Newsletter periodica
d’informazione
(aggiornata alla data del
29 novembre 2011)
o
Dipartimento Politiche
Migratorie – Appuntamenti pag. 2
o
Cittadinanza –
Dopo l’appello di Napolitano, riparte la corsa alla riforma pag. 2
o
Società – Cnel:
identikit degli imprenditori di origine straniera pag. 3
o
Cittadinanza –
Cinque anni la chiave per una riforma
pag. 4
o
Società –
“Troppa disoccupazione, stop ai flussi?” pag. 6
o
Sindacato –
Confederati multietnici pag. 7
o
Fundamental Rights
Agency – “Dignità e diritti dei migranti irregolari” pag. 9
A
cura del Servizio Politiche Territoriali della Uil
Dipartimento
Politiche Migratorie
Rassegna
ad uso esclusivamente interno e gratuito, riservata agli iscritti UIL
Tel.
064753292- 4744753- Fax: 064744751
n. 323
Dipartimento Politiche Migratorie: appuntamenti
Comitato di Presidenza
dell’ONC
(Angela Scalzo)
Mercoledì 30 novembre 2011, ore
10.00, via Avignone, 10
UNAR – Convegno
Diversità Lavoro di Roma
(Angela Scalzo)
Roma, 13 dicembre 2011, Camera
dei Deputati, sala della Mercede, via Poli 19
CIR – Nessun Luogo è
Lontano Onlus - Workshop: “immigrazione e diritti di cittadinanza”
(Guglielmo Loy)
Palermo, 14 novembre
– Giornata Europea: da Palermo a Bruxelles, CGIL-CISL-UIL Nazionali e
Regionali, CGIL-CISL-UIL Palermo
(Guglielmo Loy)
Padova, 18 dicembre 2011, Casa
“Lucia Valentini Terrani”, ore 09.30
Convegno: “Profughi dalla Libia, esperienze presenti
e prospettive future”
(Giuseppe Casucci)
Cittadinanza.
Dopo l’appello di Napolitano, riparte la corsa alla riforma
Sono 48 le proposte ferme in Parlamento:
15 “in discussione” alla Camera, di fatto bloccate dal 20 luglio 2010, e 14
ancora da assegnare; 18 disegni di legge al Senato mai discussi; una proposta
d’iniziativa popolare presentata in Cassazione; l’ultima proposta depositata il
23 novembre da 113 senatori che chiedono lo ius soli.
Roma, 28
novembre 2011 - Dopo gli ultimi appelli del Capo dello Stato ad affrontare con
urgenza la questione del riconoscimento della cittadinanza ai bambini nati in
Italia da immigrati stranieri, sembra rivitalizzarsi l’interesse del Parlamento
per una riforma della legge del 1992, quanto meno sulla questione posta dal
Presidente della Repubblica. Dall’inizio della XVI legislatura le proposte
d’iniziativa parlamentare in materia di cittadinanza sono state ben 48: 15 sono
quelle che la Commissione affari costituzionali della Camera ha preso in esame,
ma poi sospeso dal 20 luglio 2010; 14 proposte non sono state ancora assegnate,
come i 18 disegni di legge al Senato. Sul tavolo anche una proposta
d’iniziativa popolare depositata in Cassazione.
Da ultimo, il 23 novembre Ignazio Marino del PD ha depositato in Senato il
disegno di legge “Modifiche della legge 5 febbraio 1992, n. 91, in materia di
introduzione dello ius soli” firmato da altri 112 senatori del blocco PD, IDV,
UDC, API. La proposta, il cui testo ufficiale non è ancora disponibile nel sito
del Senato ma è reperibile nel blog di Ignazio Marino, si limita a modificare
la lettera b) dell’articolo 1 della legge n. 91 del 1992. La norma, così
riformulata, prevede che è cittadino per nascita: a) il figlio di padre o di
madre cittadini; b) chi è nato nel territorio della Repubblica. Si tratterebbe
del cd ius soli “secco”, condizione molto diversa da quella che
fino ad ora è stata indicata dai fautori di una riforma volta a stabilire
percorsi agevolati di cittadinanza per i minori stranieri, nati o giunti in
Italia in tenera età, ma a condizione di essere figli di genitori regolarmente
soggiornanti (entrambi o uno soltanto, lungo residenti o soggiornanti da almeno
un anno) ed altri simili requisiti, tipo frequenza scolastica, a seconda degli
orientamenti dei diversi proponenti. La strada indicata da Marino e dai 112
senatori, salvo interpretarla come mera provocazione, suscita serie perplessità
in quanto potrebbe rivelarsi un rimedio peggiore del male.
Infatti, se in contesti temporali, sociali o giuridici del tutto differenti dal
nostro il principio dello ius soli “secco” è stato introdotto e
mantenuto senza particolari contro indicazioni, oggi ammettere la sola nascita
sul territorio italiano quale requisito sufficiente per ottenere la
cittadinanza potrebbe costituire un forte impulso all’immigrazione clandestina
ed un sicuro favore alla criminalità organizzata. Infatti, poiché la nascita di
un figlio italiano comporta automaticamente l’immediata regolarizzazione dei
genitori, e di norma anche dei parenti conviventi fino al secondo grado, ciò
potrebbe incentivare la tratta di donne, invogliate o costrette a partorire in
Italia, a meno che non si pensi di rimettere in discussione le garanzie che
– giustamente - tutelano il nucleo familiare del cittadino italiano! Se,
come crediamo, gli appelli del Capo dello Stato e quelli formulati dalle
numerose campagne di sensibilizzazione sulla questione della cittadinanza ai
minori meritano di trovare una rapida risposta da parte del Parlamento, non ci
sembra questa la proposta più adeguata a raccogliere il necessario consenso.
(Raffaele Miele)
Società
(ASCA) - Roma, 28 novembre 2011 - Sono
molto diffusi sul territorio nazionale, soprattutto nei distretti industriali
del Nord, ben integrati con le piccole imprese italiane, sono motivati e propensi
al rischio, assumono personale e collaboratori italiani e hanno voglia di
crescere. Sono gli imprenditori immigrati, come appaiono disegnati in
un'indagine del Cnel, 'Il profilo nazionale degli immigrati imprenditori in
Italia', svolta dall'Organismo Nazionale di Coordinamento per le politiche di
integrazione sociale degli stranieri in collaborazione con il Dipartimento di
studi sociali e politici, e presentata stamani a Villa Lubin. Da un sondaggio
su 200 imprenditori il Cnel ha ottenuto l'identikit dell'immigrato
imprenditore: ha 40 anni e in media più figli rispetto all'omologo italiano,
una discreta formazione scolastica (oltre 12 anni di studio nel paese
d'origine). Vive in Italia da 18 anni e il peggioramento delle condizioni
economiche nel paese di provenienza e' la causa principale dell'emigrazione. Ha
avviato in Italia una propria attività per essere autonomo, guadagnare di più e
valorizzare le proprie capacità. Nella maggior parte dei casi e' titolare
dell'impresa nella quale impiega circa 5 addetti, prevalentemente italiani.
Secondo quanto emerge dallo studio, la maggior parte degli immigrati
imprenditori (67%) ha messo su un'impresa auto finanziandosi grazie a un lungo
periodo di lavoro come dipendente. La maggior parte degli imprenditori immigrati
considera il rapporto con gli italiani più importante rispetto alle relazioni
con i connazionali e con i familiari. Clienti e fornitori sono soprattutto
italiani (con differenze significative a seconda dei comparti), così come lo
sono i consulenti cui si rivolgono (fiscali, contabili e in materia di
sicurezza e igiene). Sul fronte dell'occupazione, il 22,2% degli intervistati
propende ad assumere personale italiano. La ricerca illustra il peso
percentuale delle imprese di immigrati sul totale delle imprese, cioè il
contributo che l'imprenditorialità immigrata fornisce alle economie provinciali
e dimostra che la concentrazione e' maggiore al Nord e nelle aree dei distretti
industriali, con qualche attenuazione di questa regola per le province del
Nord-Est. Le imprese di immigrati hanno gli stessi problemi dell'impresa
italiana: troppo piccole di fronte alla crisi, osserva il rapporto del Cnel. Se
si chiede che la piccola impresa contribuisca allo sviluppo economico si deve
chiedere agli imprenditori immigrati quello che si chiede agli italiani:
crescere. Altrimenti la presenza degli imprenditori immigrati rischia di
innescare una competizione al ribasso e a risentirne sarà la produttività del
sistema. Gli immigrati hanno trovato spazio nel nostro paese più che nel resto
dell'Europa, non solo per la maggiore diffusione della piccola e piccolissima
impresa sul nostro territorio, ma anche a causa del mancato ricambio
generazionale nella gestione dell'impresa italiana, dovuta alla scarsa
motivazione dei figli, ai modesti guadagni e tempi di lavoro più lunghi. In
questa situazione gli immigrati si sono sostituiti agli autoctoni grazie alla
loro grande voglia di lavorare, che deriva soprattutto dalla voglia di riscatto
sociale, più che economico, e alle più modeste aspettative reddituali. Molti
imprenditori intervistati hanno conquistato la cittadinanza economica e
sembrano inclusi definitivamente nel tessuto delle piccole imprese che operano
in Italia. L'auspicio, conclude il Cnel, ''ora e' che queste imprese da piccole
diventino medie. Il percorso verso la cittadinanza sociale e' invece più lungo
e coinvolgerà la generazione dei figli nati in Italia, che parlano l'Italiano e
si preparano nelle scuole e università italiane, che rileveranno l'azienda e
che, al pari dei figli dei piccoli imprenditori italiani riproporranno il
problema della motivazione e di trasmissione delle capacità imprenditoriali''.
Workshop:
Immigrazione e diritti di cittadinanza: è tempo di riscrivere il contratto
sociale
Promosso da
CIR e l’associazione Nessun Luogo è Lontano, l’iniziativa si terrà il prossimo
13 dicembre, dalle 12.00 alle 15.00, presso la Sala S. Claudio, Piazza S.
Claudio, 166 - Camera dei Deputati
Roma,
17 Novembre 2011 – Una iniziativa sui diritti di cittadinanza è stata
promossa dal Consiglio italiano per i rifugiati e l’Associazione “Nessun Luogo
è Lontano”. L’idea è mettere a confronto forze politiche e società civile sulle
proposte di legge già presenti in Parlamento, con l’obiettivo di riannodare il
dialogo interrotto su questa materia sin dal 2009. L’iniziativa, che conta con
l’appoggio attivo della UIL, vedrà la presenza del mondo sindacale, delle
principali Fondazioni dei Partiti, di alcuni parlamentari proponenti PDL sulla
cittadinanza, e da esperti in materia migratoria. Secondo i promotori: “In
Parlamento sono molte le proposte presentate, sia di riforma della legge di
cittadinanza n. 91/1992, sia riguardanti l’estensione del diritto di voto
amministrativo agli stranieri lungo - residenti. Purtroppo su questo importante
tema è da dicembre 2009 che il dibattito in Parlamento è fermo. Nel frattempo,
gli stranieri regolari hanno superato quota 5 milioni ed oggi producono l’11%
del PIL italiano. Non è certo più
possibile prescindere da loro”. Per gli organizzatori
dell’evento “la civile convivenza tra tutti i cittadini (nati o meno in Italia)
è in fondo un contratto sociale che ne definisce le regole e le modalità,
allora va considerato che questo contratto è stato scritto nel 92 quando la
presenza degli stranieri, per dirla con le parole del Presidente Napolitano era
12 volte inferiore a quella di oggi”. Per questo motivo “è’ tempo di tornare al
dialogo tra tutte le parti politiche, abbandonando la logica dello scontro e
cercando insieme soluzioni concertate volte ad una piena partecipazione
dei nuovi cittadini alla vita
politica e sociale del nostro Paese”. Nella locandina che presenta l’incontro
si legge che “Oggi, con un decimo della popolazione nata all’estero, la società italiana non è più quella del
1992. Serve dunque un nuovo approccio al tema dei diritti di cittadinanza, un
nuovo “contratto sociale”, le cui regole vanno scritte assieme
a tutti i cittadini, nati o meno nel nostro Paese: assieme a chi scommette
sull’Italia e ha il diritto di concorrere a costruire il suo futuro”. Anche sul tema del voto amministrativo,
per le due associazioni: “ è ben
noto che in Europa 16 Paesi su 27 permettono agli immigrati residenti da oltre
cinque anni di poter votare alle elezioni amministrative. E’ giusto che questo
avvenga anche da noi. Ma per fare ciò non servono nuove proposte legislative:
basterà che Governo e Parlamento ratifichino il capitolo C della Convenzione
di Strasburgo per rendere questo diritto esigibile anche per i nostri
stranieri lungo residenti”. CIR e Nessun Luogo è Lontano “ribadiscono con forza
l’urgenza di riavviare il dialogo tra le forze politiche e sociali per
ricercare una posizione comune in materia di piena partecipazione degli
stranieri alla vita civile nel nostro Paese”.
Per questo motivo chiamano “la
politica e la società a riaprire le porte al buon senso ed al confronto”. Lo workshop “immigrazione e diritti di
cittadinanza” si terrà alla Camera dei Deputati, Sala S. Claudio (Piazza S.
Claudio, 166), dalle 12.00 alle 15.00 di martedì 13 dicembre 2011.
Cinque anni: la chiave per la cittadinanza
Di Giovanna Zincone
Roma,
24 Novembre 2011 - Quando si litiga sarebbe meglio
sapere perché. Si sta invece scatenando un’intempestiva tempesta: materia del
contendere è lo ius soli, un istituto che riguarda il riconoscimento della
cittadinanza ai figli di stranieri nati sul territorio. Ma la materia appare
poco chiara agli stessi contendenti. È bene cominciare con il chiarire che in
Italia lo ius soli c’è già. I nati in Italia ottengono la cittadinanza
attraverso una procedura semplificata al compimento del 18esimo anno di età,
anche quando i loro genitori siano tuttora stranieri. Il fatto è che questa via
di accesso alla cittadinanza tramite ius soli è la più severa tra quelle
adottate dalle grandi democrazie europee. In altri Paesi l’acquisizione della
cittadinanza può avvenire immediatamente alla nascita, anche se con diverse
condizioni richieste: ad esempio le recenti riforme greca e portoghese
prevedono una residenza del genitore di almeno 5 anni, quella tedesca di almeno
8. Peraltro, nella gran parte degli Stati europei godono di un accesso
privilegiato alla cittadinanza, cioè possono averla prima della maggiore età,
quei nati sul territorio del Paese di immigrazione che abbiano accumulato un
certo numero di anni di residenza o completato un ciclo scolastico. Questa corsia
privilegiata per i minori riguarda quasi ovunque anche i bambini non nati nel
paese di immigrazione, ma che ci sono arrivati da piccoli, purché vi abbiano
studiato o vi siano vissuti per un certo periodo. Dal momento che
l’acquisizione della cittadinanza nazionale determina automaticamente anche
quella europea, un po’ più di sintonia dell’Italia con gli altri partner
dell’Unione in questa materia non guasterebbe. Tuttavia, forzare la mano oggi
non gioverebbe al governo Monti, visto che sul tema non si è ancora trovata una
convergenza all’interno della maggioranza che lo sostiene. Nulla vieta però che
questo sia (e sarebbe bene che fosse) materia di riflessione in sede
parlamentare, come ha invitato a fare il Presidente Napolitano. Questo governo,
proprio perché ha come priorità il risanamento e la crescita economica del
Paese, lascia per sua natura maggiore spazio all’azione e al dibattito
parlamentare su temi di ampio respiro che non abbiano carattere di emergenza.
In Parlamento, almeno quanti fanno parte dell’attuale maggioranza dovrebbero
cogliere l’occasione per affrontare questioni serie abbandonando toni forti e
giudizi frettolosi, dimenticando vecchi tic di destra e di sinistra. Solo così
si potrebbe riuscire finalmente a portare a termine qualche riforma di stampo
europeo, persino nella spinosa materia della cittadinanza. Questa è infatti una
di quelle riforme che ogni tanto tornano a galla, e non arrivano mai in porto.
O meglio, per ora, in porto qualcosa è arrivato, ma si tratta soltanto di un
provvedimento restrittivo: il contrasto delle unioni di comodo tramite
l’innalzamento da 6 mesi a 2 anni del tempo di residenza dopo il matrimonio
richiesto per trasmettere la cittadinanza ai coniugi stranieri. L’introduzione
di ulteriori requisiti per accedere alle naturalizzazioni (quali la conoscenza
linguistica e l’accettazione della carta dei valori civici condivisi) era
contemplata anche da molti progetti di stampo liberale. Ma è poi sfumata con il
resto delle proposte e dei disegni di legge che la contenevano. Di fatto, però,
criteri simili presidiano le tappe che precedono l’acquisizione della
cittadinanza: sia il rilascio e il rinnovo del permesso di soggiorno secondo il
recente Accordo di integrazione, sia la concessione della carta di soggiorno
permanente. Non voglio sostenere che tutti questi requisiti restrittivi siano
errati in sé, ma certo hanno squilibrato ulteriormente la nostra normativa
sulla cittadinanza che già era, e resta, tra le più severe d’Europa. È mancato
finora il necessario riequilibrio sul versante dell’apertura. Il primo
importante tentativo serio di riformare la cittadinanza in senso più liberale
fu fatto nel 1999 da Livia Turco, quando era ministro degli Affari Sociali. Da
allora sono state presentate altre proposte simili, di iniziativa sia
governativa che parlamentare. Quelle più sensate e che sono giunte più vicine
all’approvazione riproducono i modelli europei anche rispetto al trattamento
dei minori. La chiave è il numero 5: cinque anni è considerato un tempo di
residenza necessario e sufficiente a dimostrare che gli immigrati e le loro
famiglie sono ormai radicate e destinate a far parte della popolazione
italiana. I bambini dei genitori residenti da 5 anni potrebbero ottenere la
cittadinanza alla nascita. Ma anche per chi non fosse nato in Italia, e ci
fosse arrivato da piccolo, 5 anni di residenza o il compimento di un ciclo
scolastico sarebbero sufficienti per poter fare domanda di cittadinanza.
L’inclusione tempestiva dei bambini potrebbe avvenire anche seguendo altre vie,
praticate all’estero e proposte nei vari progetti italiani di stampo liberale.
Tali progetti non hanno riguardato solo l’acquisizione da parte dei minori, ma
una più generale riforma della cittadinanza, e sono stati spesso affiancati
dall’estensione del diritto di voto locale anche agli immigrati non comunitari.
Ricordiamo che, in base al Trattato di Maastricht (entrato in vigore nel 1993),
i comunitari, inclusi i romeni che in Italia sono la prima minoranza, hanno già
questo diritto, anche se ne fanno un uso fin troppo modesto.
Le due proposte di legge di iniziativa popolare, lanciate con la campagna
«L’Italia sono anch’io», promossa da numerose organizzazioni della società
civile, riguardano anche esse la cittadinanza nel suo insieme e il voto locale.
Ma dal momento che oggi si discute soprattutto di minori e che sui minori, in
linea teorica, dovrebbe essere meno arduo trovare una convergenza, limitiamoci
a questo argomento. Si tratta di un problema importante e di vaste dimensioni.
I nati e residenti in Italia, ancora stranieri al primo gennaio 2009, erano
quasi 600.000, cioè il 13,5% del totale degli stranieri residenti. Alla stessa
data, i minori stranieri residenti in Italia erano circa un milione, cioè quasi
il 22% dei minori residenti nel nostro paese. Nel 2010 sono nati in Italia
circa 78.000 bambini stranieri cioè quasi il 14% delle nascite. Pensare che la
popolazione italiana non sia anche questo significa rimuovere la realtà. La
proposta di iniziativa popolare di «L’Italia sono anch’io» sulla cittadinanza
richiede, per attribuirla alla nascita, il requisito di un solo anno di
soggiorno legale in Italia da parte di uno dei genitori. Si tratta di un
requisito piuttosto leggero: si colloca infatti ben al di sotto della media
europea, che si aggira intorno ai soliti cinque anni. La scelta di un requisito
troppo leggero non è esente da rischi, perché può trasformare in cittadini
anche i figli di quegli immigrati che non danno garanzie di volersi stabilire
nel nostro paese. Sarebbe meglio far dipendere questa opportunità dalla
condizione di titolare di carta di soggiorno di almeno un genitore. Per la
concessione della cittadinanza ai figli di immigrati privi della carta di
soggiorno al momento della nascita o ai bambini arrivati in Italia da piccoli,
di nuovo si possono imitare i modelli europei e chiedere un congruo numero di
anni di residenza o di frequenza nelle nostre scuole. Mediando tra proposte
forse troppo generose, e chiusure certo troppo severe, e soprattutto estranee
al contesto giuridico europeo, si possono trovare soluzioni mediane e meditate.
Purché si prendano le grandi questioni sul serio e si abbandoni il fastidioso
meccanismo automatico delle azioni e reazioni di parte.
Roma,
28 novembre 2011 - OGGI il 12% dei due milioni e mezzo di stranieri lavoratori
sono disoccupati: 280 mila persone in tutto. Con l’arrivo in Italia di nuovi
stranieri, in particolare extra-europei, questi “senza lavoro” rischiano di non
trovare mai più un’occupazione e di retrocedere, quindi, al pericoloso “status”
di clandestini. Esiste un documento tecnico interministeriale che offre queste
indicazioni alla politica: ci sono troppi stranieri disoccupati in Italia,
fermiamo il decreto flussi. È stato elaborato venti giorni fa, il periodo delle
convulsioni del governo Berlusconi, dagli “uffici immigrazione” dei più
importanti ministeri interessati: Interni, Lavoro, Esteri, Agricoltura. Il
direttore generale dell’Immigrazione al ministero del Lavoro, Natale Forlani,
ora dice: «Escludo che quest’anno possa esserci un decreto flussi». E spiega:
«Il nostro parere è negativo perché in Italia ci sono troppi disoccupati
immigrati, la metà dei quali già percepisce cassa integrazione, indennità di
mobilità, sussidio di disoccupazione. Prima di tutto bisogna dare a queste
persone la possibilità di trovare un nuovo lavoro, altrimenti, scaduto il permesso
di soggiorno, diventeranno irregolari. Non siamo nel 2000, quando l’Italia
aveva 700 mila stranieri con 50 mila disoccupati l’anno. Oggi i lavoratori non
italiani sono più che triplicati e a loro quest’anno dobbiamo sommare 25 mila
profughi aggiuntivi arrivati da noi con le crisi del Nordafrica e 50-60 mila
ricongiunzione familiari». Lo storico fabbisogno italiano — 200-250 mila
immigrati l’anno — è «ampiamente diminuito» ed è comunque garantito dai
migranti comunitari. Il decreto flussi «somiglia a una sanatoria che, tra
l’altro, non corrisponde alle reali esigenze del mercato del lavoro», dice
Natale. E chiude: «Stiamo affinando strumenti più mirati per fare politiche più
selettive. Se servono informatici ci si rivolgerà a un paese utilizzando quote
d’ingresso per lavoratori già formati a casa». Il parere tecnico ora è sui
tavoli dei ministeri, che dovranno decidere sul rinnovo di un decreto flussi.
Il ministro più preparato in materia, Andrea Riccardi, titolare della
Cooperazione internazionale, non ha deleghe sui flussi, ma i suoi uomini
mostrano sorpresa rispetto al documento dei tecnici e dicono: «Gli immigrati
richiamati con il clic-day servono per consentire al paese più vecchio d’Europa
di non finire in saldo negativo, demografico e lavorativo». Tra l’altro, ieri
la Cei ha chiesto un aumento delle quote dei flussi per i paesi del
Mediterraneo «che vivono rivolte e instabilità». Monsignor Giancarlo Perego,
direttore generale della Fondazione Migrantes della Conferenza episcopale, a
Radio Vaticana ha detto: «Bisogna lavorare sulla cooperazione internazionale,
azzerata in questi ultimi anni, e dare quote maggiori. Soprattutto ad alcuni
Paesi che in questo momento sono in fibrillazione al di là del Mediterraneo».
Confederati multietnici
di Antonietta Demurtas
Roma,
28 novembre 2011 - Gli immigrati sono «la linfa vitale» di cui l'Italia ha
estremo bisogno. «Non comprenderlo significa non saper guardare alla realtà».
Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano l'aveva detto il 15 novembre
nell'incontro con i nuovi cittadini italiani al Quirinale e l'ha ribadito il 22
davanti alla Federazione delle chiese evangeliche in Italia: «Mi auguro che in
parlamento si possa affrontare anche la questione della cittadinanza ai bambini
nati in Italia da immigrati stranieri». Persone che aiutano il Paese a «portare
il fardello del debito pubblico, che senza di loro sarebbe ancora più difficile
sostenere». Insomma il messaggio è chiaro e il destinatario pure: la speranza è
che il premier Mario Monti inserisca il tema degli immigrati tra quegli «obiettivi
ambiziosi» del nuovo governo, elencati il 17 novembre nell'aula del
Senato. E che, come suggeriscono da tempo gli economisti,
l'immigrazione sia vista come un fattore in grado di attirare capitale umano
qualificato e favorire la crescita. Visto che gli stranieri regolari hanno
superato quota 5 milioni e oggi producono il 12% del Pil italiano.
Una
convinzione che i sindacati hanno sposato da tempo. Fin dalla fine degli Anni
80, infatti, Cgil, Cisl e Uil hanno fatto dei temi dell'immigrazione una scelta
politica che si basa sul concetto di integrazione e uguaglianza dei diritti per
tutti i lavoratori.
CGIL, SINDACATO PLURIETNICO. La Cgil, da sempre contraria alle
gabbie salariali di origine etnica, non ha mai firmato accordi che prevedessero
un trattamento diverso tra lavoratori italiani e stranieri, ma già nel 1991
aveva modificato il proprio Statuto definendosi «un sindacato plurietnico». Da
allora ogni Camera del lavoro ha uno sportello informazioni e offre servizi
dedicati agli immigrati. Quelli iscritti alla Cgil sono ormai 400 mila, «e
tanti di loro sono dirigenti che lavorano per il sindacato a livello
confederale e categoriale», spiega a Lettera43.it Kurosh Danesh, di
origine iraniana, del coordinamento immigrati della Cgil in cui è entrato nel
1990.
CISL, LA PRIMA NEL 1989. Ancora prima, nel 1989, la Cisl aveva
creato l'Anolf, l'Associazione nazionale oltre le frontiere, «che serviva per
intercettare le esigenze degli immigrati», spiega Liliana Ocmin, segretario
confederale. «Oggi molti di questi lavoratori non solo fanno parte del
sindacato - gli iscritti sono circa 480 mila - ma sono diventati anche
dirigenti». E la storia di Ocmin, arrivata dal Perù 20 anni fa, sposata in
Italia con due figli, ne è la testimonianza.
UIL, ESPERIMENTO PIONIERISTICO. Vent'anni fa, anche la Uil,
che oggi conta 130 mila immigrati iscritti, aprì a Roma il suo primo sportello
dedicato. «Fu un esperimento pionieristico», spiega il segretario confederale
Guglielmo Loy, «in quegli anni, né la pubblica amministrazione né la politica
erano pronte ad accogliere gli stranieri che diventavano lavoratori italiani».
Da allora gli immigrati sono sempre più presenti nel sistema produttivo del
Paese. «Rappresentano la manodopera del futuro, e visto che l'Italia è priva di
materie prime e ha un'economia basata sulla produzione di beni e servizi»,
osserva Danesh, «rappresentano una risorsa indispensabile e da valorizzare». Per
questo i sindacati ogni giorno lottano affinché vengano introdotte alcune
specificità nella contrattazione di secondo livello: «Visto che il 10% dei
lavoratori italiani è immigrato», continua Danesh, «e ogni anno oltre 200 mila
di loro è regolarizzato, occorre ascoltare le esigenze di questa minoranza,
rendendole però universali».
Si va dalla
semplice richiesta di prevedere, nelle mense aziendali, menù senza carne di
maiale vietata dalla religione musulmana, all'esigenza di periodi di ferie più
lunghi, ottenibili con il cumulo, per i lavoratori che arrivano da Paesi
lontani», racconta Ocmin. Sino al Testo unico sulla sicurezza e la salute nei
posti di lavoro, diventato legge nel 2010, che prevede oltre alla variabile del
genere anche l'etnia e le diversità culturali.
BENEFICIO PER TUTTI. Si tratta di piccole attenzioni riservate
ai lavoratori stranieri di cui però alla fine beneficiano tutti. È il caso, per
esempio, dei corsi di alfabetizzazione. «Abbiamo più volte proposto ai Fondi
interprofessionali di inserire corsi di italiano per i lavoratori stranieri»,
racconta Danesh, «e nel settore dell'edilizia molti hanno accolto questa
richiesta che ha favorito tutti, imprenditori e operai». Sono numerose poi le
attività didattiche che gli stessi sindacati organizzano grazie al volontariato
di alcuni iscritti, spesso professori in pensione, che aiutano i giovani
immigrati a parlare correttamente la nostra lingua. «Così come negli Anni 60 il
sindacato attraverso varie iniziative come le 150 ore si prese l'incarico di
educare e formare le masse di lavoratori, spesso analfabeti, che arrivavano
dalle campagne, oggi lo stesso sforzo deve essere fatto con gli immigrati, che
non sono e non saranno sempre solo raccoglitori di pomodori e badanti»,
assicura Ocmin.
Un percorso
tutt'altro che in discesa e costellato di ostacoli. Il più pesante dei quali è
senza dubbio la legge Bossi-Fini: «Secondo il contratto di soggiorno se un
immigrato lavora in Italia anche da 10 anni ma perde il lavoro, ha solo sei
mesi di tempo per trovarne un altro, altrimenti deve andare via», ricorda Loy.
RISCHIO SFRUTTAMENTO. Una regola che non fa altro che
alimentare tensioni e agevolare lo sfruttamento, oltre che la concorrenza
sleale: «Diventa un'arma di ricatto per abbassare il costo del lavoro degli
immigrati che pur di trovare un impiego entro sei mesi accettano di tutto»,
denuncia un operatore della Cgil. Anche per questo motivo l'Inps continua a
registrare una differenza salariale del 30% tra le lavoratrici italiane e
quelle straniere.
DISOCCUPATI E SOTTOPAGATI. Secondo il Rapporto
annuale sull'economia dell'immigrazione 2011 della Fondazione Leone
Moressa, il tasso di disoccupazione straniero è passato dall’8,5% del 2008
all’11,6% del 2010; gli immigrati hanno livelli di povertà più elevati: il
37,9% delle famiglie straniere vive al di sotto della soglia di povertà contro
il 12,1% delle famiglie italiane, e le loro retribuzioni sono inferiori di 300
euro rispetto ai lavoratori italiani.
RATIFICA DELLA DIRETTIVA 52. E visto che in questo momento di
crisi sono proprio gli stranieri a perdere per primi il posto, i sindacati
chiedono da tempo la ratifica della direttiva 52 dell'Ue sull'emersione del
lavoro nero, che dà la possibilità agli irregolari di denunciare i datori di
lavoro che li sfruttano ottenendo un permesso di soggiorno umanitario per
trovare un'occupazione legale. «Una misura che già doveva entrare in vigore
entro il luglio 2011», ricorda Ocmin, «e che limiterebbe la riduzione in
schiavitù specie nel settore dell'edilizia e dell'agricoltura».
LEGGE TURCO-NAPOLITANO. L'obiettivo comune di tutti i
sindacati è quello di poter usare in maniera più ampia l'articolo 18 della
legge Turco-Napolitano finora applicato per aiutare le prostitute vittime dei
propri aguzzini. Ma le cose stanno cambiando. «Nel 2010», fa notare Danesh, «in
circa 500 sentenze i giudici hanno però già esteso la normativa ad altri
lavoratori».
Ma sono anche altri i servizi che il
sindacato ha offerto in questi anni per favorire l'integrazione e rendere meno
difficile per gli stranieri l'accesso al mondo del lavoro. Da cinque anni per
esempio i patronati si occupano - grazie a una direttiva dell'allora ministro
dell'Interno Beppe Pisanu - di firmare i protocolli del rinnovo del permesso di
soggiorno per motivi di lavoro. Sono circa 700 mila gli immigrati che ogni anno
si rivolgono all'ufficio Inca della Cgil. «Nel 2011 il patronato ha firmato
circa 140 mila rinnovi, concesso 12 mila ricongiungimenti familiari oltre a
occuparsi delle pratiche e dei servizi di informazione», spiega Danesh.
«L'immigrazione in Italia è ormai una variabile costante in tutti i processi,
non se ne può più fare a meno, e la politica se ne deve rendere conto».
STRUMENTALIZZAZIONI POLITICHE. In tal senso, secondo Danesh,
anche l'intervento del presidente della Repubblica per concedere la
cittadinanza ai figli di stranieri sulla base del principio dello ius soli
è stata salutata come «la richiesta di un grande statista che guarda al futuro
della società, mentre alcuni politici continuano a fare cassa elettorale
giocando sulla sensibilità degli italiani verso questi temi».
Un cambio delle regole di cittadinanza è sempre più urgente: «La carta di
soggiorno per esempio», spiega Loy, «può essere concessa agli immigrati dopo
cinque anni di permanenza in Italia, ma è ancora troppo difficile e complicato
l'iter per ottenerla, è invece uno strumento utile che andrebbe concesso con
più facilità».
SPERANZE PER IL NEO GOVERNO. La speranza è che Andrea
Riccardi, neo ministro per la Cooperazione internazionale e l'integrazione,
lavori su questi temi: dalla riforma della legge di cittadinanza all’estensione
del diritto di voto amministrativo agli stranieri lungo-residenti. Tema,
quest'ultimo, da dicembre 2009 fermo in parlamento.«Non ho la bacchetta magica
per risolvere tutti i problemi», ha detto dal canto suo Riccardi, «Ma lavorerò
per ascoltare gli immigrati e gli italiani e costruire insieme un percorso di
integrazione».
“Dignità
e diritti dei migranti irregolari”
Roma, 25 novembre 2011 - Il
numero degli immigrati irregolari che vivono e lavorano attualmente
in Europa è
stimato in un range che va da 1,8 a 3,9 milioni di persone, secondo stime recenti
del progetto “Clandestino”, finanziato dall'UE. Si tratta di
circa il 6% al 12% di tutti coloro che
sono nati al di fuori dell'UE che
sono attualmente residenti negli Stati membri dell’Europa a 27. Mentre alcuni di loro vivono in completa clandestinità,
altri sono noti alle autorità, ma
non possono essere espulsi per ragioni
amministrative o umanitarie. Una
ricerca FRA (Agenzia Europea per i diritti fondamentali)
indica che la mancanza di uno status
legalmente riconosciuto, rende milioni di persone vulnerabili e
potenzialmente soggetti a gravi violazioni dei diritti
fondamentali, tra cui varie forme di sfruttamento, mancanza di accesso ai servizi di base (Salute, Educazione, ecc..), e libero accesso alla giustizia. E’ su
questa importante tematica che il 21 ed il 22 novembre scorsi, si è tenuta a
Varsavia la Conferenza sui Diritti Fondamentali, quest’anno dedicata ai migranti irregolari.
La
due giorni di dibattito è stata promossa dalla “Fundamental Rights Agency”,
agenzia europea di tutela dei diritti umani fondamentali, ed ha coinvolto oltre
300 partecipanti provenienti dai 27 Paesi Membri della UE, tra cui esponenti
istituzionali, esperti, giuristi, sindacalisti, ONG ed altri rappresentanti della società
civile. Per l’Italia, oltre alla UIL, erano presenti rappresentanti di FRA
Italia, l’UNAR, ASGI, associazioni del terzo settore attive sul tema dei
migranti irregolari. Per la UIL era presente Giuseppe Casucci, del Dipartimento
Politiche Miagratorie. Contributi importanti sono venuti, tra l’altro, da Cecilia Malmström, Commissario per
gli Affari Europei, Belinda Pyke, direttrice per le
migrazioni ed i confini della Commissione Europea, Radosław Sikorski, ex ministro degli Esteri Polacco, Pedro Augusto Almeida
Freire, Vice
Presidente della Confederazione Portoghese del Commercio e Servizi, Rudy De La rue, dell’ILO e Michele LeVoy, direttrice di PICUM, Platform for International Cooperation on Undocumented Migrants.
Vivo e toccante anche l’intervento di una migrante Ucraina, Oleksandra Gusak, arrivata in Polonia nel 2001 e
rimasta in condizioni di clandestinità fino a pochi mesi fa.
Le
conclusioni della conferenza sono state fatte da Morten Kjaerum, direttotre di FRA, European Union
Agency for Fundamental Rights. Va particolarmente menzionato lo studio
realizzato da Adriano Silvestri, programme manager della ricerca legale della
stessa FRA, intitolato “Fundamental rights of migratns in an irregular
situation in the European Union”. Maggiori informazioni sullo studio sono
reperibili su questo sito: http://fra.europa.eu/fraWebsite/home/home_en.htm
Gli tra gli obiettivi della FRC quest'anno c’erano:
a) Informare il dibattito tra specialisti, operatori e decisori politici a livello europeo e nazionale sulla situazione dei migranti irregolari nei 27 Stati membri e aumentare la consapevolezza circa la necessità di sviluppare adeguate politiche e pratiche che garantiscono i diritti dei migranti irregolari.
b) Discutere di pratiche di
follow-up alla ricerca FRA
su questo tema, al fine di promuovere l'integrazione delle norme
fondamentali del diritto nella
gestione delle migrazioni.
c) Realizzare un
forum per il networking e la
condivisione delle prassi promettenti per supportare l'accesso ai diritti
fondamentali dei migranti irregolari.
Un certo numero di aspetti, dunque, che richiedono iniziative da parte
delle istituzioni e degli attori sociali, compresa, tra
le altre cose, la necessità di:
• tener conto dei diritti fondamentali dei migranti in condizione di
irregolarità, anche quando abbiano ricevuto un
provvedimento di rimpatrio, ma che non lo siano stati per difficoltà amministrative o ragioni umanitarie.
Sviluppare meccanismi capaci di porre
fine a situazioni di limbo legale
derivanti da situazioni prolungate di non rimozione;
• evitare misure sproporzionate che minano l'accesso da parte dei migranti irregolari, ai diritti fondamentali (quali arresti nelle vicinanza di scuole o ospedali)
e obbligo di segnalazione ai servizi sociali), nella fase di individuazione e la cattura di immigrati irregolari;
• eliminare gli ostacoli giuridici
e pratici che rendono difficile o impossibile per i migranti in situazione irregolare di accedere alla
giustizia, per esempio, quando sono sfruttati o maltrattati dai
datori di lavoro.
Pur riconoscendo che le politiche di
prevenzione dell'immigrazione irregolare sono legittime,
la Fundamental Rights Conference ha
posto l’attenzione sulla necessità di garantire che i diritti fondamentali dei
migranti irregolari siano
rispettati in ogni momento. I temi di discussione
erano nel quadro della Carta dei diritti
fondamentali dell'UE,
internazionali e regionali (Consiglio
d'Europa), standard
dei diritti umani, compreso il quadro internazionale
del diritto del lavoro.
Più ampio contesto
I temi del convegno hanno riguardato l’attuale e la futura politica dell'UE e gli sviluppi legislativi,
come previsto nel programma di Stoccolma
in particolare. L'attuale politica
dell'UE mira a prevenire l'immigrazione irregolare attraverso la
riduzione fattori di attrazione, ma
riconosce anche la realtà di una forte domanda di manodopera straniera in tutta l'UE e, quindi, la necessità
di facilitare l'immigrazione regolare
attraverso lo sviluppo di sistemi di
immigrazione legale. Gli strumenti di
controllo dell'immigrazione adottati
comprendono le direttive 2008/115/UE (rimpatri) e la 2009/52/UE
(sanzioni ai datori di lavoro che occupano lavoratori irregolari). Nonché le proposte di
direttive in discussione sui 'lavoratori
stagionali' (un gruppo particolarmente vulnerabile allo sfruttamento del lavoro) e quella sul cosiddetto 'permesso
unico', avanzate dalla Commissione europea
che mirano a facilitare la migrazione di manodopera regolare. In questo contesto politico più ampio,
la conferenza ha contribuito ad un
dibattito sui diritti dei migranti irregolari. Basandosi sui risultati della ricerca della FRA, l'obiettivo della Conferenza è stato quello di
sostenere le politiche e le azioni
a vari livelli, per aiutare a difendere questi diritti nella pratica. Anche se la Conferenza non ha prodotto
conclusioni formali, i risultati della stessa verranno riassunti e condivisi tra tutti gli attori partecipanti e contribuiranno al lavoro futuro della stessa
Agenzia. I lavori della due giorni, si sono anche sviluppati, attraverso
il lavoro di 4 gruppi di discussione, di cui vale la pena sintetizzare I
risultati.
Gruppo di lavoro I: Diritti
dei bambini accompagnati in
situazione irregolare
I problemi che i bambini in situazione irregolare si trovano a fronteggiare sono stati spesso tenuti fuori dal dibattito politico. Eppure, essi sono esposti ad una tripla vulnerabilità
- come i bambini, come migranti e come migranti
irregolari - e sono dunque titolari di speciali diritti
e protezione. I Paesi europei hanno
legiferato in generale per il diritto all'istruzione, alla salute
e all'alloggio dei bambini irregolari. Tuttavia, il livello dei diritti varia da paese a paese e spesso all'interno del paese. Politiche migratorie restrittive hanno a volte
prevalso sulle politiche di protezione dell'infanzia. Inoltre, difficoltà di ordine pratico e discrezione
a livello locale hanno spesso impedito ai bambini di accedere a tali diritti. Il gruppo di lavoro ha concluso
che la mancanza di status giuridico di questi bambini interferisce con il loro accesso all'istruzione, alla salute e
l'alloggio. Altri temi di
discussione sono stati: l'uso della
discrezionalità a livello locale, le sfide affrontate dai fornitori di servizi,
registrazione delle nascite, la
determinazione del miglior interesse a procedure di rimpatrio, la protezione dalla violenza e sfruttamento,
ecc. Il gruppo si è concentrato su come identificare
le sfide e la condivisione buone
pratiche e su di una serie di azioni per affrontare le
questioni più cruciali. Sono
state anche fornite
raccomandazioni per le azioni a livello locale,
nazionale ed europeo.
I migranti in situazione irregolare sono a rischio di
sfruttamento e abuso. Tipiche forme
di sfruttamento includono salari bassi, orari di lavoro eccessivi,
e difficoltà ad ottenere il
risarcimento per incidenti sul
lavoro. I lavoratori domestici sono
ancora più vulnerabili allo sfruttamento, che
include casi di abuso fisico e mobbing.
A causa del loro status di irregolari, essi sono spesso invisibili
agli ispettori del lavoro che non sono
spesso in grado di ispezionare abitazioni private.
Maggiori dunque le difficoltà di dimostrare i casi
di abuso o di sfruttamento. Come tutti gli altri lavoratori, i migranti in situazione irregolare debbono avere accesso
ai diritti fondamentali dei lavoratori, come le
condizioni di lavoro sicure e dignitose,
la retribuzione
equa, l'indennizzo per infortuni sul
lavoro e la garanzia dei periodi di riposo. Tuttavia, l'accesso alla giustizia per rivendicare tali
diritti è di fatto ostacolato,
a causa di difficoltà oggettive nel
dimostrare un rapporto di lavoro e
la paura di essere denunciati alle
autorità d'immigrazione ed espulsi, se essi cercano di ottenere un legale risarcimento.
C'è un alto rischio di impunità, anche nel caso di gravi violazioni
dei diritti. Il gruppo di lavoro ha
discusso su come migliorare l'accesso alla giustizia per i lavoratori migranti
in situazione irregolare, sfruttati. Ci
si è posti parecchie
domande: Come si possono garantire
condizioni di lavoro sicure e dignitose
per i migranti, compresi quelli
impiegati nel lavoro domestico, che
sono in situazione irregolare? Come
possiamo aumentare la consapevolezza
dei diritti dei migranti irregolari?
Le
organizzazioni della società civile, i sindacati
e gli altri attori sono invitati a
condividere la loro esperienza, aiutando
gli immigrati irregolari nell'accesso alla giustizia. Il gruppo di lavoro si è anche posto il
problema di come evitare che i
migranti si astengano dal
ricercare giustizia per paura di essere denunciati alle autorità di immigrazione.
Gruppo di
lavoro III: La detenzione
dei migranti irregolari
La detenzione è una maggiore interferenza
con la libertà personale. Il fatto di essere in situazione irregolare
non dovrebbe mai essere considerata un
motivo sufficiente per la detenzione.
Anche se la detenzione pre – espulsione non è di per sé una violazione dei diritti umani, lo può diventare. Ogni privazione della libertà deve quindi rispettare le garanzie che sono state create
per evitare la detenzione illegale e
arbitraria. I motivi che giustificano la detenzione debbono essere previsti dalla legislazione nazionale in modo chiaro ed esauriente. La detenzione, in ogni caso, dovrebbe essere
effettuata nel rispetto delle norme
procedurali o sostanziali, come previsto dalla legge. La detenzione dovrebbe essere utilizzata solo dopo aver esaminato se è davvero necessaria e giustificabile in ogni singolo caso. Qualora il diritto nazionale preveda la
possibilità di detenzione per
più di sei mesi, si dovrebbero anche stabilire
delle garanzie per assicurare che
la detenzione prolungata sia
usata solo in casi estremi. Il
gruppo di lavoro ha esaminato le
condizioni che debbono essere cogenti perché la detenzione sia considerata valida. Si sono esaminati temi come il diritto al controllo giurisdizionale del provvedimento di trattenimento, che dovrebbe essere
reso possibile in pratica. Il rimpatrio può essere raggiunto attraverso
misure meno coercitive (rimpatrio volontario). Il gruppo di lavoro ha contemplato anche alternative alla detenzione, in particolare considerando
le esigenze specifiche dei bambini.
Gruppo di
lavoro IV: Soluzioni per
irregolarità prolungata
Le situazioni
di irregolarità protratta interessano un numero considerevole di
immigrati in Europa, che
finiscono per diventare indigenti. A volte la loro espulsione o rimpatrio è impossibile a causa di
ostacoli tecnici o considerazioni
umanitarie. Le autorità finiscono per accettare la loro presenza, di fatto o formalmente, mentre non viene garantito alcun diritto esplicito di soggiorno. Questo porta a situazioni di prolungato limbo legale, che si
estende a volte per diversi anni.
L’accesso ai diritti fondamentali dipende in larga
misura dallo stato di migrazione amministrativa
e dal grado di riconoscimento formale
di residenza.
I casi di prolungato mancato rimpatrio ed il limbo
legale conseguente, pongono nuove sfide particolari in termini di accesso ai diritti fondamentali ed alla sostenibilità.
Solo alcuni diritti sono garantiti a livello
europeo. C'è anche una guida limitata sui
modi di porre fine a situazioni
di prolungata limbo legale. Questo potrebbe essere affrontato nell’ambito della direttiva sui rimpatri, per garantire che i
diritti fondamentali delle persone non espellibili, siano rispettati. Il gruppo di lavoro ha esaminato i problemi che si presentano in termini di garanzia d’accesso ai diritti fondamentali
per le persone che non espellibili
e per mettere fine a situazioni di limbo
giuridico.
Maggiori
dettagli sulla conferenza sono reperibili su questo sito: http://fra.europa.eu/fraWebsite/frc2011/about.html