo del suo leader Bossi, alla domanda se tutti gli enti locali dovranno fare la propria parte, anche al Nord, replica: «Con cautela...». Anche Ignazio La Russa però è pronto a confermare che la macchina si muove e che il ministero della Difesa ha fornito altri sette siti dove poter collocare gli immigrati, e che sono «tutti al nord». Di fronte al caos, anche le di­missioni di Mantovano hanno creato scompiglio, con i rappresentanti degli Enti locali pronti a fare pressioni sul governo, per far tornare il sottosegretario sui propri passi. Ma il sottosegretario non ha visto ieri «fatti concreti » tali da «farmi revocare la decisione», se non la conferma che oggi a Taranto «sbarcheranno 2.300 clandestini per Manduria».
E tra il «no comment» di Maroni e il «peggio per lui» di Bossi, è toccato a Berlusconi scendere in campo per sbrogliare la matassa. Mentre le regioni preparavano in serata la loro risposta agli enti locali per l’incontro di oggi. Ma la confusione non piace neppure alle opposizioni e ieri il leader dell’Udc Pier Ferdinando Casini ha chiesto più volte l’intervento in aula alla Camera di Maroni, per comprendere quanto sta succedendo.



Una battaglia politica sulla pelle dei migranti
Terra, 01-04-2011
Susan Dabbous da Lampedusa
LAMPEDUSA. La situazione è insostenibile. Le partenze dall’Isola vanno a rilento a causa del forte vento. La Russa annuncia sette basi militari dismesse ma Maroni si oppone. Sono tutte al Nord.
«Sicilia, Sicilia, libertà, libertà. Vogliamo andare via». È durato meno di 24 ore “l’effetto Berlusconi” sull’isola di Lampedusa:, ieri pomeriggio intorno alle quattro si sono radunati più di mille tunisini nella piazza principale, davanti alla Chiesa, per chiedere di essere trasferiti immediatamente sulla terraferma. Ormai sanno che non verranno rimpatriati, ad dirlo è lo stesso governo per bocca, non solo del premier, ma anche del ministro dell’Interno, Roberto Maroni e degli Esteri, Franco Frattini, che hanno ammesso: «La Tunisia non rispetta gli accordi sui rimpatri». Dopo la visita del presidente del Consiglio, ieri, sono partite due navi anche se quelle promesse «per una evacuazione completa in due giorni» erano sei. Le intenzioni del Cavaliere si sono scagliate contro il vento fortissimo che ha impedito l’attracco della Clodia, una grande nave da crociera della Tirrenia.
 Dopo un’ora di tentativi l’imbarcazione, intorno all’una, si è allontanata dal porto di Cala Pisana, dove però sono rimasti sul molo i 1.600 migranti pronti per l’imbarco. Dopo ore di attesa hanno iniziato una protesta pacifica, probabilmente saliranno a bordo in serata, tempo permettendo. Precedentemente erano stati perquisiti e obbligati a lasciare cinture e lacci delle scarpe. Vedendoli lì, abbandonati a se stessi in un’attesa snervante, gli altri duemila tunisini in attesa (in totale sono circa 3.700 ancora sull’isola) hanno temuto il peggio: «Sono dodici giorni che dormiamo all’aperto, il cibo è poco, non facciamo la doccia». Poi, i migranti hanno urlato tutti insieme: «Basta questa merda». Un’invocazione che va presa alla lettera, vista la totale assenza di bagni pubblici.
I tunisini che dormono ancora sulla collina dietro il porto commerciale, ribattezzata la “collina della vergogna”, chiedono condizioni igieniche decenti. Eppure la giornata era iniziata bene, con 2.600 migranti in meno: 1.716 sono partiti alle 4 del mattino sulla nave Excelsior, verso le 10 poi è salpata la Catania con 600 uomini a bordo. Entrambe hanno preso la rotta di Taranto per andare nella tendopoli di Manduria, il cui sovraffollamento ha indotto le dimissioni del sottosegretario all’Interno Alfredo Mantovano eletto proprio in quel collegio. Nella battaglia politica tra il ministro della Difesa, il siculo Iganzio La Russa, che ha annunciato a sorpresa sette basi militari dismesse per ospitare i migranti, tutte al settentrione, e il “lumbard” Maroni, le cui tendopoli d’emergenza non vanno più in su d’Imperia, i lampedusani mantengono una calma surreale. Hanno capito che sulla loro pelle si sta giocando una battaglia politica tra Pdl e Lega, ma l’unica cosa a cui sono veramente interessati è il recupero della stagione turistica e l’evacuazione dell’isola.
Quanto a solidarietà, continuano a dimostrare una generosità spontanea, fornendo vestiti, cibo e coperte. Gli sbarchi, infatti, non cessano nonostante le cattive condizioni meteo. Mercoledì notte ci sono stati nove sbarchi per un totale di 449 persone, per lo più tunisini, tra cui sei migranti di origine nigeriana e ganese sopravvissuti a un naufragio. Sono partiti dalla Libia su un gommone tre giorni fa. I loro racconti sono confusi, i ragazzi, tutti uomini, sono ancora sotto choc. Superati, con un escamotage, i controlli rigidi della base militare Loran dove sono ricoverati, siamo riusciti ad incontrarli. Stanno tutti bene. Uno di loro siede a terra con un foglio in mano, cerca di leggere ma non ci riesce, gli altri cinque restano in piedi attorno a lui.
I sei africani sono in una stanza separata dal resto degli ospiti. La loro è una storia terribile: prima il carcere libico, poi il viaggio della speranza in cui avrebbero perso 12 compagni in mare, tra questi anche una donna incinta e un bambino. Sono vivi grazie all’aiuto di un peschereccio egiziano che li ha recuperati. Una volta giunti nelle nostre acque territoriali, i naufraghi sono stati segnalati alla Guardia costiera di Lampedusa che è partita per soccorrerli. Poche ore in più e sarebbero morti di freddo.



Berlusconi: una tendopoli in ogni Regione, ponti aerei per rimpatriare cento persone alla volta
il Sole, 01-04-2011
Nicoletta Cottone
Berlusconi: una tendopoli in ogni Regione, ponti aerei per rimpatriare cento persone alla volta
Il Governo ha individuato i siti per accogliere migranti in ogni regione, ma ogni Regione potrà indicare un sito alternativo dove allestire le tendopoli. Lo ha detto il premier Silvio Berlusconi, nella riunione della cabina di regia sull'emergenza immigrazione. I siti, avrebbe sottolineato Berlusconi, sono temporanei. Per fare fronte all'emergenza immigrati sono pronte 7mila tende, per sei posti ciascuno, da montare in 48 ore. I governatori delle Regioni presenti all'incontro hanno ribattuto che le tendopoli non sarebbero la soluzione migliore anche alla luce dell'arrivo dell'estate. Il governo avrebbe quindi rinviato a dopo l'incontro a Tunisi di lunedì un ulteriore approfondimento.
No a rimpatri massicci, ma ponti aerei per riportare a casa 100 tunisini per volta
Berlusconi nel corso della cabina di regia si sarebbe detto contrario a rimpatri massicci in Tunisia, perché sarebbero destabilizzanti per la nuova democrazia. Sui rientri dal Governo tunisino sarebbe arrivata la richiesta di una certa indulgenza, per non destabilizzare il Paese appena uscito dalla crisi. Tutto sarà definito nell'incontro con il Governo tunisino in programma per lunedì a Tunisi: si punta ad allestire ponti aerei in grado di rimpatriare cento tunisini per volta.
L'accordo vale per profughi e clandestini
Il governo ha chiarito che l'accordo per la suddivisione dei migranti tra le regioni italiane deve valere non solo per iprofughi, ma anche per i clandestini. Il 30 marzo Berlusconi aveva annunciato che in 48-60 ore Lampedusa sarebbe stata solo dei lampedusani. A Manduria è già nata, tra le proteste degli abitanti, una Lampedusa bis.
La magistratura? Comunisti ma mica ciula
«Comunisti, ma mica ciula». Così il premier Berlusconi ha definito nel corso della cabina di regia sull'immigrazione le toghe rosse italiane, che a suo giudizio agiscono a fini eversivi e sono il problema principale del paese.



Piano tendopoli, Chiamparino: Maroni in malafede
l'Unità, 01-04-2011
Vincenzo Ricciarelli
La tregua è durata meno di ventiquattro ore. Dopo aver siglato l’accordo con il Viminale sul piano di accoglienza dei profughi, gli enti locali sono di nuovo sul piede di guerra con il ministro Maroni che ieri, in conferenza stampa dopo il Consiglio dei ministri straordinario, ha spiegato che il piano messo a punto per accogliere i migranti sbarcati a Lampedusa prevede una «disponibilità di diecimila posti, in tutte le regioni italiane ad eccezione dell'Abruzzo».
Il piano, che prevede anche la realizzazione di alcune tendopoli, verrà illustrato questa mattina alle Regioni e agli enti locali in una riunione al Viminale ma anche se manca ancora l’ufficialità sui siti individuati per l’accoglienza dei migranti partiti da Lampedusa governatori sono già sul piede di guerra. Proteste che non sembrano interessare troppo Roberto Maroni «Atteggiamenti di rifiuto - ha spiegato il ministro - non possono essere giustificati: è un’emergenza grave che richiede il concorso di tutte le regioni». La lista, si diceva, è ancora top secret ma secondo indiscrezioni oltre alla tendopoli di Manduria prevederebbe siti in allestimento a Potenza, Santa Maria Capua Vetere, Pisa, in Veneto, in Liguria, Trentino e Valle d’Aosta.
Questa volta, però, l’unanimità registrata soltanto mercoledì sul piano profughi sembra un miraggio. Il presidente della Conferenza delle Regioni, Vasco Errani, è netto: «le Regioni non condividono le questioni relative alle tendopoli per gli immigrati irregolari: quella è una scelta unilaterale del Governo. Avevamo avanzato alcune proposte ma il governo che ci ha chiesto di intervenire solo sui profughi, e che sul resto avrebbe deciso lui». «L'impegno assunto riguarda l’emergenza profughi, non l'eventualità di allestire tendopoli per gli immigrati clandestini», dice senza esitazioni la governatrice del Lazio, Renata Polverini. «Siamo molto preoccupati dalle parole del ministro Maroni. Si concordano alcune cose e poi, il giorno dopo, dal governo ne vengono dette altre che sono al di fuori di qualunque intesa», sbotta il presidente della Basilicata, Vito De Filippo. Anche il presidente della Regione Lombardia, Roberto Formigoni, ricorda che al Viminale si è sempre parlato di profughi. Non dunque degli immigrati irregolari finora arrivati in Italia, soprattutto dalla Tunisia. «Questo - sottolinea Formigoni - è un problema che attiene integralmente al ministero dell'Interno, così come alla politica internazionale di tutti i paesi. A noi Regioni è stato chiesto di dare una mano solo e soltanto sulla questione dei profughi».
Duro anche il governatore della Regione Siciliana Raffaele Lombardo: «Così non si va da nessuna parte. La Sicilia dice no con forza alle scelte imposte dal governo nazionale e si dice invece pronta a dialogare su scelte condivise». E contro l’assenza di una adeguata concertazione nell’individuazione dei siti ha puntato il dito anche Lorenzo Guerini, sindaco di Lodi e rappresentante dell’Associazione nazionale dei Comuni nelle riunioni con il Viminale. «L’Anci ha fatto inserire una clausola per quanto riguarda l’individuazione dei siti dove dovranno essere ospitati i clandestini - spiegava ieri - La clausola prevede che gli Enti locali siano “sentiti” nella fase di individuazione degli stessi siti. Avevamo chiesto di riaprire la discussione per giungere a un accordo, registrando però la totale indisponibilità del governo».
L’ultima parola sulle tensioni questa mattina a Palazzo Chigi dove si riunirà la cabina di regia sull'immigrazione alla presenza dei ministri Roberto Maroni e Raffaele Fitto insieme ai rappresentanti delle Regioni, delle Province e dei Comuni. Sarà in quella sede che, con ogni probabilità, sarà anche fornito alle autonomie localil'elenco dei siti in cui accogliere chi arriverà in Italia.



Dieci, cento, mille
LAMPEDUSA  Siti assurdi per riceverli. Sindaci infuriati. Liti elettorali. Fughe di massa. Ecco come un'ondata prevista è diventata un caos
l'Espresso, 01-04-2011
DI TOMMASO CERNO E MARIO LANCISI
E solo la prima ondata. Altre ne arriveranno. Un'emergenza annunciata da mesi. Messa nero su bianco nei I dossier per il governo già lo scorso gennaio. Quando I proprio da Lampedusa partiva l'allarme rosso verso palazzo Chigi. Inascoltato. Ora ministri e parlamentari del centrodestra ammettono fuori microfono quel che in pubblico non possono di¬re: l'esodo di massa dal Maghreb è una bomba a orologeria. Difficile da contene¬re una volta innescata. L'Italia s'è trovata impreparata e quei disperati in fuga dall'inferno della guerra sembrano un popo-lo inarrestabile. Donne, bambini, uomini affamati, eppure capaci di mandare in tilt il Paese. Perché adesso il rischio è che tutta Italia si riempia di tante, piccole Lam¬pedusa. E che l'unica strategia davvero ef¬ficace sia fingere di non vedere. E lasciare che quanti più rifugiati possibile fuggano anche da lì. Chissà dove.
Vale il principio dei vasi comunicanti: sulle coste continuano gli sbarchi e sull'isola, trasformata in un centro di permanenza temporanea a cielo aperto, più se ne vanno e meglio è. E se ancora i trasferimenti non bastano a svuotarla, prima o poi si renderà necessaria una nuova piattaforma di smistamento. In Sicilia le strutture erano sature già prima dell'ondata di questi giorni. Altri viaggi della disperazione sono previsti a Mineo, nel Villaggio degli Aranci. Ma non basta ancora. E così mentre il governatore Raffaele Lombardo dice basta e Berlusconi vara in ritardo "interventi urgenti", la realtà prende forma: un vero piano non esiste. Mancano i soldi per organizzarlo. Manca l'autorevolezza internazionale per ottenere dall'Europa un supporto reale. E manca la volontà politica di accogliere quella gente. Una missione sostenuta dal Quirinale e dalla Chiesa, che invocano solidarietà per chi fugge da Libia, Egitto e Tunisia. Ma contestata dalla Lega, e da interi pezzi della maggioranza, ormai in campagna elettorale per le amministrative di maggio. Tanto che dietro la mappa delle tendopoli, dove si favoleggia di mini-campi a misura d'uomo, il ministro Roberto Maroni la¬vora per respingere più profughi possibile. E ricacciarli al di là del Mediterraneo. Ben consapevole che i siti indicati sono insufficienti. E spesso fatiscenti. Tanto che nella fragile maggioranza di Berlusconi, proiettato su processi e spaccature interne al centrodestra, chi rischia di pagare il conto sono governatori e sindaci.
È così che proclami e accordi con il rais Gheddafi, siglati quando la crisi del Ma-ghreb stava ormai per esplodere, fanno da detonatore all'emergenza, anziché frenarla. Da Nord a Sud l'esodo nord-africano su barche e pescherecci genera pani¬co fra la gente e caos fra gli amministratori. Fomentando lo scontro fra Lega e Pdl. Basta salire fino in Veneto per capirlo. Qui il governatore leghista Luca Zaia si dichiara pronto a fare la propria parte, ma avverte: controlleremo scarpe e abiti dei cosiddetti profughi. Perché - ripete -non credano di spacciare a noi i clandesti¬ni in cerca di fortuna con i veri libici, obbligati all'esilio dalle bombe. A pochi chilometri da Venezia, proprio nella sua Treviso, il sindaco padano Giancarlo Gobbo ci va giù ancora più pesante. Non è disposto a concedere spazi a nessuno. Nemmeno a Maroni. Ex caserme, tendopoli o quel che sia, non nel suo Veneto. E neppu¬re in Lombardia, dove Roberto Formigo¬ni, ciellino sensibile ai dettami della Santa Sede, offre assi¬stenza, ma sul territorio trova il muro contro muro dei padani. Proprio nel loro luogo più simbolico: sotto il castello di Ariberto a Intimiano. Cinquemila anime tra Como e Cantù, guidate da una lista civica verde più che si può. Da queste parti il Carroccio è il primo partito con il 36 per cento e, quando il prefetto Michele Tortora ha indicato la villa secolare di Ariberto da Intimiano, quello che inventò il medievale carroccio vessillo della Lega, sono scesi in strada. Anche stavolta è una grana di Maroni, a caccia di 200 posti letto in quelle vallate. Perché i parlamentari Nicola Molteni ed Erica Rivolta preparano slogan e interpellanze come olio bol¬lente pur di tenere fuori gli " invasori ". Un paradosso che si ripete in tutto il Nord. E che mette a rischio la tenuta dell'alleanza Pdl-Lega in troppi centri importanti. In Friuli, ad esempio, la Regione guidata dal berlusconiano Renzo Tondo si teme l'ar¬rivo dì un migliaio di profughi, e i padani sono già pronti ad alzare le barricate a Clauzetto e Sgonico. Due piccoli centri, questo è vero, ma a ridosso di Pordenone e Trieste, le cirtà più importanti dove il 15 maggio si voterà.
Pezzo dopo pezzo, la mappa ufficiale proposta dal governo, si riempie di incognite. Maroni ha indicato Coltano, vicino a Pisa, come sito strategico. Là dove sor¬geva il campo di concentramento dove fu¬rono rinchiusi 35 mila repubblichini dopo la Seconda guerra mondiale, e dove fu tenuto prigioniero pure il poeta america¬no Ezra Pound. Ma il ministro dovrà fare i conti con due piaghe tutte italiche. Il degrado e la carenza cronica di fondi. Come nel caso di Villafranca, un maneggio per cavalli che si voleva trasformare in centro di accoglienza. Peccato che per chilometri si calpestino soltanto erbaccia e sterpaglia. E in posti come questo che il governo conta di appoggiare un profugo ogni mil¬le abitanti. O come Boceda, a due passi dalla Fivizzano di Sandro Bondi. Due palazzine fatiscenti del demanio, un tempo polverificio militare. Non appena si varca il cancello, però, ci si accorge che qualcosa non funziona. Il primo edificio è in affitto alla Luniwash, un'azienda che co¬struisce lavatrici per ospedali. Carlo Nava è uno dei titolari. Racconta che fino a qualche anno fa quel campo protetto da filo spinato ospitava i paracadutisti della Folgore e le esercitazioni con i carri armati. Posto ce ne sarebbe, se non fosse che ►
i sei container di ferraglia ruggine, sono ri¬dotti a carcasse. Cubi di latta senza finestre, senza bagni, imprigionati fra i rovi. Sugli unici edifici in muratura ancora in piedi c'è un carrello: "Pericolante". E là, dove un tempo c'erano le camerate dei soldati, il tetto è rivestito d'amianto. Sorret¬to da piloni scalcinati che cedono al loro stesso peso. Parlare di tendopoli qui, secondo il sindaco Sandro Donati, è folle: «Noi siamo favorevoli a ospitare i profu¬ghi, ma non qui. Non vogliamo fare la fine di Lampedusa», spiega pronto a incatenarsi alla ciminiera. Se ti sposti verso
Napoli, tecnici della Regione, Prefettura e Protezione Civile hanno stilato la loro lista: ex caserme, edifici demaniali, scuole. Ma pure stavolta c'è molta teoria, perché ogni palazzina avrebbe bisogno di ristrutturazioni. E tempi lunghi. «La politica è pronta a fare la sua parte», ripete come i colleghi del centrodestra anche il governatore Stefano Caldoro. Eppure da queste parti, dove sono attesi circa seimila profughi, gli spazi attrezzati di Caritas e Croce
Rossa possono accogliere al massimo 500 immigrati, meno del 10 per cento. Anche la gente di Chiaiano scende di nuovo in strada. Stavolta non è la discarica nel parco naturale a mobilitarla, ma l'allarme profughi. A cui si ribella il sindaco di Pompei, Claudio D'Alessio. Lui che fu snobbato dal governo quando crollavano gli scavi. Bene, non vuole fare altrettanto. E tende la mano all'altra riva del Mare Nostrum. Pronto ad accogliere chi spunterà all'orizzonte.
hanno collaborato Christian Galimberti e Claudio Pappaianni



Immigrazione: Scopelliti, Calabria ne ospitera' 1.800
Us Catanzaro, 01-04-2011
Salvatore Ferragina
Idea e' quella di utilizzare strutture sanitarie dismesse
La Calabria è pronta a fare la sua parte. Lo ha detto l'altra mattina  Giuseppe Scopelliti, intervistato da Rai Uno per rubrica "Question time" all'interno di "Uno Mattina". «La Calabria è pronta a fare la sua parte. Lo abbiamo ribadito ieri a Roma nel corso di una riunione a Palazzo Chigi, ospiteremo circa 1800 immigrati, ripartiti sulle 5 province. Abbiamo già un piano ed utilizzeremo, ad esempio, strutture sanitarie dismesse. La nostra regione è una terra di grande accoglienza, dalla locride e da altre zone della Calabria, sono arrivati già segnali di disponibilità».
Si tratta di accoglienze provvisorie che dureranno da pochi giorni a pochi mesi  il tempo di rinviare in Tunisia gli immigrati provenienti da Lampedusa.
Secondo  Scopelliti  saranno utilizzate ex strutture sanitarie .
Si fa insistentemente il nome dell’ex istituto XXIII di Serra di Aiello, atteso che non solo sarebbero pronti i posti letto ( piuttosto che nelle tende e sul terreno!) e le cucine, capaci di mille pasti al giorno, ma anche il personale per la assistenza .



TUTTI A CASA
Panorama, 01-04-2011
CARLO PUCA
E  vero, stando al sondaggio della Euromedia research per Panorama, oltre il 65 per cento degli italiani crede che respingere i clandestini, come fanno altri paesi mediterranei, sia sbagliato ed egoistico. Però poi nessuno (o quasi) vuole che circolino in Italia. «Nella ricerca si manifesta» sostiene la patron della Er, Alessandra Ghisleri «una classica fonna di sindrome Nimby: portateli dove volete, ma non nel mio giardino. Cioè non vicino a casa mia». Infatti la percentuale di coloro che si dichiarano favorevoli ai respingimenti in mare o ai rimpatri dopo lo sbarco lievita se si aggiunge anche chi chiede che vadano in altri paesi europei.
Così si spiegano pure le proteste locali verso il ministro dell'Interno Roberto Maroni, che sta spalmando gli sfollati sul territorio nazionale in proporzione al numero di residenti. E le tensioni nella maggioranza hanno spinto Alfredo Mantovano, sottosegretario all'Interno, ad annunciare mercoledì 30 marzo le dimissioni.
Ma i 22 mila emigranti arrivati in Italia potrebbero essere soltanto l'anticipo di un esodo molto più ingombrante. Sul caso Tunisia al Viminale è infatti arrivato un dettagliatissimo rapporto dell'Aise, l'Agenzia informazioni e sicurezza estema. Insomma: una nota riservata degli 007. Sostiene l'intelligence che la vera, grande torma degli indesiderabili sarebbe di là da venire, staziona in un piccolo villaggio libico di frontiera chiamato Ras Ajdir. Sul posto i profughi in fuga dalle bombe libiche sono almeno 100 mila. Una metà sono tunisini, l'altra algerini ed egiziani, ma persino cinesi, vietnamiti e cambogiani che lavoravano per MuammarGheddafi. Hanno qualche disponibilità di denaro, premono sul valico tunisino immaginando da lì di arrivare in Occidente, passando per l'Italia, per poi spingersi in Germania, Svizzera e soprattutto Francia.
Sul tavolo di Nicolas Sarkozy è arrivato un rapporto simile, quello del Dgse, il servizio francese. Le conseguenze sono evidenti: la blindatura della Costa Azzurra, il respingimento dei clandestini verso l'Italia, il caos degli immigrati a Ventimiglia. Noi rispondiamo con una rappresaglia silenziosa chiamata tecnicamente «dispersione fisiologica»: perdiamo «casualmente» di vista un po' più di clandestini (prima la fisiologicità era all'8 per cento, ora è al 22) a patto che non restino in Italia e migrino verso altri paesi. La Francia anzitutto.
È un mossa, questa, utile a convincere l'Unione Europea a sganciare qualche (sacrosanta) decina di milioni di euro per l'emergenza. La pressione è tale che il commissario Ue per gli Affari interni, Cecilia Malmstrom, si è dovuta piegare, almeno a chiacchiere: «Siamo pronti a esaminare richieste specifiche d'aiuto provenienti dall'Italia». Non per altro: facciamo un lavoro di contrasto che spetterebbe all'Europa intera. E invece ci tocca pagarcelo da soli. Soltanto per il 2011, la spesa prevista per contrastare i clandestini, cioè prima dell'emergenza a Lampedusa, era di 460 milioni di euro. Per intenderci: l'Ue concede all'Italia 12 milioni ogni due anni per i rimpatri e 3 milioni 300 mila euro per i profughi. Una miseria.
Intanto, 1.300 chilometri più a sud, i trafficanti di uomini non s'importano delle schermaglie tra Parigi, Roma e Bruxelles. Da Ras Ajdir fanno entrare quotidianamente decine di migranti in Tunisia, complici molti gendarmi locali. Un varco abusivo, controllato direttamente dai suddetti trafficanti, sarebbe aperto nei pressi di Allouet el-Gounna, là dove comincia la via Balbia, la litoranea di Benito Mussolini che congiunge la Tunisia all'Egitto. Un simbolo del nostro colonialismo, insomma, diventato la via dei clandestini. È la nemesi della storia.
Superato il confine, i profughi raggiungono Zarzis, sempre nel governatorato di Médenine, sulla quale insiste Djerba, rinomata isola per le vacanze E Silvio Berlusconi promette di far ritornare rinomata anche Lampedusa. Il premier spera molto nel piano Maroni di blocco navale davanti alla Sicilia, rimpatri forzosi verso l'Africa e chiusura in loco delle rotte degli emigranti. In verità, quella che porta a Lampedusa è soltanto la più breve e la più facile Con l'estate e il bel tempo, stando agli 007, i boat people potranno approdare anche in Puglia e Sardegna, oltre che in Sicilia. Peraltro, soltanto alcune «stazioni di partenza», come quella di Mahdia, sono state chiuse. Si tratta di un primo segno dimostrativo dopo l'incontro fra Maroni, il ministro degli Esteri Franco Frattini e il premier provvisorio tunisino Beji Caid-Essebsi.
Da Zarzis, però, ancora parte la rotta più recente dei dandestini. Stivate nei villaggi intorno alla città, almeno altre 10-12 mila persone attendono il loro turno, tra profughi libici e clandestini tunisini. Di questi ultimi, i clandestini, la gran parte sono persone che scappano o dai loro precedenti penali oppure verso le ricchezze accumulate all'estero grazie alla loro fedeltà a Ben Ali, il presidente deposto dall'insurrezione di gennaio. «Altro che povertà, questo non è un paese di morti di fame. Chi parte lo fa per altri motivi» conferma Giacomo Stucchi, giornalista che vive sul posto da due decenni. «E diciamo pure che non stiamo parlando della meglio gioventù tunisina, va'». Gente, insomma, spesso candidata alla criminalità. E non di basso livello.
Questo, però, spiega soltanto in parte il mancato intervento di Tunisi. Secondo gli 007 italiani, è anche per altri interessi. Già alle prese con focolai di insurrezione permanenti, il tribolante governo è anzitutto preoccupato di smaltire l'ingresso dei «suoi» circa 50 mila profughi dalla Libia. Dei 10 mila (in aumento) di Zarzis in partenza per l'Italia interessa poco o nulla. Anzi, a dirla tutta, la fuga di qualche migliaio di indesiderati, pur non essendo pilotata, certo è gradita. Assai.
Per convincere l'esecutivo provvisorio certo non basterà frenare «i circa 450 mila turisti italiani che ogni anno vanno in Tunisia», come minaccia il ministro Michela Vittoria Brambilla. Anche perché a guadagnare sono anzitutto i grandi alberghi dei tour operator italiani. Né va dimenticato che l'Italia, dopo la Francia, è il secondo partner commerciale del paese africano, «verso cui è diretto il 20 per cento delle esportazioni e da cui proviene un sesto delle im¬portazioni» precisa Abdellatif Hamam, presidente del Centro per le esportazioni tunisino.
Come fare, dunque? L'intelligence suggerisce una soluzione: il sostegno, economico, alle forze laiche che compongono il governo provvisorio. «ATunisi non si voterà presto perché, appunto, i laici, divisi e mal organizzati, lascerebbero campo libero agli integralisti religiosi» riferisce Bobo Craxi, il figlio di Bettino che è a Hammamet almeno due volte al mese e intrattiene eccellenti rapporti con il governo. Spiega: «Prima si andrà alle urne per una generica assemblea costituente, poi per il parlamento vero e proprio». E per permettere a laici e paralaici di organizzarsi. Ma per farlo hanno bisogno di soldi, ufficialmente utili a finanziare turismo e formazione. In cambio offrono il blocco dei clandestini in partenza e il rimpatrio di quelli già all'estero, Lampedusa compresa». Si chiama realpolitik. E l'unica politica utile a soddisfare gli italiani del sondaggio. Quelli che per il 49,3 per cento sono certi che il tema immigrazione inciderà ntemente
sulle elezioni, anche se non sul loro voto personale    

 

Lampedusa si svuota: via i primi 2.500
il Giornale, 01-04-2011
Stefano Zurlo
Gli effetti delle misure annunciate da Berlusconi: sull’isola adesso restano poco più di tremila immigrati. Lunedì il premier volerà a Tunisi con Maroni: "Mantengano gli impegni in cambio di aiuti e motovedette"
Partono le navi. E partono gli aerei. Lampedusa torna a respirare, il piano annunciato solo 24 ore prima da Berlusconi entra nel vivo. E sembra funzionare. L’isola era allo stremo, il rischio di epidemie altissimo e la stagione turistica sembrava già compromessa. Ora il blitz del Cavaliere - il Cavaliere modello Napoli e modello L’Aquila, il Cavaliere che si mette l’elmetto e coordina i tecnici - mette in moto gli ingranaggi del ritorno alla normalità. All’alba parte l’Excelsior. A bordo ci sono 1.716 migranti, per usare il linguaggio della Caritas. Ma è solo il primo round; poi si muove la Catania che porta via altre 600 persone. E intanto inizia il ponte aereo: due voli, cento passeggeri a testa. Destinazione: Crotone e Bari. Il governo mostra i muscoli e spruzza efficienza su uno strato alto così di esasperazione.
All’ora di pranzo i conti dicono che la situazione, rispetto al giorno precedente, è capovolta. In poche ore se ne sono andati più di 2.500 fra clandestini e profughi. Ne restano 3.731 ma i numeri per la prima volta non fanno più paura. L’assedio è stato tolto, un terzo abbondante degli «invasori» è già lontano, la linea dell’orizzonte questa volta promette bene: altre tre navi sono alla fonda, davanti al porto.
Insomma, i giorni del bivacco e della vergogna sembrano finiti. E Berlusconi è già oltre: da Lampedusa guarda a Tunisi, dove potrebbe andare lunedì assieme al ministro dell’Interno Roberto Maroni. Lampedusa si svuota, ma la Tunisia è ancora un colabrodo e il premier lo sottolinea: «Il governo tunisino non sta mettendo in atto gli accordi sull’immigrazione stipulati con l’Italia. Il governo aveva assicurato di fermare le barche degli immigrati ma questo non è avvenuto». Non solo: c’è il problema dei rimpatri e il capo del governo non molla neanche su questo punto ed è pronto a fornire al paese nordafricano equipaggiamenti e materiale alle forze polizia tunisine, come fuoristrada e motovedette. Parla al telefono con il primo ministro tunisino Beiji Caid Essebsi, poi puntualizza: «Noi abbiamo garantito impegni finanziari per la ripresa economica delle città tunisine ma in cambio il governo di Tunisi deve accettare il rimpatrio dei suoi concittadini. Si tratta di 5mila persone che non sarebbero accettate perché noi sappiamo che dalle loro carceri sono evasi in 11 mila ed abbiamo il sospetto che possano arrivare da noi».
Per questo, con ogni probabilità, il Cavaliere lunedì volerà a Tunisi. E non si presenterà a Milano, a Palazzo di giustizia, per il secondo round dell’udienza Mediatrade. Tunisi viene prima di tutto. D’altra parte, l’emergenza non è ancora superata, la Tunisia di questi tempi è un posto scomodo. Per tutti. Duecento giovani clandestini sfilano inquieti per le strade di Lampedusa: «Non vogliamo tornare a casa. Vogliamo solo andare in Belgio e in Francia». Vengono tranquillizzati, anche se le rassicurazioni non sono definitive. Entro 48 ore verranno trasferiti in una delle tendopoli in allestimento.
Un po’ alla volta il disordine diventa ordine. Il cima cambia. E ritorna il Berlusconi antispazzatura e antiterremoto, quello che carezzava i plastici delle new town e spiegava il funzionamento dei termovalorizzatori. Il premier capace di dare la scossa, anche portando i grandi della terra in una caserma con vista sulle macerie. Qualcosa di simile accade in quel lembo di terra che spunta dal mare in fondo allo stivale. Mare e terra. Le navi viaggiano verso Taranto, le ruspe entrano in azione. Sono i soldati del Genio militare: ripuliscono la collina della vergogna, dopo due settimane di caos. Ora l’area viene disinfestata.
Si corre dunque per recuperare il tempo perduto. E Berlusconi immagina il futuro come un plastico da sistemare: «Il porto è stato rovinato dalle costruzioni e per questo abbiamo disposto il piano colore». Annunciato mercoledì ai lampedusani e ora confermato. Così come il «piano verde», pensato per ricollocare piante e palme «dopo la loro morìa».
Promemoria per il domani che verrà: Berlusconi ricorda la moratoria fiscale per un anno e l’intenzione di «rendere Lampedusa zona franca». Ma questo si vedrà nei prossimi mesi.
La giornata di oggi segna il ritorno di Lampedusa ai lampedusani. E il ministro del Turismo Michela Vittoria Brambilla cerca di rimettere al suo posto il fondale di sempre: la Lampedusa formato cartolina. «Contiamo - spiega la Brambilla - di riuscire a salvare la stagione turistica che vale più o meno 50 milioni di euro». Stagione che si vuole allungare fino all’autunno. Autunno da cartolina.



Da Lampedusa alle città Tra arrivi, fughe, proteste
Avvenire, 01-04-2011
Regioni non hanno dubbi: l’accordo raggiunto mercoledì con il governo riguarda solo i profughi (stimati in 50mila, anche se ad oggi ne risultato solo 232), dunque non gli immigrati irregolari che provengono dal Nord Africa e che affollano Lampedusa. E quindi le parole del ministro dell’Interno Roberto Maroni che ieri ha parlato di tendopoli per diecimila irregolari in tutte le Regioni (tranne l’Abruzzo), ha messo in allarme i governatori. Il presidente della Lombardia, Roberto Formigoni, ha ricordato che si è parlato solo di profughi. «Gli irregolari? Questo – sottolinea Formigoni – è un problema che attiene integralmente al ministero dell’Interno». E oggi a Palazzo Chigi si riunisce la cabina di regia sull’immigrazione, presenti i ministri Roberto Maroni e Raffaele Fitto insieme a Regioni, Province e Comuni. Probabilmente sarà fornito l’elenco dei siti in cui accogliere chi arriverà in Italia. (D.Re)
VENTIMIGLIA (IM)
È in funzione da ieri sera il centro di accoglienza temporaneo di Ventimiglia, ex caserma dei vigili del fuoco nel parco ferroviario del Roja, dove sono assistiti e hanno servizi igienici un centinaio di immigrati respinti al confine italo-francese dalla gendarmeria d’Oltralpe. Per la Francia, ha dichiarato il ministero degli Esteri, gli immigrati irregolari devono essere «rimpatriati nei loro Paesi di origine a partire dal Paese nel quale sono entrati nello spazio Schengen. Noi applichiamo semplicemente il diritto, come definito negli accordi Schengen, la convenzione di Dublino, e l’accordo bilaterale di riammissione bilaterale di Chambery». Intanto il sottosegretario all’Economia, Sonia Viale, ha assicurato che Ventimiglia non diventerà la Lampedusa del Nord: «Il Centro accoglienza serve per far rientrare l’emergenza», mentre ha ribadito grande preoccupazione per «l’emergenza che la città vive da giorni», il sindaco Gaetano Scullino. E ieri mattina si è recato a Ventimiglia il vescovo Alberto Maria Careggio, che ha incontrato alcuni stranieri, scambiando qualche parola. «È giusto ci sia da parte di tutti consapevolezza che si tratta di un emergenza – ha detto – ma non esageriamo con i toni e non perdiamo il controllo della situazione anche se il numero dei migranti dovesse aumentare nei prossimi giorni. Ci vuole coordinamento tra le istituzioni, pubbliche o private come onlus e Caritas. Bisogna collaborare tutti insieme e nessuno deve sentirsi protagonista della situazione, un coordinamento è necessario». Maurizio Marmo, direttore Caritas di Ventimiglia, ha confermato l’impegno dei volontari, che hanno portato bevande calde e cibo ai circa 150 profughi che hanno dormito in stazione ed invitato a «non enfatizzare la situazione», contestando la stima di 1.200 stranieri in città, più alta che in realtà. Dino Frambati
COLTANTO (PI)
Trattori e contadini, 200 cittadini e diversi amministratori si sono ritrovati, sin dalle prime ore del mattino di ieri, di fronte all’ex centro radar Usa a Coltano, all’immediata periferia di Pisa, per impedire l’arrivo dei tecnici che avrebbero dovuto spianare il terreno dove potrebbe sorgere la tendopoli da 500 o più posti in cui ospitare gli immigrati sbarcati nei giorni scorsi a Lampedusa. Una soluzione mal digerita dalla gente. «Coltano non è un lager» si leggeva ieri in uno striscione, forse in riferimento al filo spinato collocato a protezione delle reti di delimitazione dell’ex centro radar Usa dove, tra il maggio e il settembre 1945 la 92ma Divisione Buffalo della V armata aveva allestito un campo di concentramento, in cui furono rinchiusi circa 35mila ex militari della Repubblica sociale italiana. Oppure «Pisa è satura - Ora basta», in riferimento ai numerosi nomadi che proprio a Coltano hanno un loro villaggio. «Il governo non ci ha consultato» ha ripetuto fino alla noia in questi giorni il primo cittadino di Pisa Marco Filippeschi (Pd), mentre il governatore della Toscana, Enrico Rossi, ha ricordato come la Regione una sua proposta l’aveva già fatta nei giorni precedenti: più centri di accoglienza, destinati a gruppi più piccoli; e soprattutto non tendopoli, ma strutture di mattoni. Sul piano formale – ricorda Dario Campera, segretario provinciale della Federazione nazionale sicurezza (Fns) della Cisl – la scelta dei siti non è materia di Protezione civile, ma di Difesa civile. E, secondo il dl del 30 luglio del 1999, la difesa civile è di competenza del ministero dell’Interno e delle Prefetture, che la esercitano attraverso il Dipartimento dei Vigili del Fuoco e della Croce Rossa. Questo spiegherebbe perché il governo abbia bypassato gli enti locali. Il ministro Maroni "apre" però a una soluzione bis: ora sta alla Regione fornire, un piano per almeno quattro strutture alternative. Andrea Bernardini
CHINISIA (TP)
In corteo contro la tendopoli di Trapani. Almeno un migliaio di cittadini si è messo in marcia ieri pomeriggio nella frazione di Rilievo, in direzione della vicina contrada Chinisia, dove è stato allestito un campo con 88 tende che dovrebbe ospitare 600-700 profughi provenienti da Lampedusa. Tra loro bambini e mamme che rispondono. Alla testa del corteo il sindaco di Trapani, Girolamo Fazio, i presidenti dei consigli comunali e provinciali e diversi consiglieri di tutti gli schieramenti. I manifestanti, arrivati da almeno cinque frazioni del versante Sud di Trapani, sono tornati in piazza dopo la manifestazione organizzata due giorni fa nei pressi dello svincolo della statale 115 Trapani-Marsala che conduce a Chinisia. Tra il corteo si leggono numerosi striscioni: «Fa più gola la salvaguardia del popolo o il petrolio libico?», «Vendesi villa a Chinisia», «Tendopoli su discarica di amianto». Il riferimento all’amianto scaturisce da una bonifica che è stata eseguita nell’area di Kinisia che dovrebbe ospitare i profughi. «Mi dicono che la tendopoli a Kinisia sia in mezzo all’amianto e ciò sarebbe veramente gravissimo – ha detto il presidente della Regione siciliana, Raffaele Lombardo –. E inoltre non vi è nessuna garanzia di sicurezza perché l’accampamento si trova in mezzo alla campagna».
MANDURIA (TA)
Tutto in poche ore. Un Consiglio comunale straordinario che annuncia, sottosegretario Mantovano presente, il tetto massimo di 1.500 ospiti nel neonato centro di accoglienza; la ripresa repentina delle fughe (fino a 700 in un solo giorno, probabilmente più del doppio in totale); l’annuncio, da parte di Berlusconi, del raddoppio del numero di immigrati (da 1.500 a 2.900); le conseguenti dimissioni del sindaco Paolo Tommasino, e quelle, pochi minuti dopo, dello stesso Mantovano. Il rocambolesco succedersi di eventi ha seminato incredulità tra gli abitanti della cittadina messapica di circa 35.000 abitanti che mai avrebbero pensato di occupare così tante colonne sui giornali se non per il loro Parco archeologico, la costa di 18 chilometri e l’ormai famoso vino "Primitivo". Incredulità, dunque, ma anche una grande dimostrazione di dignità dei cittadini che, seppure col passare delle ore mostrino più marcatamente di dividersi tra pro e contro la tendopoli, lo fanno con grande compostezza. Questa mattina sono attese a Taranto due navi con altre 2.300 persone prelevate a Lampedusa. Si sommeranno ai circa 1.000 migranti già presenti ieri. «Sono rimasto allibito quando ho appreso dell’arrivo di migliaia di altri immigrati – dice il sindaco Tommasino spiegando le dimissioni –; mi sento impotente nei confronti delle istituzioni e dei miei cittadini». Chi gestisce la delega alle politiche dell’accoglienza è Roberto Puglia: «La paura maggiore? È che da 3.000 si arrivi a 4.000 presenze, insomma una Lampedusa 2 – confida –; senza contare il timore che la popolazione sta mostrando per le continue fughe». Già, le fughe. Il sistema di sicurezza attorno al campo ha mostrato di essere permeabile. Ma ieri sono arrivate le parole tranquillizzanti del ministro dell’Interno, Roberto Maroni che, parlando della tendopoli di Manduria come di una soluzione temporanea, ha annunciato una sua visita in città, la firma di un patto per la sicurezza esteso anche ai comuni limitrofi e l’arrivo di altri 100 uomini delle forze dell’ordine. Vito Salinaro



IO RESPINTO ALLA FRONTIERA
Arrivati a Lampedusa. Scappati dai centri. Diretti verso la Francia. Bloccati al confine dalla Gendarmerie. Rimandati in Italia. Diario di quattro giorni tra i migranti in fuga
l'Espresso, 01-04-2011
FABRIZIO GATTI DA NIZZA
IN ITALIA IMMIGRATI SENZA DOCUMENTI SALGONO SUI TRENI E GLI AGENTI NON FANNO NULLA PER IMPEDIRLO. I FRANCESI INTANTO INVIANO RINFORZI A VENTIMIGLIA
Ahmed conosce benissimo la storia dei tunisini scomparsi. Sa dove finiscono i ragazzi sbarcati a Lampedusa e trasferiti nelle ultime ore in Sicilia, Calabria, Puglia. Lui è uno di loro. Uno dei 4 mila già scappati in Francia. Stando al conteggio segreto tenuto dal ministero dell'Interno, pure Ahmed è ufficialmente scomparso. Oggi abbiamo passato insieme il confine a Ventimiglia. E da un'ora e mezzo i nostri destini sono diventati inseparabili. Nel senso che alla stazione di Nizza la gendarmeria ci ha presi e ammanettati. Due bracciali di acciaio legano il suo polso destro al mio sinistro. Così ogni volta che lui deve firmare il verbale di identificazione, restituire il foglio e la biro, bere un sorso d'acqua, alzarsi, sedersi, grattarsi la testa, dobbiamo metterci d'accordo sui movimenti. Ci sorvegliano. Non ci perdono di vista. Secondo loro, i gendarmi che ci hanno arrestati, siamo quattro clandestini. Ahmed, altri due tunisini e io, un giornalista infiltrato.
Qui, chiusi dentro una stanza silenziosa nella Cascrnc d'Auvare, la caserma della polizia nazionale in rue de Roque-billière 28, è tutto più chiaro. Da qui è evidente la guerra di nervi che Roma e Parigi si stanno combattendo a colpi di immigrati. Ed è drammatica l'immagine di debolezza che il premier Silvio Berlusconi ha dato dell'Italia. Anche perché i ministri dell'Interno e degli Esteri, Roberto Maroni e Franco Frattini, non ci hanno raccontato tutta la storia. Primo, da quando è cominciata la crisi la polizia italiana ha lasciato entrare in Francia migliaia di tunisini. Alla stazione di Ventimiglia gli immigrati senza documenti sal-gono sui treni per la Costa Azzurra e agenti, carabinieri e Guardia di finanza, presenti a turno sul marciapiede, non fanno nulla per impedirlo. Un rapporto riservato di qualche giorno fa calcola in 4 mila gli immigrati già fuggiti in Francia sugli oltre 9 mila trasferiti finora da Lampedusa. Secondo, non è vero che la situazione politica in Tunisia impedisca i rimpatri. Il ministero dell'Interno francese, a differenza di quello italiano, non ha mai smesso di riportare in patria i tunisini entrati illegalmente in Francia. Così come rimanda in Italia senza formalità quelli sorpresi vicino alla frontiera italiana. Terzo, molti tunisini raccontano che, una volta trasferiti da Lampedusa, funzionari italiani li hanno invitati a presentare richiesta di asilo. Così li hanno portati nei Cara di Crotone e Bari, i centri per rifugiati: i Cara sono strutture aperte da dove è facile scappare. Quarto, la legge sul reato di clandestinità voluta soprattutto dal ministro dell'Interno, Maroni, e dal ministro della Difesa, Ignazio La Russa, obbliga ad aprire un procedimento penale per ogni immigrato sbarcato illegal¬mente a Lampedusa. Dal primo gennaio alla notte del 29 marzo, sono 18.450: soltanto per le tre copie del verbale di notifica del reato, la Procura di Agrigento dovrà consumare 55.350 fogli di carta.
Ecco quello che si scopre dopo quattro giorni e quattro notti in fuga con la generazione lampa-lampa, come in Nord Africa chiamano le barche che portano a Lampedusa. Ore e ore di attesa accampati sul pavimento della stazione a Ventimiglia. E poi la toulette della partenza. Due volte a piedi lungo la mulattiera e la strada che porta a Mentone. Tre volte nascosti, ma non troppo, sui treni per Grasse e Cannes. I primi quattro viaggi schivano tutti i controlli francesi. Il quinto finisce dritto nelle mani dei gendarmi, binario A, stazione di Nizza.
MERCOLEDÌ 23 MARZO. Negli alberghi di Ventimiglia arrivano i rinforzi. Carabinieri del battaglione e agenti del reparto mobile. Gli Intercity da Milano e i regionali da Genova scaricano decine di ragazzi tunisini. La notte tra il 21 e il 22 marzo c'è stata una fuga in massa dal Cara di Bari. «Sono rimasti soltanto eritrei e somali, i tunisini se ne sono andati tutti», avverte quella sera una telefonata. Rieccoli salire le scalinate del sottopasso alla sta-zione di Ventimiglia. Dopo una notte e una mattina di viaggio. Vogliono raggiungere Nizza, da dove partono i treni veloci per Parigi e le altre città della Francia. Ma Nizza è lontana: 41 chilometri. Abdel Majid, 26 anni, viene da Nakta, paese di pescatori e scafisti vicino a Sfax: «Io vado in treno», dice. Altri connazionali preferiscono proseguire a piedi: «Sui treni sale la polizia». I primi 12 si avviano lungo la statale. Camminano in fila sul marciapiede nell'ultima galleria italiana. All'uscita appare il valico di Ponte San Ludovico. Il lato italiano non è presidiato. Sul lato francese, si muovono almeno dieci agenti di frontiera. Parigi sta inviando rinforzi per fermare i tunisini che entrano dall'Italia. La fila di emigranti torna indietro. Si scende sul sentiero che porta ai Balzi Rossi, un paesaggio di grotte e pareti a strapiombo sul mare. Qualcuno crede sia una via alternativa. Invece ci si ritrova ancora al valico di Ponte San Ludovico. Due ventenni si siedono sfiniti su un muretto a osservare. Rimangono a lungo in silenzio. Davanti all'acqua, alla loro nuova vita, i rumori del traffico, ì riflessi del tramonto nel golfo perfettamente calmo. Gli altri dieci vanno sotto un ponte della ferrovia. Trovano due materassi su cui riposare. Non sono i primi a nascondersi qui. Prima che faccia buio la polizia francese se ne va. Quella italiana non si è mai vista. È il momento di passare. «Non in gruppo. Tenete la distanza, altrimenti ci sco¬prono», si arrabbia il primo della fila. Si muovono piano ora. Un po' per il mal di piedi, un po' per sembrare gente senza fretta, in vacanza. Vanno a prendere l'autobus per Nizza. Per loro, e per tanti altri dopo di loro, è fatta.
GIOVEDÌ 24 MARZO. La mezzanotte scocca sul regionale partito alle 23.32 da Ventimiglia. Nessun controllo ai binari. Nemmeno in Francia c'è polizia a quest'ora. È vuota la stazione di Mentone. Hussein e tre suoi amici si sono seduti a metà treno. Altri 30 tunisini si sono disseminati lungo le quattro carrozze. Hussein informa tutti che non dobbiamo scendere a Nice Ville, la stazione principale: «Mi hanno detto che è piena di poliziotti». Scendiamo a Nice Riquier, la fermata prima.
Ci si ritrova in piazza, davanti alle porte ormai chiuse di Nice Ville. Abdel Majid è arrivato su un treno della sera. Calma la fame bevendo la sua terza lattina di Redbull in un'ora. E fuma sigarette. C'è tempo fino all'alba per raccontarci del futuro e del passato. Ma jid dice di avere trascorso una notte in mare e sei giorni a Lampedusa. Poi il Cara di Bari: «Sono scappato due giorni fa. Sono due giorni che non dormo e tre giorni che non mi tolgo le scarpe», sorride: «A Parigi mi aspettano mio padre e mio fratello. Non sono venuto in Europa per rimanere in Italia. Vedo come gira. Poi tra sei mesi torno in Tunisia. Ci sarà un governo democratico. Vedrai che tra sei mesi torneremo in tanti. Ci sarà lavoro, vedrai». Quello di Abdel Majid è un caso tipico: «I consolati francesi non ti concedono il visto nemmeno se vuoi andare a trovare tuo padre. Mio padre vive e lavora in Francia da 20 anni, mia mamma è morta, lo lavoravo come muratore in Libia, a Zuwara, quando è scoppiata la rivolta. Sono stato tra i primi a scappare in Tunisia. Mio padre mi ha detto: vieni qui, finché non fi¬nisce. Ma se non hai un conto corrente pieno di soldi, la Francia non ti fa entrare. Per questo i tunisini devono passare da Lampedusa». Majid riparte per Parigi con il Tgv delle 6.35.
Poco più tardi a Ventimiglia una pattuglia di carabinieri ciondola avanti e indietro nell'atrio della stazione. Due poliziotti in divisa fanno scendere dai treni per Nizza alcuni nordafricani senza docu¬menti. Succede anche con il regionale delle 12.47. Non sono cambiati gli ordini. Semplicemente c'è in giro il cameraman di una tv locale. La polizia fa i controlli la mattina. Ma soltanto quando accorrono in visita il sindaco, i funzionari della prefettura, qualche assessore.
Poco dopo l'una decine di tunisini scendono dall'Intercity partito da Milano alle 9.05. Dalle 13.47 altri treni partono ogni ora per la Francia. Il camera¬man se n'è andato, le autorità pure. Carabinieri e polizia presidiano il marciapiede al binario 1, proprio dove attendo¬no le carrozze per la Costa Azzurra. E nessun immigrato deve più scendere. La sera, tra i tanti in attesa, si fa avanti un passatore. È un franco-tunisino che vive a Nizza: «Per 150 euro ti porto di là». E la polizia? «Io sono la polizia», dice lui e ride: «Mio fratello fa il poliziotto in Francia. È un viaggio sicuro».
VENERDÌ 25 MARZO. Aziz dà informazioni ai connazionali appena arrivati. Ma non è una buona fonte. Dice che lui ci ha provato quattro volte. E che per quattro volte è stato riportato dalla polizia francese alla frontiera di Mentone: «Per quattro volte mi è toccato tornare a piedi a Ventimiglia». Più o meno dieci chilometri. Racconta anche di un ragazzo bloccato da un mese e respinto 20 volte. Lo cerca. Non si trova più. Forse la ventunesima gli è andata meglio. Alle quattro del pomeriggio la polizia francese si allontana dal valico di Mentone. Zeid, 35 anni, e due connazionali ne approfittano subi¬to. Passano a piedi sul lungomare. Uno dei tre tiene bene in vista la chiave di una Volkswagen: « L'ho trovata per terra », dice: «Così penseranno che ho parcheggia¬to qua vicino». Ogni stratagemma è buono. Mentre cammina veloce, Zeid racconta che fa l'imprenditore: «Vado a Marsiglia a trovare mio padre. Vive lì dal '69, lui è più francese che tunisino. Penso però che tornerò. Ho una piccola ditta di trasporti in Tunisia, non mi posso lamentare. Non mi hanno dato il visto, per questo entro in Francia da clandestino».
Quelli bloccati a Ventimiglia si ritrovano al tramonto alla foce del fiume Roja. Lo stesso punto descritto ottant'anni fa dal premio Nobel Salvatore Quasimodo, dove soffia «un vento grave d'ottoni». Ma il loro interesse non è l'intensità del paesaggio. Raccolgono e mangiano molluschi vivi, accompagnandoli con qualche morso di pane. Hanno finito i soldi, è l'unico pasto. «Vorrei tornare», confessa un amico di Aziz: «In Tunisia qualcosa da mangiare te la danno sempre. Qui soltanto l'acqua la trovi gratis. Vorrei tornare ma nessuno sa spiegarmi come fare».
La sera a decine prendiamo il regionale per Cannes delle 19.47. Najib, 32 anni, deve raggiungere a Parigi il figlio di 7 anni e la compagna che non vede da quando un anno fa è stato espulso. Suo cugino Faysal, poco più di vent'anni, è uno smanettone di Facebook. Alle 20.05 di lunedì 14 marzo scrive da un Internet point di Roma il messaggio che i suoi 169 amici aspettavano ansiosi da giorni: «Faysal in Italy». Il terzo è un loro amico. I poliziotti ci scrutano attraverso i finestrini. La capostazione fischia la partenza. Un graduato della polizia ferma il treno già in movimento. I tunisini si guardano intorno spaventati. Salgono due agenti. Ma subito si capisce che il problema non sono i clandestini. Chiedono i documenti al fotografo de "l'Espresso" che ci sta seguendo da un'altra carrozza. Poco dopo si riparte. Alla stazione di Mentone appare sul marciapiede lo sguardo di un agente della polizia francese. Najib si fa piccolo sul sedile per nascondersi. Avranno la stessa età e a tutti e due scappa un sorriso. Il poliziotto con l'indice sulle labbra fa capire che non avvertirà i colleghi. Il treno richiude le porte. «Siamo in Francia?», chiede Najib a una passeggera. «Siamo in Francia», ripete a suo cugino Faysal, «il cuore mi batte forte». Un'ora e mezzo più tardi scendiamo nella capitale del cinema. "Welcome", benvenuti, è scritto su un cartello di Cannes. Ma è solo un modo di dire. Prima di uscire dalla stazione, ci si nasconde a lungo nella sala d'attesa. «Noi cerchiamo un bus per Marsiglia», dice Najib. E spariscono come fantasmi.
SABATO 26 MARZO. I bagni della stazione di Ventimiglia restano finalmente aperti anche la notte. Fa più freddo del solito e i macchinisti hanno parcheggiato un treno con le porte spalancate.
Qualcuno ne ha approfittato per salire a dormire. Polizia, carabinieri, personale delle Ferrovie stanno affrontando l'emergenza con umanità. Ora i tunisini scappano anche dal nuovo centro di Mineo, in provincia di Catania. Dagli Intercity Milano-Genova-Ventimiglia ne scendono i primi cento. E troppi ne sal¬gono sul regionale delle 13.47. I poliziotti italiani ci lasciano partire. Ma è sabato, la Costa Azzurra è piena di turisti. Alle 14.36 il treno si ferma a Nice Ville.
Un colpo d'occhio basta per vedere gendarmi e agenti ovunque. In mezzo al¬la folla, vicino alle uscite, davanti ai sottopassi. «Signore, per favore, documenti», la mano forte di un gendarme stringe il braccio di un ragazzo che fa finta di non sentire. L'ha tradito il volto arabo. Finiamo in un angolo. Il brigadiere, il più alto in grado, chiede a un poliziotto cosa deve fare ora che ne ha presi quattro: «Siamo il gruppo di rinforzo appena arrivato in città», si presenta. Ci portano nell'ufficio di polizia in stazione. Perquisizione di zaini, tasche, mutande, scarpe, calze. Due tunisini ci osservano dal vetro blindato di una camera di sicurezza. «Dammi il polso sinistro», dice un ventenne in divisa. Click e l'acciaio si stringe sulla pelle. Un graduato della polizia protesta: «Questi qua li dovevano fermare a Mentone. Cosa stanno facendo al confine?». Ci scortano ammanettati a due a due. Saliamo su un furgone bianco. Quattro stranieri, quattro gendarmi di guardia e un poliziotto al volante. Lo¬ro parlano del caos in Italia e delle misu¬re di Sarkozy. Qui dietro il silenzio è to¬tale. Il centro di detenzione per immigrati nella Caserne d'Auvare, a Nizza Est, è un solido cubo di cemento e finestre blin¬date. Dentro un ufficio ci chiedono no¬mi e nazionalità. Ahmed, jeans e giubbotto in finta pelle, viene da Medenine, una delle ultime città prima del confine libico. «Ora la prefettura vi darà il foglio di espulsione», lo avverte una ragazza in borghese: «Di solito vi riportiamo al confine con l'Italia, da dove siete venuti. Ma oggi è sabato e tra qualche ora sarete liberi. Entro sette giorni però dovrete lasciare la Francia. Se vi riprendono, centro di detenzione e rimpatrio in Tunisia. Chiaro?». Un poliziotto spiega ai gendarmi che il consolato tunisino collabora e in 17 giorni i fermati vengono di solito rimpatriati. La porta resta aperta.
La vignetta appesa in corridoio è delicata come un pugno. Gioca sul significato di sans-papier, clandestino, e papier, carta igienica. «Aiutare un sans-papier è un delitto», sostiene il titolo. «Cara, non ho la carta », grida il marito chiuso nel bagno. «Fottiti», gli dice lei con un'espressione che suona anche come «fattela addosso ». Se i tunisini avessero risposto così ai 150 mila lavoratori di tutto il mondo arrivati stremati dalla Libia, oggi conteremmo migliaia di morti.

 

Lampedusa, le navi vanno via vuote Berlusconi: "Cento rimpatri al giorno"
Due traghetti, che non hanno potuto attraccare per il maltempo, sono ripartiti senza immigrati. La dichiarazione del premier nel corso della riunione della cabina di regia  sull'emergenza immigrazione. La nave Excelsior è approdata stamani in Puglia: circa 50 pullman porteranno gli immigrati nella tendopoli di Manduria
la Repubblica, 01-04-2011
Vanno via senza passeggeri due delle navi approntate dal governo per imbarcare i migranti attualmente presenti a Lampedusa. Sull'isola anche stamattina il vento di ponente, che spira a 20 nodi, ha impedito alle navi di attraccare. Così, due traghetti sono riparti senza clandestini. Sono il "T Link" e il "Clodia", rientrati rispettivamente a Termini Imerese (Palermo) e Porto Empedocle (Agrigento). Secondo quanto si apprende, le due navi erano state impegnate per due giorni e dopo aver inutilmente atteso di imbarcare migranti a Lampedusa sono ripartite. Al momento per i trasferimenti dall'isola sono presenti la "Superba" di Grandi Navi Veloci e la "San Marco" della marina militare.
E' arrivata a Taranto, intanto, la nave "Excelsior", la prima partita ieri da Lampedusa, con a bordo 1.716 immigrati. Al porto sono pronti circa 50 pullman che porteranno gli immigrati a Manduria, dove è stata allestita una tendopoli e dove, nei giorni scorsi, erano stati già trasferiti circa 1.300 migranti. La seconda nave, la "Catania" della flotta Grimaldi, con a bordo altri 600 stranieri, arriverà intorno alle 14.
"Il nostro obiettivo è rimpatriare cento tunisini per volta al giorno con ponti aerei". Lo avrebbe detto, secondo quanto si apprende, il premier Silvio Berlusconi agli enti locali nel corso della riunione della cabina di regia sull'emergenza immigrazione in corso a Palazzo Chigi.



Il governo del föra di ball
l'Expresso, 01-04-2011
Bruno Manfellotto
Vediamo un ministro della Lega che fatica ad arginare l'ondata degli immigrati e il capo della Lega che li vorrebbe cacciare via tutti. Regna la confusione. Mentre la Francia chiude le frontiere e ci rimanda i fuggiaschi(01 aprile 2011) Ma chi è il ministro degli Interni del quarto governo Berlusconi? Il Bobo Maroni che un mese fa prevedeva il grande esodo, immaginava l'Apocalisse, paventava centomila profughi in arrivo in Europa? O l'Umberto Bossi che pensando di interpretare la sua gente urla uno sbrigativo, padanissimo "Föra di ball"? Insomma, il responsabile del capitolo "caos immigrazione" ha il volto serio e allarmato dell'aspirante numero uno della Lega del dopo Senatùr, o la faccia feroce del Capo indiscusso e indiscutibile? E chi lo sa. La drammatica vicenda libica, dopo le rivolte di popolo in Egitto e in Tunisia e la tragica coda dei migranti in fuga verso Lampedusa, illumina aspetti oscuri del Bel Paese e di chi lo governa, e ne esalta limiti, ambiguità, contraddizioni. sulla pelle di migliaia e migliaia di donne e uomini disperati.
In verità, gli unici a trarre beneficio dai loro stessi errori sono proprio i leghisti. Il governo, di cui gli uomini in camicia verde sono da sempre i potenti azionisti di riferimento, finora non ha fatto granché per contenere l'arrivo dei migranti, nemmeno concordare una politica comune che servisse almeno a dividere con gli altri Paesi d'Europa il peso dell'emigrazione forzata proveniente dal Nord Africa in fiamme.
Inoltre, la Lega è impegnata in prima persona nella sfida: ma all'allarme del suo ministro ha fatto seguito un'azione tardiva, l'abbandono di Lampedusa al suo destino, l'individuazione di luoghi improbabili e invivibili dove stivare gli immigrati, e comunque pressoché impossibili da attrezzare allo scopo e attentamente scelti quasi tutti a sud di Napoli. Tanto per non smentirsi.
Forse la speranza, evidente ma non manifesta, è che siano gli stessi immigrati a risolvere il problema, per esempio fuggendo dai siti prossimi venturi e andandosene altrove. Magari in Francia. Da dove, come testimonia Fabrizio Gatti nel suo reportage, essi vengono immancabilmente rimandati in Italia dalla polizia di confine: intanto, per coprire ritardi, inefficienze e perdite di tempo, tg e giornali amici provvedono a inquadrare anche questi episodi nella guerra franco-italiana scatenata da Monsieur Sarkò. Perfida Gallia.
In quanto al premier, lo abbiamo visto abbandonare per un giorno il predellino dell'automobile circondata dalle truppe della Santanchè adunate a sua difesa dinanzi alla Procura di Milano e sbarcare a Lampedusa, altro che Bertolaso, sempre con telecamere e cronisti al seguito. Speriamo che non finisca come a Napoli e all'Aquila: promessa dopo promessa, lì la monnezza non è mai scomparsa; qui le case ricostruite le vede solo una comparsa pagata da Mediaset per dire balle in tv. Fiction.
Così stanno le cose. Ma il paradosso vuole (lo ha sottolineato bene Stefano Cappellini sul "Riformista") che la pochezza degli atti di governo e la conseguente incapacità a contenere e organizzare i flussi d'immigrazione, o a far fronte a un'emergenza annunciata da mesi, consentano alla Lega di governo di vestire anche i panni della Lega di lotta e di fare demagogia e bassa propaganda un tanto al chilo cercando di lucrare consensi tra i cittadini impauriti e preoccupati. Sembra la tragica parafrasi della battuta di Nanni Moretti: mi si nota di più se risolvo il problema o se grido al lupo al lupo?
Poi, certo, c'è chi dice che sono solo chiacchiere da Transatlantico, che la Lega è pur sempre una compagna di strada affidabile, tanto che è bastato poco a convincere lo stato maggiore del Pd ad astenersi al Senato per un rapido via libera al provvedimento sul federalismo. Perché sapete com'è, dicono, Bossi urla urla, però in fondo è un brav'uomo, serio e bonaccione. E va bene, d'accordo, ma almeno quelli del Pd potevano garantirsi che l'Umberto evitasse di dire pochi giorni dopo che la sinistra vuole riempire l'Italia di immigrati solo per farli votare. Sognare un ribaltone all'insegna del "Föra di ball" non porta tanto lontano.



Attenzione alle parole
la Repubblica.it,  01-04-2011, Blog
Laura Boldrini

In questi giorni il dibattito pubblico sugli arrivi via mare a Lampedusa  è più che mai acceso e confuso. Nei giornali, come nelle trasmissioni televisive e radiofoniche sia i conduttori che gli ospiti – spesso esponenti delle istituzioni e ministri – per definire coloro che sbarcano sulle coste italiane alternano indistintamente parole come profughi, clandestini, extracomunitari, rifugiati.
Il termine che va per la maggiore, il più inflazionato e utilizzato è senza dubbio “clandestino” che porta sempre con sé qualcosa di negativo, un carico di pregiudizio. Clandestino è una persona che si deve nascondere, che è  pericolosa: usare questo termine significa bollare le persone che arrivano in Italia prima di sapere chi sono.
Vengono chiamati “clandestini” i migranti irregolari che arrivano via mare per motivi economici, per cercare un lavoro e mandare i soldi a casa. Ma anche chi sulla carretta c’è dovuto saltare per mettersi in salvo e arrivare in un posto sicuro, i richiedenti asilo.
Quando si scappa dal proprio paese perchè in fuga dalla guerra, dalla violenza, dalla violazione dei diritti umani e dalla persecuzione, lo si fa con ogni mezzo. Perchè non si ha scelta e magari neanche i documenti. Spesso si è costretti a rischiare la propria vita. Queste persone, per il fatto che arrivano via mare, in Italia vengono subito etichettate “clandestini”.
Giuridicamente esistono i migranti irregolari e i richiedenti asilo.
Usare la parola “clandestino” non è un’ esemplificazione. Significa contribuire ad alimentare la paura, l’ansia e avvelenare il pozzo poco a poco. Perchè il linguaggio condiziona fortemente la percezione del fenomeno.
Oggi l’opinione pubblica invece di mettersi nella condizione di favorire l’accoglienza, si sente messa di fronte a un’invasione di persone minacciose. E questo stato d’animo – come stiamo vedendo in questi giorni in varie parti del Paese – ha delle ripercussioni negative anche sull’organizzazione stessa dei piani di intervento. In molti si oppongono e manifestano contro la tendopoli vicino casa. Vedendo tutto ciò viene da chiedersi dove sia finita la solidarietà italiana.
Nel 1999 durante la crisi del Kosovo tutti volevano fare qualcosa, o inviare aiuti e doni o organizzare l’accoglienza sul territorio italiano, una vera gara di solidarietà tra enti locali, associazioni e circoli. Oggi tutto ciò sembra solo un lontano ricordo. Forse è giunta l’occasione di recuperare le nostre migliori tradizioni e di riappropriarci di quei valori di umanità e generosità che nel tempo hanno sempre caratterizzato la cultura italiana.



Da WikiLeaks: "Negati i diritti dei rifugiati
l'Espresso, 01-04-2011
STEFANIA MAURIZI
«Ho visto cose che non avrei mai immaginato». Il comandante della Guardia costiera di Lampedusa accoglie così i diplomatici americani sbarcati per capire cosa accada nell'isola. Un'ispezione che si è tradotta in un dossier inviato a Washington per descrivere le condizioni dell'avamposto d'Europa, lì dove si misura l'efficacia della politica italiana sull'immigrazione. Il rapporto ottenuto da WikiLeaks e pubblicato in esclusiva da "l'Espresso" mostra tutte le contraddizioni del nostro Paese. La delegazione del consolato statunitense di Napoli arriva «nell'ultimo lembo di Europa» nel maggio 2009, quando l'ondata di disperati in fuga dall'Africa è ai minimi assoluti. Gli americani ritengono che il trattamento riservato ai migranti «sia umano», anche se mettono in risalto la situazione inadeguata del centro di detenzione, parzialmente devastato da una rivolta di tunisini. Il problema principale riguarda il destino «delle persone che fuggono da guerre e persecuzioni che rischiano di non essere in condizioni di ottenere l'asilo». Questo non riguarda solo i più sfortunati, quelli che vengono rispediti in Libia in base agli accordi tra Roma e Tripoli, ma tutti i migranti costretti a misurarsi con procedure poco chiare. Sui respingimenti i giudizi sono molto negativi. «Sia le autorità italiane del centro di identificazione, sia il personale delle Nazioni Unite ci hanno detto che molte donne che sbarcano a Lampedusa sostengono di essere state violentate e malmenate nei campi di detenzione libici». Ossia nelle stesse strutture dove il governo Berlusconi ha rispedito i migranti arrivati sulle coste italiane. Dei limiti di quella politica si discute in un altro documento parallelo, stilato nello stesso 22 maggio 2009 dall'ambasciata di Roma. La linea dura contro i nuovi arrivati viene interpretata come un'operazione politica della Lega, che costringe i moderati del partito berlusconiano ad accettare le misure più severe. «Gianluca Pileri, capo dello staff del coordinatore Pdl Denis Verdini, ci ha detto che il Pdl ha aumentato la sua retorica anti-immigrati sulla scia di questo successo della Lega per assicurarsi che l'alleato di minoranza non intascasse tutti i benefici elettorali». Questa mossa non è piaciuta al sindaco di Lampedusa, Bernardino De Rubeis. «che come molti politici italiani ha cambiato partito diverse volte». Il primo cittadino già due anni fa si mostrava estremamente critico nei confronti del governo e dei patti con la Libia «che tradiscono la tradizione di accoglienza umanitaria degli isolani». Evoca «patti segreti tra Berlusconi e Gheddafi» e definisce «inaffidabile e irresponsabile» il leader di Tripoli. Ma all'epoca per Roma era un alleato prezioso. E quando i diplomatici chiedono al capo della polizia di frontiera se l'Italia avesse garanzie sul trattamento degli immigrati rimandanti in Libia, il prefetto Ronconi replica che «l'Italia considera ciò un affare interno della Libia». Ben diverso l'orgoglio di Achille Selleri, numero uno della Guardia costiera, «che si mostra orgoglioso di come i suoi uomini abbiano soccorso 44 mila persone sui barconi. Ha detto che è impossibile sapere quanti siano morti nella traversata ma ritiene che molte delle vittime non siano mai state ritrovate».



Interesse nostro e di chi arriva
Solidarietà alla prova
Avvenire, 01-04-2011
Marco Impagliazzo
«Amo il vostro modo di vivere e per questo sono partito. I Paesi arabi sono immobili. Forse ora cambierà qualcosa, ma ci vorranno anni». Sono le dichiarazioni di un giovane tunisino appena sbarcato a Lampedusa, testimone degli eventi epocali che stanno radicalmente trasformando la sponda meridionale del Mediterraneo. Sta emergendo una generazione che non si identifica con le proposte dell’Islam fondamentalista e non esita a sfidare regimi autoritari e corrotti in nome di un desiderio di libertà e democrazia troppo a lungo umiliato.
La transizione che si è avviata è difficile ma promettente. Da qui bisogna partire per riflettere sui nuovi flussi migratori. Per affrontarli, al di là dell’emergenza e dell’improvvisazione, è necessario maturare una visione, comprendere gli avvenimenti e intessere relazioni amichevoli con Paesi che vivono un cambiamento forse irreversibile. Obiettivi impensabili se si è guidati solo dalla paura dell’invasione e dalla ricerca di azioni unicamente di contrasto.
Andrebbe ricordato come, dopo il turbamento e le paure iniziali, i rivolgimenti verificatisi in Albania e nell’ex Jugoslavia abbiano prodotto effetti positivi nel nostro Paese. I profughi di ieri sono oggi nostri coabitanti in un tessuto di integrazione spesso riuscito. Ciò che manca, oggi, è un più generale sguardo solidale di simpatia verso i nuovi arrivati. Da troppi anni gli europei guardano con sospetto e antipatia le popolazioni arabe, tollerando il perpetuarsi di classi dirigenti illiberali.
Oggi l’Italia è impegnata in un’opera di accoglienza che avrebbe bisogno di maggiore umanità e unanimità, ma anche di un’adeguata partecipazione degli altri Paesi europei. Manca una risposta comune a un fenomeno che è rivolto all’intero Vecchio Continente. Sollevare Lampedusa dal peso della prima accoglienza è urgente, ma senza disprezzare la domanda di chi cerca un futuro migliore. Sono giovani e giovanissimi. Ed è tutto il mondo dei migranti ad avere un volto giovane. L’età media delle popolazioni dell’Unione è di 40,6 anni, mentre quella degli stranieri è di 34,3. In Italia e Spagna la differenza cresce fino a superare i dieci anni. Un’Europa invecchiata ha estremo bisogno degli immigrati. Essi sono all’origine di effetti impensabili. Un rapporto dell’Anci rivela che un numero significativo di piccoli Comuni italiani si è rivitalizzato proprio grazie all’inserimento degli stranieri. In Calabria, Caulonia e Riace sono divenuti esempi europei di best practice – come ha mostrato un interessante documentario di Wim Wenders – per la scelta dei sindaci di offrire ai profughi curdi le case abbandonate dai migranti italiani tre o quattro generazioni fa. Un grande servizio è offerto poi dalle donne migranti, più della metà del totale. Lavorano a servizio della persona, come badanti, infermiere, collaboratrici domestiche. Tante famiglie italiane si reggono sul loro apporto, ma reperirle è sempre più difficile. E i contributi pagati da stranieri hanno risanato gli enti previdenziali nostrani.
Gli immigrati, tuttavia, non costituiscono solo una risorsa economica. Contribuiscono al ringiovanimento della società e ravvivano tessuti relazionali esangui. Ciò non significa negare gli aspetti negativi o problematici dell’immigrazione. Sono sfide che richiedono connessioni e lavoro, per realizzare una convivenza non subìta, bensì costruita, pensata e voluta. In un’epoca che vede la differenza di ricchezza tra Nord e Sud crescere come mai in passato e farsi abisso, «è un’illusione pensare di vivere in pace, tenendo a distanza popoli giovani e stremati dalle privazioni», come ha osservato il cardinale Angelo Bagnasco. La sua esortazione a «coinvolgerci», come «unica strategia plausibile dal punto di vista morale ma anche sotto il profilo economico-politico», deve essere raccolta al più presto.



SONO I PRIMI TRA QUELLI DELL'EMERGENZA SBARCHI A LAMPEDUSA DI QUESTI GIORNI
Arrivati in treno 150 tunisini  La Polfer ne ha bloccati 40
Si sono allontanati dai luoghi di raccolta e di identificazione e sono saliti sul convoglio a Bari
Corriere della Sera, 01-04-2011
L'arrivo dei tunisini in Stazione Centrale (Vince) MILANO - I primi tunisini che si sono allontanati dai luoghi di raccolta e di identificazione con l'intenzione di recarsi verso nord, a Milano, sono stati bloccati nel capoluogo lombardo; la maggior parte però sono riusciti a far perdere le loro tracce. Gli immigrati sono giunti a Milano venerdì mattina in treno. In Stazione Centrale era stato predisposto un servizio di osservazione da parte della Polfer che li ha intercettati, bloccandone una parte, mentre molti altri sono riusciti ad eludere i controlli. Secondo quanto si è appreso, gli immigrati tunisini sono i primi tra quelli dell'emergenza sbarchi di questi giorni, a giungere a Milano. Ne erano stati segnalati oltre un centinaio sui treni in arrivo dal sud, e in effetti, intorno alle 9.30 di venerdì, ne sono scesi in stazione Centrale circa 150.
I tunisini accompagnati in questura (Vince) 40 BLOCCATI - La Polfer aveva predisposto un servizio di osservazione e ne ha bloccati una quarantina, che sono stati accompagnati in questura per le pratiche di fotosegnalamento. I nordafricani, quasi tutti ragazzi sui vent'anni, erano saliti in treno a Bari. Sono arrivati in stazione Centrale con il treno 784 proveniente da Reggio Calabria, che è arrivato nel capoluogo lombardo con un'ora di ritardo. I ragazzi sono scesi tutti insieme dal convoglio confondendosi con i viaggiatori, e quindi è stato possibile bloccarne solo una parte. I servizi di controllo nelle stazioni milanesi proseguono perché si ritiene che a breve possano arrivare altri immigrati.



80 milioni (buttati) per respingere
l'Unità, 31-03-2011
Maria Novella Oppo
E così, mentre Berlusconi si esibiva a Lampedusa e La Russa sputtanava il Parlamento a Roma, le barche dei migranti continuavano a cercare la salvezza sulle nostre coste. Qualcuna anche ad affondare, sono cose che capitano, come è capitato anche l’altra notte, con un bambino morto. Ma tanto, a Bossi non interessa e il presidente della Regione Lombardia, Boni, a Exit, rideva soddisfatto alla notizia. D’altra parte, continuano a ripetere che, una cosa sono i tunisini, per definizione clandestini e quindi da respingere al mittente, un’altra cosa i profughi libici che, quando arriveranno, saranno rifugiati e quindi accolti. Magari splendidamente, come i somali che, a Roma, per anni sono vissuti tra i topi nella palazzina che era stata la loro ambasciata. Anche se la perfida Europa ha versato all’Italia ben 80 milioni di euro per gli immigrati. Ma chissà che cosa ne avrà fatto Maroni: vuoi vedere che li ha spesi tutti per cacciarli? Perché è chiaro che il governo leghista spende per respingerli più di quello che servirebbe per accoglierli cristianamente.



L’incapacità del governo di gestire i flussi che arrivano dall’Africa non è solo un problema legato all’emergenza.
C’è che è miope e sbagliata tutta la politica migratoria
IMMIGRATI I DUE SOLITI PESI: O CI SERVONO O FANNO PAURA
È già accaduto in America, in Germania, in Svizzera: l’immigrazione tende a trasformarsi in stanziale con buon pace degli ariani nostrani. Che però usano «gli stranieri»
l'Unità, 30-03-2011
Andrea Sarubbi
Mi ricordo di una singolare polemica, poco meno di due anni fa, tra Forza Nuova e la Lega nord.Siccome le camicie verdi volevano la sanatoria per
colf e badanti, i neofascisti li accusavano di incoerenza:quando uno era contro gli immigrati, infatti, doveva esserlo fino in fondo e non a seconda delle convenienze economiche.
Dal suo folle punto di vista, Forza Nuova aveva ragione: le obiezioni di Roberto Fiore mettevano il dito nelle contraddizioni della destra, che per uscire
dall’angolo si è inventata la favola dell’immigrazione circolare.
È vero che gli immigrati ci servono – ammettono ad esempio i neocon della fondazione Magna Charta, il think tank di Gaetano Quagliariello –maoggi
vanno e vengono: stanno qui giusto il tempo di mettere da parteun po’ di soldi e poi se ne tornano a casa loro. Investire sulla cittadinanza, insomma, è una perdita di tempo.
La teoria dei neocon nostrani, in realtà, non è particolarmente innovativa: è la stessa che guidò il governo americano una settantina d’anni fa, quando i maschi in età da lavoro erano tutti partiti per la guerra e non c’era nessuno che raccogliesse pomodori. Si misero d’accordo con il Messico per un’importazione di manodopera a tempo determinato: oggi gli hispanics sono il 15% della popolazione statunitense e nel 2050 saranno il 30%. Lo stesso fece la Germania, quando aveva bisogno di manodopera per la ricostruzione post-bellica e chiamò i gastarbeiter, i lavoratori ospiti: l’idea era quella di
farli restare il meno possibile e di rimandarli rapidamente a casa loro,ma basta rileggere la formazione della Nazionale tedesca agli ultimi mondiali di calcio – composta per metà da figli di immigrati – per capire che le cose andarono diversamente. Per tutti valgono le parole di Max Frisch, riferite all’immigrazione italiana in Svizzera: “Volevamo braccia, sono arrivate persone”.
Stati Uniti, Germania e Svizzera non rappresentano l’eccezione, ma la regola: al di là degli obiettivi di  partenza, nessun Paese è riuscito finora ad impedire
che l’immigrazione temporanea si trasformasse in stanziale. Un po’ perché nella patria d’origine si sta peggio, unpo’ perché magari nel frattempo sono nati
dei figli, gli stessi migranti tendono in stragrande maggioranza a fermarsi lì dove erano arrivati a cercare fortuna: che piaccia o meno ai nostalgici della razza ariana, questo è un dato di fatto anche in Italia, testimoniato dal numero crescente di bambini stranieri che ogni giorno vengono alla luce nei
nostri ospedali. Ne nascono circa 78 mila l’anno: più di 200 al giorno, più di 8 all’ora, più di 2 ogni quarto d’ora. I minori stranieri nati e cresciuti in Italia sono oggi 570 mila (una città più grande di Firenze e di Bologna); se ci aggiungiamo quelli arrivati qui da piccoli, che hanno studiato nelle nostre
scuole, sfioriamo il milione: se abitassero tutti insieme, sarebbero la quarta città italiana, a pari merito con Torino. Ma è una città invisibile, popolata da fantasmi, che la politica fa finta di non vedere.
Eppure, tutti gli altri li vedono benissimo: li vedono le ostetriche, le maestre d’asilo, gli insegnanti delle elementari, gli allenatori del minibasket, le suore del catechismo (perché spesso sono di famiglie cristiane, anche se la propaganda vigente preferisce puntare sull’invasione islamica), i professori delle medie e quelli del liceo. Li senti parlare con l’accento milanese o napoletano, li vedi tifare ai mondiali per la Nazionale, e non ti sfiora neanche il dubbio che siano
stranieri… perché in realtà non lo sono, tranne che per la legge. Una legge scritta 19 anni fa, in un’altra era geologica, e che appariva già vecchia nel 1997, quando la Convenzione europea chiedeva agli Stati di facilitare l’acquisto della cittadinanza per “le persone nate sul territorio e ivi domiciliate
legalmente ed abitualmente”. Potrebbe apparire una questione di principio,main realtà è molto di più. C’è innanzitutto un lato psicologico della vicenda, perché per un adolescente è importante sapere chi c’è dall’altra parte dello specchio. Ma ce n’è soprattutto uno pratico: fino a quando l’iter per l’acquisizione della cittadinanza non si completa, e normalmente ciò non accade molto prima dei trent’anni, i nuovi italiani sono di fatto dei cittadini di serie B. “Fin tanto
che le leggi non cambiano – mi scrisse su Facebook il mio amico Jaska, 26 anni, arrivato dal Punjab a Città di Castello quando ne aveva 6 – non potremo essere gli Obama italiani,ma nemmeno insegnanti, avvocati, magistrati, impiegati e dirigenti pubblici, ingegneri, architetti, notai, vigili del fuoco, poliziotti, militari, bidelli, autoferrotranvieri e qualsiasi altra attività che preveda l’accesso mediante concorso pubblico”. Di più: se finisci l’università e non trovi immediatamente lavoro, ti arriva un foglio di via che ti rispedisce immediatamente a casa. Anche se casa tua è sempre stata questa, anche se
non puoi concepire una patria diversa, anche se l’unica lingua che parli – perfino con i tuoi genitori – è quella che hai imparato a scuola e per strada, da piccolo, giocando con i tuoi amici. È un po’ singolare questa regressione culturale sul senso della patria, proprio nel 150esimo dell’unità d’Italia, perché
basterebbe la mescolanza di arabi e normanni in Sicilia a ricordarci come tra le nostre caratteristiche non ci sia mai stata la purezza della razza. Se mai, da noi è storicamente vero il contrario: ciò che distingue la civiltà romana da tutte le altre è la capacità di distinguere la gens, ossia il cerchio familiare
strettamente basato sul sangue, dalla civitas, ovvero la comunità basata su un patto condiviso e su un sentimento di appartenenza.
Per carità, non fu sempre facile: l’imperatore Claudio, ad esempio, arrivò a litigare con il Senato per estendere i diritti civili ai Galli. Ma poi la storia gli diede ragione, come racconta Tacito negli Annales: “La pace si consolidò all’interno quando i Transpadani furono accolti nella cittadinanza. I loro discendenti rimangono con noi e nell’amore verso questa patria nonsono a noi inferiori”. Molto meglio dei padani di casa nostra, che non cantano neppure l’inno.

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