06 dicembre 2011

«Tutti stranieri», in radio un giorno per capire le ragioni degli immigrati
l'unità, 06-12-2011
Da qualche anno Rai RadioTre dedica un giorno della sua programmazione a un evento speciale. Non si tratta di una cerimonia di gala o della commemorazione di un avvenimento storico. RadioTre propone, come ha fatto il 5 dicembre, un diverso sguardo e un diverso punto di vista su quanto accade in Italia e nel mondo. E lo sguardo è quello di chi si trova nel nostro Paese, per motivi di studio o di lavoro, perché migrante o profugo, e che per una volta si trasforma in conduttore radiofonico: «Tutti stranieri» (questo è il titolo della giornata). Quello che il direttore di RadioTre, Marino Sinibaldi, vuole proporre agli ascoltatori non è il racconto di chi decide di (o è costretto a) abbandonare il proprio paese di origine né, tantomeno, offrire una visione pietistica dell’immigrazione. Nel corso della giornata si avvicendano alla conduzione giornalisti, studiosi, insegnanti, musicisti, artisti, moltissime professionalità diverse che, per 24 ore, hanno il compito di commentare le notizie, o di parlare di musica, o di trattare diversi argomenti, facendoci uscire «dal recinto delle nostre opinioni, tanto più angusto in momenti in cui dovremmo tutti provare a cercare, cambiare, oltrepassare, inventare». L’immigrazione come opportunità di crescita e come valore aggiunto, non solo rispetto ai benefici economici che ne ricaviamo (innegabili e ormai ampiamente riconosciuti), ma anche dal punto di vista sociale, delle conoscenze e delle ricchezze immateriali di cui questi cittadini sono portatori. Ed è per questo che il filo conduttore della giornata non poteva che essere quanto detto da Napolitano sul diritto di cittadinanza per i figli di stranieri nati in Italia. Perché non valorizzare queste esperienze e queste vite è cosa che non possiamo più permetterci di fare.



Corte Ue: no a carcere durante rimpatri
(ANSA) - LUSSEMBURGO, 6 DIC 2011 - No alla carcerazione degli immigrati clandestini durante la procedura di rimpatrio, ma si' a norme nazionali che puniscono anche con la detenzione chi soggiorna irregolarmente in un Paese Ue: e' quanto ha stabilito oggi la Corte di giustizia Ue in una sentenza emessa su un caso di un immigrato clandestino armeno in Francia che nel giugno scorso e' stato oggetto di un decreto di ''riaccompagnamento coattivo alla frontiera'', nonche' di un provvedimento di detenzione per soggiorno irregolare.



Diritto d`asilo: pochi posti per l`accoglienza, i soldi dirottati sull`emergenza
A fronte degli oltre 60mila arrivi dal Nord Africa, il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati che nel 2010 contava 3.146 posti ne conta solo 1500 in più. Il resto degli arrivi è stato tutto gestito in emergenza.
l'Unità, 06-12-2011
MARIAGRAZIA GERINA
Di là dal mare, le autorità libiche provano a dare segnali di una nuova stretta sull`emigrazione bloccando a largo di Tripoli 430 profughi, stipati sull`ennesimo barcone dopo aver pagato fino a 1500 euro per un viaggio "clandestino" che non faranno mai.
Di qua dal mare, però, la parola chiave è ancora emergenza. E non tanto per i nuovi arrivi. Quanto perché i conti con i 60mila profughi approdati nei mesi scorsi dal Nord Africa ancora non tornano.
I dati dell`ultimo Rapporto sul Sprar presentato ieri a Roma dicono che a fronte di 60.656 profughi giunti nei primi nove mesi dell`anno sulle coste italiane (51.595 solo tra Lampedusa e Linosa), i posti di accoglienza attivati nell`ambito del Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati L`appello Permesso umanitario per i profughi arrivati dalla Libia sono solo 1.500 in più rispetto ai 3.146 dell`anno precedente. Posti insufficienti anche nell`ordinario. Tanto che persino il 2010, definito «l`anno nero dell`asilo» per la diminuzione drastica delle domande, si è chiuso secondo il rapporto - con 6.855 persone accolte e 2500 persone in lista d`attesa.
Potenziare lo Sprar poteva essere una risposta al nuovo flusso migratorio determinato dalle rivolte nel Nord Africa e dalla guerra in Libia. È quello che chiedeva tra gli altri il Consiglio italiano per i rifugiati. Ma il governo Berlusconi-Maroni ha preferito rispondere con un piano d`emergenza, affidato alla Protezione civile. E a ottobre, poco prima di cedere il passo al nuovo governo tecnico, è arrivata anche la proroga. Il vecchio esecutivo ha deciso che l`emergenza continua, fino a tutto il 2012. E i finanziamenti erogati, altri 230 milioni di euro che vanno ad alimentare un sistema d`accoglienza parallelo, anche.
Il risultato, è che ai numerosi sforzi compiuti dalle Regioni e dagli enti locali corrispondono servizi garantiti in modo molto disomogeneo sul territorio nazionale, sintetizza Flavio Zanonato, delegato Anci per l`immigrazione.
E il problema è che nel frattempo ai profughi arrivati dalla Libia non è stato riconosciuto alcuno status. Accolti perché tutti quanti in fuga da un paese in guerra, sono stati spinti a fare uno per uno domanda l`asilo. Solo che molti di loro, emigrati in Libia per trovare lavoro, sono originari di paesi dove, in teoria, potrebbero tornare senza rischiare né persecuzioni né guerra, anche se in pratica, non avendo lì né casa né famiglia, non ci torneranno.
Risultato: le commissioni territoriali chiamate ad esaminare le loro richieste d`asilo, stanno rispondendo con una valanga di dinieghi. E l`effetto è che migliaia di quei 60mila stranieri arrivati sulle coste italiane da profughi si stanno trasformando in irregolari.
La soluzione ci sarebbe. Un permesso di soggiorno per motivi umanitari. Simile a quello rilasciato per i primi tunisini approdati a Lampedusa. È quello che chiede un appello per il «Diritto di scelta» lanciato dalle associazioni che si occupano di rifugiati e sottoscritto già da tremila persone. Oltretutto, in tempi di crisi, sarebbero davvero uno spreco se dopo tutti quei soldi spesi in emergenza per l`accoglienza si finisse per produrre solo nuova manovalanza in balia del lavoro nero e della criminalità organizzata. ?
 


La crisi nordafricana spinge gli immigrati a chiedere asilo in Italia: nel primo semestre 2011 domande raddoppiate
il Sole, 05-12-2011
Lorenza Costantino
Dal 2008 il trend era in calo, tanto che nel 2010 era stato raggiunto il numero minimo di richieste di asilo politico in Italia. Ma è stato soprattutto a causa degli eventi in Nord Africa, soprattutto in Tunisia e in Libia, se le domande di asilo da parte di immigrati in fuga nel primo semestre 2011 sono raddoppiate: sono state infatti 10.860 le richieste presentate in Italia, con un incremento del 102% rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente. È quanto emerge dal Rapporto 2010-2011 dello Sprar, il Sistema di protezione per i richiedenti asilo e rifugiati, curato da Cittalia Fondazione Anci Ricerche.
Il Rapporto ha fotografato le attività di accoglienza realizzate dagli enti locali in collaborazione con il terzo settore. L'aumento cospicuo di sbarchi e di domande di protezione «hanno avuto significative ricadute sull'apparato dell'accoglienza per rifugiati e richiedenti asilo, determinando - si legge nello studio - una diversificazione degli interventi e una stratificazione dei sistemi di accoglienza», dovuta anche al decreto della Presidenza del Consiglio (del 12 febbraio) che ha dichiarato «lo stato di emergenza nel territorio nazionale in relazione all'eccezionale afflusso di cittadini appartenenti ai Paesi del Nord Africa».
Il Trattato con la Libia aveva fatto calare le domande di asilo
Una tendenza che ha fatto risalire le domande di asilo, in calo da tre anni. Se nel 2008, infatti, si trattava di oltre 31mila persone, nel 2009 le domande si sono quasi dimezzate (17.603 ovvero -42,3% rispetto al 2008) fino a ridursi notevolmente nel 2010, quando i rifugiati in Italia erano poco più di 56mila. Se tre anni fa, tra i 44 Paesi industrializzati, l'Italia era il quinto paese destinatario dei richiedenti asilo - si legge ancora nel Rapporto - nel 2010 è divenuto 14esimo. Questo cambiamento è dovuto alla ratifica del "Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione" con la Libia approvato dal Parlamento nel febbraio 2009, che ha portato all'intensificazione del controllo alle frontiere al fine di contrastare l'immigrazione irregolare, portando ad una significativa diminuzione degli arrivi via mare e conseguentemente delle istanze di protezione internazionale.
Al Lazio il record dell'accoglienza, Lombardia seconda
Nel corso del 2010 la rete dello Sprar ha coinvolto 2010 piccoli comuni e aree metropolitane, con 3.146 posti di accoglienza che hanno consentito la presa in carico di 6.855 beneficiari richiedenti e titolari di protezione internazionale. In quest'ottica il primato dell'accoglienza spetta al Lazio, grazie soprattutto all'impatto positivo espresso dalla città di Roma, con quasi un quarto delle accoglienze totali. La graduatoria delle regioni che si sono distinte nel 2010 per maggiore capacità di accoglienza vede dopo il Lazio (con 1.580 accolti, 466 strutture e 21 progetti) la Lombardia (1.163 accolti), la Sicilia (807), la Puglia (499) e l'Emilia Romagna (439), con un netto divario, sottolinea il Rapporto, con altre realtà territoriali come ad esempio il Trentino-Alto Adige (42), l'Abruzzo (32), il Molise (32) e la Sardegna (31). In ogni caso, viene rilevato, «fatte le dovute proporzioni tra numero dei progetti e dei posti messi a disposizione della rete dello Sprar e il valore assoluto delle accoglienze, risultano comunque molto alti anche la capacità e il potenziale di accoglienza di regioni che ospitano anche un solo progetto del Sistema di Protezione».



Immigrati: rivolta di agosto a Bari, pm chiede giudizio immediato per 45
la Repubblica, 05-12-2011
Bari, 5 dic. (Adnkronos) - Il pubblico ministero della Procura di Bari, Marcello Quercia, ha chiesto il giudizio immediato per 45 immigrati arrestati nei giorni successivi alla rivolta del primo agosto provocata da circa duecento ospiti del Centro accoglienza richiedenti asilo di Bari. Gli extracomunitari, in quell'occasione, misero in atto gravi disordini alla periferia della citta', occupando e bloccando la strada statale 16 e il traffico ferroviario. La rivolta fu determinata dai ritardi nell'espletamento delle pratiche per i richiedenti asilo, e soprattutto, nei respingimenti gia' attuati di molte delle domande fatte. I giovani nordafricani furono identificati dagli agenti della Digos di Bari grazie a video, foto e testimonianze. Tre dei 45 indagati per i quali la Procura ha chiesto il processo, uno dei quali risulta essere ancora latitante, sono considerati dagli investigatori gli organizzatori della rivolta: sono accusati di istigazione a delinquere finalizzata alla rivolta e minacce agli ospiti del Cara. I reati contestati, a vario titolo, agli altri 42 sono violenza e resistenza a pubblico ufficiale aggravate dal numero di persone e dall'uso di armi improprie (spranghe di ferro e sassi), minacce, interruzione di pubblico servizio, danneggiamento seguito da incendio, violenza privata, lesioni personali aggravate, danneggiamento di auto e mezzi pubblici, furto e blocco ferroviario.



Cittadinanza, di cosa parliamo
La sinistra è caduta nella trappola ideologica dello ius soli, da contrapporre allo ius sanguinis. Ma esistono politiche restrittive e meno. E l'Italia è il Paese più arretrato d'Europa. Grazie anche al repubblichino Tremaglia
il manifesto, 06-12-2011
Enrico Pugliese
Per piacere un po' di calma. Si sta creando nella sinistra una sorta di partito dello ius soli. Questa è l'espressione che si sente spesso dire da chi si dichiara d'accordo con l'iniziativa del presidente Napolitano volta a favorire l'accesso alla cittadinanza italiana dei bambini, appunto italiani, figli di genitori stranieri. Non so bene cosa voglia dire al giorno d'oggi ius soli (e non so se lo sanno gli entusiasti di questa idea). Né per altro so cosa voglia dire ius sanguinis, che poi sarebbe, in linea di principio, l'opposto dello ius soli. E questa disputa ideologica e nominalistica mi disturba.
I paesi governano diversamente l'accesso alla cittadinanza giuridica cosicché alcuni, come la Francia, danno o facilitano molto l'accesso alla cittadinanza ai nati nel territorio dello stato, mentre altri non lo fanno o lo fanno di meno. Ma poi c'è in Europa una tendenza verso la convergenza che - nel bene e a volte nel male - rende più simili in Europa le norme relative all'accesso, riflettendo lo spirito dei tempi e il clima politico dei singoli paesi. Cosi in alcuni, attraverso modifiche costituzionali o semplici provvedimenti di legge, si estendono le possibilità di accesso alla cittadinanza mentre in altri, come appunto la Francia, si rende sempre meno automatico il diritto accesso (e la persistenza del diritto) alla cittadinanza per i nati da stranieri.
Questa storia dello ius soli e dello ius sanguinis - termine, quest'ultimo, che effettivamente non suona bene - l'hanno messa in piedi di recente l'on. La Russa e la Lega Nord denunciando, nelle loro reaziom alle considerazioni del Presidente della Repubblica, un «rischio di passaggio in Italia alio ius soli». Passaggio che ha poco a che fare con una iniziativa volta far diventare Cittadini bambini e ragazzi che sono nati o arrivati da piccoli in Italia, parlano italiano e si considerano italiani, o anche italiani.
Rispetto alia questione pratica e concreta posta dal presidente Napolitano gli xenofobi nostrani hanno alzato un polverone giuridico-ideologico, ergendosi a difensori dello ius sanguinis e chiamando in causa anche la Costituzione. E gli aderenti al- 1'emergente partito filosofico dello ius soli sono cascati nella trappola e nella disputa ideologica. Ma i problemi sono ben altri. Ad esempio in Italia venti anni addietro - con lo ius sanguinis - era più facile di adesso per il Cittadino straniero residente nel paese ottenere la cittadinanza. Infatti è stato proprio quando sono arrivati gli immigrati che si è deciso di allungare il período di permanenza necessário per avere la cittadinanza. Né sangue, né suolo, solo politica restrittiva.
D'altra parte giova ricordare che l'Italia è stata - e in parte è tutt'ora - un paese di emigrazione. E molti italiani parteciparono alle grandi migrazioni intraeuropee del dopoguerra- nei trenta gloriosi anni del welfare state néüe democrazie capitaliste. Se un emigrate - operaio o lavoratore edile - trasferito con famiglia o sposato con una donna locale diventava padre in Germania mandava immediatamente i suoi parenti a registrare il figlio presso l'anagrafe comunale. Non credo che questo emigrate pensasse di farlo in base allô ius sanguinis. Forse pensava semplicemente di eseicitare il diritto di tra- smettere la propria nazionalità ai suoi figli anche se non nati in patria. E all'epoca erano molti i bambini che non nascevano in patria. Si trattava di qualche figlio di intellettuale residente all'estero per studio o ricerca, di qualche figlio di diplomático e di tanti, dawero tanti, figli di proletari (spero che qualcuno ricordi la parola). Non so se quelli che ora parlano di ius soli ritengono giusto che a quei figli di proletari emigrati spettasse - o quanto meno spettasse anche - la cittadinanza italiana. Ed è proprio questo "anche" uno dei temi centrali all'ordine dei giorno oggi: quello della doppia cittadinanza. Di questo si dovrebbe parlare oggi, non di sangue e suolo.
La verità è che la complessa storia dell'accesso alla cittadinanza giuridica varia molto da paese a paese. Ed ha a che fare con la storia politica, sociale e demografica di ciascun paese. In ognuna di queste storie ci sono luci e ombre. Pensiamo a un paese che si ritiene caratterizzato dallo ius soli come la Francia. Qltre che all'automatismo (ora modificato da norme restrittive) dellaccesso alia cittadinanza francese per nascita, c'è sempre stata una notevole facilita di accesso per lunga permanenza nel paese. Le regole facilitanti questo accesso sono molto antiche: datano all'epoca dell'assolutismo. L'as- solutismo statale pretendeva lealtà: non poteva permettere che un Cittadino svizzero o italiano diventasse ministro o avesse a Parigi una forte influenza economica politica e sociale. L'acquisizione - anzi l'imposizione - della cittadinanza doveva essere garanzia della lealtà nei confronti dello stato. Poi, sempre parlando della Francia, il paese era sottopopolato e la forza lavoro nazionale non era sufficiente a soddisfare le esigenze dello sviluppo industriale. Perciò, proprio nel periodo della prima grande espansione capitalistica, fu favorita l'immigrazione di massa destinata a stabilizzarsi nel paese. E ad essa fu chiesta lealtà in cambio dell'inclusione. Questo - che solo in parte ha a che vedere con lo ius soli- risultò positivo perche l'immigrazione in Francia - dolorosa come tutte le esperienze migratorie - fu più di successo che altrove. Però nel paradiso dello ius soli (gli Usa) molte persone non nate in America per ottenere la cittadinanza hanno dovuto combattere da stranieri nell'esercito nazionale. E ne sono morti tanti in Iraq e Vietnam.
Una concezione più étnica della cittadinanza ha invece sempre caratterizzato, anche nei periodi più democratici della sua storia, la Germania. Fino a eccessi per cui poteva richiedere la cittadinanza tedesca chimique mostrasse di appartenere a mi- noranze di origine tedesca insediate all'estero - come emigranti o come coloni - anche molti secoli prima. Cosi alla caduta del muro molti russi con cognome tedesco - anche se con esclusiva conoscenza lingua russa, e russi all'aspetto físico e nei modi - chiesero e ottennero la cittadinanza, insieme a tantissimi altri che tedeschi in effetti sembravanò e che avevano mantenuto cultura e abitudini tedesche. È avvenuto ad esempio con i Wolgadeutsche ("tedeschi del Volga") o con i Donauschwaben, gli "svevi dei Danúbio" (in Romania) ai quali appartiene la scrittrice (in tedesco)premio Nobel 2010 Herta Muller. All'origine di queste norme c'era il principio di appartenenza «alla popolazione tedesca» (una concezione della cittadinanza di tipo "etnico", di sangue) seguito poi anche per motivi politici e di opportunità (in primo luogo la disperata necessi- tà di mano d'opera delia Germania nel dopoguerra). Ma la Germania di recente ha operate in direzione gíusta, in maniera non distante dalla iniziativa del Presidente Napolitano. Infatti, grazie a una iniziativa rosso-verde, agli inizi del decennio scorso fu aperto il diritto alla cittadinanza ai figli di stranieri nati in Germania. E cosi - tanto per dirne una - è diminuto il numero degli italiani in Germania per il semplice fatto che sono diventati ufficialmente tedeschi, come di fatto erano.
L'Italia è però rimasta indietro. Non solo si è stati più restrittivi nei confronti degli immigrati, come appena detto. Ma si è potenziata - sotto il ministero Tremaglia - una linea etnica di accesso alla cittadinanza per gli italiani, o per gli ex italiani, all'estero. La legge vigente è paradossale. Sono diventati italiani per definizione (quindi con diritto alla cittadinanza giuridica e al voto politico) tutti i discendenti in linea patrilineare - il sangue della mamma non conta - degli emigrati all'estero fin dal momento dell'Unità d'Italia. Si tratta di una questione seria da affrontare, anche per il nesso tra cittadinanza e diritto di voto. Il tutto è complicato dal fatto che in America Latina, dove si concentrano milioni di questi potenziali italiani, la grande maggioranza di questi gode o godrà della doppia cittadinanza. È proprio questo l'aspetto cruciale anche oggi in Italia. I figli degli stranieri nati o arrivati da bambini in Italia dovranno avere la cittadinanza italiana o anche la cittadinanza italiana? E poi, a diciotto anni, dovranno scegliere per l'una o l'altra o mantenerle entrambi? Ed ancora - nel caso della doppia cittadinanza - come si fa con il voto politico? Come si vede, con tutto questo lo ius soli c'entra ben poco. D'altronde anche i figli dei francesi nati all'estero godono automaticamente della cittadinanza francese. Per tutto questo è utile lasciar correre le questioni ideologiche e trattare i problemi concreti volta per volta guardando alle buone pratiche che si registrano al mondo e non ai principí fondanti.



IMMIGRATI: COMUNE DELL'AQUILA ADERISCE CAMPAGNA CITTADINANZA 18ENNI
(ASCA) - L'Aquila, 6 dic 2011- Il Comune dell'Aquila ha aderito alla campagna ''18 anni in Comune'', promossa dall'Anci e dalle Associazioni Save the Children e Rete G2 Seconde generazioni, mirata ad informare i figli degli stranieri residenti all'Aquila che hanno la possibilita' di ottenere la cittadinanza italiana entro un anno dal compimento della maggiore eta'. Requisiti: essere nati in Italia da genitori stranieri; essere residenti in Italia senza interruzione, fino al compimento del 18* anno di eta'. Opportunita', quindi, che va colta entro un anno e comunque prima di compiere 19 anni.
''Ogni sei mesi, gli stranieri nati, vissuti in Italia senza interruzioni, e residenti nella nostra citta', riceveranno una lettera a firma del Sindaco e della Dirigente dell'Ufficio di Stato civile, con la quale si informa dell'esistenza di questa possibilita' - spiega l'assessore ai Servizi demografici, Pierluigi Pezzopane - E' il modo migliore per favorire l'integrazione degli stranieri che ormai fanno parte a pieno titolo della nostra collettivita', costituendone una risorsa importante''.
Per l'assessore ''proprio grazie a questo strumento legislativo, coloro che sono nati e vivono da sempre in Italia, e sono altresi' residenti in questa Citta', possono diventare nostri concittadini anche di diritto, acquisendo cosi' tutte le prerogative dello status di cittadino italiano''.



Lavoro, risparmi e immigrati alzano la qualità della vita
RICERCA «SOLE 24 ORE». La provincia di Verona passa dalla posizione 40 del 2010 alla 24. Grazie ad alcuni indicatori
Elevata la ricchezza prodotta per abitante. E siamo decimi per l'occupazione femminile Male negli asili e nell'ambiente
L'Arena.it, 06-12-2011
Verona ricca, costosa, risparmia molto, ma investe poco, e ha qualche preoccupazione per il lavoro. Verona è in allarme sul fronte ambientale e della sicurezza. Verona è rosa e giovane, grazie a un invidiabile tasso di occupazione tra donne e ragazzi. Verona ha le culle piene e tanti immigrati: le due cose vanno a braccetto.
Nella nostra provincia, in ogni caso, la qualità della vita si è impennata rispetto all'anno scorso. Questo, perlomeno, dice l'ultimo rapporto sulla qualità della vita de Il Sole 24 Ore, che vede Verona al 24° posto nella graduatoria generale delle 107 province italiane, con a una scalata di ben 16 posizioni rispetto al 2010.
INDAGINE. In testa c'è Bologna, con voti alti in tutte le categorie. Ultima Foggia, dopo una lunga fila di realtà del Sud. In Veneto, lo scettro va, senza sorprese, a Belluno, addirittura al terzo posto in Italia. Ma abbiamo davanti anche Treviso (numero 17) e Vicenza (21), mentre peggiorano Padova (dal numero 34 al 41) e Rovigo (dal 58 al 68).
RICCHEZZA. Verona dà la migliore performance in assoluto nel risparmio: siamo secondi, a livello nazionale, per depositi per abitante; e al primo posto c'è Treviso. Andiamo molto bene anche nella ricchezza prodotta, per cui siamo al 14° posto: il Pil pro capite, nel 2010, era di 30.688 euro (il più alto nel Veneto), contro i 36.362 della prima in classifica, cioè Milano. Infatti il nostro sentiment sul carovita è trascurabile, con un indice di 8 punti (il secondo più basso d'Italia dopo La Spezia), in confronto a quello di Siena a quasi 30 punti. Poco più afflitti di noi, in Veneto, padovani (10), vicentini e veneziani (11).
Teniamo posizioni onorevoli nei consumi privati, 28° posto. Però nel settore casa crolliamo al 99° posto, a causa dell'alto costo al metro quadro: 3.200 euro.
LAVORO. Verona entra per un soffio nella top ten dell'occupazione femminile. Decima in Italia (prima in Veneto), con un tasso del 43,5 per cento contro il 49 di Bolzano, la migliore. Va bene anche per i giovani tra i 25 e i 34 anni, che trovano lavoro nel 79,5 per cento dei casi, piazzando Verona al 17° posto, e al secondo in Veneto dopo Vicenza (81). Capofila assoluta è Lecco, con l'85%.
Ma la crisi ci induce a temere per il lavoro: siamo al 31° posto nella classifica nazionale della preoccupazione. Verona non possiede un forte spirito di iniziativa, essendo al 45° posto per imprese registrate ogni cento abitanti (10,856), nonostante resti la migliore in regione. Tantomeno brilla in propensione ad investire, per cui finisce all'84° posto, mentre Brescia è al primo. Senza infamia e senza lode sul fronte dei prestiti onorati, al 25° posto, e delle esportazioni, al 27°.
SICUREZZA. Buona la velocità della giustizia, che ci pone al 18° gradino della classifica italiana e sul primo in quella regionale.
Tuttavia, la percezione della sicurezza non è affatto alta, collocandoci all'83° posto a livello nazionale, con un indice di disagio di 14 punti, contro Belluno (1), Rovigo (7), Vicenza (10) e Treviso (12). Ancora al 18° posto per la presenza di infrastrutture.
Dai dati reali, Verona si colloca undicesima per estorsioni, e poi 35° per furti in casa, 46° per truffe e furti d'auto, 84° per rapine e borseggi.
SERVIZI E AMBIENTE. Scarseggiamo negli asili, per i quali scendiamo a quota 46. E caliamo anche se si parla di sanità, in termini di percentuale di emigrazione ospedaliera, per la quale ci piazziamo al 32° posto, con un indice del 5,2%, superati da Padova (3,4) e Vicenza (4,1). Bassa pure la pagella ecologica, 36, in base alle rilevazioni di Legambiente, lontani da Belluno, prima assoluta.
POPOLAZIONE E SVAGO. Il tasso di natalità è tra i più alti: siamo al 15° posto, con dieci nuovi nati ogni mille abitanti. E siamo anche una delle province con il maggior numero di immigrati regolari, l'11,54 per cento sul totale, tenendo il nono gradino in Italia, e il secondo in Veneto dietro Treviso. Ci collochiamo circa a metà classifica per divorzi e separazioni (56 ogni 10mila coppie).
Offriamo ai turisti un'ampia ospitalità, con 637 strutture ricettive ogni 100mila abitanti, piazzandoci decimi in Italia, e secondi in Veneto dopo Venezia, però solo 43° per ristoranti e bar (590 su 100mila abitanti), e 42° per il numero di spettacoli (600mila ogni 100mila abitanti), pur avendo Arena e Teatro Romano. Per finire, i veronesi sono più sportivi che lettori: al 24° posto nel primo caso e al 41° nel secondo.



In città: La crisi colpisce anche gli immigrati
Nella Capitale 347mila gli stranieri residenti, centomila i mancati rinnovi del permesso di soggiorno. Monsignor Feroci: «Senza di loro le cose andrebbero peggio. Ma servono politiche per l'integrazione» di Alberto Colaiacomo
RomaSette, 05-12-2011
Parte dall’Isola Tiberina, antico porto della città come fosse una “antesignana” di Ellis Island a New York, la vocazione di Roma ad essere terra di immigrazione, di accoglienza e di integrazione. Iniziano ricordando questo aspetto della storia millenaria della Capitale quale luogo di incontro di popoli, culture e religioni gli autori dell’ottavo Rapporto dell’Osservatorio romano sulle migrazioni, per tracciate un quadro della presenza straniera nella Capitale. Lo studio, promosso dalla Caritas diocesana di Roma in collaborazione con la Provincia e la Camera di Commercio, è stato presentato oggi, 5 dicembre, in una conferenza stampa dal direttore della Caritas monsignor Enrico Feroci, insieme al presidente della provincia Nicola Zingaretti e al vicepresidente della Camera di Commercio Lorenzo Tagliavanti.
Secondo gli autori, l’area romana presenta una forte dimensione internazionale ospitando 347mila stranieri residenti ai quali si aggiungono altri 100mila che, pur risiedendo nei comuni dell’hinterland, hanno nella Capitale il centro dei propri interessi economico-sociali. «Una persona ogni otto che si incontrano per le strade della città ha la cittadinanza straniera» ha spiegato Franco Pittau, curatore della ricerca. Per questo, ha detto, «di fronte a un andamento demografico che vede gli anziani crescere a un ritmo molto più intenso dei giovani, l’immigrazione diventa un indubbio fattore di rinnovamento e dinamismo». Gli immigrati infatti hanno un’età media poco al di sotto dei 38 anni e sono sposati nel 40% dei casi. I minori sono circa 80mila e di essi 52mila frequentano la scuola, senza problemi di lingua perché quasi la metà è nata in Italia.
Del milione e 800mila lavoratori occupati in Provincia romana, 235mila sono immigrati, il 13,8% del totale, e di essi 6 su 10 hanno meno di 45 anni, con un tasso di occupazione più alto rispetto agli italiani sia nel caso degli uomini che delle donne e la concentrazione in alcuni comparti come l’edilizia e l’assistenza alle famiglie. Una dinamica questa che, purtroppo, nell’ultimo anno ha dovuto scontrarsi con la crisi economica che nell’area romana continua a far sentire i suoi effetti negativi vedendo aumentare, insieme agli occupati, anche il numero di immigrati disoccupati. Per questo, oltre alla crescita del numero dei residenti stranieri nell’ultimo biennio si è registrato il non rinnovo di circa 100mila permessi di soggiorno, in prevalenza per lavoro e per famiglia. Si tratta di persone, spiegano i ricercatori, che avendo perso il lavoro non hanno potuto rinnovare il titolo di soggiorno e sono probabilmente rimaste in modo irregolare.
Un terzo degli stranieri proviene da Paesi dell’Unione Europea e due decimi da aree a sviluppo avanzato, molti presenti a Roma come diplomatici e per rapporti di affari. I romeni continuano ad essere i più numerosi (74.583 residenti, 21,6% del totale), seguiti da filippini (34.995 e 10,1%) e, con numeri che vanno dalle 16mila alle 10mila unità, bangladesi (4,7%), polacchi (4,4%), cinesi (3,9%), peruviani (3,8%), ucraini (3,1%), egiziani (3,0%).
La distribuzione nella città conferma la preminenza dei municipi 1, 20 e 8 che, nel complesso, accolgono quasi un terzo degli stranieri residenti. Viste nel loro insieme, le strategie abitative degli immigrati svelano una “nuova geografia” con tre grandi modelli insediativi: nei quartieri residenziali vi sono gli immigrati che vivono insieme alle famiglie dove sono alle dipendenze come domestici e assistenti familiari. Nei quartieri in crescita, non solo in periferia ma anche in zone centrali dove sono presenti costruzioni popolari, vi sono gli immigrati inseriti nei servizi o nel commercio. Il più recente modello che si va affermando è quello della periferia diffusa, che raggiunge e include i comuni della prima cintura della Capitale e che promette di estendersi sempre più anche alla seconda cintura di comuni della provincia romana.
Un messaggio di speranza è giunto dal direttore della Caritas, monsignor Enrico Feroci. «“Insieme, per le vie del futuro” è il titolo che abbiamo voluto dare alla pubblicazione di quest’anno ha spiegato il sacerdote -. Se non ci fossero gli immigrati le cose andrebbero ancora peggio: per l’apporto che danno in termini lavorativi, per la disponibilità a inserirsi in tutti i settori, per le tasse che pagano, per i contributi previdenziali che versano con la prospettiva di un’età pensionabile ancora lontana, per il supporto demografico che assicurano». A questo però, secondo la Caritas, non corrispondono politiche per l’integrazione che vadano oltre le fasi di emergenza e che puntino ad un efficace e sistematico coordinamento tra i servizi esistenti e a un loro ripensamento nell’ottica di una reale autonomia delle persone accolte. Per questo monsignor Feroci ha invitato a riscoprire il volontariato perché «è tempo di capire che dobbiamo curarci degli altri. Gli immigrati, i loro Paesi, la fuga dalla miseria, l’attaccamento alle nostre persone, alla pari di tanti italiani che hanno bisogno di noi, ci dicono che non possiamo rimanere insensibili».


 

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