Il
Dipartimento Politiche Migratorie
della
UIL augura a
tutti buon Natale e un 2012 migliore
Newsletter periodica
d’informazione
(aggiornata alla data del
19 dicembre 2011)
o
Dipartimento Politiche
Migratorie – Appuntamenti pag. 2
o
Lavoro –
Quest’anno niente decreto flussi pag. 2
o
Razzismo –
Firenze in piazza pag. 4
o
Razzismo –
Intervista ad Ali Baba Faye pag. 4
o
Il razzismo è un
reato. Breve guida all’autodifesa
pag. 5
o
Immigrazione e lavoro
– Il cedolino diventa legge pag. 7
o
Workshop:
“immigrazione e diritti di cittadinanza” pag. 8
o
Europa –
Permesso unico di residenza per i cittadini extra UE
pag. 9
o
Cassazione – No
ad espulsione se lo straniero convive con parente minorenne pag.
10
A
cura del Servizio Politiche Territoriali della Uil
Dipartimento
Politiche Migratorie
Rassegna
ad uso esclusivamente interno e gratuito, riservata agli iscritti UIL
Tel.
064753292- 4744753- Fax: 064744751
n.
325
(redazionale)
Roma, 19 dicembre 2011 – In un incontro tra Ministero del Lavoro e parti
sociali, tenuto lo scorso 16 dicembre presso la sede di Via Fornovo, il
Direttore Natale Forlani ha formalizzato l’intenzione del Governo di non
procedere quest’anno al varo di un decreto flussi per nuovi ingressi di
lavoratori extra UE. I motivi sono molti, ma riconducibili a due principali
ragioni: a) lo strumento del decreto
flussi si è dimostrato inadeguato a conseguire il desiderato matching tra
domanda ed offerta di lavoro straniero. Infatti il numero di nuovi contratti di
soggiorno firmati, rispetto alle quote ed alle domande presentate è risultato a
fine anno addirittura “risibile”; b) nel secondo trimestre del 2011 c’erano ben
278 mila stranieri disoccupati, un numero in rapida crescita che potrebbe
superare quota 300 mila alla fine di quest’anno: sarebbe dunque illogico far
entrare nuove persone in un mercato del lavoro fortemente in crisi.
All’incontro di venerdì scorso erano presenti, oltre al Direttore Forlani,
anche il Prefetto Daniela Parisi del Ministero dell’interno. Tra le parti
sociali, presenti rappresentanti di tutti i sindacati e delle principali associazioni
territoriali. Il Dipartimento
Politiche Migratorie della UIL era rappresentato da Giuseppe Casucci. Per dare
un quadro credibile della critica situazione occupazionale che colpisce
anche lavoratori stranieri, il dirigente ministeriale ha dato numerosi esempi concreti:
“Negli anni della crisi, tra il 2008 ed il 2010 – ha detto – la
disoccupazione tra gli immigrati è aumentata tre volte e mezzo rispetto a
quella degli italiani (in valore % + 63,1 contro +18,4). In valori assoluti, i
disoccupati stranieri sono passati dai 169 mila del secondo trimestre 2008 ai
278 mila del secondo trimestre 2011 (di questi, 140 mila sono percettori di
sostegno al reddito); vale a dire una quota doppia rispetto a tre anni fa”. La
crisi è visibile anche sul fronte dell’utilizzo degli ammortizzatori sociali.
Tra il 2009 ed il 2010, infatti, la cassa integrazione è risultata in
fortissima crescita anche per gli stranieri. Mentre, sul fronte dei beneficiari
di indennità di mobilità e disoccupazione, si registra attualmente tra i
lavoratori immigrati una crescita nell’uso di questi strumenti, che già nel
2009 era pari a + 28,9%, a fronte di una crescita complessiva del 9,6% per
tutti gli occupati. Per Forlani, l’andamento dell’economia non fa presagire
cambiamenti nel breve e medio periodo. E una conferma viene dall’indagine
Excelsior di Unioncamere sulle assunzioni programmate dalle imprese italiane:
le assunzioni previste per gli immigrati nel 2011 rappresentano la cifra più
bassa degli ultimi 4 anni: una media di 70 mila assunzioni, contro le quasi 140
mila del 2008. Secondo il Direttore per l’Immigrazione, dunque, la poca domanda
di manodopera può essere soddisfatta ampiamente dall’esercito di disoccupati stranieri
che cercano urgentemente lavoro e, per legge, lo devono trovare entro sei mesi.
Quadro insufficiente anche per quanto riguarda lo strumento del decreto
flussi. Nel
2010, a fronte di 98.080 quote previste, sono pervenute al Viminale 424.858
domande per lavoro a tempo indeterminato. Il bilancio (alla data del 3 novembre
2011) è di 42.910 nulla osta rilasciati e un magro risultato di 12.027
contratti di soggiorno sottoscritti. Peggiore ancora la situazione per il
D.P.C.M. stagionali che, a fronte di 60 mila quote previste, ha prodotto al
sottoscrizione di sole 7.379 contratti di soggiorno. “La conclusione raggiunta,
nell’ambito di una riunione interministeriale – ha concluso Forlani
– è stata quella di sconsigliare l’adozione di un decreto flussi per
ingressi di lavoro subordinato, anche al fine di evitare un incremento anomalo
di persone in cerca di occupazione, con effetti indesiderati sul mercato del
lavoro, particolarmente riconducibili alla crescita del lavoro sommerso”. Per
quanto riguarda il lavoro stagionale, si è detto, il decreto flussi ci sarà, ma
il numero delle quote verrà drasticamente ridotto e si provvederà ad un
maggiore monitoraggio delle domande per verificarne la trasparenza e
l’esistenza di un posto di lavoro concreto. Forlani ha aggiunto che, per
particolari esigenze di risorse umane qualificate non disponibili in Italia, è
possibile procedere anche attraverso l’utilizzo dell’art. 23 del Testo Unico ed
il numero può essere ampliato, se necessario, anche per via amministrativa.
Forlani ha concluso parlando del superamento dello strumento del D.P.C.M. Per
Via Fornovo, va “sperimentata una metodologia di rilevazione dei fabbisogni e
dei trend di medio periodo a supporto della programmazione dei flussi”. Il
Ministero suggerisce tre direttrici:
a. Definizione dei trend demografici, sia per l’Italia
che per i Paesi di provenienza dei migranti, con previsione degli andamenti
domanda – offerta;
b. Rilevazione dei bisogni professionali in Italia che
debbano essere soddisfatti dai flussi di lavoro dall’estero;
c. Rilevazione delle scadenze di lavoro in essere e della
“reimpiegabilità” degli stranieri disoccupati in Italia.
Razzismo
www.ilsole24ore.it,
del 18 dicembre 2011
In
marcia per dire no al razzismo. L'Italia antirazzista sfila a Milano, Napoli e
Firenze. Nella città della tragedia, che ha visto due senegalesi uccisi dal
militante di estrema destra Gianluca Casseri, i manifestanti sono in 15mila. Un
fiume di persone. La partenza è stata da piazza Dalmazia: la prima tappa della
follia del killer-ragioniere. Per dare un messaggio di sdegno contro la
xenofobia che ha coinvolto la comunità senegalese nel capoluogo toscano. Si
ricordano Modou Samb 54 anni e Mor Diop 45 anni, oltre ai tre connazionali
feriti. E il flusso è già vivo dalla mattina, con la comunità senegalese che
prega sui tappetini e recita versi del Corano, trasformando il luogo in un
pellegrinaggio, che coinvolge tutti insieme, senegalesi italiani egiziani e
non. Tutti, proprio come è ormai l'identità di questa Italia multietnica, che
qualcuno voleva cancellare. Vengono lasciati messaggi, fiori e disegni di
bambini. Ma il dolore è forte, la ferità è profonda. Il portavoce della
comunità senegalese Pape Diaw dice: «Da oggi niente sarà più come ieri», su un
cartello oltre la foto di Modou ci sono le foto della moglie e della figlia di
13 anni. «Tredici anni senza vedere la sua famiglia – c'è scritto accanto
alle immagini – e il suo sogno si è fermato il 13 dicembre». Accanto alla
foto dell'altra vittima Mor Diop, la scritta: «Perché ha scelto solo i
senegalesi al mercato?». Con la comunità senegalese sono presenti anche molti
volti della politica. In testa al corteo ci sono il sindaco Matteo Renzi, il
governatore della Toscana Enrico Rossi e il leader di Sel Nichi Vendola,
arrivati insieme. E poi il leader del Pd Pier Luigi Bersani, Rosy Bindi e il
segretario di Rifondazione Paolo Ferrero. A Verona ha sfilato anche il sindaco
leghista Flavio Tosi. Segnando un po' un'eccezione nel panorama del Carroccio. Ed
è proprio alla Lega che sono rivolte le parole di ieri di Andrea Riccardi, dopo
la polemica sulla visita da parte del nuovo ministro della cooperazione e
integrazione al campo Rom di Torino che negli stessi giorni della tragedia
fiorentina era stato oggetto di un raid punitivo da parte di italiani. Clima di
xenofobia: «Le parole in certi casi diventano armi, qualcosa di pesante», ha
detto il ministro. «Credo che troppo si è predicato il disprezzo, si è parlato
con durezza di gruppi etnici minoritari. Poi si è detto: son cose così, urliamo
e le parole non pesano. Pesano, invece, eccome». «Quello che è successo non è
un gesto isolato di un folle, sarebbe troppo facile dire così, ma di una
cultura e di una tolleranza verso ideologie xenofobe e razziste che abbiamo
avuto», dice invece il presidente della Regione Toscana Enrico Rossi che fa
appello al presidente della Repubblica perché conceda la cittadinanza ai
senegalesi feriti. Insiste sul linguaggio Nichi Vendola, leader di Sel e
governatore della Puglia: «Il razzismo è stato sdoganato dalle classi dirigenti
per un tempo lunghissimo. Il linguaggio del potere è stato un linguaggio
razzista». Per Pierluigi Bersani «bisogna avere una reazione sul piano
culturale e civile perché siano bloccati immediatamente i rigurgiti di tipo
razzista. Bisogna chiedere alle istituzioni di fare la loro parte reprimendo
con severità i fenomeni di terrorismo razzista. In un momento di crisi c'è
l'esigenza di essere vigili e ribadire un concetto di fondo, la comune unità
degli uomini. La politica deve partire da questo - ha concluso Bersani - se no
non è politica».
Da Casapound intanto ribadiscono la loro estraneità rispetto all'omicida, ma
niente scuse: «Il nostro stile politico ci ripulirà da una macchia che ci ha
sporcati ingiustamente e per cui non abbiamo nessuna colpa nè sentiamo di dover
chiedere scusa a nessuno».
Il sociologo di origine senegalese:
"La strage di Firenze è la punta di un iceberg, il problema non è solo il
gesto di un folle. Gli immigrati in Italia sono diventati capri espiatorio,
mostri da colpire. Si rischia una protesta violenta, le istituzioni stiano
vicine alla comunità"
Roma -
13 dicembre 2011 - "Lo sfondo razzista di quello che è successo è
evidente. L’assassino si è andato a scegliere le sue vittime al mercato,
sapendo di trovarle al lavoro. Ha aperto il fuoco contro un bersaglio
semplicissimo, gli ambulanti con la pelle nera". Aly Baba Faye, sociologo
e leader storico della comunità senegalese, si dice "sconvolto" per
la strage di Firenze, ma analizza con lucidità il contesto in cui è maturata:
"Negli ultimi anni in Italia si è seminato molto razzismo, la diversità è
diventata un male, l’immigrato la vittima da sacrificare. C’è stato un
crescendo che ha legittimato il razzismo, con la politica che insisteva sulla
sicurezza e sulle espulsioni, trasformando gli immigrati in una minaccia".
Vede
un filo conduttore tra i casi di Torino e Firenze?
"Certo. La sedicenne che sente sempre parlare male degli zingari, quando
si deve inventare uno stupro dà la colpa ai rom e altri vanno a bruciare il
loro accampamento. Un folle di estrema destra che spara sugli immigrati è la
mano armata di un pensiero seminato da anni. Siamo davanti alla punta di un
iceberg, il problema non è solo la punta, ma tutto l’iceberg".
La
crisi economica aggrava questa situazione?
"La crisi economica è terribile e si rischia di scivolare in un clima
pesantissimo. La gente non ne può più, è preoccupata e trova negli immigrati un
comodo capro espiatorio. Diventi colpevole per il solo fatto di essere rom,
extracomunitario, nero. È un continuo fiorire di insulti e ci vuole poco per
passare dalla violenza verbale a quella fisica. Sempre più spesso si premette
la frase “io non sono razzista, ma ” a discorsi davvero atroci contro gli
immigrati".
E gli
immigrati denunciano?
"Macchè, ormai sono quasi assuefatti a questo clima diffuso. È una
sconfitta per chi lavora da anni nell’antirazzismo. Qualche giorno fa ero su un
autobus a Brescia e un gruppo di ragazzini ha snocciolato davanti a me una
ricca serie di luoghi comuni contro musulmani e neri. Lo hanno fatto sfoggiando
un arsenale di linguaggio che dimostra quanto le nuove generazioni abbiano
assorbito il profilo del ‘mostro’ che ci è stato cucito addosso".
Come
crede che reagirà la comunità senegalese a quello che è successo oggi?
"Oggi ho sentito molti ragazzi di Firenze e c’era tantissima rabbia. Non
si può pensare che gli immigrati subiscano sempre in silenzio, pensiamo a
quello che è successo a Rosarno. Servono messaggi distensivi, perché non si
scivoli in una protesta violenta. Le istituzioni dovrebbero stare
particolarmente vicine alla comunità in questo momento".
Elvio Pasca, www.stranieriinitalia.it
Roma - 15
dicembre 2011 - Il convincimento che la razza, il colore, la discendenza, la
religione, l'origine nazionale o etnica siano fattori determinanti per nutrire
avversione nei confronti di individui o gruppi, è un pregiudizio, una forma
irrazionale di intolleranza, ma è anche e soprattutto un crimine punito dalla
legge italiana.
La costituzione italiana condanna ogni forma di razzismo, e all’articolo 3
recita: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti
alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di
opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. E per cittadini si
intendono anche quelli stranieri che si trovano nel nostro Paese. L’uguaglianza
tra le persone è alla base di ogni società democratica la quale deve, quindi,
provvedere attraverso le proprie istituzioni a prevenire e tutelare l’intera
collettività da atti o comportamenti discriminatori. Espressione di questa
esigenza sono le innumerevoli leggi a livello nazionale, comunitario e
internazionale, che nel corso degli anni hanno gettato le basi per contrastare
sempre più il razzismo (L. 654/1975; D. Lgs. 215/2003 e D. Lgs. 216/2003
attuativi di direttive comunitarie; D. Lgs. 198/2006).
Considerata la gravità di tale fenomeno, sono previste delle pene molto dure
per i colpevoli.
Secondo la legge n.654 del 1975 chi diffonde in qualsiasi modo idee fondate
sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o
commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o
religiosi, è punito con la reclusione fino ad un anno e sei mesi o con la multa
fino a 6.000 euro. Mentre chiunque commette o istiga a commettere atti di
violenza o di provocazione alla violenza per gli stessi motivi, è punito con la
reclusione da sei mesi a quattro anni.
Riconoscere le discriminazioni
Ogni
comportamento che, direttamente o indirettamente, comporti una distinzione,
esclusione, restrizione o preferenza basata sulla razza, il colore,
l’ascendenza, l’origine o la convinzione religiosa è considerato dalla legge
italiana discriminatorio (art.43 del d.lgs. 286/98).
Si tratta di un comportamento illegittimo anche se non è intenzionale, perché
comunque distrugge o compromette il riconoscimento, il godimento o l’esercizio
dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Spesso è difficile valutare ciò
che è considerata discriminazione e quindi razzismo. Per questa ragione la
legge si è preoccupata di definire meglio questo concetto oltre che di fornire
una tutela specifica per quelle discriminazioni che si verificano nei luoghi di
lavoro e nei rapporti con le pubbliche amministrazioni o con esercenti
commerciali.
Compie un atto di discriminazione:
1) il
pubblico ufficiale che nell’esercizio delle sue funzioni compia o ometta atti
nei riguardi di un cittadino straniero che, soltanto a causa della sua
condizione di straniero o di appartenente ad un determinata razza, religione,
etnia o nazionalità, lo discriminino ingiustamente;
2) chiunque
imponga condizioni più svantaggiose o si rifiuti di fornire beni o servizi
offerti al pubblico ad uno straniero soltanto a causa della sua condizione di
straniero o di appartenenza ad un determinata razza, religione, etnia o
nazionalità (prezzi differenziati al bar);
3) chiunque
illegittimamente imponga condizioni più svantaggiose o si rifiuti di fornire
l’accesso al lavoro, all’abitazione, all’istruzione, alla formazione e ai
servizi sociali e socio assistenziali allo straniero regolarmente soggiornante
in Italia , soltanto in ragione della sua condizione di straniero o di
appartenente ad un determinata razza, religione, etnia o nazionalità (locazione
di immobili);
4) il datore
di lavoro o i suoi preposti i quali compiano qualsiasi atto o comportamento che
produca un effetto pregiudizievole discriminando, anche indirettamente, i
lavoratori in ragione della loro appartenenza ad una razza, ad un gruppo etnico
o linguistico, ad una confessione religiosa, ad una cittadinanza.
Cosa fare quando si subisce una discriminazione
Azione Civile
Chi è stato
vittima di un atto discriminatorio da parte di un privato o di un ufficio
pubblico può ricorrere all’autorità giudiziaria ordinaria per domandare la
cessazione del comportamento pregiudizievole e la rimozione degli effetti della
discriminazione. A tal fine la vittima della discriminazione può presentare,
personalmente o avvalendosi di un Avvocato o di un associazione, un ricorso
presso la cancelleria del Tribunale Civile della città in cui dimora. A
supporto delle prove fondamento del ricorso possono essere forniti anche
elementi desunti da dati di carattere statistico, dai quali si può presumere
l’esistenza di atti, patti o comportamenti discriminatori (es. assunzioni,
regimi contributivi, assegnazione delle mansioni e qualifiche, trasferimenti,
licenziamenti, ecc. dell’azienda interessata). Spetta poi al convenuto (colui
che ha commesso l’atto discriminatorio) provare l’insussistenza della
discriminazione. Il giudice, una volta accertato che c’è stato un atto
discriminatorio, accoglie il ricorso ordinando che si ponga fine al
comportamento discriminatorio e che ne vengano rimossi gli effetti. Potrà
inoltre condannare il colpevole a risarcire i danni eventualmente subiti, anche
non patrimoniali. Il giudice può, inoltre, ordinare la pubblicazione del
provvedimento, per una sola volta e a spese del convenuto, su un quotidiano di
tiratura nazionale. In caso di condanne a carico di datori di lavoro che
abbiano avuto dei benefici monetari sia statali che regionali, o che abbiano
contratti di appalto per l’esecuzione di opere pubbliche, servizi o forniture,
il giudice comunica i provvedimenti alle amministrazioni che hanno disposto la
concessione del beneficio o l’appalto. Il beneficio può, quindi, essere
revocato e, nei casi più gravi di discriminazione, può essere disposta
l’esclusione del responsabile per due anni da qualsiasi ulteriore concessione
di agevolazioni (finanziarie o creditizie) o da qualsiasi appalto.
Azione Penale
Insieme al
diritto di chiedere la cessazione del comportamento, è prevista la possibilità
di presentare una denuncia/querela al Tribunale Penale del luogo in cui si è
verificato l’evento oggetto del reato con cui chiedere l’arresto di chi
commette una discriminazione. Anche in questo caso il giudice, dopo aver
accertato la responsabilità di chi ha commesso il reato, può disporre il
risarcimento dei danni materiali e morali a favore della vittima del reato che
si sia costituito parte civile nel processo.
Inoltre il
giudice può disporre, ulteriormente alla pena, sanzioni accessorie che
prevedono obblighi particolari per il colpevole. Questi potrà essere obbligato
a prestare attività non retribuita a favore della collettività per finalità di
pubblica utilità; potrà prevedersi la sospensione della patente di guida, del
passaporto e di documenti validi per l’espatrio per un periodo non superiore ad
un anno; potrà disporsi il divieto di partecipare ad attività di propaganda
elettorale per le elezioni politiche o amministrative.
Immigrazione: il cedolino
diventa legge
Nell’ambito del decreto “salva
Italia”, l'art. 40, comma 3, del Decreto-Legge 6 dicembre 2011, n.
201, trasforma in norma operativa di legge la circolare del 2006 con
la quale si era provato a dar valore legale al cedolino, documento rilasciato
dalle questure nelle more del rinnovo di permesso di soggiorno.
Roma,
14 dicembre 2011 - Il decreto "salva Italia" appena varato dal
governo Monti sancisce definitivamente che chi attende il rilascio o il rinnovo
del permesso di soggiorno è a tutti gli effetti un immigrato regolare. Può,
quindi, essere assunto come tutti gli altri cittadini stranieri che hanno un
permesso valido. E’ questo in effetti il contenuto dell'art. 40, comma 3, del Decreto-Legge 6 dicembre 2011, n.
201, parte integrante della manovra e, in quanto decreto legge,
dispositivo in vigore già da una settimana, che dovrà essere convertito in
legge entro il 6 febbraio 2012. Questa norma va a modificare l'art. 5 del Testo unico sull'immigrazione,
introducendo il comma 9-bis con il quale si consente allo straniero di svolgere
attività lavorativa in attesa del rilascio o del rinnovo del permesso di
soggiorno, qualora il Questore non glielo abbia ancora rilasciato entro il
termine di 20 giorni previsto dal comma 9. Si è dunque resa legge la circolare del 2006 (Ministro
dell’Interno Giuliano Amato), con la quale si era provato a dar valore legale
al cedolino, documento rilasciato dalle questure nelle more del rinnovo di
permesso di soggiorno. Quel documento, in attesa dell’arrivo del nuovo
permesso, doveva permettere all’immigrato di continuare a lavorare e vivere
regolarmente. Purtroppo molte questure (e qualche tribunale) aveva contraddetto
la circolare in più di una occasione mettendo in difficoltà immigrati e datori
di lavoro. Le modifiche legislative introdotte il 6 dicembre 2011, sono dunque
apparse necessarie, in quanto le precedenti innovazioni e interpretazioni sono
risultate insufficienti, essendo
state poste in essere non già da norme di rango legislativo, ma da circolari
ministeriali che sono atti aventi una valenza meramente interna
all'amministrazione.
Va infatti ricordato che:
Ø il
contratto di soggiorno non è stato abrogato (è sempre presente all'art. 5-bis
T.U. ed è sempre previsto quale presupposto del rilascio e del rinnovo del p.s.
per lavoro subordinato dall'art. 5 T.U.);
Ø le
circolari ministeriali non sono fonti del diritto e non potevano perciò
togliere l'antigiuridicità del comportamento (previsto e punito come reato da
norma legislativa nell'art. 22 T.U.) del datore di lavoro che dia lavoro ad uno
straniero privo del p.s. valido;
Ø il
nuovo modello di comunicazione di assunzione dei lavoratori comprende al suo
interno i medesimi obblighi previsti dal contratto di soggiorno.
Il testo
dell'art. 40, comma 3, del Decreto-Legge 6 dicembre 2011, n. 201 è il seguente:
3. Allo scopo
di facilitare l'impiego del lavoratore straniero nelle more di rilascio/rinnovo
del permesso di soggiorno, dopo il comma 9 dell'articolo 5 del decreto
legislativo 25 luglio 1998, n. 286 è inserito il seguente comma:
"9-bis.
In attesa del rilascio o del rinnovo del permesso di soggiorno,
anche ove non venga rispettato il termine di venti giorni di cui al precedente
comma, il lavoratore straniero può legittimamente soggiornare nel territorio
dello Stato e svolgere temporaneamente l'attività lavorativa fino ad eventuale
comunicazione dell'Autorità di pubblica sicurezza, da notificare anche al
datore di lavoro, con l'indicazione dell'esistenza dei motivi ostativi al
rilascio o al rinnovo del permesso di soggiorno.
L'attività di lavoro di cui sopra può svolgersi alle seguenti
condizioni:
a) che la richiesta del rilascio del permesso di soggiorno per
motivi di lavoro sia stata effettuata dal lavoratore straniero all'atto della
stipula del contratto di soggiorno, secondo le modalità previste nel
regolamento d'attuazione, ovvero, nel caso di rinnovo, la richiesta sia stata
presentata prima della scadenza del permesso, ai sensi del precedente comma 4,
e dell'articolo 13 del decreto del Presidente della Repubblica del 31 agosto
1999 n. 394, o entro sessanta giorni dalla scadenza dello stesso;
b) che sia stata rilasciata dal competente ufficio la ricevuta
attestante l'avvenuta presentazione della richiesta di rilascio o di rinnovo
del permesso."
Riforma della cittadinanza
Dal sito: http://www.cir-onlus.org/
Obiettivo: modifica della legge
cittadinanza entro un anno
Roma,
14 dicembre 2011 - Ha avuto luogo ieri presso la Camera dei Deputati il Workshop: immigrazione e diritti di cittadinanza –
è tempo di riscrivere il contratto sociale a cui hanno
preso parte parlamentari e rappresentanti della società civile. Sono
intervenuti Fabio Porta - Parlamentare, Giuseppe Casucci – Responsabile
Immigrazione UIL, Christopher Hein, Pino Ciociola – Giornalista di
Avvenire, Antonio Golini - Demografo, Fabrizio Molina – Presidente
dell’Associazione “Nessun Luogo è Lontano”, Andrea Sarubbi - Parlamentare,
Piero Soldini – Responsabile Immigrazione CGIL, Franco Pittau –
Responsabile Dossier Caritas Migrantes, Mohamed Talimoun – Portavoce Rete
G2, Savino Pezzotta - Parlamentare, Roberto Zaccaria - Parlamentare, Marina
Porro – Segretario Confederale UGL, Madison Godoy – Consigliere
aggiunto del Comune di Roma, Liliana Ocmin – Segretario Confederale CISL
e Fabio Granata- Parlamentare. L’impostazione del tavolo di lavoro è stata
quella di favorire un dialogo positivo tra le parti sociali andando oltre le
ideologie che hanno ispirato le varie proposte di legge al fine di individuare
un compromesso realistico, una linea comune su cui far “massa critica”e creare
consensi nell’opinione pubblica. Obiettivo dell’incontro è stato quello di
rilanciare il dibattito sulla cittadinanza e di promuovere la ripresa dei
lavori parlamentari per arrivare alla modifica della legge sulla cittadinanza e
quella sul diritto di voto. E’ dal dicembre 2009, infatti, che il tema non
viene discusso in Parlamento e la legge vigente - del ‘91-‘92 - è completamente
inadeguata a rispondere alle esigenze di un contesto completamente mutato, e
non solo in termini di peso numerico. Nel workshop è stata presentata una
fotografia della nuova società italiana che vede un incremento di 10 volte del
numero degli immigrati presenti rispetto al 1992. Attualmente sono 5 milioni
gli stranieri residenti in Italia, di cui 700.000 sono minori. Sotto il profilo
demografico, strettamente connesso a quello relativo alla crescita economica
del paese e alla sua competitività, il ruolo dell’immigrazione è di assoluto
rilievo. Secondo le proiezioni demografiche ONU del 2010 in Italia nel 2050 ci
saranno 58.000 persone 12 milioni in più rispetto alle proiezioni fatte dalle
stesse Nazioni Unite nel 2000. Unica variabile del decennio, che ha invertito
un pericoloso calo demografico per il nostro Paese, è stato l’incremento della
popolazione immigrata. Base della discussione è stata l’analisi
dell’inadeguatezza della legislazione italiana. La legge in vigore in Italia è
infatti tra le più restrittive a livello europeo. Questa rigidità crea
una situazione paradossale: la percentuale di migrati sul territorio rimane
alta perché non riescono a naturalizzarsi. In Italia gli stranieri rimangono
tali alimentando allarmismi e paure. La percezione sociale è che l’Italia abbia
numeri di migranti più alti di altri paesi, nella realtà è che non sono
previste vie d’uscita dalle migrazioni e di inclusione nel tessuto sociale.
Questo è chiaro se si confrontano le cifre: in UK 200.000 immigrati
naturalizzati nel 2009, 180.000 in Germania, 135.oo in Francia, e solo
64.000 in Italia ( pari al 7% della popolazione Europea) In Francia il
23% dei cittadini è di origine straniera. Nel tavolo di lavoro si è concordato
su un punto fondamentale, che nella profusione di proposte si individuino punti
di contatto che permettano di arrivare all’obiettivo comune. E’ evidente che
non si possa più aspettare: 700mila ragazzi - come giustamente è stato
sottolineato un numero equivalente alla popolazione di una regione italiana
come il Molise e superiore a quello della Basilicata - sono, de factu,
apolidi. Non appartengono più alla terra dei loro genitori, ma non sono ancora
italiani. E per molti di loro sarà difficile diventarlo. Per questo si è
concordato sull’importanza di trovare proposte condivise basate sul principio
di uno ius solis temperato, di
cui restano da definire i termini e tempi specifici. Altrettanto importante,
come è stato sottolineato da molti, sarà rivedere l’applicazione pratica, i
regolamenti attuativi e l’iter amministrativo che porta al
riconoscimento della cittadinanza attualmente caratterizzato da
lungaggini e veri e propri labirinti che portano spesso a risposte
negative. In molti hanno sottolineato che sul tema della cittadinanza per chi
nasce in Italia da genitori regolarmente residenti o per i minori arrivati in
tenera età il consenso politico è più ampio e, partendo da proposte di legge
che già ci sono, la strada per la trasformazione in norma meno lunga e
difficile. Potrebbe essere arrivato il momento per riuscire a modificare una
norma iniqua. E’ stato registrato, secondo gli oratori, meno consenso
sull’obiettivo del diritto di voto agli stranieri quale strumento di piena
partecipazione alla vita del paese, tema che a più riprese è emerso nel
dibattito. Una questione che però difficilmente può essere elusa: dobbiamo infatti ricordare che una fetta
consistente della popolazione residente non è rappresentata. La presenza degli
immigrati raggiunge in alcuni municipi di Roma, così come in diversi comuni
italiani, il 20-25% della popolazione. Una condizione che mette a rischio il
principio stesso della rappresentanza universale, base della democrazia. Ma su
questo argomento, le opinioni di molti sembravano concordare, sarà più
difficile trovare un accordo per l’approvazione a breve termine di una norma.
Tra gli spunti propositivi lanciati nella tavola rotonda centrale è la
costituzione di un gruppo trasversale di parlamentari interessato alla materia
e capace di portare con forza all’attenzione di un parlamento i cui equilibri
sono mutati il tema della riforma della legge sulla cittadinanza. In
un momento in cui lo stesso Presidente della Repubblica ha intravisto uno
spiraglio per riaprire il dibattito e portare a termine questa riforma. Nel
commentare il mutato contesto politico, da diversi partecipanti, ad esempio, è
stato sottolineata l’importanza politica della creazione di un ministero ad
hoc per l’integrazione e la cooperazione. La prima volta nella
storia Repubblica, un gesto istituzionale di grande significato. E’ in questa
direzione si iscrive l’iniziativa di oggi, che si è conclusa concordando che da
gennaio le azioni di lobby e sensibilizzazione devo essere rilanciate. Nei
prossimi giorni metteremo a disposizione sul sito tutti gli interventi al
workshop.
Europa
I lavoratori extracomunitari che lavorano legalmente nell'UE avranno
diritti simili a quelli degli europei per quanto riguarda le condizioni di
lavoro, la pensione, la sicurezza sociale e l'accesso ai servizi pubblici,
secondo la nuova legislazione sul "permesso unico", approvata martedì
dal Parlamento.
http://www.europarl.europa.eu/portal/it
Bruxelles, 13 dicembre 2011 - La
direttiva permetterà ai lavoratori extracomunitari di ottenere il permesso di
lavoro e quello di residenza attraverso un'unica procedura. Gli Stati membri
avranno due anni per trasporre le nuove misure nelle legislazioni nazionali. La
direttiva sul permesso unico si aggiunge a altre misure sull'immigrazione
legale, come la carta blu ( blue card ) che mira a regolare i flussi
d'immigrazione secondo i bisogni del mercato del lavoro europeo.
Durante un
dibattito lunedì, la relatrice Véronique Mathieu (PPE, FR) ha detto: "La
direttiva sul permesso unico è una risposta alla crisi di mano d'opera che si
profila all'orizzonte europeo, rendendo possibile anche il controllo della mano
d'opera. È meglio verificare tutte le forme d'immigrazione e eliminare le
tentazioni di frode e immigrazione illegale. Oltre a semplificare le procedure
per il permesso di residenza e di lavoro, il permesso unico permette di
attribuire una serie di diritti comuni ai lavoratori di paesi terzi e a quelli
europei. L'uguaglianza di trattamento è il centro di questa direttiva". Le
nuove regole non modificheranno la possibilità di ciascun governo nazionale di
regolare il flusso di lavoratori extracomunitari, ma obbligheranno le autorità
nazionali a rispondere a una richiesta per un permesso unico entro 4 mesi,
riducendo le incertezze, l' iter amministrativo e i tempi d'attesa. La
candidatura per il permesso potrà essere presentata sia dal lavoratore sia
dall'impresa che assume.
A chi
si applicano le nuove regole
La
legislazione sul permesso unico riguarda cittadini extracomunitari che vogliono
vivere e lavorare in uno Stato membro o che già vi risiedono e/o lavorano.
La direttiva non si applica agli immigrati extracomunitari che hanno
ottenuto un permesso di residenza a lungo termine, ai rifugiati, ai lavoratori
stagionali, a quelli distaccati (che sono coperti da altre regole UE) e ai
lavoratori in trasferimento all'interno di società multinazionali.
Parità
di diritti
La direttiva
prevede che siano garantiti, a livello comunitario, una serie di diritti, fra i
quali quelli relativi al lavoro (come l'accesso alla sicurezza sociale -
inclusi gli alloggi sociali - alla formazione professionale, a condizioni di
lavoro decenti e al diritto alla rappresentanza sindacale) agli immigrati che
risiedono legalmente e che hanno un'occupazione. Tuttavia, gli Sati membri
avranno la possibilità di applicare restrizioni al godimento di tali diritti.
Pensione
e diritti sociali
Come regola
generale, i lavoratori extracomunitari avranno garantito lo stesso accesso alla
sicurezza sociale dei lavoratori europei. Tuttavia, secondo il testo approvato,
i governi nazionali avranno la possibilità di restringere l'accesso ai sostegni
familiari e di disoccupazione ai lavoratori in possesso di un permesso valido
per meno di sei mesi. Si potrà rifiutare la concessione del sussidio di
disoccupazione alle persone che sono state ammesse nel paese per motivi di
studio. I governi nazionali avranno inoltre la possibilità di restringere il
diritto all'alloggio sociale per i cittadini extracomunitari che hanno un
contratto di lavoro in corso. Su richiesta degli eurodeputati, i lavoratori
extracomunitari avranno il diritto di ricevere la pensione una volta rientrati
nel proprio paese alle stesse condizioni e tassi dei cittadini dello Stato
membro di residenza.
Formazione
professionale e istruzione
Sempre su
insistenza del Parlamento, la legislazione prevede l'accesso alla formazione
professionale e all'istruzione per i cittadini extracomunitari che hanno un
lavoro o sono registrati come disoccupati. Durante i negoziati, i deputati
hanno respinto la richiesta dei governi nazionali di limitare tale diritto ai
soli lavoratori stranieri con un contratto di lavoro. Tuttavia, gli Stati
membri potranno imporre condizioni all'accesso alla formazione universitaria e
professionale non direttamente collegata all'occupazione, come la conoscenza
della lingua nazionale.
Prossime
tappe
Il voto di
martedì segna la fine dell' iter legislativo, poiché il Consiglio dei
Ministri ha già approvato il testo in precedenza. Una volta che la direttiva
sarà pubblicata sulla Gazzetta ufficiale UE, gli Stati membri avranno due anni
per trasporla nelle legislazioni nazionali.
Scarica il testo:
Tratto da: Cassazione: no all'espulsione dello straniero che convive
con un parente minorenne
(Fonte: StudioCataldi.it)
Roma,
14/12/11 - In tema di immigrazione, con sentenza n. 25963, depositata il 5
dicembre 2011, la prima sezione civile della Corte di Cassazione ha stabilito
che la convivenza dello straniero presente "illegalmente" sul
territorio nazionale con un parente italiano entro il quarto grado minore di
età, integra la condizione di inespellibilità di cui all'articolo 19 del d.lgs.
286/1998. Secondo la ricostruzione della vicenda, la Prefettura di Milano, ha
proposto ricorso per cassazione contro il decreto con il quale il Giudice di
pace di Milano ha accolto l'opposizione al decreto di espulsione proposta dallo
straniero. Secondo il giudice del merito, poiché il ricorrente conviveva con la
nipotina (figlia minore della propria sorella, coniugata con un cittadino
italiano) avente cittadinanza italiana (all'epoca di sette mesi), era
applicabile il divieto di espulsione di cui all'art. 19, comma 2, lett. e),
d.lgs. n. 286/1998. La Corte di Cassazione, rigettando il ricorso della
Prefettura ha sancito che lo straniero che è presente illegalmente in Italia
non può essere espulso se convive con la nipotina che ha la cittadinanza
italiana e, dopo avere dato atto che nella fattispecie decisa la volontà di
mantenere il rapporto di convivenza era stata manifestata sia dal minore che
dai genitori dello stesso, ha ritenuto operante il divieto di espulsione del
clandestino.
Consulta testo della sentenza n. 25963/2011
Tratto da: Cassazione: no all'espulsione dello straniero che convive
con un parente minorenne