05 dicembre 2011

Immigrazione:natante imbarca acqua,81 salvati largo Calabria
Trasbordati su motovedetta guardia costiera, barca affondata
(ANSA) - ROCCELLA IONICA (REGGIO CALABRIA), 5 DIC - Ottantuno migranti che si trovavano su due barche a vela, una delle quali imbarcava acqua ed e' poi affondata, sono stati salvati da una motovedetta della guardia costiera di Roccella Ionica.
Le imbarcazioni sono state intercettate a 65 miglia dalla costa della Calabria. Nonostante il mare forza 4, i militari, coordinati dalla Capitaneria di Reggio, sono riusciti a trasbordare i migranti. La motovedetta e' diretta verso Roccella dove dovrebbe arrivare verso le 14. (ANSA).



Crescono le richieste di asilo Il 102% in più da Tunisia e Libia
E' quanto emerge dall'ultimo Rapporto Annuale dello Sprar, il "Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati" del ministero dell'Interno. Nei primi sei mesi di quest'anno oltre 10 mila domande in più, rispetto all'anno scorso. Le richieste dell'Anci (i Comuni italiani): "Costruire un sistema d'accoglienza e integrazione unico".
la Repubblica, 05-12-2011
VLADIMIRO POLCHI
ROMA  - È boom di domande d'asilo nel 2011: oltre 10mila nei primi sei mesi, il 102% in più rispetto allo stesso periodo del 2010. Cresce in parallelo l'apparato d'accoglienza italiano per i profughi, ma si complicano anche le competenze e si moltiplicano i possibili conflitti tra enti. È quanto emerge dall'ultimo Rapporto annuale del "Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati 1" (lo Sprar).
Un passo indietro. Lo Sprar è stato istituito dalla legge 189/2002 ed è costituito dalla rete degli enti locali che realizzano progetti territoriali di accoglienza (oggi sono ben 128). La struttura di coordinamento è il Servizio Centrale del ministero dell'Interno, affidato in convenzione all'Anci 2: l'associazione dei comuni italiani.
Il crollo delle domande d'asilo nel biennio 2009/2010. L'andamento delle domande presentate in Italia nel corso degli ultimi 10 anni ha presentato un ritmo discontinuo: in diminuzione dal 2000 al 2005 (dopo l'alto numero di istanze presentate nel '99 da cittadini del Kosovo), in aumento fino al 2008, per poi fare ritorno nel 2009 ad un livello simile a quello del 2001. Col 2010, definito "l'anno nero dell'asilo" (per l'indiscriminata politica dei respingimenti in mare attuata dal governo italiano), si registra un ulteriore calo delle domande dei richiedenti protezione: nel 2008 si trattava di oltre 31mila persone, nel 2009 solo
17.603, nel 2010 ci si è fermati a quota 12.121.
Il recupero del 2011: +102%. "I flussi migratori dalla Tunisia e dalla Libia degli ultimi mesi, causati dall'inasprirsi delle tensioni in questi territori, lo scoppio della guerra civile e il successivo intervento militare internazionale  -  si legge nel Rapporto Sprar  -  hanno determinato un aumento degli sbarchi di migranti dopo la contrazione registrata nel biennio 2009/2010 (poco più di 13.900 persone rispetto alle 37mila del 2008). Dall'inizio dell'anno a settembre 2011 sono stati 60.656 i cittadini stranieri giunti via mare e sbarcati sulle coste italiane (in particolare 51.596 sulle isole Pelagie). Questo ha determinato un incremento delle domande di protezione internazionale in Italia così come nel resto dei Paesi industrializzati".  In particolare in Italia sono state registrate, durante il primo semestre del 2011, 10.860 domande di asilo con un incremento del 102% rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente.
L'apparato d'accoglienza dello Sprar. Questo incremento di sbarchi e di domande di protezione ha avuto un'immediata ricaduta sull'apparato dell'accoglienza. Da gennaio a fine settembre 2011 lo Sprar ha accolto 4.865 persone, per lo più maschi (76%), provenienti soprattutto dall'Afghanistan (13,7%), Somalia (13,1%), Eritrea (10,8%), Nigeria (7,6%) e Pakistan (5,9%).
I 22.216 migranti assistiti dalla Protezione civile. A seguito del decreto della presidenza del Consiglio dei ministri del 12 febbraio 2011, nel quale si è dichiarato "lo stato di emergenza", il governo ha dato mandato alla Protezione Civile di attuare un piano per la gestione dell'accoglienza dei migranti. Da quel momento, al ministero dell'Interno  -  che ha competenze dirette per l'accoglienza dei migranti, sia nella gestione ordinaria dei CARA, sia per le attività dello Spar  -  si è così affiancato un sistema regionale gestito dalla Protezione civile (che assiste oggi 22.216 migranti).
Il rischio di conflitto tra i responsabili dell'accoglienza. "Nel concreto  -  si legge nel Rapporto Spar  -  si sta delineando un terzo sistema di accoglienza, in cui i beneficiari usufruiscono di tipologie e livelli di servizi molto diversificati. È alto il rischio che questi tre sistemi viaggino parallelamente, senza comunicare tra loro, il che potrebbe creare notevoli disservizi e disfunzioni, specie nel caso di trasferimenti non coordinati da una struttura all'altra con consequenziale interruzione dei percorsi di accoglienza attivati, di nuclei familiari separati all'arrivo in Italia, di situazioni vulnerabili emergenti a fatica".
La richiesta dei Comuni. "La prosecuzione dello stato di emergenza anche per il 2012  -  scrive nella presentazione al Rapporto, Flavio Zanonato, sindaco di Padova e delegato Anci all'immigrazione - rende ancor più necessario programmare interventi in un quadro di "sistema", con l'obiettivo ultimo di costruire un sistema d'accoglienza e d'integrazione unico".


 
Caporali e sfruttamento. L'odissea napoletana di mille rifugiati libici
Vivono da mesi in alberghi del centro senza alcuna assistenza legale e sanitaria. Cè chi li recluta nelle hall e alcuni sono costretti a lavorare per pagare l'alloggio
l'Unità, 05-12-2011
Mario Leombruno  Luca Romano
Quando sono arrivati a Napoli credevano che la loro odissea fosse finita. Invece,per circa 900 richiedenti asilo fuggitu dalla Libia sono cominciati altri problemi. Da mesi vivono in alberghi a ridosso della stazione centrale o nella remota periferia della città. Non ci sono medici a visitarli, l'assistenza legale è affidata solo9 all'iniziativa di akcuni avvocati volontari, conoscono a stento i diritti di cui godono in virtù del loro status. Eppure per ognuno di loro si spendono ogni giorno dai 39 ai 46 euro. Un affare da milioni.
Soldi stanziati per l'emergenza Nord Africa e gestiti dalla Protezione Civile. Intanto dalla Commissione sul diritto d'asilo di Caserta arrivano solo dinieghi, alcuni clamorosi. Come nel caso di Jaffar, un Sudanese che si è visto respingere la pro-
tezione malgrado un certificato dell'Asl che attesta danni gravi subiti a seguito di torture. In lacrime minaccia di suicidarsi se il ricorso non avrà esito diverso. Ma sono tutti ad avere i nervi a fior di pelle: nelle assemblee ormai quotidiane e sempre più tese, improvvisate nelle stanze o all'esterno degli alberghi, tanti di loro promettono azioni eclatanti.
Sono arrivati in città l'estate scorsa, neppure il Comune ne era stato avvertito. Sono le parte più consistente dei 250 profughi destinati alla Campania, il 10 percento del totale nazionale.Gli alberghi che li ospitano sono stati trasformati in fretta e furia in Centri di accoglienza per richiedenti asilo. Una sistemazione d'emergenza in attesa di strutture adeguate. Contratti di affidamento fatti senza bando pubblico e rinnovati da allora ogni quindici giorni. Una situazione temporanea prorogata di continuo, ormai da oltre sei mesi, Seconodo il capitolato d'appalto gli alberghi, divenuti C.a.r.a, dovrebbero dotarsi di presidio  sanitario, assicurare corsi di italiano, provvedere all'assietenza psocilogica e legale, organizzare il tempo libero e persino fornire un servizio di barberia.
Prestazione che però rimangono sulla carta. "Da quando siamo arrivati non abbiamo incontrato nessuno della Protezione civile, non un avvocato, non un medico», racconta Kelly, migrante nigeriano tra i più agguerriti nella protesta, «eppure molti di noi sono malati. C'è chi tossisce sangue e non riceve cure». Una notizia che preoccupa alcuni operatori che gratuitamente prestano assistenza ai profughi. " A queste condizione saremo costrette a smettere, noo possiamo rischiare di beccarci anche una malattia", lamenta Stafania. A testimoniare dell'inefficienza dell'assistenza sanitaria il caso di quattro donne oltre il quinto mese di gravidanza, che hanno ottenuto l'appuntamento per l'ecografia quando ormai il loro figli sartanno già nati da due mesi. Per questo. come per altri casi, hanno provveduto Cgil e volontari, sobbarcandosi le spese di visite private.
L'assessore regionale alla Protezione civile Edoardo Cosenza, soggetto attuatore del piano, fa sapere che è tutto in regola: la sua gestione merita anzi i complimenti del capo della Protezione Civile Franco Gabrielli. Non la pensano cosi sindacati, migranti e associazioni. Per loro il sistema di accoglienza è tutt'altro che efficiente e trasparente. In alcuni casi - spiegano - attorno agli alberghi sono state erette vere e proprie cortine. Impossibile accedere e verificare. I migranti denunciano varie forme di speculazione. Alcuni albergatori li utilizzano per lavori di manutenzione, i caporali li atten- dono nelle hall. I commercianti ricomprano per pochi centesimi i buoni giornalieri da 2,50 euro assegnati a ognuno di loro. «Con quei buoni puoi comprare solo cibo, a noi servono soldi per le sigarette, le schede telefoniche e tutto il resto. Siamo costretti a venderli», spiega Moses. Nelle ultime settimane si sono costituite ad hoc associazioni che a pagamento fornisco- no agli alberghi i servizi prescritti dalla normativa sui C.a.r.a., bypassando le associazione che da anni si occupano di immigrazione. "Ho avuto difficoltà a entrare in contatto con i migranti, eppure ho saputo che altri avvocati hanno ottenuto i mandati potenso muoversi liberamente negli alberghi", racconta Christian valle, avvocato esperto di diritto dell'immigrazione. Che denuncia: " In alcuni casi ho saputo che i colleghi hanno promesso fantomatici permessi di soggiorno per lavoro, inottenibili per il loro status di richiedenti asilo".
Lo stato di emergenza. intanto, è stato prorogate fino al dicembre 2012. Pioveranno altri milioni. I profughi potrebbero rimanere negli alberghi per un altro anno. Difficile crederlo, vista la tensione crescente. «Ci sentiamo come in prigione. Non possiamo lavorare, non possiamo lasciare la città, non sappiamo nulla del nostra futuro», grida Emmanuel, tra i leader di una rivolta pronta a esplodere. Pesano i tempi lunghi per le audizioni in commissione e l'altissima percentuale di dinieghi emessi finora. «Sono il risultato di interviste frettolose e verifiche approssimative», denuncia Francesca Viviani, che ha assistito come legale molti richiedenti, «incredibile che una persona debba giocarsi il destino in poco più di mezz'ora». Tempo che dovrebbe essere sufficiente a produrre tutta la documentazione necessaria alla valutazione. Aleggere i verbali ci si imbatte in storie paradossali: a un migrante marocchino, ad esempio, è stato chiesto di mostrare l'atto costitutivo dell'associazione per i diritti degli omosessuali di cui affermava di far parte e per la quale dichiarava di essere per- seguitato. A nulla è servito spiegare che in Marocco l'essere gay è punito con il carcere e quindi nessuno metterebbe per iscritto di far parte di una simile associazione: niente prove, niente asilo. Per questo caso, come per altri, sono state avviate decine di ricorsi in tribunale. I primi risultati sconfessano il giudizio della commissione. I tempi per tutti resta- no lunghi e al centro di Napoli matura una nuova emergenza esplosiva.*
 


All'Ostiense, un camper aiuta i rifugiati «Ma ora serve un vero centro di accoglienza»
Da anni, l'organizzazione Medu assiste i profughi accampati alla stazione Ostiense. «Ora chiediamo un punto attrezzato per un'emergenza che non diminuisce»
Simona De Santis
Corriere della sera, 04-12-2011
ROMA - C'e' un Camper speciale che si aggira, di notte, per le strade della Capitale. E' quello allestito dai Medici per i diritti umani, associazione da sempre in prima linea per la difesa dei diritti dei rifugiati. Il progetto e' partito addirittura dal 2004, ma i responsabili chiedono che si possa arrivare a un vero e proprio centro attrezzato. E, da aprile, presso un binario della la stazione Ostiense, il camper offre assistenza sanitaria agli oltre 1.500 profughi, richiedenti asilo e titolari di protezione internazionale che vivono per strada o in condizioni abitative estremamente precarie a Roma. I rappresentanti della Ong Medu, il presidente dell’XI municipio, Andrea Catarci, esponenti del Dipartimento di Politiche sociali del Comune, Regione e organizzazioni internazionali hanno fatto il punto sulla situazione e sulle criticità. Prima tra tutte, il rischio che il camper possa essere eliminato per il cantiere collegato all’Alta Velocità ad Ostiense.
I DATI - I medici, da aprile a settembre, hanno visitato 687 migranti. Tra questi, il 70% è senza documenti ed è intenzionato a dirigersi verso l’Europa settentrionale (70%). In gran parte sono migranti "forzati in transito". Il 71% ha dichiarato di essere in Italia da meno di un mese, il 10% da uno a sei mesi, il 19% da oltre sei mesi. Il 75% è privo di documenti di soggiorno, in quanto, spesso, pur avendone il diritto, non ha presentato domanda. Il 25% gode, invece, di protezione. Tra questi ultimi, il 5% ha richiesto asilo, il 15% ha un permesso di soggiorno per motivi umanitari, il 2% ha lo status di rifugiato. La netta maggioranza, ben il 95%, sono afghani, mentre il restante 4% arriva da Iraq, Iran, Pakistan e l’1% che si è fatto visitare è italiano. Addirittura il 99% sono uomini, mentre l’88% è under 30. La spesa per partire dall’Afghanistan e raggiungere l’Europa è sempre superiore a 6 mila euro. Da agosto, sono aumentati i titolari di protezione, circa il 50%, in possesso di documenti e provenienti dai centri di accoglienza per richiedenti asilo.
LA RICHIESTA - I rappresentanti di Medu auspicano che, alla stazione Ostiense, si possa realizzare un vero e proprio centro per l’accoglienza dei migranti in transito alla stazione Ostiense. La Regione ha finanziato, per un anno, il progetto che vede la presenza di una unità mobile e una squadra con operatori sociali e legali, medici e mediatori. «Serve un centro attrezzato - sottolineano da Medu - per tutte queste persone che, di fatto, non riescono a far valere i propri diritti e che hanno l’obiettivo di dirigersi in altri Paesi». Medu stima in 1.500 i rifugiati senza dimora o in condizioni abitative precarie a Roma, senza contare le persone in transito. «Numerose persone che chiedono asilo sono in strada - concludono da Medu - ed è spesso difficile presentare la richiesta di asilo in questura per il sovraffollamento. E così, si rischia l’espulsione».



Immigrati altamente qualificati e contrasto del lavoro nero: il Senato approva definitivamente la legge comunitaria 2010 che darà attuazione alle direttive europee 2009/50 e 52 già scadute.
Entro tre mesi il Governo dovrà adottare i decreti legislativi per attuare le direttive che prevedono la “Carta blu”e le sanzioni nei confronti di datori di lavoro che impiegano cittadini non Ue irregolari.
Immigrazione Oggi, 05-12-2011
Il Senato ha definitivamente approvato la legge comunitaria 2010. Con l’art. 21 il Parlamento ha delegato il Governo ad adottare, entro il termine di tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge, uno o più decreti legislativi per l’attuazione della direttiva 2009/50/CE del 25 maggio 2009, sulle condizioni di ingresso e soggiorno di cittadini di Paesi terzi che intendano svolgere lavori altamente qualificati, e della direttiva 2009/52/CE del 18 giugno 2009, che introduce norme minime relative a sanzioni e a provvedimenti nei confronti di datori di lavoro che impiegano cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare. Per entrambe le direttive il termine di recepimento è scaduto: il 19 giugno 2011 la prima ed il 20 luglio la seconda. Meglio tardi che mai!
Scopo della direttiva “Carta blu” è aumentare la capacità dell’Unione europea di attrarre cittadini di Paesi terzi che intendano svolgere lavori altamente qualificati: facilitare l’ammissione dei cittadini in questione, armonizzando le condizioni del loro ingresso e soggiorno nell’Unione europea; semplificare le procedure di ammissione; migliorare lo status giuridico di coloro che sono già presenti sul territorio degli Stati membri. La direttiva si applica a cittadini di Paesi terzi altamente qualificati che chiedono di essere ammessi nel territorio di uno Stato membro per svolgere un lavoro per più di tre mesi, nonché ai loro familiari. Per essere ammesso, il candidato dovrà presentare: un contratto di lavoro o un’offerta di lavoro vincolante con uno stipendio il cui ammontare corrisponde ad almeno una volta e mezza lo stipendio medio annuale lordo nello Stato membro interessato (gli Stati membri possono abbassare la soglia salariale a 1,2 volte, per talune professioni che necessitano in particolare di lavoratori cittadini di Paesi terzi); un documento di viaggio valido e un permesso di soggiorno valido o un visto a lungo termine; la prova che beneficia di un’assicurazione contro le malattie; per le professioni regolamentate, documenti che dimostrino che la persona rispetta le condizioni necessarie e per le professioni non regolamentate, documenti che attestino il possesso delle qualifiche professionali superiori. Spetta agli Stati determinare il numero di cittadini provenienti da Paesi terzi che possono essere ammessi, come pure se la domanda di Carta Blu Ue debba essere presentata dal cittadino del Paese terzo e/o dal suo datore di lavoro. Se il candidato soddisfa queste condizioni e le autorità nazionali decidono di ammetterlo, egli riceve una Carta Blu Ue valida per un periodo che va da 1 a 4 anni. La domanda di Carta Blu Ue potrà essere respinta se lo Stato decide, alla luce della situazione del mercato del lavoro, di accordare la preferenza ai cittadini dell’Unione europea oppure ai cittadini di Paesi terzi già lungo residenti nell’Ue. La domanda potrà essere respinta in ragione delle quote di ammissione stabilite dallo Stato membro, o di politiche di assunzioni etiche o se il datore di lavoro è stato oggetto di sanzioni in virtù della legge nazionale, a causa di lavoro non dichiarato e/o occupazione illegale. La Carta Blu Ue potrà essere revocata qualora il titolare non abbia risorse sufficienti per mantenere sé stesso e, nel caso, i propri familiari, senza ricorrere al regime di assistenza sociale o se il periodo di disoccupazione superi i tre mesi consecutivi o si registri più di un periodo di disoccupazione durante il periodo di validità di una Carta Blu Ue. Dopo due anni di lavoro regolare i titolari della Carta blu potranno ricevere lo stesso trattamento riservato ai cittadini nazionali per quanto riguarda l’accesso a qualsiasi lavoro altamente qualificato. Dopo 18 mesi di residenza legale potranno spostarsi in un altro Stato membro per svolgervi un lavoro altamente qualificato (fatti salvi i limiti fissati dalle autorità di tale Stato per quanto riguarda il numero di cittadini che possono essere ammessi).
La seconda direttiva sul contrasto del lavoro irregolare degli stranieri non Ue dovrà prevedere, oltre quanto già contemplano le norme del testo unico immigrazione:
Obblighi dei datori di lavoro. I datori di lavoro sono tenuti a: chiedere ai cittadini di Paesi terzi di presentare il permesso di soggiorno o un’altra autorizzazione di soggiorno prima di assumere l’impiego; conservare copia dei permessi di soggiorno, almeno per la durata dell’impiego, ai fini di un’eventuale ispezione delle autorità nazionali; dichiarare, entro un termine fissato da ciascuno Stato membro, l’impiego di un cittadino di un Paese terzo.
Laddove i datori di lavoro siano persone fisiche e l’impiego sia a fini privati, gli Stati membri possono prevedere una procedura semplificata di notifica. Gli Stati membri possono prevedere che la notifica non sia richiesta qualora al lavoratore non comunitario sia stato accordato uno status di soggiornante di lungo periodo.
Quanto alle sanzioni, il Governo dovrà prevedere sanzioni finanziarie relativamente ad ogni cittadino di un Paese terzo impiegato illegalmente; il pagamento dei costi di rimpatrio dei cittadini di Paesi terzi assunti illegalmente. Sanzioni finanziarie ridotte sono previste nei casi in cui il datore di lavoro sia una persona fisica che impiega a fini privati un cittadino straniero irregolare e non sussistano condizioni lavorative di particolare sfruttamento.
È previsto inoltre che il datore di lavoro sia responsabile del pagamento degli arretrati, ad esempio della retribuzione arretrata, inclusi i costi derivanti dal suo trasferimento al Paese di origine del lavoratore, nonché dei contributi previdenziali. Ai fini del calcolo degli arretrati, gli Stati membri presuppongono l’esistenza di un rapporto di lavoro di almeno tre mesi salvo prova contraria. Dovrà essere garantita la possibilità di presentare domanda di pagamento di tutte le retribuzioni arretrate da parte del loro datore di lavoro ed i lavoratori dovranno essere informati circa i loro diritti prima dell’esecuzione di qualsiasi decisione di rimpatrio. La direttiva prevede infine a carico dei datori di lavoro l’esclusione dal beneficio di alcune o di tutte le prestazioni, compresi i fondi dell’Unione europea, per un periodo fino a cinque anni; l’esclusione dalla partecipazione ad appalti pubblici per un periodo fino a cinque anni; il recupero di prestazioni concesse al datore di lavoro fino a dodici mesi prima della constatazione dell’assunzione illegale; la chiusura temporanea o permanente dello stabilimento.
Sul fronte delle garanzie a favore dei lavoratori irregolari, il decreto legislativo di attuazione della direttiva dovrà stabilire norme per consentire ai lavoratori di sporgere denuncia contro i loro datori di lavoro, sia direttamente sia attraverso terzi designati. Coloro che hanno lavorato in condizioni di particolare sfruttamento potranno ricevere, caso per caso, permessi di soggiorno per la durata dei relativi procedimenti nazionali.



Salute: il 75% degli immigrati ha “difficoltà a spiegare i sintomi a medici e personale sanitario italiano”.
Indagine del Codacons, carenti le informazioni su consultori, tutela della maternità e prevenzione.
Immigrazione Oggi, 05-12-2011
Gli immigrati conoscono i loro diritti in materia di salute ma sono consapevoli delle difficoltà cui vanno incontro, soprattutto a livello linguistico e culturale. Carenti invece le informazioni sui consultori familiari, la tutela della maternità e la prevenzione della salute. È quanto emerge dalla ricerca “Sentinelle della Salute” promossa dal Codacons in collaborazione con l’Agi.
La prima parte della ricerca è stata avviata per capire come gli stranieri residenti in Italia vivono la sanità nel nostro Paese, e quali siano le problematiche più frequenti.
È così emerso che il 67% degli stranieri è a conoscenza della possibilità di essere curato in una struttura pubblica anche se non è in regola con le norme italiane sull'immigrazione. Tre stranieri su quattro hanno dichiarato di aver avuto difficoltà a spiegare i sintomi a medici e personale sanitario italiano.
Particolarmente carenti sono invece le informazioni riguardo alla prevenzione: l’86% non sa cosa siano i consultori familiari e il 74% non è a conoscenza dell’esistenza delle leggi a tutela della maternità.
Il 65% pensa inoltre che in Italia non ci sia attenzione per la salute dei loro bambini mentre il 69% dichiara di non aver ricevuto spiegazioni chiare prima della richiesta di firmare il “consenso informato”.



Frequenze a colori Tutti stranieri a Radiotre
l'Unità, 04-12-2011
Per un’intera giornata, lunedì 5 dicembre, ai microfoni di Radio3 si alterneranno conduttori accomunati dal fatto di essere stranieri, sia nati in Italia che immigrati nel nostro paese.
Tante le provenienze e le professioni: giornalisti, scrittori, insegnanti, scienziati, operatori sociali, attori, musicisti, contribuiranno con le loro testimonianze a rendere la programmazione ancora più ricca di esperienze.
Queste voci sono spesso ospiti nei programmi di Radio3, che da sempre dedica molto spazio alle tematiche dell’immigrazione, ma lunedì 5 dicembre la loro presenza sarà più evidente e corale, per offrire punti di vista diversi, per generare curiosità e non diffidenza o paura.
Il microfono a questi mondi e a queste storie può raccontarci che siamo tutti stranieri e insieme, se si pensa al recente appello del Presidente della Repubblica sui nati in Italia¸ tutti italiani.
Dalla rassegna stampa italiana e internazionale, alla letteratura, alla musica, ecco il palinsesto di Radio3 tutti stranieri di lunedì 5 dicembre:
Qui Comincia. Samir Al Qariouty, giornalista palestinese collaboratore di Al Jazeera.
Radio3 Mondo. Conduce sia la rassegna stampa che l'approfondimento delle 11.30, Udo Gumpel corrispondente dall’ Italia della Ntv tedesca, canale del gruppo RTL.
Prima Pagina. Eric Jozsef, corrispondente di Liberation.
Pagina 3. La scrittrice egiziana/congolese Ingiy Mubiayi.
Primo Movimento. Angelina Yeshova compositrice e pianista kazaka.
Tutta la città ne parla. Marina Lalovic, giornalista serba, redattrice del Babzine, il Magazine settimanale di Babel, canale 141 di Sky dedicato ai nuovi Italiani.
Radio3Scienza. Agnes Allansdottir, islandese, docente di psicologia della comunicazione all'università di Siena.
La Barcaccia. Rebecca Berg, docente di canto del Conservatorio di S. Cecilia.
Chiodo Fisso. Kiran e Rasja: la storia degli alberi del Puinjab e Bangladesh.
Alza il Volume. La musicista somala Saba Anglana.
Fahrenheit. Interventi di Bijan Zarmandili, scrittore iraniano, Qeenia Pereira, brasiliana e rappresentante della Rete G2-Seconda Generazione, Aly Baba Faye, sociologo senegalese.
Hollywood Party. Nick Vivarelli, corrispondente per l'Italia della rivista di spettacolo Variety.
Radio3Suite. Conduce Oreste Bossini insieme a Bas Ernst, addetto culturale dell'ambasciata olandese in Italia. Ospiti d'eccellenza la pianista inglese Angela Hewitt, il tenore albanese Saimir Pirgu, il pianista e direttore d'orchestra Alexander Lonquich, il pianista turco Fazil Say e, nello spazio dedicato al teatro, il regista Peter Stein.
Battiti. Il musicista americano John Arnold.



Le bambine di Kinshasa che si vendono per un dollaro
Corriere della Sera, 05-12-2011
Monica Ricci Sargentini
Dignità | Nadesh ha 14 anni, non è mai stata a scuola e da quando sua madre l’ha abbandonata, due anni fa, vende il suo corpo. Madho, 16 anni, è incinta, è stata costretta a prostituirsi dopo che i suoi genitori hanno divorziato; per cinque volte è stata violentata dalle bande di ragazzi che pretendono di avere il controllo dei quartieri più derelitti. Siamo a Kinshasa, la capitale della Repubblica Democratica del Congo, dove circa 13.600 bambini sono costretti a vivere per strada e a guadagnarsi da vivere con ogni mezzo. Il 26% è formato da ragazzine che si vendono per un dollaro o due, un po’ di più se gli uomini non usano il preservativo. A Tshangu, uno dei quartieri più degradati della città, il 79% delle prostitute ha meno di 18 anni, il 6% è sotto i 12. Sono ragazzine per lo più analfabete, la maggior parte è stata stuprata da soldati o da poliziotti, è rimasta incinta ed ha abortito illegalmente. Il britannico Times ci ha raccontato le loro storie attraverso gli occhi di una piccola Ong War Child che ogni notte gira per le strade con un’autoambulanza per aiutare queste povere giovani. C’è chi viene solo per avere preservativi, chi cerca consiglio o medicine. A tutte le volontarie consigliano di andare nel loro centro di accoglienza dove potranno avere vestiti, un pasto caldo e un tetto sulla testa. “La strada è una giungla – dice al Times Patricia Ngay che dirige il rifugio -, c’è molta violenza, quando le ragazze arrivano qui spesso sono aggressive, ce l’hanno con il mondo e non sopportano le regole che ci sono qui. Poi si ammorbidiscono”. Al centro lavorano tre infermiere e sei tra operatori sociali ed insegnanti. Vengono impartite lezioni basilari di lettura e scrittura. Le volontarie cercano anche di ricongiungere le ragazze con la famiglia. Alcune volte ci riescono. Il rifugio ha aperto un anno fa e da allora sono state accolte 163 ragazze di cui 25 sono tornate a vivere con i genitori. Sono numeri piccoli ma di cui l’organizzazione, che opera anche in Afhanistan, Iraq e Uganda, va fiera. Ne è un esempio Landu, 32 anni, che ha potuto riabbracciare la sua bambina di soli dieci anni, scappata di casa perché la mamma era così povera da dover dormire in una chiesa. War Child ha curato la piccola che era stata investita da una macchina e ha aiutato la madre a trovare un lavoro. Ora vivono in affitto in una capanna. La Repubblica Democratica del Congo è stata lacerata da anni di guerra. Si calcola che dal 2003 al 2010 cinque milioni di persone siano morte di cui la metà bambini. E ancora oggi il clima è teso ed instabile. E’ bello pensare che piccole organizzazioni come War Child riescano a donare un granello di speranza ai bambini di Kinshasa.] Le bambine di Kinshasa che si vendono per un dollaro
di Monica Ricci Sargentini
Dignità |
Nadesh ha 14 anni, non è mai stata a scuola e da quando sua madre l’ha abbandonata, due anni fa,  vende il suo corpo. Madho, 16 anni, è incinta, è stata costretta a prostituirsi dopo che i suoi genitori hanno divorziato; per cinque volte è stata violentata dalle bande di ragazzi  che pretendono di avere il controllo dei quartieri più derelitti. Siamo a Kinshasa, la capitale della Repubblica Democratica del Congo, dove circa 13.600 bambini sono costretti a vivere  per strada e a guadagnarsi da vivere con ogni mezzo. Il 26%  è formato da ragazzine che si vendono per un dollaro o due, un po’ di più se gli uomini non usano il preservativo. A Tshangu, uno dei quartieri più degradati della città, il 79% delle prostitute ha meno di 18 anni, il 6% è sotto i 12. Sono ragazzine per lo più analfabete, la maggior parte è stata stuprata da soldati o da poliziotti, è rimasta incinta ed ha abortito illegalmente.
Il britannico Times ci ha raccontato le loro storie attraverso gli occhi di una piccola Ong War Child che ogni notte gira per le strade con un’autoambulanza per aiutare queste povere giovani. C’è chi viene solo per avere preservativi, chi cerca consiglio o medicine. A tutte le volontarie consigliano di andare nel loro centro di accoglienza dove potranno avere vestiti, un pasto caldo e un tetto sulla testa. “La strada è una giungla – dice al Times Patricia Ngay che dirige il rifugio -, c’è molta violenza, quando  le ragazze arrivano qui spesso sono aggressive, ce l’hanno con il mondo e non sopportano le regole che ci sono qui. Poi si ammorbidiscono”. Al centro lavorano tre infermiere e sei tra operatori sociali ed insegnanti. Vengono impartite lezioni basilari di lettura e scrittura. Le volontarie cercano anche di ricongiungere le ragazze con la famiglia.  Alcune volte ci riescono. Il rifugio ha aperto un anno fa e da allora sono state accolte 163 ragazze di cui 25 sono tornate a vivere con i genitori. Sono numeri piccoli ma di cui l’organizzazione, che opera anche in Afhanistan, Iraq e Uganda, va fiera. Ne è un esempio Landu, 32 anni, che ha potuto riabbracciare la sua bambina di soli dieci anni, scappata di casa perché la mamma era così povera da dover dormire in una chiesa. War Child ha curato la piccola che era stata investita da una macchina e ha aiutato la madre a trovare un lavoro. Ora vivono in affitto in una capanna.
La Repubblica Democratica del Congo è stata lacerata da  anni di guerra. Si calcola che dal 2003 al 2010 cinque milioni di persone siano morte di cui la metà bambini. E ancora oggi il clima è teso ed instabile. E’ bello pensare che piccole organizzazioni come War Child riescano a donare un granello di speranza ai bambini di Kinshasa.



MIGRAZIONE TRAGICHE
Nel Sinai l’orrore non si ferma
Avvenire, 05-12-2011
Paolo Lambruschi
Ancora storie dell’orrore, nel silenzio indifferente del mondo. Nei campi di prigionia del Sinai 350 profughi eritrei, tra cui donne incinte e bambini, sono in catene da mesi, in attesa che i parenti paghino i predoni beduini per la liberazione. Sono sottoposti a torture indicibili, con poco cibo e poca acqua e la minaccia di espianto degli organi per chi non paga. Almeno sei ostaggi sono stati ammazzati negli ultimi 30 giorni. Altri 370 eritrei sono stati rapiti e trasferiti dai banditi due settimane fa nelle caverne e nei container del deserto di Dio. In tutto sono 720 vite umane.
Si comincia invece a sbloccare la situazione degli eritrei detenuti arbitrariamente nelle carceri egiziane, tra cui mamme e bambini, arrestati per immigrazione illegale alla frontiera tra Egitto e Israele senza che nessuno abbia consentito loro di presentare domanda di asilo all’Egitto, che ha aderito alla Convenzione Onu sui rifugiati.
In un drammatico resoconto in tempo reale dei sequestri diffuso in settimana, l’Agenzia Habeshia di don Mosè Zerai, la rete umanitaria della diaspora eritrea con snodi a New York, Londra e Stoccolma, e due organizzazioni israeliane per i diritti umani – i medici di Phr che curano i rifugiati nella loro clinica di Tel Aviv e gli avvocati di Hotline for migrant workers – hanno descritto accuratamente la situazione. Le fonti sono le testimonianze rilasciate nell’ultimo mese dai prigionieri, molti dei quali cristiani, che li contattano ogni giorno via telefono.
Confermano che non accenna a diminuire il mercato di uomini nel deserto egiziano, nonostante le notizie contrastanti dell’ultimo mese probabilmente "inquinate". Certo, almeno 610 ostaggi provenienti dall’Eritrea sono stati liberati dai predoni al confini con Israele – anche se non sono ancora giunti riscontri – attorno al 10 novembre, senza riscatto, gesto fatto per distogliere l’attenzione dopo che alcuni media internazionali – tra i quali Avvenire – hanno denunciato sequestri e traffico d’organi nelle terre controllate dai beduini.
Sempre in quei giorni è avvenuto un regolamento di conti tra i clan che controllano il Sinai.
Ma poco è mutato, le persone liberate sono già state rimpiazzate con una rapidità che conferma come la rete dei trafficanti non rinunci a un’attività immonda che vale milioni di dollari. Secondo le testimonianze, che confermano quanto da noi ascoltato un mese fa dalla voce dei prigionieri nelle galere egiziane, ora gli eritrei vengono rapiti dai nomadi Rashaida dopo essere stati ingannati dal bandito eritreo Angosom, fuori dai campi profughi dell’Onu in Etiopia e Sudan. Poi, percorsa la rotta del Sahara, sono venduti ai predoni beduini nel Sinai.
Dai quali nel triangolo della morte da El Arish a Rafah nel Sinai del Nord, fino a Nakhl – dove sono tenuti prigionieri i profughi e dove avvengono gli espianti di organi – i rifugiati eritrei e africani sono torturati per estorcere riscatti che arrivano ormai a 30mila dollari. Alcuni particolari confermano le omissioni da parte delle forze di sicurezza egiziane ed israeliane. Le quali conoscono da luglio nomi e numeri di cellulare dei boss e dei loro complici eritrei – alcuni colti in flagranza a riscuotere i riscatti via money transfer e poi liberati misteriosamente di qua e di là del confine del Sinai – e le località di prigionia. Ma non intervengono. Nemmeno il caos al Cairo giustifica l’impunità dei criminali, che godono evidentemente di complicità insospettabili in tutti gli Stati coinvolti, Sudan, Egitto, Israele e Autorità palestinese. Il sospetto è che una chiave della vicenda sia il traffico d’organi, del quale sarebbero state vittime 3.000 persone, forse connesso all’estremismo islamico.
La novità è che l’organizzazione sposta i campi. Tre ostaggi parte di un gruppo di 165 eritrei – tra i quali 13 donne e 15 minori non accompagnati tra i 14 e 16 anni – hanno infatti dichiarato alle organizzazioni di essere detenuti fuori dal Sinai, a Mansoura, città 120 km a nord del Cairo. In un bunker sono torturati con elettroshock, mentre le donne sono violentate dal capo banda Abu Musa e da otto complici. Il riscatto richiesto per ognuno è 30mila dollari, l’affare vale quindi 5 milioni. Negli ultimi giorni sono state uccise 5 persone, tra cui una donna.
Lo stesso Abu Musa è responsabile del sequestro di un altro gruppo di 59 profughi custoditi vicino a Rafah, tra i quali 8 donne, due al termine della gravidanza. Ed è colpevole di altri orrori. Il riscatto richiesto è 23mila dollari. Una ragazza è stata messa incinta dai banditi, i quali chiederanno la stessa cifra per liberare il neonato. Un 22enne è stato ucciso dai banditi il 18 novembre e 15 giorni fa al gruppo si sono aggiunti 22 ostaggi. In tutto Abu Musa vuole incassare dalla "merce" umana oltre un milione e mezzo di dollari. Chi non paga viene rivenduto a trafficanti di organi come Abu Abdallah, "belva" che agisce nel cuore del Sinai. E svanisce nel nulla, come l’undicenne eritreo rapito da un campo profughi in Sudan a febbraio, finito in catene e poi forse nelle fosse comuni del deserto.
In questa terra senza umanità c’è almeno la speranza che Dina, la bambina di sei anni detenuta con la madre che abbiamo incontrato un mese fa nel carcere di Bir el Abd, possa tornare libera a Natale grazie all’ong Gandhi. Che, aiutata da una rete di persone di buona volontà, sta lavorando per portare in Etiopia 150 prigionieri su 700, una Schindler’s list di donne, bambini e malati, evitando l’ultimo oltraggio, la deportazione nel gulag Eritrea dalla quale sono fuggiti nell’indifferenza dell’Occidente.

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