20 dicembre 2011

«Senza pregiudizio» Costituita l’associazione Carta di Roma
l'Unità, 20-12-2011
A distanza di qualche tempo dalla nascita del documento Carta di Roma ieri si è costituita l’associazione omonima composta da giornalisti e organizzazioni umanitarie. Il compito della struttura è di valorizzare e promuovere la Carta. In essa si affronta la questione della «informazione concernente rifugiati, richiedenti asilo, vittime della tratta e migranti, (…)con particolare riguardo al dovere fondamentale di rispettare la persona e la sua dignità (…)». Di conseguenza, il presidente Tiziana Ferrario, i promotori (Ordine dei Giornalisti, Fnsi e, poi, Acli, Amnesty International, Arci, A Buon Diritto, Asgi, Comunità di Capodarco, Centro Astalli, Federazione delle Chiese evangeliche e altri organismi ancora), e gli osservatori esterni Unhcr e Unar invitano i giornalisti ad «adottare termini giuridicamente appropriati sempre al fine di restituire al lettore e all’utente la massima aderenza alla realtà dei fatti, evitando l’uso di termini impropri». Un esempio di parola da bandire in ambito giornalistico è, come si è detto più volte, «clandestino». Un termine che, quando riferito a persone che vivono in Italia privi di documenti o documenti scaduti, in genere, risulta inappropriato, dal momento che queste stesse persone, sono irregolari ma non invisibili. E, di solito, marginali ma non criminali. Si pensi solo a quanti vengono impiegati nel lavoro agricolo: visibilissimi agli occhi dei passanti ma non all’Inps e, non ai gestori dei servizi di cui potrebbero godere. In altre parole, la Carta di Roma si propone di fornire un’informazione tale da consentire di trattare i diversi aspetti dell’immigrazione senza l’ottica del pregiudizio. È vero: si tratta solo di parole, ma la capacità di fare male, di quelle parole, è incalcolabile.



ITALIA E LIBIA GUARDANO A NUOVE STRATEGIE
L'accordo tra Monti e Jalil riattiva un'alleanza vantaggiosa per entrambi
Secolo, 20-12-2011  
Elena Doria
Italia e Libia. Due Paesi vicinissimi geograficamente ma, nel contempo, lontanissimi. Due Paesi legati, nel bene e nel male, da oltre un secolo e che nei giorni scorsi hanno ribadito la volontà di continuare a collaborare tra loro. Nei giorni scorsi il "trattato di amicizia" è stato riattivato. II premier Mario Monti ed il leader del Consiglio nazionale di transizione della Libia Mustafa Abdul Jalil hanno riconfermato quell'intesa raggiunta il 30 agosto 2008 a Bengasi da Berlusconi e Gheddafi e che, salvo sorprese, dovrebbe conservare la sua valenza sia politica sia economica.
Non riuscire a rimettere in piedi il negoziato (anche "grazie" all'ingerenza di Paesi come Francia e Gran Bretagna che tanto ce lo invidiavano), avrebbe avuto del resto il sapore di una beffa. Tanto piu se si pensa all'impegno che il nostro Paese ha messo in campo per risolvere la delicata emergenza libica. A ricordare i numeri della nostra partecipazione all'operazione "Unified Protector", sono stati il ministro della Difesa Giampaolo Di Paola ed il capo di Stato Maggiore della Difesa Biagio Abrate, nel corso di un incontro con i militari che hanno preso parte alla missione, che si è svolto all'aeroporto militare di Trapani Birgi, una delle basi operative della missione Nato.
Nel dettaglio 48 aerei dell'Aeronautica Militare hanno compiuto ben 1.182 missioni con funzioni, tra l'altro, di ricognizione, di difesa aerea e di rifornimento, impiegando una rilevante gamma di assetti ed aeromobili, quali Tornado, F16 Falcon, Eurofighter 2000, AMX, velivoli a pilotaggio remoto Predator B, G 222 ed aerorifornitori KC-767 e KC130J. Alle mis-sioni aeree ha contribuito anche la Marina Militare, partecipando con velivoli AV-8B, che hanno disimpegnato compiti di difesa aerea.
Complessivamente le sortite sono arrivate a quota l.900 e le ore di volo a 7.300. In sintesi gli aerei sono stati impiegati per una media di dodici ore al giorno, mentre erano sette le basi aeree mobilitate (Trapani, Gioia del Colle, Sigonella, Decimomannu, Aviano, Amendola e Pantelleria). Numeri di tutto rilievo ai quali va aggiunto anche il considerevole impiego di uomini e mezzi della Marina Militare, che è stata impegnata su più fronti: dalle operazioni di embargo navale, alle attività di pattugliamento e rifornimento, nonché alle missioni di sorveglianza in prossimità delle acque tunisine, in applicazione dell'intesa tra Italia e Tunisia sull'emergenza immigrazione. A conti fatti, in 285 giorni di intervento (la missione Unified Protector aveva preso il via il 28 marzo per concludersi alle 23.59 dello scorso 31 ottobre) la Marina ha messo a disposizione 14 navi, due sommergibili e 30 elicotteri e con i suoi velivoli ha registrato oltre 1.900 ore di volo.
Lontano dall'essere un mero calcolo ragionieristico, il resoconto delle missioni compiute dalle nostre Forze Armate sul difficile teatro libico, ha evidenziato ancora una volta la valenza del nostro apporta nella soluzione di un'operazione che aveva mostrato da subito le sue molteplici complessità.
L'Italia, caso mai ce ne fosse bisogno, ha messo in luce anche la perfetta integrazione dei suo intervento con quello delle altre nazioni.
Complimentandosi con i militari riuniti a Trapani nella sede del 37° Stormo dell'Aeronautica Militare, il ministro Di Paola ha detto "avete fatto un grande lavoro, rispondendo con professionalità e agilità alla chiamata della Comunità internazionale e del governo".
Ed a proposito della base di Trapani Birgi, Di Paola ha smentito le voci di un'eventuale chiusura dello scalo siciliano, «è una base importante - ha detto - e non è un mistero che le sfide ed i rischi hanno una dimensione meridionale». È di tutta evidenza infatti, che gli eventi degli ultimi tempi, riconducibili alla cosiddetta "primavera araba", sconsigliano di chiudere un assetto cosi importante.
Nella sua audizione davanti alle commissione Difesa riunite di Camera e Senato, il ministro della Difesa ha ribadito inoltre che «se i libici e il governo chiederanno l'assistenza dell'ltalia e delle sue forze di sicurezza sarebbe utile e opportuno forniria». Riconoscendo la correttezza delle decisioni assunte dal prece-dente governo nella vicenda libica, Di Paola ha aggiunto che «se l'Italia non avesse assunto, grazie al governo e al Parlamento, i compiti che ha svolto finora, non ci sarebbe stata la possibilità di valorizzare il rapporto con la Libia». Un Paese con il quale l'Italia ha un rapporto consolidato nel tempo. Esattamente cento anni fa iniziava la guerra italiana per la conquista di Tripolitania e Cirenaica (1911), poi unificate nella colonia di Libia (1934). Gli sviluppi successivi delia storia dei Paese nordafricano sono stati poi scanditi da diversi avvenimenti, come il passaggio dalla Libia monarchica a quella di Gheddafi (una dittatura durata 42 anni), per giungere fino al conflitto recentemente concluso. Il "trattato di amicizia, partenariato e cooperazione" siglato nel 2008 guardava al futuro senza dimenticare però il passato. È bene ricordare, infatti, che aveva l'obiettivo di mettere la parola fine al contenzioso sul trascorso coloniale italiano ed aprire un'epoca di cooperazione in campo economico e di lotta all'immigrazione clandestina. Interessi strategici che tornano in auge con il via libera al negoziato che era stato sospeso a marzo e che rischiava di essere compromesso anche dalle riserve espresse a pochi giorni dall'accordo Monti - Jalil, dal viceministro degli Esteri libico Mohamed Abelaziz che aveva ipotizzato la necessità di rivedere il ripristino di alcuni punti dell'intesa.
In base al "trattato di amicizia" l'ltalia dovrebbe finanziare opere pubbliche (tra cui l'autostrada costiera che dovrebbe attraversare tutto il Paese da est a ovest, dall'Egitto alla Tunisia) per 5 miliardi di dollari in venti anni, ottenendo in cambio una posizione privilegiata nelle commesse libiche. Commesse relative ad infrastrutture, ma soprattutto al settore energetico che vede il gruppo Eni in prima linea. Archiviata la sospensione del negoziato, l'ltalia ha già scongelato 600 milioni di euro ed è «pronta ad assicurare immediata assistenza nella sicurezza, nelle infrastrutture e nell'energia perché la popolazione possa trarne beneficio».
Ma la vera partita da giocare ora è quella relativa ai crediti vantati dalle aziende italiane. Il premier Monti ha affermato che con il leader del Cnt è «convenuto sull'importanza delle procedure per i riconoscimenti e le certificazioni dei crediti e che sia possibile utilizzare a tale scopo i fondi scongelati».
Un'importante affermazione che conferma che, nel guardare i Paesi magrebini, il Vecchio Continente dovrebbe puntare sulla cooperazione economica anche al fine di contribuire alla stabilizzazione dei significativi contrasti sociali in atto. Una risposta alle aspettative delle nuove generazioni, loro e nostre. Gli investimenti stranieri, in altri termini, in questi territori potrebbero fare la differenza e consentire anche a noi di guardare al futuro senza patemi di nuovi conflitti "dietro la porta di casa" e di minacce globali Sperando che non sia solo pura utopia.



Siamo tutti senegalesi
la Repubblica, 20-12-2011
ADRIANO SOFRI
MI ERO infilato- era facile, loro sono altissimi, io no - nel gruppo di senegalesi più arrabbiati.
SCANDIVANO i loro slogan sotto il palco, mentre dal palco li esortavano alla calma. C'erano delle donne, e una ha gridato in italiano: «Dobbiamo dire solo parole umane. Siamo qui per l'umanita. Siamo tutti uguali». Uno davanti a lei si è voltato: «Non siamo tutti uguali. Noi siamo migliori». Si sono messi a rimproverarlo, allora gli ho battuto sulla spalla e gli ho detto: «Hai ragione, siamo migliori». È rimasto un po' interdetto, poi ha detto: «Io non sono razzista». Abbiamo concordato che potevamo dire: «Siamo tutti migliori».
La manifestazione non era, come distrattamente veniva da dire, «per» i senegalesi, ma «con» i senegalesi, e specialmente per noi. «Noi» abbiamo la tentazione di trattare questioni enormi come le migrazioni come se ne decidessimo. Io, per esempio, non saprei bene che cosa fare, se dipendesse da me, e tutt'al più mi par di sapere che cosa non farei: molte cose. (Farei bensi come Andrea Riccardi, la visita alla tomba di Jerry Masslo a Villa Literno, al campo rom incendiato a Torino, al Palazzo Vecchio di Firenze: che non è ancora una mlinea politica, ma la premessa, e quanto diversa dall'altra!). «Prima o poi qualcuno di noi verrà ammazzato, ed allora ci si accorgerà che esistiamo», aveva detto Masslo, e toccò a lui, «prima». Dev' essere arduo per chi governa fare un buon uso della parabola del samaritano. Per noi un po' meno. II nostro prossimo non sono «i migran ti», o«i senegalesi»: sono persone, quelle in cui ci imbattiamo, che si imbattono in noi. Perché sia chiara la reciprocità (pensiamo infatti a quella parabola immaginando di trovarci nei panni di quello che può aiutare il malcapitato, e mai del malcapitato) copio qui la motivazione della medaglia d'oro conferita da Ciampi nel 2004 a Cheikh Sarr, 27 anni, senegalese, lavorava da muratore: «Mentre si trovava nella spiaggia di Marina di Castagneto Carducci, udite le invocazioni di aiuto di un bagnante, si gettava in mare per soccorrerlo. Compiuto il salvataggio veniva sopraffatto dalla violenza del mare... Fulgido esempio di eccezionale coraggio, nobile spirito di altruismo e preclara virtù civica». (Era ferragosto, l'italiano salvato se ne ando senza dire grazie: a proposito di clandestini). Sarr aveva una bambina di 10 mesi, non l'aveva mai vista. Diop Mor aveva una figlia di 13 anni, e non l'aveva ancora mai vista, se non nella foto che sabato stava in testa al corteo.
È stato grande, composto e commovente,il corteo. Gli africani erano tanti, parecchi latinoamericani, e italiani tanti. Tuttavia non c'era "la città", quella sua grandissima parte che non ha un impegno politico o associativo, che riempiva il centro natalizio e si chiedeva se ci sarebbero stati disordini - o non si chiedeva niente. C'è da tempo un abuso della nozione di zona grigia. Ma una tragedia come quella che si è consumata a Firenze, vittime innocenti e inermi scelte per il colore e la fisionomia, vale da rivelazione. Un' autopsia sul corpo vivo di una comunità, e si capisce che la comunità se ne ritragga e abbia voglia di ricucire alla svelta e tornare all'usato. Ma non si può. Traduco da un sito senegalese questo commento: «Gli italiani del nord non considerano nemmeno quelli del sud come concittadini, e invocano una secessione. E il partito che incita a questo ha ministri nel governo. Cosi i meridionali, umiliati, se ne rivalgono come possono sui poveri immigrati di colore, e questo costringe il migrante africano e senegalese a subire un doppio razzismo!».
Sapevo poco di senegalesi, in galera sono rari. Cera una bella ricerca torinese del 2005, o i libri e la rivista web di Pap Khouma sull'Italia raccontata dai migranti - i Modou modou, o, le donne, Fatou fatou - che tornano in patria. Sarebbe importante che un analogo lavoro di conoscenza reciproca venisse svolto da italiani e senegalesi, a partire dalla ferita di questi giorni, impegnasse l'università e la comunità e la gente. Sabato Enrico Rossi, presidente della Toscana, ha esortato i senegalesi a raccontare con confidenza le loro storie ai nostri concittadini più fragili, i vecchi, e ad ascoltare le loro. Quanti erano in quella piazza, e hanno sentito la fraternità di un abbraccio e la civiltà delle parole, non vorrebbero ridiventarsi invisibili e diffidenti. I luoghi di incontro sono quasi recintati: dove si presta un'assistenza volontaria, dove si stringono legami politici e umani, come nei centri sociali. Era evidente lungo la manifestazione un legame politico e umano fra giovani italiani "estremisti" e stranieri. Ne riconosco forza e debolezza, perché ricordo la comunità in- staurata fra ragazzi e ragazze di Torino o Milano e giovani immigrati dal meridione alla fine degli anni '60, la trasfusione umana che anticipava 1'intesa politica. Qui si tratta di un sud più a sud, ma di una fusione altrettanto intensa. Quanto alla debolezza di allora e di oggi, sta nell'aderire all'altro, allo straniero rifiutato, fino a estraniarsi e ripudiare a propria volta la propria società, a sentirsene fieramente transfughi. Diventare senegalesi o rom o di qualunque sud del cuore, per non essere più italiani, disdettare questo mondo e sentire al microfono dell'altro che "Dio è grande". Ma per obiettare all'equivoco che si annida nel ripudio di un'identità ereditata in nome di una prescelta, nel mettersi nei panni altrui fino a scoprirsi in maschera, bisogna pur meritarsi la simpatia per gli altri di cui gli " estremisti" e i loro bravi cagnolini sono capaci. Senza di che, non ci si stupirà che persone cui sono assassinati i fratelli per il colore della pelle, di cui sono bruciate le baracche per una vociferazione, scegliessero di rispondere altrimenti che con le parole magnanime di Pape Diaw. Non c'era "la città", sabato. (Tanto meno "la politica" del centrodestra, esonerata dal testimoniare dolore e vergogna, magari col pretesto che "la sinistra" li strumentalizzi).
I senegalesi morti ammazzati raggiungono la necrologia all'ingrosso, la cifra senza nomi propri degli annegati. In Borsa, il differenziale fra la loro vita media e la nostra è di vent'anni, e per quelli che tentano la traversata del deserto e del mare di cinquant'anni e più. La zona grigia dice: "Ammazzarli no, però il buonismo... ". Il cattivismo è una semina che ha già raccolto tempesta. Negare il voto, negare la cittadinanza a chi nasce qui - negare perfino la registrazione all'ana- grafe di chi nasce da una madre "irregolare", come in una Betlemme: è pazzia. Lasciamo alle autorità gli sciogli lingua sull'immigrazione regolare e irregolare, ma quelli incontriamo - in un ambulatorio, su un autobus, per Strada - sono persone, e la gran parte dei regolari di oggi sono arrivati ieri da irregolari, e tanti irregolari di oggi saranno regolari domani. Le schiere non sono cosi spartite come negli affreschi toscani del Giudizio Universale, o somigliano tutt'al più alle contese fra diavoloni e angeli che tirano di su o di giù i corpi in bilico. Tiriamo, noi, dalla parte buona; e cosi sia di noi.



Immigrazione: tratta di nigeriani, coinvolto anche il centro del Molise
i Fatti del nuovo Molise, 20-12-2011
LA SPEZIA - Arrivavano anche al centro di accoglienza immigrati del Molise. I nigeriani che sono stati caricati su camion da Benin City e sbarcati nel porto libico di Sabratah. Il loro passaporto erano riti voodoo e botte. Servivano per arrivare in Italia a bordo delle carrette del mare: centinaia e centinaia di giovani maschi e femmine nigeriane. A controllare questo traffico di schiavi era un’organizzazione nigeriana i cui vertici sono stati arrestati ieri mattina dalla Guardia   di finanza della Spezia. L’indagine, denominata Caronte e coordinata dalla Distrettuale genovese, ha portato in carcere otto nigeriani accusati tutti di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e riduzione in schiavitù. Tra gli oggetti sequestrati agli otto anche i ‘restì dei riti voodoo con i quali gli aguzzini terrorizzavano i giovani nigeriani. Riti che venivano compiuti in Nigeria e in Italia e che avevano come unico scopo quello di vincolare i nigeriani con una sorta di contratto spirituale.    Una volta compiutoil rito, le persone partivano da Benin City poi attraverso il portolibico di Sabratah compivano la traversata fino a Lampedusa e da quiai centri di Puglia, Campania, Molise e Sicilia. La Finanza haaccertato l’organizzazione consegnava proprio nei centri le tesseretelefoniche attraverso le quali indirizzava le persone nelle regionidove avrebbero dovuto lavorare. Secondo quanto accertato dalla Guardia di finanza, le complicità in Nigeria di enti e istituzioni -tra cui anche il rettore di un’università locale – consentivano all’organizzazione di scegliere le persone da inviare in Italia attraversoil metodo delle ‘quotè d’immigrazione. Così facendo riuscivano a far arrivare fino a 5 mila persone all’anno. I riti venivano ‘rinnovatìanche in Italia: il santone tagliava loro capelli e peli, strappavaunghie e lembi di pelle che sarebbero stati utili, secondo la le tratte dei nuovi schiavi e compiuto otto fermi di poliziagiudiziaria tra Torino, Milano, Verona, Reggio Emilia, la Spezia e Salerno.



Immigrazione clandestina, per il favoreggiamento non c'e' solo il carcere
IPSOA Editore, 20-12-2011
Stefano Corbetta
La Corte ha dichiara illegittimo l'art. 12, comma 4-bis, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, laddove non ammette, in relazione ai reati di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, che il giudice, in presenza di specifici elementi, possa disporre misure cautelari diverse dalla custodia in carcere.
Ennesima bocciatura, da parte della Corte costituzionale, di norme che stabiliscono una presunzione invincibile di adeguatezza della custodia in carcere.
Con la pronuncia in esame, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 12, comma 4-bis, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), aggiunto dall’art. 1, comma 26, lettera f), della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), «nella parte in cui – nel prevedere che, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ai reati previsti dal comma 3 del medesimo articolo, è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari – non fa salva, altresì, l’ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure».
Si tratta di una decisione del tutto coerente con la giurisprudenza elaborata dalla Corte – e recentemente ribadita - a proposito delle condizioni che legittimano le presunzioni assolute in tema di scelta delle misure coercitive della libertà personale applicabili in relazione a talune ipotesi delittuose, ove sussitano, oltre ai gravi indizi di colpevolezza, le esigenze cautelari.
Con la sentenza n. 265 del 2010, infatti, la Corte ha dichiarato illegittimo l’art. 275, comma 3, c.p.p. proprio nella parte in cui, in presenza di gravi indizi di colpevolezza per taluni delitti a sfondo sessuale, imponeva l’applicazione della custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari, ciò che impediva al giudice l’applicazione di misure meno afflittive, che, nel caso concreto, fossero comunque adeguate a tutelare tali esigenze.
Ad analoghe declaratorie di illegittimità costituzionale la Corte è pervenuta in alter due occasioni, pure nei riguardi dell’art. 275, comma 3, c.p.p., censurato nella parte in cui rende operante tale presunzione assoluta anche nei procedimenti per i delitti di omicidio volontario (sentenza n. 164 del 2011) e di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope (sentenza n. 231 del 2011).
Quelle decisioni sono legate da un medesimo comune denominatore: alla luce dei principi costituzionali sanciti dagli artt. 13, comma 1, e 27, comma 2, Cost., in materia cautelare sono illegittime le presunzioni assolute di adeguatezza della custodia in carcere che sono «arbitrarie e irrazionali», cioè «non rispondono a dati di esperienza generalizzati»; e ciò si verifica allorquando, per la peculiare struttura delle singole fattispecie delittuose e le relative connotazioni criminologiche, le esigenze cautelari, nel singolo caso concreto, sono suscettibili di essere soddisfatte con misure meno afflitive rispetto alla custodia in carcere.
La sentenza in esame si ricollega proprio a quella giurisprudenza, di cui la Corte declina i principi ispiratori per giungere alla medesima conclusione in rapporto alle figure di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, cui il regime cautelare speciale previsto dall’art. 275, comma 3, c.p.p. viene esteso dal censurato art. 12, comma 4-bis, del d.lgs. n. 286 del 1998 alle figure delittuose di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina contemplate dal comma 3.
Anche in tal caso, infatti, la norma impugnata prevede due presunzioni identiche quella considerate dall’art. 275, comma 3, c.p.p.: «relativa, quanto alla sussistenza delle esigenze cautelari; assoluta, quanto alla scelta della misura, reputando il legislatore adeguata – ove la presunzione relativa non risulti vinta – unicamente la custodia cautelare in carcere».
E nemmeno in questo caso quel regime speciale è stato ritenuto “ragionevole”: non solo l’art. 12, comma 3, prevede «fattispecie concrete marcatamente differenziate tra loro», ma, soprattutto, trattandosi di un reato a consumazione anticipata (in quanto si perfeziona con il solo compimento di «atti diretti a procurare» l’ingresso illegale di stranieri), la consumazione non postula «il necessario collegamento dell’agente con una struttura associativa permanente».
Insomma, come per i delitti a sfondo sessuali, l’omicidio doloso, l’associazione finalizzata al narcotraffico, anche in tal caso «le fattispecie criminose cui la presunzione in esame è riferita possono assumere le più disparate connotazioni: dal fatto ascrivibile ad un sodalizio internazionale, rigidamente strutturato e dotato di ingenti mezzi, che specula abitualmente sulle condizioni di bisogno dei migranti, senza farsi scrupolo di esporli a pericolo di vita; all’illecito commesso una tantum da singoli individui o gruppi di individui, che agiscono per le più varie motivazioni, anche semplicemente solidaristiche in rapporto ai loro particolari legami con i migranti agevolati, essendo il fine di profitto previsto dalla legge come mera circostanza aggravante».
Proprio l’accertata «eterogeneità delle fattispecie concrete riferibili al paradigma punitivo astratto non consente, dunque, di enucleare una regola generale, ricollegabile ragionevolmente a tutte le “connotazioni criminologiche” del fenomeno, secondo la quale la custodia cautelare in carcere sarebbe l’unico strumento idoneo a fronteggiare le esigenze cautelari».
Come nelle decisioni precedenti che hanno inciso sull’art. 275, comma 3, c.p.p., anche in tal caso la Corte è intervenuta non sulla presunzione in sé, ma sul suo carattere di assolutezza, «che implica una indiscriminata e totale negazione di rilievo al principio del «minore sacrificio necessario».
La presunzione, da assoluta, è stata perciò trasformata in relativa, il che «non eccede i limiti di compatibilità costituzionale, rimanendo per tale verso non censurabile l’apprezzamento legislativo circa la ordinaria configurabilità di esigenze cautelari nel grado più intenso».
(Sentenza Corte Costituzionale 16/12/2011, n. 331)



Terre des Hommes denuncia l’Italia al Consiglio d’Europa: inadeguata l’accoglienza per i minori non accompagnati.
Fallimentare il “modello Lampedusa”, scomparsi 835 minori dai centri di accoglienza. Molti ancora senza tutela legale.
Immigrazione Oggi, 20-12-2011
“Sono ancora troppi i minori migranti in Italia che permangono in un limbo giuridico, e molti finiscono per scomparire dai centri d’accoglienza, anche perché spesso il personale non è adeguatamente formato per dare loro un’efficace assistenza”.
Questa la denuncia portata da Terre des Hommes agli European Development Days, promossi dalla Commissione europea e dalla Presidenza polacca del Consiglio dell’Unione europea, a Varsavia.
Terre des Hommes ha voluto puntare i riflettori sul tema dell’immigrazione minorile nella sessione Migration, Development and Human Rights - Towards a changing paradigm in EU development policies organizzata dalla Federazione internazionale Terre des Hommes assieme all’European Network on Migration and Development, la Croce Rossa e Solidar.
“Fonti ufficiali – spiega Federica Giannotta, responsabile dei diritti dei bambini di Terre des Hommes Italia – dicono che 835 minori migranti sono scomparsi dopo essere stati trasferiti da Lampedusa. Dovremmo chiederci perché mai un ragazzo, che ha già rischiato la vita per arrivare in Italia, debba scegliere di sottrarsi alle cure e alla protezione di una struttura di accoglienza, preferendo affrontare i rischi della strada e dello sfruttamento”.
Secondo la Giannotta, “il modello d’accoglienza dei bambini e degli adolescenti migranti attuato a Lampedusa presenta delle evidenti violazioni dei diritti fondamentali dei minori. Anche se adesso i centri di Lampedusa sono chiusi, paradossalmente molti minori migranti sono ancora in una sorta di limbo giuridico. In molti casi, infatti, pur accolti nelle Sat (Strutture di accoglienza temporanee) non hanno un tutore, pur essendo molti di loro vicini alla maggiore età e quindi esposti al rischio di una vicina espulsione. L’apertura di una tutela, soprattutto oggi, è l’unica chance che un minore migrante ha per poter vedere convertito il suo permesso di soggiorno al compimento dei diciotto anni”.



Governo. Aiuto per aprire nuove imprese a 400 immigrati
ExpoItaly; 20-12-2011
immigrati extracomunitari che aspirano ad avviare un’impresa avranno la possibilità di beneficiare dei servizi di accompagnamento previsti dal progetto Start it up – Nuove imprese di cittadini stranieri, nato dalla collaborazione tra Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e Unioncamere. L’iniziativa, che partirà nel 2012 in forma sperimentale interessando dieci Camere di commercio, si rivolge a quella vasta platea di immigrati provenienti da Paesi non appartenenti alla Ue, in possesso di regolare permesso di soggiorno, che guardano al “fare impresa” come a una concreta possibilità di integrazione economica e sociale nel nostro Paese. La propensione imprenditoriale in Italia degli immigrati, del resto, assume anno dopo anno sempre maggior rilevanza: tra settembre 2010 e settembre 2011 le cariche di titolari e soci di impresa ricoperte da cittadini stranieri sono aumentate del 6%. Tra queste, gli immigrati extracomunitari hanno superato le 332mila unità, con un aumento del 6,6% nello stesso periodo.
“La collaborazione tra Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e Unioncamere si amplia, dopo il Sistema Informativo Excelsior, per finanziare la sperimentazione di servizi di accompagnamento alla creazione d’impresa da parte di cittadini extracomunitari immigrati, attraverso il Fondo Politiche Migratorie”. Natale Forlani, Direttore Generale della Direzione dell’immigrazione e delle politiche di integrazione del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, alla conferenza di lancio del progetto Start it up – Nuove imprese di cittadini stranieri afferma che “Unioncamere e il sistema camerale sono un interlocutore istituzionale che assicura le competenze tecniche, la capillarità sul territorio e la trasversalità su tutti i settori economici di cui abbiamo bisogno per realizzare iniziative di questo genere. Abbiamo pensato – ha proseguito il Direttore Generale Forlani – di avviare la sperimentazione a favore di 400 immigrati su territori dove vi fosse la concomitanza di due fattori importanti, quello della presenza di incentivi regionali alla creazione d’impresa e quello della concentrazione di elevati numeri di extracomunitari regolarmente presenti sul territorio. La grande vivacità e la crescita dell’ imprenditoria straniera, nonostante questa fase di crisi particolarmente dura, rappresenta un fondamentale sostegno per l’economia del paese ed è un importante indicatore per misurare la qualità dell’integrazione e della mobilità sociale dei cittadini dei paesi terzi”.
“L’avvio di un’impresa e il lavoro autonomo possono essere per un immigrato, oltre che la modalità per contribuire alla crescita economica del paese ospitante, l’occasione per integrarsi nella società utilizzando le proprie competenze professionali: in Italia l’imprenditoria immigrata è diventata un fenomeno di rilievo che cresce nonostante la crisi, come testimoniano i dati del Registro imprese delle Camere di Commercio”. Questo il commento del Segretario Generale di Unioncamere, Claudio Gagliardi, nello spiegare i contenuti della collaborazione e le sedi di sperimentazione. “Le Camere di Commercio sono impegnate nel favorire e sostenere la creazione di nuove imprese – ha proseguito Gagliardi – non solo attraverso la semplificazione amministrativa, ma anche con servizi di accompagnamento e diffusione della cultura imprenditoriale, per cui è naturale dedicare attenzione anche a coloro che migrano in Italia con l’intenzione realmente concretizzabile di avviare una nuova attività imprenditoriale. Ad Ancona, Bari, Bergamo, Catania, Milano, Roma, Torino, Udine,Verona e Vicenza, con il supporto tecnico di Retecamere, società del sistema camerale per i progetti e i servizi integrati, le Camere di commercio sono pronte per accogliere e valutare le richieste di supporto di cittadini immigrati che vogliano fare impresa e accompagnare le migliori idee alla elaborazione del business plan, fornendo anche informazioni sul microcredito e sugli eventuali bandi di concessione di contributi pubblici da parte delle regioni”.



Immigrazione: diritti di cittadinanza, mille firme a Matera
Anche sindaco e assessori hanno aderito alla proposta di legge
(ANSA) - MATERA 19 DIC - Sono gia' mille nel Materano le firme raccolte dal Comitato ''L'Italia sono anch'io'' a sostegno della la doppia proposta di legge popolare per l'estensione dei diritti di cittadinanza e di voto ai figli di immigrati e agli immigrati che, pur essendo nati o hanno maturato le condizioni, non posso esercitarli. Lo ha reso noto oggi a Matera, Chiara Prascina, coordinatrice del Comitato, presentando la campagna a cui hanno aderito anche il sindaco, Salvatore Adduce, e gli assessori.



IMMIGRATI. Alla Camera si parla di 'Ius soli'
Vita, 19-12-2011
Il diritto di cittadinanza delle seconde generazioni è al centro di un incontro di martedì 20 dicembre nella Sala del Mappamondo
Dopo le parole del capo dello stato Giorgio Napolitiano, qualcosa si muove a livello politico in tema di riconoscimento della cittadinanza ai nati in Italia da genitori stranieri, il cosiddetto Ius soli. Martedì 20 dicembre 2011 alla Sala del Mappamondo della Camera, il vicepresidente di Fli, Italo Bocchino, il capogruppo a Montecitorio, Benedetto Della Vedova, il vice coordinatore nazionale, Fabio Granata, e i deputati Flavia Perina e Aldo Di Biagio interverranno al convegno 'Figli d'Italia. Italiani che devono chiedere permesso', un'iniziativa per rilanciare la questione del diritto di cittadinanza ai figli di stranieri nati in Italia.
Nell'occasione viene proiettato il film di Fred Kuwornu ''18 Ius Soli. Il diritto di essere italiani'', il primo documentario grass-roots italiano ad affrontare il tema del diritto di cittadinanza per chi e' nato e cresciuto in Italia da genitori immigrati. Alla manifestazione partecipano anche gli esponenti del Pd Livia Turco, Andrea Sarubbi e Jean Leonard Touadi, e il deputato dell'Udc Roberto Rao.

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