12 aprile 2011

Decreto flussi con sorpresa: quanti datori di lavoro stranieri
Italia-Razzismo
l'Unità, 12-04-2011
Le prefetture d’Italia stanno iniziando a vagliare le domande del decreto flussi. Nell’ambito del tetto quantitativo stabilito a fine 2010 per gli ingressi regolari di colf, badanti e lavoratori subordinati non stagionali, per 83mila ingressi effettivi (più 15mila conversioni di permessi di soggiorno), da dicembre sono state presentate 403mila domande. La novità più rilevante è l’adesione massiccia di quasi 200mila stranieri come datori di lavoro. Nel primo click day (per i lavoratori provenienti dai paesi che hanno sottoscritto accordi di cooperazione con l’Italia), ben 159mila datori di lavoro stranieri hanno quasi eguagliato i 172mila italiani. I dati del Viminale, elaborati dal Sole 24 Ore, testimoniano che nel secondo click day (riservato al lavoro domestico da paesi senza accordi in materia migratoria) i datori di lavoro stranieri avrebbero superato quelli italiani. Quasi un terzo delle richieste totali è rappresentato da datori della Cina, seguiti da Costa d’Avorio ed Ecuador.
Già nella sanatoria 2009 per colf e badanti, i datori con nazionalità non italiana erano stati il 13%. Ed è la stessa Bossi-Fini mette su un unico piano i cittadini italiani e stranieri con un permesso regolare, quando anche questi ultimi abbiano capacità economica e una casa adeguata.
In Lombardia è stato presentato il numero più alto di richieste, destinate ad essere accolte per il 16%, in Emilia Romagna per l’8%, in Veneto per il 4%. In Piemonte, al contrario, l’esito positivo sarà del 34% e in Puglia addirittura del 62,5%.



IL VERTICE SULL'IMMIGRAZIONE
La Ue chiude le porte all'Italia Maroni: «Allora meglio soli»
Avvenire, 11-04-2011
È "prematura" l'attivazione del meccanismo Ue di protezione temporanea per i rifugiati. Lo ha ribadito la commissaria Ue agli Affari interni Cecilia Malmstroem al termine della prima parte dei lavori del Consiglio Ue affari interni a Lussemburgo. "Una fortissima maggioranza di Paesi membri ritiene che sia prematuro, anche se ci rendiamo conto della fortissima pressione migratoria che stanno subendo Malta e Italia", ma al momento "non siamo ancora in una situazione per attivare" la protezione temporanea. La linea di Malta e Italia, che chiedevano l'attivazione del meccanismo Ue di protezione temporanea previsto dalla direttiva europea 55 del 2001, "non è passata". Lo ha confermato il ministro dell'interno della Valletta Carmelo Mifsud Bonnici, alla fine della prima sessione di lavori del Consiglio Ue affari interni a Lussemburgo dedicata all'emergenza immigrazione.
Il Ministro dell'interno Claude Gueant ha annunciato che la Francia schiererà "una compagnia della guardia repubblicana a rinforzo della polizia" per controllare "il rispetto delle regole della convenzione di Schengen". I gendarmi, ha affermato il ministro in una conferenza stampa a Lussemburgo in una pausa dei lavori del consiglio dei ministri Ue, "rinvieranno in Italia" i migranti dotati di permesso di soggiorno ma che non saranno in grado di dimostrare di avere mezzi sufficienti per vivere. "Non si deve dare alcun segnale che accettiamo immigrazione clandestina in Europa" ha affermato Gueant.
Pesante la reazione del ministro Maroni: "L'Italia è lasciata sola a fare quello che deve fare e che continuerà a fare. Mi chiedo se davvero abbia un senso continuare in questa posizione, a far parte dell'Unione Europea". Lo ha dichiarato il ministro degli interni, Roberto Maroni, lasciando il consiglio dei ministri Ue a Lussemburgo. Il consiglio dei ministri sull'immigrazione è stato "deludente" per l'Italia. Tanto che il ministro Maroni lo ha lasciato dicendo: "Meglio soli che male accompagnati".
"Siamo estremamente delusi dal comportamento dell'Europa che non potevamo neanche immaginare". Lo ha detto il ministro degli Esteri Franco Frattini.
La Commissione europea si attende una "piena cooperazione" da parte della Tunisia sul fronte immigrazione. Lo ha spiegato oggi a Bruxelles la portavoce della Commissione Ue, Pia Ahrenkilde, alla vigilia della visita di domani del presidente della Commissione Ue, Josè Manuel Barroso, a Tunisi. L'obiettivo del viaggio è quello di dare "il sostegno europeo alla transizione politica ed economica del Paese", ha detto Ahrenkilde. Sul dossier immigrazione "è probabile che il presidente tocchi l'argomento - ha aggiunto la portavoce - in maniera attiva: è chiaro che ci aspettiamo piena cooperazione dalle autorità tunisine su questo fronte e sono sicura che l'Europa e la Tunisia affronteranno la questione con uno spirito costruttivo di partnership".
NAPOLITANO: NO A RITORSIONI DELL'ITALIA
"Il mio animo è per un impegno forte dell'Italia in Europa affinché il nostro Paese continui tenacemente a perseguire una visione comune ed elementi di politica comune anche sul tema dell'immigrazione. Tutto questo senza nemmeno prendere in considerazione posizioni di ritorsione o dispetto o addirittura ipotesi di separazione", ha detto il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, al rientro dalla missione a Budapest al Ministro degli Esteri Franco Frattini. Il capo dello Stato è preoccupato dalle dichiarazioni fuori misura di esponenti del governo di fronte alle difficoltà opposte dall'Unione Europea e da alcuni Paesi membri alla richiesta italiana di condividere con l'Italia il problema del forte afflusso di immigrati dalle coste nord-africane.
MARONI
"Oggi vedremo se esiste un'Europa unita e solidale o se è solo un'espressione geografica": con queste parole il ministro degli Interni, Roberto Maroni, ha salutato i giornalisti al suo arrivo a Lussemburgo, dove è in programma la riunione dei 27 sull'emergenza immigrazione. "Abbiamo avanzato da tempo delle richieste precise - ha aggiunto Maroni, prima dell'inizio del Consiglio Affari interni - e oggi vedremo se c'è questa Europa unita e solidale o se non c'è".
Nei giorni scorsi la Commissione Ue si è espressa contro la richiesta italiana dell'attivazione della direttiva 55/2001 per la concessione della protezione temporanea a favore degli immigrati provenienti da zone in conflitto. Con una lettera al governo italiano, la commissaria agli Affari interni Cecilia Malmstrom, pur confermando la disponibilità dell'Unione europea a sostenere l'Italia con la missione Frontex e altre risorse finanziarie, ha anche espresso riserve sulla possibilità per gli immigrati dotati di permesso temporaneo di circolare nell'area Schengen.
"Gli immigrati arrivati in Italia sono illegali e devono tornare in Tunisia. Non hanno diritto alla protezione". Lo ha detto il ministro degli Interni spagnolo, Alfredo Rubalcaba, al suo arrivo a Lussemburgo. E arriva anche il "no" tedesco: la Germania "non può accettare" che "un gran numero di migranti economici arrivi in Europa e in Germania passando per l'Italia", ha detto il ministro degli Interni tedesco, Hans Pieter Friedrich. "Noi constatiamo che l'Italia dà permessi di soggiorno che permettono a un gran numero di migranti di raggiungere la Francia e la Germania. Per questo - ha continuato il ministro - la Francia ha introdotto controlli e anche l'Austria sta per farlo". Ma, secondo Friedrich, "non può essere nell'interesse dell'Europa che si sia costretti a introdurre controlli alle frontiere. Bisogna fare in modo che la situazione migliori nei luoghi d'origine dei migranti, c'è bisogno di una politica comune per migliorare la situazione economica in Nordafrica. Dobbiamo anche assicurarci che i controlli fra la Tunisia e l'Italia siano severi, perché nessun migrante venga in Europa". In questo contesto, la Germania auspica "che l'Italia faccia il suo dovere nel rapporto con la Tunisia".
Intanto altri due sbarchi di migranti sono avvenuti nella notte a Lampedusa. In porto, scortati dalle motovedette, sono arrivati due barconi rispettivamente con 98 e 128 immigrati. Con gli ultimi sbarchi è salito a oltre 1500 il numero dei migranti presenti sull'isola. Di questi 1500 500 circa sono profughi subsahariani arrivati dalla Libia ed il resto tunisini che, a partire da oggi, dovrebbero essere rimpatriati.
Un incendio è divampato all'interno del centro di accoglienza di Lampedusa dove da questa mattina è esplosa la protesta dei migranti che devono essere rimpatriati. Alcuni tunisini sono fuggiti dal
centro.



Cara Europa, sugli immigrati che delusione
Panorama.it, 12-04-2011
A Roma prevale la delusione, dopo il summit di ieri a Lussemburgo tra i ministri dell’Interno della Ue per risolvere l’emergenza degli sbarchi dal Nord Africa. Nel governo, ma non solo. Perché stavolta l’Europa, a cui abbiamo chiesto una mano chiedendo di distribuire il carico degli immigrati tra i vari Stati, c’ha dato in cambio un sonoro ceffone.
Basta dare una rapida letta alle dichiarazioni della maggioranza. Il più duro è stato proprio il ministro Maroni, ben conscio della difficoltà della missione in Lussemburgo. Ma certo non si aspettava che fosse del tutto impossibile convincere i governi dell’unione (21 su 27 sono di centrodestra), i quali gli hanno sbattuto la porta in faccia. Il ministro prima ha digerito l’amaro boccone; poi ha fatto spallucce: «Per ora l’Italia è stata lasciata sola a fare quello che deve fare. Mi chiedo se abbia un senso continuare a far parte dell’Ue». Gli ha fatto subito eco il ministro degli Esteri Frattini: «L’Europa resti con il suo egoismo, noi troveremo altre soluzioni». E mentre le opposizioni sono insorte, forti di nuovo materiale per attaccare il governo, dalle parti della Lega e del PdL predomina il rancore verso Bruxelles. Che ormai è percepita come la città dei burocrati, non della politica comune: «Questa Europa ci rompe le scatole sulla lunghezza dei cetrioli, ma sull’immigrazione ci chiede di arrangiarci», ha sbottato Cota, governatore leghista del Piemonte.
Certo in serata la presidenza del Consiglio ha cercato di smorzare i toni «separatisti», riferendo in una nota di una telefonata tra Berlusconi e Barroso durante la quale il presidente Ue avrebbe concordato sulla necessità di un approccio europeo all’emergenza migratoria e per una soluzione condivisa del problema. Insomma, qualcosa dopo le proteste del governo si starebbe muovendo, anche se l’impressione è quella della magra consolazione di una pacca sulla spalla.
Perché la maggior parte dei governi della Ue ha le idee piuttosto chiare in merito: sì a soldi e mezzi per il pattugliamento delle acque, no alla distribuzione del carico degli immigrati arrivati in Italia (non a Malta, a cui Germania, Svezia, Norvegia, Portogallo, Spagna e Belgio hanno promesso di dividersi un migliaio di richiedenti asilo; la procedura della direttiva 55 del 2001 non si può far scattare invece in Italia perché non c’è un flusso abbastanza rilevante di rifugiati dalla Libia). I permessi rilasciati per decreto dal nostro Paese per motivi umanitari a 21.000 «migranti economici» dalla Tunisia, inoltre, non violano le regole di Schengen, sebbene quelle stesse regole autorizzino le polizie dei paesi confinanti a rispedire in Italia tutti quelli che non hanno abbastanza soldi per vivere. E la Francia, tanto per cambiare, ha già annunciato retate nelle zone di confine.
Maroni, pur sbuffando, ha approvato con riserva il documento del consiglio. Un «atto responsabile», che evita il fallimento tecnico della riunione e che permette, soprattutto, di avere più risorse per Lampedusa e Puglia, più mezzi per Frontex per il controllo delle frontiere, che si farà anche in Tunisia e non solo in mare, e sostegno nelle trattative con Tunisi per i rimpatri. Tuttavia, ad uscirne ammaccata, oltre l’Italia, c’è anche l’Unione, che conferma di non avere una politica comune sul versante della sicurezza, come del resto anche in politica estera (basta ricordare l’attacco alla Libia voluto da Francia e Regno Unito). Insomma, ha ragione Frattini a dire che in Europa prevale l’egoismo e che ogni Stato, alla fine, si fa gli affari suoi. Del resto, però, come si sarebbe comportata l’Italia se 21.000 clandestini fossero sbarcati in Grecia e Atene ci avesse chiesto di accoglierne almeno qualche migliaio?



Maroni: inutile restare in Europa
Sconfitta la nostra linea: "Meglio soli che male accompagnati". Il presidente Ue sorpreso: "Non ce ne aveva parlato"
La Stampa, 12-04-2011
MARCO ZATTERIN
Roberto Maroni esplode dopo una sconfitta pesante e attesa. «Oggi il messaggio è "Cara Italia, devi fare da sola"», dice il ministro dell’Interno, in piedi davanti alla telecamere nel cortile del palazzo del Consiglio, con le braccia che si aprono e sottolineano la delusione. I colleghi europei gli hanno rifiutato la proposta di ridistribuire tutti i migranti, clandestini compresi, fra i Paesi dell’Unione. Non c’è base giuridica e poi sarebbe un segnale che alimenterebbe il flusso, hanno spiegato. Inutile. «Mi chiedo se davvero abbia un senso continuare a far parte dell’Ue - lamenta il leghista -. Ci hanno lasciati soli». Poi aggiunge: «Meglio soli che male accompagnati».
È uno scontro senza precedenti nel pedigree dell’Italia Paese fondatore dell’Europa. Ostaggio dell’ondivaga politica interna, quella fra Roma e i partner di Bruxelles somiglia sempre più a una disputa fra sordi. Non c’erano consensi per le nostre posizioni e Maroni ha tirato diritto, quasi a cercare l’incidente. Ha ripreso le parole del premier a Lampedusa e le ha amplificate.
La rottura s’è consumata nel dibattito sulle «Migrazioni dal vicinato del Sud», al momento di limare le conclusioni. Nel testo c’erano le invocazioni di solidarietà e di assistenza ai rifugiati, la richiesta di fondi aggiuntivi e il rafforzamento di Frontex, l’agenzia che vigila sulle frontiere comunitarie, anche sotto forma di un pattugliamento navale che ampliasse quello deciso venerdì da Italia e Francia.
Quadro insufficiente, per Maroni. Il ministro ha intavolato un emendamento per proporre una grande riallocazione continentale degli immigrati clandestini. «Irricevibile», ha assicurato una fonte della Commissione. Lo spagnolo Alfredo Rubalcaba, pur esprimendo comprensione per le difficoltà di Roma, l’ha definita «non una buona idea» e aggiunto che «gli immigrati arrivati in Italia sono illegali e devono tornare in Tunisia». Contrari tutti. Fra i più caparbi Austria, Slovacchia, Finlandia. Il leghista ha ritirato la proposta, senza però porre il veto come avrebbe potuto.
«L’Italia l’ha approvato con riserva e il testo è passato», riassume l’ungherese Shandor Pintor, presidente di turno dell’Ue. Maroni ha incassato. Quando esce dal consiglio, rinuncia alla conferenza stampa d’ordinanza e va a parlare all’ingresso principale. Attacca subito l’Europa, «che si attiva per salvare le banche a fare la guerra, ma quando c’è da intervenire per aiutare un Paese in difficoltà si nasconde». Salva Cecilia Malmström, commissaria Ue agli Interni, e condanna tutto il resto. «Ci hanno lasciato soli», ripete. Come il premier, paventa l’addio all’Ue. Pintor è sobrio: «Queste cose non sono emerse in consiglio».
Caduta l’idea di condividere il fardello degli immigrati, morto il ricorso alla «clausola di emergenza» (servirebbe ad avviare un dibattito sulla ripartizione volontaria, «ma non c’è emergenza») è caduto anche il decreto sui permessi temporanei. «È in linea con i patti di Schengen - chiosa la Malmström - ma per poter circolare nell’Ue serve il passaporto». L’impressione intorno al tavolo è che sia un cavallo di Troia per smistare i tunisini. «L’Italia viola lo spirito di Schengen», accusa il tedesco Hanz-Peter Friedrich. Le carte temporanee sono «un passo per favorire la criminalità», rincara la dose l’austriaca Maria Fekter.
La Francia va oltre. Come la Germania assicura che rimanderà indietro tutti gli illegali che pizzicherà. Assicurando che i controlli saranno «non sistematici», manda nuovi uomini a vigilare sui confini e chiede di riformare Schengen per i rifugiati in chiave restrittiva. Concede che l’Europa dovrebbe negoziare con la Tunisia un accordo sui rimpatri come quello fatto a Roma. «Dispiace se Maroni è deluso - chiude la Malmström -, ma nessuno vuole che l’Italia abbandoni l’Ue». Segue l’elenco delle cose che l’Europa ha fatto per aiutarci. Lungo. Ma non abbastanza, per un governo che con l’Europa, non riesce proprio più a capirsi.



Ma la commissione apre all'Italia. Calderoli: allora attuiamo il blocco navale
«Permesso agli immigrati? E' presto» Maroni: «Che senso ha stare nella Ue?»
Stop dagli altri governi alla linea dell'Italia. Il ministro: «L'Europa ci lascia soli». Berlusconi: Barroso è con noi
Corriere della sera, 12-04-2011
MILANO - L'Europa boccia la linea italiana sugli immigrati. E' «prematuro» decidere l'attivazione della direttiva 55 del 2001 sulla protezione temporanea per i profughi dai paesi del Nord Africa: la proposta italiana di attivarla per far fronte all'emergenza immigrazione è stata respinta dal Consiglio Ue, come ha confermato la Commissaria per gli Affari Interni, Cecilia Malmstrom. «La maggioranza dei Paesi ritiene che la direttiva può essere utilizzata ma che non siamo ancora al punto di farlo». Condizione necessaria è infatti che ci sia una fortissima pressione di migranti da Paesi in conflitto: «Non ci troviamo ancora in una situazione tale da far scattare il meccanismo» ha ribadito Malmstrom.
«CHE CI STIAMO A FARE IN EUROPA?»- Amara la reazione del ministro italiano dell'Interno, Roberto Maroni: «Mi chiedo se abbia un senso continuare a far parte dell'Unione europea. «È stato un incontro deludente - ha aggiunto il ministro - e la linea passata è quella che l'Italia deve fare da sola. La riunione si è conclusa con un documento, sul quale c'è stata la mia astensione, che non prevede alcuna misura concreta. Noi, quando c'è stato bisogno, abbiamo espresso la nostra solidarietà verso la Grecia, l'Irlanda e il Portogallo. Ma a noi, in questa situazione di grave emergenza, ci è stato detto "cara Italia, sono affari tuoi e devi fare da sola"». Le critiche, ha precisato Maroni, non sono rivolte tanto alla Commissione Ue, quanto ai governi degli altri Stati membri. Nessun commissario ha infatti eccepito sul rilascio dei permessi da parte dell'Italia. «Ma questa - ha osservato il ministro - è una magra consolazione rispetto alla delusione di aver visto ancora una volta i paesi dell'Unione europea assolutamente indisponibili ad attuare misure concrete di solidarietà. La commissaria Malmstrom, cui va il mio apprezzamento e ringraziamento, è invece molto attiva nei limiti delle possibilità della Commissione». E la Malstrom di rimando: «Dispiace se il ministro Maroni è deluso. Nessuno vuole che l'Italia abbandoni la Unione Europea». Dure anche le parole del ministro degli Esteri, Franco Frattini: «Volevamo porre all'Europa il tema dell'immigrazione come un tema globale da affrontare insieme. È mancata la politica, l'Ue non è riuscita a parlare con una voce sola. L'Europa resti con il suo egoismo, noi troveremo altre soluzioni».
«E ORA IL BLOCCO NAVALE» - Della vicenda Maroni ha parlato al telefono anche con il premier Silvio Berlusconie secondo quanto si apprende, il Cavaliere ha condiviso l'analisi del ministro secondo cui l'Europa ha lasciato sola l'Italia ad affrontare l'emergenza immigrazione. In considerazione di ciò, il governo ha deciso di investire ulteriormente nella fase di attuazione dell'accordo bilaterale con la Tunisia per fermare le partenze ed aumentare i rimpatri. E proprio all'esigenza di contenere gli sbarchi fa riferimento un altro ministro leghista, Roberto Calderoli, pensa già al piano B: «Dopo l'egoistica e anticomunitaria posizione assunta oggi dall'Europa nei confronti di uno Stato membro diventa obbligatorio e urgente predisporre un blocco navale assoluto a difesa delle nostre acque e dei nostri confini, come peraltro previsto nell'accordo siglato dal ministro degli Interni, Roberto Maroni, con il Governo tunisino».
IL COLLOQUIO BERLUSCONI-BARROSO - Berlusconi ha poi parlato al telefono con il presidente della Commissione Europea, Josè Manuel Barroso. Nel corso del colloquio, lungo e molto cordiale - si legge in una nota diffusa da Palazzo Chigi - i due presidenti hanno ribadito il punto di vista comune sulla necessità di un approccio europeo all'emergenza migratoria. Berlusconi ha ringraziato Barroso «per il suo impegno personale e per quello della Commissione Europea per una soluzione condivisa del problema». Martedì Barroso sarà in Tunisia e secondo Palazzo Chigi «appoggerà la linea italiana nei confronti delle autorità tunisine».
SPAGNA E GERMANIA - «Non possiamo accettare - aveva spiegato il ministro dell'Interno tedesco Hans Peter Friederich nel corso della riunione con i suoi colleghi europei in Lussemburgo - che immigrati economici in gran numero vengano in Europa passando per l'Italia. Constatiamo - ha detto Friedrich - che gli italiani stanno concedendo dei permessi di soggiorno provvisori che "de facto" permettono ai migranti di venire in Europa. I francesi stanno rafforzando i controlli, e l'Austria ci sta riflettendo. Non sarebbe nell'interesse dell'Europa - ha sottolineato il ministro tedesco - essere costretti a introdurre nuovi controlli alle frontiere; speriamo che gli italiani compiano il loro dovere». Per Friederich l'Italia starebbe così infrangendo lo spirito di Schenghen. «Dobbiamo fare in modo - ha aggiunto - che la situazione migliori nei Paesi di origine (dei migranti, ndr) e che controlli rigorosi da parte di Tunisia e Italia evitino che i migranti vengano in Europa». «La Commissione ha ragione», ha osservato, da parte sua, il ministro dell'Interno spagnolo Rubalcaba. «Non si può attivare la clausola di solidarietà di fronte a questa situazione. I migranti tunisini - ha sottolineato il ministro spagnolo - sono illegali, e bisogna riportarli in Tunisia». All'obiezione dei cronisti circa la mancanza di volontà di Tunisi di riprenderli, Rubalcaba ha risposto: «Deve accettarli». Lo spagnolo si è detto «favorevole al fatto che l'Europa resti una regione d'asilo, uno spazio in cui quelli che hanno problemi possono venire e trovare la libertà, ma bisogna dire chiaramente che gli immigrati illegali devono tornare a casa loro; quelli arrivati dalla Tunisia - ha insistito il ministro spagnolo - sono per la maggior parte migranti economici e non hanno diritto all'asilo».
MALTA - La proposta dell'Italia e di Malta di attivare la direttiva sulla protezione temporanea dei rifugiati «non è passata» ha spiegato successivamente il ministro degli Interni maltese, Carmelo Mifsud Bonnici. «Ogni Stato membro - ha aggiunto il ministro di Malta - è rimasto sulle sue posizioni», con una larghissima maggioranza contraria all'attivazione delle norme in questione.



Non è l'Italia che deve vergognarsi
Bombe sì, profughi no

Avvenire, 12-04-2011
Giorgio Ferrari
È possibile vergognarsi dell’Europa? Della civilissima Europa, della culla della tolleranza, dell’esprit des lois, del sogno carolingio di un’unica grande nazione con comuni radici culturali, di quel mosaico di Stati finalmente pacificati dopo due conflitti mondiali e milioni di morti il cui traguardo più nobile e insieme più esaltante è (ma forse dovremmo dire: era)lo spazio di Schengen, incommensurabile conquista etica in un continente candidato a non avere mai più frontiere interne?
Sì, è possibile, e per quanto ci riguarda sta accadendo in queste ore e in questi giorni convulsi, dove quel club di ventisette nazioni che si proclama come "Unione Europea" sta offrendo al mondo – ma soprattutto a se stesso, alla propria sotterranea coscienza – la peggiore delle immagini possibili.Com’era largamente previsto, ieri in Lussemburgo è stata respinta la proposta italiana di protezione temporanea per i profughi dai Paesi del Nord Africa, la benedetta e ormai famigerata "Direttiva 55" che prevede l’immediata concessione dello status di rifugiato per un periodo di tempo limitato «a tutte quelle persone che fuggono da Paesi in cui la loro vita sarebbe a repentaglio in caso di rientro», persone che l’articolo 2 della Direttiva qualifica come «in fuga da zone di conflitto armato o di violenza endemica» o essere «a serio rischio, o essere state vittima, di sistematiche o generalizzate violazioni dei loro diritti umani». Un ritratto quasi perfetto di quelle migliaia di migranti in fuga dalle coste del Nord Africa, ma al tempo stesso un identikit che non convince la commissaria per gli Affari Interni Cecilia Malmström e ancor meno gli Stati membri, che ieri pomeriggio hanno sonoramente bocciato le richieste italiane, concedendo soltanto un’estensione dell’accordo italo-francese sul pattugliamento delle coste tunisine.
Sul drammatico problema dei profughi nordafricani si è largamente speculato in ogni direzione, vuoi amplificandone a dismisura la portata catastrofica (per numero di immigrati e per l’impatto sociale che avrebbero sul territorio), vuoi brandendoli come spauracchio nei confronti di una anacronistica koiné: in altre parole, appena al di là delle frasi di circostanza, l’Europa non ha fatto altro che considerare questi poveri migranti come un vascello di appestati da tenere alla larga dalle mura fortificate del continente.Quella stessa Europa che – pur nel guazzabuglio politico e diplomatico nel quale è usa navigare, dove ciascuno si muove in ordine sparso e spinto da interessi e pressioni interne che nulla hanno a che fare con la politica estera comune della quale la Ue dovrebbe farsi carico – ha impiegato molto meno tempo ad adottare l’opzione militare. Come dire, bombe sì, profughi no.
E sorvoliamo sui doppi e tripli giochi di cui la Francia si è resa protagonista: mentre Sarkozy scriveva a Barroso una lettera di critiche all’Italia e suggeriva di "chiudere" Schengen, il suo ministro mostrava solidarietà al nostro governo.
A proposito del quale, pur nella discutibile sequenza di talune scelte ondivaghe, non possiamo non rimarcare come in breve tempo sia avvenuto un sostanziale recupero di civiltà, passando dal meccanico respingimento dei migranti che si presentavano alle porte di casa a quell’accoglimento provvisorio che implica il guardare in faccia le persone, per riconoscerne i diversi casi, e che può preludere all’attribuzione dello status di rifugiato. Era ora. Ma questa giusta svolta (ieri riconfermata dal ministro Maroni) ha fatto levare gli scudi a mezza Europa (e quella che conta c’è tutta). Un’Europa dove, giova ricordarlo, dalla Francia alla Danimarca, dal Belgio alla Svezia, dall’Ungheria alla Finlandia e all’Olanda s’indovina lo strepito sempre più rumoroso delle destre xenofobe e sotto traccia la palpabile paura dei governanti di perdere consenso se non ne inseguono gli umori. Valga per tutti il cinico commento di ieri di un diplomatico inglese: «Per ogni immigrato che passa è un voto in meno ai governi moderati». Ed eccola qui, finalmente la ratio, la chiave di questa contabilità da retrobottega che si maschera dietro i Trattati e si nasconde dietro solidarietà fumose e inconsistenti: paura di perdere il potere e il consenso. Una miopia politica che si avvicina alla cecità.
Sì, riconosciamolo, se non con la Ue in quanto istituzione (e le parole concilianti di Barroso ieri sera l’hanno reso evidente), c’è sicuramente una crisi in atto fra l’Italia e i governi europei. E non siamo certo noi italiani a doverci vergognare.
 


Il tempo dei profeti
la Repubblica, 12-04-2011
BARBARA SPINELLI
Il Presidente Napolitano, che quando parla d'Europa usa veder lontano e ha sguardo profetico, ha fatto capire nel giorni scorsi quel che più le manca, oggi: il senso dell'emergenza, quando una crisi vasta s'abbatte su di essa non occasionalmente ma durevolmente; l'incapacità di cogliere queste occasioni per fare passi avanti nell'Unione anziché perdersi in "ritorsioni, dispetti, divisioni, separazioni". Son settimane che ci si sta disperdendo così, attorno all'arrivo in Italia di immigrati dal Sud del Mediterraneo. Numericamente l'afflusso è ben minore di quello conosciuto dagli europei nelle guerre balcaniche, ma i tempi sono cambiati. Lo sconquasso economico li ha resi più fragili, impauriti, rancorosi verso le istituzioni comunitarie e le sue leggi. Durante il conflitto in Kosovo la Germania accolse oltre 500mila profughi, e nessuno accusò l'Europa o si sentì solo come si sente Roma. Nessuno disse, come Berlusconi sabato a Lampedusa: "Se non fosse possibile arrivare a una visione comune, meglio dividersi". O come Maroni, ieri dopo il vertice europeo dei ministri dell'Interno che ha isolato l'Italia: "Mi chiedo se ha senso rimanere nell'Unione: meglio soli che male accompagnati". La sordità alle parole di Napolitano è totale.
La democrazia stessa, che contraddistingue gli Stati europei e spinge i governi a preoccuparsi più dell'applauso immediato che della politica più saggia, si trasforma da farmaco in veleno. Di qui la sensazione che l'Unione non sia
all'altezza: che viva le onde migratorie come emergenza temporanea, non come profonda mutazione. Governi e classi dirigenti sono schiavi del consenso democratico anziché esserne padroni e pedagoghi con visioni lunghe. Non a caso abbiamo parlato di spirito profetico a proposito di Napolitano. È la schiavitù del consenso a secernere dispetti, rancori, furberie. Tra le furberie che ci hanno isolato c'è la protezione temporanea eccezionale che il nostro governo ha concesso a 23.000 immigrati. La protezione è prevista dal Trattato di Schengen, ma solo per profughi scampati a guerre e persecuzioni: non vale per i tunisini, come ci hanno ricordato ieri la Commissione e gli Stati alleati. Non è violando le regole che l'Italia suscita solidarietà. Può solo acutizzare le diffidenze: un altro veleno che mina l'Unione.
Per questo vale la pena soffermarsi sul significato, in politica, dello spirito profetico. Vuol dire guardare a distanza, intuire le future insidie del presente, ma innanzitutto comporta un'operazione verità: è dire le cose come stanno, non come ce le raccontiamo e le raccontiamo per turlupinare, istupidire, e inacidire gli elettori. Di questo non è capace Berlusconi ma neanche gli altri Stati e le istituzioni europee: i primi perché sempre alle prese con scadenze elettorali, le seconde perché intimidite dalle resistenze nazionali. La lentezza con cui si risponde alle rivoluzioni arabe non è la causa ma l'effetto di questi mali.
La prima verità non detta è quasi banale, e concerne l'intervento in Libia e il nostro voler pesare sui presenti sconvolgimenti arabi e musulmani. Condotta con l'intento di apparire attivi, la guerra sta confermando il contrario: una grande immobilità e vuoto di idee. È un attivarsi magari sensato all'inizio, ma che mai ha calcolato le conseguenze (compresa un'eventuale vittoria di Gheddafi) sui paesi arabi-africani e sui nostri. Fra le conseguenze c'è l'esodo di popoli. Un esodo da assumere, se davvero vogliamo esserci in quel che lì si sta facendo. Invece siamo entrati in guerra senza pensarci, né prepararci.
La seconda verità, non meno cruciale, riguarda l'Europa e i suoi Stati. L'occultamento è in questo caso massiccio, ed è il motivo per cui il capro espiatorio della crisi migratoria non è l'Italia come gridano i nostri ministri ma  -  se non si inizia a parlar chiaro  -  l'Unione stessa. L'evidenza negata è che da quando vige il Trattato di Lisbona, molte cose sono cambiate nell'Unione. Le politiche di immigrazione erano in gran parte nazionali, prima del Trattato. Ora sono di competenza comunitaria, e la sovranità è passata all'Unione in quanto tale. Questo anche se agli Stati vengono lasciati, ambiguamente, ampli spazi di manovra, in particolare sul "volume degli ingressi da paesi terzi".
Risultato: l'Unione, anche perché guidata a Bruxelles da un Presidente debole, prono agli Stati, non sa che fare della propria sovranità. Non ha una politica verso i paesi arabi, di cooperazione e sviluppo. Tuttora non ha norme chiare sull'asilo, sull'integrazione dei migranti, né possiede il corpo comune di polizia di frontiera che aveva promesso. Ma soprattutto, non ha le risorse per tale politica perché gli Stati gliele negano, riducendo la sovranità delegata a una fodera senza spada. Per questo alcuni spiriti preveggenti (l'ex ministro socialista Vauzelle, il presidente del consiglio italiano del Movimento europeo Virgilio Dastoli) propongono una cooperazione euro-araba gestita da un'Autorità stile Ceca (la prima Comunità del carbone e dell'acciaio). Come allora viviamo una Grande Trasformazione, e Monnet resta un lume: "Gli uomini sono necessari al cambiamento, le istituzioni servono a farlo vivere".
Se il Trattato di Lisbona significasse qualcosa, non dovrebbero essere Berlusconi e Frattini a negoziare con Tunisia o Egitto, con Lega araba o Unione africana. Dovrebbero essere il commissario all'immigrazione Cecilia Malmström e il rappresentante della politica estera Catherine Ashton. Resta che per negoziare ci vogliono progetti, iniziative: e questi mancano perché mancano risorse comuni. La condotta dei governi europei è schizoide, e tanto più menzognera: gli Stati hanno avuto la preveggenza di delegare all'Europa una parte consistente di sovranità, su immigrazione e altre politiche, ma fanno finta di non averlo fatto, e ora accusano l'Europa come se gli attori del Mediterraneo fossero ancora Stati-nazione autosufficienti.
La terza operazione-verità, fondamentale, ha come oggetto l'immigrazione e il multiculturalismo. È forse il terreno dove il mentire è più diffuso, tra i governanti, essendo legato alla questione della democrazia, del consenso, della mancata pedagogia, degli annunci diseducativi. Risale all'ottobre scorso la dichiarazione di Angela Merkel, secondo cui il multiculturalismo ha fatto fallimento. Poco dopo, il 5 febbraio in una conferenza a Monaco sulla sicurezza, il premier britannico Cameron ha decretato la sconfitta di trent'anni di dottrina multiculturale. Il fatto è che il multiculturalismo non è una dottrina, un'opinione. È un mero dato di fatto: in nazioni da tempo multietniche come Francia Inghilterra o Germania, e adesso anche in Italia e nei paesi scandinavi. L'operazione verità non consiste nel proclamare fallito il multiculturalismo: se un dato di fatto esiste, fallisce solo se se estirpi o assimili forzatamente i diversi. Se fossero veritieri, i governi dovrebbero dire: il multiculturalismo c'è già, solo che noi  -  Stati sovrani per finta  -  non abbiamo saputo né sappiamo governarlo.
Dire la verità sull'immigrazione è essenziale per l'Europa perché solo in tal modo essa può osare e fare piani sul futuro. Urge cominciare a dire quanti immigrati saranno necessari nei prossimi 20 anni, e quali risorse dovranno esser mobilitate: sia per mitigare gli arrivi cooperando con i paesi africani o arabi, sia edificando politiche di inclusione per gli immigrati economici e per i profughi (la frontiera spesso è labile: la povertà inflitta è una forma di guerra).
Tutto questo costerà soldi, immaginazione, pensiero durevole. Comporterà, non per ultimo, un ripensamento della democrazia. Ci sono cose che non si possono fare perché maturano nei tempi lunghi e l'elettorato capisce solo i risultati immediati, spiega l'economista Raghuram Rajan in un articolo magistrale sulle crisi del debito (Project Syndacate, 9 aprile 2011). Il bisogno di immigrati che avremo fra qualche decennio in un'Europa che invecchia è, paradossalmente, quello che dà forza ai nazional-populisti: in Italia, Francia, Belgio, Olanda, Ungheria, Svezia, Finlandia. Il dilemma delle democrazie è questo, oggi. Esso costringe governanti e governati a fare quel che non vogliono: smettere l'inganno delle sovranità nazionali, guardare alto e lontano, insomma pensare. E far politica, ma con lo spirito profetico che vede la possibile rovina (il "passo indietro" paventato da Napolitano) e la via d'uscita non meno possibile, se è vero che il futuro non cessa d'essere aperto.



Non servono colpi di testa
la Stampa, 12-04-2011
GIAN ENRICO RUSCONI
Bastano 22 mila profughi indesiderati per rovinare nel giro di quarantotto ore il lavoro di decenni di costruzione europea?
La frase di Roberto Maroni che si chiede «se ha senso rimanere nell’Unione europea. Meglio soli che male accompagnati» - è molto grave. Sproporzionata. In realtà rivela di colpo l’incultura europea di parte della nostra classe politica. Governo compreso.
Aspettiamo adesso una chiara responsabile dichiarazione del presidente del Consiglio. Quella del ministro dell’Interno infatti non è la solita «battuta leghista» da non prendere troppo sul serio.
Ma intanto - comunque vada - da oggi l’Europa non sarà più quella di prima. E non solo per colpa degli italiani che erano attesi al varco della crisi finanziaria (con la litania sempre ripetuta che dopo l’Irlanda, la Grecia, il Portogallo sarebbe stata la volta dell’Italia). Gli italiani invece hanno turbato l’Europa con una decisione apparentemente meno drammatica, che di colpo però ha mostrato le nuove ansie profonde dell’Europa dei governi. Si ha l’impressione infatti che crei più preoccupazione la prospettiva di dover forzatamente accogliere profughi indesiderati che non accollarsi i costi supplementari del salvataggio finanziario greco o portoghese. Se è così l’Europa è davvero cambiata.
Non è chiaro se nella rigida reazione dei ministri europei che rivendicano la corretta interpretazione delle regole Schengen di contro all’iniziativa italiana, ci sia soltanto l’esigenza che «le regole vanno rispettate». O non ci sia anche il sospetto che il ministro italiano abbia tentato di forzare la mano creando un fatto compiuto. Confermando ancora una volta che gli italiani sono sempre un po’ disinvolti quando si tratta di interpretare le norme. Soprattutto in presenza di un governo che non brilla certo per entusiasmo europeo. Per tacere d’altro. È antipatico scrivere queste cose, ma sarebbe ipocrita tacerle.
Se è così, si rivela un altro tassello della mutazione dello spirito europeo. Questa volta imputabile anche alla situazione italiana. La straordinaria storia del ruolo determinante e insostituibile dell’Italia nella costruzione europea - non solo dai mitici inizi degli Anni Cinquanta ma per tutti i decenni successivi - sembra archeologia. Peggio, rischia di essere retorica - dopo le infrazioni continue, le inadempienze, le sciatterie italiane nei rapporti con Bruxelles. L’Europa si è ridotta ad un fastidioso controllore, ad un deposito di risorse da strappare con complicate pratiche burocratiche. In ogni caso un’istituzione da trattare in modo strumentale - do ut des. Maroni ha ricordato polemicamente che l’Italia ha mostrato la sua solidarietà verso la Grecia, l’Irlanda e il Portogallo. «Ma a noi, in questa situazione di grave emergenza, è stato detto “cara Italia, sono affari tuoi e devi fare da sola”. L’Unione europea è un’istituzione che si attiva subito solo per salvare banche e per dichiarare guerre, ma quando si tratta di esprimere solidarietà a un Paese come l’Italia, si nasconde».I concetti-chiave del ragionamento sono «emergenza e solidarietà». La controversia sta proprio nella loro interpretazione. Ciò che per il governo italiano è «emergenza e necessità di solidarietà» non lo è per i partner europei. Invece proprio da questi valori - riferiti ovviamente ad altri contenuti - è nata e si è sviluppata l’Europa. Questo ciclo si sta chiudendo? Mi chiedo che cosa pensa davvero la grande maggioranza della popolazione italiana, francese o tedesca. Al momento sembra silenziosamente schierata dietro i rispettivi governi. Mi chiedo ad esempio che cosa pensano i Verdi tedeschi che insieme ad un’Europa denuclearizzata ed ecologica, la vogliono più solidale anche nei confronti dei migranti. Si accontenteranno delle cifre che il governo di Berlino elenca per mostrare la sua generosità (in un sottinteso confronto polemico con l’Italia)? Sarà importante vedere come l’opinione pubblica europea reagirà nei prossimi giorni se il governo italiano decidesse qualche colpo di testa. O viceversa se l’Europa posta di fronte ad una situazione di grave disagio di un suo membro importante mutasse atteggiamento.
Per il momento dunque la parola e l’iniziativa rimangono ai governi. Innanzitutto al governo italiano, che si trova davanti ad una prova molto seria del suo europeismo. Se è convinto d’avere buone ragioni, si ricordi che le virtù delle vecchie classi politiche europee di fronte alle difficoltà che sembravano insormontabili, erano la ferma pazienza e la ricerca ostinata dell’accordo. Non la ricerca del consenso elettorale domestico ad ogni costo. Tanto meno i ricatti di rompere con i partner. Non ci sarebbe stata l’Europa.



Napolitano bacchetta i ministri
il Giornale, 12-04-2011
Massimiliano Scafi
Polemiche tra Italia ed Europa sull'immigrazione. Il Capo dello Stato infastidito dai toni forti: "No alle sortite improvvide senza fondamento"
Roma - «Caro Franco, come tu ben sai, l’Europa è una cosa seria. Invece nelle ultime ore ho sentito troppe parole in libertà. Separazione, ripicche... Non scherziamo, bisogna essere più responsabili». «Sì, presidente, sono d’accordo. Però a Bruxelles c’è qualcosa che non va». A raccogliere lo sfogo telefonico del capo dello Stato, l’altra sera, un Frattini piuttosto imbarazzato ma anche deciso a tenere il punto: «Il fatto è che non ci aiutano». Giorgio Napolitano era appena arrivato da Budapest, dove, di fronte ai partner europei e al presidente tedesco, aveva difeso con energia la posizione italiana sull’immigrazione. «L’Unione - aveva detto a Christian Wulff - non può chiamarsi ancora fuori e deve mettere in campo la sua coesione». Da qui la sua «irritazione» quando ha sentito che dall’Italia, in caso di un no alla proposta di concedere una tutela temporanea agli sfollati, si parlava di organizzare «ripicche» o di «andarsene» dalla Ue.
Dichiarazioni considerate «fuori misura» e pericolose per la nostra politica estera. E così, dopo averlo esternato al suo intelucutore istituzionale, il capo dello Stato ha deciso di mettere il suo malessere nero su bianco in un comunicato ufficiale. «Il mio animo - si legge - è per un impegno forte dell’Italia in Europa, affinchè il nostro Paese continui tenacemente a perseguire una visione e una politica comune anche sul tema dell’immigrazione. Tutto questo senza nemmeno prendere in considerazione posizioni di ritorsione, di dispetto o addirittura ipotesi di separazione».
A infastidire Napolitano le frasi di alcuni esponenti primissimo piano del governo. Silvio Berlusconi: «La Ue ci aiuti o e meglio dividerci». Roberto Maroni: «Se la Francia non s’impegna esca da Schengen». Roberto Calderoli: «Togliamo i soldati dal Libano e schieriamoli sulla frontiera sud». Interventi antieuropei e nocivi, secondo il Colle, «per la credibilità nazionale». Poi nelle ultime ore, dopo la bocciatura del piano italiano, la situazione è peggiorata e lo strappo con Bruxelles s’è allargato. «Mi chiedo se ha ancora un senso restare in Europa», il commento amaro di Maroni.
Napolitano non gradisce: «L’impegno deve essere reciproco». Un conto, come ha detto a Frattini, è criticare «una deriva involutiva dell’Unione». Un problema che esiste e che recentemente il capo dello Stato ha più volte sollevato nel vari fori internazionali. E al Quirinale «non sfuggono certe illusioni di autosufficienza» di Sarkozy e della Merkel. Ma tutt’altro conto è lanciarsi in «sortite improvvide e senza costrutto». Il ministro degli Esteri ha spiegato i motivi del risentimento italiano: «La lotta all’immigrazione clandestina deve essere una questione comune. Non vogliamo scaricare i problemi su Bruxelles, ma qualunque Stato, lasciato solo, sarebbe sommerso dall’emergenza, in particolare l’Italia, data la sua geografia».



Il ritorno all'Europa delle nazioni
La Stampa, 12-04-2011
BORIS BIANCHERI
Il nulla di fatto con cui si è concluso il Consiglio dei ministri dell’Interno europei a Lussemburgo e il «no» opposto dagli Stati membri alle richieste italiane di collaborazione nelle attività di prevenzione e di assorbimento dell’immigrazione clandestina non è cosa che potrà essere facilmente dimenticata. Raramente abbiamo chiesto all’Europa qualcosa con tanta insistenza. E ancor più raro che gli altri abbiano risposto seccamente di no, malgrado una certa comprensione dimostrata verso la posizione italiana da parte della Commissione europea.
Il problema è che, in un certo senso, tutti hanno ragione. Ha ragione il governo italiano quando dice che l’afflusso sulle nostre coste di 25.000 clandestini che non possono essere lasciati affogare, e soprattutto delle centinaia di migliaia che potrebbero seguirli, costituisce per noi una vera emergenza. Lo dice perché così l’ha giudicata senza esitazione l’opinione pubblica italiana, a Roma, a Lampedusa, nei Comuni e nelle Province del Sud come in quelli del Nord, e tutta la televisione e la stampa italiana si sono fatte coralmente interpreti di questa emergenza. Ha anche ragione il governo italiano quando dice che il Trattato di Schengen non è stato concepito unicamente allo scopo di evitare ai viaggiatori europei di fare la coda alle frontiere, ma è stato concepito per fare dell’Europa uno spazio territoriale omogeneo dove si circola, si lavora e si vive liberamente. I francesi che respingono, o i tedeschi che minacciano di respingere, le persone di pelle un po’ scura alle quali l’Italia dà un permesso di soggiorno temporaneo, sono forse in regola con la lettera ma non interpretano lo spirito del trattato.
Ma hanno anche ragione coloro che ribattono che, per una nazione come l’Italia di 57 milioni di abitanti, 25.000 rifugiati sono poca cosa e che al tempo delle guerre balcaniche loro ne hanno accolti ben di più. E che non è colpa loro se l’Italia possiede delle isole così vicine alle coste africane che si possono quasi raggiungere a nuoto. Tutti hanno ragione, dunque. Ma siccome ieri a chiedere c’era uno solo e a dir di no erano in tanti, il risultato è stato quello che sappiamo. Ci si può chiedere: si doveva agire diversamente? E’ la nostra politica estera, la nostra diplomazia che ha fatto fallimento?
Certe frasi forti pronunciate dal nostro presidente del Consiglio o dai suoi ministri forse non hanno aiutato. Ma con ogni probabilità, quale che fosse stata la strategia, il risultato sarebbe stato lo stesso. Il controllo dell’immigrazione costituisce oggi uno dei temi politicamente più sensibili per tutti: per noi per primi, come la Lega sottolinea ogni giorno e come gli italiani confermano giudicando 25.000 immigrati un’emergenza; ma anche per Sarkozy che ha fatto al riguardo rigorose promesse al suo elettorato; o per Angela Merkel che dichiara che il multiculturalismo è ormai finito. L’immigrazione è allo stesso tempo il sintomo e la causa di una ri-nazionalizzazione dell’Europa fin troppo evidente.
Quale che sia la delusione, parlare di uscire da Schengen (per non dire di uscire dall’Europa) non ha evidentemente alcun senso. Intanto nessuno ci crederebbe. I 25.000 che sono entrati finiranno alla lunga con l’andarsene in buona parte altrove, in Francia speriamo per loro. Questo, a dire il vero, rischia poi di attirarne altri. Ma soprattutto è bene tener presente che, ove i flussi di immigrazione clandestina dovessero moltiplicarsi, ci toccherà farvi fronte da soli e cercare di controllarli con azioni o accordi bilaterali come quelli che a suo tempo facemmo con Gheddafi e che ora cerchiamo di fare con la Tunisia. Senza illusioni che altri intervenga per farlo in vece nostra. Quanto a una certa debolezza della nostra politica estera e a un atteggiamento di alcuni nostri partners europei che tendono a sottovalutare le nostre esigenze e il nostro ruolo internazionale, tutto ciò che si può dire è che non potrebbe essere diversamente dato che hanno sotto gli occhi i girotondi, le risse, gli insulti che caratterizzano ogni aspetto e ogni giorno della vita politica italiana e ai quali la triste giornata di ieri fornirà sicuramente nuovi spunti.



Nuovo monito di Napolitano "No a ritorsioni, l'Europa è una sola" Dopo la frase del premier. "Guai a perseguire divisioni"
Il timore è quello del rischio di una frattura nell'Unione europea, il pericolo di un passo indietro verso un assetto di "separazione"
"Il mio animo è per un impegno forte dell'Italia in Europa affinché il Paese persegua tenacemente una visione comune"di Cla
la Repubblica, 11-04-2011
CLAUDIO TITO
O il fantasma di un ritorno al passato, il pericolo di un passo indietro verso un assetto di "separazione" e il precipitare dell'Ue dentro il perimetro angusto della sola unione monetaria.
Il conflitto in corso sull'emergenza immigrati per Giorgio Napolitano si sta trasformando rapidamente in un allarme per il futuro dell'Europa. Si materializzano gli scenari più preoccupanti in un crinale scivoloso da cui devono allontanarsi tutti i partner, compreso il governo italiano.
A Budapest, dove il presidente della Repubblica ha partecipato al summit dei capi di Stato europei, il suo messaggio da questo punto di vista è stato chiaro. Ma le parole pronunciate sabato scorso a Lampedusa da Silvio Berlusconi ancora risuonano nelle sale del Quirinale e nelle Cancellerie continentali. La minaccia di far esplodere il progetto dell'Ue, sebbene non sia stata compresa pienamente da tutti gli alleati, sta comunque agitando il Colle. "Il mio animo - dice a chiare lettere a Repubblica - è per un impegno forte dell'Italia in Europa affinché il nostro Paese continui tenacemente a perseguire una visione comune e elementi di politica comune anche su questo tema dell'immigrazione. Tutto questo senza nemmeno prendere in considerazione posizioni di ritorsione, dispetti, divisione o addirittura separazione". Al Quirinale sono consapevoli che lo scontro in corso sui flussi migratori dall'Africa verso Lampedusa e verso l'Europa sta prendendo una piega non certo positiva. Del resto, proprio nel recente vertice ungherese il capo dello Stato ha potuto
constatare le consistenti differenze nell'interpretazione del trattato di Schengen e della natura degli eventi di questi giorni. Difformità esplicitate, ad esempio, dal presidente tedesco Christian Wulff con cui Napolitano ha avuto un colloquio bilaterale. Ma le distanze non sono segnate solo da Berlino. Anche perché il vero pericolo che il presidente della Repubblica ha potuto osservare in questi giorni riguarda l'atteggiamento complessivo dei partner europei, di "tutti" i partner. Italia compresa. I quali, in questa fase, sembrano pesantemente condizionati da un vento populista che impedisce un approccio concreto alla questione immigrazione.
Basti poi pensare alle scadenze elettorali che la Cdu di Angela Merkel deve affrontare nei prossimi mesi in Germania o alla pressione che sta esercitando la destra di Marine Le Pen in Francia sulla presidenza di Sarkozy. Senza trascurare il sentiero stretto percorso dal ministro degli Interni italiano Maroni vincolato alle richieste della Lega e incalzato dalla base lumbard.
Tutti problemi, dunque, che stanno emergendo con fragore in tutte le riunioni europee. Il capo dello Stato li ha soppesati in prima persona nel summit di Budapest. Ma - è il timore degli uomini del Quirinale - rischiano di essere affrontati in Europa con misure provvedimenti mediocri o miserabili.
Anche l'improvvida minaccia del Cavaliere, che fortunatamente non è stata recepita pienamente a Bruxelles, non ha aiutato nella ricerca di misure davvero efficaci. Il ministro degli Esteri Frattini, invece, ne ha colto la dirompente pericolosità. È allarmato e sta cercando di ricomporre una situazione che potrebbe rivelarsi deflagrante. Ma, dicono sul Colle, tutti sono obbligati alla "responsabilità" evitando approcci "miopi e difensivi". Certo, lo stesso Napolitano è consapevole del fatto che le soluzioni giuridiche sono piuttosto complicate e la questione è decisamente "controversa". La possibilità, ad esempio, di assegnare i cosiddetti "permessi temporanei" è legata al verificarsi di eventi gravi. In Tunisia, in effetti, nessuno può negare la presenza di uno shock istituzionale. Ma questo può non essere sufficiente. E i Trattati richiedono, in queste circostanze, la presenza di una maggioranza qualificata. Che al momento non ha ancora preso corpo. Una situazione di cui oggi discuterà a Lussemburgo il ministro degli Interni Maroni. Il quale, però, continua ad essere convinto che la procedura adottata dal governo italiano sia adeguata. E anche la lettera perentoria della commissaria Malmstrom viene bocciata dal titolare del Viminale: "Fanno così perché sanno che abbiamo ragione. Sappiamo anche noi che Schengen non è "automaticamente" operativo e che si devono concretizzare determinati requisiti. Requisiti che verranno esauditi". "Il punto semmai - si è sfogato con i suoi Maroni - è che in questi sei mesi l'Europa dovrebbe trovare il modo per garantire soluzioni efficaci o viene mancare a suoi doveri".
Un clima di conflittualità complessiva, dunque, che colpisce il capo dello Stato. Infatti, a Budapest ha sollecitato tutti "a una visione più coesa e coerente, a una maggiore convergenza sul piano istituzionale in Europa". Naturalmente il suo richiamo contiene anche "elementi critici" nei confronti di tutte leadership nazionali, compresa quella di Roma. Si tratta di una critica, spiegano sul Colle, che "mira a una maggiore integrazione" da non confondere con posizioni politiche che "prendono le distanze dal progetto europeo". Per questo, avverte, l'impegno dell'Italia deve essere univoco nel "continuare tenacemente a perseguire una visione comune anche sull'immigrazione". Allontanando senza equivoci lo spettro di un futuro di "ritorsione, dispetti, divisione o addirittura di separazione".



LIBERI DI CACCIARLI
QN, 12-04-2011
FRANCO CANGINI
COSE che succedono quando si impugna il problema dalla parte . À sbagliata. Mettere mano alla spada afferrandola per la lama, è il modo più sicuro di procurarsi unaferita insieme con l'altrui sarcasmo. Sbollita l'ira per l'unanime rigetto dei suoi argomenti da parte dei colleghi déll'Unione europea, il ministro Maroni converrà, ripensandoci, come fosse contraddittorio aspettarsi dall'Europa la spartizione proporzionale di quegli stessi immigrati clandestini di cui l'italia non intende farsi carico. Gran cosa la solidarietà, ma nessuno è fesso. Invece di lagnarsi della durezza di cuore aei nostri soci europei— e prima di lasciarsi andare a impegnative minacce di ripudio ("Meglio soli che male accompagnati ), stranamente consonanti con le invettive del vate nazionalista Gabriele d'Annunzio, in rivolta contro le ingiustizie patite per mano degli alleati al termine della Grande Guerra vittoriosa ("L'Italia non teme di restar sola contro tutti e contro tutto...")—il ministro della Lega e il governo dovrebbero prendere dallo spietato realismo dei conversari di Lussemburgo il buono che c'è. Finalmente, l'Europa la smette di adoperare i diritti umani" per bastonarci. Proclama, invece, che la permanenza degli immigrati clandestini è a discrezione degli Stati in cui mettono piede.
LIBERI tutti di tenerseli, per convenienza o senso di umanità, ouvero di restituirli, sciolti o a pacchetti, al Paese di provenienza. Unico adempimento richiesto, prima di dare corso alla decisione presa: l'accertamento, caso per caso, se l'immigrato abbia diritto all'accoglienza, perché in fuga dagli orrori delia guerra o della persecuzione. Evidente che durante il tempo richiesto dall'accertamento in questione, gli immigrati non possono essere lasciati liberi di sciamare a piacimento per l'italia o per l'Europa, rendendosi irreperibili. Debbono invece essere ristretti in luoghi appropriati, sotto sorveglianza. Né più né meno del trattamento usato a suo tempo dall'allora governo di centrosinistra alla grande ondata degli albanesi, rinchiusi negli stadi e subito espulsi via mare. Altro che la sanatoria provvisoria accordata dal governo Berlusconi ai 25mila tunisini, seguita da un timido principio di rimpatri forzosi per via aerea. Per gentile che sia, il pugno di ricotta in guanto di velluto ha esiti nefasti: rafforza in tutta l'Africa, sopra e sotto la linea dell'Equatore, la convinzione che l'italia sia una casa senza custode, ricettacolo delle sventure dei mondo, ed eccita lo spirito di rivolta di quanti, arrivati tra noi, capiscono al volo che qui basta fare la voce grossa per avere soddisfazione. Il presidente Napolitano chiede di non prendersela con l'Europa, e ha ragione. Verso l'Europa siamo in debito di un grazie perché ci indica la giusta via. E' questione di dimensioni. Un clandestino può essere un caso umano, ventimila o duecentomila clandestini in ondate da sbarco sono un'invasione. Si ha il duplice dovere di respingerla, come italiani e come membri dell'Unione europea. Con tutti i mezzi necessari, anche a costo di forgiare all'occorrenza nuovi strumenti giuridici. Naturale attendersi dalla Ue e dal presidente Napolitano che siano coerenti con se stessi. Quando verra l'ora di respingere l'ondata di invasione (e verrà), le anime belle di fuori e di dentro dovranno resistere alia tentazione di ripetere la vecchia fola dello speciale dovere di accoglienza gravante sugli italiani in quanto ex popolo di emigranti. Come se l'esperienza delle quarantene inflitte ai disgraziati ristretti nei lazzaretti di Ellis Island, in vista delia statua delia Libertà posta a guardia di un continente allora spopolato, nulla avesse da insegnare sui limiti ragionevoli di una cultura dell'accoglienza.



I tunisini non sono «sfollati»
il Sole, 12-04-2011  
Marco Ludovico

Roma, -L'atteggiamento come minimo ostile della commissione europea contro il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, non è solo il frutto di un'opposizione politica. Le mosse di Maroni di fronte alle scelte e ai principi di Bruxelles sono sempre state problematiche, fin dal suo insediamento nel 2008. Ieri una tensione accumulata ormai da tre anni è esplosa. Bastano due esempi di norme europee gestite dal ministro dell'Interno italiano, fresche di dibattito di questi mesi, a spiegare tutto. L'ultimo caso è proprio quello di ieri mattina: Maroni porta alla riunione con i 26 colleghi la richiesta di applicazione délia direttiva n. 55 del 2001: «Norme minime per la concessione delia protezione temporanea in caso di afflusso massiccio di sfollati». La «protezione temporanea» è espressione richiamata dal permesso di soggiorno che sarà concesso abreve ai tunisini presenti nelle tendopoli: ne sono giunti 14mila, po- trebbero essere però di meno. Maroni chiede l'applicazione délia direttiva perché ripartisce tra tutti gli stati gli oneri dell'afflusso di immigrati insomma «coinvolge l'Europa» in concreto come l'Italia chiede da un pezzo. Peccato che la Commissione non poteva che dirgli di no: la direttiva allora fu approvata dopo la tragedia del Kosovo e infatti, all'articolo 1, si precisa che vale «nei casi di afflusso massiccio o di imminente afflusso massiccio di sfollati provenienti da paesi terzi che non possono rientrare nelloropaese d'origine». E per la Tunisia proprio cosi non è. Lo stesso Maroni ha detto più volte che i tunisini sono «migranti economici» e non sfollati. C'è in ballo, poi, un accordo di rimpatri tra Roma e Tunisi: il rientro in patria, dunque, non solo è possibile, ma auspicato e sollecitato.
A molti sfugge, poi, che l'Italia invece non recepisce Un'altra direttiva non da poco: la n. 155 del 2008, guarda caso proprio sui rimpatri. A Maroni quella norma non piace affatto, perché mette in crisi due pilastri della politica leghista e di governo, la formulazione del reato di clandestinità e la detenzione nei Cie (i centri di identificazione ed espulsione) previsti dalla Bossi-Fini.
Il titolare del Viminale ha detto che ocçorre «disinnescare» quella direttiva e da mesi ipotizza un decreto legge ad hoc che però non vede ancora la luce. Anche perché «la direttiva prevede un percorso graduale, non l'immediato arresto per i rimpatri - osserva Mario Staderini (Radicali) - e la reclusione nei Cie è solo l'extremaratio. Dovevamo recepire la norma europea entro il 24 dicembre 2010 - aggiunge Staderini-e ora invece scatterà una procedura di infrazione di Bruxelles».



Immigrazione: in corso imbarco migranti su nave a Lampedusa
Situazione tornata alla normalita' in centro accoglienza isola
(ANSA) - LAMPEDUSA, 12 APR - E' in corso sulla nave 'Excelsior' della Grimaldi l'imbarco dei circa 700 migranti ospitati nel centro di accoglienza di Lampedusa. La nave dovrebbe salpare in mattinata e dirigersi al porto di Catania da dove poi i migranti verranno smistati nei Cie della penisola e da li' rimpatriati. Intanto, dopo la rivolta di ieri, la situazione e' tornata tranquilla nel centro di accoglienza dell'isola. Anche quasi tutti quelli che erano fuggiti ieri sono rientrati spontaneamente, gli ultimi questa mattina all'alba.



EMERGENZA IMMIGRAZIONE. TENSIONE NEL CIE DI LAMPEDUSA, POI LA TREGUA
Hercole.it, 12-04-2011
Vincenzo Allotta   
lampedusa tensioneDopo la forte tensione di ieri a Lampedusa, salita quando gli immigrati hanno intuito che li avrebbero rimpatriati, oggi la situazione si è normalizzata con l'arrivo della nave civile "Excelsior".
Sul traghetto sono state trasferite 700 persone che verranno portati sulla terraferma, in vari Centri identificazione ed espulsione, dunque rimpatriati: la prima tappa della nave sarà il porto di Catania.
E' stata proprio la decisione di trasferire i tunisini sulla "Excelsior" che ha tranquillizzato la situazione, ieri erano scappate dal Cie alcune persone che, rendendosi conto dell'imminente imbarco su una nave civile, hanno fatto marcia indietro.
La situazione ieri ha toccato livelli tali di nervosismo che qualcuno ha anche dato fuoco ad alcuni locali del centro accoglienza, il rogo è stato rapidamente sedato dai Vigili del Fuoco.
Da Lampedusa oggi, come è accaduto ieri, partiranno due voli, con destinazione Tunisi, che rimpatrieranno 60 persone.



Immigrazione: approdato a Licata barcone con 250 profughi
E' stato soccorso da due motovedette della guardia costiera
(ANSA) - LICATA (AGRIGENTO), 12 APR - E' approdato all'una di notte nel porto di Licata il barcone con circa 250 profughi soccorso a 12 miglia dalla costa da due motovedette della guardia costiera. L'imbarcazione, che era stata avvistata da un aereo in ricognizione nel Canale di Sicilia con il motore in avaria, e' stata trainata dalle due unita'. Le operazioni di soccorso sono state coordinate dalla centrale operativa della Capitaneria di porto di Palermo. (ANSA)



Immigrazione, a Santa Maria Capua Vetere notte tranquilla. Fughe fallite
Metropolis web, 12-04-2011
La notte è trascorsa tranquilla nella tendopoli allestita nell'ex caserma Andolfato di S.Maria Capua Vetere (Caserta), che ospita, in oltre 120 tende, circa 1000 immigrati, tutti provenienti da Lampedusa ed ai quali ieri si sono aggiunti altri 15 extracomunitari, provenienti da Civitavecchia. A quanto si è appreso, uno degli immigrati è riuscito a fuggire, in questi giorni, dal campo. Domenica scorsa e ieri c'erano stati momenti di tensione. A provocarli in prevalenza contrasti e dissidi tra gli stessi ospiti del campo, l'insufficienza di sigarette o il mancato gradimento dell'acqua minerale distribuita, oltre alla richiesta di alcuni di essere lasciati liberi di circolare sul territorio. Ieri sera la gran parte degli ospiti, ritirato il cestino, ha preferito consumare la cena, un primo, un secondo con contorno, frutta ed acqua minerale, nelle tende. Pochi hanno utilizzato le due strutture montate dai Vigili del Fuoco di Caserta ed adibite a sale mensa. Lunga fila anche questa mattina, dopo la consumazione della colazione - latte, caffé, fette biscottate e marmellata - per il disbrigo della pratica per la richiesta di permesso di soggiorno.
Il numero degli ospiti è ora di poco al di sotto delle mille unità: undici minori sono stati affidati ai servizi sociali; per un immigrato è stato riconosciuto lo status di rifugiato; altri due sono ricoverati in ospedale, a Piedimonte Matese, per una lesione al piede provocato dalla caduta dal murio di cinta della struttura, in un tentativo non riuscito di fuga; un altro nel locale ospedale Melorio per essere sottoposto ad un'operazione di ernia.
Anche ieri il questore, Guido Longo ed il vice, Luigi Botte sono stati a lungo nel campo, coordinando l'attività delle forze di polizia. Sempre ieri, a conclusione di una visita alla tendopoli, che non le era stata concessa la scorsa settimana, la senatrice Annamaria Carloni ha auspicato lo smantellamentio della struttura perché - ha spiegato, la parlamentare del PD - é simile ad un carcere. L'ex caserma Andolfato, infatti, contigua al carcere militare, é protetta da un muro di cinta alto circa 5 metri, sul quale, peraltro, sono sistemati cocci di vetro. Nonostante l'altezza e la pericolosità dei cocci di vetro posti sulla parte alta del muro che vengono evitati utilizzando giubbini o maglioni, in molti sono riusciti a superare l'ostacolo tentando di fuggire attraverso la campagna circostante. Un tentativo che è riuscito fino ad ora soltanto ad un ospite del campo, perché tutti gli altri sono stati bloccati dal servizio di vigilanza esterno delle forze dell'ordine.  



Immigrati, Zaia: “Veneto pronto ad accogliere”
il Quotidiano Italiano, 12-04-2011
Michele Zonno
Il governatore del Veneto, Luca Zaia, ha annunciato che la propria regione è pronta a fare la sua parte per fronteggiare l’emergenza immigrazione che l’Italia sta vivendo in questi giorni e ad accogliere un certo numero dei nordafricani sbarcati a Lampedusa.
Nel corso di un’intervista rilasciata a Repubblica Zaia ha infatti spiegato che:
    “Il Veneto è solidale, ed è a fianco del ministro Maroni e del governo. Noi stiamo chiudendo il nostro piano regionale: li ospiteremo in forme diffuse sul territorio, con concentrazioni molto piccole, addirittura a livello di famiglia. I veneti possono stare tranquilli, sarà un’ospitalità che avrà poco impatto sul territorio”.
Zaia è poi tornato a ribadire come il Veneto sia pronto ad accogliere i profughi, che sono ben altra cosa rispetto a “quelli che arrivano qui con le scarpette lucide, i jeans e il telefonino”.
Quanto alla misura del permesso temporaneo,  il governatore ha chiarito che questa, attraverso l’identificazione dei migranti, permette di intercettare coloro che hanno alle spalle precedenti penali e di rimpatriarli.
Zaia ha affermato inoltre che, al pari del ministro Maroni e degli altri leghisti, vorrebbe che “i tunisini se ne tornassero a casa”, ma si è detto consapevole di come un rimpatrio veloce sia impossibile e dunque di come “questa all’insegna della solidarietà e dell’ospitalità è l’unica soluzione”. La sua speranza, in ogni caso, è che i migranti in Italia siano solo di passaggio e che siano invece diretti tutti verso lo “scandaloso  Sarkozy” e la “scandalosa Europa”.
Zaia ha quindi sottolineato come ciò che sta accadendo sia un fenomeno inedito, “un esodo come solo nella Bibbia” e che se si vogliono attribuire delle responsabilità nella sua cattiva gestione queste non vanno imputate a Maroni, ma all’Europa colpevole, a suo dire, di non essere in grado di “imporre agli Stati un progetto di solidarietà”.



Novecento profughi da ospitare nelle case sfitte I cittadini infuriati a Ladispoli, ma è uno scherzo
il Giornale, 12-04-2011
di Stefano Vladovich
Roma - Bufala stile Amici Miei sul litorale romano. Novecento profughi libici e tunisini in arrivo a Ladispoli. Lo annunciano centinaia di manifesti affissi alla stazione ferroviaria, alle fermate dei bus di Marina San Nicola, a Cerveteri. Una vera e propria "gara di solidarietà" quella sostenuta dal presidente di un consorzio locale in collaborazione con la Caritas Diocesana. Per aiutare i rifugiati basta aprire le case estive sfitte disposte lunga la costa e nel quartiere residenziale a pochi chilometri dalla capitale oppure requisire terreni incolti. Manco a dirlo la novità ha mandato su tutte le furie gli abitanti della cittadina balneare che, preoccupati, si sono rivolti in Comune. Ma la notizia è falsa.
Una sòla alla romana, frutto della fantasia di un buontempone o, come ipotizza il primo cittadino, Crescenzo Paliotta, "un attacco vergognoso e calunnioso sul quale i carabinieri hanno già aperto un'inchiesta". A sporgere denuncia lo stesso presidente del consorzio locale, Roberto Turbitosi, il cui nome, con tanto di foto, appare sui volantini attacchinati nel centro della città. Turbitosi, tra l’altro direttore responsabile del Gazzettino di Ladispoli, ovviamente, non ne sa nulla. "I manifesti comparsi questa notte - spiega il sindaco in una nota affissa accanto ai volantini falsi - riportano notizie totalmente destituite da ogni fondamento". "Oltre a diffondere gravi bugie - prosegue Paliotta -, sono un attacco nei confronti di persone, come Roberto Turbitosi, che peraltro nemmeno ricopre incarichi esecutivi in seno all’amministrazione comunale. Dietro queste fandonie c’è il tentativo di colpire altre realtà, compresa la Caritas, che svolgono un ruolo di assistenza a favore delle categorie più deboli del territorio". Non solo. Dietro lo scherzo di cattivo gusto gli inquirenti ipotizzano questioni relative a contenziosi aperti per il mancato pagamento delle quote alla cooperativa San Nicola. "Strumentalizzare una vicenda tragica come la guerra - conclude Paliotta - è segno che qualcuno non ha argomenti validi da proporre".



Il burqa vietato infiamma Notre-Dame
La Stampa, 12-04-2011  
ALBERTO MATTIOLI
CORRISPONDENTE DA PARIGI
Vista da qui, la legge che da ieri vieta di portare il burqa in ogni luogo pubblico di Francia è già applicata.
E «qui» non è un posto qualsiasi: Parigi, quartiere della Goutte d'or, diciottesimo arrondissement, vicino al Sacre Coeur ma, come ambiente e abitanti, molto di più ad Algeri.
E la zona meno francese della capitale francese, dove l'Impero che fu ha depositato, a ondate successive, l'immigrazione che c'è e colora ogni luogo: la fermata della metro è un suk in cui si vende di tutto, ma soprattutto Marlboro di contrabbando come una volta a Napoli, e l'agenzia «Sirenes voyages» propone pellegrinaggi alla Mecca tutto compreso. Una babele.
Eppure di burqa o di niqab non se ne vede nemmeno uno.
La maggior parte delle donne gira con il velo sul capo, ma nessuna è irriconoscibile come prevede la legge per far scattare la sanzione: o 150 euro di multa o, ancora più temibile, un corso di educazione civica. Per farla rispet- tare, la polizia non mancherebbe, data la coneentrazione di pattuglie a piedi, in macchina e in motocicletta. Ma, in due ore, non ce n'è stato bisogno una volta. Ed è chiaro che il ministro degli Interni, Claude Guéant, ha ordinato discrezione e pazienza: se una donna non vuole scoprirsi, vietato forzarla «manu militari» (anche perché, qui, si scatenerebbero i vespri siciliani).
Peraltro, un sondaggio fai-da-te conferma che il tema burqa si/burqa no non è proprio il primo all'ordine del giorno: su dieci commercianti interpellati, sei ignorano la legge, tre sanno che esiste e l'approvano, uno sa che esiste e la contesta. Si chiama Mahmoud e spiega che le donne di casa il velo integrale non lo portano, ma che se volessero dovrebbero essere libere di farlo. E coglie il nocciolo dei problema: la legge infatti non vieta né burqa né niqab. Vieta di imporli alle donne e vieta di portarli in ogni luogo anche lontanamente pubblico, compresa ovviamente la strada. Cosi, per esempio, in albergo ci si può velare in camera ma non nella hall.
Tant'è: fra la pasticceria «El Andalusia» (Ferdinando d'Aragona e Isabella di Castiglia avrebbero qualcosa da obiettare), le macellerie tutte hallal e un sacco di gente seduta su gradini e muretti a fissare il nulla, disoccu- pati o pensionati a seconda dell'età, di burqa non se ne vedono. E nemmeno nei pressi délia moschea di rue des Poissonniers, che non è la grande moschea di Parigi, bellissima, ariosissima e visitatissima dai turisti anche perché nell'annesso ristorante si mangia un eceellente couscous, ma una specie di appartamento squallido, angusto e sovraffollato. Moussa, mentre fa entrare i fedeli per la preghiera, com-menta: «La legge vieta il velo? Si, ma l'Islam lo autorizza». E allora? «E allora nien- te», conclude. Ma si capisce che, fra lo spirituale e il tem-porale, lui ha già scelto.
Quanto aile proteste, ci sono state, però da tutt'altra pa¬te: sul sagrato di Notre-Dame, che ne ha viste tante ma mai il fermo di due donne per il burqa. L'iniziativa è stata presa da Kenza Drider, la pasionaria dei velo, intervistatissima ogni volta che si litiga su questi argomenti. Per la verità lei, 32 anni, velo integrale da 13, vive ad Avignone (la città dei papi!) con il marito e i quattro figli. Ma ieri, indossato il suo niqab (non il solito lugubre nero, ma marrone e beige ton sur ton, siamo pur sempre in Francia), ha preso provocatoriamente il treno, non è stata fermata da nessuno ed è andata a protestare a favor di telecamere. Come al solito, i fotografi erano più numerosi dei manifestanti: però hanno avuto il loro scatto, perché alla fine Kenza è stata fermata benché, spiega la polizia, «non per il niqab ma per la manifestazione non autorizzata». Prima di sparire nel cellulare, la signora ha fatto in tempo a spiegare che «la legge è una violazione dei miei diritti», quindi ricorrerà alla Corte europea di giustizia. Le dará manforte Rachid Nekkaz, altro personaggio rioto per le sue crociate al contrario che, dal sito dell'associazione «Giü le mani dalla mia Co- stituzione», annuncia che vendera all'asta una casa per pa- gare con il ricavato le multe.
In tutte queste accuse, è passata quasi sotto silenzio quella di chi dovrebbe far rispettare la legge. Emmanuel Roux, sindacalista dei poliziotti, spiega che la legge potrà piacere o no, ma il vero problema è applicarla. «E infatti lo sarà molto poco perché, anche di fronte a evidenti provocazioni, non si potrà fare granché». In effetti la forza, come si è visto, non la si può usare. Resta la persuasione o al massimo un fermo di quattro ore per chiedere al procuratore delia Repubblica come comportarsi. Morale, sempre secondo Roux: «Ancora una volta si chiede alia polizia di trovare delle soluzioni che la società, i partiti e il Parlamento non sono riusciti a trovare». Guéant, owiamente, non ci sta. Da Lussemburgo, dov'è impegnato nell'altro guaio degli immigrati (meglio: nell'impedire che un guaio italiano diventi un guaio francese), fa la faccia feroce: «La legge sarà rispettata. La polizia e i gendarmi ci sono per questo». Appunto: piti facile dirlo che farlo.

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