Newsletter periodica
d’informazione
(aggiornata alla data del
7 dicembre 2011)
o
Dipartimento Politiche
Migratorie – Appuntamenti pag. 2
o
Documento: L’immigrazione
negli anni della crisi pag. 2
o
Cittadinanza –
E’ tempo di ripensare ad un nuovo contratto sociale pag. 3
o
Workshop:
“immigrazione e diritti di cittadinanza” pag. 5
o
Società – La crisi africana spinge gli immigrati a
chiedere asilo pag. 6
o
Corte UE – “No a
carcere durante i rimpatri” pag. 7
o
Sentenze –
Giudice di Firenze: “espulsioni incompatibili con direttiva rimpatri” pag. 8
A
cura del Servizio Politiche Territoriali della Uil
Dipartimento
Politiche Migratorie
Rassegna
ad uso esclusivamente interno e gratuito, riservata agli iscritti UIL
Tel.
064753292- 4744753- Fax: 064744751
n.
324
Dipartimento Politiche Migratorie: appuntamenti
Roma, 13 dicembre 2011, Camera
dei Deputati, sala della Mercede, via Poli 19
CIR – Nessun Luogo è
Lontano Onlus - Workshop: “immigrazione e diritti di cittadinanza”
(Guglielmo Loy, Angela Scalzo,
Giuseppe Casucci, Piero Bombardieri)
Palermo, 14 dicembre 2011, ore
9.30, Hotel NH, Foro Italico
Commissione Europea,
Rappresentanza in Italia, CGIL CISL UIL Nazionali, Regionali Sicilia e di
Palermo
Giornata Europea: da
Palermo a Bruxelles
(Guglielmo Loy)
Roma, 15 dicembre 2011, ore
09.30, Palazzo S. Macuto
Progetto Memo: “4° giornata
su Immigrazione e cittadinanza”
(Giuseppe Casucci)
Padova, 18 dicembre 2011, Casa
“Lucia Valentini Terrani”, ore 09.30
Convegno: “Profughi dalla Libia, esperienze
presenti e prospettive future”
(Giuseppe Casucci)
Mercato del lavoro etnico
L’immigrazione negli anni della crisi e l’inefficacia dei
decreti flussi
In uno studio del Ministero del Lavoro, il direttore per
l’Immigrazione Natale Forlani traccia un quadro delle attuali maggiori
criticità occupazionali per i lavoratori stranieri e spiega perché quest’anno
non verrà emanato un decreto flussi per gli immigrati, lavoratori a tempo
indeterminato
(redazionale a cura di Beppe Casucci)
Roma,
7/12/2011 - Negli anni della crisi, a partire dal 2008 e fino al 2010, la
disoccupazione dei lavoratori stranieri è aumentata di ben tre volte e mezzo
rispetto a quella dei loro colleghi italiani (+ 63,1% per gli immigrati, contro
+ 18,4% degli italiani). Nel secondo trimestre 2011 gli stranieri disoccupati hanno
toccato quota 278 mila (140 mila di loro godono di forme di sostegno al
reddito). Anche il tasso di occupazione degli stranieri, nello stesso arco di
tempo, si è ridotto notevolmente (dal 68,7 al 63,5), più che per gli italiani
(sceso di soli 2,1 punti). Parallelamente il tasso di disoccupazione degli
stranieri è cresciuto di tre punti toccando nel primo semestre 2011 quota
11,6%. Ancora: secondo l’indagine Excelsior di Unioncamere sulle intenzioni di
assunzioni, le previsioni per il 2011 per il personale straniero non
stagionale, sono allo stato di soli 56 mila unità, contro gli oltre 111.000 del
2008. In uno studio realizzato dal Ministero del Lavoro, appare un quadro molto
critico della situazione occupazionale dei cittadini stranieri, ma anche della
scarsa efficacia di strumenti di programmazione come il decreto flussi. Per la
Direzione Immigrazione del Ministero, infatti, sarebbe comprovata l’inefficacia
del DPCM (strumento utilizzato dal Governo per decidere le quote d’ingresso
annuali per lavoro di cittadini provenienti da Paesi Terzi). Secondo gli autori
dello studio, la performance dell’ultimo D.P.C.M. (febbraio 2011) è stata veramente povera. La quota per il
lavoro subordinato non stagionale è stata prevista per 98.080 lavoratori. Sono
arrivate 424.838 domande (di cui 312.320 per lavoro domestico), ma sono stati
rilasciati solo 42.910 nulla osta e, a novembre scorso, erano stati
sottoscritti solo 12.027 contratti di soggiorno (meno di un ottavo delle quote
previste). Stessa storia, per il decreto degli stagionali: 60 mila quote
programmate, 67 mila domande presentate, 20.643 i nulla osta concessi e solo
7.379 i permessi di soggiorno firmati. Per gli autori del report, non c’è
dubbio che il ruolo istituzionale del DPCM (matching tra domanda ed offerta di
lavoro etnico) non raggiunge minimamente gli obiettivi previsti e quindi va
profondamente riformato. Per l’insieme di queste motivazioni, la Direzione
Immigrazione del Ministero del lavoro “sconsiglia l’adozione di un decreto
flussi per ingressi di lavoro subordinato”, per
quest’anno “anche al fine di evitare un incremento anomalo di persone in cerca
di occupazione, con effetti indesiderati sul mercato del lavoro,
particolarmente riconducibili alla crescita del lavoro sommerso”.
Secondo il ragionamento di
Forlani, se ci sono oltre 270 mila stranieri disoccupati (tra l’altro con la
spada di Damocle di dover trovare lavoro entro sei mesi, pena l’espulsione),
invece di far entrare nuove persone, meglio che le imprese peschino
dall’esercito di disoccupati etnici, che tra l’altro sono a portata di mano ed
hanno già accumulato esperienza professionale. Per quanto riguarda lo strumento
del decreto flussi, la direzione di Via Fornovo “ritiene necessaria una
riflessione approfondita sulle modalità stesse di programmare e amministrare il
rilascio delle quote di nulla osta al lavoro nell’ambito dei DPCM annuali”. Per
Via Fornovo, va “sperimentata una metodologia di rilevazione dei fabbisogni e
dei trend di medio periodo a supporto della programmazione dei flussi”. Il
Ministero suggerisce tre direttrici:
Forlani richiama la necessità
di “fornire agli sportelli unici per l’Immigrazione l’elenco delle scadenze
territoriali dei rapporti di lavoro in essere” (fonte:comunicazioni
obbligatorie), in modo da costruire un data base quantitativa delle
disponibilità di reinserimento dei disoccupati immigrati, all’interno però dei
sei mesi previsti per “attesa occupazione”.
In conclusione il Ministero
del Lavoro intende operare lungo due direttrici:
Su tutti questi aspetti, la
Direzione per l’Immigrazione ha convocato a breve un incontro con le parti
sociali.
Tab. 1. Saldi
occupazionali (differenza tra assunzioni e cessazioni di lavoro) nelle regioni
del Nord. Anni 2008-2011.
|
2008 |
|
2009 |
||||||
|
IV |
|
I |
II |
III |
IV |
|||
Italiani |
-142.232 |
|
54.270 |
-50.706 |
-25.263 |
-146.276 |
|||
Stranieri |
-86.905 |
|
16.699 |
27.757 |
5.913 |
-81.342 |
|||
Totale |
-229.137 |
|
70.969 |
-22.949 |
-19.350 |
-227.618 |
|||
Fonte:
elaborazioni su dati Comunicazioni Obbligatorie.
Tab. 2.
Intenzioni di assunzioni non stagionali di personale straniero. Anni 2008-2011.
|
Minimo |
% su totale assunzioni |
Massimo |
% su totale assunzioni |
2008 |
111.240 |
13,4 |
167.800 |
20,3 |
2009 |
59.710 |
11,4 |
89.140 |
17,0 |
2010 |
70.950 |
12,9 |
105.820 |
19,2 |
2011 |
55.890 |
9,4 |
82.990 |
13,9 |
Fonte:
elaborazioni su dati Excelsior-Unioncamere.
Tab. 3.
Analisi del decreto flussi 2010: numero di domande e quote previste, nulla osta
rilasciati e contratti di soggiorno sottoscritti.
|
Lavoro subordinato non stagionale |
Lavoro stagionale |
Domande presentate |
424.858 |
67.152 |
Quote previste |
98.080 |
60.000 |
Nulla osta rilasciati |
42.910 |
20.643 |
Contratti di soggiorno sottoscritti e richieste p.d.s. |
12.027 |
7.379 |
Fonte:
dati Min. Interno (alla data del 03.11.11)
E’ tempo di ripensare il modello di
cittadinanza, di società e di contratto sociale
Di Giuseppe Casucci, Fabrizio Molina,
Christopher Hein
Il dibattito sulla
cittadinanza, sulla necessità cioè di costruire un nuovo quadro legislativo che
tenga conto dei profondi mutamenti che stanno rendendo la nostra una società
sempre più multietnica, ha ripreso in questi giorni vigore anche grazie alle
forti opinioni espresse in materia dal Presidente Napolitano. E’ importante
dunque cogliere lo stimolo che viene dalla Presidenza della Repubblica e
riannodare quel filo di dialogo tra Parlamento e società civile di fatto
interrotto da due anni. Per fare ciò sarebbe forse utile spogliare il confronto sul tema dei
diritti di cittadinanza dalle impostazioni ideologiche e guardare ai fatti: ai
segnali che ci vengono da una società in rapido movimento, dalla realtà della
crisi globale, nonché dai bisogni e dalle aspirazioni espresse dai nuovi come
dai vecchi cittadini.
Gap demografico e prospettive
future della società
Oggi in Italia vivono quasi
cinque milioni di cittadini nati all’estero, pari a circa l’8% della
popolazione complessiva e producono quasi l’11% del PIL. Come dire che, senza gli stranieri, saremmo oggi 55.6
milioni di abitanti italiani e che il rapporto tra stranieri e di
italiani è in effetti di 1 contro 11. A causa del gap demografico, in futuro le
cose non sembrano destinate a cambiare: oggi il tasso di
fecondità è pari a 2,4 figli per le donne straniere, contro 1,3 per quelle
italiane. Senza i cittadini immigrati, dunque, saremmo destinati ad un rapido
declino. Secondo uno studio del Ministero del Lavoro, il calo demografico tra
il 2010 ed il 2020 sarà di almeno altri 1,7 milioni di cittadini il che
porterebbe il rapporto stranieri italiani ad 1 contro 8. Secondo il Fondo sulle Popolazioni
Mondiali (Nazioni Unite), tra oggi
ed il 2050, l’Europa perderà altri 103 milioni di abitanti, di cui forse 8
milioni di italiani. Infatti attualmente l’Italia registra la 3° età mediana
più alta del mondo, dopo Giappone e Germania, (43 anni, contro i 15 del Niger o
i 16,7 dell’Afghanistan). Non c’è dubbio che il futuro demografico e di
sviluppo del nostro Paese dipenderà in gran parte dai flussi migratori e dai
nuovi nati stranieri in Italia. Nel 2010, in effetti, sono nati circa 78 mila bambini stranieri, il 13,9% del
totale dei nati nel Belpaese. In quanto ai minori stranieri, essi sono
destinati ad un aumento percentuale notevolmente superiore al trend complessivo
migratorio. Nel 2010 c’erano quasi un milione di minori stranieri, di cui oltre
650 mila nati in Italia. Nel 2020 le previsioni è che essi supereranno quota
1,5 milioni.
Leggi e modelli di società
Nel 1992 gli stranieri
residenti registrati risultavano essere 537.062. E’ l’anno in cui fatta divenne vigente la legge 91
sulla cittadinanza, una legge che necessariamente risentiva del minimo impatto
sulla nostra società delle migrazioni. Oggi, con una presenza di stranieri
residenti vicina all’8% della popolazione complessiva e di dieci volte
superiore al 1992, la società italiana è certamente molto cambiata rispetto
vent’anni fa. Da allora, cioè, è mutata la composizione e la qualità della
società civile, oggi assai lontana da quella chiamata nel 1991 a sottoscrivere
il contratto sociale. Da qui la necessità e l’urgenza di riscrivere le regole di civile convivenza, basandosi su
nuovi parametri e valori di riferimento. Non è possibile certo pensare ad un
mero modello di assimilazione dei nuovi venuti offrendo un quadro di valori e
regole scritte solo dagli italiani. Se il contratto va riscritto, questo deve
poter avvenire con l’apporto di tutti gli attori interessati: di qui la
necessità che il dibattito parlamentare riprenda e si avvalga di un confronto
di merito anche con la società civile nel suo complesso, e con i suoi
rappresentanti, italiani o non.
Riforma, eccesso di proposte
In Parlamento non mancano
certo le iniziative di legge. Dall’inizio della XVI legislatura
le proposte d’iniziativa parlamentare in materia di cittadinanza sono state ben
48: 15 sono quelle che la Commissione affari costituzionali della Camera ha
preso in esame (confronto poi sospeso dal 20 luglio 2010). 14 proposte non sono
state ancora assegnate, come i 18 disegni di legge al Senato. Sul tavolo c’è
anche una proposta d’iniziativa popolare depositata in Cassazione. Futuro e
Libertà per l’Italia, dal canto suo, ha rilanciato recentemente la proposta "Sarubbi-Granata"
limitata solo alla 'corsia privilegiata' per diventare cittadini italiani a chi
nasce sul territorio nazionale. Da
ultimo, il 23 novembre scorso, il Sen. Ignazio Marino del PD ha depositato in
Senato il disegno di legge “Modifiche della legge 5 febbraio 1992, n. 91, in
materia di introduzione dello ius soli”, dispositivo firmato da altri 112 senatori del blocco PD, IDV, UDC,
API. La proposta introdurrebbe
lo ius soli “secco”, permettendo
di diventare subito italiani tutti i bambini nati in Italia, figli di genitori
stranieri. Dunque le proposte sono tante, segno del grandissimo interesse che
questa materia suscita. Quello che è mancato purtroppo è il dialogo ed anche la
volontà di trovare un punto d’incontro tra le diverse impostazioni politiche ed
ideologiche. Dobbiamo considerare che riforme così importanti, come quella
sulla cittadinanza, riguardano le regole di civile convivenza della società
presente e futura. E’ consigliabile, dunque, che non vengano approvate di forza
da una maggioranza parlamentare risicata, anche perché correrebbero il rischio
di essere cancellate da un futuro cambio di governo. Su un tema tanto
fondamentale come il contratto sociale, meglio sarebbe trovare una larga
maggioranza, anche se su contenuti mediati, piuttosto che rimanere fermi al
1992. E quali sono questi contenuti?
Idee da discutere
E’ stato
fatto notare che con la cittadinanza italiana si acquisisce anche quella
europea. Meglio dunque sarebbe una riforma più vicina nei contenuti a quelle
realizzate in altri Paesi UE. In altre nazioni l’acquisizione della
cittadinanza può avvenire immediatamente alla nascita, anche se con diverse
condizioni richieste: ad esempio la riforma spagnola ha introdotto la
possibilità di cittadinanza per i bambini figli di stranieri con almeno un anno
di residenza in Spagna; mentre le
riforme greca e portoghese prevedono una residenza del genitore di
almeno 5 anni; infine quella tedesca parla di almeno 8. Peraltro, nella gran
parte degli Stati europei godono di un accesso privilegiato alla
cittadinanza, quei bambini nati
sul territorio del Paese di immigrazione che abbiano accumulato un certo numero
di anni di residenza o arrivati da piccoli nel Paese ospite, avendo poi
completato un ciclo scolastico. Questa corsia privilegiata per i minori,
infatti, riguarda quasi ovunque
anche i bambini non nati nel paese di immigrazione, ma che ci sono arrivati da
piccoli, purché vi abbiano studiato o vi siano vissuti per un certo
periodo. Un altro provvedimento
che potrebbe de ideologizzare il dibattito sulla cittadinanza è una maggiore e
più fluida fruizione del permesso di soggiorno di lungo periodo. E questo, non
solo perché l’ex carta di
soggiorno concede agli immigrati regolari da più di cinque anni una parità di
diritti quasi sostanziale con gli italiani, ma anche perché lo straniero in
possesso di carta di soggiorno, viene liberato dall’oppressione burocratica del
permesso di breve durata e dalle farraginosità e trappole della Bossi- Fini.
Oggi forse la maggioranza di chi richiede la cittadinanza
lo fa per sfuggire all’ordalia del rinnovo del permesso, non perché sia
convinto di voler diventare italiano. Bisogna dunque mettere i cittadini
stranieri in condizione di chiedere la cittadinanza italiana per convinzione e
non per pura necessità. Una ipotesi mediata, per quanto riguarda i bambini,
potrebbe dunque ispirarsi all’esperienza europea e concedere la cittadinanza ai
figli di immigrati presenti regolarmente da almeno 5 anni, che nascano in
Italia o vi arrivino da piccoli. In alternativa, i minori che abbiano
completato almeno un ciclo scolastico potrebbero comunque godere di un percorso
privilegiato alla cittadinanza italiana. Per quanto riguarda gli adulti,
sarebbe auspicabile un percorso più semplice per l’ottenimento della carta di
soggiorno e la cittadinanza dovrebbe arrivare in tempi certi di residenza e con
un percorso meno ad ostacoli, a
condizione che lo straniero si sia radicato nel nostro Paese e vi voglia far
parte abbracciandone valori e regole. Per quanto riguarda il diritto di voto
amministrativo per i lungo – residenti, l’Italia ha già ratificato la
Convenzione di Strasburgo, spostando solo temporalmente l’applicazione del
capitolo C. Basterebbe, dunque, una legge ordinaria per permettere a chi
risiede da un lustro nel nostro Paese, di poter votare i propri amministratori pubblici locali: traguardo
importante in quanto i partiti impareranno a mostrare maggiore attenzione e
rispetto verso gli stranieri, solo quando anche loro avranno diritto di voto.
Noi non intendiamo,
comunque, fare una proposta nuova con tempi e modi definiti di ottenimento dei
diritti di cittadinanza. Il nostro obiettivo è quello di facilitare il
confronto e soprattutto il buon senso tra tutte le parti politiche e sociali
interessate, convinti che un nuovo contratto sociale sui
diritti di cittadinanza premierà non solo gli stranieri, ma l’insieme della
società italiana che cerca un approccio nuovo per rispondere alle side del
presente e del futuro.
Workshop:
Immigrazione e diritti di cittadinanza: è tempo di riscrivere il contratto
sociale
Promosso da
CIR e l’associazione Nessun Luogo è Lontano, l’iniziativa si terrà il prossimo
13 dicembre, dalle 12.00 alle 15.00, presso la Sala S. Claudio, Piazza S.
Claudio, 166 - Camera dei Deputati
Roma, 17 Novembre 2011 –
Una iniziativa sui diritti di cittadinanza è stata promossa dal Consiglio
italiano per i rifugiati e l’Associazione “Nessun Luogo è Lontano”. L’idea è
mettere a confronto forze politiche e società civile sulle proposte di legge
già presenti in Parlamento, con l’obiettivo di riannodare il dialogo interrotto
su questa materia sin dal 2009. L’iniziativa, che conta con l’appoggio attivo
della UIL, vedrà la presenza del mondo sindacale, delle principali Fondazioni
dei Partiti, di alcuni parlamentari proponenti PDL sulla cittadinanza, e da
esperti in materia migratoria. Secondo i promotori: “In Parlamento sono molte
le proposte presentate, sia di riforma della legge di cittadinanza n. 91/1992,
sia riguardanti l’estensione del diritto di voto amministrativo agli stranieri
lungo - residenti. Purtroppo su questo importante tema è da dicembre 2009 che il
dibattito in Parlamento è fermo. Nel frattempo, gli stranieri regolari hanno
superato quota 5 milioni ed oggi producono l’11% del PIL italiano. Non è certo più possibile prescindere
da loro”. Per gli organizzatori dell’evento “la civile convivenza tra tutti
i cittadini (nati o meno in Italia) è in fondo un contratto sociale che ne
definisce le regole e le modalità, allora va considerato che questo contratto è
stato scritto nel 92 quando la presenza degli stranieri, per dirla con le
parole del Presidente Napolitano era 12 volte inferiore a quella di oggi”. Per
questo motivo “è’ tempo di tornare al dialogo tra tutte le parti politiche,
abbandonando la logica dello scontro e cercando insieme soluzioni concertate
volte ad una piena partecipazione dei
nuovi cittadini alla vita politica e sociale del nostro Paese”. Nella
locandina che presenta l’incontro si legge che “Oggi, con un decimo della
popolazione nata all’estero, la
società italiana non è più quella del 1992. Serve dunque un nuovo approccio al
tema dei diritti di cittadinanza, un nuovo “contratto sociale”, le
cui regole vanno scritte assieme a tutti i cittadini, nati o meno nel nostro
Paese: assieme a chi scommette sull’Italia e ha il diritto di concorrere a
costruire il suo futuro”. Anche sul
tema del voto amministrativo, per le due associazioni: “ è ben noto che in Europa 16 Paesi su 27
permettono agli immigrati residenti da oltre cinque anni di poter votare alle
elezioni amministrative. E’ giusto che questo avvenga anche da noi. Ma per fare
ciò non servono nuove proposte legislative: basterà che Governo e Parlamento
ratifichino il capitolo C della Convenzione di Strasburgo per
rendere questo diritto esigibile anche per i nostri stranieri lungo residenti”.
CIR e Nessun Luogo è Lontano “ribadiscono con forza l’urgenza di riavviare il
dialogo tra le forze politiche e sociali per ricercare una posizione comune in
materia di piena partecipazione degli stranieri alla vita civile nel nostro
Paese”.
Per questo motivo chiamano “la
politica e la società a riaprire le porte al buon senso ed al confronto”. Lo workshop “immigrazione e diritti di
cittadinanza” si terrà alla Camera dei Deputati, Sala S. Claudio (Piazza S.
Claudio, 166), dalle 12.00 alle 15.00 di martedì 13 dicembre 2011.
Società
(http://www.ilsole24ore.com/)
Roma, 5 dicembre 2011 - Dal 2008 il trend era in calo, tanto che nel 2010 era
stato raggiunto il numero minimo di richieste di asilo politico in Italia. Ma è
stato soprattutto a causa degli eventi in Nord Africa, soprattutto in Tunisia e
in Libia, se le domande di asilo da parte di immigrati in fuga nel primo
semestre 2011 sono raddoppiate: sono state infatti 10.860 le richieste
presentate in Italia, con un incremento del 102% rispetto allo stesso periodo
dell'anno precedente. È quanto emerge dal Rapporto 2010-2011 dello Sprar, il
Sistema di protezione per i richiedenti asilo e rifugiati, curato da Cittalia
Fondazione Anci Ricerche. Il Rapporto ha fotografato le attività di accoglienza
realizzate dagli enti locali in collaborazione con il terzo settore. L'aumento
cospicuo di sbarchi e di domande di protezione «hanno avuto significative
ricadute sull'apparato dell'accoglienza per rifugiati e richiedenti asilo,
determinando - si legge nello studio - una diversificazione degli interventi e
una stratificazione dei sistemi di accoglienza», dovuta anche al decreto della
Presidenza del Consiglio (del 12 febbraio) che ha dichiarato «lo stato di
emergenza nel territorio nazionale in relazione all'eccezionale afflusso di
cittadini appartenenti ai Paesi del Nord Africa».
Il Trattato con la Libia aveva fatto calare le domande di asilo
Una tendenza che ha fatto risalire le domande di asilo, in calo da tre anni. Se
nel 2008, infatti, si trattava di oltre 31mila persone, nel 2009 le domande si
sono quasi dimezzate (17.603 ovvero -42,3% rispetto al 2008) fino a ridursi
notevolmente nel 2010, quando i rifugiati in Italia erano poco più di 56mila.
Se tre anni fa, tra i 44 Paesi industrializzati, l'Italia era il quinto paese
destinatario dei richiedenti asilo - si legge ancora nel Rapporto - nel 2010 è
divenuto 14esimo. Questo cambiamento è dovuto alla ratifica del "Trattato
di amicizia, partenariato e cooperazione" con la Libia approvato dal
Parlamento nel febbraio 2009, che ha portato all'intensificazione del controllo
alle frontiere al fine di contrastare l'immigrazione irregolare, portando ad una
significativa diminuzione degli arrivi via mare e conseguentemente delle
istanze di protezione internazionale.
Al Lazio il record dell'accoglienza, Lombardia seconda
Nel corso del 2010 la rete dello Sprar ha coinvolto 2010 piccoli comuni e aree
metropolitane, con 3.146 posti di accoglienza che hanno consentito la presa in
carico di 6.855 beneficiari richiedenti e titolari di protezione
internazionale. In quest'ottica il primato dell'accoglienza spetta al Lazio,
grazie soprattutto all'impatto positivo espresso dalla città di Roma, con quasi
un quarto delle accoglienze totali. La graduatoria delle regioni che si sono
distinte nel 2010 per maggiore capacità di accoglienza vede dopo il Lazio (con
1.580 accolti, 466 strutture e 21 progetti) la Lombardia (1.163 accolti), la
Sicilia (807), la Puglia (499) e l'Emilia Romagna (439), con un netto divario,
sottolinea il Rapporto, con altre realtà territoriali come ad esempio il
Trentino-Alto Adige (42), l'Abruzzo (32), il Molise (32) e la Sardegna (31). In
ogni caso, viene rilevato, «fatte le dovute proporzioni tra numero dei progetti
e dei posti messi a disposizione della rete dello Sprar e il valore assoluto
delle accoglienze, risultano comunque molto alti anche la capacità e il
potenziale di accoglienza di regioni che ospitano anche un solo progetto del
Sistema di Protezione».
(ANSA) - LUSSEMBURGO, 6 dicembre 2011 -
No alla carcerazione degli immigrati clandestini durante la procedura di
rimpatrio, ma si' a norme nazionali che puniscono anche con la detenzione chi
soggiorna irregolarmente in un Paese dell'Unione: e' quanto ha stabilito oggi
la Corte di giustizia Ue in una sentenza emessa su un caso che riguarda la
Francia.La Corte di giustizia europea e' stata chiamata a pronunciarsi dalla
Corte d'Appello di Parigi sul caso di un immigrato clandestino armeno che nel
giugno di quest'anno e' stato oggetto di un decreto di ''ri accompagnamento coattivo
alla frontiera'', nonché di un provvedimento di detenzione per soggiorno
irregolare. I giudici europei - diversamente da quanto accaduto con la sentenza
dello scorso aprile su un caso italiano, quando venne bocciata in toto la norma
che ha introdotto il reato di clandestinità - hanno stabilito che la direttiva
Ue sui rimpatri ''non vieta una normativa nazionale che qualifica il soggiorno
irregolare di un cittadino extracomunitario alla stregua di reato e preveda
sanzioni penali, compresa la reclusione''. Allo stesso tempo hanno però anche
deciso che una corretta applicazione della direttiva esclude che, nel corso
della procedura di rimpatrio, l'immigrato clandestino venga incarcerato, poiché
questa sanzione impedisce di fatto l'esecuzione del rimpatrio e quindi il
raggiungimento del fine ultimo della stessa direttiva Ue. Detto questo, una
volta che tutti i passaggi previsti dalla direttiva siano stati compiuti e
constatata l'inesistenza di un giustificato motivo che precluda al rimpatrio,
afferma ancora la Corte nella sentenza odierna, nulla osta al fatto che, ''ai
sensi delle norme nazionali e nel rispetto dei diritti fondamentali'', agli
immigrati irregolari di Paesi terzi ''siano inflitte sanzioni penali''. (ANSA).
(ASCA) -
Roma, 5 dic - Alla fine del 2010 gli occupati stranieri sono risultati 235mila,
il 13,8% dell'occupazione complessiva. Nel 48,5% dei casi si tratta di donne
(41,8% in Italia) e nel 61,3% di persone con meno di 45 anni (tra gli italiani
solo il 31,7% rientra in questa fascia di eta'). Il tasso di occupazione
(69,7%) supera di quasi 10 punti quello degli italiani (60,1%), mentre il tasso
di disoccupazione e' stato del 9,4%, 1,8 punti percentuali in meno del 2009 e
2,2 punti percentuali in meno rispetto a quello registrato a livello nazionale.
Gli stranieri in cerca di lavoro, invece, sono stati 24.300. Emerge
dall'Osservatorio Romano sulle Migrazioni - Ottavo Rapporto in collaborazione
con la Caritas Diocesana di Roma e la Camera di Commercio di Roma, presentato
oggi a Roma, nella sede della Provincia. ''Da un'indagine campionaria condotta
dal Centro Studi e Ricerche Idos per l'Inps - si legge - e' risultato che per
due terzi gli intervistati hanno conosciuto nella loro carriera lavorativa
periodi di disoccupazione. Gli stessi dati dei Centri per l'Impiego confermano
l' elevata flessibilita' del lavoro degli immigrati, in particolare delle donne
- in media uno straniero sottoscrive in un anno piu' di due contratti -, e l'Osservatorio
del Mercato del Lavoro della Provincia di Roma ha rilevato che a garantire
l'accesso al lavoro sono in prevalenza i canali informali e il passaparola
(73,3% delle riposte).'' Il 71,5% degli stranieri trova occupazione nei
servizi, il 25,4% nell'industria e il 3,1% in agricoltura. In particolare, e'
forte la concentrazione nelle costruzioni, che occupano il 19,5% degli
stranieri (tra gli italiani solo il 6,5%), e nelle attività riguardanti
l'assistenza alle persone e i servizi sociali (44,8% rispetto al 25,2% tra gli
italiani).
Secondo
l'Inps, questo comparto assorbe a Roma oltre un terzo degli stranieri
assicurati (35,7%), a fronte di una media nazionale del 17,6%. Per gli
immigrati che lavorano a tempo parziale (31,1% del totale) spesso si tratta di
un lavoro a tempo pieno non integralmente dichiarato ai fini contributivi e
contrattuali. L'indagine Inps, infatti, ha evidenziato che il 70,8% degli
intervistati ha lavorato in precedenza nel sommerso e che in 3 casi su 10
l'orario dichiarato in busta paga non coincide con quello effettivo. Il 74,7%
degli occupati stranieri svolge professioni a bassa qualificazione (tra gli
italiani il 20,8%) e, in particolare, le professioni non qualificate riguardano
il 48,7% degli stranieri e solo il 7,4% degli italiani. Le donne straniere con
un titolo alto sono ancor piu' sfavorite. Notevole e', cosi', lo spreco di
risorse, e notevole e' anche la differenza nelle retribuzioni, che per i
dipendenti a Roma sono mediamente di 1.227 euro al mese, mentre per gli stranieri
ammontano a 859 euro.
Sentenze
Espulsioni immigrati. Giudice di Pace di Firenze: Le nuove
norme italiane sono incompatibili con la Direttiva rimpatri e devono essere
disapplicate
Di Emmanuela Bertucci, Aduc Immigrazione
Firenze,
1° dicembre 2011 - Ci siamo gia' occupati della nuova normativa italiana
in materia di espulsioni di cittadini extracomunitari,
sollevando forti perplessita' sulla sua compatibilita' con la Direttiva
2008/115/CE. All'indomani del recepimento in Italia della Direttiva comunitaria
2008/115/CE sul rimpatrio di cittadini di Paesi terzi irregolari, le
nuove norme sulle espulsioni introdotte con il d.l. 89/11, convertito
nella legge 129/11, non superano il vaglio giudiziale e
iniziano ad essere emesse le prime pronunce di disapplicazione della
normativa italiana in favore di quella comunitaria. Il Giudice di Pace
di Firenze (dott. Simone Bozzi) ha infatti recentemente annullato un decreto
prefettizio di espulsione emesso successivamente all'entrata in vigore della
riforma. Un provvedimento di estremo interesse poiche' parametra – in
prima battuta - la legittimita' del provvedimento impugnato non gia' ai casi
previsti dall'art. 13 comma 4, d.lgs. 286/98 ma direttamente alle
previsioni della Direttiva, sul presupposto della incompatibilita' della legge
italiana con il dettato normativo della Direttiva:
“rilevato che ai sensi dell'art. 7, IV comma, della Direttiva n.
2008/115/CE del 16.12.2008, gli Stati membri dell'Unione Europea possono
astenersi dal concedere agli stranieri presenti irregolarmente sul loro
territorio un periodo per la partenza volontaria o concederne uno inferiore a
sette giorni se sussiste il rischio di fuga, se una domanda di soggiorno
regolare e' stata respinta in quanto manifestamente infondata o fraudolenta, o
se l'interessato costituisce un pericolo per l'ordine pubblico, la pubblica
sicurezza o la sicurezza nazionale”.Data questa premessa, il Giudice
fiorentino esclude che lo straniero ricorrente possa essere ritenuto un
pericolo per l'ordine pubblico, per la sicurezza pubblica o per la sicurezza
nazionale posto che “non risulta agli atti nessuna sentenza di condanna a
carico del ricorrente per reati costituenti indice di pericolosita' sociale”, per
poi analizzare in dettaglio la definizione di “rischio di fuga”.Ad
avviso di chi scrive, un decreto di espulsione con accompagnamento coattivo
alla frontiera che si limiti a rilevare la sussistenza delle circostanze in
presenza delle quali sussiste il pericolo di fuga, senza valutare, e motivare,
nel caso concreto la effettiva sussistenza di un effettivo pericolo di fuga, e'
illegittimo poiche' emesso in violazione dell'art. 13, comma 4 bis del d.lgs.
286/98. E' questa infatti la conseguenza dell'unica lettura possibile
costituzionalmente orientata della norma in oggetto: “si configura
il rischio di fuga […] qualora ricorra almeno una delle
seguenti circostanze da cui il Prefetto accerti, caso per caso,
il pericolo che lo straniero possa sottrarsi alla volontaria esecuzione del
provvedimento di allontanamento [...]”. La formulazione della norma
potrebbe risultare ambigua posto che parrebbe da una parte suggerire
l'automatica sussistenza del rischio di fuga al ricorrere di una delle
circostanze elencate, salvo poi dall'altra richiedere al Prefetto, nella
fattispecie concreta, una valutazione “caso per caso”. Delle due l'una, o il
rischio di fuga si configura automaticamente ogni qualvolta sussistono
le circostanze elencate (e allora sarebbe superfluo l'inciso “caso per caso”)
oppure, la presenza delle circostanze indicate dalla norma e' solo il
presupposto affinche' il Prefetto possa compiere poi le valutazioni necessarie
in ordine alla effettiva sussistenza del pericolo di fuga. Valutazioni che se
elaborate devono essere esplicitate nell'atto amministrativo motivando
sia in fatto che in diritto sulla concretezza del pericolo.
Accogliendo la prima ipotesi la norma italiana sarebbe
illegittima, e andrebbe disapplicata ovvero andrebbe sollevata questione di
legittimita' costituzionale poiche' contravverrebbe a quanto previsto agli
artt. 3, comma 1, n.7 e 12 della direttiva. Cio' perche' lo spirito (e la
lettera) di quest'ultima e' di porre criteri sulla base dei quali poter
valutare caso per caso la reale sussistenza di un pericolo di fuga (“'rischio
di fuga' la sussistenza in un caso individuale di motivi basati su criteri
obiettivi definiti dalla legge per ritenere che un cittadino di un paese terzo
oggetto di una procedura di rimpatrio possa tentare la fuga”, art. 3,
comma 1 n. 7), mentre il recepimento da parte del legislatore italiano non
individua criteri ma circostanze in presenza delle quali il pericolo
si presume, senza alcuno spazio per la valutazione della situazione specifica. Accogliendo
invece la seconda ipotesi, l'espulsione con accompagnamento coattivo
fondata sulla mera sussistenza delle circostanze elencate al comma 4 bis
dell'art. 13 d-lgs. 286/98 sarebbe illegittimo per omessa valutazione del caso
di specie, nonche' per difetto di motivazione in violazione dell'art. 12 della
Direttiva Rimpatri («le decisioni di rimpatrio e, ove emesse, le decisioni
di divieto di reingresso e le decisioni di allontanamento sono motivate in
fatto e in diritto»), dell'art. 13 comma 3 d.lgs 286/98 («l’espulsione è
disposta in ogni caso con decreto motivato»), nonche' dell'art. 3 legge 241/90
che «la motivazione deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni
giuridiche che hanno determinato la decisione». L’amministrazione è
pertanto tenuta a esplicitare, con motivazione non meramente astratta, bensì
tenendo conto delle specifiche circostanze del caso concreto, le ragioni poste
a fondamento delle proprie decisioni in materia di rimpatri. Il provvedimento
fiorentino Ma a ben vedere il Giudice nell'accogliere la tesi della
incompatibilità della norma italiana va anche oltre, analizzando il contenuto
del comma 4 bis dell'art. 13 d-lgs. 286/98 , che consente alla autorità di
astenersi dal concedere un termine per la partenza volontaria in caso di:
a) mancato possesso del passaporto o di altro documento equipollente, in corso
di validità;
b) mancanza di idonea documentazione atta a dimostrare la disponibilità di un
alloggio ove possa essere agevolmente rintracciato
c) avere in precedenza dichiarato o attestato falsamente le proprie generalità;
d) non avere ottemperato ad uno dei provvedimenti emessi dalla competente
autorità, in applicazione dei commi 5 e 13, nonché dell'articolo 14;
e) avere violato anche una delle misure di cui al comma 5.2.
Ad avviso del giudicante nessuna di tali condotte e' di per se' indice di un
concreto pericolo di fuga, e dunque non sono idonee a fondare un provvedimento
di accompagnamento coattivo:
“ritenuto che il significato dell'espressione 'tentare la fuga' non possa
essere esteso sino a ricomprendere la mera condotta di sottrazione
all'esecuzione di un pregresso ordine di allontanamento dal territorio
nazionale, ne' tanto meno il pericolo di una sottrazione all'esecuzione di un
futuro ordine di allontanamento, come si evince anche dall'art. 7 III comma
della Direttiva, ai sensi del quale, per la durata del periodo per la partenza
volontaria, possono essere imposti obblighi diretti ad evitare il rischio di
fuga, come l'obbligo di presentarsi periodicamente alle autorita', la
costituzione di una garanzia finanziaria adeguata, la consegna di documenti o
l'obbligo di dimorare in un determinato luogo” […] “non rileva in contrario
quanto disposto dal comma 4 bis dell'art. 13 d.lgs. 286/98 introdotto dall'art.
3, I co., lett. c) del d.l. 89/11 convertito nella legge 129/11 in quanto
contrastante con il disposto del summenzionato art. 3 della Direttiva 2008/115/CE
del 16.12.2008 e percio' dunque da disapplicare”.
Non possiamo che concordare sia con il percorso logico giuridico effettuato dal
giudice che con le conclusioni cui giunge. La nuova normativa italiana in
materia di espulsioni non e' conforme alla disciplina comunitaria e deve essere
disapplicata.
Si tratta di una normativa, ad avviso di chi scrive, voluta piu' per una
questione di facciata che di sostanza. Non c'e' un vero intento di adeguamento,
ma un tentativo – tipicamente italiota – di continuare a fare come
si vuole facendo finta di adeguarsi alle prescrizioni comunitarie. Come avevamo
previsto, il “giochino” e' durato poco: le innovazioni in vigore dal 6
agosto 2011 non hanno minimamente soddisfatto le aspettative dell’Unione
Europea, mancando un reale ed effettivo adeguamento degli istituti e dei rimedi
italiani ai canoni sovranazionali imposti dalla direttiva. Ne consegue
che il recente sforzo del legislatore italiano lascia impregiudicata la
rilevanza e l’attualità del tema della diretta applicabilita' (carattere
self-executing) della normativa in parola, ampiamente confermata dalla
giurisprudenza degli ultimi anni, sotto il vigore della precedente formulazione
del d.lgs. 286/1998.