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Sentenza n. 3452 del 19 aprile 2011
Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

Diniego cittadinanza italiana - dichiarazione di irreperibilità resa dal Comune di Roma senza tener conto della sua condotta irreprensibile e del suo inserimento sociale in Italia

     

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda Quater)


ha pronunciato la presente

SENTENZA


sul ricorso numero di registro generale 8196 del 2009, proposto da:
*****, rappresentato e difeso dagli avv. Emilio Sanchez De Las Heras, Angela Migliano, con domicilio eletto presso Emilio Sanchez De Las Heras in Roma, via Machiavelli, 25;

contro


Prefettura di Roma; Ministero dell'Interno, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l'annullamento


del provvedimento della Prefettura della Provincia di Roma del 16 giugno 2009 che dichiara inammissibile l'istanza avanzata dal ricorrente tesa ad ottenere la concessione della cittadinanza italiana.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 febbraio 2011 la dott. Stefania Santoleri e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO


Il ricorrente, cittadino egiziano, in data 11 ottobre 2007 ha inoltrato l’istanza diretta ad ottenere la cittadinanza italiana ai sensi dell’art. 9 comma 1 lett. f) della L. 91/92.

Con il decreto impugnato il Ministero dell’Interno ha respinto la sua istanza, ritenendo insussistente il presupposto della residenza legale nel territorio della Repubblica da almeno 10 anni continuativi a causa “dell’interruzione nel periodo di iscrizione all’anagrafe dei residenti”.

Ai fini dell’annullamento deduce i seguenti motivi di diritto:

____1. Mancata motivazione dell’atto prefettizio.

Lamenta il ricorrente il difetto di motivazione del provvedimento impugnato in quanto la Prefettura non avrebbe indicato con precisione l’atto del Comune di Roma dal quale si evince la sua cancellazione anagrafica, essendo egli rimasto sempre a Roma.

Non sarebbe chiaro come sarebbe stata accertata la sua irreperibilità che avrebbe comportato la cancellazione dall’anagrafe dei residenti.

____2. Errata applicazione dell’art. 11, comma 1, lett. c) del D.P.R. 30/5/89 n. 223.

Il Comune di Roma non avrebbe rispettato il procedimento di cancellazione dall’anagrafe.

Egli avrebbe comunque maturato il requisito della residenza decennale pur non tenendo conto del periodo di irreperibilità.

La sua domanda di concessione della cittadinanza sarebbe stata respinta soltanto per la dichiarazione di irreperibilità resa dal Comune di Roma senza tener conto della sua condotta irreprensibile e del suo inserimento sociale in Italia.

Insiste quindi il ricorrente per l’accoglimento del ricorso.

L’Amministrazione intimata si è costituita in giudizio ed ha chiesto il rigetto del ricorso per infondatezza.

All’udienza pubblica del 24 febbraio 2011 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO


Come meglio dedotto in narrativa, il ricorrente lamenta l’illegittimità del decreto impugnato, con il quale è stata dichiarata inammissibile la sua istanza di concessione della cittadinanza italiana in quanto “…l’interessato non risulta aver risieduto legalmente per almeno dieci anni continuativi nel territorio della Repubblica, nel senso sopra precisato, a causa dell’interruzione nel periodo di iscrizione all’anagrafe dei residenti”.

Sostiene, infatti, il ricorrente di non essersi mai allontanato da Roma come dimostrerebbe l’estratto contributivo INPS depositato in giudizio.

La cancellazione anagrafica quindi sarebbe stata erroneamente effettuata.

Prima di passare ad esaminare le singole censure, ritiene il Collegio di dover richiamare la normativa che disciplina la materia.

L’ art. 9, comma 1, della legge n. 91 del 1992, prescrive che la cittadinanza italiana può essere concessa, tra gli altri, “allo straniero che risiede legalmente da almeno dieci anni nel territorio della Repubblica” (lett. f).

La condizione di “residenza legale”, che la norma in esame impone, acquista concretezza attraverso il disposto dell’art. 1, comma 2, lett. a), del D.P.R. 12 ottobre 1993, n. 572, ai sensi del quale risulta legalmente residente nel territorio dello Stato “chi vi risiede avendo soddisfatto le condizioni e gli adempimenti previsti dalle norme ……….. in materia di iscrizione anagrafica”.

Ciò premesso, appare evidente che, per configurare il presupposto della “residenza legale ultradecennale” richiesto dall’art. 9 della legge, non è sufficiente il mantenimento di un’interrotta situazione fattuale di residenza, ma è necessario che la stessa sia stata accertata in conformità alla disciplina interna in materia di anagrafe (cfr., tra le altre, T.A.R. Lazio Sez. I Ter 30/4/2010 n. 8967; T.A.R. Lazio Sez. II Quater 4/2/2011 n. 1061; T.A.R Veneto, Sez. III, n. 1544/2008; T.A.R Piemonte, Sez. I, 1583 del 2007).

In altri termini, la residenza legale non può prescindere dall’iscrizione anagrafica, la quale rappresenta un requisito richiesto dalla legge, alla cui assenza non è possibile ovviare mediante la produzione di dati ed elementi atti a comprovare la presenza sul territorio.

Da ciò consegue che a carico dello straniero che intende ottenere la concessione della cittadinanza italiana va riscontrato un onere di verifica del possesso attuale ed ininterrotto del requisito della residenza legale e, dunque, dell’iscrizione anagrafica.

Svolte queste premesse, può passarsi alla disamina delle singole doglianze.

Con il primo motivo di ricorso il ricorrente lamenta - in particolare - il difetto di motivazione del provvedimento in quanto l’Amministrazione non avrebbe allegato l’atto del Comune di Roma dal quale si evincerebbe la cancellazione anagrafica.

Con il secondo motivo lamenta la violazione dell’art. 11 comma 1 lett. c) del D.P.R. 30/5/89 n. 223 in quanto – a suo dire – il Comune di Roma non avrebbe rispettato il procedimento previsto dalla legge per effettuare la cancellazione anagrafica.

Deduce, poi, di aver comunque maturato la residenza decennale, anche se non ininterrottamente.
Rileva, infine, che l’Amministrazione non avrebbe tenuto conto del suo grado di integrazione nazionale.
Tali censure non sono meritevoli di condivisione.

Occorre preventivamente rilevare che il certificato storico anagrafico del Comune di Roma dal quale emergono le due cancellazioni dall’anagrafe della popolazione residente è stato prodotto in giudizio dall’Avvocatura erariale e messo a disposizione del ricorrente consentendogli di comprendere quando, e a seguito di quale procedimento, sono state effettuate le cancellazioni.

Nella comunicazione ex art. 10 bis della L. 241/90 erano poi chiaramente indicati i periodi di cancellazione per irreperibilità dall’anagrafe dei residenti.

Non sussiste dunque la carenza di motivazione dedotta con il primo motivo atteso che nel caso di motivazione “per relationem” il concetto di disponibilità di cui all'art. 3 l. n. 241 del 1990 non comporta che l'atto amministrativo richiamato "per relationem" debba essere unito imprescindibilmente al documento, bensì che il documento sia reso disponibile a norma della stessa legge, vale a dire che esso possa essere acquisito utilizzando il procedimento di accesso ai documenti amministrativi (T.A.R. Lombardia Sez. III Milano 26/1/04 n. 86).

Nel caso di specie, non soltanto il certificato era facilmente accessibile a semplice richiesta all’Ufficio Anagrafe del Comune di Roma, ma è stato anche depositato in giudizio.

La doglianza deve essere pertanto respinta.

Con il secondo motivo lamenta il ricorrente l’erroneità del procedimento seguito dal Comune di Roma per effettuare la cancellazione anagrafica.

La censura non è suffragata da alcun elemento di prova, e deve essere pertanto respinta.

Altrettanto infondata è la tesi del ricorrente secondo cui sussisterebbe comunque il possesso decennale della residenza anagrafica anche non considerando i due periodi di cancellazione, in quanto il periodo di residenza deve essere ininterrotto.

Resta da esaminare l’ultima censura nella quale il ricorrente lamenta la mancata valutazione del suo grado di inserimento sociale.

La doglianza non può trovare accoglimento.

Una volta accertata la non continuità delle iscrizioni anagrafiche il decreto di inammissibilità -- vale a dire di non sussistenza dei presupposti preliminari di ammissibilità previsti dalla legge per l’effettuazione dell’istruttoria vera e propria-- è atto dovuto e vincolato e, come tale, non necessita di motivazione ulteriore rispetto all'indicazione dei presupposti di fatto.

In definitiva, il provvedimento di diniego impugnato – fondato sull’irreperibilità anagrafica del ricorrente durante parte del periodo decennale contemplato dall’art. 9 sopra citato - appare correttamente adottato.

Per le ragioni illustrate, il ricorso va respinto.

Sussistono comunque giusti motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese di giudizio tra le parti.

P.Q.M.


definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto,
lo respinge.

Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nelle camere di consiglio del giorno 24 febbraio 2011 e del giorno 10 marzo 2011 con l'intervento dei magistrati:
Angelo Scafuri, Presidente
Stefania Santoleri, Consigliere, Estensore
Floriana Rizzetto, Consigliere

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 19/04/2011
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

Martedì, 19 Aprile 2011

 
 
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